per il benessere degli animali - Città Metropolitana di Milano Città

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per il benessere degli animali - Città Metropolitana di Milano Città
“Linee Guida”
per il benessere degli animali
Stesura 2005.2
PREMESSA
Due secoli or sono (1840) la sensibilità verso gli animali fu motivo per fondare associazioni che si occupavano del loro benessere, denunciando all’opinione pubblica gli eventuali maltrattamenti di cui erano oggetto.
Questa sensibilità, sviluppatasi prevalentemente in classi sociali, di paesi europei (UK) e
di oltreoceano (USA), dai livelli di vita particolarmente elevati, avrebbe dovuto attendere oltre un secolo per potersi affermare come fenomeno di massa tuttora in espansione.
A far data dagli anni 80, l’UE ha codificato, in norme generali e speciali, questa sensibilità che trova sostenitori anche nel mondo allevatoriale. I dati obiettivi, che confermano
la stretta correlazione tra animali “benestanti” e produzioni zootecniche, ha fatto il resto.
Ma molta strada resterebbe ancora da fare: la “teoria dei casi marginali” sostenuta dalle
punte più avanzate degli animalisti vorrebbe gli animali portatori di diritti, dotati, sostenuti e difesi da tutori in grado di rappresentarli. Tutto ciò in analogia con quanto già
previsto dalla normativa vigente per le cosiddette categorie protette. Va da sé che una
tale scelta comporterebbe una radicale revisione della attuale impostazione giuridica
che annovera gli animali tra le “res” a pari di qualsiasi oggetto.
Del resto, la zootecnia intensiva e l’animale tecnologico, dalle altissime rese produttive
che ne è conseguito e che non esiste in natura, rendono improponibile almeno nella nostra sovraffollata Europa la realizzazione di scenari da vecchia fattoria o da mulino bianco tanto cari alle oleografie pubblicitarie.
E allora? Che cosa fare? Ognuno il proprio meglio.
Se la nostra veste di funzionari pubblici, ci esonera da responsabilità nelle scelte effettuate dal legislatore, la medesima ci coinvolge nella loro applicazione in prima persona.
In questo senso la Regione Lombardia ha ritenuto opportuno realizzare queste “linee
guida” le cui finalità obiettivi e risultati attesi sono illustrati più avanti.
Dette linee guida si compongono di una “parte generale” che si propone di illustrare in
senso ampio la tematica del benessere e di varie “parti speciali” che di volta in volta lo
inquadreranno in relazione alle varie categorie di animali.
L’attuale edizione prende in considerazione la categoria vitelli, a seguire, le linee guida
relative ai suini ed alle galline ovaiole ecc.
stesura 2005.2
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I testi saranno oggetto di periodiche revisioni. Anche per questo le osservazioni pervenute saranno gradito motivo di eventuale adeguamento del presente testo.
Milano, lì 23 dicembre 2004
Stesura 2004.1
Facendo fede alla precedente premessa si aggiungono oggi le linee guida relative ai suini.
Milano, li 31 agosto 2005
Stesura 2005.1
La coniglicoltura italiana (300.000 t) è tra le prime nel mondo, se non la prima, per la
produzione di carni di coniglio.
Il Veneto (50.000 t), seguito da Lombardia (20.000 t) e Piemonte (20.000 t), è la prima
regione italiana per la produzione di carni di coniglio.
Ben lungi dall’essere una “zootecnia minore” la coniglicoltura rappresenta quindi una significativa risorsa economica per il nostro paese.
Da qui in assenza di norme specifiche (fatta eccezione per le indicazioni di carattere generale previste ai sensi del D.Lgs. 146/2000) la necessità di fornire agli operatori del settore alcune indicazioni relative al “benessere” di questa specie, anche quali ulteriori elementi da considerare in relazione ad eventuali investimenti e scelte economiche.
Al riguardo la presente stesura riprende sia quanto riportato in letteratura dai principali
studiosi della materia, sia alcuni orientamenti comunitari che potrebbero essere alla base delle prossime disposizioni legislative.
Pur in considerazione del loro carattere non vincolante le presenti linee guida sono state condivise con le Associazioni di categoria, che hanno fattivamente contribuito alla loro redazione e che per questo si ringraziano.
Milano, lì 22 dicembre 2005
Stesura 2005.2
stesura 2005.2
3
Hanno collaborato alla presente stesura (in ordine alfabetico):
Paolo CANDOTTI Centro di referenza nazionale per il benessere animale
Maurilio GIORGI ASL della provincia di Cremona
Franco GUIZZARDI ASL della provincia di Mantova
Elvira MANGINI ASL della Città di Milano
Claudio MANIERO Medico veterinario libero professionista
Claudia MENDOLIA ASL della provincia di Brescia
Carlo MOTTA Medico veterinario libero professionista
Alberto PALMA Regione Lombardia
Nicoletta SCHIAVINI ASL della Città di Milano
Gioia Maria VALTORTA Regione Lombardia
GianClaudio VICENZI ASL della provincia di Lodi
stesura 2005.2
4
INDICE GENERALE:
PREMESSA ........................................................................................................................................2
PARTE GENERALE ..........................................................................................................................8
FINALITÀ, OBIETTIVI E RISULTATI ATTESI............................................................................9
PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI ...................................................................................9
IL “BENESSERE ANIMALE”........................................................................................................11
MODALITÀ DI MISURAZIONE DEL BENESSERE...................................................................13
PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI VTELLI ....................................................................16
1
IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL VITELLO ..............................17
1.1
RIFERIMENTI NORMATIVI.......................................................................................17
1.2
VITELLO .........................................................................................................................17
1.3
REQUISITI STRUTTURALI.........................................................................................18
1.3.1
STABULAZIONE .....................................................................................................18
1.3.2
LIBERTÀ DI MOVIMENTO....................................................................................19
1.3.3
FABBRICATI............................................................................................................20
1.3.4
PAVIMENTAZIONI .................................................................................................20
1.3.5
RECINTI....................................................................................................................22
1.3.6
MICROCLIMA..........................................................................................................23
1.3.7
IMPIANTI..................................................................................................................24
1.3.8
ILLUMINAZIONE....................................................................................................25
1.4
REQUISITI PROCEDURALI........................................................................................25
1.4.1
ACCESSO DI VITELLI ALL’ALLEVAMENTO....................................................25
1.4.2
COLOSTRATURA....................................................................................................25
1.4.3
DIVIETI ESPRESSI ..................................................................................................26
1.4.4
CONTROLLO DEGLI ANIMALI ............................................................................26
1.4.5
REGISTRAZIONE DATI .........................................................................................27
1.4.6
TRATTAMENTI TERAPEUTICI E PROFILATTICI .............................................28
1.4.7
PULIZIA E DISINFEZIONE ....................................................................................28
1.5
REQUISITI FUNZIONALI ............................................................................................29
1.5.1
PERSONALE.............................................................................................................29
1.5.2
ALIMENTAZIONE...................................................................................................29
1.6
INDICATORI DI BENESSERE.....................................................................................32
1.7
SANZIONI........................................................................................................................34
PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI SUINI .......................................................................35
2
IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL SUINO...................................36
2.1
PREMESSA......................................................................................................................36
2.2
RIFERIMENTI NORMATIVI.......................................................................................36
2.3
DEFINIZIONI..................................................................................................................37
stesura 2005.2
5
2.4
REQUISITI STRUTTURALI.........................................................................................37
2.4.1
STABULAZIONE .....................................................................................................37
2.4.2
LOCALI PER SCROFE E SCROFETTE..................................................................39
2.4.3
LOCALI PER LATTONZOLI...................................................................................42
2.4.4
SUPERFICIE LIBERA DISPONIBILE ....................................................................42
2.4.5
TIPO DI PAVIMENTAZIONE .................................................................................44
2.4.6
ABBEVERATA.........................................................................................................46
2.4.7
ILLUMINAZIONE E RUMORI ...............................................................................48
2.4.8
MICROCLIMA AMBIENTALE...............................................................................49
2.4.8.1 LA POLVERE .......................................................................................................50
2.4.8.2 TEMPERATURA DELL’ARIA............................................................................51
2.4.8.3 UMIDITÀ DELL’ARIA ........................................................................................52
2.4.8.4 VELOCITÀ DELL’ARIA .....................................................................................52
2.4.8.5 GAS NOCIVI.........................................................................................................53
2.4.9
IMPIANTI AUTOMATICI O MECCANICI ............................................................55
2.4.10
MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEGLI ALIMENTI..............................55
2.5
ASPETTI GESTIONALI ................................................................................................56
2.5.1
ATTACCHI PER SCROFE E SCROFETTE ............................................................56
2.5.2
FORMAZIONE DEI GRUPPI E CONTROLLO DELL’AGGRESSIVITÀ ............57
2.5.3
TIPO DI ALIMENTAZIONE....................................................................................58
2.5.4
ARRICCHIMENTO AMBIENTALE .......................................................................59
2.5.5
SVEZZAMENTO ......................................................................................................61
2.5.6
PERSONALE.............................................................................................................62
2.6
ASPETTI IGIENICI E SANITARI ...............................................................................63
2.6.1
IGIENE DEGLI AMBIENTI E DELLE ATTREZZATURE....................................63
2.6.2
INTERVENTI VETERINARI...................................................................................64
2.7
SANZIONI........................................................................................................................66
2.8
PARAMETRI PRODUTTIVI E RIPRODUTTIVI......................................................66
PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI CONIGLI..................................................................68
3
IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL CONIGLIO ...........................69
3.1
PREMESSA......................................................................................................................69
3.2
RIFERIMENTI NORMATIVI.......................................................................................69
3.3
EFFETTO DELLA MANIPOLAZIONE DA PARTE DELL’UOMO.......................71
3.4
CENNI DI BIOLOGIA E COMPORTAMENTO DEL CONIGLIO .........................71
3.5
ALCUNI PROBLEMI DI WELFARE ..........................................................................74
3.5.1
REPERTORIO COMPORTAMENTALE.................................................................74
3.5.2
STEREOTIPIE...........................................................................................................75
3.5.3
INDICATORI DI BENESSERE (Marina Verga, 2000)............................................76
3.6
REQUISITI STRUTTURALI.........................................................................................77
3.6.1
FABBRICATI E LOCALI DI STABULAZIONE ....................................................77
3.6.2
PAVIMENTI..............................................................................................................78
3.6.3
GABBIE.....................................................................................................................78
3.6.4
DENSITÀ DEGLI ANIMALI ...................................................................................85
stesura 2005.2
6
3.6.5
3.6.6
3.6.7
3.6.8
3.6.9
3.6.10
3.6.11
LIBERTÀ DI MOVIMENTO....................................................................................87
MICROCLIMA: ........................................................................................................88
TEMPERATURA ......................................................................................................88
UMIDITÀ RELATIVA .............................................................................................89
ILLUMINAZIONE....................................................................................................90
VENTILAZIONE ......................................................................................................91
IMPIANTI..................................................................................................................92
3.7
REQUISITI PROCEDURALI........................................................................................92
3.7.1
DIVIETI ESPRESSI ..................................................................................................92
3.7.2
CONTROLLO DEGLI ANIMALI ............................................................................93
3.7.3
REGISTRAZIONI .....................................................................................................93
3.7.4
PULIZIA E DISINFEZIONE ....................................................................................94
3.8
REQUISITI FUNZIONALI ............................................................................................94
3.8.1
PERSONALE.............................................................................................................95
3.8.2
ALIMENTAZIONE...................................................................................................95
3.9
SANZIONI........................................................................................................................97
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Parte Generale
PARTE GENERALE
stesura 2005.2
8
FINALITÀ, OBIETTIVI E RISULTATI ATTESI
Relativamente alle presenti linee guida la finalità è rappresentata dalla omogenea applicazione su tutto il territorio regionale della vigente normativa in materia, ivi compresa l’uniformità dei comportamenti della AA.SS.LL. in tutte le situazioni Lombarde pur
nella difformità del territorio di competenza di ciascuna di esse.
Tra le finalità, in particolare durante l’applicazione delle nuove normative, deve essere
annoverato il ruolo del medico veterinario che, con spirito di Servizio, funge da supporto
tecnico all’allevatore nella gestione di tali cambiamenti.
Gli obiettivi sono rappresentati dalla applicazione degli specifici requisiti di legge.
I risultati attesi sono rappresentati dall’esistenza in tutti gli allevamenti lombardi di tali
requisiti.
PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI
-
Legge 14 ottobre 1985, n. 623, Ratifica ed esecuzione delle convenzioni sulla protezione degli animali negli allevamenti e sulla protezione degli animali da macello,
adottate a Strasburgo rispettivamente il 10 marzo 1976 e il 10 maggio 1979
-
D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116 - Attuazione della Direttiva 86/609/CEE in materia di
protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici.
-
Circolare n. 32 del 26 agosto 1992 “D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116 pubblicato sul
supplemento ordinario n. 33 alla G.U. n. 40 del 18 febbraio 1992”.
-
Comunicato relativo al D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116, attuazione della Direttiva
86/609/CEE in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad
altri fini scientifici.
-
Circolare n. 18 del 5 maggio 1993 “D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116, articolo 7. Comunicazione dei progetti di ricerca con impiego di modelli animali.
-
Circolare n. 8 del 22 aprile 1994 Applicazione del D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 116, in
materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici.
-
D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 532 - Attuazione della Direttiva 91/628/CEE relativa alla protezione degli animali durante il trasporto.
-
D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 533 - Attuazione della Direttiva 91/629/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli.
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-
D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 534 - Attuazione della Direttiva 91/630/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini.
-
Circolare n. 14 del 25 settembre 1996 - Buone pratiche di sperimentazione clinica
negli animali dei medicinali veterinari.
-
Decisione 97/182/CE della Commissione, del 24 febbraio 1997 recanti modifiche alla
Direttiva 91/629/CEE del Consiglio che stabilisce le norme minime per la protezione
dei vitelli.
-
D.Lgs. 1 settembre 1998 n. 331 - Attuazione della Direttiva 97/2/CE, relativa alle
norme minime per la protezione dei vitelli.
-
D.Lgs. 1 settembre 1998 n. 333 - Attuazione della Direttiva 93/119/CE, relativa alle
protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento.
-
Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativo al Decreto Legislativo 1 settembre 1998 n. 331, recante: “Attuazione della Direttiva 97/2/CE del
Consiglio, del 20 gennaio 1997 relativa alle norme minime per la protezione dei vitelli”.
-
D.Lgs. 20 ottobre 1998 n. 388 - Attuazione della Direttiva 95/29/CE in materia di
protezione degli animali durante il trasporto.
-
D.Lgs 26 marzo 2001 n. 146, relativa alla protezione degli animali negli allevamenti.
-
Circolare n. 10 del 5 novembre 2001 - Chiarimenti in materia di protezione degli
animali negli allevamenti e definizione delle modalità per la trasmissione dei dati relativi alla attività di controllo
-
D.Lgs. 29 luglio 2003, n. 267 - Attuazione delle direttive 1999/74/CE e 2002/4/CE,
per la protezione delle galline ovaiole e la registrazione dei relativi stabilimenti di allevamento.
-
D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 53 - Attuazione della direttiva 2001/93/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini.
-
Legge 20 luglio 2004, n. 189 - Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento
degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate.
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Tabella riassuntiva delle principali fonti normative:
Benessere animale nelle fasi di:
Trasporto
Allevamento degli animali
Allevamento dei vitelli
Allevamento dei suini
Allevamento delle galline ovaiole
Macellazione
Sperimentazione animale
D. Lgs.
n. 532 del 30.12.1992
n. 388 del 20.10.1998
n. 146 del 26.03.2001
n. 533 del 30.12.1992
n. 331 del 01.09.1998
n. 534 del 30.12.1992
n. 53 del 20.02.2004
n. 267 del 29.07.2003
n. 333 del 01.09.1998
n. 116 del 27.01.1992
Direttive
1991/628/CEE
1995/29/CEE
1998/58/CE
1991/629/CEE
1997/2/CE
1991/630/CEE
2001/93/CE
1999/74/CE e 2002/4/CE
1993/119/CEE
86/609/CEE
IL “BENESSERE ANIMALE”
Nel corso dell’evoluzione, ogni specie si è dotata di caratteristiche fisiche, fisiologiche e
comportamentali adatte ad affrontare le difficoltà che potrebbe incontrare nel proprio
ambiente di vita.
I sistemi di adattamento che un animale mette in atto per meglio far fronte alle condizioni ambientali in cui si trova, determinano la cosiddetta fitness o stato di adattamento
dell’individuo. Per poterlo definire bisogna però chiarire il significato da attribuire ai
termini di stress e welfare che si riferiscono rispettivamente al processo che interviene
nell’organismo quando i fattori ambientali hanno un effetto deleterio, ed allo stato fisiologico di un individuo valutato in funzione degli sforzi che fa per far fronte all’ambiente
in cui si trova (Broom, 1988).
La definizione dello stato di “benessere degli animali di allevamento” costituisce una
problematica di attualità nei paesi più sviluppati, dove le tecnologie di allevamento
sempre più sofisticate e le esigenze produttive crescenti costringono gli animali a performance maggiori in condizioni sociali, ambientali, fisiologiche ed alimentari sempre
più lontane da quelle “naturali”. E’ infatti importante stabilire lo stato di eventuale sofferenza che imponiamo agli animali sia per ragioni di carattere morale che produttivo
(Brugère e Morméde, 1988).
“Benessere: stato di salute, stato di soddisfazione interiore generata dal giusto equilibrio di fattori psicofisici” (Zingarelli, 1998). Traduzione di welfare che meglio esprime il
concetto. “Il benessere di un organismo è il suo stato in relazione ai suoi tentativi di adattarsi all’ambiente” (Broom, 1986).
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“Il benessere è uno stato di salute completo, sia fisica che mentale, in cui l’animale è in
armonia con il suo ambiente” (Hughes, 1976).
Kilgour e Dal Ton (1984) hanno raccolto un’utile selezione delle definizioni di benessere
che si trovano in letteratura.
Il benessere è quindi una condizione intrinseca dell’animale: il soggetto che riesce ad
adattarsi all’ambiente si trova in uno stato di benessere, viceversa il soggetto che non
ci riesce (perché non ne è in grado per caratteristiche psicofisiche proprie, o perché ne
è impedito da fattori esterni) si trova in una condizione di non benessere.
Un primo approccio scientifico al concetto di benessere animale lo si può trovare nel
Brambell Report del 1965 (rapporto commissionato dal Governo Inglese in merito al benessere degli animali allevati intensivamente).
Tale rapporto, oltre ad essere uno dei primi documenti ufficiali relativi al benessere animale, enuncia il principio (ripreso poi dal British Farm Animal Welfare Council nel
1979) delle cinque libertà per la tutela del benessere animale:
1) libertà dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione;
2) libertà dai disagi ambientali (possibilità di disporre di un ambiente fisico adeguato e
confortevole);
3) libertà dalle malattie e dalle ferite;
4) libertà di poter manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche;
5) libertà dalla paura e dallo stress.
Mentre le prime tre libertà si rifanno a condizioni evidenti e quindi verificabili, le ultime
due si rivelano argomenti complessi ed il dibattito scientifico sulle metodiche per la loro
valutazione è tutt’ora aperto (Miniero, 2003).
La valutazione del benessere animale coinvolge quindi una serie di discipline, dalla fisiologia all’etologia, che, interagendo tra loro, possono fornire evidenze sullo stato di adattamento dell’animale all’ambiente.
Di seguito si riportano alcune definizioni particolarmente utili per la comprensione
del testo
ADATTAMENTO: il risultato dell’adeguamento di un organismo alle variazioni
dell’ambiente.
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STRESSORE: la sopravvivenza di un organismo dipende dal mantenimento della omeostasi. Tutte le sollecitazioni esterne che minacciano l’omeostasi sono considerate stressori,
ed i cambiamenti delle funzioni biologiche che intervengono in un animale per mantenere l’omeostasi, costituiscono la risposta allo stress (Moberg, 1985).
STRESS: interrelazione del tipo stimolo-adattamento.
Stimolo malgestito = stress. Può essere definito come la risposta adattativa di un animale a condizioni avverse; è quindi un effetto dell’ambiente sull’individuo che supera i suoi
sistemi di controllo ed è in grado di ridurne la capacità di adattamento.
• Stress acuto = stimolo, possibilità di reagire
• Stress cronico (o di stress) = stimolo + timore + tempo d’attesa; non c’è possibilità di
interagire con l’ambiente per bloccare/evitare lo stimolo negativo.
STEREOTIPIE: comportamenti anormali, ripetitivi, senza fine o funzione, che si manifestano in modo prolungato
MODALITÀ DI MISURAZIONE DEL BENESSERE.
I termini “benessere” e “sofferenza” degli animali sono molto difficili da definire (Duncan e Dawkins, 1983). Essendo infatti parole di uso corrente, tendono ad essere impiegate ampiamente da differenti categorie di persone che attribuiscono loro, di volta in volta, un diverso significato. I ricercatori invece vorrebbero dare a tali fenomeni una definizione precisa e non ambigua, alla quale attribuire un valore scientifico. Duncan e Dawkins (1983) hanno definito genericamente la sofferenza come “un complesso di stati
emotivi spiacevoli”. La migliore valutazione di benessere o di sofferenza, considerati
come opposti di una stessa condizione, può essere ottenuta solo tenendo conto di tutti i
possibili indicatori disponibili come stato di salute, produttività, parametri fisiologici,
biochimici e comportamentali (Dawkins, 1980, Duncan, 1981)
“La scienza può in molti modi identificare, risolvere e prevenire problemi di benessere
per gli animali, ma non può “misurare” completamente il benessere in quanto non vi sono sistemi puramente oggettivi per unire le diverse misurazioni ed eliminare una serie di
contraddizioni con i valori etico-morali” (Fraser, 1995).
La misurazione del benessere animale è quindi un problema difficile: gli indicatori da
considerare sono molti e a volte possono contrastare tra loro (Verga e al., 1999), la con-
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cezione di benessere include valutazioni di carattere etico-morale difficilmente oggettivabili.
La letteratura scientifica riconosce tre tipi di approccio alla ricerca sul benessere animale (Duncan e Fraser, 1997):
1. l’approccio basato sui feelings, cioè sulle sensazioni soggettive degli animali.
Parte dal presupposto che gli animali possono avere delle esperienze soggettive,
quali stati affettivi ed emozioni, quindi possa percepire determinate situazioni
come piacevoli o spiacevoli.
Le misurazioni vengono effettuate con tests di preferenza (l’animale viene posto
davanti ad una scelta, si valuta quanto è disposto a spendere in energie per effettuarla),:
-
indicatori comportamentali: alterazioni del repertorio comportamentale normale, stereotipie, attività sostitutive, ecc
-
indicatori fisiologici di stati emotivi: frequenza cardiaca, respiratoria, salivazione ecc.).
2. l’approccio funzionale basato sulle funzioni biologiche normali degli animali. Allo
stato di benessere deve corrispondere un funzionamento normale dell’organismo
e dei suoi sistemi biologici. Vengono valutati, ad esempio, lo stato di salute, la
longevità, il successo riproduttivo.
Alla base di tale modello vi è la teoria dello stress.
L’individuo risponde ad uno stimolo ambientale avverso, a livello fisiologico, mediante l’attivazione dell’asse simpatico-adrenomidollare, cui corrisponde una reazione di lotta/fuga tramite la quale l’individuo riesce quindi a ripristinare lo stato
di benessere (stress acuto).
Se lo stimolo avverso permane e il soggetto non ha la possibilità di interagire con
l’ambiente per bloccare/evitare lo stimolo, alla componente specifica (stimolo
avverso) si somma una componente aspecifica (paura + tempo d’attesa), si passa
quindi all’attivazione dell’asse ipofisicorticosurrenale e dopo una prima fase di
resistenza, si arriva ad una fase di esaurimento, cioè di non adattamento, malessere (stress cronico o distress).
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A questa fase possono corrispondere alterazioni comportamentali quali stereotipie, o patologie più o meno conclamate (immunodeficienza, patologie condizionate ecc.).
3. l’approccio naturale: gli animali dovrebbero vivere in un ambiente naturale che
consenta loro di manifestare il proprio completo repertorio comportamentale.
Risulta però spesso difficile identificare il significato di “ambiente naturale”, in
particolare per le specie domestiche dove sono intervenuti secoli, se non millenni, di selezione artificiale compiuta dall’uomo.
Indipendentemente dal tipo di approccio risulta utile, per valutare lo stato di benessere
di un animale, servirsi di diversi indicatori che possano integrarsi e dare un quadro generale ed il più possibile obiettivo.
In merito, si possono distinguere diversi tipi di indicatori legati a:
1. l’animale:
•
indicatori fisiologici, biochimici e biofisici: livelli ormonali, frequenza
cardiaca, attività del sistema immunitario;
•
indicatori patologici: presenza di patologie manifeste o latenti;
•
indicatori produttivi: accrescimento, mortalità, fertilità, fecondità;
•
indicatori comportamentali: risposta a tests comportamentali, grado di interazione sociale, presenza di stereotipie, presenza e tipologia dei vocalizzi;
2. l’ambiente: idoneità delle strutture.
3. la gestione: grado di pulizia e manutenzione, applicazione di piani di profilassi.
4. il rapporto uomo-animale: quantità e qualità delle interazioni, grado di preparazione del personale.
In conclusione, per poter veramente sapere cosa piace ai nostri animali, cosa pensano e
cosa provano, dovremmo disporre di un mezzo di comunicazione che attualmente non
possediamo (Notari, 2001).
Possiamo però far riferimento a tutta una serie di indicatori, che, valutati nel loro complesso, possono fornirci valide indicazioni sul loro stato di benessere.
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Parte Speciale
Il benessere dei vitelli
PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI VITELLI
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1 IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL VITELLO
1.1 RIFERIMENTI NORMATIVI
-
Legge 14 ottobre 1985, n. 623, Ratifica ed esecuzione delle convenzioni sulla protezione degli animali negli allevamenti e sulla protezione degli animali da macello,
adottate a Strasburgo rispettivamente il 10 marzo 1976 e il 10 maggio 1979
-
D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 533, attuazione della Direttiva 91/629/CEE del Consiglio che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli.
-
Decisione 97/182/CE della Commissione, del 24 febbraio 1997 recanti modifiche alla
Direttiva 91/629/CEE del Consiglio che stabilisce le norme minime per la protezione
dei vitelli.
-
D.Lgs. 1 settembre 1998 n. 331, attuazione della Direttiva 97/2/CE del Consiglio,
del 20 gennaio 1997 relativa alle norme minime per la protezione dei vitelli.
-
Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri relativo al Decreto Legislativo 1 settembre 1998 n. 331, recante: “Attuazione della Direttiva 97/2/CE del
Consiglio, del 20 gennaio 1997 relativa alle norme minime per la protezione dei vitelli”.
-
D.Lgs 26 marzo 2001 n. 146, relativa alla protezione degli animali negli allevamenti.
-
Legge 20 luglio 2004, n. 189, Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento
degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate.
1.2 VITELLO
La vigente normativa in materia di benessere animale definisce “vitello” qualsiasi animale della specie bovina di età inferiore ai sei mesi.
La presenti linea guida forniscono indicazioni circa l’applicazione delle norme minime
per la protezione dei vitelli detenuti negli:
-
allevamenti di vitelli a carne bianca;
-
allevamenti di bovini adulti da carne relativamente ai vitelli;
-
allevamenti da riproduzione, relativamente ai vitelli, destinati alla rimonta / riproduzione.
stesura 2005.2
17
1.3 REQUISITI STRUTTURALI
1.3.1 STABULAZIONE
I requisiti relativi alla stabulazione dei vitelli sono individuati ai sensi dell’art. 3, comma
3, D.Lgs. 533/92 così come modificato ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.Lgs. 331/98, che
recita:
“3. A decorrere dal 1 gennaio 1998, tutte le aziende di nuova costruzione o ristrutturate e tutte le aziende che entrano in funzione per la prima volta dopo tale data devono
rispettare le seguenti prescrizioni:
a)
nessun vitello di età superiore alle otto settimane deve essere rinchiuso in un recinto individuale, a meno che un veterinario non abbia certificato che il suo stato
di salute o il suo comportamento esiga che sia isolato dal gruppo al fine di essere
sottoposto ad un trattamento diagnostico e terapeutico. La larghezza del recinto
individuale deve essere almeno pari all'altezza al garrese del vitello, misurata
quando l'animale è in posizione eretta, e la lunghezza deve essere almeno pari alla
lunghezza del vitello, misurata dalla punta del naso all'estremità caudale della tuberosità ischiatica e moltiplicata per 1,1. Ogni recinto individuale per vitelli, salvo
quelli destinati ad isolare gli animali malati, non deve avere muri compatti, ma
pareti divisorie traforate che consentano un contatto diretto, visivo e tattile tra i
vitelli.”
b)
per i vitelli allevati in gruppo, lo spazio libero disponibile per ciascun vitello deve
essere pari ad almeno:
- 1,5 m² per ogni vitello di peso vivo inferiore a 150 Kg.
- 1,7 m² per ogni vitello di peso vivo superiore a 150 Kg. e inferiore a 220 Kg.
-1,8 m² per ogni vitello di peso vivo superiore a 220 Kg.”
In deroga a quanto previsto dalla norma summenzionata in tutte le aziende di nuova costruzione o ristrutturate e attivate per la prima volta tra il 1° gennaio 1994 e il 31 dicembre 1997:
-
i recinti e le poste, nel caso in cui i vitelli siano stabulati in recinti individuali o vincolati alla posta, devono essere costruiti con pareti perforate e devono avere una
larghezza non inferiore a cm 90, più o meno il 10%, oppure a 0,80 volte l'altezza del
garrese;
stesura 2005.2
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-
i vitelli stabulati in gruppo devono poter disporre di uno spazio libero di m² 1,5 per
ogni capo di kg 150 di peso vivo, sufficiente a consentire loro di voltarsi e di sdraiarsi
senza alcun impedimento
La suddetta deroga relativa termina il 31 dicembre 2006.
A far data dal 1 gennaio 2007 si applica l’art. 3, comma 3, D.Lgs. 533/92 così come
modificato ai sensi dell’art. 1, comma 1, D.Lgs. 331/98.
Tab. 1 – Quadro sinottico delle scadenze dei regimi transitori
DATA DI COSTRUZIONE DELL’AZIENDA
fino 31/12/1993
Da 01/01/1994 a 31/12/1997
Termine del PERIODO TRANSITORIO
31/12/2003
31/12/2006
Applicazione dell’art. 3, c. 3, D.Lgs. 533/92
modificato dall’art. 1, c. 1, D.Lgs. 331/98
Dal 01/01/2004
Dal 01/01/2007
1.3.2 LIBERTÀ DI MOVIMENTO
I vitelli trascorrono in decubito circa il 90% del tempo dalla prima alla quinta settimana
di vita, tale percentuale scende fino a raggiungere il 69% a cinque mesi di vita.
Quando i vitelli non dormono, si dedicano ad attività quali pulirsi in decubito, grattarsi
la testa, giocare con altri vitelli, leccarsi reciprocamente ed esplorare l’ambiente.
Il sonno è indispensabile per la salute e il benessere dei vitelli ed in genere i vitelli assumono durante il sonno la postura sternale con tutti gli arti raccolti e la testa girata indietro sopra il corpo.
In situazioni di scarso benessere, il tempo passato in posizione di decubito si riduce ed i
vitelli trascorrono in stazione gran parte del tempo.
I vitelli non possono essere legati e devono disporre di un ambiente atto a consentire loro di coricarsi, giacere in decubito, alzarsi ed accudire a se stessi senza difficoltà.
Solo i vitelli stabulati in gruppo possono essere legati per un periodo massimo di un’ora
al momento della somministrazione del latte e succedanei del latte; gli attacchi utilizzati devono permettere all’animale di assumere una posizione confortevole durante
l’assunzione dell’alimento ed anche non provocare strangolamenti o ferite.
stesura 2005.2
19
1.3.3 FABBRICATI
I materiali utilizzati per la costruzione dei locali di stabulazione, dei recinti e delle attrezzature con le quali i vitelli possono venire a contatto, devono essere facilmente lavabili e disinfettabili e non risultare nocivi per gli animali.
1.3.4 PAVIMENTAZIONI
Nella fase di progettazione della pavimentazione dell’allevamento va considerato che i
pavimenti devono:
ƒ
essere non sdrucciolevoli e privi di asperità, con superficie rigida, piana e stabile per permettere ai vitelli di muoversi con sicurezza e di evitare inutili traumatismi;
ƒ
essere adeguati alle dimensioni ed al peso dei vitelli;
ƒ
garantire che la zona in cui i vitelli si coricano sia confortevole, pulita e non
dannosa ai medesimi.
Le tipologie di pavimentazione più diffuse sono le seguenti:
1.
Grigliato o fessurato in legno o cemento.
Il pavimento grigliato è la tipologia più diffusa negli allevamenti di vitelli e
rappresenta una buona soluzione dal punto di vista igienico ed economico, in
quanto permette il rapido allontanamento di feci, urine e foraggi ed una riduzione dei tempi e dei costi legati alle operazioni di lavaggio dei recinti.
Il pavimento grigliato in legno è decisamente più confortevole e meno freddo
per i vitelli; necessita alla fine di ogni ciclo particolare cura nelle operazioni di
lavaggio e disinfezione, ma è certamente meno resistente all’usura.
Nella scelta del grigliato in cemento deve essere prestata particolare attenzione alla superficie affinché non sia troppo liscia per ridurre il rischio di rovinose scivolate, né troppo ruvido per evitare l’eccessiva azione abrasiva sugli
unghioni dei vitelli. Dal punto di vista del confort certamente questa tipologia
di pavimentazione è più fredda del grigliato in legno.
Il pavimento grigliato si può presentare con fessure lineari o con fori circolari;
i primi permettono una migliore deambulazione agli animali, i secondi favoriscono la rapida eliminazione dei liquami e mantengono il box più pulito.
stesura 2005.2
20
Le norme vigenti non forniscono indicazioni circa la dimensione dei travetti e
delle fessure del grigliato, ma in particolare le distanze tra i travetti o i diametri dei fori devono sempre essere inferiori al diametro del piede dei vitelli
stabulati.
I bordi dei travetti non devono essere taglienti per evitare lesioni agli arti dei
vitelli.
2.
Cemento pieno (opportunamente rigato per renderlo antiscivolo) con lettiera.
La lettiera in paglia fornisce ai vitelli maggiore confort e una buona protezione
contro il freddo invernale, inoltre assorbendo il contenuto liquido delle deiezioni, mantiene il recinto asciutto e poco sdrucciolevole.
La paglia riveste un ruolo importante come elemento di arricchimento ambientale ed essendo a disposizione del vitello costituisce una fonte di fibra utile
per favorire lo sviluppo dei prestomaci.
La gestione degli allevamenti con questo tipo di pavimentazione risulta più costosa sia per la necessità di più manodopera per la pulizia della lettiera dei recinti, sia per i costi legati all’approvvigionamento della paglia.
Possono essere utilizzati altri tipi di lettiera, ad esempio:
ƒ
gli stocchi di mais che presentano un basso potere assorbente,
ƒ
la carta, che si inzuppa rapidamente,
ƒ
i trucioli di legno, di cui è determinante conoscerne la provenienza,
in quanto possono costituire un possibile rischio per i vitelli, (contenuto in muffe, ottenuti da legni velenosi o trattati con oli o vernici
tossiche, ecc.),
ƒ
i cascami di cotone che sono molto economici e permettono
l’ottenimento di un buon letame.
3.
Cemento pieno ricoperto da tappetini in gomma antiscivolo.
E’ consigliabile la predisposizione di un piano di manutenzione ordinaria a carico della
pavimentazione per correggere eventuali situazioni di rischio che potrebbero influire negativamente sulla salute dei vitelli (quali, travetti scheggiati o rotti, l’anima di ferro del
grigliato visibile, il cemento sbrecciato, ecc.).
Per tutti i vitelli di età inferiore alle due settimane deve essere prevista un adeguata
lettiera.
stesura 2005.2
21
Qualora i recinti siano posti al di fuori dei fabbricati sulla terra battuta è opportuno garantire il mantenimento dei requisiti della pavimentazione, indicati all’inizio del presente capitolo, per tutta la durata della permanenza dell’animale in tale struttura.
1.3.5 RECINTI
I recinti dovranno, per quanto attiene alle dimensioni, essere rispondenti a quanto già
esposto al punto 1.3.1 ed essere costruiti con materiali idonei a venire a contatto con i
vitelli, essere privi di spigoli, margini taglienti o sporgenze tali da provocare lesioni agli
animali, ed inoltre essere pulibili e disinfettabili.
Le pareti dei recinti individuali dovranno permettere il contatto visivo, olfattivo e tattile
tra i vitelli dei recinti vicini.
È possibile disporre di recinti individuali con divisori privi di aperture destinati esclusivamente agli animali malati e sottoposti a trattamenti diagnostici e terapeutici. È consigliabile che tali recinti siano posizionati in un’area separata dell’allevamento (infermeria).
Il medico veterinario, che dispone l’inserimento dei vitelli in questi recinti per sottoporli
a trattamenti diagnostici e terapeutici, appone nelle note del registro dei trattamenti,
previsto ai sensi del D.Lgs. 199/92 e D.Lgs. 336/99, oltre all’indicazione del trattamento, la necessità dell’isolamento di tali soggetti.
Le pareti dei recinti multipli dovranno avere una altezza sufficiente per impedire agli
animali di superarle e di ferirsi.
Tutte le attrezzature utilizzate per la somministrazione di mangimi e di acqua devono
essere concepite, costruite ed installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di
contaminazione di alimento e acqua.
La mangiatoia può essere costituita da un unico vascone posto su un lato del recinto, su
modello degli allevamenti olandesi oppure da un secchio per ciascun animale.
Nel caso in cui la mangiatoia del recinto multiplo è costituita da un unico vascone e non
si provvede ad una alimentazione ad libitum o attraverso un sistema automatico di alimentazione, ciascun vitello deve avere accesso agli alimenti contemporaneamente agli
altri vitelli del gruppo, pertanto, la lunghezza della mangiatoia deve essere in rapporto
alla numerosità del gruppo e al peso dei soggetti.
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22
I vitelli apprendono alla nascita la capacità di alimentarsi dalla mammella della vacca,
poi con l’ingresso nell’allevamento devono imparare a ingerire il latte dal vascone o dal
secchio.
L’apprendimento del nuovo sistema di ingestione è certamente favorito dalla disponibilità di tettarelle che garantiscono al vitello l’assunzione corretta e a piccoli sorsi del latte.
Nelle aziende, dove i recinti sono posti al di fuori dei fabbricati, deve essere predisposto
un adeguato riparo per proteggere gli animali dalle intemperie.
1.3.6 MICROCLIMA
L’isolamento termico, il riscaldamento e la ventilazione devono consentire di mantenere
entro limiti non dannosi per i vitelli, la circolazione dell’aria, la quantità di polvere, la
temperatura, l’umidità relativa dell’aria e la concentrazioni di gas (anidride carbonica,
ammoniaca, ecc.).
Certamente nella fase di progettazione dell’allevamento devono essere tenuti in considerazione tra gli altri aspetti, quelli relativi alle modalità di controllo dei parametri sopra indicati. Infatti tali parametri variano in relazione alla posizione geografica, alle variazioni stagionali delle temperature e dell’umidità dell’aria, alla presenza e alla direzione dei venti, al numero di animali allevati, ai materiali di costruzione, al numero ed
all’ampiezza delle aperture, ecc.
La norma non fornisce limiti ai suddetti parametri, ma dispone che le condizioni microclimatiche siano tali da non essere nocive agli animali allevati.
E’ pertanto consigliabile disporre di apparecchiature (termometri, igrometri, ecc.) per
rilevare i parametri microclimatici dell’allevamento.
La circolazione dell’aria è garantita da:
ƒ
la sola ventilazione naturale a mezzo di finestre apribili, camini, cupoloni, ecc.;
ƒ
la sola ventilazione artificiale (ventole d’aspirazione, ecc.)
ƒ
i sistemi misti
Particolare attenzione deve essere posta nel controllo della circolazione dell’aria al fine
di evitare correnti d’aria o zone non ventilate con conseguente deterioramento delle
condizioni di salute dei vitelli.
stesura 2005.2
23
Nell’allevamento
del
vitello,
la
quantità
di
polvere
nell’aria,
valutato
che
l’alimentazione è costituita da latte e alimento fibroso, che le feci sono allontanate o
attraverso la pavimentazione grigliata o con getti d’acqua, se la superficie è piena, e
che la ventilazione dei locali di stabulazione è controllata, in genere è tenuta sotto
controllo senza difficoltà.
La temperatura e l’umidità dell’aria rivestono fondamentale importanza nella corretta
gestione di un qualunque allevamento, ma in particolare di quello dei vitelli, poiché ad
esempio è particolarmente dannosa per tali animali la combinazioni di temperatura bassa, elevata umidità e forte ventilazione.
Possono essere considerati ottimali valori di temperatura compresi tra i 15C° e 21C° con
tenori di umidità tra il 60% e l’80%.
1.3.7 IMPIANTI
Tutti gli impianti installati presso l’azienda devono essere conformi alle norme vigenti in
materia di sicurezza ed sottoposti periodicamente alla manutenzione ordinaria prevista
dalla ditta costruttrice.
Ogni impianto automatico o meccanico indispensabile per la salute ed il benessere dei
vitelli deve essere ispezionato almeno una volta al giorno.
Gli eventuali difetti riscontrati devono essere eliminati immediatamente; se ciò non e'
possibile, occorre prendere le misure adeguate per salvaguardare la salute ed il benessere degli animali fino a che non sia effettuata la riparazione, ricorrendo a metodo alternativi di alimentazione e provvedendo a mantenere condizioni ambientali soddisfacenti.
Se la salute ed il benessere degli animali dipendono da un impianto di ventilazione artificiale, deve essere previsto:
-
un sistema di allarme che segnali il guasto; tale sistema deve essere sottoposto a
controlli regolari;
-
un adeguato impianto di riserva per garantire un ricambio di aria sufficiente a
salvaguardare la salute e il benessere degli animali.
stesura 2005.2
24
1.3.8 ILLUMINAZIONE
I vitelli non devono restare continuamente al buio, ma per soddisfare le loro esigenze
comportamentali e fisiologiche, ed in particolare per consentire loro un maggior controllo dell’ambiente circostante e una migliore interazione sociale tra i componenti del
gruppo con conseguente riduzione dello stress, devono disporre di luce naturale, attraverso la presenza di una adeguata superficie illuminante oppure di una illuminazione artificiale, che sia almeno equivalente ad un’illuminazione naturale normalmente disponibile tra le ore 9.00 e le 17.00.
Inoltre, per permettere una adeguata ispezione degli animali in un qualunque momento,
anche di notte, è necessario che sia disponibile una illuminazione fissa o mobile di intensità sufficiente.
1.4 REQUISITI PROCEDURALI
1.4.1 ACCESSO DI VITELLI ALL’ALLEVAMENTO
Gli animali appena nati sono considerati idonei al trasporto quando l’ombelico sia del
tutto cicatrizzato (cap. I, lett. A, comma 1 del D.Lgs. 532/1992 e succ. modifiche).
La cicatrizzazione dell’ombelico esterno può intendersi, di norma, completata attorno al
10° giorno di vita.
1.4.2 COLOSTRATURA
Ogni vitello deve ricevere colostro bovino quanto prima possibile dopo la nascita e comunque entro le prime sei ore di vita.
Il vitello alla nascita non dispone di copertura anticorpale, in quanto gli anticorpi materni non sono in grado di raggiungere il sistema circolatorio del vitello a causa della
presenza della barriera placentare.
Pertanto, è necessaria l’assunzione del colostro da parte del vitello nelle prime ore di
vita perché:
-
la capacità di assorbimento dell’intestino del vitello è massimo in tale periodo, di
seguito decresce sino ad annullarsi in corrispondenza del terzo giorno di vita;
-
fornisce una valida difesa immunitaria passiva;
-
riduce la % di mortalità.
stesura 2005.2
25
La somministrazione del colostro può avvenire direttamente attraverso la suzione del
latte materno da parte del vitello oppure con somministrazione del colostro raccolto da
parte dell’allevatore.
E’ stata segnalata dal Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale, a seguito
di una ricerca sulle caratteristiche del colostro delle bovine BLAP (bovine da latte ad alta produzione), che il colostro di molte bovine BLAP è risultato scadente, in quanto risulta deficitario in y-globuline e ricco di citochine infiammatorie, dovute alla reazione di
anoressia che si evidenzia nelle bovine 2-3 giorni prima del parto.
Al fine di accertare che il vitello abbia ricevuto una adeguata colostratura, il Centro di
Referenza Nazionale per il Benessere Animale propone la quantificazione delle yglobuline (tenori in y-globuline pari o superiori a 8 mg/ml sono indice di una colostratura
adeguata) con l’esecuzione del test della gamma-glutamil-transferasi e della elettroforesi delle proteine sieriche.
1.4.3 DIVIETI ESPRESSI
È vietato:
•
legare i vitelli (ad eccezione di quelli stabulati in gruppo che possono essere legati
per un periodo massimo di un’ora al momento della somministrazione del latte e succedanei del latte);
•
mettere la museruola ai vitelli;
•
tagliare la coda, se non a fini terapeutici certificati;
•
cauterizzare gli abbozzi corneali sopra le 3 settimane di vita (tale pratica deve comunque avvenire sotto il controllo del veterinario aziendale);
•
provocare, per crudeltà o senza necessità, lesioni o sottoporre a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche
dell’animale.
1.4.4 CONTROLLO DEGLI ANIMALI
I vitelli allevati in locali di stabulazione devono essere controllati dal titolare o da persona responsabile almeno due volte al giorno; nel caso di vitelli stabulati all’aperto tale
controllo va eseguito almeno una volta al giorno.
stesura 2005.2
26
Gli animali che presentano sintomi di malattia o ferite devono essere immediatamente
curati, se necessario isolati in locali appropriati con lettiera asciutta e confortevole.
La stabulazione in recinti multipli comporta, per la persona responsabile del controllo
degli animali, maggiori difficoltà per la tempestiva identificazione dei vitelli-problema
(presenza di segni di malattia o meno ingordi).
Il sistema olandese prevede il mantenimento di gruppi di vitelli omogenei per peso vivo
all’interno di ciascun recinto, procedendo ad una continua (in genere a cadenza settimanale) ricomposizione dei gruppi. Quindi i vitelli che all’osservazione appaiono più leggeri vengono portati in un recinto con altri dello stesso peso, mentre nel recinto con
quelli più pesanti vengono aggiunti altri vitelli con le stesse caratteristiche.
1.4.5 REGISTRAZIONE DATI
Ciascun allevamento deve disporre di un registro di carico e scarico degli animali, previsto dalla normativa vigente, sul quale vengono regolarmente registrate le movimentazioni e i casi di mortalità.
Ogni animale introdotto in allevamento deve essere scortato da un documento di identificazione, quale:
-
il passaporto (ai sensi del Reg. CE n. 1760/2002), oppure
-
la cedola (per i vitelli di età inferiore ai 28 gg.)
Inoltre, ciascun vitello deve essere dotato di marche auricolari con il codice identificativo corrispondente a quello contenuto nel documento di identificazione.
Nel caso dell’arrivo in allevamento di vitelli con passaporto, il titolare è tenuto a:
1. registrare i vitelli, entro tre giorni dall’ingresso, sul registro di carico e scarico
2. comunicare, entro sette giorni dall’ingresso, alla ASL competente per territorio
l’avvenuta introduzione di animali per motivi sanitari;
3. comunicare, entro sette giorni dall’ingresso, alla ASL o all’ente delegato (CAA,
APA,) competente per territorio l’avvenuta introduzione di animali per la registrazione nella banca dati dell’anagrafe bovina.
Nel caso dell’arrivo in allevamento di vitelli con cedola identificativa, il titolare è tenuto a:
1. registrare i vitelli, entro tre giorni dall’ingresso, sul registro di carico e scarico
stesura 2005.2
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2. comunicare, entro sette giorni dall’ingresso, alla ASL competente per territorio
l’avvenuta introduzione di animali per motivi sanitari;
3. comunicare, entro sette giorni dall’ingresso, alla ASL o all’ente delegato (CAA,
APA,) competente per territorio l’avvenuta introduzione di animali per la registrazione nella banca dati dell’anagrafe bovina;
4. richiedere all’ente delegato la stampa dei passaporti.
1.4.6 TRATTAMENTI TERAPEUTICI E PROFILATTICI
I trattamenti terapeutici e profilattici devono essere prescritti da un medico veterinario.
In azienda possono essere detenuti ed utilizzati soltanto medicinali veterinari dotati di
AIC (autorizzazione all’immissione in commercio) e regolarmente prescritti da un medico
veterinario.
Qualunque altra sostanza non autorizzata o il cui uso non è consentito per la tipologia
dei animali ivi allevati, non può essere utilizzata e detenuta in allevamento.
I trattamenti effettuati sugli animali devono essere opportunamente registrati su un registro secondo le modalità previste dal D.Lgs. 119/92 e D.Lgs. 336/99.
Il registro dei trattamenti, ai sensi del D.Lgs. 336/99, deve essere sempre detenuto in
azienda e conservato dal titolare dell’azienda, con le relative ricette, per almeno 5 anni
e messo a disposizione dell’autorità sanitaria nel corso delle ispezioni.
Il medico veterinario, che dispone l’inserimento dei vitelli nei recinti singoli per sottoporli a trattamenti diagnostici e terapeutici, appone nelle note del registro dei trattamenti, previsto ai sensi del D.Lgs. 199/92 e D.Lgs. 336/99, oltre all’indicazione del trattamento, la necessità dell’isolamento di tali soggetti.
1.4.7 PULIZIA E DISINFEZIONE
I fabbricati, i recinti, le attrezzature e gli utensili devono essere puliti e disinfettati regolarmente per evitare il diffondersi di potenziali organismi patogeni.
E’ consigliabile alla fine di ogni ciclo produttivo, dopo aver rimosso le deiezioni ed aver
effettuato un accurato lavaggio con acqua in pressione, procedere alla disinfezione dei
fabbricati utilizzando prodotti a base di ammonio quaternario o di formalina diluita,
quindi chiudendo le aperture per 48 ore e poi aerare e lasciare vuoti i locali per 7/8
giorni.
stesura 2005.2
28
E’ importante che secchi, poppatoi, mangiatoie siano puliti dopo ogni utilizzo, smontando preventivamente le parti dove facilmente si depositano residui di alimento e siano
sottoposti periodicamente a disinfezione.
Si ritiene opportuno che ciascun allevamento sia dotato di un piano per il contenimento
della presenza delle mosche e per il controllo dei roditori e che gli addetti dispongano
delle necessarie informazioni relativamente al piano medesimo.
1.5 REQUISITI FUNZIONALI
1.5.1 PERSONALE
I vitelli devono essere accuditi da un numero sufficiente di addetti con adeguate capacità, conoscenze e competenze professionali.
Risulta determinante nella gestione di una azienda di allevamento, la competenza tecnica degli addetti che operano a contatto con gli animali.
Infatti la tempestiva identificazione degli animali con i primi segni di malessere (anomalie comportamentali, isolamento, diarrea, respirazione accelerata, tosse, lesioni, ecc.)
permette l’individuazione delle cause di malessere e, per la formulazione della diagnosi
e l’avvio della necessaria terapia, l’intervento del medico veterinario con la conseguente rapida ripresa degli animali.
Ancora l’adozione da parte degli addetti di un buon rapporto uomo-animale (comportamenti ed atteggiamenti tranquilli, senza movimenti bruschi o urla, evitare calci, colpi o
pugni, ecc.) permette un progressivo adattamento degli animali all’ambiente circostante
e alla presenza degli addetti alle attività tipiche dell’allevamento.
L’addestramento del personale addetto in genere è mirato all’organizzazione di corsi
specifici di formazione inerenti l’uso di particolari attrezzature o l’esecuzione di procedure, tuttavia è opportuno prevedere l’inserimento anche di nozioni relative al rapporto
uomo-animale ed al benessere degli animali.
1.5.2 ALIMENTAZIONE
Tutte le attrezzature utilizzate per la somministrazione di mangimi e di acqua devono
essere concepite, costruite ed installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di
contaminazione di alimento e acqua.
stesura 2005.2
29
L’alimentazione dei vitelli deve essere adeguata alla loro età e al loro peso e conforme
alle loro esigenze comportamentali e fisiologiche, onde favorire buone condizioni di salute e di benessere.
A partire dalla seconda settimana di età, il vitello deve poter disporre di acqua fresca in
quantità sufficiente.
Tutti i vitelli devono essere nutriti almeno due volte al giorno.
Se i vitelli sono stabulati in recinti multipli e non si provveda ad una alimentazione ad
libitum o attraverso un sistema automatico di alimentazione, ciascun vitello deve avere
accesso agli alimenti contemporaneamente agli altri vitelli del gruppo.
L’alimentazione dei vitelli è costituita da:
1. mangime liquido a base di latte o derivati del latte;
2. alimento fibroso;
e deve avere un tenore in ferro sufficiente per raggiungere un tasso di emoglobina di
almeno 4.5 mmol/litro o 7,3 g. %.
1. Mangime liquido a base di latte o derivati del latte. L’alimento liquido, attraverso la
stimolazione dei recettori faringei, induce nell’animale il riflesso di chiusura della “doccia esofagea” permettendo il passaggio diretto del medesimo nell’abomaso, ciò riveste
un ruolo importante nello stato di salute degli animali nella fase di allattamento,
E’ bene ricordare che durante la suzione, il vitello neonato posiziona, in modo naturale
la testa rivolta in su, verso la mammella della madre, ed inghiotte il latte a piccoli sorsi,
con la formazione nell’abomaso di coaguli di piccole dimensioni facilmente attaccabili
dagli enzimi digestivi.
È perciò consigliabile, in particolare nelle fasi di avvio del vitello all’alimentazione, utilizzare le allattatrici automatiche o i secchi muniti di tettarella.
2. Alimento fibroso. Il protrarsi nel tempo della sola alimentazione liquida trasformerebbe i vitelli, da animali poligastrici in monogastrici, sconvolgendone le funzioni anatomiche e fisiologiche con conseguente ipotrofia dei prestomaci, in quanto non coinvolti
nel processo digestivo.
Inoltre, i vitelli privati della possibilità di ruminare manifestano con maggiore frequenza
vizi e stereotipie orali.
stesura 2005.2
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Per ovviare a questi inconvenienti, dopo la seconda settimana di età, viene disposto che
ad ogni vitello deve essere somministrata una dose giornaliera di alimenti fibrosi ed il
quantitativo deve essere portato da 50 a 250 grammi al giorno per i vitelli di età compresa tra le 8 e le 20 settimane.
L’apporto degli alimenti fibrosi nella dieta dei vitelli ha pertanto un ruolo determinante
in quanto:
-
fornisce all’animale la possibilità di masticare e ruminare;
-
stimola lo sviluppo funzionale dei prestomaci e migliora l’attività digestiva;
-
migliora l’indice di accrescimento ponderale (parametro legato al tipo di alimento
fibroso somministrato);
-
induce un contenimento delle stereotipie orali.
Una particolare attenzione deve essere posta nella scelta degli alimenti fibrosi da somministrare ai vitelli valutando le caratteristiche bromatologiche, la qualità igienico sanitaria, le modalità di conservazione e di somministrazione, l’appetibilità, la digeribilità,
ecc.
Il livello di emoglobina è l’unico parametro ematico preso in considerazione dalla norma
per la valutazione del benessere, anche se di fatto è un indicatore dello stato di anemia
del vitello.
Il raggiungimento del livello minimo di emoglobina previsto dalla normativa è di grande
interesse per gli allevatori. Il suo mancato raggiungimento può dare atto a stati patologici con drastica caduta della produttività degli animali.
In tale ambito l’anemia dei vitelli è riscontrabile prevalentemente nelle fasi precoci del
ciclo di allevamento, e cioè a 30-60 giorni di vita circa.
La razza (più colpiti i vitelli frisoni), l'origine (discendenza di bovine ad alta produzione
lattea) e la stagione dell'anno sono tra i fattori predisponenti di tale patologia. Tali soggetti tendenzialmente anemici, se individuati in questa fase precoce, cioè al termine del
periodo in recinto individuale, possono essere sottoposti a trattamenti, per via orale o
parenterale, a base di “ferro”, in aggiunta a quello somministrato mediante l'integrazione di fibra della dieta prevista dalla normativa vigente.
Il significato del valore “soglia” (tasso di emoglobina di almeno 4.5 mmol/litro o 7,3 g.
%), previsto dalla norma, si intenderebbe indicativo per tutti i vitelli del ciclo di allevamento.
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31
Da qui l’importanza di inserire, nell’ambito dell’autocontrollo aziendale, un programma
per il controllo sistematico su un campione di animali statisticamente significativo di tale valore ematico, che indicativamente si rappresenta di seguito:
-
1° campionamento: al termine del periodo in recinto individuale (prima dell’ottava
settimana di vita);
-
2° campionamento: a ridosso del periodo di forzatura alimentare (70 - 90 giorni) per
verificare l'andamento del gruppo, la tendenza alla normalizzazione del parametro e
alla riduzione delle differenze di gruppo;
-
3° campionamento: nelle due settimane prima della macellazione come controllo.
Come consuetudine ai piani di autocontrollo aziendale possono essere affiancati eventuali controlli ufficiali da parte dell’ASL territorialmente competente per la sede
dell’allevamento o in alternativa, per la sede dell’impianto dove gli animali sono macellati. Relativamente agli esiti analitici dei campioni effettuati al macello il valore di Hb
riscontrata potrebbe rivelarsi più elevato del valore reale in relazione ad eventuali fenomeni di disidratazione avvenuti durante un trasporto prolungato.
L’eventuale riscontro al macello di valori Hb inferiori alla norma comporta la segnalazione alla A.S.L. di provenienza degli animali per l’attuazione dei controlli ufficiali a
campione sugli animali presenti in allevamento.
Tuttavia i vitelli malati e quelli sottoposti a condizioni atmosferiche di grande calore devono poter disporre di acqua fresca in ogni momento.
Il Centro Nazionale di Referenza per il benessere animale presso l’I.Z.S.L.E.R. sede di
Brescia (www.bs.izs.it) nonché le sedi provinciali del medesimo possono forniscono in tal
senso, ogni necessario supporto tecnico scientifico ad AA.SS.LL., veterinari ed allevatori.
1.6 INDICATORI DI BENESSERE
Di seguito sono indicati alcuni indicatori di benessere
DOCUMENTALI
- Consumo dei medicinali veterinari (a volte i medicinali sono utilizzati come
“succedaneo” alle carenze igienico sanitarie o di conduzione dell’allevamento)
-
Trattamenti profilattici
-
Consumo di alimenti (quantità e tipo)
-
Esiti controlli emoglobina
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AMBIENTALI
- Temperatura
-
Luce
-
Umidità
-
Ventilazione
-
Odori
ETOLOGICI
- Vivacità
-
Gioco
-
Distanza dall’operatore
-
Presenza di stereotipie comportamentali
Le stereotipie sono comportamenti anormali, ripetitivi e senza fine o funzione ovvia, che
si sviluppano in un certo periodo di tempo quando l’animale è frustrato in modo ripetuto
o cronico.
Le stereotipie orali rappresentano i comportamenti animali più comuni.
Esse comprendono il tongue-playing ed il tongue-rolling.
Sono entrambi giochi effettuati con la lingua: nel primo, il vitello estende e piega la lingua lateralmente, facendola girare all’esterno della bocca, arrotolandola e srotolandola.
Nel secondo, la lingua viene arrotolata srotolata ripetutamente all’interno della bocca,
la quale può essere aperta o socchiusa. Generalmente la testa viene tenuta verso l’alto
e gli occhi possono roteare.
Il tongue-rolling in particolare, sembra svilupparsi per effetto di contatti sociali assenti e
di scarsa attività a scopo nutritivo: compare soprattutto in vitelli stabulati in recinti singoli ed alimentati solo con latte.
Il tongue-playing invece, sembra derivare dalla mancanza di attività orali estremamente
importanti per il vitello, come l’allattamento, il pascolare, e la masticazione.
E’ stato osservato nei numerosi studi effettuati su queste stereotipie che il tongueplaying in particolare viene manifestato soprattutto dopo i pasti e che le condizioni di
benessere del vitello sono da reputarsi “non buone” se il tempo occupato da comportamenti stereotipati è uguale o maggiore del 10% della vita “da sveglio” di un animale.
(Broom 1983).
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CLINICI
Caratteristiche del pelo, presenza di imbrattamento fecale degli arti posteriori, stato di
nutrizione, temperatura, frequenza cardiaca, colorito delle mucose, parametri ematici
(emoglobina, ma anche altri parametri quali: emocromo, formula leucocitaria, ematocrito, ecc. ).
1.7 SANZIONI
Il D.Lgs. 533/1992 prevede la possibilità, qualora non si configuri un reato, di elevare, a
coloro che violano il disposto dell’art. 3, comma 1 e 3, una sanzione amministrativa con
pagamento di una somma da Euro 1.549,37 a Euro 9.296,22.
Sono tenuti al rispetto di quanto disposto dall’art. 3 del D.Lgs. 533/1992:
-
comma 1: i titolari delle aziende nuove o ristrutturate o attivate per la prima
volta nel periodo che intercorre tra 1° gennaio 1994 e il 1° gennaio 1998;
-
comma 3: così come modificato dal D.Lgs. 331/1998, i titolari delle aziende nuove o ristrutturate o attivate per la prima volta dopo il 1° gennaio 1998.
Nel caso di riscontro da parte dell’autorità sanitaria, nel corso di un sopralluogo, del
mancato rispetto di requisiti in ordine al benessere dei vitelli allevati, diversi da quelli
di cui al comma 1 e 3 del D.Lgs. 533/1992 e succ. modifiche, è applicabile, se compatibile, in combinato disposto il D.Lgs. 146/2001, che stabilisce le misure minime da osservare negli allevamenti per la protezione degli animali.
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Parte Speciale
Il benessere dei suini
PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI SUINI
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2 IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL SUINO
2.1 PREMESSA
Il decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 53, pubblicato in G.U. n. 49 del 28.2.2004, recependo le direttive 2001/88/CE del 23 ottobre 2001 e 2001/93/CE del 9 novembre 2001
ed apportando numerose e sostanziali modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 30
dicembre 1992, n. 534, ha profondamente innovato la normativa nazionale in materia di
benessere dei suini in allevamento ed ha, almeno temporaneamente, stabilito quali sono
i requisiti strutturali, manageriali e sanitari ai quali gli allevamenti suini devono rispondere.
In effetti il limite temporale delle presenti disposizioni scaturisce dalla stessa direttiva
2001/88/CE laddove stabilisce che “di preferenza prima del gennaio 2005, ed in ogni caso entro il 1° luglio 2005, la Commissione presenta al Consiglio una relazione elaborata
in base ad un parere del Comitato scientifico della salute e del benessere degli animali.
La relazione è elaborata tenendo conto delle conseguenze socio-economiche, delle conseguenze sanitarie, degli effetti ambientali e delle differenti condizioni climatiche
(...). La relazione sarà corredata, se necessario, di opportune proposte legislative sugli
effetti della regolamentazione delle differenti superfici disponibili e tipi di pavimento
per quanto riguarda il benessere dei suinetti e dei suini all’ingrasso”.
Non è quindi difficile prevedere, nei prossimi anni, ulteriori future modifiche della vigente normativa, sulla base delle osservazioni e dei pareri che il Comitato scientifico
proporrà alla commissione Europea.
Poiché le modifiche e le integrazioni apportate dal decreto legislativo n. 53/2004 sono
state numerose e sostanziali, questa U.O. Veterinaria ha ritenuto opportuno elaborare le
presenti linee guida al fine di garantire una corretta ed omogenea applicazione della vigente normativa sul benessere dei suini in allevamento.
2.2 RIFERIMENTI NORMATIVI
-
Direttiva 1991/630/CEE del Consiglio del 19 novembre 1991 che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini. (G.U.C.E. L 340 dell’11.12.1991).
-
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 534 - Attuazione della direttiva 91/630/CEE che
stabilisce le norme minime per la protezione dei suini. (G.U. n. 7 dell’11.1.1993).
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-
D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 146 - Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla
protezione degli animali negli allevamenti. (G.U. n. 95 del 24.4.2001).
-
Direttiva 2001/88/CE del Consiglio del 23 ottobre 2001 recante modifica della direttiva 91/630/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini.
(G.U.C.E. L 316 dell’1.12.2001).
-
Direttiva 2001/93/CE della Commissione del 9 novembre 2001 recante modifica
della direttiva 91/630/CEE che stabilisce le norme minime per la protezione dei
suini. (G.U.C.E. L 316 dell’1.12.2001).
-
D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 53 - Attuazione della direttiva 2001/93/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini. (G.U. n. 49 del 28.2.2004).
-
Nota del Ministero della Salute prot. n. DGVA/10/7818 del 2 marzo 2005 – Procedure per il controllo del benessere animale negli allevamenti di suini – applicazione del D.Lgs. 20 febbraio 2004, n. 53.
2.3 DEFINIZIONI
SUINO: un animale della specie suina, di qualsiasi età, allevato per la riproduzione o l’ingrasso.
VERRO: un suino di sesso maschile che ha raggiunto la pubertà ed è destinato alla riproduzione.
SCROFETTA: un suino di sesso femminile che ha raggiunto la pubertà, ma non ha ancora partorito.
SCROFA: un suino di sesso femminile che ha già partorito una prima volta.
SCROFA IN ALLATTAMENTO: un suino di sesso femminile nel periodo tra la fase perinatale e lo
svezzamento dei lattonzoli.
SCROFA ASCIUTTA E GRAVIDA: una scrofa nel periodo tra lo svezzamento e la fase perinatale.
LATTONZOLO: un suino dalla nascita allo svezzamento.
SUINETTO: un suino dallo svezzamento all’età di 10 settimane.
SUINO ALL’INGRASSO: un suino dall’età di 10 settimane alla macellazione od all’impiego come
riproduttore.
(D.L.vo 534/92, art. 2)
2.4 REQUISITI STRUTTURALI
2.4.1 STABULAZIONE
“3) I locali di stabulazione dei suini devono essere costruiti in modo da permettere agli animali
di:
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a) avere accesso ad una zona in cui coricarsi confortevole dal punto di vista fisico e
termico ed adeguatamente prosciugata e pulita, che consenta a tutti gli animali di
stare distesi contemporaneamente;
b) riposare ed alzarsi con movimenti normali;
c) vedere altri suini; tuttavia, nella settimana precedente al momento previsto del parto e nel corso del medesimo, scrofe e scrofette possono essere tenute fuori dalla vista degli animali della stessa specie”.
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 3)
“I locali di stabulazione ed i dispositivi di attacco degli animali devono essere costruiti in modo
che non vi siano spigoli taglienti o sporgenze tali da provocare lesioni agli animali”. (D.L.vo
146/2001, allegato, punto 9)
In linea generale, le caratteristiche e la qualità delle strutture, attrezzature e materiali
utilizzati nell’allevamento contribuiscono al miglioramento delle prestazioni zootecniche
dei suini allevati.
Purtroppo alcuni aspetti quali l’usura, riparazioni maldestre, l’utilizzazione impropria
determinano soventemente disagio negli animali allevati, che in alcuni casi sfocia in lesioni anche molto gravi o privazioni di un normale stato di comfort.
Di seguito alcuni esempi.
Pavimentazione fessurata in calcestruzzo
La grande diffusione negli allevamenti suini del tipo di pavimentazione fessurata in calcestruzzo a motivo della sua proprietà autopulente e dei più ridotti costi di gestione,
rende necessaria una valutazione delle caratteristiche fisiche e termiche di detto tipo di
pavimentazione in relazione alle condizioni di benessere dei suini sia in fase di movimentazione che durante il riposo.
In linea di massima, si può ritenere che tale pavimentazione possa offrire alcuni punti di
rischio specie se associata a condizioni climatiche non controllate.
La più importante osservazione riguarda la congruità del peso dei soggetti all’ingresso in
riferimento alle dimensioni dei travetti e degli spazi (valutati nei punti di maggiore usura).
Il pavimento fessurato, specie se è nuovo, può causare dolore al piede degli animali,
contravvenendo temporaneamente alle disposizioni legislative, per ovviare a tale situastesura 2005.2
38
zione è necessario che siano messi in atto tutti quegli accorgimenti che possano ridurre
l’impatto negativo sul piede, quali: l’introduzione di soggetti più “grossi” o di scrofette
o scrofe non gravide, l’aumento della superficie disponibile, il controllo del microclima,
ecc.
Gabbia Parto
La gabbia parto è senza dubbio l’attrezzatura più hard che è presente in allevamento.
Tale struttura tenta di conciliare l’esigenza di consentire un parto ed una lattazione agevole e con la riduzione al minimo del numero di suinetti schiacciati.
Una cattiva gestione della gabbia può provocare:
-
compressioni e gravi piaghe da decubito;
-
sobbattiture e fiaccature a seguito dei scivolamenti della scrofa all’atto di alzarsi
e coricarsi;
Tali lesioni, in molti casi, potrebbero essere evitate agendo sulle strutture e sulle barriere che spesso sono facilmente modulabili grazie a sistemi creati appositamente dal
costruttore, ma che sono sottovalutati dall’utilizzatore.
Anche la locazione del punto di rifornimento idrico, o l’alloggiamento e le dimensioni
della mangiatoia possono essere punti di rischio poiché non consentono alla scrofa di bere o alimentarsi agevolmente.
2.4.2 LOCALI PER SCROFE E SCROFETTE
“3. Nella settimana precedente al momento previsto del parto, scrofe e scrofette devono disporre di una lettiera adeguata in quantità sufficiente, a meno che ciò non sia tecnicamente realizzabile per il sistema di eliminazione dei liquami utilizzato nello stabilimento.
4. Dietro alla scrofa o alla scrofetta deve essere prevista una zona libera che renda agevole il
parto naturale od assistito.
5. Gli stalli da parto in cui le scrofe possono muoversi liberamente devono essere provvisti di
strutture (quali, ad esempio, apposite sbarre) destinate a proteggere i lattonzoli”.
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. B)
Al punto 3, cap. II, dell’allegato al D.Lgs. 53/2004 viene utilizzato il termine “lettiera”,
traduzione impropria di “nesting material” o “materiaux de nidification” di cui alla direttiva 2001/93/CE
stesura 2005.2
39
Pertanto l’intento del legislatore comunitario è quello imporre che scrofe e scrofette,
nella settimana precedente al momento previsto del parto, dispongano di una quantità
sufficiente di materiale per la nidificazione, al fine di migliorare il rapporto tra ambiente e animale nell’imminenza e subito dopo il parto e di rispondere all’esigenza comportamentale della scrofa di predisporre il nido per la covata.
Il materiale deve essere scelto tra quelli che inglobano le caratteristiche di assorbenza,
degradabilità, economicità, disponibilità e non nocività; la carta debitamente frantumata offre assieme tutte queste proprietà.
Numerosi i vantaggi zootecnici che l’allevatore vedrà realizzati, a fronte dell’unico onere di approvvigionamento del materiale; tra questi ricordiamo la riduzione della durata
del travaglio, un migliore adattamento alla gabbia, riduzione del numero degli schiacciati, riduzione della mortalità perinatale.
Il materiale per la nidificazione, inoltre, consentirà di ridurre le temperature delle sale
parto limitando i rischi di ipotermia dei suinetti, grazie all’effetto protettivo della carta.
(...) 3. Le scrofe e le scrofette devono essere allevate in gruppo nel periodo compreso tra 4 settimane dopo la fecondazione ed 1 settimana prima della data prevista per il parto. I lati del recinto dove viene allevato il gruppo di scrofe o di scrofette devono avere una lunghezza superiore a 2,8 m. Allorché sono allevati meno di 6 animali i lati del recinto dove viene allevato il
gruppo devono avere una lunghezza superiore a 2,4 m.
4. In deroga alle disposizioni di cui alla lettera a), le scrofe e le scrofette allevate in aziende di
meno di 10 scrofe possono essere allevate individualmente nel periodo di cui alla lettera a) a
condizione che gli animali possano girarsi facilmente nel recinto.
(D.L.vo 534/92, art. 3 comma 3 e 4 così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. 1, comma 3)
Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:
-
a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale
uso per la prima volta dopo tale data,
-
a decorrere dal 1° gennaio 2013 a tutte le aziende.
E’ opportuno fare alcune considerazioni tecniche sull’obbligo imposto dalla normativa di
allevare in gruppo le scrofe e le scrofette dopo il primo mese di gestazione e fino alla
settimana antecedente il parto.
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40
Può infatti essere osservato che nel momento in cui si formano gruppi collettivi di scrofe
o scrofette gestanti provenienti da gabbie singole, si creano inevitabilmente interazioni
conflittuali che sono tanto più violente e prolungate quanto più precocemente avviene
la formazione di questi gruppi e quanto più corto è il periodo di gravidanza.
Al fine di ridurre l’aggressività in fase di imbastamento delle scrofe gestanti, si consiglia
di:
-
creare gruppi collettivi piuttosto ridotti numericamente (6 scrofe o poco più). In
questo modo l’ordine gerarchico si stabilisce più in fretta e la conflittualità cessa
più rapidamente;
-
creare i gruppi nelle ore precedenti la sera e nelle giornate meno assolate;
-
immettere nello stesso gruppo scrofe che, per essere state vicine di gabbia, hanno
già avuto un contatto visivo, olfattivo ed acustico fra loro ed hanno stabilito un certo ordine gerarchico;
-
introdurre, prima dell’imbrancamento, un verro adulto e lasciarlo per qualche ora dopo l’immissione delle scrofe;
-
quando possibile ed in occasione di eventuali ristrutturazioni dei locali di gestazione,
considerare la soluzione tecnico-costruttiva che consente di liberare le scrofe dalla
gabbia e creare box collettivi, semplicemente togliendo lo sportello posteriore della gabbia e lasciando le scrofe nel loro ambiente, libere di muoversi nel box collettivo e di utilizzare, in caso di difesa o al momento del pasto, la loro gabbia;
-
garantire ad ogni scrofa non solo box con lunghezza minima dei lati di 2,8 m. o con
superficie utilizzabile di 2,25 m2 e 1,64 m2 rispettivamente per ogni scrofa o scrofetta, ma anche un adeguato posto mangiatoia (50 cm/scrofa almeno), un idoneo
sistema di abbeveraggio (1 abbeveratoio per box con un flusso idrico di 1,5-2 litri/minuto)
-
fornire di nascondini o barriere per il rifugio delle scrofe picchiate o impaurite.
Occorre tenere presente che la creazione della gerarchia è un fatto naturale ed inevitabile;
tuttavia, è sempre la mancanza di una o più risorse (spazio, clima/comfort, alimento, acqua, ecc.) che ne impedisce la stabilità o determina gravi ripercussioni sugli animali di stato gerarchico inferiore.
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2.4.3 LOCALI PER LATTONZOLI
“1. Una parte del pavimento, sufficientemente ampia per consentire agli animali di riposare insieme contemporaneamente, deve essere piena o ricoperta da un tappetino, da paglia o da altro
materiale adeguato.
2. Nel caso si usi una stalla da parto, i lattonzoli devono disporre di uno spazio sufficiente per
poter essere allattati senza difficoltà.(...)”
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. C
Nelle sale parto moderne, ai lattonzoli viene fornito un tappetino confortevole su cui riposare.
Il riscaldamento dei suinetti può essere attuato attraverso:
-
sistemi di riscaldamento del pavimento (ad acqua calda o elettrici)
-
lampade solitamente a raggi infrarossi poste sopra il nido.
La valutazione del comfort termico fornito alla nidiata può essere desunta dal modo in
cui i suinetti si dispongono attorno alla lampada.
Quando la temperatura è ottimale, i suinetti si sdraiano in decubito laterale e si posizionano uno accanto all’altro creando un assembramento continuo sotto il cono riscaldante.
Se la temperatura è eccessivamente alta i suinetti tenderanno ad allontanarsi dal cono
riscaldante e tra di loro assumendo una posizione sparsa, mentre, se la temperatura è
insufficiente, i suinetti si disporranno uno sull’altro sotto il cono riscaldante della lampada.
L’assenza del tappetino, quindi, non deve essere presa come elemento obbligatoriamente negativo, specie se le fonti di calore e la ventilazione sono adeguate.
Inoltre, molti allevatori, nonostante abbiano provato a mantenere il tappetino più a lungo, sono costretti ad allontanare il tappetino dopo alcuni giorni a causa del forte imbrattamento fecale.
In questi casi sarà l’aspetto della nidiata a suggerire se le pratiche sostitutive attuate
dall’allevatore sono da considerare soddisfacenti.
2.4.4 SUPERFICIE LIBERA DISPONIBILE
“(...) a) le superfici libere a disposizione di ciascun suinetto o suino all’ingrasso allevato in
gruppo, escluse le scrofette dopo la fecondazione e le scrofe, devono corrispondere ad almeno:
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Peso vivo (kg)
m2
fino a 10
0,15
da 10 fino a 20
0,20
da 20 fino a 30
0,30
da 30 fino a 50
0,40
da 50 fino a 85
0,55
da 85 fino a 110
0,65
oltre 110
1,00
b) le superfici libere totali a disposizione di ciascuna scrofetta dopo la fecondazione e di ciascuna scrofa, qualora dette scrofette e/o scrofe siano allevate in gruppi, devono essere rispettivamente di almeno 1,64 m2 e 2,25 m2. Se i suini in questione sono allevati in gruppi di:
1. meno di sei animali, le superfici libere disponibili devono essere aumentate del 10%.
2. 40 o più animali, le superfici libere disponibili possono essere ridotte del 10%.”
(D.L.vo 534/92, art. 3comma 1 lettere a) e b), così come modificato da art. 1, comma 1, D.L.vo 53/2004)
Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:
-
a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale
uso per la prima volta dopo tale data,
-
a decorrere dal 1° gennaio 2013 a tutte le aziende.
Si osserva anche che per superficie disponibile si intende tutta l’area che il suino può utilizzare per la movimentazione e per il riposo.
Per un computo corretto della stessa, potrà essere aggiunta alla superficie totale del
box, anche la superficie della corsia esterna di defecazione solo se conforme alle disposizione del D.L.vo 534/92 (vale a dire che i locali di stabulazione dei suini devono essere
costruiti in modo tale che vi sia una zona in cui coricarsi, confortevole dal punto di vista
fisico e termico ed adeguatamente prosciugata e pulita, che consenta a tutti gli animali
di stare distesi contemporaneamente, riposare ed alzarsi con movimenti normali).
Giova ricordare che la superficie occupata dal truogolo deve essere sottratta dalla superficie disponibile.
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VERRI
“1. I recinti per i verri devono essere sistemati e costruiti in modo da permettere all’animale di
girarsi, e di avere il contatto uditivo, olfattivo e visivo con gli altri suini. Il verro adulto deve
disporre di una superficie libera al suolo di almeno 6 m2
2.Qualora i recinti siano utilizzati per l’accoppiamento, il verro adulto deve disporre di una superficie al suolo di 10 m2 ed il recinto deve essere libero da ostacoli.”
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. A)
Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:
-
a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale
uso per la prima volta dopo tale data,
-
a decorrere dal 1° gennaio 2005 a tutte le aziende.
2.4.5 TIPO DI PAVIMENTAZIONE
“5. I pavimenti devono essere non sdrucciolevoli e senza asperità per evitare lesioni ai suini e
progettati, costruiti e mantenuti in modo da non arrecare lesioni o sofferenze ai suini. Essi devono essere adeguati alle dimensioni ed al peso dei suini e, se non è prevista una lettiera, costituire una superficie rigida, piana e stabile”
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 5)
“c) le pavimentazioni devono essere conformi ai seguenti requisiti:
1) per le scrofette dopo la fecondazione e le scrofe gravide una parte della superficie di cui alla
lettera b) pari ad almeno 0,95 m2 per scrofetta e ad almeno 1,3 m2 per scrofa, deve essere costituita da pavimento pieno continuo riservato per non oltre il 15% alle aperture di scarico;
2) qualora si utilizzino pavimenti fessurati per suini allevati in gruppo:
a) l’ampiezza massima delle aperture deve essere di:
1) 11 mm per i lattonzoli
2) 14 mm per i suinetti
3) 18 mm per i suini all’ingrasso
4) 20 mm per le scrofette dopo la fecondazione e le scrofe
b) l’ampiezza minima dei travetti deve essere:
1) 50 mm per i lattonzoli ed i suinetti
2) 80 mm per i suini all’ingrasso, le scrofette dopo la fecondazione e le scrofe”
(D.L.vo 534/92, art. 3, comma 1, lettera c) così come modificato da art. 1, D.L.vo 53/2004)
stesura 2005.2
44
Come disposto con nota del Ministero della Salute prot. n. DGVA/10/7818 del 02 marzo
2005 citata tra i riferimenti normativi, si precisa che i parametri relativi alle ampiezze
massime delle aperture e quelle minime dei travetti, sopra indicate, devono intendersi riferite esclusivamente ai pavimenti fessurati in calcestruzzo, così come si evince
dal testo originale in lingua originale della direttiva 2001/88/CE, art. 1, punto 2, lettera
b).
Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:
-
a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale
uso per la prima volta dopo tale data,
-
a decorrere dal 1° gennaio 2013 a tutte le aziende.
La pavimentazione interamente fessurata rispetto a quella piena è senza dubbio una pavimentazione dalle caratteristiche tecniche e di gestione decisamente favorevoli per
l’allevatore, mentre decisamente più svantaggiosa per il maiale.
Da un punto di vista allevatoriale, la pavimentazione fessurata offre come vantaggio il
completo drenaggio delle deiezioni nella fossa sottostante ed un conseguente controllo
più agevole dell’umidità ambientale.
Il suino, invece, si trova “sospeso” nell’aria e sottoposto alle correnti d’aria che lo circondano, a contatto con i gas nocivi delle fosse di raccolta dei liquami sottostanti, con
una base d’appoggio del piede che può dare dolore, ecc.
Anche la pavimentazione piena, tuttavia ha punti di rischio quali l’eccessivo deposito di
deiezioni, la scivolosità e le eventuali asperità da usura.
In caso di pavimentazione fessurata è importante valutare e misurare sia l’ampiezza dei
travetti che la distanza tra i travetti.
Infatti il legislatore ha fornito, in base alle diverse categorie di suini (lattonzoli, suinetti, suini all’ingrasso e scrofe), dei limiti di ampiezza minima dei travetti e di ampiezza
massima delle aperture, che come sopra indicato sono da applicarsi ai pavimenti fessurati in calcestruzzo.
La norma non prevede specifici requisiti per le pavimentazioni fessurate, diverse da
quelle in calcestruzzo.
stesura 2005.2
45
Pertanto è opportuno sempre verificare che tali pavimentazioni siano comunque adeguate alle dimensioni ed al peso dei suini ivi allevati.
In particolare per i recinti dove sono allevati in gruppo lattonzoli, suinetti, suini
all’ingrasso, scrofette e scrofe a titolo puramente indicativo possono essere tenuti in
considerazione i parametri relativi alle pavimentazioni fessurate in calcestruzzo.
Un ulteriore aspetto della normativa, come già riportato, che per gli allevamenti preesistenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 53/2004 dovrà trovare applicazione dal 1° gennaio 2013, è costituito dalla necessità di garantire ad ogni scrofa e
scrofetta gravida una parte di pavimentazione piena continua e precisamente 0,95 m2
per scrofette e 1,3 m2 per scrofa.
In questo ambito ricordiamo che la parte di pavimentazione piena può essere dislocata
nel box con qualsiasi criterio, mentre la porzione concessa per le aperture di scarico non
può essere sommata a quella di grigliato, ma, se utilizzata, deve essere posta all’interno
della porzione piena.
2.4.6 ABBEVERATA
“7. A partire dalla seconda settimana di età, ogni suino deve poter disporre in permanenza di
acqua fresca sufficiente”.
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 7)
“16. Tutti gli animali devono aver accesso ad un’appropriata quantità di acqua, di qualità adeguata, o devono poter soddisfare le loro esigenze di assorbimento di liquidi in altri modi".
(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 16)
La possibilità che ogni suino disponga “in permanenza di acqua fresca sufficiente” e che
“tutti gli animali abbiano accesso ad un’appropriata quantità di acqua, di qualità adeguata” presuppone che ogni animale può accedere ad abbeveratoi che garantiscono un
adeguato flusso idrico per ogni categorie di suini allevati.
Pertanto si ribadisce che in ogni box deve essere presente almeno un dispositivo di somministrazione d’acqua ad libitum e non è consentita la somministrazione di acqua con
tempi prefissati.
stesura 2005.2
46
Si può ritenere che, in caso di utilizzo di abbeveratoi automatici, sia necessaria la presenza di:
-
in caso di alimentazione secca, almeno 1 abbeveratoio ogni 10-12 suini
-
se l’alimentazione è umida, almeno 1 abbeveratoio ogni 25-30 suini.
Anche la velocità di erogazione dell’acqua (flusso idrico dell’abbeveratoio) deve essere
distinta in base alla categoria e deve tenere conto del bilancio idrico di ogni categoria di
suini.
Categoria
Suino post- svezzamento
Suini ingrasso
Flusso idrico (litri/minuto)
kg 6
500 - 700
kg 10
750 - 1.000
kg 50 - 100
1.000 - 1.500
kg 100 - 150
1.000 - 1.500
Scrofe in gestazione
500 - 1.000
Scrofe in lattazione
1.000 - 2.000
I succhiotti dovrebbero essere posizionati alle seguenti altezze:
- suinetti di peso inferiore ai 5 kg:
100-130 mm
- suinetti di peso pari a 5-15 kg:
130-300 mm
- suinetti di peso pari a di 15-35 kg:
300-460 mm,
- suini di peso superiore ai 35 kg.
pari all’altezza della articolazione scapoloomerale dei suini.
Un corretto flusso, che può essere agevolmente misurato determinando manualmente
l’erogazione dell’acqua per un minuto e misurando l’acqua fuoriuscita e raccolta in un
recipiente graduato, è fondamentale per una corretta abbeverata del suino.
Infatti se il flusso è troppo basso, il suino beve meno del necessario con una conseguente
minore ingestione di alimento; viceversa se il flusso è eccessivo il suino spreca la parte
dell’acqua che fuoriesce dall’abbeveratoio nel tentativo di dissetarsi con l’inutile aumento del volume dei liquami. Tale spreco, che avviene anche in condizioni di ridotta
erogazione può raggiungere il 25-30%.
stesura 2005.2
47
Infine per quanto riguarda l’aspetto relativo alla “qualità adeguata” dell’acqua si ritiene
che essa debba avere le caratteristiche di potabilità previste dalla normativa vigente per
il consumo umano o comunque essere esente da fonti di nocività per gli animali allevati.
2.4.7 ILLUMINAZIONE E RUMORI
“3. Per consentire l’ispezione completa degli animali in qualsiasi momento, deve essere disponibile un’adeguata illuminazione fissa o mobile”.
“11. Gli animali custoditi nei fabbricati non devono essere tenuti costantemente al buio o esposti ad illuminazione artificiale senza un adeguato periodo di riposo. Se la luce naturale disponibile è insufficiente a soddisfare esigenze comportamentali e fisiologiche degli animali, occorre un’adeguata illuminazione artificiale”.
(D.L.vo 146/2001, allegato, punti 3) e 11)
“2. I suini devono essere tenuti alla luce di una intensità di almeno 40 lux per un periodo minimo di 8 ore al giorno”.
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 2)
Illuminazione
L’illuminazione dei locali è indispensabile per garantire un normale accrescimento degli
animali e, soprattutto un corretto sviluppo delle gonadi ed un’importante stimolazione
della galattopoiesi.
Se un’insufficiente illuminazione degli ambienti può pregiudicare il corretto accrescimento ponderale ed una buona attività riproduttiva, è anche vero che un’eccessiva illuminazione dei locali può aumentare l’attività dei suini, determinando una riduzione della resa, ed aumentare gli scambi sociali nel gruppo che in condizioni particolari potrebbero perfino sfociare in episodi di aggressività e cannibalismo vero e proprio.
Il legislatore ha posto la sua attenzione esclusivamente sul problema “carenza di illuminazione” al punto che non solo vieta tassativamente che gli animali siano tenuti costantemente al buio, ma pone anche un limite minimo di luminosità degli ambienti di 40 lux
per almeno 8 ore al giorno.
Una tale luminosità (paragonabile alla minima luce necessaria a leggere un quotidiano
senza fatica) dovrebbe essere sufficiente per la vita di relazione degli animali, ma non è
sufficiente per svolgere una accurata ispezione degli stessi, pertanto è da prevedere
stesura 2005.2
48
l’istallazione di sistemi di illuminazione fissi o mobili che consentano, quando è necessario, agli operatori di svolgere la corretta identificazione e accurata ispezione degli animali.
Rumori
La valutazione del rumore negli allevamenti deve essere fatta in modo analitico tramite
l’utilizzo di un fonometro.
I rumori che possono causare alterazioni comportamentali nei suini allevati possono derivare da molte fonti, alcune di queste difficilmente evitabili: mulino, idropulitrici, trattori, porte, urla emesse dagli stessi animali durante la somministrazione del pasto, ecc.
Il limite di 85 dBA è paragonabile al rumore emesso al passaggio di una vettura civile
sull’asfalto, un trattore in accelerazione può raggiungere i 95 dBA, un mulino durante la
macinazione raggiunge i 110 dBA.
Dato che molte delle fonti di rumore fanno parte della comune operatività dell’azienda
più che la “sterile” quantificazione dei rumori nei fabbricati, vale la pena valutare se effettivamente gli animali mostrano segni di insofferenza al presentarsi del suono.
Può valer la pena, comunque, suggerire, per quanto possibile, la creazione di barriere
tra le fonti di rumori più acuti e i locali di stabulazione, nonché la chiusura delle porte
quando nei locali adiacenti si possano creare rumori molesti.
2.4.8 MICROCLIMA AMBIENTALE
“10. La circolazione dell’aria, la quantità di polvere, la temperatura, l’umidità relativa
dell’aria e le concentrazioni di gas devono essere mantenute entro limiti non dannosi per gli animali”.
(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 10)
La necessità di mantenere i parametri microclimatici “entro limiti non dannosi per gli
animali” e la genericità della suddetta dizione normativa rendono opportuno meglio evidenziare e stabilire per ogni fattore microclimatico i limiti di accettabilità nonché le
modalità di rilevazione in sede di vigilanza veterinaria.
stesura 2005.2
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2.4.8.1
LA POLVERE
La polvere che si riscontra negli allevamenti suini deriva essenzialmente dalle feci, dal
mangime e dagli animali presenti (squame cutanee, peli, ecc.). Essa risulta costituita da
piccole particelle che, in rapporto al loro diametro, vengono solitamente suddivise in:
-
particelle respirabili: hanno il diametro inferiore a 5 µ, possono penetrare fino a livello alveolare e rappresentano la frazione più cospicua (60-70%) della polvere totale;
-
particelle toraciche: hanno un diametro compreso tra 5 e 10 µ e, se inalate, penetrano fino a livello della trachea e dei grossi bronchi ove vengono captate dalla
struttura muco-cigliare;
-
particelle inspirabili: sono quelle il cui diametro, superiore a 10 µ, ne determina
l’arresto a livello delle primissime vie respiratorie (narici, faringe e laringe).
Tratto respiratorio
Narice e laringe
Faringe
Diametro particelle (µm)
>7
7
Trachea e bronchi primari
4,7
Bronchi secondari
3,3
Bronchioli terminali
2,1
Alveoli
1,1
Relazione tra diametro delle particelle di polvere e loro capacità di penetrazione nell’apparato respiratorio dell’uomo
(Perkins e Cocke, 1988; da Barbari e Gastaldo, 1993).
Tra i metodi più comunemente utilizzati per la rilevazione della quantità di polvere presente negli allevamenti si richiama quello costituito dal rilievo della concentrazione totale della massa di polvere (T.M.C.), vale a dire della quantità totale di polvere presente in un metro cubo di aria; tale valore viene espresso in mg/m3.
Si ritiene che possa essere ritenuto accettabile per un’esposizione continua dei suini e
superiore a 8 ore per gli addetti un livello di polverosità pari a 10 mg/m3, misurato tra
stesura 2005.2
50
un pasto e l’altro. Livelli superiori a tale limite-soglia possono avere ripercussioni sanitarie sia sugli animali che sugli operatori.
2.4.8.2
TEMPERATURA DELL’ARIA
Rappresenta uno dei fattori microclimatici più importanti ed a maggiore impatto sulle
condizioni sanitarie e di benessere degli animali. Infatti è ampiamente accertato che il
mantenimento dei suini a temperature diverse da quelle ottimali incide direttamente e
negativamente sul consumo di mangime, sull’accrescimento giornaliero, sull’indice di
conversione degli alimenti, sull’attività riproduttiva nonché sulla comparsa di patologie
dell’apparato digerente e respiratorio.
Il range di temperature consigliabile ed accettabile (zona di confort termico) varia in
rapporto alla categoria dei suinetti e, nell’ambito della stessa, in rapporto all’età degli
animali.
Categoria
Temperatura consigliabile (°C)
Verri
16 - 18
Scrofe gestanti
16 - 18
Scrofe allattanti con nidiata
18 - 20
Suinetti
Suinetti
alla nascita
32 - 34
a 10-15 giorni
26 - 28
a 15-25 giorni
24 - 26
allo svezzamento (5-7 kg)
26 - 28
a 30 kg
22 - 24
Suini all’ingrasso
18 - 21
La tabella riporta valori di riferimento, tuttavia, oltre al valore in senso assoluto, è importante anche come questo venga raggiunto; in sintesi, se per ottenere la temperatura
desiderata dovessimo eccedere o essere deficitari in altri parametri, il valore della temperatura dovrà essere accettato con scostamenti anche importanti. Altrettanto importante è la correlazione tra pavimentazione e temperatura: sul fessurato, ad esempio, i
suini necessitano di temperature più alte di quelli alloggiati su pavimento pieno.
stesura 2005.2
51
È quindi molto importante valutare correttamente la temperatura degli ambienti con
l’ausilio di un termometro elettronico. In ogni locale (capannone, stalla) le misurazioni
devono essere effettuate in più punti ed almeno una al centro all’altezza dei suini ed
una per ogni lato del capannone e questo per rilevare la diversa perdita od assunzione di
calore che si ha in prossimità delle pareti per irraggiamento.
2.4.8.3
UMIDITÀ DELL’ARIA
L’umidità che si riscontra nei locali di allevamento deriva in parte da quella già presente
nell’aria esterna ed in parte dall’evaporazione dell’acqua dagli abbeveratoi, dall’acqua
di lavaggio, dalla superficie corporea dei suini.
Il livello di umidità che si ritiene accettabile è il seguente:
Categoria
Umidità relativa ottimale (%)
Verri
65 - 75
Scrofe gestanti
65 - 75
Scrofe allattanti con nidiata
60 - 70
Suinetti
Suinetti
alla nascita
60 - 70
a 10-15 giorni
60 - 70
a 15-25 giorni
60 - 70
allo svezzamento (5-7 kg)
60 - 80
a 30 kg
60 - 80
Suini all’ingrasso
60 - 80
(da Chiumenti, 1991)
2.4.8.4
VELOCITÀ DELL’ARIA
La velocità dell’aria presenta una stretta correlazione con la temperatura ambientale
nel senso che quando la stagione è fredda si ritiene necessario ridurre la velocità
dell’aria mentre, nella stagione estiva, è necessario aumentarla per aumentare la dispersione del calore dal corpo dei suini. È stato stabilito che ad un aumento di 0,1
m/sec. corrisponde una riduzione della temperatura percepita dall’animale di circa 1°C,
stesura 2005.2
52
La velocità dell’aria varia in rapporto alle diverse categorie dei suini od al diverso stato
fisiologico degli stessi, nonché alle temperature ambientali (stagione).
Categoria
Velocità dell’aria (m/sec)
Verri
2,0
Scrofe gestanti
0,4 - 2
Scrofe allattanti con nidiata
Suinetti
Suinetti
0,2 - 0,7
alla nascita
0,1 - 0,3
a 10-15 giorni
0,1 - 0,3
a 15-25 giorni
0,1 - 0,3
allo svezzamento (5-7 kg)
0,1 - 0,3
a 30 kg
0,1 - 0,4
Suini all’ingrasso
1,0
(da Chiumenti, 1991)
La misurazione della velocità dell’aria può essere effettuata in modo strumentale con
l’anemometro oppure, in alternativa, con il modo empirico della “cartina da sigarette”.
Tenendo un angolo della cartina tra due dita si osserva se essa viene mossa o meno
dall’aria. Se la cartina non viene mossa, si può ritenere che la velocità dell’aria sia inferiore a 0,2 m/sec. Se invece viene mossa, è possibile rapportare la velocità dell’aria
con l’entità dello spostamento della cartina stessa.
Gli anemometri ad uso zootecnico sono strumenti assai precisi per alte velocità
dell’aria, mentre per modiche velocità, in alcuni casi, possono far sorgere perplessità.
L’uso dell’anemometro è assai valido per quantificare l’aria che viene introdotta in un
determinato ambiente.
2.4.8.5
GAS NOCIVI
Tra i numerosi gas che si possono formare in un allevamento suino, quelli che più degli
altri possono avere ripercussioni negative sulla salute degli animali sono l’ammoniaca
(NH3), il biossido di carbonio o anidride carbonica (CO2) e l’acido solfidrico o idrogeno
solforato (H2S).
stesura 2005.2
53
L’ammoniaca deriva essenzialmente dalla degenerazione delle sostanze organiche ed in
particolare dell’urea contenuta nei liquami.
È un gas la cui presenza si avverte già a modeste concentrazioni nell’aria (5-10 ppm) e
che, essendo più leggero dell’aria, solitamente si sviluppa dalle fosse e, passando dal
pavimento grigliato, viene inalato dagli animali e dagli operatori.
Modeste quantità di ammoniaca (2-3 ppm) sono praticamente inevitabili e si riscontrano
anche negli allevamenti in cui la ventilazione, naturale od artificiale, è buona, tuttavia
sono frequenti livelli ben superiori che portano grave danno alla salute del suino e degli
operatori.
Gli indicatori clinici di elevati livelli di ammoniaca, seppur non esclusivi, sono: rossore
delle congiuntive, lacrimazione, tosse, difformità del gruppo, starnuti.
La presenza di anidride carbonica (CO2) nell’aria è essenzialmente dovuta alla respirazione degli animali presenti. Infatti l’aria inspirata dal suino contiene lo 0,035% di CO2,
mentre quella espirata ne contiene il 5%.
Come già detto per l’ammoniaca, anche l’anidride carbonica si accumula in allevamento
allorché esistono deficit di ventilazione.
In condizioni normali di ventilazione si riscontrano livelli di CO2 pari a 1.000 ppm. Viene
comunque ritenuto accettabile un livello di CO2 pari a 3.000 ppm.
Gas nocivi
NH3
CO2
H 2S
Esposizione prolungata *
10
3.000
2,5
Breve esposizione**
25
5.000
10
Concentrazioni massime di gas nocivi negli allevamenti.
* Esposizione di circa 8 ore al dì per gli operatori (pari a 40 ore settimanali) e di 24 ore per gli animali.
** Esposizione temporanea, di breve durata.
(CRPA, 1993, citato da Barbari e coll., 1995)
La rilevazione dei gas ambientali viene fatta utilizzando strumenti che consentono di avere il dato in pochi secondi e con ridotti margini di errore.
stesura 2005.2
54
2.4.9 IMPIANTI AUTOMATICI O MECCANICI
“13. Ogni impianto automatico o meccanico indispensabile per la salute ed il benessere dei suini
deve essere ispezionato almeno una volta al giorno. Gli eventuali difetti riscontrati devono essere eliminati immediatamente; se ciò non fosse possibile, occorre prendere le misure adeguate
per salvaguardare la salute ed il benessere degli animali.
Se la salute ed il benessere degli animali dipendono da un impianto di ventilazione artificiale,
deve essere previsto un adeguato impianto di riserva per garantire un ricambio di aria sufficiente a salvaguardare la salute ed il benessere degli animali. In caso di guasto all’impianto deve essere previsto un sistema di allarme che segnali il guasto. Detto sistema di allarme deve essere sottoposto a controlli regolari.
(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 13)
Nei moderni allevamenti suini, di norma, gli impianti automatici riguardano
l’alimentazione, il riscaldamento e la ventilazione.
Particolare riguardo deve essere dedicato alla ventilazione che può essere:
-
naturale, quando il corretto ricambio dell’aria è assicurato da finestre e cupolini,
il cui controllo potrà essere o manuale o automatico.
-
artificiale, se l’adeguata e completa aerazione è garantita da un sistema di ventilatori.
Il blocco, anche temporaneo, di un impianto di ventilazione artificiale determina un rapido accumulo dei gas ambientali che può causare la morte degli animali presenti.
Pertanto il legislatore ha previsto, in questo caso, la presenza di un impianto sostitutivo
che permetta un ricambio dell’aria sufficiente per garantire la sopravvivenza degli animali, che in caso di blocco dell’impianto principale possa essere attivato.
L’impianto di ventilazione artificiale deve essere dotato di un sistema di allarme che segnali tempestivamente il guasto all’allevatore.
E’ compito dell’allevatore verificare regolarmente l’efficienza del sistema di allarme.
2.4.10 MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE DEGLI ALIMENTI
“6. Tutti i suini devono essere nutriti almeno una volta al giorno. Se i suini sono alimentati in
gruppo e non “ad libitum” o mediante un sistema automatico di alimentazione individuale, ciascun suino deve avere accesso agli alimenti contemporaneamente agli altri suini del gruppo”.
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 6)
stesura 2005.2
55
“15. Tutti gli animali devono aver accesso ai mangimi ad intervalli adeguati alle loro necessità
fisiologiche”.
(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 15)
“17. Le attrezzature per la somministrazione di mangimi e di acqua devono essere concepite,
costruite ed installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di contaminazione degli alimenti o dell’acqua e le conseguenze negative derivanti da rivalità tra gli animali”.
(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 17)
Ogni suino deve avere la possibilità di accedere agli alimenti durante la somministrazione degli stessi. È pertanto necessario che, in caso di alimentazione razionata, venga garantito ad ogni suino presente nel gruppo un fronte mangiatoia sufficiente.
Il calcolo del fronte mangiatoia necessario per le varie categorie di peso è espresso dalla
seguente formula:
fronte mangiatoia per suino (mm) = 60 x peso vivo0,33
dalla suddetta equazione si evince, ad esempio, che
un suino di circa 10 kg di p.v.
fronte mangiatoia di 13 cm.
un suino di 50 kg
fronte mangiatoia di 22 cm.
un suino di 110 kg
fronte mangiatoia di 28 cm.
un suino a fine ingrasso di circa 150 kg
fronte mangiatoia di 40 cm.
2.5 ASPETTI GESTIONALI
2.5.1 ATTACCHI PER SCROFE E SCROFETTE
“2. È vietato costruire o convertire impianti in cui le scrofe e le scrofette sono tenute
all’attacco, nonché il relativo utilizzo”.
(D.L.vo 534/92, art. 3, comma 2 così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. 1, comma 2)
Si ricorda che in Italia tale divieto è vigente dal 1° gennaio 2001.
stesura 2005.2
56
2.5.2 FORMAZIONE DEI GRUPPI E CONTROLLO DELL’AGGRESSIVITÀ
“8. I suini che devono essere allevati in gruppo, che sono particolarmente aggressivi, che sono
stati attaccati da altri suini o che sono malati o feriti, possono essere temporaneamente tenuti
in recinti individuali
9. Il recinto individuale, di cui al comma 8, deve permettere all’animale di girarsi facilmente se
ciò non è in contraddizione con specifici pareri veterinari”.
(D.L.vo 534/92 così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. I, punti 8 e 9)
SCROFE E SCROFETTE
“1. Vanno adottate misure per ridurre al minimo le aggressioni nei gruppi”.
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. B)
SUINETTI E SUINI ALL’INGRASSO
“1. Quando i suini sono tenuti in gruppo occorre prendere misure per evitare lotte che vadano
oltre il comportamento normale.
2. Essi dovrebbero essere tenuti in gruppi con il minimo di commistione possibile. Qualora si
debbano mescolare suini che non si conoscono, occorre farlo il prima possibile, di preferenza
prima dello svezzamento o entro una settimana dallo svezzamento. All’atto del rimescolamento
i suini devono disporre di spazi adeguati per allontanarsi e nascondersi dagli altri suini
3. Qualora si manifestino segni di lotta violenta, occorre immediatamente indagare le cause ed
adottare idonee misure, quali fornire agli animali abbondante paglia, se possibile, oppure altro
materiale per esplorazione. Gli animali a rischio o particolarmente aggressivi vanno separati
dal gruppo.
4. La somministrazione di tranquillanti per facilitare la commistione va limitata a condizioni
eccezionali e dietro prescrizione di un veterinario”.(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. D)
Ad ogni nuova formazione di gruppo di suini corrisponde uno stato di aggressività finalizzato a stabilire la gerarchia di gruppo ed a determinare i soggetti dominanti e quelli cedenti.
Possiamo quindi ritenere che in questa fase l’aggressività tra i soggetti sia, per così dire,
fisiologica e necessaria, a condizione che essa non esploda in zuffe violente e che abbia
una durata limitata (1-2 giorni).
Per cercare di contenere, entro limiti di accettabilità, l’aggressività durante la formazione di un nuovo gruppo è necessario:
stesura 2005.2
57
-
il rispetto della superficie minima disponibile per ogni suino e ciò per consentire al
suino cedente di mantenere la distanza di fuga dal dominante e di rispettare l’ordine
di evitamento;
-
la possibilità da parte dei soggetti deboli di nascondersi dietro barriere visive (nascondini), sfuggendo così al campo visivo dei soggetti aggressori e ponendo fine a
possibili conflitti;
-
la formazione dei gruppi avvenga nelle ore del tramonto, allorché sopravviene il buio
della sera e della notte ed i suini trascorrono le prime ore di contatto senza conflitti;
-
mantenere quanto più possibile stabile il gruppo nel tempo ed evitare frequenti rimescolamenti, se non strettamente necessari, al fine di evitare nuovi confronti per
ristabilire gerarchie di gruppo;
-
lo spostamento dei suini finalizzato alla formazione di nuovi gruppi deve essere fatto
in modo pacato e tranquillo, senza urla e, peggio ancora, senza l’utilizzo di pungoli
elettrici e deve consentire al suino di non vedere davanti a sé ombre o raggi di luce
eccessive.
Qualora, nonostante le suddette misure, lo stato di aggressività nel gruppo si protragga
per tempi lunghi, appare necessario rimuovere dal gruppo i soggetti più aggressivi e collocare i suini aggrediti e feriti in box appositamente dedicati.
2.5.3 TIPO DI ALIMENTAZIONE
“6. Tutti i suini devono essere nutriti almeno una volta al giorno. Se i suini sono alimentati in
gruppo e non “ad libitum” o mediante un sistema automatico di alimentazione individuale, ciascun suino deve avere accesso agli alimenti contemporaneamente agli altri suini del gruppo”.
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 6)
“6. Le scrofe e le scrofette allevate in gruppo devono essere alimentate utilizzando un sistema
atto a garantire che ciascun animale ottenga mangime a sufficienza senza essere aggredito, anche in situazione di competitività
7. Per calmare la fame e tenuto conto del bisogno di masticare tutte le scrofe e scrofette asciutte gravide devono ricevere mangime riempitivo o ricco di fibre in quantità sufficiente, così
come alimenti ad alto tenore energetico”.
(D.L.vo 534/92, art. 3, così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. 1, commi 6 e 7)
stesura 2005.2
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“14. Agli animali deve essere fornita un’alimentazione sana adatta alla loro età e specie ed in
quantità sufficiente a mantenerli in buona salute ed a soddisfare le loro esigenze nutrizionali.
(...”).
(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 14)
Lo stretto regime di restrizione alimentare a cui sono sottoposte le scrofe e scrofette in
gestazione, al fine di evitare un eccessivo ingrassamento prima del parto, determina un
“senso di fame” che, se non viene soddisfatto sul piano della qualità degli alimenti
somministrati, può costituire un fattore scatenante l’aggressività nel gruppo, peraltro in
una fase assai delicata quale può essere il 1°mese di gravidanza.
Per questa ragione è prescritto che il mangime somministrato sia affiancato da un alimento ricco di fibra che, con la sua capacità riempitiva dell’apparato gastro-enterico,
può calmare la fame e rendere gli animali più tranquilli.
L’integrazione con alimento ricco di fibra della dieta delle scrofe riveste un ruolo decisamente importante nell’allevamento delle scrofe e delle scrofette in box multiplo, poiché soltanto la corretta gestione degli spazi e dell’alimentazione consente una quieta
convivenza tra gli animali.
La scelta di fornire alle scrofe e scrofette, mediante appositi dispositivi (dispenser) foraggio, quale erba medica, fieno, ecc. consente di soddisfare due necessità quella di
fornire l’alimento ricco di fibra e l’altra di mettere a disposizione materiale manipolabile.
2.5.4 ARRICCHIMENTO AMBIENTALE
“4. (...)i suini devono avere accesso permanente ad una quantità sufficiente di materiali che
consentano loro adeguate attività di esplorazione e manipolazione quali, ad esempio, paglia,
fieno, legno, segatura, composti di funghi, torba od un miscuglio di questi, salvo che il loro uso
possa comprometterne la salute o il benessere”.
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. I, punto 4)
“5. (...) le scrofe e le scrofette devono avere accesso permanente al materiale manipolabile che
soddisfi almeno i pertinenti requisiti elencati in detto allegato”.
(D.L.vo 534/92, art. 1 così come modificato da D.L.vo 53/2004, art. 1, comma 5)
stesura 2005.2
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Si ricorda che le modalità di applicazione delle suddette disposizioni sono le seguenti:
-
a decorrere dal 14 marzo 2004 alle aziende nuove, ricostruite o adibite a tale
uso per la prima volta dopo tale data,
-
a decorrere dal 1° gennaio 2013 a tutte le aziende.
La nota del Ministero della Salute citata nei riferimenti normativi precisa tra l’altro che
“(...) Molta attenzione deve essere posta nella scelta del materiale manipolabile . Innanzitutto dovrà essere presa in considerazione la mancanza di tossicità dei prodotti utilizzati, ma per molte Aziende attualmente presenti sul territorio nazionale, di vecchia costruzione, nella scelta del materiale manipolabile, dovrà essere tenuto presente
anche il rischio che questo, se non idoneo, possa compromettere la funzionalità delle
strutture (per esempio l’intasamento del grigliato) e di conseguenza sia di nocumento
per la salute ed il benessere degli animali; in tali casi può essere consentito il ricorso a
materiali più grossolani o l’uso di materiali di arricchimento ambientale di altra natura. (...)”
L’introduzione di elementi di dissuasione ambientale (arricchimenti ambientali) per la
riduzione degli atteggiamenti di eccessivo interesse ai compagni e aggressività in genere
è universalmente riconosciuta assai utile.
E’ possibile consigliare l’immissione nei box di catene (al centro), ceppi di legno morbido non resinoso, flaconi di materiali non nocivi esauriti, materiale fibroso (paglia, erba
medica, ecc.) tramite grandi ceste metalliche a maglia stretta appese ai muretti dei
box, ecc.
A fronte di un modico consumo, gli animali ripagano con una maggiore produttività.
L’approccio a questi materiali dovrebbe suscitare osservazioni positive negli allevatori
più scettici, che comprenderanno ben presto la necessità di adeguarsi alla normativa.
La pratica ancora oggi adottata da alcuni allevatori di mettere a disposizione dei suini
materiali con cui essi possano espletare quella parte di repertorio comportamentale che
consiste nel grufolare, scavare ed esplorare, trova nella pratica scarse motivazioni al fine di contenere episodi di cannibalismo tra i gruppi una volta che questi sono comparsi.
Per questa ragione l’arricchimento ambientale non può essere ritenuto l’unico strumento per risolvere uno stato di aggressività nei gruppi, ma è da considerare propedeutico
alla attenta valutazione di tutte le cause possibili.
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2.5.5 SVEZZAMENTO
“3. Nessun lattonzolo deve essere staccato dalla scrofa prima che abbia raggiunto un’età di 28
giorni, a meno che la permanenza presso la madre influenzi negativamente il benessere o la salute del lattonzolo o di quest’ultima
4. I lattonzoli possono tuttavia essere svezzati fino a sette giorni prima di tale età qualora siano trasferiti in impianti specializzati. Tali impianti devono essere svuotati ed accuratamente
puliti e disinfettati prima dell’introduzione di un nuovo gruppo e che siano separati dagli impianti in cui sono tenute le scrofe, in modo da ridurre al minimo i rischi di trasmissione di malattie ai piccoli”.
(D.L.vo 53/2004, allegato, cap. II, lett. C)
Lo svezzamento rappresenta una delle fasi più delicate e complesse dell’allevamento del
suino: il lattonzolo viene allontanato dalla madre, con cui ha convissuto strettamente
dalla nascita per essere alloggiato in un locale diverso; viene messo assieme ad altri suini di nidiate diverse e viene alimentato con alimenti solidi diversi dal latte materno.
Per queste ragioni lo svezzamento, anche se fatto con la massima correttezza, deve
sempre essere ritenuto un momento stressante per il suinetto e per questo motivo è stata prevista un’età minima di svezzamento di 28 giorni, che può essere ridotta a 21 giorni, quando i suinetti sono collocati in “impianti specializzati” di svezzamento, ben separati dalle sale parto ed adeguatamente lavati e disinfettati prima dell’immissione dei
suinetti.
Appare necessario sottolineare alcuni aspetti:
a. è vietato svezzare i lattonzoli ad una età inferiore ai 28 giorni;
b. è possibile attuare lo svezzamento in età più precoce nei seguenti casi:
-
la permanenza della covata presso la madre compromette il benessere o la
salute dei lattonzoli o/e della scrofa; questo comportamento deve essere
debitamente certificato dal medico veterinario aziendale;
-
i lattonzoli di età non inferiore ai 21 giorni sono trasferiti in impianti specializzati (allevamenti c.d. “multisede”) o locali separati dalle sale parto e
dalle gestanti applicano la tecnica del “tutto pieno - tutto vuoto
stesura 2005.2
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c. in caso di sale parto-svezzamento, nelle quali il suinetto viene svezzato dopo il
solo allontanamento della scrofa, lo svezzamento non può essere effettuato prima
dei 28 giorni;
Appare ovvio, che sulla base di situazioni contingenti (variazioni produttive stagionali,
patologie intercorrenti, ecc.) che hanno reso obbligatorio un aumento delle fecondazioni
per non compromettere la produttività dell’azienda, si valutino con senso critico eventuali svezzamenti precoci correlati ad un imprevisto incremento dei parti. D’altro canto,
con altrettanto senso critico deve essere giudicata l’impossibilità di raggiungere il numero di giorni di lattazione in condizioni di palese squilibrio tra animali e strutture per il
parto.
2.5.6 PERSONALE
“1. Gli animali sono accuditi da un numero sufficiente di addetti aventi adeguate capacità, conoscenze e competenze professionali”.
D.L.vo 146/2001, allegato, punto 1)
“1. Qualsiasi persona che assuma, o comunque impieghi, personale addetto ai suini deve garantire che gli addetti agli animali abbiano ricevuto istruzioni sulle pertinenti disposizioni di cui
all’art. 3 e all’allegato.
2. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano organizzano corsi di formazione per gli
addetti del settore relativi, in particolare al benessere degli animali, facendovi fronte con le
risorse già stanziate nei propri bilanci”.
(D.L.vo 534/92 integrato da D.L.vo 53/2004, art. 5 bis)
Il personale addetto alla gestione ed al controllo degli animali gioca un ruolo fondamentale nel garantire un corretto management aziendale.
Molto opportunamente il legislatore ha imposto che il personale:
-
sia in numero adeguato;
-
abbia adeguate capacità, conoscenze e competenze professionali;
-
sia stato adeguatamente informato e formato prima del suo utilizzo in allevamento
sui requisiti minimi necessari per garantire il benessere dei suini.
stesura 2005.2
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Il proprietario/detentore dell’allevamento fornisce al personale addetto alla gestione ed
al controllo degli animali una adeguata formazione.
La valutazione del comportamento del personale sarà effettuata durante l’espletamento
della normale vigilanza veterinaria od in occasione di specifici interventi in allevamento
da parte del Veterinario Ufficiale (mod. 4, prelievi per PNR, ecc.).
In queste occasioni gli addetti saranno valutati in particolare osservando se:
-
le modalità od approccio agli animali sono corrette,
-
l’atteggiamento è sereno o minaccioso,
-
il comportamento è calmo oppure nervoso e violento,
-
è ricorrente l’uso di modi e toni pacati
-
gli animali sono aggrediti con urla, grida, colpi, calci o pungoli elettrici,
-
trovano nel lavoro a contatto con gli animali soddisfacimento e gratificazione
-
vivono momenti di insoddisfazione o di frustrazione dovuti al loro lavoro
2.6 ASPETTI IGIENICI E SANITARI
2.6.1 IGIENE DEGLI AMBIENTI E DELLE ATTREZZATURE
“8. I materiali che devono essere utilizzati per la costruzione dei locali di stabulazione e, in
particolare, dei recinti e delle attrezzature con i quali gli animali possono venire a contatto
non devono essere nocivi per gli animali e devono poter essere accuratamente puliti e disinfettati”.
(D.L.vo 146/2001, allegato, punto 8)
Un’accurata gestione igienica degli ambienti e delle attrezzature costituisce una condizione necessaria per la riduzione del polimicrobismo ambientale ed il mantenimento dei
suini allevati nelle migliori condizioni sanitarie.
Per perseguire e conseguire detti obiettivi sanitari ogni allevatore deve gestire i locali
del suo allevamento applicando con rigore e con costanza alcuni principi igienici, ormai
consolidati da anni nell’allevamento intensivo dei suini:
-
ogni locale deve essere, alla fine di ogni ciclo, svuotato dagli animali e riempito secondo il principio del “tutto pieno - tutto vuoto”;
-
dopo che il locale è stato completamente vuotato, esso deve essere accuratamente
pulito, lavato e disinfettato;
stesura 2005.2
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-
ogni locale dovrebbe, tra un ciclo e l’altro e dopo la disinfezione, essere mantenuto
vuoto per almeno 7-10 giorni (riposo biologico).
“2. Le scrofe e le scrofette devono, se necessario, essere sottoposte a trattamento contro i parassiti interni od esterni. Esse devono, se sono sistemate negli stalli da parto, essere pulite”.
(D.L.vo 534/92, allegato, cap. II, paragrafo B, punto 2)
Il legislatore prescrive il lavaggio delle scrofe prima del parto, questa pratica ha un sicuro effetto benefico sulla nidiata.
Il trattamento antiparassitario è certamente eseguito senza indugio nel caso in cui la parassitosi sia apprezzabile.
Questo non appaia superfluo, in quanto, specie in epoche ove il settore suinicolo versi in
condizioni economiche critiche, il trattamento antiparassitario viene procrastinato nel
tempo a causa degli elevati costi.
2.6.2 INTERVENTI VETERINARI
“ 8. Sono vietate tutte le operazioni effettuate per scopi diversi da quelli terapeutici o diagnostici o per l’identificazione dei suini e che possono provocare un danno o la perdita di una parte
sensibile del corpo o una alterazione della struttura ossea, ad eccezione:
a) di una riduzione uniforme degli incisivi dei lattonzoli mediante levigatura o della
troncatura, entro i primi sette giorni di vita, che lasci una superficie liscia intatta (…
omissis ..);
b) del mozzamento della coda;
c) della castrazione di suini di sesso maschile con mezzi diversi dalla lacerazione dei
tessuti;
d) (… omissis ..);
9. Né il mozzamento della coda né la riduzione degli incisivi dei lattonzoli devono costituire operazioni di routine, ma devono essere praticati soltanto ove sia comprovata la presenza di ferite ai capezzoli delle scrofe o agli orecchi o alle code di altri suini. Prima di effettuare tali operazioni di devono adottare misure intese ad evitare le morsicature delle code e altri comportamenti anormali tenendo conto delle condizioni ambientali e della densità degli animali. E’
pertanto necessario modificare condizioni ambientali o sistemi di gestione inadeguati.”
(D.L.vo 53/04, cap. I, punto 8, 9)
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Il mozzamento della coda e la riduzione degli incisivi possono essere eseguiti soltanto
qualora il medico veterinario aziendale ne certifichi la necessità, quando a seguito di interventi mirati a modificare le condizioni ambientali e la densità degli animali, la presenza di ferite agli animali permangono.
La riduzione, tramite la troncatura o, meglio, la levigatura degli incisivi, rispetta il benessere del suinetto, e annulla la possibilità di pericolosissime infezioni in situ, mantenendo l’efficacia clinica dell’intervento
E’ vietata la riduzione degli incisivi attuata mediante la completa frantumazione del
dente.
“ 10. Tutte le operazioni sopra descritte devono essere praticate da un veterinario o da altra
persona formata ai sensi dell’articolo 5-bis che disponga di esperienza nell’eseguire le tecniche
applicate con mezzi idonei e in condizioni igieniche.
Qualora la castrazione o il mozzamento della cosa siano praticate oltre il settimo giorno di vita,
essi devono essere effettuate unicamente da parte di un veterinario sotto anestesia e con somministrazione prolungata di analgesici.”
(D.L.vo 53/04, cap. II, punto 10)
La castrazione dei suini eseguita nei primi giorni di vita riduce la possibilità di infezioni e
quindi le mortalità ad essa correlate.
Effettuata in giovanissima età (entro 48 ore dalla nascita) consente una retrazione meccanica dei vasi lacerati con una più completa emostasi rispetto al taglio netto.
Tuttavia, è certo che la castrazione del suino con la tecnica della lacerazione eseguita
tardivamente causa un più intenso dolore.
In una ricerca effettuata da Candotti P. e coll. è stato dimostrato che le curve di crescita dei suinetti castrati a 3 giorni o a 8 giorni erano tra loro identiche, ma erano sovrapponibili anche a quelle delle femmine che con questi coabitavano; da questo si desunse
una sostanziale indifferenza dei suinetti maschi all’atto chirurgico se effettuato precocemente.
Si ricorda che, gli atti chirurgici, quali la castrazione o il mozzamento della coda eseguiti dopo il settimo giorno di vita dei suini, sono di esclusiva competenza veterinaria.
Se tali interventi sono effettuati da soggetti diversi da medici veterinari si configura il reato
di esercizio abusivo di una professione sanitaria.
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2.7 SANZIONI
Il D.Lgs. 534/1992 e succ. mod. e intergr. prevede la possibilità, qualora non si configuri
un reato, di elevare, a coloro che violano il disposto degli:
-
articolo 3, commi 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 9;
articolo 4
una sanzione amministrativa con pagamento di una somma da Euro 1.550,00 a Euro
9.296,00.
2.8 PARAMETRI PRODUTTIVI E RIPRODUTTIVI
Una valutazione del benessere dei suini non può essere disgiunta da un’analisi dei dati,
quando disponibili, relativi ai parametri produttivi e riproduttivi.
Ormai quasi tutti gli allevamenti intensivi di suini hanno una gestione informatizzata di
tutti gli eventi che attengono la produzione e la riproduzione; occorre però rilevare che
l’azienda non ha l’obbligo di fornire al veterinario ufficiale i suddetti dati, anche se va
detto che generalmente gli allevatori sono ben disponibili a far conoscere le performance produttive e riproduttive dei loro animali.
Le schede sotto riportate possono essere utilizzate per valutare i dati produttivi e riproduttivi dell’allevamento.
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SCHEDA DI VALUTAZIONE PER SUINI ALL’INGRASSO
Parametro
Accrescimento medio giornaliero da 30 a 160 kg.
Indice di conversione da 30 a 160 kg.
Resa mangime da 30 a 160 kg.
Range
650 - 700 g.
3,51 - 3,75 kg.
26,6 - 28,5%
Numero di cicli animali in tutto pieno/tutto vuoto
Percentuale di mortalità
1,8
3,1 - 3,5%
Percentuale di scarti
3 - 4%
Numero di pareggiamenti nel corso dell’ingrasso
Variabilità nel peso finale (% oltre i limiti tollerati)
3
7,1 - 9%
SCHEDA DI VALUTAZIONE PER LA SALA PARTO
Parametro
Range
Percentuale di scrofe grasse al parto
4 - 5%
Percentuale di parti con durata di 4 ore o più
4 - 5%
Percentuale di parti che necessitano di interventi manuali
4 - 5%
N° medio di iniezioni di ossitocina per scrofa
N° medio nati vivi per parto:
scrofette
scrofe
Percentuale di figliate con nati vivi e morti uguale o inferiore a 8
suinetti
N° nati morti per parto:
scrofette
scrofe
Peso medio del suinetto alla nascita
1,1 - 1,5
10 - 10,9
11 - 11,9
11 - 13%
0,5 - 0,6%
0,6 - 0,7%
1.300 - 1.400 g.
Percentuale di morti durante la lattazione
5,1 - 7%
Percentuale di morti schiacciati nei primi 3 giorni rispetto ai morti
totali in lattazione
21 - 30%
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Parte Speciale
Il benessere dei conigli
PARTE SPECIALE: IL BENESSERE DEI CONIGLI
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3 IL BENESSERE ANIMALE NELL’ALLEVAMENTO DEL CONIGLIO
3.1 PREMESSA
Attualmente l’allevamento del coniglio non è sottoposto ad alcun vincolo normativo, fatto salvo i criteri di carattere generale relativi alla protezione degli animali negli allevamenti, previsti ai sensi del decreto legislativo n. 146/2001.
Tuttavia, poiché nel breve-medio periodo, anche la coniglicoltura sarà, con ogni probabilità regolamentata (come già verificatosi per altre specie animali) si è ritenuto opportuno fornire alcune informazioni inerenti:
-
l’attuale “stato dell’arte” della coniglicoltura lombarda;
-
alcuni risultati di carattere scientifico anche se non sempre concordanti tra loro;
-
alcuni orientamenti comunitari in merito ad una ipotetica disciplina della materia.
Queste informazioni che, in quanto tali, non hanno carattere prescrittivo (ad eccezione dei dettami di legge riportati in grigio nel testo) intendono costituire uno strumento
di riflessione per tutti gli operatori del settore, soprattutto nel caso in cui questi intendano effettuare investimenti in coniglicoltura.
Sarebbe infatti di una gravità assoluta che gli eventuali investimenti effettuati si rivelassero obsoleti nel giro di pochi anni con gravi danni per chi li ha effettuati.
Queste linee guida intendono quindi, oltre a mantenere alta l’attenzione degli operatori
del settore verso problematiche di attualità e fornire spunti di riflessione, costituire un
utile strumento di lavoro.
Starà al lettore ricercare poi tutti gli approfondimenti in merito che riterrà opportuno.
Infine si ritiene doveroso ringraziare, oltre a tutti i componenti il gruppo di lavoro, le associazioni di categoria dei coniglicoltori che hanno fattivamente contribuito e collaborato alla presente stesura.
3.2 RIFERIMENTI NORMATIVI
-
D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 146, relativo alla protezione degli animali negli allevamenti
-
Legge 20 luglio 2004, n. 189, disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento
degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate
stesura 2005.2
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In Europa l’allevamento del coniglio, pur avendo uno sviluppo più limitato rispetto agli
allevamenti di altre specie animali rappresenta un fattore economico di non secondaria
importanza.
Più del 76% della totale produzione europea è concentrata nei paesi mediterranei (Italia,
Spagna e Francia), dove tradizionalmente anche l’allevamento a carattere familiare è
particolarmente diffuso.
Sempre in ambito comunitario il benessere di questi animali risulta oggetto di attenzione, con particolare riguardo ai sistemi di allevamento (in gabbia o in strutture alternative), quantità di spazio a disposizione e caratteristiche dello spazio stesso.
Al riguardo, la Commissione europea ha incaricato la EFSA di stilare un documento scientifico indipendente riassuntivo di tutti gli ultimi dati scientifici disponibili sul benessere
del coniglio allevato.
Secondo tale Commissione i conigli allevati sarebbero geneticamente vicini ai conigli utilizzati in laboratorio ed ai conigli selvatici. Ne conseguirebbe che le loro esigenze fisiologiche e comportamentali, nonché i fattori di benessere e la predisposizione alle patologie sarebbero del tutto sovrapponibili.
Nell’ambito di tale Commissione tecnica sono emersi in tutta la loro evidenza le divergenze tra nord Europa dove tale allevamento sostanzialmente privo di significato ed i
conigli sono considerati animali da compagnia e l’Europa del sud, che considera i conigli
una fonte alimentare proteica e dove tale allevamento è sostanzialmente concentrato.
In tal senso si dovrà presumibilmente prevedere la mediazione delle varie posizioni al fine di poter soddisfate le cosiddette “cinque liberta” enunciate dal Farm Animal Welfare
Concil nel 1991 (secondo le quali gli animali devono essere protetti e quindi liberi:
1) dalla fame e dalla sete;
2) da una stabulazione inadeguata e dalle intemperie;
3) dalle malattie e dalle ferite;
4) dalla paura e dall’ansia
5) di esprimere il repertorio comportamentale tipico della specie.
In ogni caso, al tradizionale allevamento intensivo si sta affiancando in modo progressivamente crescente la volontà di ricercare e sperimentare sistemi innovativi volti a migliorare la qualità di vita dei soggetti allevati e la sicurezza alimentare del consumatore.
stesura 2005.2
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3.3 EFFETTO DELLA MANIPOLAZIONE DA PARTE DELL’UOMO
La manipolazione dei conigli da parte dell’uomo può condizionare il benessere degli animali dalla nascita fino al momento dell’avvio al macello. La manipolazione deve essere
condotta evitando ogni inutile stress e la trasmissione di patologie.
Sebbene siano state condotte poche ricerche nel settore, alcuni studi hanno dimostrato
che il comportamento del coniglio ed il suo benessere possono essere positivamente
condizionati da manipolazioni eseguite da persone familiari.
Il coniglio abituato fin da piccolo ad essere manipolato, mostra da adulto una ridotta
paura nei confronti dell’uomo. (Pongracz e Altbacker, 2003; Marai e Rashawn, 2004).
Metz (1983) ha mostrato che la manipolazione dei piccoli dalla nascita fino all’età di tre
settimane riduce la paura ed aumenta il comportamento esplorativo.
D’altro canto, procedure di manipolazione non corrette da parte degli operatori possono
avere effetti negativi sull’animale causando lesioni alla colonna o cadute, ed anche, visti gli arti posteriori del coniglio molto forti e provvisti di unghie robuste, provocare profondi graffi e lesioni agli stessi operatori.
La corretta manipolazione dei conigli prevede che si debbano sollevare prendendo la
pelle della parte posteriore del collo con una mano e sostenendo con l’altra il peso del
corpo nell’area addominale. I conigli devono essere maneggiati in modo tale da farli sentire protetti e sicuri. La manipolazione deve essere svolta in silenzio ed in modo tranquillo ma deciso evitando inutili lotte che potrebbero causare lesioni agli animali.
Secondo l’AWI (Animal Welfare Institute) è importante ricordare i seguenti punti:
¾ durante le operazioni di manipolazione e cattura evitare rumori e movimenti improvvisi;
¾ i conigli non devono mai essere sollevati o trattenuto dalle orecchie;
¾ i tempi di cattura devono essere ridotti al minimo indispensabile.
3.4 CENNI DI BIOLOGIA E COMPORTAMENTO DEL CONIGLIO
Il coniglio domestico mostra molti comportamenti tipici del coniglio selvatico come
l’accoppiamento post partum, il comportamento materno, la costruzione del nido, le reazioni neonatali e l’organizzazione sociale.
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71
Le femmine costruiscono il nido dove partoriscono piccoli immaturi; sia in natura che in
allevamento la femmina allatta i piccoli pochi minuti al giorno.
Percezione dell’ambiente e organi di senso
Il coniglio possiede circa 100 milioni di cellule olfattive (l’uomo ne possiede circa 30 milioni) ed il loro olfatto è molto importante specialmente nella vita sociale e sessuale. Infatti molti segnali sono trasmessi mediante la produzione di feromoni. I feromoni secreti
dalle ghiandole anali durante la defecazione e quando l’animale si siede, consentono il
riconoscimento dei membri del gruppo e fungono da segnale per eventuali individui estranei. Le feci sono depositate in punti specifici all’interno del territorio e sui confini.
Le secrezioni delle ghiandole mandibolari fungono da marcatori territoriali per l’ingresso
delle tane ed il confine del territorio (Myers e Poole, 1963) e da marcatori sociali per il
dorso delle femmine e dei piccoli (Bell, 1980). Lo sviluppo di queste ghiandole e la loro
attività variano in funzione dello stato di dominanza e del sesso del soggetto. Le fattrici
rilasciano un feromone mammario che stimola i piccoli a succhiare il latte (Hudsno e Distel, 1983) mentre l’odore dei piccoli stimola la madre ad avvicinarsi al nido (Baumann
et al., 2005).
Le grandi orecchie che si possono muovere in modo indipendente consentono la rilevazione di fonti sonore senza muovere la testa.
Il battere ripetutamente il terreno con una zampa posteriore è segno di allarme per gli
altri componenti del gruppo.
La vista è buona anche se a distanza ravvicinata il cristallino ha una ridotta capacità di
accomodamento. Il tatto è molto importante poiché le vibrisse poste sul muso aiutano il
coniglio ad orientarsi nel buio della tana.
Cenni di etologia
Il coniglio si alimenta prevalentemente all’alba ed al tramonto e ad intervalli durante la
notte per evitare i predatori, specialmente quelli provenienti dal cielo. I loro incisivi
crescono di circa 1-2 mm alla settimana e se non vengono consumati regolarmente si
possono sviluppare gravi problemi. A seconda della qualità del cibo, un coniglio può consumare circa 5-10% (di sostanza secca) del suo peso corporeo al giorno. L’enzima cellulasi, prodotto dai batteri presenti nel cieco molto sviluppato, aiuta la conversione della
stesura 2005.2
72
cellulosa in glucosio e produce feci morbide (ciecotrofo) che , essendo ricche di batteri,
rappresentano una fonte di aminoacidi essenziali e di vitamine del complesso B e vitamina K. La ciecotrofia è un comportamento tipico del coniglio che consiste nella ingestione del ciecotrofo prelevato direttamente dall’ano; tale comportamento necessita
l’adozione di una particolare posizione.
In natura i conigli assumono la quota di acqua necessaria con l’erba fresca ma in cattività è necessario somministrare acqua fresca per l’abbeverata.
Saltare è una tipica azione locomotoria dei conigli; un coniglio di medie dimensioni può
compiere balzi di 70 cm., correre fino a 30 Km/h e saltare fino ad 1 metro di altezza.
A seconda del grado di rilassamento il coniglio può riposare in posizione accucciata
(sdraiato allerta), con le zampe posteriori allungate lateralmente o posteriormente oppure in decubito laterale con le zampe estese. I conigli riposano per 12-18 ore al giorno
ad intervalli di tempo regolari (Kraft, 1979).
Per il grooming i conigli usano i denti, la lingua e le zampe. Si leccano il mantello con
movimenti della testa, si lavano il muso e le orecchie leccandosi le zampette anteriori.
A causa dell’alta pressione predatoria, il coniglio è un animale che sta sempre allerta ed
interrompe regolarmente l’attività per verificare l’ambiente, sedendosi od alzandosi sulle zampe posteriori con le orecchie tese in alto in direzione di eventuali stimoli.
Comportamento sociale
Gli adulti vivono in gruppi sociali stabili composti da 2-10 individui adulti ed un numero
variabile di piccoli sotto i tre mesi con una gerarchia lineare che si stabilisce tra le
femmine (Vastrade, 1984, 1986). In generale maschi e femmine adulti sono tolleranti nei
confronti dei soggetti giovani, ma a seconda della densità della popolazione, le femmine
possono diventare aggressive nei confronti dei giovani soprattutto verso la fine del periodo riproduttivo.
I conigli selvatici nel loro ambiente naturale e conigli domestici allevati in recinti allo
stato semi-naturale, vivono in gruppi familiari stabili di tipo matriarcale composti da 2-9
fattrici, 1-3 maschi adulti, i loro piccoli ed eventualmente, qualche giovane maschio
(Stodart e Myers, 1964; Bell, 1984; Lehmann, 1991). In caso di abbondanti fonti trofiche,
gruppi di conigli selvatici possono unirsi in vaste colonie di centinaia di animali occupando un territorio di molti ettari (Myers e Poole, 1963). Sia i maschi che le femmine mo-
stesura 2005.2
73
strano una dominanza gerarchica lineare. All’interno dello stesso gruppo, i soggetti dominanti hanno un maggior successo riproduttivo rispetto ai soggetti subordinati dello
stesso sesso (Van Der Horst et al., 1999).
Una volta stabilita la gerarchia, essa rimane stabile per molti mesi ed è mantenuta da
comportamenti di minaccia e sottomissione.
In condizioni naturali il periodo riproduttivo coincide con il clima più favorevole che offre anche una maggiore fonte di cibo. La femmina dopo aver partorito e pulito accuratamente la nidiata, copre i piccoli e chiude l’accesso alla tana e lascia i piccoli per tornare nel gruppo. Questa strategia, utilizzata sia in natura che in cattività, protegge dai
predatori e da altri pericoli come improvvisi sbalzi di temperatura (Verga et al.,
1978).La fattrice allatta solo tre minuti al giorno e ciò è sufficiente ai piccoli per crescere (Hudson et al., 1996).
Il comportamento dei piccoli e le loro interazioni con la femmina possono basarsi su di
un processo tipo imprinting in cui i feromoni della madre attraggono i piccoli (Verga,
2000). Nelle femmine allevate in gruppo non è stata evidenziata la capacità di riconoscere la propria nidiata e viceversa. Quando i piccoli lasciano il nido all’età di 12-15
giorni tenteranno di succhiare da altre femmine e le femmine regolarmente allattano
piccoli che non sono i loro (Stauffacher, 1988).Dal punto di vista evolutivo, non vi è ragione per la femmina di sviluppare strategie per riconoscere la propria nidiata dal momento che viene partorita nella tana. In uno studio condotto da Verga et al. (1978) sono
state raccolte le osservazioni di alcuni allevatori rispetto al comportamento sessuale e
materno delle fattrici. I risultati indicano che bisogna porre particolare attenzione a
queste fasi di allevamento. A volte comportamenti materni anomali come la mancata
costruzione del nido, il parto fuori dal nido od il cannibalismo possono essere dovuti a
variabili ambientali come l’igiene, spazio disponibile, rapporto uomo-animale, temperatura, umidità, luce, tranquillità, presenza di persone estranee nell’ambiente.
3.5 ALCUNI PROBLEMI DI WELFARE
3.5.1 REPERTORIO COMPORTAMENTALE
Secondo Mac Farland (1981) il coniglio ha un proprio repertorio comportamentale divisibile in categorie:
stesura 2005.2
74
-
l’alimentazione e il mantenimento, ad esempio il riposo attività prevalentemente
crepuscolare e notturna, che occupa la maggior parte delle 24 ore (dal 56% al 65% secondo Verga e Ferrante, 2002) con picco nella parte centrale della giornata.
-
l’attività di “comfort”, come lo stiramento (il cosiddetto grooming degli autori anglosassoni),
-
le attività sociali, come attività agonistiche e sessuali,
-
le attività esplorative, quali il fiutare ed il marcare l’ambiente,
-
la locomozione.
3.5.2 STEREOTIPIE
Il problema della presenza o meno di stereotipie nella specie cunicola (grattare la gabbia, mordere, giocare con l’abbeveratoio) non è stato ancora ben chiarito.
Secondo alcuni autori queste manifestazioni non hanno il carattere di ripetitività e assenza di scopo apparente proprie delle stereotipie.
Risulterebbero quindi attività normali svolte in un ambiente “anomalo”.
Stauffacher (1992) ha evidenziato i fattori di welfare dei conigli allevati.
Tra i fattori sfavorenti, l’autore indica:
-
la libertà di movimento (se molto limitata porta a modificazioni dell’apparato scheletrico e locomotorio),
-
l’ipereccitabilità (alterazione di comportamenti alimentari e di comfort, evidente
stato di allerta ed isolamento dagli altri soggetti, alternati a locomozione),
-
le alterazioni comportamentali legate alla preparazione del nido (portano a riduzione della fertilità, perdite nella nidiata),
-
le alterazioni del comportamento materno (portano a cannibalismo e perdite nella
nidiata)
Tra i fattori favorenti il welfare, l’autore indica:
-
superficie e altezza della gabbia adeguate al numero di soggetti detenuti,
-
libertà di movimento, possibilità di eseguire sequenze di movimenti, negli animali in
gruppo possibilità di inseguimenti, salti, balzi,
-
possibilità di manifestare il proprio repertorio comportamentale,
-
partner sociali con cui interagire,
stesura 2005.2
75
-
spazio “arredato” mediante strutture, quali ripiani e tunnel che consentano agli animali di fuggire eventuali aggressioni e rendano cioè meno “noioso” l’ambiente di
detenzione,
-
ripiani e comparti separati hanno anche una funzione per il riposo e per l’esercizio
funzionale
-
possibilità di alzarsi in posizione eretta con le orecchie diritte, sdraiarsi, e girarsi liberamente,
-
arricchimento ambientale oggetti su cui esercitare attività (oltre al cibo, disponibilità di fieno, paglia, erba ma anche oggetti da rosicchiare (bastoncini),
-
disponibilità del nido per le femmine.
3.5.3 INDICATORI DI BENESSERE (Marina Verga, 2000)
Anche nel coniglio si possono utilizzare indicatori di benessere, quali:
-
etologici, basati sia sulla valutazione dell’etogramma sia su test specifici comportamentali, quali open field, e test di immobilità tonica che indicano particolari reattività indotte negli animali da situazioni stressanti,
-
fisiologici (aumento del livello di corticosterone plasmatico in animali stressati, soprattutto a causa dell’eccessiva densità),
-
patologici (tipo e quantità di farmaci utilizzati),
-
produttivi (accrescimenti ponderali, fertilità, numero dei nati e degli svezzati, quota
di rimonta, mortalità al di sotto del 10% nel periodo di ingrasso).
Test comportamentali
Sono indicatori della risposta di “timore” (il coniglio è un animale “preda”, spesso soggetto a reazioni di evitamento, cioè di paura nei confronti di stimoli nuovi e della presenza dell'uomo).
Open field (campo aperto) : utilizzato anche su altre specie di animali domestici quali
bovini e polli, permette di valutare la reattività su base emozionale ad un ambiente sconosciuto; si basa su parametri quali:
- il tempo di latenza al movimento
- il comportamento di esplorazione
- i tentativi di fuga
stesura 2005.2
76
- il tempo di immobilità
- l’attività locomotoria
Test di immobilità tonica: è uno stato di immobilizzazione transitoria (ottenuta tramite
contenimento fisico) che mima la risposta indotta dalla presenza di un predatore.
La durata dell'immobilizzazione aumenta in seguito a sensibilizzazione e diminuisce in
seguito ad abitudine.
Da notare che l'aumento del tempo di immobilizzazione si correla positivamente con
aumento dei livelli di corticosterone ( ndicatore di situazione dei stress).
3.6 REQUISITI STRUTTURALI
3.6.1 FABBRICATI E LOCALI DI STABULAZIONE
Ai sensi dei punti 8 e 12 dell’allegato del D.Lgs. 146/ 2001:
“8. I materiali che devono essere utilizzati per la costruzione dei locali di stabulazione,
in particolare dei recinti e delle attrezzature con cui gli animali possono venire a contatto, non devono essere nocivi per gli animali e devono poter essere accuratamente
puliti e disinfettati”.
“12. Agli animali custoditi al di fuori dei fabbricati deve essere fornito, in funzione delle necessità e delle possibilità, un riparo adeguato dalle intemperie, dai predatori e dai
rischi per la salute”.
Poiché le prestazioni produttive e riproduttive dei conigli allevati sono il risultato della
interazione tra fattori genetici e fattori ambientali, nella scelta della zona in cui collocare l’allevamento, occorre considerare due aspetti fondamentali:
-
condizioni climatiche,
-
la “tranquillità”.
Il clima più idoneo per la specie cunicola è quello delle regioni temperate, con ridotte
escursioni termiche; zone con sbalzi di temperatura, umide e poco ventilate non rappresentano sicuramente condizioni ottimali. Inoltre il coniglio è molto sensibile allo stress
rappresentato dal rumore; idealmente, quindi, l’allevamento dovrebbe essere collocato
lontano da fonti di rumore quali industrie, aeroporti, ecc.
stesura 2005.2
77
Altro requisito importante circa l’ubicazione, è la massima distanza possibile da altri allevamenti e da specchi d’acqua, per evitare il pericolo di patologie trasmesse da insetti
ematofagi.
Ovviamente nella pratica è difficile avere condizioni ideali per quanto riguarda
l’ubicazione dell’allevamento.
Per quanto riguarda la tipologia dei ricoveri, ci si può imbattere in due situazioni:
-
locali preesistenti, che l’allevatore può utilizzare, ristrutturandoli a secondo delle
particolari esigenze e disponibilità finanziarie con modesti investimenti di capitale,
ma con condizioni spesso non ideali;
-
nuovi capannoni.
La caratteristica principale del ricovero è una buona coibentazione, che si può ottenere
utilizzando materiali isolanti quali lana di vetro, polistirolo espanso, pannelli di sughero,
ecc.
La scelta del materiale può dipendere da motivi economici oppure dalla valutazione di
alcune caratteristiche dei materiali come resistenza, leggerezza, incombustibiltà.
Tutte le aperture del capannone devono essere protette dall’entrata di insetti e roditori
I capannoni dovrebbero avere locali separati per le varie fasi di allevamento:
-
riproduzione;
-
rimonta;
-
ingrasso;
-
quarantena per animali malati, nuovi acquisti.
3.6.2 PAVIMENTI
Il pavimento dei capannoni dovrebbe essere sollevato e separato dal terreno mediante
uno strato di materiale drenante.
Se l’asportazione delle deiezioni avviene mediante lavaggio è opportuna una pendenza
(3 mm per metro lineare) per il regolare deflusso delle acque.
3.6.3 GABBIE
Attualmente la vigente normativa non disciplina tipologia e dimensioni delle gabbie
In ogni caso occorre ricordare che “la gabbia è il microambiente nel quale il coniglio
cresce e si riproduce; quindi, oltre a rispettare le esigenze economico-produttive, la
stesura 2005.2
78
gabbia deve permettere al coniglio di comportarsi secondo le sue caratteristiche di animale territoriale, abitudinario e ansioso”. (Grazzani e Dubini 1982).
Di seguito sono elencate le principali tipologie di gabbia attualmente più in uso.
GABBIE IN FERRO ZINCATO
Strutture chiuse mediante rete metallica, dispongono di un fondo a maglie rettangolari
sempre di rete metallica.
Sotto il profilo igienico sanitario rappresentano una buona soluzione in quanto:
ƒ
permettono alle deiezioni di cadere al suolo;
ƒ
sono facilmente pulibili e disinfettabili;
ƒ
consentono di ridurre le patologie legate all’apparato digerente.
La rete del pavimento può essere sostituita da barrette in plastica rigida, distanziate
l’una dall’altra in modo da permettere ugualmente la caduta delle feci, con un maggior
comfort, in particolar modo per le razze pesanti.
Al fine meramente didattico e di fornire una informazione il più completa possibile si richiamano le seguenti tipologie di gabbie ormai desuete:
ƒ gabbie in cemento con lettiera in paglia: erano usate soprattutto in Francia
per l’allevamento di razze con le zampe particolarmente delicate;
ƒ gabbie in legno o “casotti”: largamente utilizzati negli allevamenti a carat-
tere familiare nei ricoveri all’aperto, sono sconsigliabili sotto il profilo igienico
sanitario in quanto difficilmente pulibili e disinfettabili pur assicurando una
buona coibentazione termica.
PARCHETTI
Annoverati tra i “sistemi alternativi”, trovano ampia applicazione nell’allevamento da
ingrasso. possono presentano caratteristiche strutturali alquanto differenti:
ƒ
a terra
ƒ
sopraelevati con fondo di paglia
ƒ
sopraelevati con fondo in maglia di rete altri materiali;
Tra i principali vantaggi si richiama che:
ƒ consentono l’allevamento in gruppo, che può essere costituito da un numero
variabile di capi,
stesura 2005.2
79
ƒ consentono il crearsi di gerarchie e di rapporti sociali stabili,
ƒ assicurano la libertà di movimento.
L’allevamento in piccoli gruppi rappresenterebbe poi una valida alternativa ai metodi
tradizionali, in quanto, a fronte di parametri produttivi sostanzialmente sovrapponibili,
gli animali allevati in gruppo presentano un repertorio comportamentale più vario rispetto a quelli allevati singolarmente e pertanto un maggior benessere.
NIDI
I nidi posso essere costituiti da vari materiali, di seguito i più utilizzati:
ƒ nidi in legno, che mantengono il calore ma sconsigliabili sotto il profilo igieni-
co sanitario;
ƒ nidi in cartone monouso, costo minimo ma si impregnano di urina
ƒ nidi in lamiera zincata, idonei sotto il profilo igienico sanitario, ma forte di-
spersione di calore;
ƒ nidi in plastica, idonei sotto il profilo igienico sanitario con buon potere coi-
bente.
I nidi possono essere:
ƒ
aperti, posti all’interno della gabbia,
ƒ
chiusi, generalmente agganciati all’esterno della gabbia.
Il nido deve essere:
ƒ caldo (deve disporre di una buona coibentazione) in particolare durante i pri-
mi 12 giorni di vita; comunque i neonati di fino alla completa copertura del
corpo di peli dovrebbero essere mantenuti ad una T° superiore ai 25 °C;
ƒ asciutto, con umidità non superiore al 75%;
ƒ tranquillo, soprattutto sotto il profilo della assenza di rumori;
ƒ facilmente controllabile e pulibile.
GABBIE DA SVEZZAMENTO
Durante la delicata fase di svezzamento i coniglietti sono sottoposti a stress a causa di:
ƒ
la separazione dalla madre,
ƒ
lo smembramento della nidiata,
ƒ
il cambiamento di ambiente
stesura 2005.2
80
ƒ
il passaggio dalla dieta lattea al mangime solido.
Durante lo svezzamento si possono verificare cadute degli incrementi ponderali per minore assunzione di alimento e comparsa di manifestazioni morbose a carico dello apparato gastroenterico con picchi di mortalità anche del 9-14% (Facchin,1983).
E’ quindi opportuno individuare tempi e tecniche più idonee allo svezzamento.
- SVEZZAMENTO TRADIZIONALE
Si effettua a sei-sette settimane di vita.
La risposta allo stress è molto ridotta e i soggetti passano alla fase di ingrasso senza avvertire in modo significativo questo delicato momento.
- SVEZZAMENTO “INTENSIVO”
I soggetti vengono allontanati dalla madre verso i 28 –30 gg. di vita, in quanto la fattrice
viene riaccoppiata da 7 - 10 gg. dopo il parto.
Nel caso di svezzamento “intensivo”, per ridurre l’incidenza di fattori stressanti, è opportuno effettuare il trasferimento della fattrice.
La fattrice viene allontanata dai piccoli che rimangono invece nella stessa gabbia dove
sono nati fino a 40-45 gg.
Con tale sistema si evidenzia una significativa riduzione della mortalità (Facchin 1983 e
Costantini 1984), pur sottoponendo a stress la fattrice per il trasferimento.
GABBIE PER LA FATTRICE E PER LA RIMONTA
Sono utilizzate per:
ƒ
l’allevamento della coniglia,
ƒ
la gestione del parto,
ƒ
l’accrescimento delle giovani coniglie.
La seguente tabella riporta le dimensioni minime delle gabbie attualmente in uso per
l’allevamento delle fattrici in rimonta o allattanti con nidiata.
Alla luce delle attuali conoscenze e dell’esperienza maturata, risulta sconsigliabile
scendere al di sotto delle dimensioni e dei valori riportati in detta tabella.
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Larghezza
Profondità
Altezza
Superficie
(cm)
(cm)
(cm)
(cm2)
in rimonta
38
43
35
1600
con nidiata
38
95
35
3600
Fattrici
disponibile
GABBIE AUTOSVEZZANTI
I piccoli coabitano più a lungo con la madre in quanto il tipo di gabbia utilizzato comunica con un box di “presvezzamento” al quale possono accedere i soli coniglietti fino
all’età di 28 gg.
Successivamente tale comunicazione viene interrotta e i coniglietti rimangono, anche se
separati, vicino alla madre fino a 40-45 gg.
Prima della nascita della nuova nidiata i coniglietti verranno spostati nel reparto di finissaggio, senza eccessivi traumi.
La promiscuità dei reparti di allevamento ed ingrasso correlata all’impiego della gabbia
autosvezzante richiede una maggiore attenzione sotto il profilo igienico sanitario.
GABBIE PER L’INGRASSO
Durante la fase di ingrasso, vale a dire dallo svezzamento alla macellazione, le tipologie
delle gabbie sono essenzialmente di 2 tipi:
- GABBIE CELLULARI: in rete metallica e disposte solitamente a piani sfalsati, sono costituite da box aventi dimensioni ridotte ( 20 x 35 cm o 30 x 35 cm) in cui vengono tabulati 1 o 2 conigli.
Tali gabbie, in caso di macellazione dei soggetti di età superiore agli 80 giorni consente
di evitare conflitti che intervengono dopo la pubertà. nel gruppo.
- GABBIE TIPO COLONIA: sono di dimensioni maggiori (da 0.30 a 0.50 mq) sono utilizzate
per l’allevamento in gruppo.
La seguente tabella riporta le dimensioni delle gabbie per l’allevamento dei conigli da
ingrasso attualmente in uso. Alla luce delle attuali conoscenze e dell’esperienza maturata, risulta sconsigliabile scendere al di sotto delle dimensioni e dei valori riportati in
detta tabella.
stesura 2005.2
82
Larghezza
Profondità
Altezza
(cm)
(cm)
(cm)
28
43
35
1
Superficie
totale
(cm2)
1200
Conigli
per gabbia
Superficie
Densità di
Peso alla
individuale
allevamento
macellazione1
(cm2)
capi/m2
kg/m2
600
16.7
41.8
2
Peso medio alla macellazione: 2.5 Kg
Alcuni autori hanno criticato l’uso delle gabbie provviste di pavimentazione in maglie di
rete metallica sostenendo che sono causa di lesioni podali di varia estensione soprattutto nelle fattrici (Drescher e Schlender_Bobbis, 1996).
Per alcuni anni sono state provate varie tipologie di pavimentazione alternativa come
rete a maglie rettangolari in materiale sintetico o pavimentazioni metalliche perforate.
Studi condotti nel 1996 da Rommers e Meijerhof hanno comunque concluso che le pavimentazioni alternative, pur presentando il vantaggio di prevenire le lesioni podali, hanno lo svantaggio di creare problemi igienici, oltre che essere molto più costose.
Recentemente sono stati proposti dalle ditte produttrici di gabbie per allevamento i
tappetini da applicare alla rete metallica che coprono solo in parte la superficie del pavimento. In tal modo si riducono le lesioni podali ed allo stesso tempo si evitano i problemi igienici dati dalle pavimentazioni alternative. In particolare è stato dimostrato
che l’utilizzo di questi tappetini riduce in modo significativo il numero delle fattrici da
riforma e il numero delle lesioni podali (Tutela, 2004).
Per i conigli all’ingrasso non sono stati riportati problemi di lesioni podali dovute alla rete metallica.
L’uso di lettiera proposto da alcuni autori, pur rappresentando un arricchimento ambientale che stimola lo sviluppo di varie posture ed attività, determina una maggior incidenza di coccidiosi (Lambertini et. Al, 2001).
Studi condotti da Princz et al., (2005) per confrontare gabbie e recinti con pavimentazione in rete metallica o in materiale plastico, non hanno trovato una differenza significativa per quanto riguarda i parametri produttivi (incremento ponderale, assunzione di
alimento, consumo di alimento) e le caratteristiche delle carcasse.
I dati di mortalità e le lesioni alle orecchie erano invece più alti nei conigli ricoverati nei
recinti con pavimentazione in materiale plastico rispetto a quelli in rete metallica.
stesura 2005.2
83
Recentemente sono stati condotti studi volti a valutare la preferenza dei conigli
all’ingrasso per gabbie di differenti altezze (20, 30, 40, e senza copertura).
Tali studi hanno evidenziato che la scelta di una tipologia di gabbia piuttosto che
un’altra dipende dall’attività svolta; infatti, quando i conigli sono attivi scelgono le gabbie di altezza maggiore, mentre per il riposo scelgono quelle di altezza inferiore (Princz
et al. 2005).
Le gabbie possono essere di forma quadrata o rettangolare e questo può condizionare i
comportamenti che il coniglio può espletare. Verso la fine del periodo di ingrasso, man
mano che il coniglio cresce, la gabbia rettangolare può consentire di attuare certi comportamenti come lo stirarsi ed il saltare. Dagli studi condotti sembra che per il benessere dei conigli all’ingrasso il minimo di lunghezza delle gabbie sia 75-80 cm.
DISPOSIZIONE DELLE GABBIE
In merito alla disposizione delle gabbie all’interno dell’allevamento, sono possibili differenti soluzioni, in funzione della densità dell’allevamento e degli spazi a disposizione. Di
seguito si elencano quelle più comunemente adottate.
-
Flat- deck: file di gabbie disposte su di un unico piano e separate da corridoi di circa
un metro: per allevamenti a bassa densità, permette un facile controllo degli animali, migliore ventilazione ed illuminazione per tutti.
-
California: gabbie disposte in file su due piani sfalsati, con gabbie della fila superiore munite di appositi piani inclinati per la raccolta delle deiezioni. Tale soluzione
consente una maggiore densità di animali, tuttavia le gabbie della fila più alta sono
sottoposte a minor controllo da parte dell’operatore.
-
Batteria: disposte su due o tre piani completamente sovrapposti ed eventualmente,
con nastro trasportatore che allontana le deiezioni di ogni piano. La batteria consente di allevare il numero massimo di animali per metro quadrato; le gabbie però risultano poco ventilate, pulizia e manipolazione degli animali non risulta agevole.
-
Gabbie per i riproduttori: gli animali possono essere alloggiati:
-
in gabbie singole, con maschi alloggiati in una stessa fila
-
in gabbie alterne a quelle delle fattrici
-
in colonia dove 6-12 fattrici vengono allevate in grosse gabbie ad un piano insieme ad un maschio
stesura 2005.2
84
-
in “colonia” o accoppiamento libero. consente risparmio di manodopera, ma
comporta peggiori prestazioni dei riproduttori dei quali non è possibile registrare
le date di accoppiamento
Al riguardo è il caso di precisare che tali gabbie sono impiegate prevalentemente a
livello sperimentale negli stabulari universitari e trovano scarso o nullo riscontro negli allevamenti.
3.6.4 DENSITÀ DEGLI ANIMALI
La vigente normativa in materia di benessere animale non disciplina dimensioni delle
gabbie e densità dei capi(cm2 /capo o numero di capi/ m2).
Nelle more delle eventuali disposizioni legislative si forniscono di seguito alcune indicazioni formulate in base alla letteratura scientifica in materia.
Al riguardo è il caso di precisare che i vari autori non sono concordi sui risultati inerenti
le performance zootecniche.
Taluni autori, relativamente ai soggetti maschi ed alle fattrici senza prole, riterrebbero
opportuno assicurare almeno uno spazio di 3500 cm2 per capo.
Per le fattrici con le loro figliate, di norma, si ritiene opportuno aggiungere agli 3500
cm2 uno spazio di 1500 cm2 per ciascun soggetto nato fino allo svezzamento.
Per i conigli all’ingrasso, di norma, si ritiene opportuno non superare i 16-18 capi per
mq; il superamento di tale densità può comportare una riduzione della crescita correlata
ad con ritardo della macellazione di 3-5 gg.
In particolare, secondo alcuni autori un peso vivo superiore a 40 Kg p.v./m2 determina
un effetto negativo sulla crescita.
Secondo altri, si possono allevare 38 Kg. p.v./m2 senza mai eccedere in ogni caso i 42
Kg. p.v./m2 alla fine del periodo di ingrasso.
Anche forti concentrazioni di animali (9-10 soggetti/gabbia) sono proibitive a causa della
forte riduzione della crescita e del consumo, con conseguenze negative sul peso vivo alla
macellazione. Inoltre, dal punto di vista sanitario, forti concentrazioni di animali rappresentano sempre un rischio, in quanto possono determinare una più rapida diffusione
degli agenti infettivi nonché un forte stress con conseguente aumento del tasso di mortalità e del numero di scarti al macello (Piattoni, 1994).
stesura 2005.2
85
Al riguardo le raccomandazioni del Comitato Permanente per la Protezione degli Animali
in Allevamento Istituito in seno al Consiglio d’Europa, auspicano un aumento della superficie disponibile pari a 3500 cm2 per le coniglie in rimonta e per i maschi nonché un aumento, dell’altezza delle gabbie fino a 50 cm ( con maggiore possibilità di movimento).
Tabella riassuntiva
CATEGORIA DI ANIMALI
DENSITÀ
cm2/capo
capi/ m2
fattrici senza prole
3500
2,87
maschi
3500
2,87
fattrici e figliate (fino allo svezzamento)
3500 + 1500
-
conigli all’ingrasso1
600/500
16/18
conigli all’ingrasso1
800
12,5
conigli all’ingrasso1
660
15,2
conigli all’ingrasso massimo fine ciclo1
670
15
(1 i valori riportati in tabella si riferiscono a studi condotti da vari autori)
L’effetto negativo dell’eccessiva densità si manifesta anche nei conigli allevati in parchetti a terra.
Per spazi inferiori 800 cm2/capo, la crescita ponderale e quindi il peso finale risultano
inferiori se confrontati con gli stessi parametri di animali allevati in condizioni di minore
densità (Gallazzi, 1985 - Ferrante et al. 1997).
Ciò è ascrivibile ad una certa competizione per le risorse alimentari evidenziata anche
da una maggior presenza di lesioni negli animali allevati in condizioni di maggiore densità.
Ideale come alternativa all’allevamento tradizionale sembra essere quello in piccoli
gruppi.
A fronte di parametri produttivi sostanzialmente sovrapponibili, gli animali allevati in
gruppo presentano, dal punto di vista comportamentale, un repertorio comportamentale
più vario rispetto agli animali singoli.
stesura 2005.2
86
3.6.5 LIBERTÀ DI MOVIMENTO
Il punto 7 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recita:
“7. La libertà di movimento propria dell’animale, in funzione della sua specie e secondo
l’esperienza acquisita e le conoscenze scientifiche, non deve essere limitata in modo tale da causargli inutili sofferenze o lesioni. Ancorché continuamente o regolarmente legato, incatenato o trattenuto, l’animale deve poter disporre di uno spazio adeguato alle sue esigenze fisiologiche ed etologiche, secondo l’esperienza acquisita e le conoscenze scientifiche.”
Di seguito si riportano i pareri di alcun autori.
Stauffacher (1992), per il rispetto del welfare, tra le varie necessità del coniglio in gabbia, individua il movimento.
Quindi per mantenere in esercizio l’apparato locomotore è opportuno che superficie di
pavimento ed altezza risultino adeguate; risulta inoltre ottimale la presenza di un’area
sopraelevata e di una zona in cui il conigli possano rifugiarsi.
Drescher (1996) attribuisce alla scarsa attività locomotoria dei conigli in gabbia una serie
di alterazioni all’apparato scheletrico ed in particolare deformazioni alla colonna vertebrale.
Tali deformazioni della colonna sarebbero causate da:
-
posizione di seduta forzata, a causa della ridotta altezza delle gabbie
-
ipoplasia del tessuto osseo, per la scarsa locomozione
-
spostamento del centro di gravità del corpo in direzione caudale e variazione delle
forze dinamiche in seguito all’incremento ponderale dell’utero gravido
-
elevato fabbisogno di calcio, nella gravidanza contemporanea alla lattazione, non
sempre soddisfatto.
Al riguardo è appena il caso di precisare che le deformazioni riscontrate sono state rilevate in stabulari dove gli animali vi rimangono per anni.
Di norma la durata dell’allevamento del coniglio non comporta, in relazione alla sua
brevità, alcuna malformazione.
Le stesse considerazioni valgono per i riproduttori che rimangono in allevamento meno
di un anno per evitare fenomeni di consanguineità.
stesura 2005.2
87
La locomozione ha quindi un’importanza particolare per lo sviluppo del tessuto osseo e
per la conservazione di una colonna vertebrale di normale struttura anatomica.
Ferrante (2003), sostiene che lo spazio a disposizione dovrebbe consentire sequenze di
movimenti ed essere vario in maniera da rendere meno “noioso” l’ambiente di allevamento.
3.6.6 MICROCLIMA:
I punti 10 e 11 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recitano:
“10. La circolazione dell’aria, la quantità di polvere, la temperature, l’umidità relativa
dell’aria e le concentrazioni di gas devono essere mantenuti entro limiti non dannosi
per gli animali”.
“11 Gli animali custoditi nei fabbricati non devono essere tenuti costantemente al buio
o esposti ad illuminazione artificiale senza un adeguato periodo di riposo. Se al luce naturale disponibile è insufficiente a soddisfare esigenze comportamentali e fisiologiche
degli animali, occorre prevedere un’adeguata illuminazione artificiale”.
Le condizioni microclimatiche all’interno dell’allevamento sono determinanti ai fini del
benessere e della produttività degli animali.
I parametri che condizionano il microclima dei ricoveri sono:
-
la temperatura,
-
l’umidità relativa,
-
la luce,
-
la ventilazione,
-
la qualità dell’aria.
3.6.7 TEMPERATURA
Le temperatura ambientali ideali sono le seguenti:
-
12°C - i 15°C per i maschi, le fattrici senza prole ed i conigli all’ingrasso.
-
15°C - i 22°C per le fattrici e le loro nidiate fino allo svezzamento (poiché i coniglietti nascono privi di pelo e non sono in grado di mantenere costante la loro temperatura corporea).
stesura 2005.2
88
Tabella riassuntiva
TEMPERATURA
T min
T max
fattrici senza prole
12°C
15°C
maschi
12°C
15°C
fattrici con figliate (fino allo svezzamento)
15°C
22°C
conigli all’ingrasso
12°C
15°C
Si ha inoltre:
-
un coinvolgimento delle ghiandole surrenali con secrezione di adrenalina, che rallenta la peristalsi intestinale favorendo turbe intestinali ed enteriti;
-
la liberazione di corticosteroidi.
Si verifica in sostanza il quadro di una situazione di stress, con la seguente sintomatologia:
-
crescita ridotta,
-
incremento delle patologie dell’apparato digerente,
-
difficoltà di accoppiamento,
-
diminuzione del numero di coniglietti per nidiata,
-
ridotta produzione lattea da parte della fattrice
-
conseguente incremento della mortalità post-natale dei neonati.
Parimenti stressanti risultano essere:
-
le temperature troppo basse, che favoriscono l’insorgenza e la diffusione di patologie respiratorie nonché la mortalità dei piccoli;
-
le temperature troppo alte (oltre 28°C),in seguito alle quali si osserva un aumento
del ritmo respiratorio finalizzato alla dispersione di calore, nonché una diminuita assunzione di alimento.
3.6.8 UMIDITÀ RELATIVA
L’umidità relativa è strettamente collegata alla temperatura.
Il tasso igrometrico ideale oscilla tra il 65% e il 75%, per temperature comprese tra i 15 e
i 20°C
È appena il caso di sottolineare che valori elevati di umidità relativa:
stesura 2005.2
89
-
potenziano gli effetti delle alte temperature rendendo poco efficaci i meccanismi di
termoregolazione degli animali.
-
accompagnati a basse temperature, determinano la formazione di condensa su:
-
pavimento dei ricoveri,
-
gabbie
-
pelliccia degli animali, che in tali situazioni sono maggiormente predisposti a
malattie respiratorie.
Per contro, valori molto bassi di umidità relativa (<= 50 %) correlati:
-
ad alte temperature favoriscono lo sviluppo di polveri che risultano irritanti per
l’apparato respiratorio;
-
a basse temperature (freddo secco) determinano aridità delle mucose ed un consumo
elevato consumo di energia per mantenere costante la temperatura corporea.
3.6.9 ILLUMINAZIONE
L’illuminazione è un altro parametro fondamentale nell’allevamento del coniglio.
Le variazioni del rapporto luce/buio influenzano l’attività riproduttiva, soprattutto della
fattrice.
In natura, il periodo migliore per la riproduzione è rappresentato dai mesi primaverili,
quando aumenta il fotoperiodo.
Per i riproduttori è quindi opportuno predisporre un sistema di illuminazione che ricrei
le condizioni ideali per durata e intensità della luce.
Ottimale sarebbe poter assicurare nel reparto maternità 16 ore di luce giornaliere con
intensità luminosa di 30-40 lux.
I maschi hanno minori necessità, (8-10 ore) ma, essendo alloggiati nel reparto delle fattrici, vengono sottoposti allo stesso programma di illuminazione.
Per il reparto ingrasso sono sufficienti 8-10 ore a 10-20-lux che garantiscono tranquillità
agli animali senza deprimere il consumo di alimenti.
Tabella riassuntiva
ILLUMINAZIONE
fattrici senza prole
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ore luce/die
intensità in lux
8-10
10 - 20
90
maschi
fattrici e figliate (fino allo svezzamento)
conigli all’ingrasso
8-10
10 - 20
16
30 - 40
8-10
10 - 20
3.6.10 VENTILAZIONE
Mediante la ventilazione, che può essere naturale o forzata:
-
si regolano temperatura e umidità del ricovero,
-
si rimuovono i gas nocivi e le polveri.
La ventilazione naturale si ottiene attraverso finestre opportunamente ricavate sulle pareti laterali che consentono l’ingresso di aria.
La fuoruscita della medesima avviene mediante cupolini posti alla sommità del capannone, di norma in corrispondenza del colmo del tetto (effetto camino).
La ventilazione forzata, sicuramente il sistema più efficiente pur comportando dei costi
energetici può essere:
-
per depressione (i ventilatori, posti alla sommità del tetto o sulle pareti, estraggono
aria);
-
per pressione (i ventilatori immettono aria nel ricovero, con possibilità di umidificarla, riscaldarla o raffreddarla).
Possono essere anche adottate soluzioni miste, affiancando gli estrattori alle finestre nel
periodo estivo.
Altro parametro importante, la velocità dell’aria, a livello delle gabbie, non deve superare:
-
0,3 m/sec durante il periodo estivo,
-
0,1 m/sec durante il periodo invernale.
I gas nocivi riscontrabili sono
-
NH3, prodotta dalla decomposizione delle urine, altamente irritante per le mucose,
-
H2S, prodotta dalla decomposizione e dalla fermentazione delle feci, altamente irritante per le mucose,
-
CO2. prodotta dalla respirazione dei conigli, accumulandosi a livello del suolo costringe gli animali ad un ritmo respiratorio più intenso
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L’allontanamento regolare delle deiezioni permette di mantenere bassa la concentrazione di ammoniaca e acido solfidrico nell’ambiente.
Relativamente alle polveri si ritiene che le particelle fini non dovrebbero superare i 5
mg/m3.
La loro elevata concentrazione può essere responsabile di aumento di patologie a carico
dell’apparato respiratorio, in quanto in grado di veicolare agenti patogeni fino agli alveoli polmonari.
Per ridurre le polveri in allevamento, è consigliabile l’uso di pellettati ed evitare alimenti di consistenza farinosa.
È possibile anche utilizzare tecniche specifiche quali la ionizzazione dell’aria o la nebulizzazione di acqua.
3.6.11 IMPIANTI
Il punto 13 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recita:
“13. Ogni impianto automatico o meccanico indispensabile per la salute ed il benessere
degli animali deve essere ispezionato almeno una volta al giorno. Gli eventuali difetti
riscontrati devono essere eliminati immediatamente; se ciò non è possibile, occorre
prendere le misure adeguate per salvaguardare la salute ed il benessere degli animali
........ ”:
La distribuzione dell’alimento può essere manuale o meccanica.
L’alimento viene somministrato mediante mangiatoie a canaletta o a tramoggia.
Dette mangiatoie devono essere facilmente pulibili, con posti di alimentazione separati
da divisori.
Ad ogni animale dovrebbe riservato uno spazio di circa 8 cm e la somministrazione
dell’acqua può essere manuale o automatica. Tale somministrazione automatica riduce i
costi di manodopera consente di procedere facilmente a terapie di gruppo
3.7 REQUISITI PROCEDURALI
3.7.1 DIVIETI ESPRESSI
Il punto 20 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recita:
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“20. Non devono essere praticati l’allevamento naturale o artificiale o procedimenti di
allevamento che provochino o possano provocare agli animali in questione sofferenze o
lesioni. Questa disposizione non impedisce il ricorso a taluni procedimenti che possono
causare sofferenze o ferite minime o momentanee o richiedere interventi che non causano lesioni durevoli, se consentiti dalle disposizioni nazionali.”
3.7.2 CONTROLLO DEGLI ANIMALI
L’art, 2, comma 1’ lettera a) del D.Lgs. 146/2001 dispone che:
“Il proprietario o il custode ovvero il detentore deve adottare misure adeguate per garantire il benessere dei propri animali e affinché non vengano loro provocati dolore,
sofferenze o lesioni inutili.”
I punti 2, 3 e 4 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recitano:
“2. Tutti gli animali tenuti in sistemi di allevamento, il cui benessere richieda
un’assistenza frequente dell’uomo, sono ispezionati almeno una volta al giorno. Gli animali allevati o custoditi in altri sistemi sono ispezionati a intervalli sufficienti al fine
di evitare loro sofferenze.
3. Per consentire l’ispezione completa degli animali in qualsiasi momento, deve essere
disponibile un’adeguata illuminazione fissa o mobile.
4.Gli animali malati o feriti devono ricevere immediatamente un trattamento appropriato e, qualora un animale non reagisca alle cure in questione, deve essere consultato
un medico veterinario. Ove necessario gli animali malati o feriti vengono isolati in appositi locali muniti, se del caso, di lettiere asciutte e confortevoli”.
3.7.3 REGISTRAZIONI
I punti 5 e 6 dell’allegato del D.Lgs. 146/2001 recitano:
“5. Il proprietario o il custode ovvero il detentore degli animali tiene un registro dei
trattamenti terapeutici effettuati. La registrazione e le relative modalità di conservazione sono effettuate secondo quanto previsto dal Decreto legislativo 27 gennaio 1992,
n 119 e successive modificazioni ed integrazioni e dal decreto legislativo 4 agosto 1999
n 336. Le mortalità sono denunciate ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica
8 febbraio 1954, n 320.
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6. I registri sono conservati per un periodo di almeno tre anni e sono messi a disposizione dell’autorità competente al momento delle ispezioni o su richiesta”
Lo svezzamento del coniglio prevede l’impiego di medicinali veterinari, sia a scopo terapeutico che metafilattico.
La carenza di prodotti autorizzati per questa specie animale costringe gli allevatori a ricorrere sistematicamente al cosiddetto uso “improprio” (anche denominato uso in deroga), previsto e così definito ai sensi dell’articolo 3, D.Lgs. 119/92.
Ciò comporta il puntuale supporto tecnico dell’allevatore, da parte dei medici veterinari
anche al fine della corretta registrazione dei trattamenti, prevista dalla vigente normativa nazionale e comunitaria.
3.7.4 PULIZIA E DISINFEZIONE
Buone regole di profilassi igienica da rispettare sono senz’altro:
-
evitare il contatto con un altro allevamento
-
attuare il programma tutto pieno/tutto vuoto
-
regolamentare l’accesso a cose e persone in allevamento e impedirlo ad animali
-
applicare la quarantena agli animali in ingresso
Inoltre si deve porre grande attenzione alla pulizia e disinfezione di attrezzature e strutture
Come norma generale, è bene asportare dapprima tutte le parti mobili presenti nei ricoveri, allontanare lettiere e deiezioni, raschiare superfici e accessori risciacquando abbondantemente, quindi applicare il disinfettante e risciacquare.
A tal fine risulterebbe opportuno che l’allevatore disponesse di un programma di pulizia
e disinfezione, (pulizia impianti di ventilazione e distribuzione acqua, locali, file di gabbie, asportazione deiezioni ecc.) e procedesse alla registrazione delle operazioni effettuate.
3.8 REQUISITI FUNZIONALI
Per requisiti funzionali si intendono i seguenti requisiti:
-
personale
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-
alimentazione
3.8.1 PERSONALE
Ai sensi dell’allegato del D.Lgs. 146/2001:
“1. Gli animali sono accuditi da un numero sufficiente di addetti aventi adeguate capacità, conoscenze e competenze professionali”.
La normativa di cui trattasi non stabilisce in materia alcun parametro.
Ciò nonostante si ritiene che il personale debba disporre di alcune nozioni di base assolutamente inderogabili, quali ad esempio, tenuto conto che il coniglio è un animale abitudinario ed emotivo, è opportuno evitare:
-
ogni possibile fonte di disturbo, di qualsivoglia natura,
-
i rumori improvvisi,
-
l’eccessiva densità dei soggetti,
-
gli alimenti “non idonei”, con particolare riguardo a quelli ammuffiti,
-
il digiuno e bruschi cambiamenti del regime alimentare,
-
la modifica degli orari di alimentazione, stabilendo quindi orari fissi di somministrazione,
-
le modalità non corrette di manipolazione dei soggetti.
Pertanto si riterrebbe opportuno che l’allevatore:
1. conseguisse una formazione, in materia di anatomia e fisiologia dei conigli, per
una maggiore consapevolezza delle manualità e delle operazioni da eseguire in allevamento con particolare riguardo alle tecniche di fecondazione artificiale relativamente alle quali attualmente non è previsto il patentino di fecondatore laico
(del DM 403/2000);
2. prevedesse un adeguato periodo di formazione dei nuovi addetti, riguardante:
-
le modalità di manipolazione degli animali e le procedure di utilizzo
delle attrezzature,
-
il benessere degli animali.
3.8.2 ALIMENTAZIONE
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L’allegato del D.Lgs. 146/2001 recita:
“14. Agli animali deve essere fornita un’alimentazione sana adatta alla loro età e specie e in quantità sufficiente a mantenerli in buona salute e a soddisfare le loro esigenze
nutrizionali. .Gli alimenti o i liquidi sono somministrati agli animali in modo da non
causare loro inutili sofferenze o lesioni e non contengono sostanze che possano causare
inutili sofferenze o lesioni.
15. Tutti gli animali devono avere accesso ai mangimi ad intervalli adeguati alle loro
necessità fisiologiche.
16. Tutti gli animali devono avere accesso ad un’appropriata quantità d’acqua, di qualità adeguata ........
17. Le attrezzature per la somministrazione di mangimi e di acqua devono essere concepite , costruite e installate in modo da ridurre al minimo le possibilità di contaminazione degli alimenti o dell’acqua e le conseguenze negative derivanti da rivalità tra animali”.
Due sono i principali criteri di alimentazione:
-
ad orari fissi per consentire il controllo dei consumi ma soprattutto evitare di stressare i soggetti;
-
ad libitum che consente agli animali di avere sempre a disposizione dell’alimento usufruendone a seconda delle singole necessità fisiologiche.
Il razionamento del mangime è in funzione dei fabbisogni dei vari stadi fisiologici
dell’animale ed in quantità costanti, in mangiatoie sufficienti per numero e dimensioni.
Nell’allevamento di tipo tradizionale i conigli sono alimentati con erba verde (medica) e
fieno, integrati con alcuni sottoprodotti aziendali (es. stocchi di mais).
La moderna coniglicoltura utilizza alimenti formulati in modo completo e bilanciato,
particolarmente graditi agli animali.
Questa scelta è stata dettata da:
-
la diffusione degli allevamenti intensivi,
-
la necessità di disporre di un alimento dalle caratteristiche il più possibile “costanti”
nell’arco di ogni ciclo produttivo,
-
l’esigenza di rispettare i tempi di mercato.
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In tal senso gli alimenti pellettati si sono rivelati:
-
particolarmente pratici nelle fasi di distribuzione,
-
più “sani” degli alimenti tradizionali in quanti è più facile evitare muffe e fermentazioni,
-
in quanto alimenti duri, più rispondenti alle caratteristiche anatomiche e fisiologiche
di masticazione del coniglio in relazione all’esigenza di pareggiare gli incisivi in continuo accrescimento,
-
più vantaggioso rispetto agli sfarinati che sono irritanti per le vie respiratorie.
Risultano meno indicati:
-
il pastone, nel quale più rapidamente si sviluppano le muffe,
-
la macinazione delle granaglie da parte dell’allevatore, infatti, se troppo fine, può
dare problemi di motilità intestinale, causando diarree, se troppo grossolana porta a
considerevole spreco di alimento.
L’acqua di abbeveraggio, deve essere a disposizione dei soggetti.
Minore è la sua assunzione, minore è l’ingestione di alimento solido
Deve essere fresca (a non fredda, ottimale 15°C) e pulita (occorre pulire sempre gli abbeveratoi)
Il fabbisogno giornaliero di acqua:
-
dipende dalla quantità e dalla qualità dell’alimento somministrato,
-
alla temperatura dell’ambiente di allevamento
-
all’età dell’animale.
3.9 SANZIONI
Nel caso di riscontro, da parte dell’autorità sanitaria , nel corso di un sopralluogo, del
mancato rispetto da parte del proprietario, custode ovvero il detentore delle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1 del D.Lgs. 146/2001, è prevista l’applicazione delle sanzioni amministrative di cui all’articolo 7 del medesimo Decreto.
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