Adolescenti adottati autori di reato: un ricerca esplorativa

Transcript

Adolescenti adottati autori di reato: un ricerca esplorativa
Adolescenti adottati autori di reato: un ricerca esplorativa
di Laura Benini*, Cecilia Ragaini**, Rosa Rosnati***
1. Adolescenza: una nuova prova per il minore adottato
La ricerca sull’adozione ha focalizzato negli ultimi anni l’attenzione in particolare sul
tema dell’adattamento psicosociale alla ricerca di una risposta sul quesito
fondamentale se e in che misura gli adottati siano maggiormente a rischio nello
sviluppo di problemi emotivi e comportamentali1.
Dalla meta-analisi condotta da van IJzendoorn e Juffer (2006) 2 su 270 studi condotti
dal 1995 al 2005 su un totale di più di 230.000 bambini adottati e non adottati, è
emerso che, sebbene la maggioranza degli adottati presenti livelli adeguati di
adattamento, essi, considerati come gruppo, risultano essere maggiormente a rischio
rispetto al resto della popolazione, in quanto tendono a manifestare mediamente più
problemi comportamentali, sia di tipo esternalizzante (aggressività, comportamenti
oppositivi, impulsività, iperattività) sia internalizzante (depressione, ansia, ritiro
emotivo) rispetto ai coetanei non adottati. Tali differenze, pur significative, risultano
essere però di modesta entità. Inoltre i bambini adottati risultano avere una
probabilità doppia rispetto al resto della popolazione di essere segnalati ai servizi di
salute mentale. Tale rischio aumenta se la storia preadottiva del bambino è connotata
da violenze fisiche e psicologiche, ambienti di crescita trascuranti3 e un lungo
trascorso di istituzionalizzazione4.
Molto spesso tali problemi di adattamento compaiono per la prima volta o si
acuiscono con l’ingresso del figlio nella fase adolescenziale. L’adolescenza, infatti, è
una fase critica dello sviluppo e può essere resa assai più complicata dalla condizione
di figlio adottivo5. In questo periodo il giovane, per riuscire a sviluppare un’identità
adulta e affrontare in autonomia il più ampio contesto sociale, deve attuare un
processo di separazione-individuazione che prevede la distinzione dalle figure
genitoriali e la ricerca di nuove figure identificatorie in grado di soddisfare i bisogni
emergenti; ma per i ragazzi che sono stati abbandonati e successivamente accolti, tale
*
Dottoressa in Psicologia dello Sviluppo e della Comunicazione, Università Cattolica di Milano
Neuropsichiatra infantile, psicoterapeuta, Docente a contratto di Tecniche psicodiagnostiche in età evolutiva,
Università Cattolica di Milano
***
Psicologa, Professore associato, Docente di Psicologia dell’adozione, dell’affido e dell’enrichment familiare,
Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, Università Cattolica di Milano.
1
Rosnati R. (a cura di) (2010), Il legame adottivo. Contributi internazionali per la ricerca e l’intervento. Milano:
Unicopli.
2
M. H. van IJzendoorn, F. Juffer, C., “The Emanuel Miller Memorial Lecture. Adoption as Intervention. Meta-Analytic
Evidence for Massive Catch-up and Plasticity in Physical, Socio-emotional and Cognitive Development, Journal of
Child Psychology and Psychiatry, 2006, 47, pp. 1228-1245.
3
E. J. M. van der Vegt, J. van der Ende, R. F. Ferdinand, F. C. Verhulst, “Early childhood adversities and trajectories of
psychiatric problems in adoptees: Evidence for long lasting effects”, Journal of Abnormal Child Psychology, 2009, pp.
239-249.
4
F. Juffer, M. H. van IJzendoorn, “Behavior problems and mental health referrals of international adoptees. A metaanalysis”, JAMA, 2005, 293 (20), pp. 2501-2515
5
D. M. Brodzinsky, M. D. Schecter, The Psychology of Adoption, Oxford University Press, Oxford New York 1990
**
1
processo appare particolarmente complesso in quanto rievoca il distacco originario e i
conseguenti vissuti di perdita6.
Un’ulteriore difficoltà incontrata dal minore adottato nella conquista della propria
individualità è l’integrazione delle parti vecchie del Sé con quelle nuove. Questa
sfida lo pone inevitabilmente in un confronto con il proprio passato all’interno del
quale si iscrive anche la ricerca del significato della propria storia e dell’abbandono;
ma in assenza di spiegazioni e di fattori evidenti che permettano di ricondurre la
causa dell’abbandono ai genitori biologici, è possibile che il ragazzo giustifichi tale
perdita attribuendo la colpa a se stesso e a tratti negativi del Sé7. In questi casi il
giovane svilupperà un’identità negativa fondata su un Sé percepito come malvagio e
privo di valore e per questo non meritevole neppure dell’affetto dei nuovi genitori8.
In tal senso la messa in atto di comportamenti delinquenziali può essere letta come
una dimostrazione della propria inadeguatezza, quasi a giustificare la causa
dell’abbandono iniziale e in una ricerca parallela di conferme affettive da parte della
coppia genitoriale9.
Nella ricerca che verrà sinteticamente presentata qui di seguito, si è cercato così di
fare una prima e sommaria ricognizione degli itinerari di vita di quegli adottati che
hanno messo in atto comportamenti delinquenziali, sia attraverso la classificazione e
l’analisi delle esperienze di vita dei minori nel periodo preadottivo, sia considerando
le testimonianze dirette degli stessi protagonisti attraverso le loro testimonianze.
2. La ricerca su i minori adottati autori di reati
Quale obiettivo
La ricerca ha carattere esplorativo, ossia è finalizzata ad offrire un’analisi del
fenomeno della criminalità nei giovani adottati, tema scarsamente studiato all’interno
della vasta letteratura sulle adozioni. Attraverso lo studio della storia pregressa e del
percorso adottivo di un gruppo di adolescenti adottati per i quali è stato aperto un
procedimento penale presso il Tribunale per i minorenni di Milano10, si cercherà di
individuare le condizioni che ricorrono con maggiore frequenza e che potrebbero
favorire l’insorgenza di comportamenti criminali.
È importante sottolineare che, a causa del numero esiguo di casi individuati e
dell’assenza di un gruppo di controllo, i risultati non possono essere considerati
rappresentativi e quindi non generalizzabili all’intera popolazione dei minori adottati
e autori di reato, ma possono solo offrire iniziali spunti di riflessione per lo sviluppo
di progetti di ricerca futuri.
6
F. Vadilonga (a cura di), Curare l’adozione. Modelli di sostegno e presa in carico della crisi adottiva, Raffaello
Cortina Editore, Milano 2010, pp. 114-129.
7
F. Vadilonga (a cura di), Curare l’adozione. Modelli di sostegno e presa in carico della crisi adottiva, Raffaello
Cortina Editore, Milano 2010,
8
M. Farri Monaco, M.T. Niro, Adolescenti e adozione. Una odissea verso l’identità, Centro Scientifico Editore,
Torino 1999, pag. 52
9
M. Farri Monaco, M.T. Niro, Adolescenti e adozione. Una odissea verso l’identità, Centro Scientifico Editore,
Torino 1999, pp. 52 sgg.
10
Si ringrazia il Presidente del Tribunale per i minorenni di Milano Mario Zevola, per aver concesso l’autorizzazione
alla consultazione dei fascicoli e la giudice Anna Poli per l’aiuto offerto nell’individuazione e reperimento dei casi.
2
La procedura
I casi sono stati raccolti presso la sezione penale del Tribunale per i minorenni di
Milano. La raccolta è iniziata con l’esame dei fascicoli relativi ai provvedimenti
penali aperti a partire dal 2009 per selezionare dal numero totale solo il gruppo di
minori adottati. Una volta individuati i casi di adozione, sono stati recuperati anche i
fascicoli amministrativi per assumere una visione più completa e dettagliata della
storia di questi ragazzi. Ulteriori informazioni sono state raccolte dalla visione, ove è
stato possibile, sia delle verifiche intermedie di messa alla prova, sia delle udienze.
L’attenzione è stata riposta soprattutto sui fattori di rischio individuati in letteratura
che possono interferire nello sviluppo psicologico del minore adottato. Le
informazioni considerate, principalmente di carattere socio-demografico e
psicologico, sono state inserite in una griglia composta da 18 indici e suddivisa in tre
macrocategorie relative a: il minore, la famiglia adottiva e il reato11.
Chi sono i minori autori di reato
Sebbene il gruppo esaminato, costituito da 14 adolescenti adottati e autori di reati,
presenti al suo interno caratteristiche molto eterogenee, sono stati riscontrati alcuni
fattori ricorrenti.
Innanzitutto è possibile rilevare come le differenze di genere, essendo
particolarmente elevate, appaiano indicative; difatti, la quasi totalità dei soggetti
considerati è di sesso maschile (n=13; 92,9%). La sovra-rappresentazione di ragazzi
può da una parte rispecchiare la maggior presenza fra la popolazione degli adottati in
Italia di minori di sesso maschile12, dall’altra invece risulta coerente con i risultati
alcune ricerche che hanno dimostrato che il rischio di sviluppare problemi di
adattamento sia maggiore tra gli adottati maschi piuttosto che tra le femmine13:
d’altra parte si è riscontrato che i ragazzi adottati presentano maggiori problemi di
esternalizzazione rispetto alle coetanee femmine14.
Un altro dato indicativo riguarda la tipologia delle adozioni: nella quasi totalità dei
casi analizzati (n=13; 92,9%) l’adozione è avvenuta attraverso procedura
internazionale. I minori provengono soprattutto dall’America Latina (n=8; 61,5%) e
in percentuale inferiore dall’Europa dell’est (n=5; 38,5%). Nello specifico i Paesi di
provenienza sono: Brasile (n=5; 38,4%), Ucraina (n=4; 30,8%), Colombia (n=1;
7,7%), Ecuador (n=1; 7,7%). Perù (n=1; 7,7%) e Polonia (n=1; 7,7%). Anche
nell’unico caso di adozione nazionale (7,1%), il minore ha origini straniere.
L’età media dei bambini al momento dell’adozione è pari a 7,1 anni (DS=4,2; range:
1-17) e sebbene la letteratura evidenzi che la fascia di età prescolare sia in generale la
più protetta per quanto riguarda lo sviluppo di problematiche psicologiche e
11
I dati sono stati poi inseriti in una tabella Excel che ha permesso il calcolo delle frequenze, della media (deviazioni
standard e range), della percentuale e la realizzazione di grafici e tabelle.
12
www.commissioneadozioni.it
13
F. C. Verhulst, M. Althaus, H. J. M. Verluis-Den Bieman, “Problem behavior in international adoptees: II. Age at
placement. Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 1990, 29(1), pp. 104-111.
14
J. Mohanty, C. Newhill, “Adjustment of international adoptees: Implication for practice and a future research
agenda”, Children and Youth Services Review, 2006, 28, pp. 384-395
3
comportamentali, come riportato nella tabella 1, quasi la metà dei minori (n=6;
42,9%) è stata inserita nella nuova famiglia in età compresa tra 0-5 anni. Poiché una
visione della variabile età come unico fattore che incrementa le difficoltà nel postadozione è apparsa riduttiva, l’attenzione è stata focalizzata anche sugli aspetti
qualitativi dell’esperienza adottiva per capire se e in che modo questi influenzino la
vita del minore. Così, nel tentativo di valutare la qualità delle cure ricevute da questi
ragazzi prima dell’inserimento nella nuova famiglia sono stati presi in considerazione
sia la causa della dichiarazione dello stato di adottabilità, sia le forme di
collocamento preadottivo. In 5 casi (35,7%) non è stato possibile rintracciare nelle
relazioni il motivo del decadimento della potestà genitoriale, in 1 (7,1%) emerge che
il minore è stato allontanato a seguito del decesso di entrambi i genitori, mentre nei
rimanenti 8 casi (57,1%) in quanto vittima di maltrattamenti e forme gravi di
trascuratezza. Questo dato risulta coerente con la letteratura che ha dimostrato che
l’esposizione a violenza fisica e sessuale predice in modo statisticamente
significativo lo sviluppo di comportamenti antisociali e delinquenziali15. Per quanto
concerne invece la seconda variabile indicativa delle cure ricevute prima
dell’adozione, sono state considerate le forme di collocamento preadottivo. Poiché in
un caso il minore ha un trascorso sia di istituzionalizzazione sia di affidamento
familiare, si è deciso di non considerarlo nell’analisi in quanto presenta entrambe le
condizioni analizzate. I casi sono stati così ridotti a 13 e dai risultati emerge che la
maggior parte dei ragazzi (n=9; 69,2%) ha un pregresso di istituzionalizzazione.
Anche questo dato risulta coerente con la letteratura sull’adattamento all’adozione
che rileva come il rischio di presentare problemi di adattamento sia maggiore nei
bambini istituzionalizzati rispetto a coloro che sono stati collocati in affidamento
familiare16. L’esposizione a violenza, unita probabilmente alle condizioni di disagio
esperite nei collocamenti preadottivi, potrebbero giustificare la percentuale di minori
(n=8; 57,1%) che subito dopo l’inserimento nelle famiglie adottive manifesta
difficoltà di adattamento; tuttavia, come riportato dalle relazioni, in generale le
condizione dei ragazzi si sono aggravate nel periodo preadolescenziale. Come
illustrato nel grafico 1, a partire dall’adolescenza tutti i ragazzi considerati hanno
incominciato a manifestare una accentuata aggressività fisica e verbale indirizzata in
particolar modo verso i genitori, seguita da difficoltà scolastiche (scarso rendimento,
insuccesso e abbandono scolastico) e comportamenti sessualizzati.
Alcuni dati sui genitori
Per quanto riguarda i dati relativi alla famiglia adottiva, avendo consultato solo i
fascicoli penali e amministrativi, è stato possibile raccogliere un numero limitato di
informazioni. Un aspetto ricorrente è l’età piuttosto avanzata della coppia genitoriale
al momento dell’adozione: in media le madri avevano 39,1 anni (DS=5,6; range: 3247) mentre i padri 41,6 anni (DS=7; range: 34-55). Tuttavia tale dato non sembra
15
H. D. Grotevant, “Antisocial behavior of adoptees and nonadoptees: Prediction from early history and adolescent
relationship, Journal of Research on Adolescence, 2006, 20, pp. 571-580
16
V. Groze, SD Ryan, SJ. Cash, “Institutionalization, behavior and international adoption: predictors of behavior
problems”, Journal of Immigrant and Minority Health, 2003, 5 (1), pp. 5-17
4
essere particolarmente rilevante in quanto non si discosta in modo significativo
dall’età media dell’intera popolazione delle coppie adottanti attraverso procedura
internazionale17.
In tutti i casi, i coniugi hanno scelto di intraprendere un percorso adottivo per
problemi di sterilità. L’impossibilità a procreare potrebbe diventare un fattore di
rischio per l’adattamento del minore solo nei casi in cui i coniugi, non avendo
elaborato questo lutto, percepissero il figlio adottivo come il sostituto di quello mai
nato per soddisfare le proprie fantasie e aspettative connesse alla genitorialità
biologica18.
Inoltre, per quanto riguarda le seconde adozioni, in 9 (64,3%) famiglie sono presenti
altri figli adottivi (fratelli e sorelle naturali o bambini provenienti da altre adozioni),
mentre in 5 (35,7%) il minore analizzato è l’unico figlio della coppia genitoriale.
Poiché la maggior parte dei ragazzi ha acquisito legami di fratria a seguito
dell’adozione, è possibile ipotizzare che la presenza di altri minori all’interno del
nucleo familiare possa rendere più complesso l’adattamento nel post-adozione in
quanto i genitori si trovano a dover far fronte a minori che hanno bisogni peculiari e
specifici.
I reati commessi
I reati sono stati suddivisi in due macrocategorie: nella prima sono state inserite tutte
le forme di violenza inflitte a parenti ed estranei, mentre nella seconda gli atti illeciti
che non hanno implicato violenza fisica alle persone. È emerso che 4 ragazzi (28,6%)
sono stati imputati di due reati; come evidenziato dalla tabella 2, il capo di
imputazione che ricorre con maggior frequenza è il furto (n=7; 38,9%) seguito da
maltrattamento e violenza verso familiari (n=3; 16,7%); uniti questi due assommano
a più della metà dei reati totali (n=10; 55,6%). Come illustrato nel grafico,
sembrerebbe che tanto più piccoli sono i minori al momento dell’adozione, quanto
prima si rendono responsabili di atti criminali.
I dati a disposizione sulle sanzioni sono 12 in quanto 2 ragazzi al momento della
ricerca erano ancora in custodia cautelare presso l’IPM Beccaria. Per tutti è prevista
la sospensione del procedimento e la messa alla prova che prevede: il collocamento
in comunità educative o psichiatriche, la frequenza scolastica e/o un progetto di
inserimento lavorativo attraverso l’attivazione di una borsa lavoro, il supporto
psicologico e un’attività socialmente utile.
Tabella 1 – Età al momento dell’adozione
17
www.commissioneadozioni.it
P. Di Blasio (a cura di), Tra rischio e protezione. La valutazione delle competenze genitoriali, Edizioni Unicopli,
Milano 2005, in particolare pag. 140
18
5
n
6
5
2
1
14
0-5 anni
6-10 anni
11-15 anni
>16 anni
Totale
%
42,9%
35,7%
14,3%
7,1%
100
Grafico 1 – Comportamenti problematici manifestati dai minori
100
100
85,7
90
80
70
60
50
40
28,6
30
21,4
21,4
21,4
14,3
20
14,3
10
to
ca
sa
da
he
re
g
fu
g
is
re
ss
io
ui
ci
ne
di
i
si v
te
nt
at
de
tti
pe
co
m
po
r
as
ic
ss
ti
en
tam
pr
es
nd
pe
od
i
ss
se
sc
tà
ol
ff
ic
di
en
za
i
za
t
ua
as
t
ol
io
/v
ità
si v
re
s
ag
g
liz
ic
le
nz
a
he
0
Grafico 2 – età media al momento del reato in relazione all’età di adozione
>16 a nni
17
15,5
Età adozione
11-15 a nni
6-10 a nni
15,2
14,8
0-5 a nni
13,5
14
14,5
15
15,5
16
16,5
17
17,5
Età al momento del reato
Tabella 2 – Capi di imputazione
n
%
6
Lesioni/aggressione
Violenza sessuale
Furto
Rapina
Vandalismo
Violenza/maltrattamento
familiare
Violenza pubblico ufficiale
Spaccio
Totale
2
1
7
1
2
3
11,1%
5,5%
38,9%
5,5%
11,1%
16,7%
1
1
18
5,5%
5,5%
100
3. Un vortice di emozioni
Nonostante sia particolarmente difficile comprendere e spiegare i vissuti emotivi dei
minori adottati e autori di reato a causa della complessità e della specificità di
ciascuna storia, è possibile rintracciare delle tematiche ricorrenti che connotano il
mondo psicologico di questi ragazzi.
Molto sinteticamente potremmo dire che molte delle spiegazioni e delle analisi fatte e
contenute nelle relazioni dei servizi sociali possono essere in ultima analisi ricondotte
alla paura dell’abbandono ed agli effetti ad esso connessi. È importante ricordare che
tutti hanno vissuto molteplici perdite: oltre all’allontanamento dai genitori biologici,
sono stati separati anche da altri parenti, educatori e genitori affidatari incontrati nei
collocamenti preadottivi. La paura dell’abbandono aumenta solitamente negli anni
dell’adolescenza quando il minore, impegnato nella costruzione della propria identità,
sente il bisogno di far chiarezza sulla propria storia e inizia a porsi con maggior
frequenza domande sulle proprie origini. Il desiderio di acquisire nuove informazioni
sul passato e ottenere risposta ai propri quesiti è accompagnato spesso da un disagio
psichico manifestato sia attraverso comportamenti internalizzanti con connotati
fortemente depressivi (ritiro sociale, mancanza di interesse per le attività quotidiane e
nei casi estremi anche tentati suicidi), sia esternalizzanti (scoppi d’ira improvvisi,
aggressività fisica e verbale, abuso di alcol e altre sostanze stupefacenti). Uno
psicologo che ha in cura uno dei ragazzi considerati nella ricerca riporta in una
relazione: “in questo mese X è riuscito ad entrare in contatto per la prima volta con
la propria sofferenza ed è stato in grado di verbalizzare come il proprio stato di
disagio abbia radici antiche e che spesso si sia interrogato circa la sua storia
adottiva da lui vissuta come la causa del suo malessere”.
Molto spesso all’abbandono subito vengono associati forti sensi di colpa. Infatti,
soprattutto i bambini più piccoli tendono a ricondurre a sè e al proprio
comportamento la responsabilità della separazione e della perdita, piuttosto che
ammettere che il proprio benessere dipendeva da genitori spesso malevoli e incapaci
e sui quali non era possibile esercitare alcun controllo19. Ad esempio, un ragazzo
riporta: “so di essere stupido, mi hanno bocciato due volte, e spesso sono anche
cattivo, forse per questo che nessuno mi vuole”. Inoltre, come evidenziato da questa
19
S. Cirillo, Cattivi genitori, Cortina, Milano 2005
7
affermazione, i ragazzi in molti casi tendono anche a giustificare i propri
comportamenti disfunzionali, non come conseguenza delle numerose esperienze
avverse subite nella prima infanzia tra le quali, abusi, trascuratezza e maltrattamenti,
ma attribuendo la responsabilità a tratti negativi della propria personalità.
Nei casi analizzati ricorre con frequenza anche il tema della diversità. Infatti, sebbene
non si siano verificati episodi di razzismo e discriminazioni, i ragazzi riferiscono di
“sentirsi diversi” e di “non appartenere” alla famiglia adottiva. Tale diversità,
tuttavia, non è da ricondurre a tratti somatici, bensì al senso di inadeguatezza provato
nei confronti dei genitori che li porta a non riconoscersi loro figli. Ad esempio, come
riportato in una relazione dei servizi sociali, un ragazzo di 14 anni si era allontanato
di nascosto da casa lasciando una lettera nella quale riferiva di volersi togliere la vita
perché non si sentiva il figlio che i suoi genitori avrebbero meritato. La maggior parte
dei minori ha sviluppato un’immagine positiva dei genitori e appare realmente
dispiaciuto per il dolore arrecato alla famiglia attraverso i propri comportamenti. In
quasi tutti i soggetti è presente la voglia di provare a impegnarsi in progetti di
crescita, ma tale desiderio viene soffocato dai frequenti momenti di crisi che
vanificano ogni sforzo. La delusione per i propri fallimenti, i sentimenti di colpa per
sentirsi i responsabili della sofferenza della famiglia e la vergogna provata per
disattendere continuamente le aspettative dei genitori suscitano la paura di un nuovo
abbandono. Tale timore trova conferma nei ragazzi quando sono gli stessi genitori a
richiedere che il figlio sia collocato in comunità o a comunicare la notizia di reato
all’Autorità Giudiziaria. Ad esempio un altro ragazzo durante un colloquio con un
giudice, porge questa domanda: “Perché i miei genitori hanno deciso di adottarmi e
ora non mi vogliono più? Cosa ho di sbagliato che nessuno mi vuole?”.
È possibile dunque rintracciare nei minori analizzati sentimenti fortemente
ambivalenti: da un lato l’affetto verso i genitori, dall’altro la rabbia per non riuscire a
soddisfare i loro desideri manifestata attraverso aggressività verbale e fisica.
Dalle relazioni si evince anche il costante bisogno dei ragazzi di acquisire certezze in
merito al fatto di essere accettati dalla famiglia nonostante le proprie difficoltà. Il
caso più esemplificativo è quello di un minore che, ancora molto piccolo, sottraeva
piccoli oggetti e cercava di conquistare l’affetto dei genitori con piccoli doni. In
alcuni casi, il bisogno di ricevere attenzioni si acuisce di fronte alle seconde adozioni,
quando a seguito dell’inserimento di un altro bambino adottato i ragazzi si sentono
spodestati dal loro ruolo di figli unici e, in quanto tali, i soli a cui i genitori hanno
prestato cure e affetto fino ad allora. Ad esempio, un ragazzo afferma durante
un’audizione successiva alla messa in atto del reato: “Prima c’ero solo io, da quando
c’è anche X.- fratello minore adottato successivamente- tutte le attenzioni vanno a
lui. Ora si sono accorti anche di me”.
Per tale motivo i comportamenti criminali sembrano essere finalizzati sia a mettere
alla prova i genitori per ottenere conferme del loro affetto incondizionato, sia a
richiamare la funzione genitoriale di cui sentono un forte bisogno, ma potrebbero
anche essere un modo per espiare i propri sensi di colpa attraverso la punizione.
Tuttavia, se il reato da una parte può essere interpretato come una richiesta di
8
attenzioni, dall’altra può essere indicativo dell’incapacità a riconoscere e prevedere le
ripercussioni delle proprie azioni e quindi manifestazione di una scarsa maturità.
Poiché le condizioni dei minori si aggravano nella fase adolescenziale, è possibile
ipotizzare che i comportamenti disfunzionali non siano da ricondurre solamente
all’esposizione ad esperienze avverse nel periodo preadottivo, ma rispecchino anche
il riaffiorare di questioni irrisolte nella nuova famiglia: la principale sembra essere la
causa dell’abbandono. L’impossibilità a trattare apertamente e serenamente la storia
adottiva è da ricondurre ad una preparazione inadeguata dei genitori adottivi ad
affrontare con i figli alcune tematiche che inevitabilmente l’adozione comporta. Per
tale motivo risulta indispensabile prevedere, non solo interventi di monitoraggio nel
post-adozione, ma anche di supporto tempestivo alla genitorialità per accompagnare
le coppie adottive nel confronto con alcune tematiche che, se non affrontate o
affrontate in modo disfunzionale, potrebbero ostacolare il benessere psicologico del
minore adottato.
9