Definizione di Sociologia

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Definizione di Sociologia
DISPENSA
ELEMENTI DI SOCIOLOGIA,
PSICOLOGIA DELL’UTENZA,
PATOLOGIE COMUNICATIVE
A cura di Salvina Maggio
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Definizione di Sociologia
La Sociologia è la scienza della società, è un termine ibrido, non definito, costituito da
un termine latino societas che significa società e da un termine greco logos che significa
studio. Quindi studio della società o meglio analisi scientifica della società: studia,
descrive, spiega , interpreta e prevede i fenomeni sociali.
E’ una scienza moderna , nata da circa 150 anni, molto complessa e si prefigge di
studiare l’uomo in tutti i suoi processi formativi.
Quando si parla di sociologia siamo portati a pensare al sociale, alla società che ci
circonda,
sociologia
intesa
come
antitesi
dell’individualismo,
in
quanto
automaticamente si annulla l’individualità della persona, e si sviluppa una
socializzazione che gli permette di realizzare il suo essere, interagendo con chi lo
circonda.
La sociologia studia l’individuo in cui vive e viene vissuto, nel momento in cui viene
influenzato e influenza, nel momento in cui subisce la regola sociale ma reagisce, anzi
la fa propria secondo il suo stile dettato dalla suo carattere .
La PSICOLOGIA
La Psicologia è la scienza che studia il comportamento umano e che cerca di
comprendere ed interpretare i processi mentali, affettivi e relazionali che lo determinano
con lo scopo di promuovere il miglioramento della qualità della vita. Gli elementi di
studio sono : la memoria, l'intelligenza, l'apprendimento, la comunicazione, le
emozioni, l'affettività, la motivazione, la frustrazione, l'aggressività, il conflitto; ed
ancora la personalità, le relazioni, le forme organizzative ed i gruppi, che attraverso la
ricerca scientifica tende a raggiungere il benessere psicologico dell'individuo,del gruppo
della comunità .
L’analisi avviene considerando diversi elementi quali
1. le fasi del ciclo della vita: infanzia, adolescenza, genitorialità, terza età, prevenzione
e benessere (salute, stili di vita, dipendenze ecc.)
2. sviluppo ed educazione (scuola, apprendimento, processi di formazione ed
organizzazione (selezione, valutazione, analisi organizzativa, interventi sui gruppi,
etc.),
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La COMUNICAZIONE
La Comunicazione è il fondamento di tutti i rapporti umani e, pur facendone un uso
quotidiano, non sempre siamo consapevoli delle logiche sottese ad essa, dei processi
che questa innesca e delle incredibili potenzialità connesse.Uno dei primi studi
scientifici sulla comunicazione può essere fatto risalire a Paul Watzlawick il quale,
all’interno del volume“La pragmatica della comunicazione umana” (1971), ha
concettualizzato i principi fondamentali della comunicazione, definendola come: “uno
scambio interattivo fra due o più partecipanti, dotato di intenzionalità reciproca e di un
certo livello di consapevolezza, in grado di far condividere un determinato significato
sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione 1 e di segnalazione (
rendere noto, segnalare, comunicare), secondo la cultura di riferimento”.
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Il significante è l’immagine acustica espressa nel suono (fonema) o nel segno grafico
(grafema); il significato è una rappresentazione semantica (idea) veicolata dal segno;
il referente dovrebbe essere l’oggetto concreto di cui il segno parla.
Il significante è l’immagine acustica espressa nel suono (fonema) o nel segno
grafico (grafema); il significato è una rappresentazione semantica (idea)
veicolata dal segno; il referente dovrebbe essere l’oggetto concreto di cui il segno
parla.
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Le diverse fasi della vita:Le teorie psicologiche sulla terza età
Le teorie psicologiche relative alla terza età possono essere distinte in due grandi filoni:
A-
Le teorie evolutive dell’arco di vita, che analizzano la vecchiaia in relazione
all’intero corso della vita, definendo tappe e compiti di sviluppo:
1. Teoria dello sviluppo della personalità di Erikson, 1997
2. La teoria degli stadi dello sviluppo di Schaie
3. La prospettiva dell’arco di vita di Baltes e Reese (1986), che più che una teoria è una
sorta di dichiarazione di intenti e di indirizzi di ricerca per lo studio dello sviluppo
lungo tutta la vita.
I modelli psicosociali di invecchiamento, che cercano di spiegare come i fattori
socioculturali influenzino il nostro modo di invecchiare:
1. Teoria del disimpegno di Cumming e Henry (1961)
2. Teoria dell’attività di Havighurst (1963)
3. Teoria della selezione, ottimizzazione e compensazione (SOC) di Baltes (1991)
Teoria psicosociale dello sviluppo della personalità di Erikson
Sviluppa la sua prospettiva mutuando un concetto dall’embriologia: parla infatti di
epigenesi per spiegare come, in un qualunque organismo, ci siano delle potenzialità che
attraverso le "esperienze di vita" regolano le interazioni.
L’individuo umano dipende sempre da tre processi fondamentali:
1. biologico che organizza i sistemi organici che fanno parte del corpo (soma);
2. psichico che organizza le esperienze dell’individuo attraverso una sintesi dell’Io
(psiche);
3. comunitario che dipende dalla cultura di appartenenza entro la quale avvengono le
interazioni tra gli individui.
Essa individua 8 fasi nello sviluppo della persona, ognuna caratterizzata dalla
contrapposizione fra due atteggiamenti o tendenze opposte che l’autore chiama tensioni
antitetiche e che costituiscono un conflitto o crisi.
Il conflitto o crisi viene superato con l’integrazione delle tendenze opposte che produce
una nuova forza psicosociale e una nuova qualità dell’individuo; la mancata
integrazione delle tensioni crea, al contrario, disagio, dolore, disadattamento e
regressione.
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Le tensioni antitetiche di ogni fase
Fase 1
Età Conflitto Esito 0-18 mesi
Il compito principale della prima infanzia consiste nell’acquisire un vantaggioso
equilibrio tra fiducia e sfiducia. “Il senso fondamentale di fiducia” consiste in una
fiducia fondamentale in altre persone, nonché un senso fondamentale di fiducia in se
stessi.”
Fase 2 (da 2 a 3 anni): autonomia/vergogna o dubbio Durante questa fase il bambino
apprende i controlli, le autonomie di base (controllo sfinterico, igiene personale,
motricità) ed acquisisce competenze linguistiche. Il superamento positivo di questo
stadio comporta l’acquisizione dell’autocontrollo e dello spirito di collaborazione, per
converso, le esperienze negative di questo periodo portano al senso di vergogna e di
inferiorità.
Terza e quarta fase Fase 3 (da 4 a 5 anni): spirito di iniziativa/senso di colpa Il bambino
esercita una volontà personale, non solo attraverso il dire e il fare, ma anche
sperimentando ruoli e portando avanti attività intraprese. Emerge il senso di sé con
emozioni autocoscienti come il senso di colpa. La non integrazione genera indifferenza,
altrimenti si forma la capacità di immaginazione e progetto. .
Fase 4 (da 6 anni alla pubertà): industriosità/inferiorità Il bambino ora vuole entrare a
far parte del mondo più vasto della conoscenza e del lavoro. “Io sono quello che
imparo”. Esperienze positive danno al bambino un senso di industriosità, un sentimento
di competenza e di padroneggiamento; al contrario il fallimento porta con sé un senso di
inadeguatezza e di inferiorità.
Quinta e sesta fase Fase 5 (adolescenza): identità/confusione di identità Il compito di
base dell’adolescente consiste nell’integrare le varie identificazioni che si porta
dall’infanzia per formare una identità più completa. La non integrazione comporta il
formarsi di una personalità frammentata e priva di nucleo che spinge alla ricerca
perenne di un punto di riferimento introvabile.
Fase 6 (prima età adulta): intimità/isolamento, nasce il bisogno di instaurare relazioni
personali intimi e durevoli. Se un giovane ha paura di perdersi in un altro, sarà incapace
di fondere la propria identità con quella di un altro. Se i tentativi verso l’intimità
compiuti in gioventù falliscono, la persona si ritira in isolamento. In questo caso, le
relazioni sociali sono stereotipate, fredde e vuote.
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Fase settima e ottava Fase 7(età adulta media): generatività /auto assorbimento Per
generatività si intende “l’interesse a fondare e guidare la generazione successiva”
attraverso l’allevamento dei figli o imprese creative o produttive. I prerequisiti per lo
sviluppo di questo stadio sono la fede nel futuro, il credere nella specie e la capacità di
curarsi. La mancanza di generatività si esprime con la stagnazione, l’auto assorbimento
e la preoccupazione esclusiva di sé.
Fase 8 (tarda età adulta): integrità dell’Io/disperazione L’integrità comporta
l’accettazione dei limiti della vita, il senso di far parte di una storia più ampia, che
comprende le generazioni precedenti, il senso di possedere la saggezza dei tempi, una
integrazione finale di tutti gli stadi precedenti. L’antitesi dell’integrità è la disperazione,
cioè il rimpianto per quanto si è fatto o quanto non si è fatto nella vita, la paura
dell’avvicinarsi della morte e il disgusto di se stessi.
LA TEORIA DI SCHAIE
La teoria di Schaie nasce dalla valutazione delle capacità cognitive dell’anziano,
individua stadi differenziati, strettamente legati ai ruoli sociali tipici dei diversi
momenti dell’arco della vita.
 Stadio dell’acquisizione (infanzia) Apprendimento del le abilità concrete
 Stadio del conseguimento (giovane) Autonomo funzionamento mentale e ruolo
sociale
 Stadio della responsabilizzazione (giovane età adulta) Impegno verso finalità a
lungo termine e verso le altre persone

Stadio direttivo (media età adulta) Integrare relazioni complesse in un sistema
gerarchico → maggior efficacia organizzativa, ma più rigidità
 Stadio della reintegrazione (età anziana) Complessità flessibilità cognitiva
diminuiscono per mancanza d’uso, ma aumenta la capacità di adattamento alle
perdite funzionali
TEORIA DELL’ATTIVITÀ HAVIGHURST
L’anziano ha le stesse caratteristiche delle persone di mezza età ,gli stessi bisogni
sociali e psicologici. L’idea di fondo è che l’ attività permette di esercitare le abilità, di
mantenere l’autostima e i rapporti sociali e che la soddisfazione personale e la serenità
nella terza età siano possibili solo se si mantiene un impegno in attività legate ai vecchi
ruoli o a nuovi ruoli altrettanto significativi.
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Si dà per scontato che l’anziano possieda risorse necessarie a ricercare e ricoprire ruoli
sociali , che sia in un buono stato di salute fisica e mentale, e che viva in un ambiente
sociale che offre risorse e opportunità.
LA TEORIA DI BALTES
La teoria di Baltes (1991) Muove dalla premessa che l’invecchiamento è un processo
complesso e differenziato che coinvolge diversi aspetti dell’individuo e che non può
essere affrontato con una prospettiva lineare ed omogenea; integra le due facce della
stessa medaglia: miglioramento e declino.
Modello Soc: Selezione, Ottimizzazione, Compensazione
a) il corso dell’invecchiamento è eterogeneo;
b) l’invecchiamento normale è diverso da quello patologico;
c) nell’invecchiamento molte capacità sono di riserva e possono essere sviluppate in
caso di necessità.;
d) con l’età i meccanismi fluidi della mente evidenziano un decadimento;
e) conoscenza e pratica cognitive arricchiscono la mente anziana e possono compensare
le perdite;
f) la bilancia tra guadagni e perdite con gli anni diventa meno positiva o decisamente
negativa; si intende contrastare l’idea “ingenua” secondo cui lo sviluppo umano
comporta sempre l’acquisizione di nuove capacità e mai la perdita; in altre parole
l’invecchiamento implica la capacità di accettare le nuove condizioni spesso
svantaggiose per l’individuo anziano.)
g) il Sé nell’invecchiamento costituisce un nucleo psichico forte e stabile, utile come
sistema di “coping” e di conservazione dell’integrità, quali ad esempio l’autostima, il
senso di controllo eventi di vita stressanti.
Adottando
una
prospettiva
positiva
sull’invecchiamento
questo
può
essere
padroneggiato dall’individuo e può conferire all’anziano nuove capacità ed abilità
incrementando notevolmente la qualità della sua vita.
In conclusione possiamo affermare che Selezione: indica la possibilità di concentrarsi
su quegli ambiti delle proprie conoscenze, competenze e attività che si vuole preservare
il più a lungo possibile e l’Ottimizzazione: consiste nell’esercitare le abilità e le
competenze attraverso le capacità di apprendimento residue.
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Analisi dei bisogni
L’analisi dei bisogni può fornire un’ottica nuova per inquadrare molte dinamiche
all’interno del percorso di una terapia di un gruppo. Poniamo quindi la nostra attenzione
su quello che avviene in occasione del primo incontro con un potenziale paziente che si
rivolge a noi per un generico tipo di aiuto psicologico.
Osserviamo, dall’esterno, i due protagonisti dell’incontro:
da una parte l’assistente
dall’altra il soggetto richiedente un aiuto non ancora ben definito.
Di ciascuno dei due possiamo indovinare quali siano le attitudini, gli interessi, le
motivazioni. L’assistente consolidata la sua professione
nel corso degli
anni, ha
potenziato le sue attitudini naturali, e gli interessi per raggiungere e realizzare il
progetto di lavoro.
Contemporaneamente, l’assistito , si interroga sulle possibilità che questo signore che
ha davanti possa corrispondere alle sue aspettative di guarigione, possa donargli quella
sicurezza di cui ha bisogno, lo sollevi da sofferenze.
Pertanto l’utente mette in gioco diversi elementi quali:
 Interessi
E’ animato da interessi vari tra cui quello di cambiare le condizioni del proprio stare,
forse meno quelle del proprio essere, pur tuttavia almeno a parole, concorda quasi su
tutto con l’assistente, riservandosi più o meno velatamente spazi di manovra personali.
 Soddisfacimenti
Nel corso del cammino successivo, ognuno dei due cercherà di rafforzare le proprie
posizioni alla ricerca di soddisfacimenti di bisogni che non sempre saranno tra di loro
complementari. L’assistente cercherà le conferme della propria spendibilità e quindi di
guarigione e di riuscita, e abilmente cercherà di agevolare e soddisfare i bisogni di
affiliazione dell’assistito, così da essere da lui preferito ad altri e amato
disinteressatamente (controdipendenza).
Nella prima fase, l’assistito vede prevalere in lui forti bisogni di dipendenza che gli
fanno vedere l’assistente come un genitore perfetto e onnipotente.
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Approccio al paziente bisognoso, disabile, disagiato: dal bambino all’anziano
Approccio definizione
• Approccio(approcher)
• Atto di avvicinarsi
• Tentativo di entrare in rapporto con una persona
• Primo contatto
• Cercare di entrare in contatto con una persona allo scopo di ottenere da essa un
determinato comportamento
Da il via alla interazione e sviluppa dei meccanismi interpersonali:
–
Contatto
–
Vicinanza
–
Entrare in relazione
–
Obiettivi
Approccio al paziente bisognoso
Il tipo di relazione non è simmetrica ma complementare one up ( dirige e consiglia)
one - down ( accetta ): Rapporto interpersonale di tipo professionale tra due persone
poste a livelli profondamente diversi: Da un lato c’è una RICHIESTA DI AIUTO
dall’altro c’è una PRESTAZIONE DI AIUTO
In psicologia il bisogno è la mancanza totale o parziale di uno o più elementi che
costituiscono il benessere della persona : Benessere fisico-mentale e sociale
LA PIRAMIDE DI MASLOW
gerarchia dei bisogni o necessità
1. AUTOREALIZZAZIONE
2. AUTOSTIMA
3. APPARTENENZA
4.
SICUREZZA
5. SOPRAVVIVENZA
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Gerarchia dei bisogni o necessità soggettiva
Autorealizzazione
tendenza dell’uomo a migliorarsi a diventare ciò che è capace
di diventare o sente di poter esprimere. Aspirazioni.
Autostima
Adeguatezza; padronanza competenza fiducia in se stesso;
soddisfazione personale,gratificazione
appartenenza
compagnia, relazioni d’affetto, amicizia, assunzione di un
ruolo a livello sociale
Sicurezza
Protezione, stabilità,certezze,tranquillità, liberazione da paure,
ansia preoccupazioni
Sopravvivenza
Sonno, fame, escursione termiche,riposo,salute
Gerarchia dei bisogni o necessità relazionali
Utenti
Autorealizzazione Sentirsi
Operatori
riconosciuto
per
la Sentire di fare qualcosa di
persona che è o che era. Dignità. importante; sentirsi parte di
Autostima
Rispetto. Riconoscimento.
qualcosa di importante
Padronanza, sfera
Gratificazione, ringraziamenti,
personale, autonomia
soddisfazione,
senso
del
lavoro, riconoscimento sociale
del ruolo
Appartenenza
Sicurezza
Relazioni
familiari,
amicizia, Buoni rapporti équipe.
affetto, perdita del ruolo sociale
Buoni rapporti con utenti
Routine, stabilità, liberazione da
Salario,contratto,
preoccupazioni
liberazione da conflitti,
tranquillità
Sopravvivenza
Salute, sonno,
Sonno, riposo, spazi
alimentazione
Personali
Sonno, riposo,
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LA DEPRESSIONE NELLA TERZA ETÀ
La depressione è molto comune negli anziani.
Nel nostro Paese si stima che circa il 20% degli anziani residenti presentano sintomi
depressivi clinicamente rilevanti, mentre tra quelli ricoverati in reparti ospedalieri la
percentuale sale a oltre il 30% e negli ospiti delle case di riposo sino al 45%, il restante
5% non presenta nessun sintomo
Tali differenze sono verosimilmente legate sia ai vissuti di perdita dell’individuo, che
abbandona i propri riferimenti storici (la casa, il lavoro, le relazioni significative), sia
alla maggior presenza di patologie fisiche e di disabilità
in coloro che vengono
ricoverati o istituzionalizzati.
Le cause
I fattori che incrementano il rischio di depressione in una persona anziana riguardano
aspetti esistenziali, sociali, psicologici e biologici, variamente intrecciati tra loro nei
singoli casi. I fattori più documentati sono il sesso femminile, essere celibi/nubili o
vedovi, la disabilità (ad es. per malattia), un lutto recente e l’isolamento sociale. Va
ricordato che gli anziani sono particolarmente esposti ad eventi di perdita, quali ad es. la
scomparsa di persone care, il pensionamento, la riduzione del ruolo sociale e delle
risorse economiche, ecc. Altre condizioni che predispongono un anziano alla
depressione possono essere la presenza continua di dolore fisico, l’abuso di alcool o una
storia personale o familiare di depressione. E infine l’assunzione di alcuni medicinali
(ad esempio cortisonici, alcuni antipertensivi o sedativi) può indurre l’insorgenza di un
quadro depressivo
Quali sono i sintomi?
I due sintomi fondamentali della depressione sono una tristezza persistente che duri da
due o più settimane e la perdita o diminuzione di interesse e piacere. Le attività
quotidiane risultano compromesse in modo variabile a seconda della gravità del quadro
depressivo. Altri segni importanti possono essere quelli di tipo fisico, quali alterazioni
dell’appetito e del peso corporeo, alterazioni del sonno, stanchezza. Frequente è la
presenza di ansia, inquietudine, talora agitazione. I pensieri sono spesso improntati alla
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perdita della speranza, al pessimismo, all’ inadeguatezza, talora a vissuti di colpa non
giustificati. L’anziano depresso, più del giovane, può sviluppare sintomi quali
irritabilità, ostilità o anche sospettosità, sino a veri e propri deliri di persecuzione (ad es.
di gelosia o riferito al furto di oggetti personali).
Altre espressioni depressive tipiche dell’età avanzata comprendono lamentele eccessive
circa la perdita di memoria o la presenza di dolori vaghi, diffusi, mutevoli nella sede e
nell’intensità, che vengono talora attribuiti a malattie inesistenti (ipocondria), mentre
altre volte si confondono con quelli di una patologia fisica reale. Infine, l’anziano
depresso può percepire la vita come non più meritevole di essere vissuta e, nei casi più
gravi, desiderare di porvi fine.
Quali sono le conseguenze ?
La depressione non trattata ha generalmente un impatto negativo diretto sulla salute
fisica delle persone che ne sono affette. Essa incrementa il rischio di sviluppare malattie
quali cardiopatie, stroke (ictus), neoplasie, demenze, ecc. e peggiora la prognosi delle
malattie fisiche già presenti. Alcuni studi condotti in case di soggiorno hanno
documentato come le persone anziane depresse hanno un incremento sostanziale di
mortalità per malattie fisiche rispetto ai coetanei non depressi.
Il vecchio depresso tende a sottovalutare la sua depressione e a non riferire
spontaneamente sintomi importanti, quali la diminuzione di interesse o di piacere in
tutte o quasi tutte le attività, richiamando invece l’attenzione del medico sul proprio
corpo sofferente, che viene quindi utilizzato quale “mediatore” della comunicazione del
disagio emotivo. La depressione senile è variamente influenzata dalla presenza di
deficit cognitivi (di memoria, attenzione, concentrazione, ecc.), che possono arrivare
fino a simulare un quadro clinico di demenza e che migliorano dopo trattamento con
farmaci antidepressivi.
I farmaci antidepressivi sono l’intervento di scelta nel caso di una depressione mediograve, da soli o in combinazione con una psicoterapia, mentre un intervento di supporto
psicologico o una psicoterapia possono essere indicati, da soli, nei casi di depressione
più lieve.
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Altro aiuto importante sono gli interventi di tipo psicologico possono risultare utili nei
casi di depressione conseguente, ad esempio, ad eventi esistenziali negativi e con aspetti
di disadattamento e sofferenza. I tipi di intervento vanno dal coinvolgimento in gruppi
di auto-aiuto ad un sostegno psicologico, ad una vera e propria psicoterapia. Raramente
il vecchio richiede spontaneamente un intervento psicologico, in quanto ha difficoltà a
riconoscere la propria sofferenza psichica e può vivere con vergogna (gli uomini più
delle donne) il rimandare ad un estraneo i suoi bisogni di accoglienza e di ascolto. Per
questa ragione la richiesta generalmente proviene da familiari o curanti, rendendo più
complessa la costituzione di un’ alleanza terapeutica.
L’approccio di tipo cognitivo, con opportuni adattamenti, si è dimostrato negli anziani
efficace come negli adulti giovani. Un’altra psicoterapia che ha evidenziato la sua
efficacia sia nella fase acuta della depressione che nella prevenzione delle ricadute è la
terapia interpersonale, che è focalizzata alla risoluzione di contrasti con persone
significative, al superamento di un lutto o alla ristrutturazione di rapporti sociali.
L'invecchiamento psicologico
La psicologia dell'invecchiamento si occupa dell'anziano nella sua globalità:
analogamente ad ogni fase della vita umana non si può prescindere dall'importanza della
componente affettiva che determina la modalità di risposta agli eventi della vita.
Si è visto che la vecchiaia è caratterizzata da modificazioni in senso peggiorativo, ma si
può affermare che non esiste un parallelismo fra le modificazioni delle funzioni in
individui diversi (eterocronia dal greco eteros=diverso e cronos=tempo).
La modalità di invecchiamento non può prescindere dalla personalità e dalle esperienze,
la vecchiaia rappresenta la sintesi del significato dell'esistenza: è nella vecchiaia che si
può raggiungere la saggezza.
Recenti ricerche hanno evidenziato la possibilità di sviluppare situazioni creative
proprio nella vecchiaia ; studi condotti con modalità diverse hanno dato risultati diversi
rispetto al passato: l'anziano può mantenere la sua efficienza psichica globale se sfrutta
le risorse residue, ad esempio mediante l'allenamento mentale, e se motivato.
La Percezione e i cinque sensi
Nell’anziano la percezione è la capacità di raccogliere le informazioni esterne attraverso
i canali sensoriali. E' quindi legata a due fattori: l'integrazione delle informazioni che
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avviene a livello del sistema nervoso centrale e l'assimilazione legata ai sensi (sistema
nervoso periferico).
La vista e l'udito sono spesso ridotte e influenzano negativamente la capacità percettiva
e quindi il cervello cerca di compensare la difficoltà percettiva legata ad una perdita
sensoriale stimolando i sensi rimasti integri. Con l'avanzare degli anni si affina la
capacità di rispondere alla diminuzione di alcune funzioni psicofisiche utilizzando le
conoscenze e le esperienze apprese nella vita. E' stato dimostrato che l'attività percettiva
migliora se migliorano le condizioni in cui si svolge la stessa: l'ambiente esterno (la
società, ma soprattutto il gruppo familiare) può stimolare l'interesse, dare spazio di
espressione, non negare le possibili potenzialità dell'anziano.
La comunicazione , e quindi le relazioni interpersonali che permettono una vita sociale,
dipendono dalla possibilità di percezione. E' noto che l'anziano mantiene integra la
memoria attraverso l’input che deriva dalla motivazione, spinta propulsiva
fondamentale del comportamento, insostituibile strumento di apprendimento. Persino
l'utilizzo del computer, strumento estraneo alla cultura dell'anziano, può essere appreso
qualora l'anziano sia motivato a farlo.
Il pensiero e il linguaggio possono essere conservati, ma per mantenere l'interazione con
l'ambiente esterno, l'anziano deve essere in grado di comunicare. Perché ciò avvenga
non si può prescindere dall'importanza dell'affettività , del riconoscimento del suo
valore all'interno del nucleo sociale in cui vive. Gli affetti giocano un ruolo essenziale
nell'agire quotidiano, insieme alla creatività, importante per mantenere vive le funzioni
cerebrali, e impedire che si sviluppi la demenza
LA SOLITUDINE e L’EMARGINAZIONE NELL’ETA’ SENILE
La solitudine degli anziani sta diventando una piaga sociale della quale dobbiamo
prendere piena coscienza e responsabilità.
Essa non solo compromette inevitabilmente lo stato di salute generale ma incide sul
tasso di mortalità prematura fino al 14% in più rispetto a coetanei non abbandonati a
loro stessi.
La solitudine infatti, oltre ad accentuare i già evidenti e prevedibili problemi di salute
legati alla normale decadenza senile, come la perdita di vista ed udito, porta
inesorabilmente ad una condizione emotiva e fisica più difficile da controllare. Aumento
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sensibile della pressione sanguigna, alti tassi di cortisolo che altro non è che l’ormone
dello stress, sintomi depressivi e disturbi al sonno.
Tutte queste sollecitazioni nocive non fanno altro che intaccare il corretto
funzionamento del sistema immunitario dell’anziano, andando a modificarne il corretto
funzionamento delle cellule di difesa.
Non c’è da dimenticare che uno stato di prolungata solitudine rischia oltretutto di
alimentare senza controllo, il nascere di una insidiosa e maligna condizione psicologica:
la depressione.
Ci sono vari modi per ovviare al problema della solitudine degli anziani: Coinvolgerli
nelle attività e nelle uscite famigliari; condividere con loro esperienze, tempo libero e
viaggi insieme; formare nuove amicizie e nuove passioni alle quali dedicare le
inevitabili ore da trascorrere durante la giornata.
Un anziano attivo, partecipe, mentalmente occupato e costantemente sollecitato nei
rapporti umani, sarà una persona più protetta e tutelata nel futuro.
STRUTTURE RICREATIVE DI AGGREGAZIONE per ANZIANI
Centri diurni
I centri diurni per anziani nascono negli anni 70, come luoghi di socializzazione e di
incontro. L’input per la loro creazione viene fornita dalla crescente richiesta di
pensionati e anziani stessi, che con l’iniziativa dei comuni, ottengono la nascita di una
struttura che possa farli stare in compagnia e possa impegnare il loro tempo.
Col passare del tempo hanno raggiunto una notevole diffusione e riescono a coprire
l’intero territorio italiano, ha un carattere prettamente sociale, opera senza fini di lucro e
ha anche il compito di favorire, arricchire e sviluppare le relazioni interpersonali tra gli
anziani. Grazie alla molteplice varietà di iniziative, possono favorire inoltre il benessere
psicofisico delle persone anziane e contrastare le condizioni di
isolamento
ed emarginazione. Siti in strutture messe a disposizione dai comuni e possono iscriversi
di norma, tutti i cittadini che hanno superato i 55 anni di età ed i pensionati e gli invalidi
anche se di età inferiore.
Le attività proposte agli utenti sono varie e differenti e rivestono l’impegno sociale,
ricreativo, culturali, associative, e infine di interesse interno e/o esterno al centro.
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Centri notturni
il sito è costituito daun edificio o parte di un edificio, comunque denominato, all’interno
di una casa di riposo, che offre una struttura di accoglienza durante la notte a persone
anziane che, pur vivendo al proprio domicilio, necessitano di un monitoraggio notturno,
di assistenza e di cure sanitarie che non possono essere loro garantiti in modo
continuativo dai familiari».
LA GERIATRIA
La geriatria (dal greco γέρων, "vecchio, anziano" e ἰατρεία, "cura") è una disciplina
medica che studia le malattie che si verificano nell'anziano, e le loro conseguenze
disabilitanti, con l'obiettivo fondamentale di ritardare il declino funzionale e mentale,
mantenendo al contempo l'autosufficienza e la miglior qualità di vita possibile.
La disciplina "Geriatria e Gerontologia" si è progressivamente affermata a livello
accademico e sanitario per affrontare due problemi oggettivi: uno demografico,
rappresentato dal progressiva aumento della vita media della popolazione, ed uno
epidemiologico, cioè l'aumento delle malattie croniche degenerative e della conseguente
disabilità, più o meno rilevante.
In Italia il 50% delle giornate di degenza è per le persone con più di 65 anni; uno dei
principali obiettivi è quindi quello di operare in collegamento con la medicina
territoriale per realizzare la "continuità assistenziale. Il processo curativo assistenziale
della persona anziana si basa sulla valutazione dei diversi componenti che concorrono
allo stato di salute e di benessere dell'anziano, e cioè i versanti biologico, psicologico e
sociale. Esso attua un rapporto interdisciplinare,in particolare di infermiere, assistente
sociale, riabilitatore, geriatra, e medico di famiglia, con l’obbiettivo di promuovere gli
interventi, anche preventivi oltre che curativi, per assicurare la migliore cura-assistenza
all'anziano, e tenendo sempre presente l'obiettivo primario rappresentato dalla
conservazione della autosufficienza e di una buona qualità di vita. Già da allora si
parlava di "anziano fragile", portatore di problemi complessi da gestire in maniera
integrata.
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Il Servizio Sanitario Nazionale e la geriatria
Nel 1994 il Piano Sanitario Nazionale finalmente prendeva iniziative per il crescente
numero di anziani. Esso conteneva riferimenti importanti nel Progetto Obiettivo
Anziani: "gli anziani ammalati, compresi quelli colpiti da cronicità e da non
autosufficienza, devono essere curati senza limiti di durata nelle sedi più opportune,
ricordando che la valorizzazione del domicilio come luogo primario delle cure
costituisce non solo una scelta umanamente significativa, ma soprattutto una modalità
terapeutica spesso irrinunciabile" , a tal proposito è istituita l'Unità di valutazione
geriatrica (UVG); si potenziano servizi come il Day Hospital e l'assistenza domiciliare
anche integrata - compresa l'ospedalizzazione a domicilio e le prestazioni riabilitative prevedendo in casi specifici l'assegno di cura per mantenere l'anziano in famiglia; si
pone inoltre attenzione alla qualità delle strutture a varia tipologia che accolgono gli
anziani con maggior grado di disabilità e con maggior numero di patologie.
La geriatria ha come obiettivo fondamentale la continuità delle cure e dell'assistenza,
che si realizza assicurando uniformità dei trattamenti nei diversi setting curativi, e
tenendone presente i relativi costi e le evidenze di efficacia. Nella pratica giornaliera le
cure intermedie sono rappresentate da strutture prevalentemente extraospedaliere, come
le residenze per gli anziani e l'assistenza La geriatria attua il coinvolgimento del
paziente e della sua famiglia con l'obiettivo di fornire le cure migliori; la verifica dei
risultati diventa un momento fondamentale. Il Medico geriatra dovrebbe fornire in
modo chiaro un piano di azione da verificare con continuità nel tempo, con l'aiuto di un
team qualificato. I maggiori problemi attuali rimangono i tempi di attesa, non
compatibili con l'efficienza delle continuità delle cure.
I DISTURBI DEL LINGUAGGIO NELL’ADULTO
Il linguaggio è una manifestazione nobile e peculiare del genere umano, indispensabile
alla comunicazione, tanto da caratterizzarla nella sua peculiarità. Diceva Bertrand
Russel: “la lingua è un mezzo per esternare e rendere pubbliche le nostre esperienze. Un
cane non può riferire la propria autobiografia, indipendentemente da quanto
eloquentemente sappia abbaiare, non può dirvi che i suoi genitori erano poveri ma
onesti”.
Proprio qui risiede la differenza tra capacità linguistica e capacità
comunicativa. Essendo quindi essenziale alla nostra specie l’abilità comunicativa
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proveniente dal pensiero, da questo si comprende come è delicatissima la sfera del
linguaggio, ovviamente inteso nel senso del lògos greco, e pertanto in linea
indispensabile alla vita di relazione, fortemente compromessa, se sussiste un grave
deficit o ritardo del linguaggio.
Uno dei disturbi più frequenti nell’adulto è l’afasia, classicamente divisa nelle due
sindromi principali a seconda delle aree interessate : motoria o sensitiva).
L’afasia motoria è caratterizzata da buona comprensione, ma con eloquio spontaneo non
fluente, in presenza di emiplegia destra e paralisi facciale. Quella sensitiva è invece
caratterizzata da cattiva comprensione con eloquio spontaneo fluente, ma con errori fino
alla totale incomprensibilità, in assenza di paralisi.
Per afasia s’intende la perdita parziale o totale di una o più abilità comunicative già
strutturate di tipo linguistico o non linguistico a seguito di una lesione organica delle
strutture cerebrali, ad eziologia vascolare, degenerativa, traumatica o neoplastica, infatti
una ischemia cerebrale può causare , oltre all’afasia, la disfagia che ha per risultato un
alterato controllo.
Balbuzie
Consiste in un disordine del ritmo della parola e rappresenta un vero e proprio handicap
per chi ne è affetto, che compromette la normale vita di relazione.
Interessa tre fattori ben definiti: ripetizione di parti o di parole intere, prolungamento di
suoni, pause prolungate (disturbo della fluenza del linguaggio o disfemia) – valutazione
di indesiderabilità, anormalità e inaccettabilità (reazione degli ascoltatori) – soggetto
che balbetta, riconoscendosi balbuziente (reazione del soggetto) che concorrono a
ridurre drasticamente la qualità della vita.
Disartria
Per disartria s’intende la compromissione dell’espressione verbale e fonatoria, quelli
che riguardano l’adulto sono caratterizzati da malattie degenerative e vascolari del
sistema nervoso centrale, il Parkinson nell’anziano .La sintomatologia fonoarticolatoria
è legata alle modificazioni patologiche determinate dalla malattia di base. A secondo il
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tipo di disartria la voce si può presentare in diversi modi: rauca, l’articolazione dei
fonemi è rallentata e imprecisa , può presentare dei tremori, strozzata e ad intermittenza.
LA RIEDUCAZIONE DEI DISTURBI DEL LINGUAGGIO
La rieducazione dei disturbi del linguaggio è legata alla rieducazione dei disturbi della
comunicazione pertanto bisogna tener conto di svariati fattori, in apparenza di poco
conto, ma indispensabili per il recupero soddisfacente del paziente. Un primo luogo
comune da sfatare è quello che la rieducazione del linguaggio sia compito di una sola
figura professionale (logopedista), mentre l’esperienza insegna che solo un intervento di
tipo multidisciplinare esteso a tutti gli ambiti propri del soggetto da trattare (famiglia,
scuola, lavoro) è capace di garantire i migliori risultati. Dopo la diagnosi circostanziata
preventiva, infatti, le tecniche logopediche devono essere adeguate al singolo caso .
LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE
La comunicazione interpersonale è costituita dall'insieme dei fenomeni che veicolano lo
scambio di informazioni tra due o più persone sia attraverso il linguaggio verbale sia
quello corporeo.
Componenti della comunicazione
I fattori della comunicazione sono determinanti nella genesi e nella percezione della
comunicazione:
 mittente
 ricevente
 messaggi
 il codice del messaggio
 Il contesto in cui si svolge la comunicazione
 il canale comunicativo
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Modelli di comunicazione interpersonale
Paul Watzlawick e colleghi (1967) hanno introdotto una differenza di fondamentale
importanza nello studio della comunicazione umana: ogni processo comunicativo tra
esseri umani possiede due dimensioni distinte: da un lato il contenuto, ciò che le parole
dicono, dall'altro la relazione, ovvero quello che i parlanti lasciano intendere, a livello
verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che intercorre tra loro.
In epoca recente (1981), lo psicologo Friedemann Schulz von Thun, dell'Università di
Amburgo, ha proposto un modello di comunicazione interpersonale che distingue
quattro dimensioni diverse, nel cosiddetto "quadrato della comunicazione":
Contenuto: di che cosa si tratta? (lato blu del quadrato, in alto).
Relazione: come definisce il rapporto con te, che cosa ti fa capire di pensare di te, colui
che parla? (lato giallo, in basso).
Rivelazione di sé: ogni volta che qualcuno si esprime rivela, consapevolmente o meno,
qualcosa di sé (lato verde, a sinistra).
Appello: che effetti vuole ottenere chi parla? Ciò che il parlante chiede, esplicitamente o
implicitamente, alla controparte di fare, dire, pensare, sentire. (lato rosso, a destra).
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Queste quattro dimensioni si possono tenere presenti sia nel formulare messaggi che
nell'ascolto e nell'interpretazione dei messaggi di altri. In questo secondo caso la
"scuola di Amburgo" parla delle "quattro orecchie" (corrispondenti ai "quattro lati
del quadrato della comunicazione") su cui ci si può sintonizzare.
La comunicazione interpersonale, che coinvolge più persone, è basata su una
relazione in cui gli interlocutori si influenzano vicendevolmente come in un circolo
vizioso.
La comunicazione interpersonale si suddivide a sua volta in tre parti:
La comunicazione verbale, che avviene attraverso l'uso del linguaggio, sia scritto
che orale, e che dipende da precise regole sintattiche e grammaticali.
La comunicazione non verbale, la quale invece avviene senza l'uso delle parole, ma
attraverso canali diversificati, quali mimiche facciali, sguardi, gesti, posture.
La comunicazione para verbale, che riguarda in ultima analisi nella voce. Ossia nel
tono, nel volume e nel ritmo. Ma anche nelle pause e in altre espressioni sonore
quali lo schiarirsi la voce ad esempio, o il giocherellare con qualsiasi cosa capiti a
tiro di mano.
LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE NELL’ETÀ SENILE
Linguaggio: il linguaggio verbale presenta nell’invecchiamento modificazioni
relativamente limitate.Molti anziani riferiscono difficoltà a recuperare nomi nel
corso della conversazione e in particolare quelli di persone note e di familiari. Tale
fenomeno viene chiamato anomia. I diversi studi svolti sulle capacità lessicali
nell’invecchiamento riportano risultati relativamente divergenti, alcuni hanno
evidenziato un progressivo disturbo della capacità di recupero lessicale. Tale deficit
si accompagna spesso a un fenomeno che viene detto della “punta della lingua”, per
cui nonostante l’anomia, la persona è capace di riferire alcune informazioni sulla
parola che non è in grado di recuperare, come il numero di sillabe, la sede
dell’accento, la lettera iniziale o la struttura morfologica.
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L’anomia della persona anziana coinvolgerebbe tanto la produzione di nomi che di
verbi e per quanto riguarda i nomi, tanto quelli propri (di persona, di luogo, ecc.)
che quelli di oggetti. Secondo altri studi l’efficienza a prove di denominazione per
confronto sarebbe del tutto conservata e le ridotte prestazioni eventualmente
evidenziate risulterebbero solo alla denominazione di figure e di fotografie - e non
di oggetti reali - e sarebbero da addebitare più a deficit di identificazione che di
recupero lessicale.
Le capacità fonologiche paiono invariate rispetto a quelle di persone più giovani.
Pur con qualche discordanza, tale stabilità è confermata anche per le capacità
lessicali e semantico-lessicali: la riduzione pare determinata da un rallentamento di
scansione più che da un deficitario accesso alle corrispondenti capacità semanticolessicali. Le capacità sintattiche sono a loro volta sostanzialmente stabili, e la loro
apparente riduzione è eventualmente da addebitare ad una diminuita capacità di
memoria a breve termine.
Le modificazioni del contenuto informativo riferite da alcuni studi sembrano
spiegarsi più con l’insorgenza di modificazioni di ordine sociale e comportamentale
che non primitivamente linguistico.
I dati relativi all’invecchiamento della percezione visiva ed acustica e del
linguaggio, consentono di affermare che in età avanzata la comunicazione verbale
mediante parole pronunciate e scritte, può essere difficoltosa, ma relativamente
conservata. L’anziano può fisiologicamente continuare a comunicare e se non lo fa è
perché viene isolato ed emarginato. A parte gli interventi protesici che devono
essere messi a disposizione di tutti i vecchi che ne necessitano, è fondamentale che
le persone anziane siano poste in condizioni di comunicare, facilitate da modalità
che permettano la comprensione dei messaggi, in un contesto interattivo che
conferisca significato alla comunicazione.
Nella nostra cultura, quando si parla di comunicazione, si pensa alla comunicazione
verbale, organizzata in parole e suoni. In effetti nella vita quotidiana appaiono
rilevanti altre forme di comunicazione, un sistema complesso, nel quale le
dimensioni verbali e non verbali si compenetrano.
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Un particolare rilievo assume in età senile la comunicazione non verbale: l’anziano
funge sia da emittente che da ricevente delle informazioni. I messaggi espressi
attraverso la mimica, la postura, gli atteggiamenti, assumono spesso un significato
di rilievo,perché possono sostituire quelli trasmessi verbalmente, ribadirli o
contraddirli, fornendo così una serie di elementi conoscitivi.
Si distingue il non verbale linguistico (intonazione della voce, ritmo e velocità,
accenti, timbro della voce); il linguistico non verbale, come nella comunicazione
gestuale, dove i gesti non hanno significato in sé, ma indicano altro (linguaggio dei
sordomuti, i gesti di un vigile o di chi gioca in borsa).
Il non verbale extralinguistico dove gli atti comunicativi non verbali si sostanziano:
nelle caratteristiche fisiche (identità dell’emittente), sia naturali (lineamenti, colore
della pelle o degli occhi), sia artefatte (taglio dei capelli, trucco); nella postura; nei
movimenti del corpo; nella mimica facciale; nei fenomeni paralinguistici (riso,
pianto, sbadiglio, pause, silenzi); nella gestualità che accompagna, rafforza,
completa o contraddice il contenuto verbale.
Nell’anziano l’espressione mimica molto spesso comunica qualcosa di più profondo
e sostanziale, di quanto le parole possono significare: è necessario osservare e
cogliere questi messaggi, che talvolta rappresentano un segnale di allarme e una
richiesta di aiuto.
Una peculiare comunicazione non verbale è quella “fisica”, che avviene per
contatto. È sufficiente pensare alla semplice e comunissima stretta di mano, ai modi
diversi che le persone hanno di salutarsi o di presentarsi, alle informazioni che la
stretta di mano ci può suggerire. Il contatto fisico rimanda alla corporeità e questa
alla sessualità, oppure rievoca atteggiamenti invasivi, irriguardosi, aggressivi, o
ancora può esprimere tenerezza, calore, affetto. Occorrono accortezza e rispetto
nella comunicazione fisica con l’anziano, specie se alterato emotivamente. Si
possono trasmettere involontariamente contenuti che disturbano, che infastidiscono,
soprattutto quando il messaggio viene interpretato come aggressivo, invasivo.
La comunicazione non verbale trasmette l’affettività nascosta, la più profonda e la
più intima. Il proprio modo di essere e di sentire non si nasconde completamente
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nella relazione con l’altro, traspare ad una lettura attenta nella comunicazione non
verbale. La persona sofferente sul piano psichico, sa cogliere con prontezza il tipo e
la qualità del messaggio comunicativo non verbale, sa individuare puntualmente
l’autenticità degli atteggiamenti positivi e negativi, sa discernere con straordinaria
acutezza la dissintonia fra le parole dette e le modalità comportamentali.
Maggiore è lo stato di sofferenza, più elevata è la capacità di percepire messaggi
ambigui e distonici. Purtroppo sono molto radicati i pregiudizi riguardo a persone
che si ritengono erroneamente incapaci di capire e di pensare. Si assiste
frequentemente a comportamenti di giovani e adulti che riflettono la convinzione
che il bambino, il disabile psicofisico, il malato mentale, l’anziano, non siano in
grado di capire, di amare, di soffrire.
L’espressione emotiva, verbale della sofferenza allevia spesso il peso degli affanni,
solleva gli umori, favorisce un percorso di elaborazione e può evitare complicazioni
irreversibili. «Date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore e gli
dice di spezzarsi», scriveva William Shakespeare, preannunciando la condizione
patologica che sarà denominata alessitimia. Taluni comportamenti di indifferenza e
di negazione complicano e aggravano una situazione già precaria. Ancora più
incomprensibili i pregiudizi sui bambini e sugli anziani in quanto tali.
Talvolta la persona anziana può incontrare difficoltà nella comunicazione
interpersonale, può manifestare titubanza e perplessità specie con persone molto più
giovani. Può nascere l’idea, per certi versi legittima, di non essere compreso. Un
atteggiamento di accoglienza, di rispetto e di fiducia da parte dell’interlocutore può
sciogliere dubbi e resistenze.
Comunicazione e pregiudizi
La comunicazione con l’anziano spesso risente dei pregiudizi di una cultura
dominante impostata sull’efficientismo e sull’apparenza. Non infrequentemente al
vecchio si attribuiscono immagini distorte, si rimarca l’eventuale presenza di taluni
tratti del carattere o peculiari atteggiamenti per generalizzare e interpretare in chiave
negativa il mondo dell’età senile. Alcuni comportamenti o caratteristiche individuali
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si osservano in molte persone, in ogni fase della vita, non sono specifici di una
determinata età e tanto meno della vecchiaia.
Sosteneva Cicerone: «La colpa sta nel carattere, non nell’età, mentre la scontrosità e
la durezza di carattere sono fastidiose ad ogni età». Numerosi sono i pregiudizi nei
confronti degli anziani; uno dei più diffusi li definisce come involuti e decadenti,
dimenticando i molti vecchi che sono o sono stati particolarmente attivi sul piano
creativo in ogni ambito artistico e professionale. La coercizione del pregiudizio
investe un’ampia popolazione di anziani; più o meno inconsapevolmente si ritiene
ancora, in vari settori della vita sociale, che essi siano inutili, improduttivi, ripetitivi,
malati, depressi, passivi, superati, inariditi di idee, sentimenti, interessi e desideri.
Vecchiaia e malattia costituiscono un antico, preconcetto binomio. La riduzione del
margine di sicurezza, la fragilità, l’aumentata vulnerabilità agli agenti patogeni
nell’anziano continuano a nutrire la pregiudiziale concezione della vecchiaia come
inevitabile condizione di malattia.
Talora il personale sanitario posto di fronte a disturbi che si protraggono nel tempo
tende ad individuare nell’età il solo fattore eziologico e lo comunica al paziente
anziano. Si racconta di una donna scozzese di età avanzata che lamentandosi con il
proprio medico della sofferenza derivata da una gonartrosi e ottenuto il tradizionale,
laconico e risolutivo responso: «Sa, alla sua età», abbia replicato: «ma l’altro
ginocchio, quello sano, non ha forse la medesima età del malato?». Considerare i
sintomi presentati in vecchiaia come mera conseguenza degli anni trascorsi significa
eludere altre possibili interpretazioni del disagio somatico, tralasciare pportunità di
valutazione della sofferenza fisica e psicologica.
Spesso l’anziano percepisce la malattia come intrinseca al proprio corpo che
invecchia, non provocata da un fattore esterno, contro il quale mobilitare ogni
energia per un rapido ripristino della condizione di benessere, ma come espressione
di un organismo logorato. È il proprio corpo che invecchiando produce e si fa
malattia.
Nella comunicazione si impiegano spesso espressioni, vocaboli, sigle, abbreviazioni
che costituiscono un linguaggio a volte tecnicizzato. . Spesso il vecchio necessita di
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spiegazioni semplici, misurate, di parole che chiariscano un concetto, una metafora,
un’accezione linguistica moderna. L’ascolto di espressioni criptiche spesso provoca
disorientamento e scoramento in lui. È necessario modulare appropriatamente la
comunicazione verso chi la riceve.
L’anziano, che non sempre possiede conoscenze specifiche, non aspira a parlare un
linguaggio tecnico, ma ha bisogno che ci si rapporti al suo modo di comunicare, non
pretende informazioni e nozioni specialistiche, ma è per lui necessario aver fiducia,
sentirsi ascoltato, tutelato nei suoi diritti, rispettato nella sua dignità, sostenuto
nell’eventuale declino delle proprie energie vitali.
L’uso non appropriato rischia di costituire un intralcio nella comunicazione con
l’anziano, di inficiare un rapporto di fiducia essenziale ad una approfondita,
reciproca comprensione. L’abbandono del linguaggio specialistico può favorire il
consolidamento e lo sviluppo di un sapere umano che valorizza il significato della
relazione e qualifica la validità della comunicazione con l’anziano.
Interazione e comunicazione
Il mondo moderno ha ampliato le conoscenze tecnologiche ed ha sviluppato i mezzi
di comunicazione. Il linguaggio parlato esprime il proprio modo di pensare e sentire,
la storia individuale e collettiva, caratterizza il significato di una relazione.
L’anziano è testimone di una propria cultura, di un percorso di esperienze, di ricordi,
di un senso narrativo che si riflettono anche nelle modalità comunicative.
Non si comunica solo con il linguaggio verbale, ma anche attraverso le proprie
modalità comportamentali. Gli studi sulla comunicazione non-verbale pongono
l’accento sulla mimica, lo sguardo, la gestualità, gli atteggiamenti e hanno
dimostrato come esista la possibilità di trasmettere messaggi discordanti con
l’espressione verbale. Scriveva Nietzsche: «Si può mentire con la bocca, ma con
l’espressione che si ha in quel momento si dice pur sempre la verità».
L’anziano, soprattutto nelle situazioni di disagio, sa cogliere con particolare
sensibilità gli atteggiamenti delle persone con le quali interagisce. Il comportamento
riflette in genere il proprio modo di essere, di concepire la vita, le idee personali
sulla vecchiaia e sui vecchi, il senso del loro esistere. Spesso pensieri ed affetti,
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seppur non consapevoli, orientano le modalità di accostamento e caratterizzano la
comunicazione non-verbale.
L’incontro, il rapporto continuativo con l’anziano si inserisce e si sviluppa nella
storia dell’uno e dell’altro i componenti della relazione ed in quella che insieme
disegnano. La comunicazione non prescinde dai significati che acquista per
l’anziano e i suoi interlocutori e che sono strettamente congiunti all’esperienza di
ognuno. Un vecchio può ricordare una persona già conosciuta, un familiare, un
amico: spesso affiorano sentimenti, pensieri, vissuti legati anche ad antichi ricordi
che possono arricchire od interferire nella relazione. Anche un familiare, un
volontario, un operatore possono rievocare nell’anziano immagini e volti più o
meno conosciuti e la relazione può proporsi ed avviarsi mediante precostituite
modalità che si riflettono prevalentemente nella comunicazione non-verbale.
Non solo è di indubbia importanza che si sappiano trasmettere il più correttamente
possibile le informazioni ed i messaggi che si ritengono opportuni, e si possa
ripensare al proprio modo di comunicare, ma riveste particolare rilievo l’attenzione
alla comunicazione fornita dall’anziano.
L’ascolto e l’anziano
Spesso, per varie ragioni, i tempi relazionali dei conviventi appaiono contratti e
rischiano di inficiare la qualità del rapporto. Ogni vecchio ha l’esigenza legittima di
essere ascoltato, di esprimere il proprio vissuto riguardo alle sue preoccupazioni,
desideri e aspettative. L’ascolto attento ed esperto diventa uno strumento relazionale
di insostituibile utilità ed aiuta a costruire e formulare le comunicazioni più
appropriate. Ascoltare l’anziano significa inevitabilmente sapersi ascoltare, un
atteggiamento sempre più raro nella società dei consumi e dei rumori. Il silenzio è la
fondamentale premessa all’intimità di un ascolto empatico. Soprattutto l’anziano in
difficoltà necessita di sguardi che si soffermino, di parole misurate, di atteggiamenti
di paziente attesa, di accettazione delle espressioni emotive.
La comunicazione con l’anziano sofferente richiede requisiti essenziali come il
rispetto e la conoscenza personale; essi rappresentano i binari entro i quali ciascun
processo comunicativo si fa diverso da un altro, differente per ogni persona, poiché
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mutevoli sono la storia e le prospettive di ognuno. Il rispetto conferisce uguale
dignità e reciprocità nella comunicazione.
Comunicare non è solo informare, ma significa fondamentalmente interagire,
favorire e costruire una relazione. Attraverso la sensibilità del rapporto e del suo
sviluppo si modulano le informazioni e si orienta la comunicazione mediante il
contributo e l’atteggiamento dei suoi interpreti.
La qualità, la densità e il significato di una specifica relazione definiscono
progressivamente le modalità, il valore, l’adeguatezza, il momento, la riservatezza
delle comunicazioni che si sanno trasmettere e ricevere.
Più ampia e profonda è la conoscenza dell’anziano, più chiara è la comprensione del
suo problema esistenziale, maggiori sono le probabilità di una comunicazione
valida, efficace che può avvenire solamente in una relazione caratterizzata da
sentimenti di fiducia e solidarietà.
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