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Rödl & Partner Diritto, economia, attualità Febbraio 2012 · www.roedl.com/it Sommario Cari Lettori, La Terza Rivoluzione Industriale, a cura di Paolo Peroni la crisi finanziaria che ha investito l’Europa e l’Italia, per quanto drammatica, non deve distogliere l’attenzione dalle nuove sfide e dalle straordinarie opportunità di trasformazione che l’economia reale si prepara ad affrontare. Jeremy Rifkin, esperto di sostenibilità ambientale e sociale, ne è convinto: nel mondo è in atto una “Terza Rivoluzione Industriale” (questo il titolo del suo ultimo saggio). > COMMERCIO E INDUSTRIA Sicurezza, diritti e responsabilità nel commercio dei prodotti, a cura di Giuseppe Bonacci, Silvia Formenti, Paolo Peroni Le clausole vessatorie e il gioco della concorrenza, a cura di Carlo Impalà > MERCATI FINANZIARI Trasparenza informativa nelle operazioni di trasferimento di strumenti finanziari, a cura di Marco Pane La nuova era, sostiene l’economista statunitense, vede l’affermazione di un modello di sviluppo articolato su più “pilastri”. Il primo riguarda l’uso delle energie rinnovabili. Il secondo riguarda la conversione degli edifici in piccole centrali elettriche, proprio attraverso le rinnovabili. Ulteriori punti focali della rivoluzione saranno la (non più procrastinabile) creazione di una rete energetica di nodi interconnessi, simile a Internet, e l’utilizzo (non più solo futuribile) di veicoli elettrici per la mobilità. Secondo Rifkin, il cambiamento socio economico è solo all’inizio e l’Italia e la Germania avrebbero tutte le carte per guidare, in Europa, il green new deal. > ENERGIA E GREEN ECONOMY Fotovoltaico 4.0: la sfida europea, la risposta italiana, a cura di Paolo Peroni > PROJECT FINANCING Il Decreto Liberalizzazioni e le nuove frontiere del project financing, a cura di Tiziana Fiorella Project financing e fotovoltaico: quale futuro? a cura di Elena Urbani > GIUSTIZIA Tribunale delle Imprese, a cura di Federica Bargetto > CORPORATE GOVERNANCE E DIRITTO PENALE DELL’ECONOMIA 231, sindaci e organismo di vigilanza: il dilemma del controllore controllato, a cura di Giuseppe Bonacci > PROPRIETÀ INTELLETTUALE L’Unione Europea aderisce all’accordo anticontraffazione, a cura di Camilla Manfredi > RECENSIONI Tutti i colori del mondo La “Terza Rivoluzione Industriale” implicherà anche un salto di qualità nel rapporto tra imprese e cittadini: la sostenibilità si declinerà in una più forte attenzione per l’ambiente, certo, ma anche nell’obiettivo, sempre più sentito e diffuso, di offrire prodotti sicuri, in un contesto di infrastrutture adeguate. Il 23 gennaio, è stato presentato alla stampa italiana uno studio a cura di Ethical Corporation (con il contributo di Pirelli) dal titolo: “corporate responsability and consumer product health and safety”. I risultati della ricerca - che ha coinvolto nomi del calibro di BMW, Ikea, L’Orèal, Mattel, Toyota - non lasciano spazio a dubbi: non c’è competitività né futuro senza sicurezza per i consumatori. E proprio la sicurezza ed affidabilità dei prodotti - nei piani della Commissione Europea - rappresenteranno elementi concorrenziali imprescindibili cui tutti gli operatori, europei ed extraeuropei, dovranno conformarsi. Sostenibilità, sicurezza dei prodotti, green economy. Questo e molto altro nel numero di febbraio 2012 di Diritto, economia, attualità. Diritto, economia, attualità Commercio e industria > Sicurezza, diritti e responsabilità nel commercio dei prodotti Ai consumatori sono riconosciuti come fondamentali i diritti alla tutela della salute e alla sicurezza e qualità dei prodotti e servizi. I prodotti immessi sul mercato devono essere sicuri. In difetto, il produttore si espone ad una responsabilità di triplice natura: il codice del consumo prevede sanzioni penali e pecuniarie amministrative in caso di violazione delle norme sulla sicurezza; il fabbricante è responsabile civilmente del danno cagionato da difetti del suo prodotto; ove sia anche venditore, ha l’obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita. Nessuna impresa produttrice di beni e servizi destinati al pubblico può esimersi dall’osservanza dei richiamati principi. Esistono, però, dei presidi contrattuali che consentono di allocare efficacemente i rischi inevitabilmente legati all’attività di commercializzazione dei prodotti e offerta dei servizi. Nelle prossime pagine, ripercorreremo insieme la storia recente della c.d. “responsabilità da prodotto” per comprenderne la portata e suggerirvi alcune soluzioni di mitigazione delle criticità. > Storia, evoluzione e prospettive della responsabilità da prodotto nel quadro legislativo italiano a cura di Giuseppe Bonacci, Rödl & Partner Milano La prima regolamentazione della responsabilità civile da prodotto difettoso in Italia risale al lontano 19881. La giurisprudenza italiana, inizialmente, riconduceva la responsabilità da prodotto difettoso al piano della responsabilità squisitamente contrattuale, attraverso l’uso, da parte dell’acquirente danneggiato, dell’azione per vizi della cosa venduta nei confronti del venditore del bene. In un secondo momento, la dottrina si è resa sostenitrice di un indirizzo innovativo, inquadrando la problematica nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, superando il criterio soggettivo di imputazione dell’illecito in favore di un sistema di responsabilità oggettiva, attraverso un procedimento logico-presuntivo cui doveva ricorrere il giudice di merito. La giurisprudenza, pur con inevitabili oscillazioni dovute alla peculiarità della problematica, ha seguito tale orientamento dottrinario e si sono susseguite varie pronunce che hanno ammesso la responsabilità oggettiva del produttore. Oggi, la normativa di riferimento è contenuta nel “Codice del Consumo” (il D. LGS. 6.9.2005 N. 206). Il Decreto delimita la responsabilità del Produttore sia dal punto di vista soggettivo, delineando il concetto di “soggetto danneggiato” e quello di 1 Precisamente, con D.P.R. n. 224 del 24 maggio 1988 in attuazione della Direttiva CEE n.374/85. 2 “produttore”, sia dal punto di vista oggettivo, delineando il concetto di “prodotto”. Nelle prossime pagine, evidenzieremo gli aspetti più innovativi del codice del consumo rispetto alla previgente normativa e cioè le nuove qualificazioni legate alla definizione di “Produttore” e l’attuale nozione di “Prodotto Difettoso”. Il Produttore, il subfornitore e l’importatore Il “fabbricante del bene” è colui che produce il bene ponendolo in commercio. Detta figura assume particolare rilevanza, soprattutto in un’epoca in cui i beni sono il risultato di una attività/opera realizzata con il contributo di più realtà imprenditoriali. In tali casi, la figura del produttore finale del bene si integra, anche sotto il profilo della responsabilità per il prodotto/servizio difettoso commercializzato, con altre figure che hanno, in diversa misura, contribuito alla produzione e/o commercializzazione del bene medesimo. La figura del “subfornitore”, in particolare, ricorre ogni qual volta si sia di fronte ad un prodotto integrato o complesso, formato da più componenti per i quali il fabbricante del prodotto finale ha delegato ad altre aziende una fase di lavorazione del prodotto o la produzione di una sua parte, che andrà ad integrarsi col bene finale. In presenza di un prodotto difettoso, sussiste la responsabilità solidale verso il cliente di tutti gli operatori della catena di produzione. Il produttore finale del bene è comunque sempre corresponsabile, anche nel caso in cui il difetto sia da imputare al componente realizzato dal subfornitore, poiché il primo ha l‘obbligo di verificare l‘assenza di vizi nelle componenti fornite dai terzi. Continua a destare molto interesse la figura del fornitore del servizio in quanto potrebbe allargare, ancora di più, la portata applicativa della normativa. Si pensi, soprattutto al fenomeno del credito al consumo, quindi, a tutte le ipotesi di servizio bancario/finanziario difettoso che arrechi un danno all‘utente. Il codice del consumo, per converso, non contempla alcuna disciplina specifica per il produttore della materia prima, limitandosi a prevedere una causa di esclusione della sua responsabilità (sub art. 118, lett. f). Il “soggetto danneggiato” può avanzare richiesta risarcitoria nei confronti di uno qualunque dei responsabili. Il produttore della materia prima o il subfornitore di una parte componente del bene può, per contro, andare esente da responsabilità quando sussiste un vizio di progettazione del bene ed egli sia stato del tutto estraneo a tale fase, oppure, quando il difetto sia dovuto ad erronee istruzioni fornitegli dal produttore finale. E‘ fatta salva la possibilità, per chi risarcisce il danno, di agire in rivalsa verso gli altri operatori della catena di produzione. Figura ancora distinta è quella “dell’intermediario del fabbricante”, per esso intendendosi quel soggetto che non svolge attività di produzione del bene o di sue componenti, ma la cui attività, nell‘ambito della catena di distribuzione, può comunque influire sulle caratteristiche di sicurezza del prodotto. Si Rödl & Partner Diritto, economia, attualità pensi al rivenditore professionale a cui il produttore delega un controllo o la c.d. “messa a punto”, ovvero, a coloro i quali eseguono i c.d. “test di sicurezza”, gli incaricati del controllo qualità, i progettisti, etc.. Infine, ove abbia potuto incidere sulle caratteristiche di sicurezza del bene, il consumatore parte lesa potrà rivolgersi all’Importatore. Ultima figura tipicamente esposta ai rischi concernenti la responsabilità da prodotto è quella della persona giuridica che si presenti sul mercato come “produttore”; l’ipotesi ricorre allorquando una società, pur non interagendo in alcun modo con la catena produttiva del bene, vi appone il proprio marchio o segno distintivo. Anche in tal caso, il legislatore ha inteso garantire e tutelare il principio dell‘affidamento del consumatore indotto ad identificare il produttore di un determinato bene nel segno/marchio che lo contraddistingue. Un classico esempio può essere quello dell‘imprenditore affiliato (franchisee) in caso di franchising industriale. Febbraio 2012 sovente inserite (come fornitori di componenti) in grosse catene di prodotti finali, detta tematica merita una costante e peculiare riflessione, al fine di assicurare a tutti gli operatori del settore una efficace attività di prevenzione e, di conseguenza, una efficace tutela rispetto a questa particolare responsabilità. Per ulteriori informazioni Avv. Giuseppe Bonacci Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: [email protected] Il prodotto difettoso L’art. 117 del codice del consumo definisce il Prodotto difettoso come quel prodotto che “[...] non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto [...]” di una serie di circostanze. Particolare importanza assume la lett. b) del citato articolo che considera “l‘uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere”. Importanza dovuta al fatto che, in relazione ai comportamenti dell‘utente/consumatore, ragionevolmente prevedibili, si fonda anche l‘impianto probatorio della parte lesa che intenda instaurare un procedimento giudiziale per l‘accertamento del riconoscimento della difettosità del prodotto medesimo. In tal senso, l‘accezione di difetto ex art 117 del codice del consumo e‘ differente da quella di vizio considerata dal codice civile e che consente l‘esperimento della relativa azione di garanzia ex art. 1490 ss. del Codice Civile: ai sensi del codice del consumo, per “difetto” si intende non solo quello di fabbricazione in senso stretto ma anche l‘insicurezza del prodotto. Le condizioni di utilizzo in sicurezza devono essere valutate in base a determinate circostanze. Tra queste, meritano particolare richiamo le istruzioni di utilizzo annesse al prodotto, ma anche l‘uso a cui il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che si possono ragionevolmente prevedere. E’ curioso constatare che, in relazione a tale ultima circostanza, si era espressa anche la Cassazione già mezzo secolo fa (anche se in applicazione del 2043 c.c.), dichiarando la responsabilità del produttore del bene anche nel caso di utilizzo anomalo del prodotto, posto che il produttore avrebbe dovuto adottare un accorgimento idoneo ad evitare tale uso prevedibile anomalo (Cass. civ., 21.10.1957, n. 4004). Per Paesi come l’Italia (o anche la Germania) il cui comparto industriale è costituito per lo più da piccole-medie imprese, > Responsabilità da prodotto: ridurre i rischi, sviluppare una contrattualistica efficace a cura di Paolo Peroni, Rödl & Partner Milano Come visto nelle pagine che precedono, ai fini delle norme sulla sicurezza, è produttore il fabbricante del prodotto e qualsiasi altra persona che si presenti come fabbricante, apponendo sul bene il proprio nome o il proprio marchio. E’ considerato produttore anche l’importatore del prodotto e gli altri operatori professionali della catena di commercializzazione, nella misura in cui la loro attività possa incidere sulle caratteristiche di sicurezza dei prodotti. E’ invece distributore qualsiasi operatore professionale della catena di commercializzazione la cui attività non incide sulle caratteristiche di sicurezza dei prodotti. Il prodotto si considera “difettoso” quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto, tra l’altro, i) delle istruzioni e avvertenze fornite; ii) dell’uso cui il prodotto è destinato o i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono prevedere; iii) del tempo in cui il prodotto è messo in circolazione. Danno risarcibile è il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali nonché la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo normalmente destinato all’uso o consumo privato; non rientra nel danno risarcibile il danno al prodotto difettoso stesso o il danno cagionato all’impresa per effetto del difetto del prodotto. Le responsabilità del Produttore Oltre che ad una responsabilità penale in caso di violazione delle norme sulla sicurezza dei prodotti, il Produttore soggiace ad una responsabilità civile per i danni cagionati da difetti del prodotto. 3 Diritto, economia, attualità La responsabilità del produttore è esclusa: i) se il produttore non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi forma di distribuzione a titolo oneroso; ii) se il difetto è dovuto alla conformità del prodotto a una norma giuridica imperativa o a un provvedimento vincolante; iii) nel caso del produttore o fornitore di una parte componente, se il difetto è interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui è incorporata la parte o la materia prima ovvero alla conformità del componente alle istruzioni date dal produttore che la ha utilizzata. Nei rapporti tra produttori e subfornitori, quindi, è assolutamente raccomandabile puntualizzare in apposite clausole se il componente incorporato nel prodotto complesso sia stato sviluppato in conformità alle prescrizioni fornite dal committente/acquirente. Responsabilità solidale verso il consumatore e azione di regresso tra i soggetti della filiera produttiva Se più soggetti sono responsabili del danno, tutti sono obbligati in solido al risarcimento verso il danneggiato. Colui che ha risarcito, ha diritto di regresso contro gli altri, nella misura determinata dalle dimensioni del rischio riferibile a ciascuno, dalla gravità delle eventuali colpe, dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, la ripartizione della responsabilità avviene in parti uguali. Nelle ipotesi di prodotti integrati o complessi per i quali talune fasi della fabbricazione vengono delegate a subfornitori, in caso di difetto del prodotto, sussiste la responsabilità solidale di tutti gli operatori della catena di produzione verso il danneggiato. La responsabilità solidale degli operatori della catena di produzione è tuttavia mitigata dalle previsioni dell’articolo 118 in materia di esclusione di responsabilità e dalle previsioni dell’articolo 121 in materia di azioni di regresso: il fabbricante o subfornitore del componente è responsabile per danno da prodotto difettoso solo allorché il difetto sia riscontrabile nel prodotto o componente fornito; nelle altre ipotesi, il subfornitore potrà avvalersi della disposizione di esclusione di responsabilità, purché il difetto sia interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui è incorporato il componente ovvero alle istruzioni ricevute dal Produttore del prodotto cha abbia utilizzato il componente oggetto di subfornitura. Clausole di esonero o limitazione di responsabilità Ai sensi dell’articolo 124 del Codice del Consumo, è nullo qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente, nei confronti del danneggiato, la responsabilità. Il perimetro del divieto è espressamente circoscritto ai rapporti contrattuali verso il danneggiato e quindi non riguarda i rapporti contrattuali tra i soggetti professionali della catena produttiva. Sono quindi lecite ed efficaci eventuali clausole di limitazione od esonero di responsabilità inserite nei contratti stipulati tra produttori e fornitori ovvero tra committenti e subfornitori. Nell’ottica del subfornitore del componente, la clausola di esonero o limitazione di responsabilità inserita nel contratto stipulato con il fabbricante del prodotto finale consente di de- 4 limitare l’importo risarcibile alle dimensioni del rischio riferibile al produttore o subfornitore del componente. Nell’ottica del produttore del bene finale, la clausola di esonero o limitazione di responsabilità inserita nel contratto stipulato con il subfornitore limita o esclude la risarcibilità del danno invocabile in via di regresso attraverso l’azione di cui all’articolo 121 del Codice del Consumo. Le clausole di allocazione del rischio nei contratti di fornitura conclusi tra imprese della filiera produttiva Nei contratti di fornitura stipulati tra soggetti a diversi livelli della catena produttiva, può essere estremamente rilevante descrivere in apposite clausole o precisare nelle premesse le rispettive funzioni del subfornitore del componente e del produttore del bene in cui il componente viene incorporato o integrato. Ciò rileva in relazione alla ripartizione interna delle responsabilità contrattuali invocabili nelle azioni di regresso ma anche in relazione all’eventuale esonero dalle responsabilità verso il danneggiato del produttore o subfornitore che non abbia contribuito alla causazione dell’evento dannoso. Il produttore o fornitore di una parte componente, infatti, non assume alcuna responsabilità se il difetto è interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui è incorporata la parte o la materia prima ovvero alla conformità del componente alle istruzioni date dal produttore che la ha utilizzata. Come accennato, la sicurezza o pericolosità del Prodotto va valutata in relazione ad una pluralità di circostanze, tra cui: ✓ il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi e le avvertenze fornite; ✓ l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere. Le disposizioni precauzionali nei contratti di vendita ai consumatori finali E’ opportuno che anche i contratti stipulati tra Produttore e utente finale del bene identifichino correttamente le caratteristiche del prodotto e contengano adeguate avvertenze sul suo utilizzo e sui rischi che possano derivare da un uso improprio, il tutto, in termini facilmente comprensibili per il consumatore cui il prodotto è destinato. Per ulteriori informazioni Avv. Paolo Peroni Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: [email protected] Rödl & Partner Diritto, economia, attualità Febbraio 2012 > Rimedi processuali tipici: la class action L’adesione alla class action promossa da terzi a cura di Silvia Formenti, Rödl & Partner Milano I consumatori ed utenti che, anche mediante associazioni, intendono avvalersi della tutela di classe, devono depositare l’atto di adesione, anche senza ministero di difensore, nella cancelleria del Tribunale competente. Se accoglie la domanda, il Tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui liquida le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione o stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione di dette somme. La sentenza diviene esecutiva decorsi 180 giorni dalla pubblicazione e fa stato nei confronti di tutti i consumatori e gli utenti che hanno aderito all’azione collettiva. La Class Action Dal 1° gennaio 2010, dopo una lunga serie di rinvii, è entrato in vigore l’articolo 140-bis del Codice del Consumo concernente le cosiddette azioni collettive. Sulla carta, si tratta di una straordinaria occasione per rendere effettiva la tutela dei consumatori in tutte quelle situazioni nelle quali si controverte per importi di valore contenuto e, per questo, generalmente si preferisce rinunciare alla difesa dei propri diritti. Le azioni collettive, nate nel diritto anglosassone e sviluppatesi negli ordinamenti di common law, sono comunemente definite “class action”. Il Codice del Consumo inquadra chiaramente l’ambito dell’azione collettiva, la quale, in particolare, tutela i diritti di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica o comunque omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati mediante moduli standard o formulari (ai sensi degli artt. 1341 e 1342 del Codice Civile). Per “situazione identica” si intende l’identità del fatto generatore del danno e della norma che si assume violata. Ad esempio, il danno che deriva da un difetto di un componente di un’automobile. In tal caso, la condotta dell’impresa è unica e consiste nell’errore compiuto nella produzione di quel determinato pezzo che ha causato l’incidente, indipendentemente dal fatto che, a seguito di tale difetto, un soggetto si sia rotto una gamba, mentre un altro abbia soltanto rotto il parafango. La class action è diretta a tutelare diritti identici od omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale: in questa ipotesi, si ricomprendono tutti coloro che hanno materialmente utilizzato un bene e ne abbiano subito un danno. La class action mira infine a tutelare diritti identici od omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. Come si propone la Class Action? La class action si propone avanti il Tribunale ordinario avente sede nel capoluogo della regione in cui ha sede l’impresa convenuta, mediante atto di citazione notificato anche all’Ufficio del Pubblico Ministero. Alla prima udienza, il Tribunale pronuncia sull’ammissibilità della domanda con ordinanza reclamabile. La domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, sussiste un conflitto di interessi, il Giudice non ravvisa l’identità o l’omogeneità dei diritti individuali tutelabili, il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe. Se il Giudice ritiene ammissibile la domanda, fissa termini e modalità della più opportuna pubblicità. Deve infine osservarsi che le rinunce e le transazioni intervenute tra alcune delle parti non pregiudicano i diritti degli aderenti che non vi abbiano espressamente consentito. Per ulteriori informazioni Avv. Silvia Formenti Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: [email protected] > Le clausole vessatorie e il gioco della concorrenza a cura di Carlo Impalà, Rödl & Partner Milano Lo scorso 24 gennaio 2012, con l’emanazione del decreto n.1/2012 recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, il Governo Monti ha dato avvio alla tanto attesa “fase 2” del proprio mandato, volta essenzialmente a stimolare il gioco della concorrenza all’interno del Paese. Il decreto – al momento della pubblicazione, ancora in attesa di conversione in legge – introduce, tra le altre, diverse misure tese alla liberalizzazione delle attività economiche, alla riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese, ad incentivare lo sviluppo delle imprese, la flessibilità sul lavoro, nonché ad assicurare una maggiore tutela del consumatore. Sotto quest’ultimo profilo, sono stabilite forme di garanzie ulteriori per i consumatori, in particolare rendendo più snella la procedura dell’azione collettiva di classe e attivando una forma di controllo amministrativo sulle clausole vessatorie nei c.d.“contratti di massa”. Molte le disposizioni di interesse. 5 Diritto, economia, attualità Tutela amministrativa contro le clausole vessatorie L’articolo 5 introduce nel Codice del Consumo (il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206), una nuova norma mirante ad offrire un’importante tutela amministrativa contro la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori. Si tratta dell’articolo 37-bis, posto dopo l’articolo 37 in tema di azione inibitoria concessa alle associazioni dei consumatori nei confronti dei professionisti che utilizzano condizioni generali di cui sia accertata l’abusività. Ove la formulazione dell’articolo 37-bis del Codice del Consumo fosse confermata, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”), previo accordo con le associazioni di categoria o su denuncia dei consumatori interessati, potrà accertare e dichiarare la vessatorietà delle clausole inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari. Il provvedimento che accerta la vessatorietà verrà diffuso mediante pubblicazione su apposita sezione del sito internet istituzionale dell’AGCM e sul sito dell’operatore che adotta la clausola ritenuta vessatoria, nonché mediante ogni altro mezzo ritenuto opportuno al fine di informare compiutamente i consumatori. A favore delle imprese, interviene, tuttavia, la facoltà di interpellare preventivamente l’Autorità in merito alla vessatorietà delle clausole che si intendono utilizzare nei propri rapporti commerciali con i consumatori. Avverso i provvedimenti di accertamento della vessatorietà delle clausole adottati dall’AGCM sarà competente il giudice amministrativo, fermo restando la giurisdizione del giudice ordinario sulla validità delle clausole e sul risarcimento del danno. ma 2, lettere a) b) e c) dell’art. 140-bis del Codice del Consumo, sostituendo la parola “identica” con la parola “omogenea”. Tutela delle microimprese da pratiche commerciali ingannevoli e aggressive Infine, il decreto n. 1/2012 rafforza gli strumenti di tutela a favore delle microimprese. Con la previsione normativa contenuta nell’articolo 7 del decreto, vengono estese alle microimprese le tutele previste dal Codice del Consumo in favore dei consumatori persone fisiche. Per microimprese, si intendono le imprese con meno di dieci dipendenti e un fatturato annuo inferiore ai 2 milioni di euro2. L’opinione Considerata l’attuale fase di crisi economica, le misure sopra descritte assumono particolare rilevanza e – per quanto ancora suscettibili di ulteriori modifiche in sede di conversione in legge del decreto – sembrano evidenziare una maggiore sensibilità al tema della tutela del consumatore, in una prospettiva di allineamento del nostro Paese alle migliori practices europee. Particolarmente importante ed innovativa appare soprattutto la circostanza che, in futuro, anche la piccola impresa potrà ricorrere alle tutele amministrative e giurisdizionali di cui il singolo consumatore persona fisica è in grado di avvalersi in base alle attuali disposizioni contenute nel Codice del Consumo. Ulteriore fattore degno di nota è senza dubbio l’accresciuta considerazione, da parte dell’attuale Governo, del ruolo ricoperto dall’AGCM, chiamata a svolgere, in questo così come in altri settori, una funzione di controllo sempre più incisiva e determinante. Per ulteriori informazioni Norme per rendere efficace l’azione di classe Il decreto interviene inoltre sull’articolo 140-bis del Codice del Consumo specificando l’ambito della tutela del consumatore attuabile attraverso l’azione di classe. A tal riguardo, in luogo del requisito dell’identità del diritto – che i consumatori dovevano dimostrare per esperire una azione di classe – viene previsto il requisito dell’omogeneità. In tal modo, il Governo Monti intende porre rimedio ad una previsione che poteva risultare di difficile applicazione dato che il requisito dell’identità del diritto, ad una interpretazione più rigorosa, correva il rischio di rivelarsi di ardua configurabilità (si pensi, infatti, al caso di una banca d’affari che fallisce: in tale circostanza, il consumatore, avendo sottoscritto in tempi diversi e investito somme diverse, risulterebbe titolare di una situazione soggettiva unica e irrepetibile). In questa prospettiva, sono state apportate modifiche al com2 v. Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione europea, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese, testo integrale dell’atto - Gazzetta Ufficiale L 124 del 20.05.2003, 6 Dott. Carlo Impalà Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: [email protected] Mercati finanziari > Trasparenza informativa nelle operazioni di trasferimento di strumenti finanziari a cura di Marco Pane, Rödl & Partner Roma Novità di grande rilievo in tema di trasferimenti di attività fi- Rödl & Partner Diritto, economia, attualità nanziarie e informazioni integrative. Il 23 novembre 2011, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Regolamento (UE) 1205/2011 che adotta le Modifiche all’IFRS 7 in materia di strumenti finanziari. Le modifiche sono state adottate con lo scopo di consentire agli utilizzatori del bilancio una valutazione più approfondita delle esposizioni ai rischi connesse al trasferimento di attività finanziarie e degli effetti di tali rischi sulla posizione finanziaria netta delle entità. Il nuovo regime si applica a partire dai bilanci degli esercizi che iniziano successivamente al 30 giugno 2011 e mira a promuovere la trasparenza dell’informativa delle operazioni di trasferimento, in particolare delle operazioni di cartolarizzazione. Come previsto dal Regolamento, l’entità che trasferisce un’attività finanziaria deve fornire adeguata informativa in un’unica nota integrativa del bilancio che consenta: Febbraio 2012 b) c) d) e) a) di comprendere la relazione tra attività finanziarie trasferite non eliminate integralmente e le passività associate; b) di valutare la natura, e i rischi correlati, del coinvolgimento residuo dell’entità nell’attività finanziarie eliminate. f) Circa le attività finanziarie trasferite non eliminate integralmente, il Regolamento prevede che l’entità può aver trasferito attività finanziarie in modo tale da rendere tutte le attività finanziarie trasferite, o parte di esse, non idonee per l’eliminazione contabile. In questo caso, alla data di riferimento di bilancio e per ogni classe di attività finanziaria trasferita non eliminata integralmente, l’entità è tenuta a specificare: a) la natura delle attività trasferite; b) la natura dei rischi e dei benefici della proprietà ai quali l’entità è esposta; c) una descrizione della natura della relazione tra le attività trasferite e le passività associate, incluse le restrizioni derivanti dal trasferimento, gravanti sull’utilizzo delle attività trasferite da parte dell’entità che redige il bilancio; d) se la controparte (o le controparti) delle passività associate ha (hanno) rivalsa solo su quelle attività trasferite, un piano che illustri il fair value (valore equo) delle passività associate e la posizione netta [la differenza tra il fair value (valore equo) delle attività trasferite e le passività associate]; e) quando l’entità continua a rilevare le attività nella misura del proprio coinvolgimento residuo, il valore contabile complessivo delle attività originarie prima del trasferimento, il valore contabile delle attività che l’entità continua a rilevare e il valore contabile delle passività associate. Circa, invece, le attività finanziarie trasferite integralmente, il Regolamento prevede che se l’entità conserva un coinvolgimento residuo in queste attività, è tenuta ad indicare per ciascun coinvolgimento residuo una serie di informazioni di seguito meglio specificate. Più in particolare, l’entità, nel caso in cui trasferisca integralmente le attività finanziarie ma mantenga un coinvolgimento residuo, deve fornire indicazioni in merito al: a) valore contabile delle attività e delle passività che sono rilevate nel prospetto della situazione patrimoniale finanziaria dell’entità e che rappresentano il coinvolgimento residuo dell’entità nelle attività finanziarie eliminate, nonché le voci in cui viene rilevato il valore contabile di tali attività e passività; fair value (valore equo) delle attività e passività che rappresentano il coinvolgimento residuo dell’entità nelle attività finanziarie eliminate; ammontare che meglio rappresenta l’esposizione massima dell’entità al rischio di perdita derivante dal proprio coinvolgimento residuo nelle attività finanziarie eliminate e le informazioni che indicano come viene determinata l’esposizione massima al rischio di perdita; flussi finanziari in uscita non attualizzati che sarebbero o potrebbero essere necessari per riacquistare le attività finanziarie eliminate o altri importi dovuti al cessionario relativamente alle attività trasferite; analisi delle scadenze contrattuali relativi ai flussi finanziari che sarebbero o potrebbero essere necessari per riacquistare le attività finanziarie e degli altri importi dovuti al cessionario relativamente alle attività trasferite, che indichi le scadenze residue contrattuali del coinvolgimento residuo dell’entità; informazioni qualitative a supporto delle informazioni previste dalle lettere da (a) ad (e). In merito alle informazioni di carattere qualitativo, il Regolamento chiarisce che queste devono riguardare, in particolare, una descrizione relativa alle modalità di gestione del rischio inerente al proprio coinvolgimento residuo nelle attività finanziarie eliminate contabilmente, agli eventi che possono determinare l’insorgere di obbligazioni a fornire un supporto finanziario oppure a riacquistare un’attività finanziaria trasferita, al possibile sostenimento di perdite. Per ulteriori informazioni Dott. Marco Pane Tel.: + 39 06.96701270 E-mail: [email protected] Energia e green economy > Fotovoltaico 4.0: la sfida europea, la risposta italiana a cura di Paolo Peroni, Rödl & Partner Milano Il fotovoltaico rappresenta un punto fermo nel mix energetico nazionale: nel 2011 sono entrati in esercizio impianti per oltre 8.000 MW. Il 2 febbraio 2012, risultavano installati e incenti- 7 Diritto, economia, attualità vati ben 329.545 impianti per un totale di oltre 12.781.045 KW di fotovoltaico (e un costo annuo di Euro 5.535.212.126). La previsione é di una produzione cumulata pari al 3% della produzione italiana. Secondo le associazioni di categoria, il fotovoltaico ha generato un giro d’affari di circa 40 miliardi di euro nel 2010, per un gettito fiscale conseguente stimabile in circa 3,9 miliardi di euro. Al raggiungimento dell’obiettivo del Quarto Conto Energia (23 GW di impianti installati), il contributo del fotovoltaico varrà circa 30 TWh di energia rinnovabile prodotta, pari al 10% dell‘energia attualmente venduta sul mercato. Alla fine del 2010, il governo spagnolo ha drasticamente tagliato le tariffe feed-in del 45% per gli impianti a terra, del 25% per i grandi impianti su tetto di grandi dimensioni e del 5% per quelli più piccoli, imponendo un limite temporale di 25 anni alla durata degli incentivi, prima estesi a tutta la vita utile dell‘impianto. I tagli hanno avuto rilevanti conseguenze sul settore, con gravi ripercussioni per chi aveva investito a causa della retroattività del provvedimento. Ma il fotovoltaico non è solo un business: la crescita di un sistema di infrastrutture energetiche non inquinanti, se in armonia con l’ambiente, è fatto virtuoso: favorisce la formazione di un tessuto economico concorrenziale, produce ricchezza ma soprattutto può generare “esternalità positive” a vantaggio dell’intera collettività, grazie al notevole risparmio in termini di emissioni di CO2. Il 2011 è stato un anno complesso per il fotovoltaico spagnolo: a gennaio dello scorso anno, il Parlamento ha approvato un decreto mediante il quale ha posto un limite alle ore di produzione degli impianti fotovoltaici aventi diritto alle tariffe incentivanti. Molti investitori, sia locali che internazionali, appellandosi al trattato europeo della Carta dell‘Energia, hanno promosso azioni contro il Governo spagnolo per vedersi risarcire i danni provocati dai tagli retroattivi. Ma il rischio Paese non spaventa troppo gli operatori del solare. La sfida europea La Grecia Se ne sono accorti da tempo anche altri Paesi europei, dove il fotovoltaico è una realtà industriale fortemente incentivata e oramai consolidata. Nel mese di dicembre del 2011, una nota società quotata italiana attiva nel settore dell‘energia da fonti rinnovabili ha annunciato che sono in avanzata fase di realizzazione due impianti fotovoltaici della potenza di circa 5 MWp costruiti in Grecia per conto di una primaria utility europea. Al centro della bufera della crisi dell’Eurozona, la Grecia potrebbe puntare le carte di un eventuale rilancio - auspicato ma non certo scontato in queste ore di tensione - anche su un sostanzioso piano per il fotovoltaico, con l’obiettivo di attrarre capitali dall’estero, soprattutto dalla virtuosa e lungimirante Germania. Il “progetto Helios”, annunciato ad Amburgo a settembre del 2011, si proponeva di mettere a disposizione degli investitori del fotovoltaico terreni demaniali privi di vincoli amministrativi (come, ad esempio, cave abbandonate o basi militari) onde consentire la realizzazione di grandi parchi in un’area del mediterraneo ad altissimo irraggiamento. Nella notte di domenica 12 febbraio 2012, il governo greco ha ottenuto la maggioranza sul piano di austerity, necessario per ottenere da Bce, Ue e Fmi i 130 miliardi indispensabili per scongiurare il fallimento e la sua uscita dall‘euro. Resta l’interrogativo se abbia un senso investire capitali nel solare. La Germania Insignita del prestigioso Gigaton Award durante il summit sul clima di Durban, la Germania è tra i pionieri anche nel fotovoltaico. Lo scorso 28 novembre, a Berlino, è stato completato e collegato alla rete elettrica il milionesimo impianto. Benché sia stata l’Italia a conseguire il primato per capacità fotovoltaica installata nel 2011, la Germania resta un mercato di punta, con una potenza installata nell’ultimo anno intorno a 5 GW, che porterà la capacità complessiva a 22 GW. Un nuovo record per un Paese in cui i sistemi fotovoltaici coprono circa il 3% del consumo di energia elettrica lordo e che punta a raggiungere la soglia del 10% entro il 2020. E ciò nonostante il calo degli incentivi previsto e recentemente confermato dalla Bundesnetzagentur, l’agenzia federale delle reti. A partire dal 1° gennaio 2012, i sussidi agli impianti fotovoltaici sono stati fortemente ridotti in virtù della ragguardevole capacità installata tra l’ottobre 2010 e il settembre 2011, pari a circa 5.200 MW. I tedeschi, infatti, hanno un conto energia che prevede incentivi decrescenti al crescere della potenza complessiva installata. In base a questo meccanismo, la riduzione agli incentivi, originariamente prevista del 9%, è cresciuta fino al 15%, il tutto, però, in un contesto di regole stabili e prevedibili. A conti fatti, dal 1° gennaio 2012 gli incentivi al fotovoltaico tedesco vanno da un minimo di 17,94 centesimi di euro (impianti a terra) ad un massimo di 24,43 centesimi (impianti sui tetti). Un impianto di 1 MW su edificio, ad esempio, percepisce una tariffa di 21,98 centesimi di euro contro i 22,40 centesimi riservati ad un impianto di pari caratteristiche installato in Italia. 8 La Spagna Fotovoltaico - Italia: il punto sugli incentivi Il quadro dei sussidi del fotovoltaico italiano si articola oggi su due norme di riferimento: il “Decreto Romani”3 e il Quarto Conto Energia4. Abbiamo già avanzato i nostri dubbi circa la scelta del Decreto Romani di chiudere anticipatamente i rubinetti relativi agli incentivi di cui al Terzo Conto Energia (si veda, sul punto “L’incerto futuro del fotovoltaico all’ombra del Decreto Romani e del Quarto Conto Energia” a cura di Roberto Pera, settembre 2011). Gli investitori erano preparati ad una riduzione delle tariffe, 3 D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28. 4 Decreto Ministeriale 5 maggio 2011. Rödl & Partner Diritto, economia, attualità proporzionata alla contrazione dei costi di realizzazione degli impianti. Ciò che invece il mercato (e le banche) non avrebbero assorbito sarebbe stata l’incertezza relativa al conseguimento degli incentivi e l’ambiguità circa il loro ammontare, elementi che avrebbero messo a dura prova la possibilità di pianificare e deliberare gli investimenti nel settore e calcolarne in anticipo la sostenibilità finanziaria. Secondo molti commentatori, il Quarto Conto Energia ha disatteso le aspettative del mercato, configurando un sistema complesso e farraginoso, fortemente penalizzante per l’economia del solare. Che cosa chiedono gli operatori del fotovoltaico italiano al Governo Monti? A dicembre, le principali associazioni di categoria, tra cui GIFI e Assosolare, hanno inviato al Governo Monti un appello congiunto, essenzialmente articolato in quattro punti: ✓ stabilità e chiarezza normativa, sia a livello nazionale che locale, per garantire certezza degli investimenti, sviluppo della filiera industriale e creazione di posti di lavoro; ✓ semplificazione degli iter amministrativi, in una logica di omogeneizzazione tra le varie regioni; ✓ adeguamento delle reti e degli impianti di produzione, favorendo lo sviluppo delle smart grid e dei sistemi di accumulo di energia al fine di agevolare la crescita delle rinnovabili non programmabili in tutto il territorio nazionale; ✓ sostegno alla ricerca e all’innovazione tecnologica, attraverso meccanismi che premino la ricerca interna alle aziende e gli investimenti in impianti innovativi. Le prime risposte: la norma antifotovoltaico Le prime risposte dell’esecutivo, tuttavia, paiono andare nella direzione opposta da quella unanimemente invocata. Polemiche, in particolare, ha sollevato il decreto legge sulle liberalizzazioni varato dal Consiglio dei ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 gennaio 20125. L’articolo 65 del Decreto Liberalizzazioni contiene infatti una misura che sospende gli incentivi previsti dal Quarto Conto Energia per gli impianti fotovoltaici installati a terra in aree agricole con sessanta giorni di anticipo rispetto alla deadline fissata dal - già contestatissimo - Decreto Romani del 2011. “Dalla data di entrata in vigore del decreto legge - recita l’articolo 65 - per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole non è consentito l‘accesso agli incentivi statali di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28”. Potranno continuare ad ottenere i sussidi statali solo gli impianti a terra che hanno già ottenuto il titolo abilitativo o per i quali sia stata presentata la relativa richiesta, a condizione che l‘impianto entri in esercizio entro un anno. La disposizione più insidiosa - si osservi bene - è contenuta 5 Decreto Legge sulla “concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, n. 1 del 2012 pubblicato in Gazzetta Ufficiale, n. 19 del 24 gennaio 2012). 6 Il comunicato integrale è pubblicato e scaricabile dal sito internet http://www.assosolare.org/2012/01/liberalizzazioni-associazioni-art-65gravi-effetti-su-investimenti-in-corso/ Febbraio 2012 nell’ultimo periodo del secondo comma: a far data dal giorno successivo alla pubblicazione del Decreto Liberalizzazioni varato dal Governo Monti, cioè dal 25 gennaio 2012, gli impianti fotovoltaici installati a terra dovranno rispettare le prescrizioni che il Decreto Romani aveva imposto per gli impianti che fossero entrati in esercizio a far data dal 27 marzo 2012, ovvero avere potenza inferiore a 1 MW e occupare un’area non superiore al 10% del totale del terreno. L’articolo 65 del Decreto Liberalizzazioni contiene una norma avente efficacia retroattiva, il cui effetto è quello di azzerare da subito gli incentivi agli impianti fotovoltaici oltre la soglia del megawatt in fase di realizzazione su fondi agricoli. L‘inserimento dell‘articolo 65 nel testo del Decreto Liberalizzazioni ha suscitato una violenta - e ad avviso di chi scrive, più che giustificata - reazione da parte delle associazioni di categoria. “Il testo pubblicato in Gazzetta ufficiale - si legge in un comunicato congiunto di ANIE/GIFI, APER, ASSOSOLARE e ASSO ENERGIE FUTURE6 - introduce, incredibilmente, disposizioni retroattive che ledono gravemente i diritti dei produttori fotovoltaici che in buona fede hanno iniziato a realizzare nuovi impianti secondo la normativa vigente, da soli 10 mesi (D.Lgs. 28/11). L’articolo 65 (…), infatti, stralcia parte dell’articolo 10 del DLgs 3 marzo 2011 n.28 che concedeva un anno di tempo ai produttori per mettere in esercizio gli impianti fotovoltaici a terra in area agricola, il cui iter autorizzativo fosse già avviato. L’abrogazione di questa norma transitoria getta nel panico i produttori i quali, avendo già sostenuto tutti i costi per la realizzazione degli impianti, a meno di due mesi dalla scadenza dell’anno di tempo concesso dal DLgs 3 marzo 2011 n.28, non sanno ora se mai potranno ricevere un incentivo per gli impianti prossimi a entrare in esercizio. ANIE/GIFI, APER, ASSOSOLARE e ASSO ENERGIE FUTURE - si legge nella nota - chiedono con forza il rapido e autorevole intervento del Parlamento, affinché in sede di conversione del Decreto venga stralciata definitivamente la nuova norma antifotovoltaico”. In queste ore, è all’esame del Parlamento un emendamento dell’articolo 65 che potrebbe risolvere talune criticità. Nonostante le perplessità degli operatori, nonostante un quadro legislativo mutevole, il solare in Italia continua a rivestire notevole appeal. Meno soggetto a pressioni speculative, il solare italiano è anzi maturato, si è evoluto in senso industriale ed è oggi proteso verso un obiettivo – la grid parity – non più utopistico. Per ulteriori informazioni Avv. Paolo Peroni Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: [email protected] 9 Diritto, economia, attualità Project financing > Il Decreto Liberalizzazioni e le nuove frontiere del Project financing pubblico a cura di Tiziana Fiorella, Rödl & Partner Milano Apparentemente destinata all’oblio sotto il peso della crisi del debito che ha investito l’Europa, la finanza di progetto potrebbe conoscere una seconda giovinezza e trasformarsi in un driver di crescita per settori strategici dell’economia. c.d. “contratto di disponibilità” in alternativa al “contratto di leasing”. Il contratto di disponibilità (nuovo modello di partenariato pubblico-privato) consente alla Pubblica Amministrazione di ottenere un’opera “chiavi in mano” - che resta di proprietà privata, ma viene destinata al servizio pubblico e la cui progettazione, realizzazione e gestione tecnica è totalmente a carico del partner privato - a fronte del pagamento di un canone di disponibilità, appunto, ed eventualmente di un contributo in corso d’opera e/o un prezzo di trasferimento, in caso di successivo passaggio dell’opera in capo alla pubblica amministrazione10. Il diritto di prelazione Negli ultimi mesi, il project financing - questo il nome di origine coniato nei Paesi Anglosassoni - sembra essere al centro delle priorità del nostro legislatore, in particolare per quanto riguarda l’istituto nella sua forma di partenariato pubblico privato. Dopo le modifiche apportate dal “Decreto Sviluppo”7 del maggio 2011, sono intervenuti, a dicembre, il “Decreto Salva Italia”8, con l’introduzione di una procedura di accesso alla finanza di progetto unica e più snella, e a gennaio, il “Decreto Liberalizzazioni”9, le cui misure per lo sviluppo infrastrutturale dovrebbero renderne più appetibile il ricorso, anche in momenti di crisi. Norma di fondamentale importanza in relazione alle infrastrutture strategiche, poi, è quella che garantisce al promotore del project financing il diritto di prelazione rispetto agli altri concorrenti, purché se ne dia atto nel relativo bando di gara11. Tale previsione - sottoposta comunque a talune condizioni - dovrebbe costituire un efficace incentivo ad iniziative di finanza di progetto attivate dai privati nella costruzione delle grandi opere. Per ulteriori informazioni Le novità più rilevanti: i project bond Tra le novità più importanti del Decreto Liberalizzazioni segnaliamo la possibilità per le società concessionarie delle opere di emettere project bond garantiti, fino all’avvio della gestione, dal sistema finanziario, da fondazioni e da fondi privati. L’art. 41 del Decreto Legge n. 1/2012 dispone che “le società costituite al fine di realizzare e gestire una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità possono emettere, previa autorizzazione degli organi di vigilanza, obbligazioni (…) purché destinate alla sottoscrizione da parte degli investitori qualificati”. Tale meccanismo vorrebbe fornire agli enti pubblici uno strumento che faciliti il reperimento di capitali privati per il finanziamento delle relative opere pubbliche, ammettendo il coinvolgimento nel finanziamento, non solo del sistema bancario, ma dell’intero sistema finanziario. Il project bond potrebbe rappresentare uno strumento estremamente interessante in quanto consente all’operatore privato di far fronte agli oneri per la realizzazione dell’opera anche durante la fase di costruzione, quando cioè l’opera non ha ancora iniziato a produrre flussi di cassa. Avv. Tiziana Fiorella Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: tiziana.fi[email protected] > Project financing e fotovoltaico: quale futuro? a cura di Elena Urbani, Rödl & Partner Milano Conviene ancora ricorrere al project financing per la realizzazione di impianti fotovoltaici? E qual è la strategia vincente in termini di costi e di efficienza? Il contratto di disponibilità Altra misura che punta al decollo del project financing è il 7 Decreto Legislativo 13 maggio 2011, n. 70. 8 D.L. n. 201/2011. 9 Decreto Legge sulla “concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”, n. 1 del 2012 pubblicato in Gazzetta Ufficiale, n. 19 del 24 gennaio 2012). 10 Si veda art. 44, D.L. 1/2012. 11 Si veda art. 42 D.L. n. 1/2012. 10 Negli anni del boom, i grandi investimenti nel mercato dell’energia solare hanno visto il frequente ricorso alla finanza di progetto nella sua accezione privatistica (quella che gli specialisti chiamano “Project financing puro”). Nel futuro del fotovoltaico, plausibilmente caratterizzato da piccoli impianti su tetti piuttosto che da grandi parchi su terreni, il project financing puro rischia di trasformarsi in uno schema di finanziamento residuale. Il Quarto Conto Energia e le ultime novità legislative (brevemente richiamate e commentate nell’articolo di Tiziana Fiorella che precede) hanno invece posto le basi per Rödl & Partner Diritto, economia, attualità un grande rilancio della finanza di progetto nella sua forma di Partenariato Pubblico Privato. La finanza di progetto come forma di partenariato pubblico - privato nell’ambito del fotovoltaico Il project financing nella sua accezione pubblicistica intende la finanza di progetto quale strumento concessorio con cui un’amministrazione (concedente) affida ad un soggetto privato (concessionario) la progettazione, la realizzazione, il finanziamento e la gestione funzionale ed economica dell’impianto fotovoltaico. Questo modello ben si adatta alla realizzazione degli impianti su superfici o edifici di proprietà o nella disponibilità dell’ente concedente cui si rivolgono gli incentivi più generosi del Conto Energia oggi vigente. L’ammissibilità della finanza di progetto come forma di partenariato pubblico - privato nell’ambito del fotovoltaico trova riscontro nell’art. 12 comma 2 del Decreto Legislativo, 3 marzo 2011 n. 28 (c.d. “Decreto Rinnovabili”), secondo il quale ”i soggetti pubblici possono concedere a terzi superfici di proprietà per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel rispetto della disciplina di cui al Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n.163”. L’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (“AVCP”) ha recentemente pubblicato un documento denominato “Linee guida per l‘affidamento della realizzazione di impianti fotovoltaici ed eolici” in cui ha, tra l’alto, chiarito che: ✓ sulla base del quadro normativo vigente, è legittimo che il Comune rivesta la qualifica di soggetto responsabile dell’impianto, esternalizzandone la gestione materiale; ✓ la realizzazione degli impianti destinati a soddisfare il fabbisogno energetico degli enti pubblici soggiace alle regole dell’evidenza pubblica ed al rispetto delle disposizioni contenute nel Codice dei Contratti Pubblici; ✓ in questo contesto, possono trovare applicazione i contratti di Partenariato Pubblico Privato; ✓ attraverso la forma del PPP più diffusa, ossia il contratto di concessione di costruzione e gestione, è possibile affidare a un soggetto privato (concessionario) il diritto di costruire e gestire un impianto di produzione di energia e di percepire così i proventi derivanti dalla vendita dell’energia prodotta per un tempo determinato. Le applicazioni dell’istituto dimostrano come le amministrazioni cerchino di ottenere dall’investimento nell’impianto fotovoltaico la copertura del proprio fabbisogno energetico. Il più delle volte, infatti, l’ente pubblico, una volta installato l’impianto sull’immobile di cui risulta concedente, chiede che gli venga retrocessa una parte dell’energia prodotta; ciò proprio al fine di coprire il fabbisogno energetico dell’immobile. Nello schema del project financing pubblico, la Pubblica Amministrazione finisce con l’assumere il ruolo di “regista dell’operazione finanziaria di progetto”, essendole attribuite i ruoli più diversi, a partire dalla programmazione delle opere da realizzare, sino alla valutazione della fattibilità tecnicoeconomica del progetto. Febbraio 2012 Il project financing puro Per contro, il project financing “puro” si sostanzia in una tecnica di finanziamento per la realizzazione degli impianti fotovoltaici, i cui principali tratti distintivi sono riconducibili ad aspetti patrimoniali e finanziari. Nel fotovoltaico, questo modello di finanziamento prevede che un soggetto privato, con un terreno a disposizione, o altrimenti ottenuto in concessione, costituisca una società ad hoc (c.d. Special Purpose Vehicle o SPV), la quale diverrà titolare e soggetto di riferimento per l’intero progetto. Al fine di coprire il fabbisogno finanziario dell’operazione, l’SPV può essere finanziata sia da capitale privato (c.d. “equity”), fornito generalmente dai promotori, sia da capitale di debito. Il capitale di rischio investito dai soci della società e dai finanziatori viene remunerato dai proventi (c.d. flussi di cassa o “cash flows”) derivanti dalla gestione dell’impianto per un congruo periodo di tempo. La possibilità di operare per il tramite di una SPV ha l’indubbio vantaggio di proteggere gli interessi dei promotori, i quali sono così “schermati“ dall‘eventuale fallimento del progetto stesso. Il futuro della finanza di progetto nel fotovoltaico Nel raffronto tra project financing privato e project financing come forma di Partenariato Pubblico Privato, è quest‘ultimo, oggi, a presentare maggiori vantaggi per il mercato fotovoltaico; e ciò per una serie di ragioni così riassumibili: 1. la possibilità di beneficiare dei maggiori sussidi previsti dal Quarto Conto Energia per la produzione di energia da impianti fotovoltaici il cui “soggetto responsabile” sia un ente pubblico. In tali casi, infatti, l’impianto viene classificato come piccolo impianto; 2. la cumulabilità del diritto agli incentivi con altri sussidi pubblici, accordata ai soli impianti fotovoltaici di proprietà di regioni, province autonome o enti locali, e ciò in deroga alla regola generale per cui “gli incentivi non sono cumulabili con altri incentivi pubblici comunque denominati”; 3. la possibilità per l’Amministrazione di realizzare un’iniziativa di notevole interesse per la collettività, limitando l’impatto sul bilancio pubblico ed evitando di assumere il rischio finanziario e di mercato legato alla realizzazione e gestione dell’impianto; 4. la garanzia di una più elevata qualità della progettazione, così come di tempi ridotti di realizzazione e di maggiore efficienza gestionale, grazie all’apporto dell’expertise dei privati; 5. gli indubbi benefici per la collettività quali la messa in sicurezza dell’area interessata alla realizzazione dell’impianto, la bonifica o la realizzazione di lavori di manutenzione (a carico del concessionario), la realizzazione di misure di risparmio energetico negli edifici e nelle pertinenze di cui l’ente stesso risulta titolare. Previsioni per il futuro Alla luce delle suesposte considerazioni, è ragionevole ipotizzare un rilancio del project financing come strumento di partenariato pubblico privato, in cui gli enti pubblici rivestono 11 Diritto, economia, attualità il ruolo di “soggetti responsabili” degli impianti. A tal fine, sarebbe opportuno che il legislatore adotti una serie di misure che tendano ad agevolarne il ricorso, quali, ad esempio: ✓ un’ulteriore semplificazione delle procedure previste dal Codice dei Contratti Pubblici al fine di facilitare l’accesso a questo istituto, già parzialmente intervenuta con il Decreto Liberalizzazioni; ✓ un’agevolazione all’accesso al sistema degli incentivi nel settore del fotovoltaico; ✓ un’implementazione del binomio efficienza-risparmio energetico con interventi di energy saving, quali ad esempio il teleriscaldamento e l’isolamento termico. Si dovrà certamente attendere qualche mese per appurare se il rinnovato quadro legislativo sarà in grado di rivitalizzare il project financing nel fotovoltaico. Le misure del “Decreto Liberalizzazioni”, comunque, sembrerebbero muoversi nella direzione appropriata. Per ulteriori informazioni Dott.ssa Elena Urbani Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: [email protected] Giustizia > Tribunale delle Imprese a cura di Federica Bargetto, Rödl & Partner Milano I recenti interventi legislativi attuati su impulso del Governo Monti hanno investito anche il contenzioso civile e societario, con l’obiettivo di conferire maggiore efficienza ad un sistema giudiziario appesantito da un numero straordinario di processi pendenti. I Tribunali delle Imprese Il recentissimo Decreto Liberalizzazioni12 - al momento della pubblicazione, ancora in attesa di conversione in legge - è intervenuto, in particolare, sul fronte della riorganizzazione interna delle competenze dei Tribunali, attraverso l’introduzione di sezioni specializzate per il contenzioso in materia di imprese (il c.d. “Tribunale delle Imprese”). L’art. 2 del Decreto, infatti, ha modificato il d.lgs. 168/2003, istitutivo delle 12 Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1. 12 sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Queste ultime - ove le linee essenziali dell’articolo 2 del Decreto saranno confermate nella legge di conversione - avranno dunque una competenza molto più vasta, che investirà le società per azioni e in accomandita per azioni e le società da queste controllate o che le controllano, nell’ipotesi di cause: ✓ tra soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto di controversia; ✓ relative al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti; ✓ di impugnazione di deliberazioni e decisioni di organi sociali; ✓ tra soci e società; ✓ in materia di patti parasociali; ✓ contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari; ✓ aventi ad oggetto azioni di responsabilità promosse dai creditori delle società controllate contro le società che le controllano; ✓ relative a rapporti di controllo, di coordinamento fra società e interni al gruppo cooperativo paritetico (artt. 2359, co 1, n. 3, 2497 septies e 2545 septies c.c.); ✓ relative a contratti pubblici di appalto di lavori, servizi o forniture di rilevanza comunitaria, in cui sia parte una società per azioni o in accomandita per azioni, quando sussiste la giurisdizione del giudice ordinario (in sostanza, ove si controverte sull’interpretazione, esecuzione o inadempimento del contratto). I Tribunali delle Imprese - ovverosia le sezioni specializzate già competenti a decidere delle controversie in materia di proprietà industriale ed intellettuale - saranno altresì competenti a decidere le azioni collettive o class action. Le disposizioni concernenti il Tribunale delle imprese - se confermate nella legge di conversione, al momento della pubblicazione ancora in attesa di promulgazione - riguarderanno i giudizi instaurati dopo 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto stesso, quindi a partire dal mese di aprile. Per tali giudizi verrà inoltre incrementato il valore del contributo unificato dovuto per l’instaurazione della causa. Nell’ambito della discussione parlamentare concernente la conversione in legge del Decreto Liberalizzazioni, sono stati proposti una molteplicità di emendamenti, anche in riferimento all’articolo 2. Tra i temi degni di nota, si segnala la possibilità che i Tribunali delle Imprese passino da dodici (numero previsto nel Decreto) a ventisei (ovvero uno per ogni sede di Corte d’Appello). Si discute altresì della possibilità che dalla competenza del Tribunale delle Imprese siano espunte le azioni collettive. Non resta che attendere la pubblicazione della legge di conversione del Decreto per una disamina più approfondita delle importanti novità legislative in materia di Tribunale delle Imprese e competitività. Rödl & Partner Diritto, economia, attualità Per ulteriori informazioni Febbraio 2012 di vigilanza possono essere affidate all’organo deputato al controllo legale delle società di capitali, ove istituito. La compatibilità tra funzioni di sindaco e di organo di vigilanza per la prevenzione degli illeciti di cui al D. Lgs. n. 231/01 Avv. Federica Bargetto Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: [email protected] Corporate governance e diritto penale dell’economia > 231, sindaci e organismo di vigilanza: il dilemma del controllore controllato. a cura di Giuseppe Bonacci, Rödl & Partner Milano La legge di Stabilità del 201213 ha disposto che, nelle società di capitali, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione possono svolgere le funzioni di organismo di vigilanza (ODV), istituito ai sensi del D. Lgs. n. 231/0114. La disposizione sembrerebbe diretta ad innovare, nel senso della semplificazione, il sistema di governance aziendale delineato dall’ormai noto “Decreto 231”. La novità legislativa pone non pochi dubbi di coordinamento con l’impianto normativo della responsabilità amministrativa delle imprese, divenuto nel tempo assai articolato e complesso. In primo luogo, va evidenziato che la norma parla di società di capitali, restando esclusi dalla sua diretta disciplina tutti gli altri enti destinatari del d.lgs. n. 231/2001; in particolare, per le società di persone e per le associazioni, la disciplina dell’organismo di vigilanza rimane immutata. Inoltre, la previsione introduce una facoltà non un dovere; le società di capitali possono affidare al collegio sindacale le funzioni dell’organismo di vigilanza, ma non sono obbligate a farlo; esse possono dunque mantenere od optare per un organismo di vigilanza formato da soggetti esterni al collegio sindacale. A scanso di equivoci, giova sottolineare che la novella introdotta non afferma la facoltà, quando vi è il collegio sindacale, di non affidare ad alcuno l’incarico di vigilare sulle specifiche esigenze preventive dettate dal D.lgs. n. 231/2001 (incarico in cui si sostanziano, appunto, le funzioni dell’organismo di vigilanza). La norma afferma, invece, che le funzioni proprie dell’organismo 13 Ovverosia, la legge 12 novembre 2011 n. 183. 14 La legge di Stabilità ha infatti disposto l’inserimento, con decorrenza 1 gennaio 2012, del comma 4-bis all’interno dell’art 6 del D.lgs. 231/2001. Ad ogni modo, un dato nuovo c’è e riguarda principalmente una tematica che da tempo affascina gli studiosi della materia societaria. Con la citata previsione normativa, infatti, il Legislatore si è espresso chiaramente sulla tanto discussa compatibilità tra le funzioni del Collegio Sindacale e quelle dell’ODV ex D.Lgs 231/01. E’ inoltre opportuno segnalare che l’attribuzione delle citate funzioni può riguardare, non il collegio sindacale nel suo complesso, bensì uno o più dei suoi componenti, chiamati a costituire l’organismo di vigilanza insieme ad altri soggetti, nell’ambito di un ufficio a composizione eterogenea. Merita comunque una profonda riflessione, che potrà ottenere definitiva chiarezza solo dopo le prime pronunce giurisprudenziali che si avranno sull’argomento, la questione relativa alla compatibilità tra due funzioni estremamente importanti per la compliance aziendale. Infatti, stante l’attuale quadro normativo, i sindaci sono potenziali autori di taluni dei reati presupposto (Sezione III, Capo I, del d.lgs. n. 231/2001), in particolare con riferimento ai reati societari (art. 25ter). La circostanza secondo la quale il “controllore” possa coincidere con il “controllato” (perché, appunto, potenziale autore dei fatti da prevenire) incide su un ideale di perfetta indipendenza della funzione di vigilanza. V’è da chiedersi se detta indipendenza costituisca davvero nella legge un presupposto indefettibile e, soprattutto, se la stessa potrà, in concreto, essere rispettata e garantita quando lo stesso soggetto/organo sarà chiamato ad essere contemporaneamente controllore e controllato. Il superamento del dogma della diversità tra “controllore” e “controllato” Per completezza, va rilevato che il dogma della diversità tra “controllore” e “controllato” è stato già messo in crisi nel mondo aziendale dall’introduzione dei sistemi di governo societario dualistico e monistico, ove, com’è noto, i rispettivi organi di controllo si trovano in stretto rapporto con l’organo gestorio ed hanno compiti operativi. Lo stesso D.lgs. n. 231 del 2001 contraddice l’idea di assoluta indipendenza dell’organismo di vigilanza quando prevede all’art. 6, comma IV che negli «enti di piccole dimensioni» questo può coincidere con l’organo dirigente. Come detto, bisognerà attendere i necessari approfondimenti degli studiosi della materia e soprattutto la giurisprudenza che si svilupperà sull’argomento, per avere maggiore chiarezza se ciò che, ai più, può sembrare incompatibile si risolverà, invece, 13 Diritto, economia, attualità in una soluzione di corporate governance efficiente e perfettamente coerente alle finalità penal-preventive del Decreto 231. Per ulteriori informazioni Avv. Giuseppe Bonacci Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: [email protected] Proprietà intellettuale > L’Unione Europea aderisce all’accordo anticontraffazione a cura di Camilla Manfredi, Rödl & Partner Milano Il 26 Gennaio 2012, a Tokyo, è stato sottoscritto, da parte dell’Unione Europea e di 22 dei 27 Paesi membri, l’ACTA (Anti Counterfeiting Trade Agreement), un accordo commerciale sull’anticontraffazione, già sottoscritto da Australia, Canada, Corea, Giappone, Marocco, Messico, Nuova Zelanda, Singapore, Svizzera e Stati Uniti d‘America. Tale accordo mira a creare una cooperazione tra i Paesi aderenti che porti ad un’uniformità di strumenti utili per contrastare più efficacemente le violazioni della proprietà industriale intellettuale che avvengono, ormai, su scala mondiale. I dubbi manifestati dai “cittadini di internet” Tuttavia, la sottoscrizione dell’ACTA da parte dell’Unione Europea ha provocato molte polemiche e manifestazioni di dissenso. Le principali contestazioni che sono state mosse all’Accordo riguardano le previsioni relative ad internet e si sostanziano in temute violazioni del diritto alla libertà di espressione, alla privacy e alla protezione dei dati personali; in particolare, i “netizens” (cioè i cittadini di internet più attivi) hanno molto criticato la possibile previsione, nei singoli ordinamenti che recepiranno l’Accordo, di una responsabilità dei cosiddetti “intermediari” (quali i service providers) per contenuti illegali caricati o scambiati dagli utenti e il potere dell’autorità giudiziaria di imporre agli stessi intermediari di fornire i dati di chi scarica, carica o scambia contenuti considerati illegali. Altre polemiche sono scoppiate relativamente alle previsioni sulle misure doganali, in particolare quelle che prevedono la possibilità di bloccare merci considerate contraffatte o usurpative anche se non destinate all’immissione in commercio nei Paesi aderenti all’ACTA, ma solo in transito sul loro territorio. 14 L’impatto (moderatamente) innovativo dell’ACTA Tuttavia, da una lettura delle disposizioni dell’ACTA (che, lo ricordiamo, non avranno effetto sino a che l’ACTA non sarà ratificato dal Parlamento Europeo e attuato nei Paesi membri), si ha l’impressione che questi timori non siano completamente fondati e che il recepimento dell’ACTA non porterà grandi cambiamenti nè strumenti davvero innovativi rispetto alla regolamentazione anti contraffazione già esistente, per lo meno in Europa. Ad esempio, la sezione 5 dell’ACTA, relativa all’esecuzione dei diritti nell’ambiente digitale, specifica che gli Stati aderenti all’Accordo devono prevedere misure per contrastare la violazione dei diritti dei diritti IP nell’ambiente digitale ma “in modo tale da evitare la creazione di barriere per le attività legittime, tra cui il commercio elettronico, e da tutelare i principi fondamentali quali la libertà di espressione, equo trattamento e privacy” ad esempio “mantenendo o adottando un regime che dispone limitazioni sulla responsabilità dei fornitori di servizi on-line”, ovvero proprio gli intermediari. Inoltre, l’art. 27.4 prevede che le autorità competenti avranno la possibilità di ordinare all’internet provider di comunicare al titolare dei diritti informazioni sufficienti per identificare un utente il cui account sarebbe utilizzato per una presunta violazione, ma solo a condizione che il titolare dei diritti abbia già presentato una denuncia di violazione dimarchio, diritti d’autore o diritti simili. Le misure doganali Quanto alle misure doganali, le critiche si sono concentrate sulla possibile futura limitazione dell’esportazione di farmaci generici verso Paesi dove il brevetto del farmaco originario non esiste o è già scaduto; la tesi dei contestatori è che i farmaci generici in transito attraverso Paesi dove il farmaco generico potrebbe essere considerato contraffattorio, potrebbero essere sottoposti a misure doganali e quindi bloccati, limitando così, l’accesso ai medicinali dei Paesi più poveri. Tuttavia, si deve sottolineare che i brevetti sono espressamente esclusi dalle misure di enforcement doganale previste dall’ACTA, mentre i regolamenti Europei già prevedono misure relative alle sospette violazioni brevettuali; misure che rimarranno in vigore anche dopo il recepimento dell’ACTA. L’armonizzazione con i regolamenti e le leggi nazionali in materia di contraffazione Non si deve, infatti, dimenticare che, nel recepire l’Accordo, i Paesi membri non potranno non tenere conto degli accordi e regolamenti già esistenti, così come delle leggi nazionali in materia di anticontraffazione. Leggi che, nella maggior parte degli ordinamenti, contemplano già gli strumenti previsti dall’ACTA. A titolo di esempio, la prevista possibilità per le autorità giudiziarie di ordinare all’autore della violazione di fornire informazioni concernenti le persone coinvolte nella violazione stessa, prevista nella sezione dell’ACTA relativa all’esecuzione in ambito civile dei diritti di proprietà industriale, esiste già in Europa; in Italia è pre- Rödl & Partner Diritto, economia, attualità vista all’art. 121 bis del Codice della Proprietà Industriale sin dal 2006, a seguito del recepimento della Direttiva Enforcement. L’ACTA si propone di tutelare il commercio lecito e la proprietà intellettuale e industriale Sembra, dunque, che l’ACTA, nato con il dichiarato scopo di rendere più efficaci e moderne le misure già previste dai TRIPS, adattandole alle esigenze odierne e rafforzando la cooperazione internazionale, non preveda, di per sé, misure particolarmente restrittive delle libertà individuali o che possano limitare il commercio lecito, la cui tutela è, anzi, uno degli scopi dichiarati dell’ACTA. Chiaramente, si dovrà attendere il recepimento dell’Accordo da parte dei Paesi sottoscrittori per poter operare un confronto effettivo con le misure attualmente in vigore ed esprimere un giudizio anche “morale” sull’ACTA. Pare, comunque, che le proteste dei “netizens” non abbiano lasciato indifferenti i Governi di alcuni paesi dell’UE (forse preoccupati anche di un calo della loro popolarità), se è vero che, dopo la Polonia, recentemente anche la Germania ha deciso di prendersi una “pausa di riflessione” prima della ratifica dell’Accordo. Nemmeno la Commissione UE è rimasta insensibile alle proteste: è notizia di questi giorni che la Commissione ha annunciato che chiederà alla Corte di Giustizia del Lussemburgo un parere sull’ACTA in merito alla effettiva violazione da parte dell’Accordo dei diritti fondamentali, come affermato dai netizens. Per ulteriori informazioni Avv. Camilla Manfredi Tel.: + 39 02.6328841 E-mail: [email protected] Recensioni > Tutti i colori del mondo Non tutti sanno che esiste un villaggio in Belgio, Gheel, in cui dal Medioevo vengono ospitati i cosiddetti „folli“. Ciascun folle risiede presso una famiglia, per la quale lavora e dalla quale riceve una sorta di dote. Siamo nella seconda parte dell‘Ottocento e in una di queste famiglie, i Vanheim, viene ospitata Teresa Senzasogni. Teresa non è pazza, lo era sua madre, ma qui può se non altro procurarsi una dote e andare sposa a Icarus. Dai Vanheim capita un giorno un giovane introverso, appena tornato da Londra con la fama di predicatore: è Vincent van Febbraio 2012 Gogh. Non è ancora pittore e Teresa lo spia: capisce, da molti segni, che invece quel talento c‘è, e che formicolano dentro di lui “tutti i colori del mondo“. Questo il titolo del terzo romanzo di Giovanni Montanaro, edito da Feltrinelli e in uscita nelle librerie dal 7 marzo. Autore di due romanzi pubblicati nel 2007 e 2009, Giovanni è avvocato presso lo studio Rödl & Partner di Padova. Avv. Giovanni Montanaro Come nasce il Tuo ultimo romanzo? Da vecchie foto del villaggio di Gheel. Le immagini, la storia di un paese in cui i matti convivono con le persone cosiddette “normali” rappresentano il paesaggio perfetto per una storia in cui la dimensione reale e l’immaginazione possano fondersi. Quando ho visto per la prima volta le foto, stavo studiando la figura di Van Gogh ed ero rimasto colpito dal fatto che l’artista avesse cominciato a “usare i suoi colori” solamente a ventisette anni. Ho quindi immaginato che Van Gogh fosse passato da Gheel – il che è peraltro probabile – e in quel contesto abbia cominciato a dipingere. La scoperta del colore e il linguaggio dell’arte: quali sono i punti cardinali della storia? Il romanzo è concepito come una lettera che una ragazza di Gheel, Teresa Senzasogni, scrive a Van Gogh. Il romanzo narra così la vita straordinaria di questa ragazza, il primo incontro con Van Gogh a Gheel in cui lei gli consegna il suo destino di pittore, e un secondo incontro tra i due, dopo più di dieci anni, in cui le loro vite sono ormai cambiate in modo imprevedibile. E, ovviamente, narra di Van Gogh, dei suoi colori. È una storia d’amore e di arte. Le tele del pittore sono sempre presenti, visibili; raccontano l’esistenza con la loro forza, il suo colore. Sono state la mia prima ispirazione. E Van Gogh l’ho proprio sentito vicino, pur con il suo bruttissimo carattere. Ho avuto modo, per esempio, di leggere tutte le sue lettere, che sono davvero toccanti. Realtà e immaginazione: che rapporto esiste tra la tua professione di avvocato e la tua passione per la scrittura? Un rapporto di equilibrio. In realtà, scrivere è immaginare, e quando si ha una storia in testa, anche per anni, si continua a pensarla, cercare ciò che manca. Questo non distrae dall’impegno quotidiano, dalle sfide lavorative. È facile anche concentrarsi su altro, quando è necessario. Anche perché, in realtà, scrivere è diverso che essere attori o pittori. Scrivere è artigianato, cura del dettaglio, pazienza. E per scrivere bisogna vivere; bisogna viaggiare, innamorarsi, essere delusi, porsi obiettivi, raggiungerli, leggere, conoscere persone, mettersi in discussione, lavorare. Poi tutto torna nelle pagine, anche se si scrive del 1880, in Belgio. Anche se si scrive di Van Gogh e di Teresa Senzasogni. 15 Diritto, economia, attualità Rödl & Partner in Italia e nel mondo Avvocati, Dottori Commercialisti e Revisori Legali Rödl & Partner Milano Largo Donegani, 2 - 20121 Milano Telefono: +39 02 63 28 84 1 Telefax: + 39 02 63 28 84 20 e-mail: [email protected] web site: www.roedl.com/it Contattare: Avv./RA Stefan Brandes Rödl & Partner Padova Via Francesco Rismondo, 2/E - 35131 Padova Telefono: +39 049 80 46 91 1 Telefax: + 39 049 80 46 92 0 e-mail: [email protected] web site: www.roedl.com/it Contattare: Avv. Eugenio Bettella Rödl & Partner Roma Piazza S. Anastasia, 7 - 00186 Roma Telefono: +39 06 96 70 12 70 Telefax: + 39 06 32 23 39 4 e-mail: [email protected] web site: www.roedl.com/it Contattare: Avv. Roberto Pera Febbraio 2012 - Finito di redigere in data 23 febbraio 2012 Redazione: Avv. Paolo Peroni Tel.: +39 02.6328841 Fax: +39 02.63288420 E-mail: [email protected] Website: www.roedl.com Website Italia: www.roedl.com/it 16 Rödl & Partner Bolzano Piazza Walther-von-der-Vogelweide, 8 39100 Bolzano Telefono: +39 0471 19 43 20 0 Telefax: + 39 0471 19 43 22 0 e-mail: [email protected] web site: www.roedl.com/it Contattare: Dott. Thomas Giuliani Rödl & Partner Labour Consulting Largo Donegani, 2 - 20122 Milano Telefono: +39 02 63 28 84 03 Telefax: + 39 02 76 01 18 92 e-mail: [email protected] web site: www.roedl.com/it Contattare: Rag. Flavio Caggiula Altri uffici nel mondo: Austria, Bielorussia, BosniaHerzigovina, Brasile, Bulgaria, Cina, Croazia, Emirati Arabi Uniti, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Hong Kong, India, Indonesia, Kuwait, Lettonia, Lituania, Moldavia, Oman, Polonia, Qatar, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania, Russia, Singapore, Slovenia, Spagna, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Tailandia, Turchia, Ucraina, Ungheria, USA, Vietnam Diritto, economia, attualità è un approfondimento a cura di Rödl & Partner, non destinato alla stampa né pubblicato ad intervalli regolari o comunque assimilabile ad un periodico. Rödl & Partner non assume alcuna responsabilità in relazione ai contenuti del documento di approfondimento. Le informazioni e valutazioni ivi contenute non costituiscono parere legale, né esame esaustivo dei temi trattati. Hanno collaborato alla redazione: Federica Bargetto, Giuseppe Bonacci, Tiziana Fiorella, Silvia Formenti, Marco Pane, Paolo Peroni, Elena Urbani, Carlo Impalà, Camilla Manfredi, Giovanni Montanaro.