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Cronache 25
Corriere della Sera Venerdì 12 Marzo 2010
L’indagine La spiegazione degli esperti: la crisi ha colpito l’industria manifatturiera e l’edilizia, tipicamente maschili
L’Italia è il Paese delle donne disoccupate
In Europa i maschi senza lavoro hanno superato (in media) le femmine. Da noi ancora no
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES — Non era
mai successo, almeno negli ultimi 10 anni: dal maggio 2009
in poi, il tasso di disoccupazione fra le donne è stato costantemente minore di quello registrato fra gli uomini, in 15 dei
27 Stati aderenti all’Unione.
Lo dicono gli ultimissimi dati
dell’Eurostat, l’Istituto europeo di statistica, diffusi lo
scorso 5 marzo: la media Ue
del tasso di disoccupazione è
infatti del 9,3% per le donne,
secondo la rilevazione fatta a
gennaio, e del 9,7% per gli uomini.
La spiegazione, secondo gli
esperti, può essere ricercata
nella natura stessa della recessione che ha colpito l’Europa
negli ultimi due anni: la crisi
si è fatta sentire più duramente nelle industrie manifatturiere, o nell’edilizia, e fra i lavoratori di questi settori è tra-
dizionalmente molto più alta
la componente maschile.
Quanto all’Italia, marcia in
senso contrario: il tasso di disoccupazione fra le sue lavoratrici, oggi al 9,8%, continua a
essere sensibilmente più alto
di quello registrato fra gli uomini (7,7%).
Anzi: come mettono in rilievo i ricercatori dell’Istat, l’Italia è il secondo Paese della Ue
in cui è più evidente il divario
fra i disoccupati dei due sessi,
a sfavore delle donne. Il primo posto, in questa classifica
non proprio esaltante, spetta
alla Grecia: disoccupazione al
7,1% per gli uomini, e al
13,5% — quasi il doppio —
per le donne. In questo caso,
la spiegazione della crisi edilizia o manifatturiera c’entra
presumibilmente poco: per
gli esperti, contano di più i lineamenti tradizionali della società italiana e greca; e del resto anche in Portogallo, un altro Paese del Sud-Europa, la
disoccupazione femminile
(11,2%, a gennaio) è più marcata di quella maschile (10%).
Ci si può consolare in ogni
caso con i dati del 2000, che
erano molto più pesanti per
entrambi le categorie: allora,
in Italia, il tasso di disoccupazione femminile era inchioda-
Nell’Unione
La media del tasso
in Europa è del 9,3
per cento per le donne
e del 9,7 per gli uomini
L’aspettativa di vita
Siamo lo Stato con più
ultra 65enni donne. Nel
2030 l’aspettativa di vita
femminile sarà di 87 anni
to al 14,1%, e quello maschile
all’8,3%. Che cosa stia significando questa crisi per l’Europa, le tabelle Eurostat lo «fotografano» (purtroppo) assai bene. Per esempio, dal 2008 al
2009, l’occupazione maschile
in Lettonia è piombata dal
72,9 al 60,9; e in Irlanda, l’«ex
tigre celtica», è scesa dal 75,4
al 66,1. Ancora più plumbeo il
panorama alle porte della Ue:
l’Islanda, la stessa che il 4 marzo ha deciso con un referendum popolare di non pagare
il proprio debito estero, ha visto crollare il suo tasso di occupazione maschile dall’88,6% all’82,8%.
Come sempre, i dati Eurostat consegnano anche il ritratto demografico di quello
che saremo fra 10 o 20 anni. E
l’Italia, dicono, sarà un Bel Paese di nonne. Fra i 27 Stati della Ue, il nostro — con la Germania — è infatti quello che
ha oggi la percentuale più alta
di donne al di sopra dei 65 anni: il 23%; la media della Ue è
ben più bassa, 19%, mentre
l’Irlanda si ferma al 12%, la
Slovacchia al 15%, la Gran Bretagna al 18%, e così via. Nel
2030, veleggerà oltre la boa
dei 65 anni il 29% delle nostre
donne: e ci supererà solo la
Germania (30%); mentre l’Irlanda salirà «appena» al 17%,
Cipro al 19%, e così via. La media europea delle donne sopra i 65 anni sarà in quell’anno del 26%.
Ma vivremo più a lungo tutti, giunge l’ennesima conferma. L’aspettativa di vita alla
nascita, che nella Ue del 2008
era in media di 82,2 anni per
le donne e 76,1 anni per gli uomini, nel 2030 toccherà rispettivamente gli 85,3 e gli 80 anni. In Italia, nel 2008, le donne vivevano in media fino a
84,2 anni e gli uomini fino a
78,7: nel 2030, le prime potranno contare «almeno» su
86,9 e i secondi su 81,7 anni.
Roba da far invidia al povero
Faust.
Luigi Offeddu
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Lavoro e pregiudizi Sul web i blog e i racconti dei viaggi
110.000
Le imprese
raggruppate
nelle associazioni
Cna-Fita, Anita
e Confartigianato
2.300
Euro, il guadagno
netto mensile di un
«padroncino». Arriva
a 3-4 mila euro se
lavora oltre frontiera
In cabina A sinistra, Gisella
Corradini; sopra Rosa Di Gregorio;
sotto Marzia Guareschi
Sempre più signore dei camion
«All’alba sul tir, a casa per cena»
«Resta una carriera difficile, ma sfidiamo il machismo»
MILANO — Alle 5 di ogni mattina Cinzia Franchini ha già in messo in moto il suo camion blu e bianco. Alle 18.30 è di nuovo a casa a
Modena, a scrutare il frigorifero e a
farsi venire un’idea per la cena. In
mezzo ci sono 500-600 chilometri,
qualche telefonata al marito, socio
e camionista pure lui, operazioni
di carico e scarico, un paio di soste
in autogrill «per dare una sistemata al trucco e ai capelli». Anche la
giornata di Angiolina Mignolli è
piuttosto pesante. Vive e lavora a
Negrar, in provincia di Verona, dove gestisce un’azienda di autotrasporti, con 9 automezzi e 14 dipendenti. Ancora oggi, quando serve,
si mette al volante di un 440 «il
classico bestione», dopo aver sorvegliato il lavoro dei muletti che
stivano le lastre di marmo sui cassoni.
Attenzione, però, questa non è
l’ennesima storia edificante o consolatoria sull’8 marzo e dintorni.
Cinzia Franchini, 38 anni, e Angiolina Mignolli, 51 anni, non sono il
tocco di colore in un ambiente di
lavoro considerato, a torto o a ragione, «machista» per definizione.
Al contrario sono due dirigenti di
vertice della categoria, due protagoniste della trattativa su costi e sicurezza, intavolata a Roma dagli autotrasportatori con il governo e la
committenza (industriali, artigiani, commercianti). «Al di là dei luoghi comuni e delle difficoltà oggettive che rimangono, anche il nostro settore sta cambiando ed è un
segnale importante, concreto, per
tutto il mondo del lavoro. Siamo
già oltre il folclore», dice Cinzia.
Dall’ottobre del 2009 Franchini e
Mignolli ricoprono la carica di «vicepresidente vicario» della Cna-Fita, l’Unione nazionale delle imprese di trasporto (35 mila associati).
Il nuovo gruppo dirigente, guidato
da Daniele Caffi, sta vivendo in
questi giorni il test chiave: spuntare qualche margine in più sui costi, qualche garanzia aggiuntiva
sui tempi di percorrenza e sulle
condizioni di sicurezza delle strade. «Non so se in questo caso pesi
la nostra sensibilità femminile —
osserva Mignolli — ma la cosa importante è che ora al tavolo ci siamo anche noi. Certo, con Cinzia
stiamo insistendo molto per far
passare il principio che i committenti non possono chiedere a un autista di coprire un percorso in 9
Cinzia Franchini
ore, quando le norme europee prevedono per quella stessa tratta, tra
pause e riposo continuativo, un
tempo di 18 ore». Le associazioni
principali, Cna-Fita, Confartigianato e Anita contano circa 110 mila
imprese, dalle società individuali
(i «padroncini») ad aziende con
100-150 dipendenti. Non esistono
al momento dati sulla divisione
percentuale tra i sessi. «Le donne
al volante dei tir sono in aumento.
Forse oggi sono pari al 10-15%. È
un lavoro che piace perché ti mette
in contatto con il mondo della produzione, ti dà un pizzico di avventura e una certa libertà», dice ancora Angiolina Mignolli.
La «normalità» di essere camionista sta diventando anche il principio ispiratore di alcuni gruppi di
base. Lo strumento, naturalmente,
Angiolina Mignolli
«Ho il diploma di maestra «Non mi vedevo ragioniera
ma la mia vita è al volante» Così ho copiato mio marito»
Imprenditrice
Cinzia Franchini,
presidente della
Cna-Fita dell’Emilia,
vice presidente
nazionale, 38 anni
«Da quando giro l’Italia in camion mi sono infastidita
una sola volta. Stavo scaricando e a un certo punto
sento una persona commentare ad alta voce: "Visto?
Ecco la fine che si fa a non studiare"». Cinzia Franchini,
38 anni, presidente della Cna-Fita dell’Emilia Romagna e
da qualche mese vice presidente vicario della
rappresentanza nazionale, si racconta in modo lineare:
«Mi sono diplomata all’istituto magistrale e non vivo il
mio lavoro come un passo indietro. Ho conosciuto mio
marito che aveva una ditta individuale di trasporti e ho
scelto liberamente di condividere la sua attività. Sono
diventata sua socia e oggi guido un camion. Per altro ho
anche continuato a studiare, seguendo corsi per
diventare "consulente adr", cioè la figura professionale
che cura il trasporto di merci pericolose». All’inizio,
certo, non è stato semplice: «I clienti mi guardavano con
stupore. Ho dovuto superare un doppio pregiudizio: il
camionista non è un mestiere adatto alle donne, a meno
che non siano mascoline e un po’ sciatte. In realtà noi
siamo come le altre: ci piace avere cura di noi stesse e
vestire bene. Semplice no?».
In famiglia
Gestisce
con il marito
la «Semenzin
Trasporti»,
ha 51 anni
«Io vengo da una famiglia di marmisti. Siamo sette
fratelli e lavoravamo tutti nell’azienda di mio padre. Ho
fatto la carrellista, l’operaia, ma ho preso anche il
diploma di ragioneria». Oggi a Negrar, in provincia di
Verona, Angiolina Mignolli, 51 anni, gestisce con il
marito la Semenzin Trasporti. «Ho preso la patente C ed
E quando avevo 24 anni. Avevo appena conosciuto mio
marito, un autotrasportatore che veniva a caricare il
marmo nella nostra azienda. A quel punto dovevo
scegliere ed è stato mio padre a incoraggiarmi: "Qui noi
siamo tanti, perché non prendi anche tu la patente per i
camion?". Così ho cominciato e non me ne sono affatto
pentita. È un lavoro che mi ha dato tante gratificazioni e
anche qualche sorriso. Quando mio marito buca una
gomma, difficilmente qualcuno si ferma. A me è
capitato una volta e si sono bloccati in 5 o 6. Un tizio
perfino con una macchinetta». Angiolina passa tre
giorni alla settimana a Roma, il resto del tempo lo divide
tra l’azienda e la cura della famiglia. «Ho due figli: una
femmina di 27 anni e un maschio di 24. Lavorano con
noi, ma nessuno dei due si è appassionato alla guida».
è la Rete. Gisella Corradini, 44 anni, di Fiorano Modenese, diploma
di scuola professionale, patente D
(abilitazione a guidare camion e
pullman) da più di vent’anni, guida una «motricetta da sette metri e
mezzo». Per tutti i colleghi da due
anni è «Ladytrack», lo pseudonimo usato nel blog «Buonastrada»,
all’interno di un forum animato da
altre 10 «compagne di strada», come Rosa Di Gregorio e Marzia Guareschi. «I motori e il viaggio sono
le mie passioni - racconta Gisella
Corradini - Ho un marito che fa il
mio stesso lavoro e una figlia di 21
anni che ha appena preso la patente C, ma che frequenta anche la facoltà di Economia all’Università di
Modena. Chi visita il nostro forum
sul web troverà le tracce del nostro percorso. Siamo tutte donne
che hanno faticato molto per farsi
accettare, che ci hanno messo tanta determinazione. Ma oggi stiamo
raccogliendo i risultati: abbiamo il
nostro spazio e il rispetto della
grande maggioranza dei colleghi
maschi». Nel sito di «Ladytrack» si
trovano chiacchiere innocue e analisi di grande spessore sull’autotrasporto, sulla concorrenza, o meglio sul «dumping» dei conducenti
in arrivo dall’Est, disposti ad accettare tratte massacranti a costi stracciati. La crisi livella i guadagni: l’incasso netto di un «padroncino» arriva a fatica a 2.300 mila euro al mese; 3-4 mila al massimo se lavora
anche oltre frontiera. Senza distinzioni tra i sessi.
G. Sar.
G. Sar.
Giuseppe Sarcina
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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