newsletter 41-2008

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NEWSLETTER 41-2008
NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL
MONDO
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CONSUMI SOSTENIBILI. NUOVA RICERCA
La sostenibilità ambientale è uno dei fattori che maggiormente influenzano i consumatori
francesi e spagnoli quando acquistano prodotti alimentari.
Lo rivela una nuova ricerca presentata allo Sial di Parigi. L'indagine, condotta
dall'irlandese Bord Bia e presentata durante il Sial di Parigi, ha preso in esame le
abitudini d'acquisto dei consumatori adulti di Francia, Germania, Spagna, Svezia
e Olanda. Il 63% di quelli francesi, spiega lo studio, sceglie in base alla quantità
di imballaggio, il 63% dei consumatori spagnoli, invece, preferisce le aziende
produttrici sensibili ai temi ambientali.
La ricerca ha evidenziato come la consapevolezza dei consumatori in relazione
alle tematiche etiche ed ambientali sia diversa tra Paese, così come in alcuni Stati non vi sia
conoscenza del concetto di food miles. Gli spagnoli il 67% degli intervistati conferma di
conoscere l'impronta ambientale di un prodotto(carbon footprints), in Olanda solo il 39%.
Per il 25% dei consumatori intervistati, di nazionalità spagnola, tedesca e svedese i temi
ambientali hanno un impatto sulle scelte dello shopping alimentare. Il termine sostenibilità,
risulta essere quello più conosciuti e di maggior effetto sulla percezione generale dei
consumatori. Incide per la metà degli intervistati svedesi e più del 30% dei francesi.
E per sostenibilità, si intende innanzitutto "far fronte alle necessità del presente senza
pregiudicare quelle del futuro", poi "pratiche produttive che non arrechino effetti futuri
sull'ambiente".
Di notevole rilievo, inoltre, la provenienza dei prodotti; la maggioranza degli intervistati,
infatti, vuole conoscere la provenienza dei prodotti. Gli Svedesi sono in cima alla lista, con la
metà dei consumatori, per francesi e spagnoli, invece, la preferenza cade sulla certificazione di
qualità. Per gli olandesi, fanalino di coda, la maggioranza degli intervistati non presta
attenzione né alla qualità né alla provenienza.
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FRANCIA. “GRANDI PROTEZIONI” CONTRO OGM
''La Francia vuole introdurre grandi protezioni'' per proteggersi dagli OGM, ma
anche a livello europeo ''si va verso un'evoluzione del sistema, una forte
evoluzione''. E' quanto ha dichiarato all'Ansa il presidente del Consiglio dei
ministri dell'Ambiente dell'Ue, il ministro francese Jean-Louis Borloo, al termine
dei lavori della sessione ministeriale sull'ambiente a Lussemburgo.
Abbiamo chiesto - ha spiegato Borloo - che nella valutazione del rischio ''vengano
presi in considerazione la dimensione ambientale a lungo termine, oltre ai dati
socio-economici''. Si tratta quindi - ha proseguito - di un approccio ''che è per definizione piuù
restrittivo rispetto a quando ci si limita a valutare dati strettamente sanitari''.
Da mesi, infatti, i 27 stanno portando avanti una riflessione sull'approccio europeo agli OGM in
vista della preparazione di un documento che la presidenza francese presenterà nella riunione
del 4 e 5 dicembre a Bruxelles.
(da Bollettino Bio Greenplanet – ottobre 2008)
RICERCA DEL FOOD CLIMAT RESEARCH NETWORK: MENO CIBO E PIÙ BIO
PER SALVARE IL CLIMA
Da uno studio effettuato da un istituto di ricerca dell’Università inglese di Surrey, emerge che il
consumo mondiale di cibo, abbia un preoccupante impatto sul clima.
La ricerca è stata condotta dall’Istituto Food Climate Research Network, ed è durata 4 anni.
L’allarme che proviene da questo studio, confermato anche dal settimanale “Ecologist”,
dovrebbe fornire lo stimolo per modificare le nostre abitudini: lo studio del Food Climate
Research Network ha evidenziato che, ad esempio, nel Regno Unito la produzione di alimenti
libera nell'aria una quantità di gas serra pari a 33 milioni di tonnellate di carbone; solo la carne
e i latticini rappresentano il 50% di queste emissioni, patate, frutta e verdure il 15%, le
bevande un altro 15% e infine carne, pasta e farina 13%.
Dalla ricerca giungono anche dei suggerimenti su quali azioni a basso impatto dovremmo
svolgere per migliorare la qualità della nostra vita e si potrebbe ad esemp io iniziare con
l’acquisto di prodotti di stagione e locali, preferire l’agricoltura biologica poiché, oltre a
inquinare meno, consumare meno energia ed emettere un basso quantitativo di gas, le aziende
agricole biologiche favoriscono la riduzione dei gas serra.
Inoltre il consumo di carne dovrebbe essere limitato e gli animali dovrebbero essere nutriti con
erba e mangimi biologici, dovremmo inoltre eliminare alcuni alimenti che non hanno un alto
valore nutritivo, come alcol, dolci e cioccolata. Le pratiche di consumo consapevole sono in
crescita, come l’acquisto alla spina di latte fresco o per i detersivi tramite i distributori
automatici, ma tali iniziative non dovrebbero rimanere individuali: forse con l’intervento dei
governi e con delle regole precise da seguire, si riuscirebbe a contenere il danno del
cambiamento climatico.
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GRAN BRETAGNA. RIVERFORD REALIZZA RISTORANTI BIOLOGICI IN CITTÀ
Riverford, l’azienda agricola inglese che consegna a casa frutta e verdura biologica, intende
realizzare una serie di ristoranti in città, che propongano piatti convenienti.
Il progetto del fondatore di Riverford Organic Vegetables, Guy Watson, prevede la
realizzazione di una catena di piccoli ristoranti locali che abbiano nel menù alimenti di stagione
a meno di £ 10 (€ 1,25 ca.). L’obiettivo che il signor Watson ha raggiunto nel ristorante
Riverford “The Field Kitchen” sito a Dart Valley, South Devon, è che il cibo arrivi nel piatto
direttamente dall’orto, entro 24 ore.
Adesso l’obiettivo di Watson è far conoscere il cibo di stagione Riverford ad
un pubblico più ampio, come ha annunciato al Western Morning News.
L’idea di portare i ristoranti Riverford in città, diffonderà tra le persone la
filosofia del cibo fresco, di stagione e biologico. Il menù fisso in programma
sarà simile ai ristoranti cafè-style diffusi negli Stati Uniti.
Guy Watson vuole che i ristoranti Riverford divengano il fulcro della
comunità, frequentati dalla gente del posto; saranno piuttosto piccoli e
dislocati lungo strade piene di negozi.
In un’intervista per il lancio del libro di cucina Riverford Farm Cook Book,
Watson ha suggerito Bristol come luogo più adatto dove far nascere il
primo ristorante.
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UNO STUDIO ONU DIMOSTRA CHE L’AGRICOLTURA BIOLOGICA È IL METODO
MIGLIORE PER SCONFIGGERE LA FAME IN AFRICA
L'agricoltura biologica in Africa offre le migliori possibilità di spezzare il circolo vizioso
della povertà e la malnutrizione che è stato bloccato per decenni, secondo un
importante studio presentato dall’Onu.
Nuove prove scientifiche suggeriscono che le pratiche biologiche vanno in direzione di un forte
aumento dei rendimenti, del miglioramento del suolo e di un impulso per il reddito dei piccoli
agricoltori d'Africa, che restano tra le popolazioni più povere della terra.
Il capo delle Nazioni Unite del Programma per l'Ambiente, Achim Steiner, ha detto che la
relazione "indica che il potenziale contributo dell'agricoltura biologica per nutrire il mondo, è
forse di gran lunga superiore a quanto avevano supposto in molti".
La ricerca condotta dal programma ambientale delle Nazioni Unite suggerisce che la
produzione biologica è in grado di fornire un aumento dei rendimenti per le piccole aziende
agricole simile a quello permesso dall’agricoltura industriale, senza i danni ambientali e sociali
che quest’ultima porta con sé. L'analisi di 114 progetti in 24 paesi africani ha rilevato che i
rendimenti era più che raddoppiato nel caso in cui erano state utilizzate pratica biologiche, o
integrate. Questo aumento di resa è balzata a 128 per cento in Africa orientale.
Dallo studio è emerso che la produzione biologica ha superato i risultati dell’agricoltura
convenzionale basata sulla chimica. Sono stati rilevati anche grossi benefici ambientali, come il
miglioramento della fertilità del suolo, una migliore ritenzione di acqua e maggiore resistenza
alla siccità.
E la ricerca ha evidenziato il ruolo che l'apprendimento di pratiche biologiche potrebbero avere
nel migliorare l'istruzione locale. "L'agricoltura biologica può spesso portare a polarizzato punto
di vista", ha Steiner. "Alcuni la vedono come un “salvatore”, e gli altri come un prodotto di
nicchia, di lusso... questa relazione suggerisce che potrebbe apportare un serio contributo alla
lotta contro la povertà e l'insicurezza alimentare".
La relazione sottolinea anche come la certificazione biologica in paesi come la Gran Bretagna e
l’Australia, rappresentano ancora una barriera insormontabile per la maggior parte degli
esportatori africani, che richiedono un maggiore accesso ai mercati, in modo da permettere
agli agricoltori africani prezzi migliori per i loro prodotti.
La "rivoluzione verde" nel settore agricolo degli anni Sessanta - quando la produzione di
alimenti per la prima volta aveva raggiunto e superato le esigenze della popolazione globale ha in gran parte ignorato l'Africa. Basti considerare che ogni persona oggi ha a disposizione in
media il 25 per cento in più di cibo rispetto a quanto fatto nel 1960, ma in Africa, la
popolazione ne ha il 10 per cento in meno.
La combinazione di aumento della popolazione, diminuzione delle precipitazioni e della fertilità
del suolo, insieme a un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, ha lasciato l'Africa
univocamente vulnerabili alla carestia. Il cambiamento climatico rischia di peggiorare
ulteriormente la situazione con più frequenti inondazioni e casi di siccità.
Fino ad ora, il ricorso all’agricoltura convenzionale e in alcuni casi Ogm, non sembra essere
stato sufficiente per risolvere il problema della fame in Africa. Lo studio Onu rilancia la funzione
dell’agricoltura biologica nella soluzione di questo antico problema.
(da Bioagricultura Notizie – ottobre 2008)
I NUOVI REGOLAMENTI EUROPEI 834/2007, 889/2008 E 967/2008
Come cambiano dal prossimo anno le norme in materia di produzione, trasformazione
e imballaggio dei prodotti da agricoltura biologica.
Seminari di formazione per le aziende.
Il prossimo primo gennaio 2009 entrerà in vigore il Regolamento 834/07 relativo alla
produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici. Onde evitare vuoti normativi dopo
l'abrogazione del regolamento 2092/91, lo scorso 5 settembre la Commissione Europea ha
provveduto ad approvare il regolamento 889/2008 recante le modalità di applicazione per
quanto riguarda la produzione biologica, l'etichettatura e i controlli.
Il provvedimento, in particolare, interviene in materia di produzione, trasformazione e
imballaggio introducendo significative novità per le aziende del settore: considerando la
rilevanza delle norme, QC&I International Services e ANCCP hanno deciso di organizzare due
seminari dedicati all'illustrazione dei nuovi regolamenti destinati, attraverso incontri mirati, alle
aziende di produzione vegetale e zootecnica, di preparazione, di commercializzazione e di
importazione. Gli incontri - aperti ad aziende e liberi professionisti esclusivamente su
prenotazione - si svolgeranno a Milano il 17 novembre, per le aziende di produzione vegetale e
zootecnica, e il 18 novembre per le aziende di preparazione, commercializzazione e
importazione.
Gli incontri saranno replicati a Battaglia Terme (provincia di Padova) per le aziende
del Triveneto e dell'Emilia Romagna il 26 e il 27 novembre.
Il costo della partecipazione, è fissato in euro 150 + IVA; Per le aziende inserite nel sistema di
controllo della QC&I e di ANCCP è previsto uno sconto del 20%. L'importo comprende: il corso
di formazione organizzato e gestito da esperti del settore, il materiale didattico cartaceo e su
supporto informatico (un CD-Rom comprensivo dell'elaborazione delle normative in modalità
ipertesto per una più agevole consultazione), l’attestato finale di frequenza, pranzo.
La giornata si concluderà con una sessione di approfondimenti legata alle tematiche che
maggiormente avranno necessità di chiarimenti in riferimento a quanto espresso durante la
giornata di seminario.
Per informazioni e iscrizioni scaricate il file pdf allegato o contattate gli organizzatori con e-mail
a: [email protected] o per telefono allo 051-627.1957
(da Bollettino Bio Greenplanet – ottobre 2008)
CHI HA INVENTATO IL BROCCOLO?
Il concetto giuridico in base al quale la materia vivente è sempre stata un bene comune
dell'umanità - non brevettabile, non privatizzabile - è stato infranto a partire dal 1980 negli
Stati Uniti, da nuove legge brevettuali che invece consentono il possesso di questi beni, oggi
estese in tutti i continenti (in UE con la Direttiva 98/44).
Oggi gli organismi viventi (piante, animali e parti del corpo umano) hanno acquistato, per chi
ne detiene il brevetto, un inedito ed elevatissimo valore commerciale. Il brevetto - conseguito
il più delle volte con il pretesto di una modifica genetica introdotta nella pianta o nell'animale permette infatti la riscossione dei "diritti" (royalties) non solo all'acquisto, ma anche ad ogni
fase riproduttiva (nel caso delle piante, ad ogni risemina).
E' questo forte plusvalore degli OGM rispetto alle sementi convenzionali la causa dell'incredibile
pressione cui sono sottoposti gli Stati Europei affinché le colture transgeniche vengano
accettate da coltivatori e consumatori. Una pressione noncurante dell'opposizione da sempre
espressa agli OGM dalla maggioranza dei cittadini europei, noncurante del fatto che nessuna
delle caratteristiche migliorative promesse sia stata riscontrata nelle colture transgeniche
(nessun aumento di produttività), mentre molti sono gli effetti negativi su economia, ambiente
e salute.
Ma le leggi brevettuali americane, ideate nel diciannovesimo secolo - quando il Nuovo
Continente doveva recuperare un ritardo tecnologico sull'Europa - poi cristallizzate nel "Patent
Act" (1952), hanno influenzato la legislazione internazionale di tutti questi ultimi anni (vedi
accordo TRIPS/ WTO). Le scoperte sono state equiparate alle invenzioni e il concetto di
"novità" è stato esteso anche ai prodotti non modificati (purché assenti sul territorio nazionale)
e alle piante selezionate con metodi tradizionali (per non citare i brevetti sulle parti del corpo
umano, come i brevetti sui geni e sulla clonazione dell'embrione, che hanno tanto ostacolato il
progresso scientifico e sconvolto l'opinione pubblica).
Chi ha gestito questi giochi di potere è stato, in Europa, l'EPO (Ufficio Europeo dei Brevetti di
Monaco di Baviera) nato nel 1972 per applicare la Convenzione Europea dei Brevetti (EPC),
firmata all'epoca da 19 Stati europei (i 15 dell'Unione e altri 4) per armonizzare le loro leggi
brevettuali. La EPC vietava in modo chiaro i brevetti sul vivente e l'EPO, pur avendo il compito
istituzionale di rispettare la Convenzione, l'ha ripetutamente violata, rilasciando centinaia di
brevetti su piante e animali modificati e anche alcuni brevetti su piante convenzionali (non
geneticamente modificate).
In assenza di una Corte internazionale che condannasse l'operato dell'EPO, le Organizzazioni
della Società Civile si sono assunte il compito di ricorrere contro l'EPO e hanno ottenuto la
revoca di alcuni brevetti (ad esempio sul riso basmati e sull'albero di neem), ma spesso l'EPO è
riuscito ad imporre la sua molto discutibile interpretazione delle leggi.
E' giunta l'ora di definire con chiarezza i limiti della brevettabilità. Il caso del brevetto sul
broccolo è stato scelto emblematicamente. Esso avrà ripercussioni importanti non solo in
Europa, ma in tutto il mondo.
Il caso odierno del brevetto sul broccolo (Brassica): il brevetto sul "Metodo
per l'accrescimento selettivo dei glucosinolati anticarcinogenici nelle specie di
Brassica", sul broccolo (brassica), conseguito da Plant Bioscience, è destinato
a rivoluzionare la storia dei brevetti in Europa perché, impugnato dalle società
Limagrain e Syngenta, è stato scelto come caso giuridico in questo lungo
dibattito, di vitale importanza. Il brevetto è stato rilasciato dall'EPO nel 2002:
riguarda un metodo di riproduzione del broccolo che consente di accrescere in
esso la quantità di una particolare sostanza anticancerogena (glucosinolato).
Il metodo è assolutamente convenzionale: è basato sulla selezione assistita da marcatori. Il
brevetto copre sia il metodo di riproduzione, sia le sementi, sia le parti commestibili della
pianta. Pur non essendo il primo rilasciato in Europa su di una pianta convenzionale, il brevetto
sul broccolo sarà il caso giuridico sul quale l'Alta Corte d'Appello dell'Ufficio Europeo dei
Brevetti deciderà se ammettere o meno la brevettazione di piante, sementi e metodi di
riproduzione convenzionali.
Comitato Scientifico EQUIVITA: fono: 06-322.0720 oppure 335-844.4949
E-mail: [email protected] – Internet:, www.equivita.org
(da Bollettino Bio Greenplanet – ottobre 2008)
IL CENTRO COMMERCIALE PT1: CATTEDRALE O ECOMOSTRO?
Ritorna all’attenzione delle commissioni urbanistiche, quella di quartiere e quella comunale, il
piano di lottizzazione della zona polifunzionale PT1di Padova, che prevede la realizzazione di un
nuovo centro commerciale nell’area ex-Stimamiglio, tra via S. Marco, via delle Grazie ed il
raccordo Gandhi, di fronte al Net Center.
In questo comparto e nei successivi (PT2 e PT3 dove già sorge l’IKEA) è previsto
l’insediamento dell’imponente polo commerciale di Padova est, che calerà sul territorio più di
80.000 metri quadri di superfici commerciali e quasi un milione e mezzo di metri cubi.
I problemi di congestione del traffico, che deriveranno da questa serie di interventi, sono stati
più volte rilevati, sia dalle commissioni urbanistiche che da vari commentatori. Vi sono però
anche altri aspetti che meritano di essere considerati e che attengono alla riqualificazione dei
rioni interessati da questi complessi commerciali ed in particolare da quello di cui si parla.
La struttura prevista all’interno del PT1 ha dimensioni imponenti: una superficie coperta di
quasi 14.000 metri quadri, superfici commerciali per oltre 17.000 mq, di cui circa 12.000 a
servizio di due grandi strutture di vendita, altezza di 25 m per un volume geometrico di
346.000 metri cubi (cinque volte il Salone). È prevista una monumentale rampa esterna per
accedere al parcheggio dell’ultimo piano ed un alto atrio, su cui si incerniera l’edificio, coronato
da una struttura reticolare a forma di vela, con alti pennoni laterali.
Il progettista, rispondendo alle osservazioni fatte dalla commissione urbanistica comunale sul
progetto preliminare, afferma che la struttura è stata concepita come una “cattedrale” e
precisa che “nel movimento moderno è rientrata „la cattedrale‟, elemento centrale del costruire
in ambito pubblico; è rinata la possibilità di fare un‟architettura simbolica, rappresentativa,
plasticamente compiuta nel „dialogare‟ con l‟intorno.”
Ma proprio questo è il punto: dialoga una simile struttura con l’intorno? Dialoga, cioè, con il
rione di S. Lazzaro e con l’insediamento residenziale che si sviluppa a nord del Net Center?
Il Beaubourg di Renzo Piano, a cui il progettista si richiama per giustificare le sue scelte
progettuali, è inserito nel tessuto urbano del quartiere Les Halles di Parigi e con questo
interagisce, fornendo una molteplicità di servizi che favoriscono la vita di relazione degli
abitanti.
Non così si può dire del centro commerciale in oggetto, che, confinato da strade molto
congestionate, si pone in modo autoreferenziale come ulteriore attrattore di traffico per
funzioni prevalentemente legate alla grande vendita, a servizio della quale sono previsti più di
28.000 metri quadri di parcheggio, per oltre 800 posti auto.
Tale disponibilità di posti auto evidenzia che la struttura si rivolge ad un bacino di utenza
assolutamente più vasto di quello rionale, per cui non è certo l’attenzione a S. Lazzaro che è al
centro dell’impostazione progettuale.
E dire che proprio questa attenzione sarebbe necessaria, in quanto il PT1spezza la continuità
del rione, facendo del piccolo nucleo residenziale più orientale, quello adiacente al c imitero, un
relitto tra gli ecomostri del polo commerciale.
Se si fosse pensato all’interesse del rione S. Lazzaro si sarebbe dovuto orientare la
progettazione verso una soluzione in grado di aggregare il tessuto urbano, anche scegliendo
tra le destinazioni d’uso consentite dalla norma quelle più appropriate allo scopo e dando
all’eventuale “cattedrale” il ruolo dielemento ordinatore del paesaggio urbano.
Così, per ora, non è. Ci si augura che il comune voglia mediare con l’imprenditore una
soluzione più rispettosa del territorio, che sia in grado di dialogare realmente con il rione,
ricucendone il tessuto urbano. Peraltro il piano di lottizzazione proposto non rispetta le norme
del piano regolatore in quanto non è inquadrato in un progetto generale esteso a tutta l’area
del PT1, per cui un ulteriore passaggio progettuale è in ogni caso necessario.
**Lorenzo Cabrelle - Direttivo Legambiente Padova
(da Ecopolis Newsletter – ottobre 2008)
SUL CLIMA L'ITALIA SBAGLIA. DIMAS: NON VALUTA LA FLESSIBILITÀ
Il presunto 1,14% del Pil, ovvero la stima dei costi per l'Italia del pacchetto Ue su clima ed
energia, che il governo attribuisce a uno studio della stessa Commissione europea (un'analisi
con il modello 'PRIMES') non è vera.
Ne è più che convinto il commissario europeo all'Ambiente Stavros Dimas.
"Non rappresentano - afferma in un'intervista diffusa da Apcom - i costi da
noi stimati per le proposte che abbiamo avanzato. La stima dei costi
aggiuntivi, secondo la Commissione, è pari infatti al massimo allo 0,66% del
Pil, e questo dato prende in conto tutti gli elementi del pacchetto su clima
ed energia: non solo gli obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra
e per lo sviluppo delle rinnovabili, ma anche i 'meccanismi flessibili' che si
possono utilizzare per raggiungerli".
Quali sono questi meccanismi? " Fra i più importanti - ricorda Dimas - c'è innanzitutto il
sistema europeo per il commercio dei diritti di emissione (ETS), che consente alle industrie
dell'Ue di scambiarsi le quote di CO2 assegnate loro, garantendo che le emissioni siano ridotte
laddove è meno costoso farlo; poi ci sono i cosiddetti 'meccanismi di Kyoto' (Joint
Implementation e Clean Development Mechanism, Ji e Cdm), che permettono alle imprese di
investire nella riduzione delle emissioni fuori dall'Ue, contabilizzandole in patria (sono i
cosiddetti 'crediti esterni'); infine, il pacchetto UE «consente un'ulteriore flessibilità attraverso
la possibilità di conseguire gli obiettivi di sviluppo delle rinnovabili anche attraverso il
commercio dei certificati d'origine", con cui uno Stato membro può comprare energia 'verde'
da un altro paese e accreditarla in conto al proprio obiettivo nazionale (i 'certificati verdi').
Per Dimas, l'errore dell'Italia è confermato dal fatto che "se si mettono insieme tutti questi
meccanismi, in effetti, si arriva alla stima di un costo pari allo 0,66% del Pil per l'Italia".
Quanto alle cifre citate dal governo italiano e da Confindustria nelle ultime settimane, il
commissario insiste: "La stima di un costo di 181 miliardi di euro dal 2011 al 2020 non
sappiamo da dove provenga. La Commissione non ha mai avanzato, finora, una tale cifra. Solo
il riferimento all'1,14% del Pil potrebbe provenire effettivamente da uno studio di background
elaborato per la Commissione con il modello PRIMES, e riguardante i potenziali impatti del
pacchetto, ma si tratta di una stima per uno scenario che non corrisponde alla nostra proposta
legislativa.
Questo scenario - puntualizza Dimas - non comprende i 'meccanismi flessibili': non consente
l'accesso ai 'crediti esterni' del Clean Development Mechnism e della Joint Implementation, e
neanche lo scambio di energia da fonti rinnovabili, attraverso la compravendita dei 'certificati
verdi', eppure questi sono tutti elementi essenziali della proposta legislativa della
Commissione, per garantire il migliore rapporto fra costi ed efficacia.
E' logico che in uno scenario come quello (l'unico preso in considerazione dal governo italiano,
ndr) i costi aumentino, non solo in Italia ma in tutta l'Ue; ma si tratta - ripete Dimas - di uno
scenario che non riflette il pacchetto su clima ed energia come noi lo abbiamo proposto.
La Commissione, in realtà, è stata molto attenta a includere nella sua proposta legislativa tutti
i meccanismi flessibili che riducono sostanzialmente i costi in tutta l'Ue, perciò, è scorretto fare
riferimento a studi che non includono queste flessibilità e semplicemente spingono in alto i
costi a livelli che non sono previsti dalla nostra proposta".Sul complessivo impatto
macroeconomico del pacchetto Ue, il commissario all'Ambiente precisa: «E' importante notare
che, in realtà, il termine 'costi aggiuntivi' non è affatto equivalente a una perdita netta del Pil.
Perché si tratta di costi che, alla fine, saranno reinvestiti nella vostra stessa economia per
ridurre la sua intensità energetica e le sue emissioni di carbonio, e per aumentare la vostra
sicurezza energetica. E questi investimenti, riciclati nella vostra economia, porteranno in molti
casi a un aumento dei posti di lavoro nei settori di nuova crescita. La nostra analisi in effetti
indica che su scala macroeconomica l'Italia potrà non cavarsela poi così male ".
"L'Italia - aveva detto Dimas durante la conferenza stampa in cui si era detto «allibito» per le
cifre italiane- deve ricordare che ci sono anche gli impegni di Kyoto, con obiettivi che in questo
momento non è in grado di raggiungere». "Le proposte del pacchetto Ue su clima ed energia
riguardano gli anni successivi al 2012, e includono una revisione del sistema ETS di
compravendita dei diritti di emissione per quel periodo; Dunque - sottolinea Dimas - i negoziati
attualmente in corso non cambiano nessuno degli obblighi che le installazioni industriali devono
rispettare oggi in base al sistema Ets già in vigore nell'Ue" , riguardante il periodo 2008-2012.
La legislazione comunitaria derivata dal protocollo di Kyoto, infatti, obbliga già i paesi dell'Ue a
tagliare complessivamente dell'8% le loro emissioni di CO2 rispetto al 1990, e la riduzione va
calcolata come media annuale del quinquennio 2008-2012.
In questo quadro, l'Italia dovrebbe ridurre le proprie emissioni del 6,5%, ma secondo le stime
più recenti - pubblicate giovedì scorso dalla Commissione europea - nel 2010 rischia di
aumentarle invece del 7,5%, a politiche invariate. Potrebbe anche riuscire a diminuirle, se farà
pieno uso degli 'strumenti flessibili' di Kyoto (la borsa dei diritti di emissione e il ricorso ai
'crediti esterni' di Cdm e Joint Implementation), ma solo fino a -4,5% rispetto al 1990.
L'Italia dovrà prendere, dunque, provvedimenti aggiuntivi per ottenere una riduzione delle
emissioni di altri due punti percentuali, e non si tratta di un 'optional', ma, come sottolinea
Dimas, di un preciso obbligo giuridico, il cui non rispetto verrebbe sanzionato, a caro prezzo
per le imprese. In sostanza, a partire dall'anno in corso e fino al 2012, le installazioni
industriali che eccederanno il 'tetto' annuale di emissioni loro assegnato, dovranno acquistare
alla borsa delle emissioni le 'quote' eccedenti di CO2, o si vedranno comminare,alla fine, multe
pecuniarie più care delle quote stesse. Attualmente, alla borsa delle emissioni, il prezzo di una
tonnellata di CO2 si aggira sui 20 euro.
"Vorrei sottolineare una cosa: io spero - osserva Dimas - che nessun impianto industriale
italiano debba, alla fine, pagare delle multe: il sistema ETS è stato creato per ridurre i costi
dell'industria. Le imprese hanno la flessibilità di poter scegliere, fra due opzioni, quella che per
loro è meno cara: fare gli investimenti interni necessari a ridurre le emissioni dei propri
impianti, oppure - conclude il commissario - acquisire sul mercato ETS i diritti di cui hanno
bisogno per coprire le proprie emissioni", quando queste superano le quote di CO2 assegnate.
(da Bollettino Bio Greenplanet – ottobre 2008)
POM DELL’OIO ROSSO, CANADÀ RUZZENE, PEISÀ RUGGINI
Alla ricerca della mela veneta perduta!
Non sono solo certi animali a rischiare l’estinzione, ma anche alcune varietà di
frutta di cui rimangono pochi alberi, sparute coltivazioni locali che Veneto
Agricoltura sta recuperando e studiando al fine di stabilire il germoplasma,
custodire in crioconservazione i semi, o addirittura, sviluppare piccole
produzioni di nicchia.
Dalle colline ai cortili di campagna, dai campi abbandonati ai
giardini ornamentali, gli “Indiana Jones” di Veneto Agricoltura hanno scovato
in questi anni varietà autoctone davvero pregiate, ora coltivate in almeno 3
esemplari per ogni specie, i cui semi sono stati raccolti e faranno parte di
una “gene-bank”, una banca genetica dove i semi sono conservati a meno
190 gradi per preservarli dall’estinzione.
Canadà ruzzene, peisà ruggini, pom dell’oio rosso, sono alcuni nomi delle 158 specie di melo
autoctono veneto (e 62 di pero) già recuperate e piantate nell’azienda pilota e dimostrativa di
Veneto Agricoltura “Sasse Rami” a Ceregnano (RO): una preziosa banca dati realizzata
nell’ambito del “Progetto di recupero e salvaguardia delle biodiversità frutticole del Veneto”, di
cui è stata pubblicata nel 2007 una raccolta di schede descrittive e alla quale si unisce oggi un
utile aggiornamento con le ultime 50 varietà trovate.
L’aggiornamento, che contiene le schede pomologiche con i caratteri vegeto-produttivi delle
ultime 12 varietà di melo e 14 di pero recuperate, può essere richiesta a Veneto Agricoltura: a
½ tel. Allo 049.8293920, a ½ e-mail a: [email protected]
(da Asterisco Informazioni – ottobre 2008)
FRAGOLA AUTUNNALE, UNA PRIMIZIA NON FA PRIMAVERA
Una primizia non fa primavera. La fragola veronese impazza sui banchi del supermercato
anche in autunno, da ottobre a dicembre. Come accade spesso, però, per i prodotti
ortofrutticoli, il prezzo all’origine è molto, molto più contenuto di quello al consumo. Risultato:
quella che è una coltivazione in cui si sono specializzati solo i veronesi, la fragola autunnale,
non rende come dovrebbe, perché le speculazioni in fase di distribuzione, ne frenano i
consumi. Gli stessi consumatori, poi, non sono informati e diffidano del prodotti autunnale,
incerti sulla sua provenienza.
“I produttori veronesi, facendo sistema, con la sperimentazione e
l’innovazione, sono riusciti ad aggiungere una seconda stagione alla
campagna primaverile –spiega Filippo Moroni, dell’Ufficio economico
Coldiretti Verona – hanno guadagnato tre mesi di produzione e
vendita in più, da ottobre a dicembre e maggiori possibilità di
integrazione del reddito. Non fosse che, purtroppo, anche la fragola è
vittima di quel meccanismo perverso, per cui l’andamento dei prezzi
all’origine (abbastanza contenuti in questo momento), è indipendente da quello dei prezzi al
consumo, che registrano adeguamenti al rialzo, mai al ribasso. Il fatto che i produttori non
abbiano fatto sistema anche per far conoscere la fragola autunnale ai consumatori, non aiuta”.
In media ogni anno nel veronese, nella pianura a sud di Verona, in particolare nell’area di
Zevio, si producono 120 mila quintali di fragole, di cui l’80% in primavera e il restante dunque,
20-25 mila quintali dopo l’estate. Le aziende coltivatrici sono, ma è una stima, circa 650. «La
produzione della fragola autunnale è legata in modo indissolubile alle condizioni del tempo,
quest’anno siamo partiti con un quantitativo regolare – spiega Ilario Corso, direttore
commerciale del Consorzio Ortofrutticolo Zeviano – poi il brusco calo delle temperature di metà
settembre ha frenato la maturazione, adesso il caldo sta di nuovo aiutando i frutti.
L’anno scorso la raccolta è terminata il 10 dicembre: quest’anno vedremo. Basta una gelata
notturna e si esaurisce la produzione».
Un successo frutto di anni di ricerca e collaborazione con la Provincia di Verona, che ha
sostenuto concretamente i produttori: in altre zone d’Italia la raccolta autunnale è fallita. Il
segreto sta nella coltivazione primaverile in serra: rinvigorisce le piante, dando loro la forza
per fiorire e dare frutti anche in autunno in autunno.
Sul fronte mercato e prezzi, la fragola autunnale soffre delle stesse problematiche di tutto il
comparto dell’ortofrutta. Nonostante la stagione favorevole alla produzione ed i prezzi bassi
all’origine, i consumatori non sono invogliati all’acquisto: «Da un lato si conosce ancora poco la
fragola di Verona – conclude Moroni – molti pensano che in questa stagione arrivi dal sud Italia
o dall’estero». Inoltre Coldiretti continua la denuncia sull’andamento del mercato: nonostante
possano calare all’origine il consumatore non si accorge delle differenze, il prezzo finale varia
solo sensibilmente e non segue le stesse percentuali dal campo alla tavola.
(da Asterisco Informazioni – ottobre 2008)
PADOVA: CEMENTIFICAZIONE E VERDE ESISTENTE
Quando qualche mese fa, criticando l’urbanizzazione eccessiva attivata dall’attuale
Amministrazione comunale nel Parco del Basso Isonzo - 240 mila metri quadri di verde tra la
Sacra Famiglia e l’Aeroporto Allegri - abbiamo citato l’esempio del Central Park di New York, un
grande spazio rettangolare progettato più di 150 anni fa - abbiamo elogiato la lungimiranza di
alcuni uomini di altri tempi che allora ebbero l’idea di preservare, per la salute e lo svago degli
abitanti della grande metropoli, quel grande parco attorno al quale si è poi sviluppata la città.
Certamente allora i terreni non avevano il valore economico che hanno attualmente le aree
inedificate della nostra città, e naturalmente allora non esistevano gli oneri di urbanizzazione
che fanno tanto gola ai nostri Amministratori pubblici, ma in ogni caso ci sembra utile ricordare
che qualcuno allora, nella tanto bistrattata America, ci abbia pensato a conservare quel
prezioso spazio. Cosa che non sta avvenendo a Padova, soprattutto da parte di una Giunta di
centrosinistra che aveva, in campagna elettorale puntato su una città vivibile con tanto verde a
disposizione.
Ma tornando all’urbanizzazione selvaggia che sta producendo
l’Assessorato all’Urbanistica, dobbiamo elencare altre cementificazioni
di aree verdi in città. A ridosso dello Scaricatore stanno sorgendo
appartamenti per 55 mila metri quadrati e nel Parco Iris a Terranegra
si stanno alacremente edificando altri palazzoni all’interno di quello
che era uno degli ultimi polmoni verdi della città.
E altrettanto, questo è il progetto della Giunta Zanonato, si farà
nell’area liberata tra via P. Sarpi e il Cavalcaferrovia Dalmazia.
I padovani non ne possono più di tutta questa cementificazione. Già si è persa l’occasione di
non costruire palazzoni nell’ampio spazio dove esisteva il Gasometro denominato Pp1.
Altrettanto dicasi per l’area di piazzale Boschetti dove, invece di costruirvi l’Auditorium, se mai
sarà costruito, si poteva trasformarla a verde pubblico, la qual cosa avrebbe fatto un tutt’uno
con i Giardini e il percorso del Piovego. Queste sono le occasioni di fare verde che i decisori
politici padovani hanno rifiutato o non considerato. Ma se esiste la volontà politica e la
lungimiranza del buon amministratore pubblico siamo ancora in tempo a preservare qualche
area da destinare a verde.
Dunque guardatevi attorno cari uomini politici. Esistono ancora le opportunità di conservare
per le generazioni future alcuni spazi che per varie ragioni sono ancora verdi o per qualche
motivo non sono edificati o sono dimessi o sono semplicemente di contorno a corsi d’acqua che
potrebbero essere incamerati dagli Enti pubblici che ci governano. Ad esempio a Padova esiste
oggi un parco a fianco della “Cittadella”, attualmente di limitate dimensioni, ma che in un
prossimo futuro avrebbe la possibilità di essere ampliato inglobando un’area, attualmente
dismessa che è al suo fianco. Ma questo potenziale parco avrebbe una seconda possibilità di
diventare più grande se l’area attualmente occupata da una grande concessionaria d’auto che
si affaccia su via Tommaseo venisse liberata.
Forse siamo in ritardo per questo progetto ma sarebbe bellissimo se qualcuno si facesse
portatore di questa idea, che l- o ripetiamo - allo stato attuale delle cose sembra utopica, ma
che non è affatto irrealizzabile. Ma c’è di più: il Parco del Basso Isonzo, se conservato,
potrebbe diventare molto più grande, sempre che si blocchi l’attuale urbanizzazione, se lo si
collegasse al Bacchiglione che scorre tra gli abitati di Tencarola, Selvazzano e Saccolongo.
Sarebbe bello poter realizzare questa grande area naturale che diventerebbe un’”arteria”
generatrice di ossigeno e conservatrice di svariate specie animali e vegetali.
Forse stiamo ancora sognando ma a volte certi sogni, se trasportati nella vita reale, possono
avverarsi. Ma, se ci pensiamo bene, anche la nostra periferia può fornirci dei motivi per
incentivare il verde pubblico estremamente utile per migliorare l’aria che respiriamo.
Si potrebbe agevolare, nei pochi terreni ancora disponibili in periferia, la crescita di boschi
composti da alberi cosiddetti ecologici – frassino, acero platanoide, ontano nero, betulla
argentata - e incentivare la piantumazione di filari alberati lungo le strade che portano in
periferia. Questa è la città che noi sogniamo.
Da una parte, ad ovest il Bacchiglione con le sue verdi rive – che non devono essere
cementificate - e dall’altra, ad est, il Brenta e i boschi “mangiasmog” consigliati dai botanici.
Infatti un grande numero di alberi “mangiasmog” ai limiti della città e in prossimità delle
tangenziali riuscirebbe ad eliminare quasi totalmente l’anidride carbonica prodotta dai veicoli.
Dunque programmando, con la pianificazione urbanistica, la conservazione delle aree verdi
esistenti e la crescita di boschi in periferia – le “green belt” -si otterrebbero risultati significativi
nel miglioramento dell’ecosistema urbano.
(da Asterisco Informazioni – ottobre 2008)
ZAIA: BASTA SPRECHI, SI TORNI A COMPRARE DIRETTAMENTE DAL
PRODUTTORE
Il ministro delle Politiche Agricole Luca Zaia è intervenuto al Salone del Gusto di Torino sulla
faccenda del caro prezzi dei prodotti alimentari. Zaia ha insistito sui prodotti a Km zero e
sull'importanza della vendita diretta e dei farmer market come strategie per accorciare i troppi
passaggi della filiera. Secondo il ministro, come segnalato dall’Ansa, non basta lamentarsi se i
prezzi degli alimentari lievitano, bisogna innestare un meccanismo virtuoso che fermi gli
sprechi di cibo e i lunghi viaggi delle derrate prima di arrivare sulle tavole dei consumatori.
pasti al giorno».
Il ministro è sullo stesso cavallo di battaglia di Slow Food, che insieme a
Regione Piemonte e Città di Torino ha organizzato il Salone del Gusto,
con l'intento dichiarato di fare educazione alimentare, oltre che di aiutare
i piccoli produttori. Zaia propone i “farmer last minute”, i mercati dove si
possano comprare merci rimaste invendute, magari perché brutte a
vedersi, ma perfettamente commestibili. «Troppo cibo finisce nella
spazzatura - dice Zaia - i punti di vendita italiani ne gettano via 240
tonnellate all'anno, per un controvalore di un miliardo di euro, una
quantità che sarebbe sufficiente a sfamare 600 mila persone con tre
Da qui l'idea di una campagna di sensibilizzazione: «È ora che finalmente i consumatori la
smettano di cercare i kiwi a luglio e le ciliege a Natale. E che puntino sui prodotti a chilometri
zero, mentre oggi ci sono cibi che percorrono 2.500 chilometri prima di arrivare in tavola».
(da Bollettino Bio Greenplanet – ottobre 2008)
GRUPPO D'ACQUISTO SOLARE..A TUTTO G.A.S!
Davide Sabbadin - responsabile Energia Legambiente Veneto
E' stato un grande successo la serata di lancio del gruppo di acquisto solare promosso dallo
Sportello Energia di Padova. Circa cento persone, la maggior parte appartenenti a gruppi di
acquisto solidali o ad associazioni e cooperative del costituendo Distretto di Economia Solidale,
si sono ritrovate mercoledì scorso presso la sala polifunzionale di via Forcellini per discutere di
come abbattere il costo di installazione di pannelli solari termici e Fotovoltaici.
Gli esempi non mancano: dal progetto “Energia Comune”, promosso nel 2008 da legambiente
ed Achab in cinque comuni del veneziano (Ceggia, San Stino di Livenza, Portogruaro, Torre di
Mosto, e Marcon) e in via di allargamento ad alter zone delal regione, agli sportelli promossi da
AzzeroCo2 nel lazio, ad altre esperienze autogestite come il gas di selvazzano e altri realizzati
da gruppi di famiglie nel bellunese.
Il gioco vale la candela: mediamente il gruppo di acquisto non solo abbatte i costi del 20-25%
ma consente anche di poter scegliere l'azienda con il migliore rapporto qualità prezzo tra quelle
che partecipano alla gara e ottenere un prezzo “chiavi in mano” che comprenda anche servizi
come la redazione di tutte le pratiche burocratiche necessarie all'installazione e ottenimento
degli incentivi, la manutenzione ordinaria e straordinaria, la convenzione con compagnie
assicurative o istituti di credito per condizioni agevolate. In alcuni casi, infatti, con un prestito
ventennale la rata di rimborso viene quasi interamente pagata dal contributo statale del Conto
Energia, lasciando in tasca al cittadino il risparmio della bolletta elettrica.
Nei giorni seguenti, la pubblicizzazione attraverso i canali istituzionali e attraverso lo sportello
energia hanno portato un ulteriore incremento delle famiglie interessate e tutto lascia
presagire che il 19 novembre, alla prima serata operativa del GAS (in cui si discuteranno quali
prodotti e quali servizi richiedere alle aziende che intendessero partecipare alla “gara” per
divenire fornitore ufficiale) la partecipazione sarà quella delle grandi occasioni.
Per Legambiente, che assieme a Comune di Padova e Consorzio di Bacino Pd2 promuove lo
sportello, lo scopo di lanciare uno strumento innovativo che contribuisca a fare crescer il
mercato rapidamente e con criteri di equità è raggiunto: si tratta ora di diffondere e
moltiplicare l'esperienza, per dare gambe veramente alla rivoluzione energetica anche nella
nostra città.
(da Ecopolis Newsletter – ottobre 2008)
Alleghiamo il file “VITTORIA O INUTILE STRAGE.pdf”, il volantino del film "Uomini
contro" che verrà proiettato il 3 novembre prossimo al cinema Porto Astra, promosso
da alcune associazioni in occasione del 90° anniversario della fine della I. guerra
mondiale.
Il film denuncia chiaramente l'assurdità di quella guerra, la morte di milioni di
"povera gente" mandata al macello senza scopo: un chiaro messaggio che vuole
ribadire la follia di tutte le guerre, perchè a morire sono prevalentemente - o sempre
- le popolazioni o, nel caso della guerra „15-„18, i soldati mandati allo sbaraglio.
Partecipate ed estendete l'invito a vostri conoscenti.
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Alleghiamo anche qualche commento sulla ricorrenza del 4 Novembre……………………