La mia vita è un film antimafia

Transcript

La mia vita è un film antimafia
STORIE DI UOMINI
Agata Finocchiaro
Foto di Davide Inastasi
“ Io – dice Mario
Caniglia, con la voce
concitata e lo sguardo
risoluto – sono un
mattone che è uscito
fuori dal muro, il
muro di omertà che è
intorno a noi. Se dopo
di me, come me, cadono altri mattoni, quel
muro si rompe e la
mafia non esiste più”.
La mia vita
è un film antimafia
“La mia storia sembra un film dimafia. Io e la mia
famiglia, assieme a Carabinieri e Polizia, siamo stati
gli attori principali di questa pellicola”. Con queste
parole Mario Caniglia, l’imprenditore agricolo di
Scordia che non si è piegato al ricatto della mafia e
ha fatto arrestare i suoi estortori, inizia a raccontare
la propria esperienza nella lotta al racket del pizzo.
Nel 1998, di fronte alla richiesta di una tangente di
cinquecento milioni di lire, Caniglia non solo ha
denunciato le minacce subite, ma ha aiutatoi militari dell’Arma nelle indagini. Con l’ausilio di microspieè riuscito ad incastrarealcuni elementi di spicco
della criminalità organizzata ed ha testimoniato nel
processo a loro carico.
Oggi “il contadino, imprenditore per necessità”
(comeama autodefinirsi) racconta lasua storia non
piùnelleaule di untribunale, davantia magistratied
avvocati, ma davanti a centinaia di studenti eprofessori. Per tre mesi, da marzo a maggio, si sonosvolti
dieciincontri in altrettanti istituti superiori della provincia etnea, che hanno aderitoal progetto “Lezioni
di legalità” voluto dalla Giunta Lombardoeorganizzato dall’assessoreprovincialeallePolitiche scolastiche, Maria Barbanti, edalla dirigente Nuccia Ragno
per promuovere i valoridella giustizia edel diritto.
Assieme a Caniglia ci sono sempre i suoi “angeli
custodi”. Così l’imprenditore di Scordia definisce gli
uominidella scorta che lo seguono ovunquedalgiorno incui,dopo l’arrestodeisuoi estortori, il 2febbraio
1999, egli ha rifiutato il programma di protezione
offerto dallo Stato che avrebbe comportato una
nuova vita, una nuova identità per rompere con il
passatoe non chiamarsi più Mario Caniglia.
“Se tutte lepersonechedenunciano il racketdel pizzo
vanno via dalla Sicilia – dice Caniglia – in questa
terra restanosolo i mafiosi.Iosonorimasto a Scordia
perché nonavevo fatto nulla di maleenonvolevo che
i miei nipoti vivesserocomeesiliati. Ho scelto di non
rinunciare al mio nome, al mio passato, all’azienda
che avevo costruito con tanti sacrifici ed ho chiesto
allo Stato di proteggermi nel miopaese, alla luce del
sole, piuttosto che nell’anonimato.
Oggi io sono un uomo libero - prosegue Caniglia perché non ho ceduto al ricatto, non sono sceso a
compromessi, non ho perso la mia dignità. Fare un
accordocon la mafia è come fareun patto conil diavolo, non siferma fino a quando non ti strappa l’anima: prima ti toglie la serenità,poii soldi e alla fine
l’azienda.
Purtroppo molti imprenditori hannopaura a denunciare epagano il pizzoper timoredi subire ritorsioni,
non comprendono che la cosiddetta “assicurazione”
che ti offre la mafia, cioè la garanzia che nessuno
toccherà i tuoi beni, te la offre anche lo Stato con la
legge n. 44del 1999, che prevede il risarcimento dei
danni al commerciantechehadenunciatol’estorsione.
Altri imprenditori, invece, per non cadere nel mirino
della criminalità organizzata rinunciano a far crescere la propria azienda, non investonoe non creano
nuovi posti di lavoro. Ciò contribuisce a non far
decollare l’economia siciliana”.
Mario Caniglia, 57 anni,ha lasciato la scuola dopo le
elementari per lavorarenei campi con il padre, ha le
mani segnate dalla fatica e il volto apparentemente
sereno, nonsistanca di ripetereche“la mafia non si
combatte con icarri armati, ma con la cultura”, che
“la mafia non è invincibile perché la sua arma
miglioreè ilnostro silenzio”.
“Prima di conoscere i mafiosi – racconta ancora
Caniglia – credevo che fossero dei “superman”, degli
uominicapaci di tutto; adesso, dopo averli guardati
in faccia, so che sono soltanto deipoveracci d’animo
che si fanno fortidella nostra paura e dell’anonimato dietro cui si nascondono. Con questo non voglio
dire che non li temo. Io ho paura e ne avevo anche
quando sono andato “a caccia” dei
miei estortori. Non sono un incosciente né volevo fare l’eroe, ma non
c’era altra scelta, a meno dicedereal
ricatto. Se dovessi tornare indietro
rifarei le stesse cose, magari stando
più attento ad assicurare tutti i boss
alla giustizia.
Io – conclude Caniglia, con la voce
concitata elosguardo risoluto – sono
un mattone che è uscito fuori dal
muro, ilmurodi omertà che è intorno a noi. Se dopo di me, come me,
cadono altri mattoni, quel muro si
rompee la mafia non esiste più”a