Nozze bagnate per Angiolina - Premio Letterario Santa Margherita
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Nozze bagnate per Angiolina - Premio Letterario Santa Margherita
Nozze bagnate per Angiolina Fino a quel momento non aveva mai creduto ai miracoli. Era convinto che la sua vita si sarebbe consumata in modo diverso. Ma ora se ne stava dritto di fronte a lei, ad un respiro dalla sua bocca, ad un soffio da quel suo sguardo intenso e disarmante. Ricordava perfettamente la prima volta che l’aveva scorta dietro alla vetrata. Il fremito che quel corpo nervoso e bruno aveva destato nel suo sangue. Quel piacevole stordimento che lo aveva inspiegabilmente turbato. Nessuna prima di lei era stata capace di tanto. Vorrei farle perdere la testa. Vorrei farle provare quel brivido che impasta le gambe quando la attraversi, quel senso di tiepida leggerezza che ti prende prima del sonno… Non si era fatto grandi illusioni. Aveva imparato ad osservarla da lontano. Nel silenzio del suo rifugio aspettava di vederla attraversare la piazza del paese, i lunghi capelli neri, sempre raccolti a coda di cavallo. Si chiamava Angiolina. Piccolo angelo, ma fuoco di gambe lunghe e affusolate, dalla pelle bruna e screpolata di chi fa del sole e del vento i collant preferiti. Ogni giorno veniva su dal porto, la cesta tra le braccia, la camicetta bianchissima, tesa sul petto per il peso del canestro e la generosità dei seni. Avrebbe giurato che profumava di miele, timo e limone. Difficile credergli. Lei arrivava da un carruggio salmastro, alghe secche e nasse umide, sempre alle prese con pesci ancora palpitanti. E poi lui se ne stava chiuso dietro ad un vetro da una vita: cosa poteva ancora sapere dei profumi del mondo? Alle volte però Angiolina entrava nel suo negozio per comprare una soda. Un piccolo vezzo che la faceva sentire libera e alla moda, ma solo quando la settimana era stata generosa e aveva trovato reti da ricucire al porto: allora quel piccolo vizio se lo concedeva. Come quell’altro, quello di portare la gonna un po’ sopra il ginocchio, arrotolandola sulla pancia piatta e scura, alle feste del paese. Già le feste del paese... La sera di Santa Maria Maddalena, lui ovviamente non era uscito. Ma aveva cercato di risucchiarne l’essenza, i rumori, i sapori dalla piazza: tanghi campagnoli, risate brille di pesto e dolcetto e poi…lei. Scalza, abbronzata, bellissima mentre ballava al chiaro di luna. Che notte! Che estate! Ma poi l’autunno era arrivato più in fretta del solito. Tempo di vendemmia. Magra, ma buona dicevano quelli che se ne intendevano. Angiolina la volevano tutti tra i filari perché era di forbice svelta e occhio sicuro. E a lei faceva comodo lavorare: doveva ancora completare il corredo. Già il corredo... Lui l’aveva scoperto da poco da due al banco: <<Angiolina è promessa a Giobatta, il macellaio. Un buon partito. Andranno all’altare prima dell’avvento.>> Si era sentito gelare il sangue nelle vene. Era così che doveva finire? La sua vita non avrebbe avuto più un senso, il suo cuore si sarebbe spezzato. Poi quel maledetto giorno era arrivato. E anche la beffa: proprio lui era stato messo al tavolo degli sposi. Lei era bellissima, l’altro cafone. Lui distrutto, ma estasiato. Tutto fu questione di un attimo. “CIN CIN per gli sposi!”. Salta il tappo, ed il vino scorre liscio e silenzioso nel bicchiere di lei. Si increspa mentre scivola giù malvolentieri e riempie il bicchiere dell’altro. No non può finire così. Sarai solo mia e mia per sempre. Lei avvicina la coppa alle labbra lampone, mentre socchiude gli occhi e sogna un futuro che è già passato e che mai passerà. Una goccia di vino le sfiora la punta della lingua raccontandole di un amore che mai incontrerà. La bottiglia ha un fremito si inarca, dondola, si inclina. Fanno per prenderla al volo, ma sguscia via, butta per aria il bicchiere dello sposo e cade con soddisfazione sul lastricato, ai piedi di lei, lanciando lacrime vermiglie sul suo abito immacolato. Peccato era una bottiglia di quello buono! Lei apre gli occhi, velati di salato. Lui scorre ai suoi piedi sorridente: Rossese’64, solo Tuo, per sempre!