dispositivo ad alta “densità formativa”
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dispositivo ad alta “densità formativa”
L’Apprendistato professionalizzante nel testo Unico: dispositivo ad alta “densità formativa” tra vincoli di legge ed opportunità Intervento di Mariaelena Romanini1 Nell’ambito del seminario: L’apprendistato professionalizzante dopo i recenti Accordi Interconfederali Piacenza, 28 giugno 2012 Università Cattolica del Sacro Cuore 1 Esperto di processi formativi, di consulenza formativa in apprendistato. Mail: [email protected] 1 L’Apprendistato professionalizzante nel Testo Unico: dispositivo ad alta densità formativa tra vincoli di legge ed opportunità Il Nuovo regime normativo intende rilanciare l’istituto dell’apprendistato come percorso privilegiato per l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro e come strumento potente di contrasto della disoccupazione giovanile. Nel rilanciare l’apprendistato la nuova Riforma, pone la centratura sul valore formativo di questa forma contrattuale, come occasione di professionalizzazione dei giovani e non solo. Da una veloce disamina per “parole chiave” del Testo Unico, emerge il focus sul valore formativo di questo dispositivo. Nell’apprendistato professionalizzate o di mestiere, tema del seminario, i riferimenti al Piano Formativo individuale dell’apprendista (PFI), l’obbligo formativo in capo al datore di lavoro, responsabile anche dell’erogazione della formazione tecnico-professionale, la necessaria presenza di un referente/tutore aziendale unitamente alla possibilità per le Regioni della predisposizione di un’offerta pubblica integrativa finanziata, così come l’obbligo di attestazione e certificazione delle competenze acquisite dall’apprendista in esito al percorso formativo, contribuiscono a caratterizzare l’apprendistato come “ dispositivo ad alta densità formativa” (Fig. 1). Il novero del Piano Formativo Individuale (PFI) tra i principi dell’apprendistato (D.lgs. n. 167/11, Art. 1), imprescindibile ai fini della regolarità del contratto sottoscritto dalla parti, conferisce a questo istituto la natura di percorso di socializzazione al lavoro e di progressiva professionalizzazione del giovane neoassunto. E proprio sul valore del Piano Formativo vorrei soffermarmi. A mio parere, il PFI costituisce il momento fondante la valenza formativa dell’apprendistato: è un momento sostanziale, in cui esigenze del sistema impresa e dell’apprendista possono coniugarsi. L’impresa che assume, intende sicuramente avvalersi sia della possibilità di inserire nuovo personale a costo più basso, grazie al sistema di 2 incentivazioni e sgravi , sia dell’opportunità di formare nuovo personale all’interno del proprio contesto produttivo . Dall’altro, l’apprendista sottoscrive il Piano Formativo con l’aspettativa di imparare un mestiere ed acquisire una professionalità spendibile all’interno dell’azienda, ma, anche, in previsione di un possibile rapporto di lavoro presso altre realtà. Il Piano Formativo come momento di integrazione di aspettative ed obiettivi, deve essere inteso come vero e proprio progetto, un filo rosso che seguirà l’apprendista per tutti gli anni di durata del contratto di apprendistato, indicando oggetti della formazione (interna, esterna all’impresa), modalità formative, metodologie didattiche, e competenze obiettivo, sulla base dei profili formativi definiti dai contratti nazionali di lavoro, cui fa capo la regolamentazione dell’apprendistato professionalizzante. Come progetto formativo che coniuga fabbisogni dell’impresa e fabbisogni della persona, il PFI non è da considerarsi come “oggetto standard”, ma bensì come piano “personalizzato”, che può e deve tenere conto delle competenze ed esperienze pregresse dell’apprendista, così come delle caratteristiche distintive e dell’impresa, (organizzazione del lavoro, sistema di competenze professionali interno, cultura aziendale, etc.), (Fig. 2)2. Il Piano Formativo individuale dell’apprendista, oltre a costituire il filo rosso del percorso di socializzazione al lavoro e di professionalizzazione, può rappresentare davvero un elemento strategico in un’ottica più ampia di sviluppo del capitale umano in impresa, perché può integrarsi con le politiche di valorizzazione e sviluppo delle risorse umane definite dal management, può integrarsi con il Piano Formativo Aziendale (PFA), ad esempio, o con altri percorsi di formazione di cui è responsabile il datore di lavoro o a cui l’impresa prevede di far partecipare i propri dipendenti, quali, ad esempio, percorsi di aggiornamento o interventi di formazione continua , (Fig. 3). 2 Possibilità contemplata per altro dal D.lgs. n. 167/2011, art. 4, comma 2. 3 Il nuovo apprendistato: spazi possibili di consulenza formativa Alla luce delle considerazioni fin qui avanzate, ritengo in sintesi che la nuova cornice normativa, qualificata da esperti autorevoli, come la Terza Riforma dell’Apprendistato, sia pure in un quadro di regolamentazione ancora in divenire, consenta di pensare effettivamente ad un rilancio dell’apprendistato in linea con l’Intesa siglata tra Governo, Regioni, Province Autonome e Parti Sociali nell’ottobre del 2010 3, oltre che riposizionare l’apprendistato quale primo percorso in alternanza finalizzato alla professionalizzazione dei giovani in linea con altre esperienze europee certo ben più consolidate. La riforma dell’istituto consente di riportare l’attenzione sulla centralità della valenza formativa dell’apprendistato che si sostanzia nella progettazione del Piano Formativo (PFI). A mio parere il PFI, così come ho cercato di delineare , è un vero è proprio progetto di formazione che coniuga esigenze, obiettivi ed aspettative della persona che viene assunta e dell’azienda che assume. Affinché l’esperienza di apprendistato possa tradursi in un’esperienza positiva e qualificante, il Piano formativo dovrebbe essere auspicabilmente frutto di un’azione congiunta e condivisa tra formatori e referenti/tutor aziendali, un momento di co-progettazione. A mio parere, porre al centro la valenza formativa di questo istituto significa riconfigurarlo come spazio di apprendimento e di integrazione tra contesti formativi (formazione interna all’impresa, formazione esterna), modalità formative (es. formazione on the job, formazione d’aula/laboratorio, formazione in e-learning), metodologie didattiche differenti. Il mio intendimento non è negare la capacità formativa dell’impresa o comunque l’assunto che in impresa si apprenda, ma bensì il fatto che possa esserci spazio per interventi di consulenza formativa, ad opera di formatori ed esperti di processi di apprendimento, finalizzati a supportare l’impresa nella messa a punto di strumenti utili affinché l’esperienza di apprendistato risulti una buona esperienza di apprendimento sia per il giovane assunto, sia per l’azienda. Se è vero che in azienda si apprende e che la competenza tecnico-professionale appartiene ai contesti di lavoro, altrettanto vero è che molto spesso l’azienda “fa formazione e non lo sa” ed è proprio questo il punto, o meglio, è proprio per 3 Intesa tra Governo, Regioni, Province Autonome e Parti Sociali per il Rilancio dell’Apprendistato, 27 ottobre 2010 4 questo che i formatori e consulenti possono giocare un ruolo importante volendo porsi in un’ottica di reale supporto e servizio (Fig. 4). L’esperto di formazione e processi di apprendimento può aiutare l’impresa nell’acquisire consapevolezza delle proprie risorse, ad esempio, in merito alle dinamiche connesse ai processi di trasferimento delle conoscenze e competenze interne. Può aiutare l’azienda a capire di cosa ha bisogno e di quali strumenti necessita per raggiungere gli obiettivi strategici definiti in materia di sviluppo e valorizzazione del capitale umano. Il formatore può offrire un supporto metodologico anche in fase di coprogettazione del Piano Formativo dell’apprendista, ad esempio, a seguito di un’adeguata analisi di contesto, valutando quali modalità formative e metodologie possono essere più idonee ed interessanti per l’impresa e l’apprendista, allo scopo di far si che la formazione on the job sia il più possibile proficua o percepita come utile dalle parti. Ancora, il consulente formatore potrà realizzare interventi di ingegneria formativa con l’obiettivo di far si che l’apprendista possa diventare autonomo nella gestione delle proprie attività nel “minor tempo possibile”. Il formatore inoltre, nella sua veste di consulente di metodo, può supportare l’impresa nel creare un raccordo tra formazione interna al contesto produttivo e formazione esterna (es. formazione trasversale pubblica erogata dalle agenzia formative accreditate), e contribuire alla costruzione di un senso complessivo del percorso di apprendistato, consentendo di inquadrarlo nel più ampio spazio dell’apprendimento permanente, richiamato dagli orientamenti comunitari cui, come stato membro, dobbiamo attenerci4. 4 Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente, Commissione delle Comunità Europee, Bruxelles, 21/11/2001, COM (2001) 678. 5 Conclusioni In conclusione, ritengo che la riforma dell’apprendistato ci consegni un’effettiva possibilità di rilancio dell’istituto e, conseguentemente, ci possa permettere di giungere, dopo decenni di acceso dibattito, alla costituzione di un vero e proprio sistema nazionale dell’apprendistato. Perché questa possibilità si concretizzi, ritengo sia necessario che tutti coloro i quali, a diverso titolo, possano giocare un ruolo attivo nella definizione delle politiche e delle regolamentazioni attuative, così come tutti coloro i quali possano contribuire alla messa a punto di strumenti, standard formativi e di competenza, etc., lavorino in modo sinergico ed integrato. Ritengo necessaria la convinzione ferma di tutti nel voler effettivamente valorizzare la componente formativa dell’apprendistato ed in questo senso ci sono esperienze significative sia a livello regionale, sia nazionale, sia europeo, cui possiamo rifarci in questa fase. Disponiamo di esperienze regionali e nazionali di consulenza formativa che possono costituire buone prassi trasferibili per migliorare i nostri strumenti di analisi per progettare “ buone esperienze di apprendimento”, dove la formazione è sostanza, contenuto e reale opportunità. Di certo il lavoro comune, che è consistente, deve essere realizzato operando per un’integrazione delle competenze e non per una sovrapposizione. L’esperienza ci ha dimostrato che la sovrapposizione porta inevitabilmente prima al conflitto e poi all’impasse, condizioni che, per lungo periodo, hanno fortemente penalizzato l’istituto dell’apprendistato. 6