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INDICE
1. PREMESSA ............................................................................................................ 3
2. LA NORMATIVA IN MATERIA DI AGRICOLTURA BIOLOGICA............... 6
2.1 - GENERALITÀ ...................................................................................................... 6
2.2 – EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA NELL’UNIONE EUROPEA (UE) ....................... 10
2.2.1 - Il Regolamento CEE 2092/91 sul “metodo di produzione biologica”........ 10
2.2.2 – Il Regolamento CEE 2078/92 “sui metodi di produzione agricola
compatibili con le esigenze di protezione dell’ambiente e con la cura dello spazio
rurale”................................................................................................................ 12
2.2.3 – Il Regolamento CE 1257/99 sul “sostegno allo sviluppo rurale” ............. 14
2.2.4 – Il Regolamento CE 1804/99 “sul metodo delle produzioni animali
biologiche” ......................................................................................................... 17
3. L’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN ITALIA................................................... 19
3.1 - LA STRUTTURA PRODUTTIVA IN ITALIA ............................................................. 23
3.1.1 - Le produzioni vegetali .............................................................................. 27
3.1.2 - Le produzioni animali .............................................................................. 33
3.2 - IL CONSUMO NAZIONALE DEI PRODOTTI BIOLOGICI ............................................ 37
3.2.1 - Gli acquisti nazionali ............................................................................... 38
3.2.2 - I canali distributivi dei prodotti biologici ................................................. 42
4. CONSISTENZA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN SICILIA ............. 46
4.1 - LA CONSISTENZA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN SICILIA............................. 48
4.2 - L’APPLICAZIONE DELLE MISURE AGRO – AMBIENTALI IN SICILIA ........................ 58
4.3 - LA COMMERCIALIZZAZIONE DEI PRODOTTI BIOLOGICI REALIZZATI IN SICILIA ..... 72
5. ANALISI DEL CONSUMO DEI PRODOTTI BIOLOGICI REALIZZATI IN
SICILIA .................................................................................................................... 77
1
5.1 - INTRODUZIONE ................................................................................................. 77
5.2 - METODO D’INDAGINE ....................................................................................... 78
5.3 - CARATTERISTICHE DEL CONSUMO DEI PRODOTTI BIOLOGICI ............................... 80
5.3.1 - Aspetti generali ........................................................................................ 80
5.3.2 - Il consumo dei prodotti biologici .............................................................. 83
5.3.3 - La distribuzione commerciale ed i prezzi dei prodotti biologici ................ 86
5.3.4 - Il grado di conoscenza sulla certificazione e motivi del diniego al consumo
dei prodotti biologici........................................................................................... 88
6. CONCLUSIONI.................................................................................................... 92
BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................... 96
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1. PREMESSA
L’alimentazione naturale, non costituisce un mero fenomeno èlitario, ma
rappresenta una delle più importanti realtà commerciali del momento. Il maggiore
interesse che il consumatore attribuisce alla ricerca di più elevati standard qualitativi nei
prodotti consumati e, di conseguenza, la maggiore attenzione per il proprio benessere e
per la salvaguardia dell’ambiente, trovano nelle produzioni biologiche un’alternativa
naturale e soddisfacente. Per tale motivo, l’agricoltura biologica è stata caratterizzata,
negli ultimi anni, da uno sviluppo sempre più consistente.
Il metodo di produzione biologica rappresenta un sistema di gestione dell’impresa
agricola, caratterizzato da una serie di specifiche tecniche agronomiche, riconducibili
alle seguenti azioni:
•
adozione di tecniche colturali idonee a preservare la struttura e gli equilibri
microrganici del terreno;
•
utilizzo di varietà colturali adatte allo specifico ambiente pedo-climatico;
•
esclusione dell’utilizzo di fertilizzanti ed antiparassitari di sintesi;
•
divieto dell’utilizzo di organismi geneticamente modificati;
•
controllo da parte di organismi autorizzati, di tutte la fasi della produzione,
dalla lavorazione alla trasformazione dei prodotti.
L’agricoltura biologica si definisce, dunque, come “un’insieme di tecniche
agronomiche che, fondate sulle naturali interazioni tra organismi viventi, pedoclima ed
azione dell’uomo, escludono l’impiego di prodotti chimici di sintesi”. Si tratta di un
sistema produttivo sofisticato, in cui la produttività non costituisce un obiettivo
primario, ma viene orientata nel raggiungimento di una maggiore tutela della salute
dell’uomo e dell’ambiente circostante.
Questa inversione di tendenza a cui sono andate incontro le scelte dei diversi
operatori agricoli, durante la realizzazione dei processi produttivi, ha portato, nel corso
degli anni, ad una crisi dell’agricoltura convenzionale.
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L’agricoltura di tipo intensivo, caratterizzata da pratiche agricole in cui è
consentito l’utilizzo di prodotti di sintesi chimica, sia per la concimazione, che per la
difesa delle piante da malattie e parassiti se, da un lato, ha assicurato rese unitarie non
indifferenti, dall’altro, ha creato problemi per l’ambiente e per la salute pubblica; basti
pensare alla tossicità dei prodotti chimici utilizzati che vengono rilasciati e ritrovati
sottoforma di residui nel terreno, negli alimenti e nelle falde idriche, di cui si conoscono
solo pochi e parziali risvolti a danno della salute dei consumatori. Come se non
bastasse, i parassiti e le infestanti naturali hanno acquistato, con il tempo, una maggiore
resistenza ai trattamenti, per cui è risultato necessario creare nuovi pesticidi a più alta
tossicità, entrando così in un processo praticamente infinito o destinato a finire solo
quando la capacità di assorbimento dell’ambiente si sarà esaurita. La tendenza a
realizzare maggiori rese, ha determinato, inoltre, una progressiva erosione genetica, sia
animale, che vegetale; sono state, infatti, utilizzate ingenti risorse economiche per
introdurre nuove specie colturali ed animali, tralasciando il miglioramento di varietà e
razze locali. Non si può, inoltre, tralasciare il fenomeno dello sconvolgimento degli
equilibri ambientali, legato all’industrializzazione dell’agricoltura; interi paesaggi agrari
sono stati modificati e disboscati, aumentando, in tal modo, il fenomeno dell’erosione
eolica e da ruscellamento, che provocano una perdita progressiva della fertilità dei suoli.
L’attenzione crescente dei consumatori, verso le problematiche ambientali, ha
convinto i diversi operatori del settore agricolo ad adottare un’agricoltura di tipo
sostenibile. Il metodo di produzione biologico, infatti, viene visto come un’adeguata
alternativa per cercare di realizzare un contenimento dei danni ambientali appena citati.
Con il presente lavoro si è cercato di fornire una panoramica dello sviluppo
dell’agricoltura attuata secondo i metodi biologici, sia a livello nazionale, che, nello
specifico, a livello regionale, cercando di analizzare i risvolti economici, ma anche di
individuare i trend attualmente in atto.
In particolare, gli obiettivi che la ricerca si propone, possono essere riassunti in
quanto segue:
•
individuazione, attraverso, sia l’utilizzo di fonti statistiche ufficiali, che di
informazioni direttamente acquisite presso gli operatori del settore, della
4
rilevanza dell’agricoltura biologica siciliana in termini di superfici, aziende,
ordinamenti colturali, mercati, tipologie distributive;
•
analisi della domanda delle produzioni biologiche più rappresentative
realizzate nell’isola;
•
definizione dei principali punti di forza e di debolezza che contraddistinguono
l’agricoltura biologica siciliana, nonché le potenzialità di penetrazione nei
mercati esteri.
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2. LA NORMATIVA IN MATERIA DI AGRICOLTURA BIOLOGICA
2.1 - Generalità
Le prime tematiche relative ad una nuova forma di agricoltura, nella quale il
rispetto delle attività produttive verso gli ecosistemi naturali, venga visto come
elemento fondamentale per lo sviluppo sociale, risalgono agli inizi del 900.
Nel 1928, viene realizzata in Germania la prima Associazione per l’agricoltura
biodinamica, una particolare forma di agricoltura biologica, i cui principi si rifacevano
agli insegnamenti antroposofici di Rudolf Steiner. Nel 1941, i nazisti sciolsero
l’Associazione per l’agricoltura biodinamica, non tanto per le ideologie politiche del
fondatore, quanto per i presupposti, poco graditi all’industria chimica, su cui si basava
la nuova concezione di agricoltura. Infatti, i pensieri contrastanti che Steiner
manifestava sull’impiego di prodotti chimici di sintesi, rappresentavano un ostacolo allo
sviluppo dell’agro-chimica, a quel tempo ancora agli albori (Zanoli, 1995).
In Italia, l’Associazione per l’agricoltura biodinamica, nasce nel 1947. Nel 1954
inizia ad operare, invece, l’organizzazione Suolo e Salute. In quegli anni, l’industria
chimica riesce a ritagliarsi spazi sempre più ampi anche in Italia, impadronendosi
dell’assistenza tecnica e della divulgazione in agricoltura, come conseguenza dello
scarso interesse che le istituzioni pubbliche mostravano verso il settore. E’ facilmente
comprensibile intuire perché i sostenitori dell’agricoltura biologica, di un’agricoltura
cioè caratterizzata dal basso impiego di prodotti di sintesi chimica, venissero considerati
come una setta nostalgica e diffidente nei confronti del progresso e come tali venissero
emarginati (Zanoli, 1995).
Bisogna aspettare la fine degli anni Settanta per assistere ad una prima inversione
di tendenza nei confronti delle iniziative poste in atto dai pionieri dell’agricoltura
biologica. Nel 1972, infatti, nasce l’IFOAM (International Federation of Organic
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Agricolture Moviments), l’organismo internazionale che raggruppa e coordina tutte le
associazioni e le organizzazioni che operano in materia di produzione, certificazione,
ricerca, formazione e promozione dell’agricoltura biologica. I disciplinari introdotti
dalla federazione, a partire dal 1990, costituiscono un punto di riferimento di enorme
valore, in quanto individuano i metodi di produzione e di trasformazione dei prodotti
biologici nel mondo.
Negli anni Ottanta si assiste ad un progressivo aumento dell’interesse da parte dei
consumatori verso i prodotti biologici, sia nei principali paesi europei, sia negli Stati
Uniti, Canada, Australia e Giappone, con il conseguente aumento del numero di
produttori. Questo mutato atteggiamento culturale e politico si riflette, anche, a livello
istituzionale, tanto che, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, si assiste
all’emanazione dei Regolamenti CEE 797/85 e 1760/87 che avevano come scopo, tra
l’altro, quello di “contribuire alla protezione dell’ambiente e alla conservazione duratura
delle risorse naturali dell’agricoltura” (Zanoli, 1995). Se, infatti, in un primo momento,
il dibattito sulla Politica Agricola Comunitaria era stato incentrato sulla sostenibilità
economica e politica dei Paesi membri, successivamente, si assiste ad un ampliamento
dello stesso, fino ad individuare come obiettivo primario, nella riforma della PAC, il
riequilibrio ambientale (De Wit, 1998; Struik-Torssell-Zanoli, 1991).
La Francia è il primo Paese dell’allora CEE a dotarsi, nel 1980, di norme che
disciplinano le produzioni agro-biologiche. Successivamente, nel 1987, la Gran
Bretagna istituisce l’UKROFS (United Kingdom Register of Organic Food Standards) e
nello stesso anno anche la Danimarca si dota di una regolamentazione specifica per il
settore.
La regolamentazione d’oltreoceano deve attendere fino agli anni Novanta per
essere ufficializzata; nel 1990, infatti, viene approvato l’Organic Food Act negli Stati
Uniti; nello stesso anno l’Australia istituisce una Commissione del Ministero delle
Industrie Primarie e dell’Energia (Organic Produce Advisory Committee) che, nel 1992,
approva il National Standard for Organic and Biodynamic Produce (Harding, 1994;
Wynen, 1994).
Nel 1991, l’Unione Europea adotta il Regolamento CEE 2092/91, relativo al
metodo di produzione biologica dei prodotti agricoli; tale regolamento, nel corso degli
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anni, subisce numerose modifiche ed integrazioni, la più significativa delle quali, nel
1999, ha esteso il campo di applicazione al metodo di allevamento biologico.
Nel 1999, la Commissione del Codex Alimentarius, adotta le “Linee direttrici in
materia di produzione, trasformazione, etichettatura e commercializzazione degli
alimenti derivati dalla produzione biologica”. Queste ultime, nel 2001, sono state
aggiornate, aggiungendo alcune sezioni relative agli allevamenti e alle produzioni
zootecniche e apistiche.
L’Unione Europea, il Codex Alimentarius e l’IFOAM, sebbene presentino alcune
differenze di impostazione dovute ai diversi ruoli che ogni soggetto è chiamato a
svolgere, hanno, comunque, un approccio comune sui temi relativi all’agricoltura
biologica.
L’Italia, si è contraddistinta per un certo “ritardo applicativo delle norme”,
attribuibile, sostanzialmente, a due motivazioni di fondo: istituzionale e culturale. Il
ritardo di tipo “istituzionale”, è dovuto agli organi governativi e legislativi che, a causa
della loro tendenza a ricercare, nella norma, un’eccessiva perfezione e minuziosità sia
formale che sostanziale, spesso, rischiano di non riuscire a farla applicare per
l’eccessiva complessità, rischiando, in tal modo, di rimanere indietro rispetto agli altri
Paesi europei. Il ritardo di tipo “culturale e strutturale”, è legato, invece, sia all’elevato
grado di diffidenza dimostrato dagli operatori agricoli e dalle istituzioni nei confronti
delle nuove problematiche di tipo salutistico, legate alla produzione ed al consumo dei
beni alimentari, sia alle condizioni storiche di arretratezza tipiche di alcune zone e
regioni le quali, spesso, si mostrano indifferenti alle problematiche ambientali, rispetto a
quelle di miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni rurali, senza, invece,
riflettere sul fatto che, i due aspetti, risultano strettamente correlati (Zanoli, 1995).
L’introduzione di norme specifiche in merito all’agricoltura biologica in mercati
in forte sviluppo, quali Stati Uniti e Giappone, ha, inevitabilmente, costretto gli
organismi italiani di certificazione a sottoporsi alle procedure di accreditamento previsti
da tali paesi, al fine di garantire, al nostro Paese, un’equivalente possibilità di esportare i
propri prodotti.
Uno dei più importanti punti di forza dell’agricoltura biologica sta nel fatto che,
all’interno dell’Unione Europea, rappresenta un metodo di produzione, oramai,
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riconosciuto dai singoli paesi membri. La possibilità, infatti, dei consumatori europei di
poter riconoscere e, quindi, scegliere, attraverso un’etichettatura uniforme, un prodotto
biologico in qualsiasi Stato Membro, rappresenta una prerogativa fondamentale per ciò
che concerne la riconoscibilità del prodotto. Gli stessi produttori, inoltre, dovendo
affrontare problematiche tecniche e commerciali comuni nelle diverse aree dell’Unione,
si trovano a confrontarsi con un impianto normativo unico.
Al vertice della piramide, che regola l’impianto normativo, troviamo la
Commissione Europea che, con un’apposita area funzionale, coordina l’impianto
normativo del sistema stesso. Presso la Commissione, così come definito dall’art. 14 del
Reg. CEE 2092/91, è attivo un comitato permanente, costituito dai rappresentanti di
tutti gli Stati Membri, che è chiamato ad esprimere un parere sulle modifiche da
apportare alla regolamentazione comunitaria ed alle modalità di applicazione di alcune
disposizioni. In ogni Stato Membro è designata un’autorità competente in materia di
agricoltura biologica; in Italia tale compito è affidato in parte al Ministero delle
Politiche Agricole e Forestali (MiPAF) che, presso la Direzione generale per la qualità
dei prodotti agroalimentari e la tutela dei consumatori, ha istituito un apposito Ufficio
Agricoltura Biologica, ed in parte alle singole Amministrazioni regionali, che
rappresentano, dunque, l’autorità competente, nei differenti territori, per alcuni aspetti
applicativi. Alle regioni spetta la competenza di tutte le politiche di sviluppo territoriale
ed è demandata l’attività di vigilanza sugli Organismi di certificazione autorizzati dal
MiPAF. Completano il quadro di riferimento istituzionale gli Organismi di controllo,
strutture private che vengono autorizzate dal MiPAF ad esercitare attività di controllo e
di certificazione presso gli operatori dell’agricoltura biologica. Questi organismi devono
operare in conformità alle norme UNI CEI EN 45011 e la maggior parte tra essi risulta
anche accreditata, per maggior garanzia, dal SINCERT.
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2.2 – Evoluzione della normativa nell’Unione Europea (UE)
Lo sviluppo e l’espansione dell’agricoltura biologica nei diversi paesi dell’Unione
Europea è dovuta, sicuramente, all’introduzione di politiche specifiche ed ai sussidi
destinati alle aziende che decidono di applicare tale tipo di metodo produttivo (Le
Goullou e Sharrpè, 2001). In un primo momento viene emanato il regolamento CEE
2092/91, che detta le norme per la realizzazione di una agricoltura di tipo biologico, con
tutte le sue modifiche ed integrazioni; nel 1999, sempre in merito di produzioni
biologiche, viene emanato il regolamento CE 1804/99, specifico per le produzioni
zootecniche. Per quanto riguarda i sussidi finanziari, un importante passo in avanti è
stato fatto grazie all’applicazione del regolamento CEE 2078/92, sostituito,
successivamente, dal regolamento 1257/99.
2.2.1 - Il Regolamento CEE 2092/91 sul “metodo di produzione biologica”
Il Reg. CEE 2092/91 disciplina le diverse azioni relative alla produzione,
preparazione, commercializzazione, etichettatura ed al controllo di prodotti agricoli
destinati all’alimentazione umana ed animale. Tale Regolamento distingue l’agricoltura
biologica da quella convenzionale per l’applicazione di norme di produzione definite,
per le procedure di certificazione che prevedono controllo obbligatori e per le norme di
etichettatura specifiche.
a) Le norme di produzione
In base al Regolamento CEE 2092/91, le norme di produzione devono essere
applicate negli appezzamenti di terreno per un periodo di conversione di almeno due
anni per le colture annuali o, nel caso di colture perenni, di almeno tre anni prima di
poter essere commercializzate come prodotti biologici. I periodi di conversione, a
seconda dell’utilizzazione anteriore degli appezzamenti ed in seguito alla decisione
dell’Organismo di controllo e al consenso dell’autorità competente, possono essere
prolungati o abbreviati. Per quanto riguarda la fertilità e l’attività biologica del suolo,
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questa va mantenuta sia, attuando appropriate tecniche agronomiche come, la rotazione
pluriennale, sia realizzando la concimazione organica. L’integrazione con altri concimi
organici e minerali ammessi (indicati in uno specifico elenco), è consentita unicamente
quando, in loro assenza, non è possibile ottenere un adeguato nutrimento dei vegetali in
rotazione o un ottimale condizionamento del terreno. La lotta contro i parassiti, le
malattie e le piante infestanti si basa, principalmente, sulla prevenzione, adottando
particolari tecniche agronomiche quali la scelta di specie e varietà resistenti, un idoneo
programma di rotazione colturale, il diserbo meccanico, la protezione dai nemici
naturali e dai parassiti attraverso provvedimenti favorevoli come la predisposizione di
siepi, la diffusione dei particolari specie di predatori ed, ancora, l’eliminazione delle
malerbe tramite la bruciatura.
b) L’etichettatura
Le norme per l’etichettatura, previste dal Regolamento CEE 2092/91, prevedono
che un prodotto per poter essere definito come prodotto ottenuto da agricoltura
biologica, deve essere realizzato nel rispetto delle norme di produzione, deve essere
ottenuto senza l’impiego di OGM e l’operatore deve essere assoggettato al sistema di
controllo. Nell’etichetta devono, inoltre, comparire delle specifiche indicazioni dello
Stato Membro, quali il nome o il codice dell’autorità competente e/o dell’organismo di
controllo. Da febbraio 2000, con il Reg. CE 331/2000, è stato introdotto il nuovo logo
europeo per il biologico, previsto dal Reg. CEE 2092/91. Tale logo non è obbligatorio e,
pertanto, i produttori possono utilizzarlo volontariamente quando i loro prodotti
soddisfano i requisiti richiesti. Il marchio consente una più immediata identificazione
del prodotto biologico e costituisce un’ulteriore garanzia per i consumatori. Per il
prodotto sfuso (frutta, ortaggi, pane, ecc), al momento dell’acquisto, va controllato che
il contenitore riporti la dicitura “da agricoltura biologica”, con tutte le prescrizioni di
legge, così come per le altre etichette. Inoltre, è possibile richiedere la visione dei
certificati che hanno accompagnato la merce.
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c) I controlli
I controlli sui prodotti biologici, come riportato nel regolamento comunitario,
vengono realizzati attraverso un sistema di controllo gestito da una o più autorità di
controllo (organismi di certificazione), designati dagli stati membri, ai quali sono
soggetti tutti gli operatori che producono, preparano e commercializzano determinati
prodotti alimentari.
I prodotti agricoli che, dopo i controlli, risultano conformi alle disposizioni,
possono riportare sull’etichetta l’indicazione e/o il logo specifico relativo al metodo di
produzione biologica.
Il regolamento suddetto ha avuto un notevole sviluppo anche grazie
all’applicazione del Reg. CEE 2078/92, abrogato dal Reg. CE 1257/99, che prevede
degli incentivi significativi per gli operatori che scelgono di adottare l’opzione
produttiva di tipo biologico.
2.2.2 – Il Regolamento CEE 2078/92 “sui metodi di produzione agricola compatibili
con le esigenze di protezione dell’ambiente e con la cura dello spazio rurale”
La diffusione dei metodi di produzione ecocompatibili è stata fortemente stimolata
dall’entrata in vigore del Regolamento CEE 2078 del 1992. Attraverso un sistema di
incentivi finanziari, il Consiglio Europeo, si è impegnato a limitare le forme di
“inquinamento” agricolo dell’ambiente, a ridurre le produzioni ancora eccedentarie e,
nello stesso tempo, a valorizzare i contributi che l’attività agricola può dare alla
salvaguardia delle risorse naturali nelle aree rurali, in particolare nelle zone a rischio
rurale.
Il regolamento ha istituito un regime di aiuti per gli agricoltori che si impegnano a
ridurre le produzioni, con effetti positivi sotto il profilo ambientale. Lo scopo dei
contributi messi a disposizione è quello di compensare le perdite di reddito dovute alla
riduzione delle rese e/o all’aumento dei costi di produzione. Per poter ricevere tali aiuti,
i produttori devono impegnarsi a rispettare, per un periodo di almeno cinque anni,
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determinati vincoli tecnici e produttivi e/o a realizzare o conservare particolari elementi
paesaggistici all’interno della propria azienda.
In base ai piani predisposti dall’autorità regionale possono essere finanziati tutti o
alcuni dei seguenti impegni:
•
il rispetto di disciplinari che prevedano la riduzione dell’impiego di concimi e
fitofarmaci (Misure A1 e A2);
•
la coltivazione secondo il metodo dell’agricoltura biologica descritto nel Reg.
CEE 2092/91 (Misura A3 e A4);
•
l’adozione di pratiche che riducano le produzioni vegetali–estensivizzazione,
ad esempio la conversione di seminativi in prati e pascoli (Misura B);
•
la riduzione del numero di capi bovini ed ovicaprini ad ettaro (Misura C);
•
la cura dello spazio rurale e del paesaggio, ad esempio tramite la
conservazione o la ricostruzione di siepi, stagni, muretti a secco (Misura D1);
•
l’allevamento di specie animali in via di estinzione (Misura D2);
•
la coltura di specie vegetali adatte alle condizioni locali ed in via di estinzione
(Misura D3);
•
la cura dei terreni agricoli o forestali che risultino abbandonati rispettivamente
da almeno tre o dieci anni (Misura E);
•
il ritiro ventennale dei seminativi dalla produzione con lo scopo di conservare
o ricreare elementi di particolare valore ambientale (Misura F);
•
l’utilizzo di terreni aziendali per attività ricreative aperte al pubblico (Misura
G);
•
attività di formazione e divulgazione (Misura H).
Gli Stati membri applicano il regime di aiuti, sulla totalità del territorio ed in base
alle proprie esigenze specifiche, per mezzo di programmi zonali pluriennali. Tali
programmi tengono conto della diversità delle condizioni ambientali e naturali, delle
strutture agrarie, dei principali orientamenti agricoli e delle priorità comunitarie in
materia ambientale. Ciascun programma si riferisce ad una zona omogenea dal punto di
vista dell’ambiente e dello spazio naturale e prevede l’applicazione di tutti gli aiuti
precedentemente citati.
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Per conseguire gli obiettivi del presente regolamento, gli Stati membri devono
soddisfare determinate condizioni ed, in particolare, sono tenuti a stabilire:
•
le condizioni per poter ottenere la concessione dell’aiuto;
•
l’importo degli aiuti, in base all’impegno sottoscritto dal beneficiario e
tenendo conto delle perdite di reddito ed al carattere dell’incentivazione della
misura;
•
le condizioni in base alle quali l’aiuto per la cura delle superfici abbandonate
possa essere concesso, essendo assente l’agricoltore, a persone che non sono
agricoltori;
•
le condizioni che il beneficiario deve sottoscrivere, in particolare, ai fini di
verifica e di controllo dell’osservanza degli impegni assunti;
•
le condizioni per la concessione dell’aiuto, nel caso in cui l’agricoltore stesso
non sia in grado di sottoscrivere un impegno per il periodo minimo richiesto.
In base al regolamento, non possono essere concessi aiuti per superfici soggette al
ritiro dei seminativi ed utilizzate per produzioni non alimentari. Inoltre, l’aiuto può
essere limitato ad un importo massimo per azienda e diversificato a seconda delle
dimensioni aziendali, fermo restante il carattere d’incentivo dell’aiuto stesso.
2.2.3 – Il Regolamento CE 1257/99 sul “sostegno allo sviluppo rurale”
Il Reg. CE 1257/99 che abroga il Reg. CEE 2078/92, definisce il quadro del
sostegno comunitario per lo sviluppo rurale sostenibile. Le misure per lo sviluppo rurale
integrano altri strumenti della politica agricola comune e contribuiscono a promuovere
lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo (regioni
Obiettivo 1) e a sostenere la riconversione socio-economica delle zone con difficoltà
strutturali (zone Obiettivo 2).
Il sostegno agli investimenti nelle aziende agricole contribuisce a migliorare non
solo i redditi agricoli, ma anche le condizioni di vita, di lavoro e di produzione. Gli
obiettivi di tali investimenti sono riconducibili a:
a)
riduzione dei costi di produzione;
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b)
miglioramento e riconversione della produzione;
c)
miglioramento della qualità;
d)
tutela e miglioramento dell’ambiente, delle condizioni igieniche e del benessere
degli animali;
e)
sostegno della diversificazione delle attività aziendali.
Il sostegno agli investimenti viene concesso alle aziende agricole che dimostrino
una sufficiente redditività, che rispettino i requisiti minimi in materia di ambiente,
igiene e benessere animale e che siano condotte da imprenditori con adeguate
conoscenze e competenze professionali.
Ogni stato membro applica, in base alle proprie esigenze specifiche ed in base al
territorio interessato, dei programmi zonali pluriennali. Ciascun programma si riferisce
ad una zona omogenea sia dal punto di vista ambientale, che spaziale e prevede, in linea
generale, tutti gli aiuti più convenienti in base alle caratteristiche specifiche di una
determinata zona.
In genere, il valore totale degli aiuti, espresso in percentuale del volume
d’intervento che può beneficiare degli aiuti, è limitato al 40% al massimo e, per le zone
svantaggiate, al 50% al massimo. Nel caso di investimenti effettuati da giovani
agricoltori, tali percentuali possono raggiungere al massimo rispettivamente il 45 e il
55%.
a) Misure Agro-Ambientali
Il sostegno alla produzione agricola, la cui finalità è quella di proteggere
l’ambiente e conservare lo spazio naturale, fornisce un contributo alla realizzazione
degli obiettivi delle politiche comunitarie in materia agricola ed ambientale. I propositi
di tale intervento sono i seguenti:
a)
sostenere forme di conduzione dei terreni agricoli compatibili con la tutela e con il
miglioramento dell’ambiente, del paesaggio e delle sue caratteristiche, delle
risorse naturali, del suolo e della diversità genetica
b)
promuovere l’estensivizzazione della produzione agricola e la gestione dei sistemi
di pascolo a scarsa intensità;
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c)
favorire la tutela di ambienti agricoli ad alto valore naturale esposti a rischi;
d)
incoraggiare la salvaguardia del paesaggio e delle caratteristiche tradizionali dei
terreni agricoli;
e)
sostenere il ricorso alla pianificazione ambientale nell’ambito della produzione
agricola.
Gli agricoltori ricevono un sostegno in relazione a determinati vincoli agronomici
che gli stessi si impegnano a rispettare per un periodo di durata minima di cinque anni.
Il sostegno viene concesso annualmente e viene calcolato tenendo conto del mancato
guadagno dell’azienda, dei costi aggiuntivi derivanti dall’impegno assunto e dalla
valutazione dell’effettiva necessità di fornire un incentivo.
Il sostegno agli investimenti favorisce il miglioramento e la razionalizzazione
delle condizioni di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli,
contribuendo, in tal modo, ad aumentare la competitività ed il valore aggiunto dei
prodotti agricoli ottenuti.
Obiettivi di tale sostegno sono i seguenti:
a)
orientare la produzione in base all’andamento prevedibile dei mercati o favorire
la creazione di nuovi sbocchi per la produzione agricola;
b)
migliorare o razionalizzare i circuiti di commercializzazione e/o i processi di
trasformazione;
c)
migliorare la presentazione e il confezionamento dei prodotti o contribuire ad un
migliore impiego o ad una eliminazione dei sottoprodotti o dei rifiuti;
d)
applicare nuove tecnologie;
e)
favorire investimenti innovativi;
f)
migliorare e controllare la qualità;
g)
migliorare e controllare le condizioni sanitarie;
h)
proteggere l’ambiente.
Il sostegno viene concesso a quelle aziende agricole che dimostrano redditività e
che rispettino i requisiti minimi in materia di ambiente, di igiene e di benessere degli
animali. Il valore di tale sostegno, espresso in percentuale del volume di investimento, è
pari al 75% per quanto riguarda le regioni dell’Obiettivo 1 e al 40% per tutte le altre
regioni.
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2.2.4 – Il Regolamento CE 1804/99 “sul metodo delle produzioni animali biologiche”
In riferimento alle produzioni animali, disciplinate dal Reg. CE 1804/99, si può
affermare che queste ultime, rappresentano una componente sempre più importante
dell’attività svolta da numerose aziende agricole che operano nel settore dell’agricoltura
biologica. Le produzioni animali, infatti, devono contribuire al mantenimento
dell’equilibrio dei sistemi di produzione agricola, garantendo il corretto apporto di
elementi nutritivi alle colture e migliorando la fertilità del suolo. L’allevamento,
praticato nel quadro dell’agricoltura biologica, è inteso come una produzione legata alla
terra. Gli animali devono disporre di un’area di pascolo; il numero di capi per unità di
superficie deve consentire una gestione integrata delle produzioni animali e vegetali per
ridurre al minimo ogni forma di inquinamento, in particolare del suolo e delle acque
superficiali e sotterranee. E’ ammessa in azienda la presenza di animali non allevati
secondo le disposizione del regolamento comunitario, purchè tali animali vengano
allevati in una unità distinta, provvista di stalle e pascoli nettamente separati da quelli
adibiti alla produzione biologica e a condizione che si tratti di animali di specie diversa.
In caso di conversione di un’unità di produzione, l’intera superficie dell’unità
utilizzata per l’alimentazione degli animali deve rispondere alle norme di produzione
dell’agricoltura biologica, rispettando i diversi periodi di conversione. Per quanto
riguarda i prodotti animali, questi possono essere venduti con la denominazione
biologica solo se sono stati allevati secondo le norme del regolamento, per un periodo
variabile a seconda della specie considerata (12 mesi per equini e bovini, 6 mesi per i
piccoli ruminanti ed i suini, ma anche per gli animali da latte, 10 settimane per il
pollame destinato alla produzione di carne, 6 settimane per le ovaiole).
Nella scelta delle razze o delle varietà si deve tener conto della capacità degli
animali di adattarsi alle condizioni locali, ma anche della loro vitalità e resistenza alle
malattie. Le razze e le varietà devono essere selezionate in modo tale da evitare malattie
specifiche o problemi sanitari legati ad alcune razze o varietà utilizzate nelle produzioni
intensive, indirizzando la scelta verso razze e varietà autoctone.
L’alimentazione degli animali è finalizzata all’ottenimento di un prodotto di
qualità, piuttosto che a massimizzare la produzione stessa, rispettando, comunque, le
esigenze nutrizionali degli animali nei vari stadi fisiologici. Le pratiche di ingrasso sono
17
autorizzate nella misura in cui sono reversibili in qualunque fase dell’allevamento.
Risulta del tutto evitata l’alimentazione forzata. Gli animali devono essere alimentati
con alimenti biologici, preferibilmente prodotti nella stessa unità; qualora ciò non sia
possibile si devono utilizzare alimenti prodotti in altre unità o in altre imprese ma,
comunque, conformi alle disposizione del regolamento.
La profilassi veterinaria è basata su specifiche azioni preventive, riconducibili a:
•
scelta ottimale delle razze o delle linee e ceppi appropriati;
•
applicazione di pratiche di allevamento adeguate alle esigenze di ciascuna specie
che stimolino un’elevata resistenza alle malattie ed evitino le infezioni;
•
uso di alimenti di alta qualità, abbinato al regolare movimento fisico ed alla
facilità d’accesso ai pascoli, stimolando così le difese immunologiche naturali
degli animali;
•
adeguata densità degli animali, evitando il sovraffollamento e qualsiasi problema
sanitario che ne potrebbe derivare.
Nel caso in cui un animale risultasse ferito o malato, nonostante le azioni
preventive, lo stesso va immediatamente curato e, se necessario, isolato in appositi
locali. Nei casi di effettiva necessità possono essere utilizzati specifici medicinali
riportati in un apposito elenco.
Per quanto riguarda la riproduzione degli animali allevati biologicamente, questa,
in linea di principio, deve basarsi su metodi naturali; è, comunque, consentita
l’inseminazione artificiale.
18
3. L’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN ITALIA
Negli ultimi quindici anni, in ambito europeo, l’agricoltura biologica è stata
caratterizzata da uno sviluppo senza precedenti. Negli ultimi cinque anni, dal 1999 al
2003, infatti, la superficie destinata alla coltivazione biologica nell’Unione Europea, è
passata da circa 3 milioni e 780 mila a circa 4 milioni e 600 mila ettari, con un
incremento del 21% circa. Questo fenomeno può essere spiegato, in parte, dalla
decisione, da parte degli Stati membri, di aderire alle politiche di sostegno per la
conversione ed il mantenimento del metodo biologico, previste dalle misure di
accompagnamento della nuova PAC.
In seno all’Unione Europea, l’Italia è il principale paese per superfici destinate
all’agricoltura biologica. Nel 2003, infatti, con una superficie di circa 1 milione e 100
mila ettari e più di 60.000 operatori, l’Italia si conferma il terzo paese al mondo ed il
primo in Europa per capacità produttiva. Nel triennio 2001-2003, il numero di aziende,
così come la superficie totale (in biologico ed in conversione), sono state caratterizzate
da un certo incremento, rispettivamente del 20 e del 4% (Tab. 1). In particolare, il
numero di operatori è passato da circa 51 mila a quasi 62 mila unità, mentre gli ettari di
superficie interessata sono passati da quasi milione e 70 mila a circa 1 milione e 116
mila (Fig. 1).
19
Tabella 1 - Evoluzione della SAU coltivata con il metodo biologico in Italia per
principali aree geografiche (*)
Aree e Regioni
2001
ha
Nord Ovest
2003
%
63.996
6,0
100
- Piemonte
44.557
19.439
4,2
119.812
1,8
101.777
11,2
18.035
9,5
148.976
1,7
55.752
13,9
36.346
5,2
56.878
3,4
266.865
5,3
14.887
25,0
132.932
1,4
92.537
12,4
26.509
8,6
469.693
2,6
162.487
43,9
Italia
307.206
100
1.069.342
100
80.177
7,2
58.642
5,2
82.132
7,4
262.498
23,5
16.808
1,5
107.393
9,6
71.722
6,4
66.575
6,0
415.218
37,1
88
15,2
100
- Sardegna
19,8
251
100
- Sicilia
220.951
77
100
Isole
2,8
81
100
- Altre
31.146
113
100
- Calabria
9,6
98
100
- Puglia
106.923
144
100
- Campania
12,4
161
100
Sud
138.069
144
100
- Altre
2,2
148
100
- Lazio
24.756
173
100
- Toscana
4,9
105
100
Centro
54.419
115
100
- Altre
7,1
127
100
- Em.-Romagna
79.175
122
100
Nord Est
%
124
100
- Altre
ha
192.529
17,2
118
28,7
100,0
222.689
72
1.115.911
19,9
100,0
104
(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati Bio Bank.
20
70.000
1.200.000
1.180.000
1.160.000
1.140.000
1.120.000
1.100.000
1.080.000
1.060.000
1.040.000
1.020.000
1.000.000
Aziende (N)
60.000
50.000
40.000
30.000
20.000
10.000
0
1999
2000
Numero di aziende
SAU (Ha)
Figura1 - Evoluzione dell'agricoltura biologica in Italia,
2001 -2003
2001
SAU (Ha)
Fonte: elaborazioni su dati BIO BANK.
Tuttavia, come riportato nella figura 1, nel 2003, si è iniziato ad assistere ad un
leggero decremento, rispetto all’anno precedente, sia del numero di aziende (3%), sia
delle superfici investite (6%). In questo arco temporale, tale flessione, può essere,
almeno in parte ricondotta alla tendenza manifestata da un certo numero di aziende a
non rinnovare il proprio impegno nell’applicare il metodo di produzione biologica,
come conseguenza della riduzione delle risorse finanziarie messe a disposizione per il
biologico, verificatesi in molte regioni italiane. Si può affermare che l’agricoltura
biologica, nonostante negli anni passati, abbia manifestato un significativo incremento,
quest’ultimo non si è realizzato in modo omogeneo, né sotto il profilo territoriale, né
sotto quello inerente gli indirizzi produttivi. Tale fenomeno può essere giustificato da
diversi fattori, tra cui, particolare importanza, ha assunto, a livello produttivo, il
maggiore peso delle colture foraggiere (permanenti ed avvicendate) e cerealicole,
evidenziato in alcune regioni del Sud e delle Isole, sul totale della SAU biologica
nazionale.
A questo fenomeno, va aggiunta la differente localizzazione che si osserva tra la
fase produttiva, concentrata maggiormente nelle regioni meridionali e nelle isole, e
21
quella della trasformazione che, invece, vede prevalere le regioni del Nord. Per quanto
riguarda i consumi, inoltre, è opportuno notare la maggiore diffusione che
contraddistingue le regioni del Centro-Nord. La forte e, per certi versi, disomogenea
crescita della filiera di produzione-trasformazione-consumo, ha avuto i suoi effetti poco
positivi, non solo a valle della produzione agricola, rendendo difficile l’adeguamento
dei diversi segmenti di filiera, ma anche sulle attività di ricerca e servizio, facendo sì
che l’organizzazione in filiere produttive dell’agricoltura biologica nazionale resti
ancora debole (ISMEA, 2004).
A fronte degli aspetti appena citati, che rappresentano dei punti di debolezza per il
comparto, è opportuno analizzare quelli che rappresentano punti di forza sui quali
sarebbe necessario riflettere maggiormente. Innanzitutto, non possono essere tralasciati i
tentativi che, negli ultimi anni, sono stati realizzati per attuare un maggior
coordinamento all’interno del comparto; in tal senso, è cresciuta la capacità produttiva
ed organizzativa a livello primario, grazie alla costituzione di associazioni di produttori
e alla presenza di aziende di trasformazione altamente strutturate e già operanti nel
settore dell’agro-alimentare. Inoltre, non bisogna trascurare la rilevante crescita
registrata nei consumi, grazie al massiccio ingresso nella commercializzazione dei
prodotti biologici della Grande Distribuzione Organizzata. Nel complesso, dunque,
l’importanza economica del comparto biologico risulta in crescita, specie se confrontato
con l’andamento generale del settore. I suddetti elementi, di forza e di debolezza,
sottolineano la necessità di informazioni sempre più puntuali e precise, allo scopo di
cogliere con prontezza le tendenze in atto e fornire un supporto alle attività economiche
e di governo portate avanti dagli operatori e dalle istituzioni.
22
3.1 - La struttura produttiva in Italia
Secondo i dati forniti dal SINAB, l’agricoltura biologica nazionale, dopo un
periodo di notevole sviluppo, che vede il proprio culmine nel 2001, in cui le aziende
operanti nel settore avevano raggiunto circa le 60 mila unità, nei due anni successivi,
registra una fase di contrazione. Le aziende agricole biologiche italiane, infatti, pari, nel
2003, a poco più di 48 mila, mostrano, rispetto al 2001, un significativo decremento di
oltre il 20% (Tab. 2).
Tabella 2 - Evoluzione del numero di operatori certificati in
Italia per tipologia di attività (*)
Operatori
2001
n
Produttori
2003
%
56.440
93,3
100
Trasformatori
3.947
6,5
122
60.509
44.034
90,8
4.264
8,8
108
0,2
100
Totale operatori
%
78
100
Importatori
n
175
0,4
143
100,0
100
48.473
100,0
80
(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati SINAB.
23
Tabella 3 - Evoluzione del numero di operatori certificati in Italia per tipologia e per principali aree geografiche(*)
Aree e Regioni
Nord
Produzione
n
%
19,8
11.191
100
- Emilia-Romagna
4.535
100
8,0
100
- Lombardia
1.023
1.257
1,8
7.093
2,2
2.415
12,6
1.923
4,3
18.133
3,4
6.470
32,1
7.807
11,5
20.023
13,8
12.225
35,5
7.798
21,7
56.440
846
361
100
512
424
13,8
88
7,4
100,0
4.293
100
15,6
7
19,7
9
10,6
3
0,0
-
5,7
-
7,4
-
2,4
-
0,0
122
100
2.340
13.045
4.267
4.220
0,0
12.669
5,7
8.003
5,3
4.666
29,6
44.034
78
247
383
902
9,7
352
19,9
162
18,3
28
16,0
26
14,8
200
5,8
3
1,7
300
9,0
13
7,4
186
21,1
9
5,1
100
8,2
97
9,6
32
147
107
2
1,1
66
3,8
-
0,0
4
2,3
162
28,8
499
11,7
97
18,2
403
400
9,4
95
10,6
60
100,0
9,7
120
65
0,0
850
22,8
139
110
63
0,0
9,3
113
54
100
100,0
17,7
66
100
2,0
2.526
416
40
102
106
72
100
9,9
2,9
122
100
11,9
7.799
397
Importazione
n
%
136
77,7
136
14,6
105
104
100
2,3
2,5
110
100
8,4
1.261
623
117
100
100
100
100
13
1.099
2003
Trasformazione
n
%
2.013
47,2
110
9,2
107
100
100
100
Italia
5,2
100
100
- Sardegna
318
18,8
100
100
100
- Sicilia
17,5
100
100
Isole
225
19
4.046
89
100
100
100
- Calabria
9,1
100
100
- Puglia
753
23
Produzione
n
%
10.512
23,9
94
32,0
100
100
100
Sud
8,8
100
100
- Toscana
392
39
100
100
100
- Lazio
379
Importazione
n
%
100
82,0
100
12,4
100
100
Centro
531
100
100
- Veneto
2001
Trasformazione
n
%
1,836
42,8
96
4
2,3
400
2,2
-
0,0
100,0
175
100,0
109
100,0
4.264
99
143
(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati Sinab.
24
Oltre che il risultato nel suo complesso, è significativo analizzare i dati che
evidenziano le differenti tendenze evolutive all’interno delle diverse classi di operatori
(Tab. 3).
Nel triennio 2001-2003, il decremento più sensibile appare quello registrato per le
aziende di produzione (-22%), la cui consistenza numerica ha subito una riduzione pari
a 12 mila e 400 unità. In generale, comunque, tale tendenza viene compensata
dall’andamento delle aziende di trasformazione per le quali, rispetto al 2001, si
registrano valori pressoché stabili, ma soprattutto delle aziende di importazione, il cui
incremento rispetto al 2001 è risultato di circa il 43%.
Analizzando i dati forniti dal SINAB, si osserva chiaramente che il decremento
più significativo si registra al Sud e nelle Isole. In queste due aree geografiche, infatti,
nel triennio considerato, le aziende di produzione hanno subito un brusco calo,
rispettivamente, del 28 e del 37%. Nella prima circoscrizione è interessante notare come
i decrementi più rilevanti si registrano in quelle regioni che più delle altre e più
rapidamente si erano sviluppate in tal senso e, cioè in Puglia ed in Calabria. Per quanto
riguarda le Isole, la contrazione è molto più accentuata, con decrementi del 35 e del
40% registrati, rispettivamente, in Sicilia ed in Sardegna. Di contro, a parte il Nord
Italia in cui non si registra una crescita notevole, il Centro sembra essere l’area in cui il
numero di aziende di produzione continua ad aumentare, tanto che, nel triennio
considerato, si è registrato un incremento del 10%.
Questa particolare distribuzione geografica, presenta delle differenziazioni se
consideriamo le differenti tipologie di operatori (Tab. 3). In particolare, con riferimento
alle aziende di produzione queste, risultano concentrate al Sud e nelle Isole, in cui
ricoprono quasi il 60% del totale nazionale. I trasformatori e gli importatori, invece,
sono maggiormente localizzati al Nord, rispettivamente con il 47 ed il 78% sul totale
nazionale.
Tenendo
in considerazione
i
dati
contenuti nella
tabella, interessanti
considerazioni possono essere fatte tenendo conto delle ripartizione a livello regionale.
La Sicilia, risulta la regione che presenta il maggior numero di aziende di
produzione, con un’incidenza sul totale pari a poco più del 18%, e registra, al contempo,
una discreta presenza di aziende di trasformazione, pari a circa il 9%. Poco significativa
25
nel panorama nazionale è l’incidenza delle aziende di importazione siciliane, pari a
poco più del 2%, sebbene il dato appare in lieve crescita. Una situazione alquanto simile
a quella registrata in Sicilia, si registra in Puglia, sebbene la consistenza delle aziende di
produzione e di importazione appaia inferiore rispetto a quelle siciliane. Per quanto
riguarda le altre due regioni del meridione, la Calabria e la Sardegna, che si
caratterizzano per una rilevante presenza di aziende di produzione (rispettivamente il
9,6 ed oltre il 10%), la crescita sembra interessare le sole aziende di trasformazione,
che, in tre anni sono aumentate, rispettivamente, del 62 e del 9%. Assenti risultano, in
entrambi i casi, le aziende che si occupano di importazione.
La situazione del Nord Italia può essere ben rappresentata attraverso i dati di
alcune regioni, come la Lombardia ed il Veneto, in cui, ad un numero decisamente
limitato di aziende di produzione, in entrambi i casi inferiori al 3%, corrisponde
un’elevata presenza di trasformatori, le cui quote sfiorano quasi il 10%, e di importatori;
in quest’ultimo caso, le quote relative alle aziende di importazione rappresentano
rispettivamente il 18 ed il 16% del totale nazionale. Per quanto riguarda l’EmiliaRomagna, si può osservare una situazione, tra le diverse tipologie aziendali, un pò più
bilanciata, tanto che è possibile rilevare un’equilibrata presenza tra produttori (poco più
del 9%), trasformatori (quasi il 15%), ed importatori, la cui incidenza percentuale sfiora
il 23% e pone la regione ai vertici nazionali.
In alcune regioni del Centro, soprattutto in Toscana, viene rilevata una situazione
ancora diversa, in cui sembrano prevalere le aziende che effettuano la trasformazione
dei prodotti, fenomeno probabilmente dovuto alla tradizionale diffusione, nella regione
considerata, di colture come l’olivo e la vite.
Dal 2001 al 2003 (Fig. 2 ), i pesi relativi delle singole aree geografiche si sono
modificati. In particolare, le Isole passano dal 34% al 27%. Il Sud detiene, nel 2003, con
il 29% sul totale nazionale, il primo posto; mentre, il Nord ed il Centro, assumono un
peso sempre maggiore, passando da una quota di incidenza, rispettivamente, del 22 e
13%, nel 2001, ad una quota del 26 e 18% nel 2003.
26
Figura 2 - Variazione della distribuzione degli operatori biologici in
Italia per area geografica
40%
35%
31%
30%
25%
26%
34%
29%
27%
22%
2001
18%
20%
2003
13%
15%
10%
5%
0%
Nord
Centro
Sud
Isole
Fonte: elaborazione su dati SINAB.
3.1.1 - Le produzioni vegetali
I dati nazionali relativi agli orientamenti produttivi, confermano come, nel corso
dell’ultimo triennio 2001-2003, le superficie totali destinate alle coltivazioni biologiche
siano state caratterizzate da una fase di crescita, avvenuta con un andamento altalenante.
Analizzando gli ultimi dati SINAB, relativi al 2003, si osserva che, rispetto al 2001,
anno di notevole crescita del comparto, la superficie investita al biologico, ha subito una
parziale contrazione pari al 15% (Tab. 4).
27
Tabella 4 - Evoluzione delle superfici coltivate con il metodo
biologico in Italia per orientamento produttivo (*)
Orientamento
produttivo
2001
ha
Cereali
2003
%
221.436
18,0
100
Leguminose da
granella
8.709
27.962
0,7
11.675
2,3
397.878
0,9
41.827
32,3
22.033
3,4
18.295
1,8
121.363
1,5
44.175
9,8
241.157
3,6
75.318
19,6
1.231.828
100
28,3
52.214
5,0
10.826
1,0
16.749
1,6
86.201
8,2
31.709
3,0
263.003
25,1
109
6,1
100
Totale
296.997
72
100
Altro
1,1
71
100
Prati e pascoli
11.354
91
100
Vite
3,1
49
100
Olivo
32.313
125
100
Agrumi
1,1
75
100
Frutta secca
11.662
97
100
Fruttiferi
20,0
115
100
Foraggi
209.376
134
100
Orticoltura
%
94
100
Colture industriali
ha
25.970
2,5
34
100,0
1.048.374
100,0
85
(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati SINAB.
28
Facendo riferimento ai dati forniti dal SINAB, è possibile fare alcune
considerazioni, in relazione ai principali orientamenti produttivi che caratterizzano il
territorio nazionale.
Dai dati contenuti nella tabella 4, si evidenzia una distribuzione della SAU
biologica fortemente orientata verso le colture foraggiere, sia permanenti, che
avvicendate. Questo fenomeno può essere facilmente compreso se si tiene conto del
fondamentale ruolo svolto dai contributi previsti dal Regolamento CEE 2078/92,
modificato dal Regolamento CE 1257/99, sulle scelte imprenditoriali, che hanno reso
particolarmente conveniente la destinazione delle produzioni foraggiere verso il
comparto della zootecnia. Nel complesso, questo comparto produttivo, che ricopre, con
circa 300 mila ettari, il 28% della superficie totale, appare in contrazione; infatti,
rispetto al 2001, in cui la superficie destinata a questo tipo di coltura rappresentava il
32% circa, ha subito un decremento di circa il 25%. La regione leader per superficie
biologica investita a specie foraggiere è la Sardegna, con una quota di oltre il 30%;
segue l’Emilia – Romagna, con quasi il 13% e la Sicilia, con un peso relativo di poco
superiore al 12% circa (Tab. 5).
Un altro importante orientamento produttivo è quello cerialicolo, la cui incidenza
è aumentata dal 18% nel 2001, al 20% nel 2003, nonostante, nel triennio considerato, si
osservi una contrazione del 6% della superficie destinata a tale tipo di produzione.
Facendo riferimento ai dati della tabella 5, le regioni che detengono il primato sono la
Sicilia e la Puglia, con oltre 30 mila ettari destinati a tale coltura. Tra le regioni del Nord
Italia spicca l’Emilia – Romagna, con una quota di incidenza di quasi il 13%; mentre tra
le regioni del Centro prevale la Toscana, con una superficie di circa 20 mila ettari, pari a
quasi il 9% del totale.
Notevole è l’espansione che ha caratterizzato le leguminose da granella, la cui
superficie è passata da circa 8 mila e 700 ettari nel 2001, a circa 11 mila e 600 ettari nel
2003, con un incremento del 23%. Stesse valutazioni possono essere dedotte per le
colture industriali, che rappresentano quasi il 3% degli orientamenti colturali coltivati.
Altro importante comparto è quello relativo ai prati ed ai pascoli, che rappresenta
il 25% circa della superficie biologica nazionale coltivata e che, nel corso del triennio
considerato, ha incrementato la propria quota d’incidenza del 9%.
29
Tra le colture arboree, la maggiore diffusione si riscontra per l’olivo, che con una
superficie di oltre 86 mila ettari incide per circa l’8% sul totale della SAU biologica
nazionale; va, comunque, evidenziato il decremento, pari ad oltre il 10%, che ha
caratterizzato il triennio 2001 – 2003. La vite, con una superficie di quasi 32 mila ettari
ed un’incidenza del 3%, costituisce, la seconda coltura arborea per diffusione ed
incidenza sulla SAU biologica complessiva. Anche in questo caso è da evidenziare il
decremento della superficie investita alla viticoltura biologica, che nell’arco temporale
2001-2003, ha sfiorato il 30%.
Per quanto riguarda i fruttiferi, è possibile osservare, una crescita nell’arco di
tempo considerato, tanto che nel 2003, si è registrato un incremento in termini di
superfici investite pari al 25%, rispetto al 2001. Notevole appare, invece, il
disinvestimento della SAU per la frutta secca, la cui superficie, pari a quasi 11 mila
ettari, registra una riduzione di quasi il 50%, rispetto al 2001. Di contro gli agrumi, pur
mostrando un modesto calo, mantengono una collocazione di rilievo tra le colture
arboree, con una superficie di quasi 17 mila ettari ed un’incidenza sulla SAU biologica
nazionale del 1,6%.
Dal punto di vista della localizzazione regionale (Tab. 5), si rileva che,
l’olivicoltura biologica risulta maggiormente diffusa nelle regioni meridionali ed in
quelle centrali, zone tradizionalmente vocate per tale tipo di coltura. Le due regioni
leader sono la Calabria e la Puglia, nelle quali la diffusione dell’olivicoltura biologica è
stata particolarmente rapida negli ultimi anni; le due regioni, intercettano,
rispettivamente, oltre il 31e quasi il 23% della SAU olivicola biologica nazionale.
Seguono la Sicilia e la Toscana, rispettivamente, con quasi l’11 e l’8%.
Per quanto concerne la distribuzione geografica della viticoltura, questa risulta la
più omogenea, anche se si nota una lieve polarizzazione verso il Nord e le Isole. La
maggiore diffusione di superficie a vite si riscontra in Sicilia che, con quasi il 29% della
superficie viticola biologica, detiene il primato nazionale. Tra le regioni del Sud
primeggiano l’Abruzzo e la Puglia, con pesi relativi, rispettivamente, dell’12 e dell’7%
circa; mentre al Centro spicca il dato relativo alla Toscana, che incide con oltre il 10%
sul totale nazionale. Al Nord, in cui si concentra quasi il 20% della SAU biologica
30
totale, le regioni con maggiore diffusione sono rappresentate dall’Emilia – Romagna e
dal Veneto, con un’incidenza di circa il 6%, in entrambi i casi (Tab. 5).
Relativamente alle colture orticole, le superfici coltivate con il metodo biologico,
si sono mantenute pressoché stabili. Il contributo di questa produzione, è stato sinora
limitato
e
la
motivazione
di
questo
fenomeno
va
ricercata,
soprattutto,
nell’inadeguatezza degli incentivi proposti dal vigente regolamento comunitario, che
spesso non riescono a compensare le perdite di reddito che si osservano, in molti casi,
con l’adozione del sistema biologico. L’orticoltura rappresenta appena l’1% della SAU
biologica complessiva e si trova concentrata in 6 regioni, l’Emilia–Romagna, la
Lombardia, le Marche, la Sicilia, e la Puglia che, insieme, costituiscono oltre il 61%
della SAU orticola biologica nazionale.
Oltre agli orientamenti produttivi sinora descritti, i dati forniti nella tabella 4,
evidenziano come una certa quota (2,5%) della SAU biologica, pari a circa 26 mila
ettari, sia utilizzata per alcune colture che rientrano in un gruppo non specificato,
denominato come “altro”. In genere all’interno di tale aggregato vengono compresi i
boschi e varie essenze forestali, gli arboreti da legno, i terreni a riposo o set-aside, le
siepi. Nell’insieme vengono, anche, inclusi le essenze officinali, cui concorrono
numerose specie, tra le quali le più diffuse sono il prezzemolo, il rosmarino e il basilico.
31
Tabella 5 - Consistenza delle superfici coltivate con il metodo biologico in Italia per regione e per principale ordinamento produttivo, 2003 (*)
Regione
Nord
Piemonte Valle
d'Aosta
Liguria
Lombardia
Trentino-A.A.
Veneto
Friuli-V.G.
Colture industriali
Cereali
Foraggi
Colture arboree
Vite
Olivo
ha
53.079
%
23,3
ha
11.056
%
44,0
ha
130.862
%
23,8
ha
11.957
%
18,1
ha
7.349
%
19,7
7.531
3,3
2.581
10,3
36.750
6,7
4.478
6,8
1.232
76
0,0
8
0,0
1.987
0,4
158
0,2
11.954
5,2
2.566
10,2
9.887
1,8
445
21
0,0
0
0,0
5.084
0,9
3.936
1,7
2.672
10,6
6.054
1,1
ha
Orticoltura
Altro
780
%
0,76
ha
4.328
%
32,5
ha
25.675
%
17,7
3,3
1
0,0
416
3,1
5.804
4,0
61
0,2
180
0,2
91
0,7
115
0,1
0,7
980
2,6
108
0,1
1.222
9,2
1.755
1,2
372
0,6
79
0,2
6
0,0
95
0,7
7.125
4,9
1.119
1,7
2.218
5,9
176
0,2
608
4,6
700
0,5
762
0,3
364
1,4
1.569
0,3
322
0,5
355
0,9
5
0,0
165
1,2
648
0,4
28.799
12,6
2.864
11,4
69.528
12,6
5.063
7,7
2.424
6,5
304
0,3
1.730
13,0
9.527
6,6
Centro
58.984
25,9
8.804
35,0
108.947
19,8
6.673
10,1
7.931
21,2
19.517
19,1
2.352
17,7
31.869
22,0
Toscana
20.186
8,9
3.250
12,9
24.222
4,4
1.509
2,3
4.037
10,8
8.720
8,5
562
4,2
21.683
15,0
Marche
15.643
6,9
1.736
6,9
32.579
5,9
336
0,5
1.967
5,3
818
0,8
855
6,4
4.703
3,2
Emilia-Romagna
Umbria
8.888
3,9
1.955
7,8
14.772
2,7
415
0,6
531
1,4
4.394
4,3
196
1,5
2.327
1,6
Lazio
14.267
6,3
1.862
7,4
37.375
6,8
4.414
6,7
1.395
3,7
5.585
5,5
740
5,6
3.157
2,2
Sud
61.059
26,8
4.647
18,5
74.700
13,6
22.453
34,0
9.855
26,4
65.943
64,6
4.554
34,2
24.970
17,2
Abruzzo
2.180
1,0
724
2,9
17.556
3,2
454
0,7
4.530
12,1
2.663
2,6
327
2,5
1.291
0,9
Molise
2.200
1,0
717
2,9
2.143
0,4
334
0,5
393
1,1
1.262
1,2
253
1,9
359
0,2
Campania
2.711
1,2
121
0,5
2.622
0,5
5.143
7,8
1.069
2,9
4.668
4,6
562
4,2
1.521
1,1
31.944
14,0
2.609
10,4
28.358
5,2
3.808
5,8
2.778
7,4
23.092
22,6
2.518
18,9
4.445
3,1
Basilicata
10.297
4,5
220
0,9
10.437
1,9
2.712
4,1
355
0,9
2.213
2,2
542
4,1
3.025
2,1
Calabria
11.727
5,1
255
1,0
13.584
2,5
10.003
15,1
730
2,0
32.045
31,4
351
2,6
14.330
9,9
Isole
54.826
24,1
624
2,5
235.763
42,8
25.005
37,8
12.243
32,8
15.815
15,5
2.089
15,7
62.262
43,0
Sicilia
34.285
15,0
48
0,2
67.820
12,3
23.762
36,0
10.575
28,3
10.911
10,7
1.846
13,9
56.637
39,1
Puglia
Sardegna
Italia
20.541
9,0
576
2,3
167.943
30,5
1.243
1,9
1.669
4,5
4.904
4,8
243
1,82
5.625
3,9
227.948
100,0
25.131
100,0
550.272
100,0
66.088
100,0
37.379
100,0
102.055
100,0
13.323
100,0
144.776
100,0
(*) Fonte: elaborazioni su dati ISMEA
32
3.1.2 - Le produzioni animali
I dati disponibili sulla zootecnia biologica sono pochi e presentano una minore
disaggregazione rispetto a quelli relativi alle produzioni vegetali. Questo è dovuto,
essenzialmente, al fatto che, la zootecnia biologica in Italia è ancora scarsamente
diffusa, considerato che il suo sviluppo è avvenuto a seguito dell’emanazione, nel 1999,
delle norme comunitarie e nazionali sul metodo di produzione biologica applicato alle
produzioni animali. In ogni caso, la zootecnia biologica sembra avere un destino
evolutivo simile a quello dell’agricoltura biologica, soprattutto in seguito alla crescita
della domanda di prodotti animali con alti standards qualitativi. Tale affermazione è
supportata da alcuni dati forniti dal SINAB e riportati nella tabella 6.
33
Tabella 6 - Evoluzione del numero di capi allevati con il metodo biologico in Italia per specie (*)
Specie
2001
n
Bovini
2002
%
330.701
23,9
100
Ovini
301.601
26.290
21,8
25.435
1,9
648.693
1,8
1.682
47,0
48.228
0,1
1.382.630
59.764
19.917
939.396
1.377
3,5
67.353
3,2
100,0
1.861.030
135
189.806
9,0
436.186
20,6
101.211
4,8
385
1,1
20.513
1,0
81
50,5
1.287.131
61,0
198
0,1
1.068
0,0
63
3,6
140
100
%
145
82
100
Totale
32,7
145
100
Api (in arnie)
608.687
n
57
78
100
Conigli
8,8
227
100
Pollame
164.536
202
100
Suini
%
50
100
Caprini
n
2003
76.607
3,6
159
100,0
2.112.522
100,0
153
(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati SINAB.
La tabella mostra come, nel triennio considerato, il numero dei capi allevati sia
notevolmente aumentato, passando da circa 1 milione e 400 mila capi nel 2001, a circa
2 milioni e 100 mila unità nel 2003 e facendo realizzare, quindi, un incremento
complessivo di poco superiore al 50%.
Dai dati contenuti in tabella emerge che il comparto in forte espansione risulta
essere quello del pollame; infatti, con un numero di capi di circa 1 milione e 300 mila
unità e con una quota di incidenza del 61% sul totale di capi allevati in Italia, si
conferma al primo posto. Questo è dovuto, probabilmente, alla crescente domanda di
prodotti avicoli che si è registrata negli ultimi anni.
34
Si può notare che gli allevamenti che manifestano decisi incrementi, sono quelli di
tipo estensivo, legati al pascolo, come dimostrano i dati relativi ad ovini e caprini, per i
quali, nel 2003, rispetto al 2001, si registra un incremento pari, rispettivamente, al 45 ed
al 285%. Di contro, risultati poco soddisfacenti si registrano per gli allevamenti
tradizionalmente più intensivi come bovini e suini, per i quali il numero di capi allevati
è in contrazione, decisa nel primo caso, il 43%, con un totale di quasi 190 mila capi, e
meno evidente nel caso dei suini, per i quali il numero si riduce del 20%, per un totale
complessivo di circa 20 mila capi.
Dato interessante è quello relativo alle api; infatti, anche per un allevamento
orientato, per tradizione, alla qualità dei prodotti, come può essere quello apistico, si
registra un notevole incremento, pari al 59%, con un numero di arnie superiore a 76
mila.
Irrilevante risulta l’allevamento con metodo biologico dei conigli.
Per quanto riguarda la localizzazione della zootecnia biologica, alcuni
informazioni si possono ottenere attraverso l’analisi della diffusione geografica delle
aziende zootecniche. Dalla figura 3 si può notare che, come per le produzioni biologiche
vegetali, la zootecnica biologica si concentra per oltre il 50% nella circoscrizione delle
Isole, sia per quanto riguarda il numero totale di aziende, sia in relazione alle diverse
tipologie produttive. In particolare, al 2003, la Sicilia rappresenta la regione in cui si
registra una più massiccia concentrazione di capi da carne, con un peso relativo del
43%, mentre le aziende che allevano capi da latte, risultano più numerose in Sardegna,
che da sola incide per più del 50% sul totale nazionale (Tab. 7).
Figura 3-Ripartizione della consistenza delle aziende zootecniche
biologiche per area geografica (2003)
55%
22%
Nord
Centro
Sud
Isole
4%
19%
Fonte: elaborazione su dati BIO BANK
35
Tabella 7 - Ripartizione delle aziende zootecniche biologiche per tipologia e per area geografica in Italia (*)
2001
Area
da latte
n
Nord-Ovest
da carne
%
15
4,0
100
Nord-Est
226
65
57,0
9
16,0
3
2,0
81
1,0
84
20,0
399
20,0
175
21
299
3
21,0
302
26,0
100,0
663
100
%
9
2,0
24
60
3,0
14
7,0
41
17,0
213
4,0
254
11,0
361
100
167
151
25
141
59,0
580
15,0
721
13,0
1.149
288
196
9,0
258
486
2,0
87
12,0
921
22,0
217
4,0
1.138
43,0
2.165
326
21,0
143
18,0
45
6,0
199
25,0
485
10,0
185
23,0
87
53,0
377
100,0
165
321
7233
62,0
7,0
238
308
50,0
58
%
687
414
12,0
n
644
278
858
100,0
%
192
716
70,0
n
miste
632
4700
100
100,0
7,0
278
100
46,0
85
232
100
1,0
%
74
100
45,0
n
da carne
567
100
100
100
n
da latte
100
100
100
Totale
134
miste
100
100
100
Isole
5,0
100
100
Sardegna
31
100
100
Sicilia
%
100
100
Sud
n
100
100
Centro
2003
384
48,0
151
100,0
795
100,0
220
(*) Fonte: elaborazioni su dati BIO BANK
36
3.2 - Il consumo nazionale dei prodotti biologici
I consumatori italiani, negli ultimi anni, hanno iniziato a porre maggiore
attenzione verso il consumo di prodotti provenienti dall’agricoltura biologica, sia allo
stato fresco, che trasformati. Attualmente, il consumo abituale di prodotti biologici
interessa meno del 5% dei consumatori italiani. E’ da rilevare, tuttavia, che almeno un
consumatore su 3 ha acquistato almeno una volta un prodotto venduto con il marchio
biologico (ISMEA, 2004).
Negli anni ‘70 e ‘80, quando i primi prodotti biologici si sono affacciati sul
mercato interno, le motivazioni del loro acquisto erano sostanzialmente legate a
motivazioni etico-politiche ed, in particolare, alla salvaguardia dell’ambiente. I
consumatori, caratterizzati da una spiccata coscienza ecologica, richiedevano prodotti
ottenuti con processi produttivi a basso impatto ambientale, accettando di consumare,
sia prodotti allo stato fresco, quali frutta e verdura, esteticamente poco interessanti, sia
prodotti trasformati, soprattutto pasta, confezionati in modo essenziale. Il mercato,
comunque, era abbastanza limitato e di scarso interesse dal punto di vista economico.
Negli anni successivi, a seguito dell’emanazione del Reg. CEE 2092/91, i consumatori
hanno cominciato a mostrare maggiore attenzione non solo verso gli aspetti ambientali
ma anche verso quelli legati alla sicurezza alimentare. L’incremento del consumo di
prodotti biologici, registrato negli ultimi anni, che risulta riconducibile, almeno in parte,
alle particolari strategie commerciali operate dalla Grande Distribuzione Organizzata,
trova altre ragioni di sviluppo in determinati eventi che hanno contribuito ad
incrementare la crisi di alcuni settori commerciali. Basti pensare, ad esempio, ai casi di
BSE e di altre particolari patologie animali, che si sono verificati, negli ultimi anni, in
diversi Paesi ed ai numerosi scandali registrati, a più riprese, nel nostro Paese, inerenti
l’utilizzo di prodotti agroalimentari non idonei alla trasformazione e che hanno
comportato casi di alterazione microbiologica, o di presenza nell’alimento di parassiti
animali.
37
3.2.1 - Gli acquisti nazionali
In Italia (ISMEA, 2003), le preferenze, dei consumatori, circa l’acquisto dei
prodotti biologici seguono un andamento riconducibile a quanto riportato nella figura 4.
Facendo riferimento all’intero paniere considerato, emerge che i prodotti che
incidono per quasi i 2/3 sul totale rientrano, sostanzialmente, in quattro categorie e
sono: i prodotti lattiero-caseari che rappresentano più del 25%; i biscotti ed i dolci che,
insieme ai prodotti ortofrutticoli, incidono ciascuno per quasi il 14%; infine, le bevande
che fanno registrare un’incidenza del 10% circa. Seguono i consumi relativi alle uova,
con quasi il 7%, ai prodotti per l’infanzia ed alla pasta ed al riso, rispettivamente, con il
6 ed il 5%. Per quanto riguarda la quota relativa al consumo di condimenti (4,3), il peso
maggiore è determinato dai derivati del pomodoro; mentre, in riferimento agli oli
vegetali, il cui consumo raggiunge una quota di quasi il 4% sul totale nazionale, ruolo
fondamentale, rispetto alle diverse tipologie, viene assunto dall’olio di oliva.
Tra le voci riportate nel paniere, non compaiono la carne e i suoi derivati, i quali,
non avendo assunto una significativa importanza in termini di quota di mercato, sono
stati inseriti nella voce altri prodotti.
38
Figura 4-Principali prodotti bio acquistati
30
25,4
25
20
13,9
15
13,8
5
4,9
4,3
3,6
3,5
3,4
1,6
1,4
1,2
Altri prodotti
5,9
Pane e
sostituti
6,8
Prodotti
dietetici
10,3
10
Gelati e
surgelati
Zucchero,
Thè, caffè
Oli vegetali
Condimenti
Pasta e riso
Prodotti per
l'infanzia
Uova
Bevande
Frutta e
verdura
Biscotti e dolci
Latte e derivati
0
Fonte: elaborazione su dati ISMEA–ACNielsen.
Nella tabella 8, viene riportato il valore complessivo della spesa destinata agli
acquisti dei prodotti alimentari a marchio biologico che, nel 2003, è stata stimata
intorno a 295 milioni di euro. Dall’analisi dei dati, emerge che l’incidenza percentuale
della spesa destinata all’acquisto di prodotti biologici, rispetto al totale della spesa
alimentare, per i prodotti monitorati durante l’indagine ISMEA, è risultata di appena
l’1,3%, anche se è possibile rilevare delle sensibili variazioni per alcune tipologie di
prodotto (Tab. 8). In particolare, per alcuni prodotti, quali uova, prodotti per l’infanzia e
prodotti dietetici, si registra una maggiore attenzione da parte del consumatore nello
scegliere prodotti corredati da un marchio di certificazione biologica, anche, perché si
tratta di alimenti particolarmente sensibili, sia sotto il profilo della sicurezza alimentare,
come per le uova, sia in riferimento al target di destinazione, nel caso degli altri due
gruppi. Nello specifico, per quanto riguarda il mercato delle uova, la quota destinata
all’acquisto di prodotti riconosciuti, mediante apposita etichetta, come biologici, è pari
al 7,6% del totale, mentre per i prodotti dietetici e per quelli destinati all’alimentazione
dell’infanzia, la quota di mercato si attesta, per ciascuno, ad un valore superiore al 5%
39
sul totale. Riflessione, per un certo senso, simile può essere fatta, anche, per i prodotti
ortofrutticoli, la cui quota di mercato, rispetto al totale, è pari al 2,2%.
Tabella 8 - Valore degli acquisti "bio" in Italia (2003) (*)
000
euro
40.6
%
Quota
bio/totale
mercato
13,8
2,1
14.4
4,9
0,7
4.2
1,4
0,8
Oli vegetali
10.6
3,6
1,1
Latte e derivati
75.0
25,4
1,3
Biscotti e dolci
41.0
13,9
1,0
Bevande
30.4
10,3
1,2
Uova
20.0
6,8
7,6
Condimenti
12.7
4,3
1,4
4.7
1,6
5,0
Prodotti per l'infanzia
17.5
5,9
5,5
Zucchero, thè, caffè
10.4
3,5
0,8
Gelati e surgelati
10.0
3,4
0,5
3.5
1,2
0,2
295.0
100,0
1,2
Prodotti
Frutta e verdura
Riso e pasta
Pane e sostituti
Prodotti dietetici
Altri prodotti
Totale bio
Spesa
(*) Fonte: elaborazioni su dati ISMEA-ACNielsen.
40
Dal punto di vista territoriale, si rileva che, i maggiori acquisti di prodotti a
marchio bio, si realizzano nelle aree settentrionali della penisola, ed in particolare nel
Nord Ovest, in cui si concentra circa il 40% del volume di affari (Fig. 5). Il Sud e le
Isole rappresentano soltanto l’11% del totale nazionale, in contrapposizione con il dato
relativo alla spesa alimentare complessiva, che vede, invece, le regioni meridionali al
primo posto negli acquisti.
Figura 5 - Distribuzione degli acquisti dei prodotti biologici
per area geografica
Nord Est
20%
Nord Ovest
40%
Centro
29%
Sud e Isole
11%
Fonte: elaborazioni su dati ISMEA – ACNielsen.
41
3.2.2 - I canali distributivi dei prodotti biologici
La commercializzazione dei prodotti biologici, sul territorio nazionale (Fig. 6),
segue percorsi diversi a seconda delle dimensioni e della localizzazione dell’azienda di
produzione che si considera (ISMEA, 2003).
Figura 6 – Principali canali distributivi in relazione alle dimensioni aziendali (*)
Piccola
azienda di
produzione
Media azienda
di produzione
Grande
azienda di
produzione
Cooperativa
Grossista
Export
Catering
Industria
Piccolo
dettaglio
GDO
Consumatore
(*)Fonte: elaborazione su dati ISMEA.
42
Relativamente alle aziende agricole biologiche di piccola dimensione, si nota
come queste mostrino una maggiore propensione per il canale di commercializzazione
corto; sono, cioè, più orientate verso la vendita diretta ai consumatori. E’da rilevare che
i punti di vendita diretta dei prodotti sono maggiormente localizzati nell’Italia
settentrionale e dal punto di vista strutturale, si tratta soprattutto di vendite in spacci
aziendali o su area pubblica, all’interno di mercati rionali. Le piccole aziende di
produzione forniscono, anche, i punti vendita specializzati; in questo caso, però, si tratta
di piccoli negozi al dettaglio, considerato che, la grande distribuzione, preferisce
rifornirsi presso i grossisti, semplificando, così, il loro percorso. Un’ulteriore sbocco per
le produzioni realizzate dalle piccole aziende è rappresentato dalle cooperative locali.
Le aziende di più piccole dimensioni, quindi, risultano più concentrate nei mercati locali
ed espletano attività mirate alla valorizzazione dei prodotti ottenuti, quali:
•
agriturismo;
•
vendita diretta anche di prodotti trasformati;
•
rapporti diretti con i consumatori;
•
rapporti diretti con i negozi specializzati più vicini;
•
partecipazione a mercatini specializzati;
•
conferimento a piattaforme di commercializzazione locali.
Le aziende di piccole dimensioni localizzate nelle aree meridionali si ritrovano in
una posizione di maggiore svantaggio, rispetto a quelle del Nord e a quelle del Centro,
a causa della minore presenza di punti vendita specializzati, di mercati e di
cooperative, oltre che per l’esigua presenza di consumatori effettivamente interessati
(ISMEA, 2003). Le aree del Centro, in particolare, oltre ad essere caratterizzate da un
certo numero di negozi specializzati, possono far leva su un discreto flusso di turismo
rurale e gastronomico, particolarmente pubblicizzato tramite l’organizzazione di
numerose fiere e mercati.
Le cooperative sono strutture commerciali che ricevono i prodotti anche dalle
aziende di medie dimensioni. Spesso provvedono al condizionamento, anche se,
l’interesse maggiore è quello di concentrare il prodotto già confezionato ed inviarlo
alla commercializzazione. I principali acquirenti della cooperativa vengono
riconosciuti nelle figure del dettagliante e del grossista.
43
Le aziende di media dimensione, grazie alla specializzazione produttiva e alla
meccanizzazione che le distingue, vengono riconosciute come strutture competitive
capaci di instaurare rapporti proficui con grossisti, industria ed imprese di
esportazione.
I grossisti, a loro volta, rappresentano le figure capaci di stabilire rapporti con il
dettaglio specializzato, il canale Horeca (hotel, ristorazione e catering), l’industria, la
GDO, e di provvedere all’esportazione dei prodotti.
Le aziende di grandi dimensioni, cercano di evitare il rapporto diretto con il
piccolo dettaglio. La finalità di tale scelta è quella di evitare le elevate spese che si
dovrebbero affrontare a causa della scarsa quantità di prodotto movimentato, di non
incorrere in difficoltà dal punto di vista della logistica e di non dover affrontare gli
oggettivi ostacoli ed i problemi amministrativi che si presenterebbero nel seguire
fornitori diffusi sul territorio nazionale. In questo caso, le grandi aziende mirano ad
instaurare rapporti con figure intermedie, quali l’industria, la GDO, l’Horeca e le
aziende che si occupano di esportazione. In tal modo, l’industria, nello specifico, può
fare riferimento ad ampi volumi di prodotti acquistati, riuscendo in tal modo, a far
fronte alle crescenti richieste di mercato; i grossisti, dal canto loro, stabilendo rapporti
di tipo continuo e non occasionali, possono rendere più agevole la programmazione e
la gestione dei loro affari commerciali.
La GDO rappresenta, attualmente, il principale canale di commercializzazione
attraverso il quale, negli ultimi anni, la domanda di prodotti biologici ha manifestato
una notevole crescita. Questo anche perché, gli operatori di questo tipo di canale
commerciale sono riusciti ad identificare alcuni fattori fondamentali per lo sviluppo
del settore. Innanzitutto, sono riusciti a far conoscere i prodotti biologici ai
consumatori, garantendo, per i prodotti di largo consumo, caratteristiche di qualità
organolettiche, igienico–sanitarie e merceologiche uniformi e continue nel tempo.
Inoltre, gli operatori commerciali della GDO, hanno trovato una corretta rispondenza
nel rapporto qualità/prezzo per i diversi prodotti biologici commercializzati.
Il canale Horeca, indicato nella figura 6, comprende la ristorazione collettiva ed in
misura minore quella ospedaliera. Nonostante la legge 488/1999, preveda l’utilizzo
44
quotidiano di prodotti biologici nei menù delle mense scolastiche ed ospedaliere, sono
ancora poche le Amministrazioni locali che ne hanno avviato l’effettivo inserimento.
Infine, rimangono da considerare i negozi specializzati, che risultano
prevalentemente collocati nelle regioni del Nord e Centro Italia. Si tratta di canali
commerciali i cui punti di forza si concretizzano nell’ampia gamma di assortimento; in
una maggiore competenza specifica; nel rapporto più diretto con il consumatore. Inoltre,
per alcuni consumatori, la riduzione del quantitativo di imballaggio, rappresenta un
elemento di ulteriore pregio, come conferma il fatto che, la maggior parte di prodotti
ortofrutticoli, vengono venduti non confezionati. Contemporaneamente però, lo stesso
elemento diventa uno dei punti critici del settore specializzato; infatti, la maggior parte
dei negozi considerati, pur essendo dei preparatori riconosciuti ai sensi del Regolamento
CEE 2092/91, non sono inseriti nel sistema di controllo.
45
4. CONSISTENZA DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA IN SICILIA
Nel panorama generale, caratterizzato da una significativa crisi del settore agricolo
ed alimentare, è stato posto come obiettivo fondamentale quello di ricercare alternative
oggettivamente attuabili, sia in riferimento ai modelli produttivi, sia in relazione ai
modelli di scelta alimentare. I consumatori più consapevoli orientano le proprie scelte
verso prodotti alimentari che soddisfino determinate caratteristiche qualitative,
riassumibili in:
• sicurezza alimentare, dimostrata dal fatto che vengono richiesti prodotti
alimentari sicuri dal punto di vista nutrizionale ed igienico–sanitario.
• sostenibilità ambientale. Si ricercano, infatti, prodotti alimentari ottenuti
mediante l’utilizzo di risorse locali e rinnovabili; si mira al mantenimento della fertilità
del suolo, all’uso di prodotti e procedimenti naturali, al mantenimento della diversità
biologica, al rispetto delle condizioni di vita degli animali allevati.
A tutto questo va aggiunto la maggiore attenzione manifestata verso altri aspetti
economici, sociali ed etici legati alla produzione che sempre più è chiamata a rispondere
anche in termini di tipicità, trasparenza e rintracciabilità.
In un’economia fortemente globalizzata e basata sulla concorrenza dei prezzi e
sugli strumenti pubblicitari, si apre, dunque, uno spiraglio per un modello di sviluppo
sostenibile. La sostenibilità non va vista solo da un punto di vista tecnico, legato alla
gestione economica delle produzioni, ma come modello di sviluppo capace di portare
importanti cambiamenti socio–economici e di garantire una significativa rivalutazione
di molti prodotti.
In questo particolare contesto, il modello dell’agricoltura biologica rappresenta
l’approccio migliore all’agricoltura sostenibile. Un approccio di tipo settoriale, oggi,
non è più sufficiente; è necessario, pertanto, avviare una campagna di promozione per la
sostenibilità su scala più vasta, allo scopo di raggiungere la maggior parte degli
operatori agricoli.
46
Non si tratta, dunque, di allargare una nicchia di produttori e di consumatori
rispetto a quella convenzionale, ma di avviare un processo di riconversione dell’attuale
modello di produzione e di consumo alimentare.
La crescente richiesta di qualità da parte del consumatore, rappresenta
un’opportunità da non perdere per lo sviluppo economico nazionale ed, in particolare,
regionale.
In Sicilia il metodo di produzione biologica, negli anni, ha manifestato un discreto
sviluppo, ma potrebbe continuare a crescere, se solo venissero sfruttate, in modo
adeguato, le opportunità offerte dal territorio regionale. Da sempre la Sicilia si distingue
per determinate realtà che possiamo identificare in:
•
Condizioni pedo-climatiche particolarmente favorevoli per l’ottenimento
di produzioni con elevate caratteristiche qualitative, senza ricorrere all’utilizzo di imput
esterni per quanto riguarda la difesa delle colture dalle avversità ambientali e dagli
attacchi parassitari.
•
Presenza di un patrimonio zootecnico di pregio, fortemente adattato alle
condizioni ambientali e, quindi, in grado di valorizzare le aree marginali.
•
Valenza paesaggistica ed elementi di naturalità tali da garantire
prospettive di sviluppo per attività quali agriturismo, attraverso i quali integrare il
reddito delle aziende agricole biologiche.
•
Ricchezza di tradizioni produttive locali dovute alla presenza, sull’isola,
di un tessuto socio-economico ancora vitale in alcune zone rurali fortemente vocate per
la realizzazione di produzioni tipiche con spiccate caratteristiche di genuinità.
•
Grandi potenzialità del turismo regionale che può generare un incremento
della domanda delle produzioni ad elevati standard qualitativi.
•
Presenza di giovani imprenditori sensibili ai temi di sostenibilità
ambientale, ma capaci anche di presentare delle innovazioni.
•
Maggiore sensibilità della popolazione agli aspetti ambientali ed alla
fruizione del territorio.
47
4.1 - La consistenza dell’agricoltura biologica in Sicilia
Nel corso degli ultimi anni, l’agricoltura biologica siciliana ha avuto un
andamento che riflette per linee generali quello che si è registrato a livello nazionale.
Sulla scorta dei dati riportati nella tabella 9, emerge che, nel triennio considerato, il
2001 può essere valutato come l’anno di vero e proprio boom per lo sviluppo
dell’agricoltura biologica dell’isola. Durante tale anno, infatti, si contavano oltre 12
mila aziende che ricoprivano una superficie di circa 207 mila ettari. Negli anni
successivi al 2001 si è osservata un’inversione di tendenza; infatti, nel periodo
considerato, è stato registrato un decremento sia del numero di aziende, che della
superficie investita pari, rispettivamente, al 32 e al 9%.
Tabella 9 - Evoluzione del numero di aziende e delle
superfici biologiche in Sicilia (*)
Indicazioni
2001
Aziende (n)
12.355
9.722
8.410
100
79
68
207.287
206.102
188.380
100
99
91
Superficie (ha)
2002
2003
(*) Fonte: dati forniti dall'Assessorato Agricoltura e Foreste.
Anche in questo caso, così come si è verificato nel resto d’Italia, la riduzione del
numero di operatori agricoli biologici e delle superfici investite, sembra legata alla
diminuzione degli investimenti disponibili, messi a disposizione dalla nuova normativa
48
europea adottata a livello regionale, che ha, oramai, abrogato il Reg. CEE 2078/92 in
materia di finanziamenti.
Analizzando i dati contenuti nella tabella 10, è possibile fare delle considerazioni
in riferimento ai comparti produttivi maggiormente interessati al metodo di coltivazione
biologico.
Nel complesso, si può facilmente notare che, nel triennio considerato, si è
registrato un significativo incremento, pari al 17%, della superficie destinata alle
coltivazioni agricole biologiche, che è passata da circa 144 mila ettari nel 2001 a quasi
169 mila ettari nel 2003.
49
Tabella 10 - Evoluzione delle superfici coltivate con il metodo biologico in
Sicilia per orientamento produttivo (*)
2001
Orientamento produttivo
ha
Cerealicolo
2003
%
27.952
19,4
100
Orticolo
1.494
22.809
1,0
14.837
15,8
11.593
10,3
294
2.258
49.961
0,2
1.210
977
1,6
171
12.235
144.410
100
8,5
5,0
0,7
0,1
7
34,6
36.338
21,6
73
0,7
9.215
5,5
943
8,5
100
Totale
11,5
411
100
Altro
3,9
72
100
Foraggero-zootecnico
14.278
8.395
100
Foraggero
19.369
8,0
100
Colture industriali
6.558
96
100
Floro-vivaistico
17,6
89
100
Olivicolo
29.656
439
100
Viticolo
%
106
100
Frutticolo ed agrumicolo
ha
43.270
25,7
354
100,0
168.460
100,0
117
(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati BIO BANK.
50
Sulla base dei dati a nostra disposizione emerge che, tra le colture annuali, spicca
il dato relativo al comparto cerealicolo, che, con quasi 30 mila ettari, ricopre il 17,6%
dell’intera superficie regionale. Fra le colture arboree, invece, riveste un ruolo di
particolare rilievo l’orientamento frutticolo ed agrumicolo, con un’incidenza relativa del
11,5%, seguito da quello viticolo ed olivicolo, che interessano, rispettivamente, circa 14
ed 8 mila ettari, incidendo con l’8,5 ed il 5% sul totale dell’isola. Significativo è il dato
relativo al comparto foraggero, che incide per quasi il 22% sul totale della superficie ed
ancora di più il dato riferito al comparto foraggero–zootecnico, la cui evoluzione, nel
corso degli anni considerati, è stata caratterizzata da un trend fortemente esponenziale,
anche in conseguenza dell’entrata in vigore della regolamentazione comunitaria relativa
alle produzioni zootecniche biologiche. Tra i comparti considerati, l’unico a subire una
contrazione di oltre il 90% è quello relativo alle colture industriali, la cui incidenza sul
totale regionale, già significativamente bassa, durante il periodo considerato, ha assunto
un valore quasi nullo. Di contro il comparto floro-vivaistico che, nel 2001, ricopriva
soltanto quasi 300 ettari del territorio regionale, nel 2003 raggiunge un’estensione
superficiale di circa 1,2 mila ettari, portando, così, la propria aliquota relativa ad
un’incidenza di quasi l’1%.
Con riferimento alla Superficie Agricola Utilizzabile (SAU) delle aziende agricole
biologiche siciliane, emerge la maggiore diffusione delle aziende con un’ampia
estensione superficiale (Tab. 11). In particolare incidono con quasi il 45%, le tipologie
aziendali che presentano una superficie compresa tra i 50 ettari fino ad ampiezze
superiori ai 100 ettari, per una superficie complessiva di circa 40 mila ettari. Seguono le
aziende con un’estensione compresa tra 10 e 50 ettari, che rappresentano quasi il 40%
del totale regionale e le aziende la cui classe di ampiezza risulta compresa tra 5 e 10
ettari, con una quota di circa l’8%. Poco rappresentate, infine, risultano le aziende la cui
estensione superficiale è inferiore ai 2 ettari e quelle che appartengono alla classe
compresa tra 2 e 5 ettari, che rappresentano rispettivamente il 2 ed il 5% del totale
regionale.
Per quanto riguarda il numero di aziende presenti nel territorio siciliano e
differenziate per classi di SAU, i dati disponibili appaiono sostanzialmente opposti
rispetto a quanto osservato precedentemente (Tab. 11). Dall’analisi dei dati riportati
51
nella stessa tabella, emerge che le aziende maggiormente presenti nel territorio, in
termini numerici, sono quelle la cui estensione superficiale non raggiunge i 2 ettari;
queste, infatti, incidono sul totale con un’aliquota di oltre il 31%. Seguono le aziende
con una superficie compresa tra i 2 ed i 5 ettari (21%) e, quindi, con un’incidenza pari a
poco meno del 29%, le aziende che hanno un’ampiezza superficiale compresa tra i 5 e i
20 ettari. L’incidenza delle aziende con estensioni maggiori decresce passando dalle
classi comprese tra i 20 e i 30 ettari e tra i 30 e i 50 ettari, che incidono ciascuna per il
6%, fino ad arrivare alla classe con estensione superficiale superiore ai 100 ettari; in
quest’ultimo caso, il numero totale di aziende appartenenti alla classe, è di 129 unità,
che rappresentano appena il 2% del totale regionale.
L’analisi dei dati contenuti nella tabella, conferma, ancora una volta, la forte
frammentazione delle aziende agricole siciliane, dovuta alla significativa presenza di
aziende di piccole dimensioni.
52
Tabella 11 - Superfici e numero di aziende biologiche per classe di SAU
in Sicilia (*)
Classi di SAU
Aziende
Superficie
(ha)
n
%
ha
%
<2
1.940
31,5
1.730
2,0
2,00 - 4,99
1.299
21,1
4.215
5,0
5,00 - 9,99
966
15,7
6.684
7,9
10,00 - 19,99
807
13,1
11.134
13,1
20,00 - 29,99
362
6,0
8.714
10,3
30,00 - 49,99
370
6,0
14.062
16,6
50,00 - 99,99
278
4,5
18.371
21,7
> 100,00
129
2,1
19.813
23,4
6.151
100,0
84.772
100,0
Sicilia
(*) Fonte:ISTAT, V° Censimento Generale dell'Agricoltura, Roma 2000.
53
L’emanazione e l’applicazione di una normativa comunitaria specifica per le
produzioni animali, ha rappresentato un’importante tappa per il settore zootecnico, in
quanto ha fornito maggiori garanzie per gli allevatori che decidono di attuare un
allevamento seguendo il metodo biologico, come valida alternativa di sviluppo e,
quindi, di maggiore competitività.
In Sicilia, come nel resto d’Italia, la filiera zootecnica biologica, ha mostrato
interessanti dinamiche di crescita, sia in relazione al numero degli operatori coinvolti,
sia per quanto riguarda le superfici agricole convertite dal convenzionale.
La zootecnia biologica è una realtà recente, per cui, specie a livello regionale, non
si dispone di dati particolarmente specifici e dettagliati. I dati di cui disponiamo sono
quelli forniti da BIO BANK e contenuti nella tabella 12.
Dall’analisi dei suddetti dati emerge che, nei tre anni considerati, il numero di
aziende zootecniche biologiche ha registrato un forte incremento, passando da 343
aziende nel 2001 ad oltre 1.200 nel 2003, con un aumento di oltre il 250%. Nel corso
del triennio preso in considerazione, le aziende zootecniche da carne hanno confermato
il loro primato regionale, con una quota del 73% sul totale; seguono le aziende miste
con quasi il 16%. La zootecnia da carne rappresenta, infatti, un comparto di grande
interesse per gli operatori, in quanto consente di realizzare processi di valorizzazione
delle razze autoctone. Il dato in assoluto più significativo è, comunque, quello relativo
alle aziende zootecniche da latte; queste ultime, infatti, nonostante mantengano il terzo
posto nelle scelte degli allevatori, con poco più dell’11% sul totale, hanno mostrato,
rispetto alle altre due categorie considerate, l’incremento più importante. Il fenomeno
che con gli anni si sta via via sviluppando viene, principalmente giustificato, dal fatto
che, il mercato del latte e dei prodotti lattiero–caseari, rappresenta uno dei mercati in cui
i prodotti biologici si sono facilmente e velocemente diffusi e dove le possibilità di
crescita sono abbastanza interessanti.
54
Tabella 12 - Evoluzione del numero delle aziende zootecniche biologiche in Sicilia per indirizzo
produttivo (*)
2001
Indirizzo produttivo
n
Da latte
2002
%
3
n
0,9
100
Da carne
299
41
87,2
343
n
9,8
490
11,9
819
33,8
100
1.451
423
11,2
921
73,0
308
56,4
1.997
100,0
141
%
4.700
164
100
Totale
%
4.767
100
Miste
142
2003
199
15,8
485
100,0
1.261
100,0
368
(*) Fonte: nostre elaborazioni su dati BIO BANK.
55
Per quanto riguarda l’analisi realizzata considerando le classi di Superficie
Agricola Utilizzabile, dai dati contenuti nella tabella 13, si conferma per grosse linee
quanto evidenziato, precedentemente, per le aziende agricole biologiche. Anche in
questo caso, infatti, si evidenzia una maggiore diffusione di aziende con elevata
estensione superficiale. Primeggiano, infatti, con oltre il 37% del totale, le aziende con
classi di ampiezza superiore ai 100 ettari; seguono le due classi di ampiezza
immediatamente precedenti e, cioè, quella con superficie compresa tra i 50 e i 100 ettari
e la classe compresa tra i 30 e i 50 ettari che rappresentano, rispettivamente, il 24 ed il
18%. Relativamente importanti sono le aziende zootecniche con estensione superficiale
compresa tra i 10 e i 20 ettari e tra i 20 e i 30 ettari; ciascuna registra una quota di
incidenza dell’8%. Infine, poco rilevante appare il contributo delle classi di ampiezza tra
i 2 e i 10 ettari, con poco più del 3% e quella inferiore ai 2 ettari, con solo lo 0,7%, sul
totale siciliano.
Anche i questo caso, relativamente al numero delle aziende presenti sul territorio,
in relazione alla SAU, sulla base dei dati a nostra disposizione, bisogna fare
considerazioni opposte alle precedenti. Maggiormente diffuse sono, infatti le aziende di
piccole dimensioni, con estensione inferiore ai due ettari. Seguono le aziende di
dimensioni medio–grandi, cioè quelle che si estendono dai 10 ai 20 ettari (15,3%), e
quelle che appartengono alla classe compresa tra i 30 e i 50 ettari (13%). Per tutte le
altre classi di ampiezza considerate, vi è una distribuzione pressoché costante, tra il 9 e
il 9,5%, eccetto che per la classe superiore ai 100 ettari che, con una quota di quasi il
6%, costituisce quella meno rappresentativa.
Anche per le aziende zootecniche biologiche, dunque, si rileva, anche se in modo
meno evidente rispetto alle aziende agricole, una certa frammentazione, dovuta alla
distribuzione di molte piccole aziende di modeste dimensioni.
56
Tabella 13 - Superfici ed aziende zootecniche biologiche per classe di SAU
in Sicilia (*)
Classi di SAU
Aziende
n
ha
Superficie
%
ha
%
<2
95
29,1
61
0,7
2,00 - 4,99
31
9,5
97
1,1
5,00 - 9,99
29
8,9
194
2,2
10,00 - 19,99
50
15,3
688
8,0
20,00 - 29,99
30
9,2
709
8,1
30,00 - 49,99
42
13,0
1.529
18,1
50,00 - 99,99
30
9,2
2.109
24,2
> 100,00
19
5,8
3.280
37,6
326
100,0
8.719
100,0
Totale
(*) Fonte:ISTAT, V° Censimento Generale dell'Agricoltura, Roma 2000.
E’ auspicabile che il sistema zootecnico biologico non rimanga espressione di
un’economia
locale
incentrata,
esclusivamente,
sulla
trasformazione
e
sulla
commercializzazione di prodotti tipici e sul turismo rurale, ma possa diventare un
elemento di importanza economica ed occupazionale sempre maggiore, in tutta l’isola,
ed in particolare in quelle aree rurali che fanno della zootecnia la loro principale fonte di
sviluppo.
57
4.2 - L’applicazione delle misure agro – ambientali in Sicilia
La precedente programmazione comunitaria, attuata mediante l’applicazione del
Regolamento CEE 2078/92 che prevedeva l’adozione di misure agroambientali, per il
periodo compreso tra il 1993 al 1998, ha stimolato una crescente diffusione dei sistemi
di coltivazione correlati all’agricoltura ecocompatibile sulla nostra Isola, ed una
maggiore attenzione, da parte degli operatori agricoli, agli aspetti legati alla
salvaguardia dell’ambiente. Nei cinque anni compresi tra il 1994 e il 1998, il
programma agroambientale ha incontrato un favorevole riscontro, certamente superiore
alle aspettative. Le superfici interessate, infatti, durante tale intervallo di tempo, erano
pari a 222 mila ettari, mentre il numero delle aziende agricole ammontava a circa 35
mila unità, con un finanziamento complessivo di circa 585 miliardi di lire. Le misure
contenute nel Piano di Sviluppo Rurale (PSR, 1994-1999) della regione Sicilia,
maggiormente utilizzate sono risultate quelle relative alla riduzione dei fitofarmaci (A1)
e quelle inerenti l’agricoltura biologica (A2) che, nel complesso, hanno interessato oltre
il 70% della superficie utilizzata e dei finanziamenti erogati. In particolare, la misura A1
ha riguardato una superficie di quasi 63 mila ettari ed oltre 15 mila agricoltori, mentre la
misura A2 è stata attuata su circa 88 mila ettari da oltre 7 mila operatori.
Le valutazioni finali sull’applicazione del suddetto regolamento hanno, comunque,
reso opportuni alcuni interventi correttivi, recepiti e quindi applicati nella
predisposizione delle azioni previste dal nuovo PSR. Nello specifico, è stata confermata
l’utilità degli interventi in materia di agricoltura biologica, conversione dei seminativi,
mantenimento delle produzioni estensive ed allevamento di razze locali in pericolo di
estinzione. Inoltre, in base ai risultati conseguiti, sono state eliminate alcune misure
ritenute non riproponibili.
Una prima modificazione apportata al precedente regolamento, è quella relativa
alla zonizzazione delle misure previste dal PSR, che nasce dalla constatazione di una
differenziazione dei fabbisogni d’intervento, dovuta alle specifiche caratteristiche delle
aree rurali siciliane. La situazione attuale dell’isola viene caratterizza da differenti livelli
di sviluppo e di problematiche ambientali; riuscire ad individuare le aree in cui
58
applicare le singole azioni, diventa una condizione necessaria per una corretta
interpretazione dei criteri che distinguono le diverse misure considerate.
L’attuazione del PSR, porta con sé una serie di riflessi di tipo economico, sociale
ed ambientale, non sempre facili da quantificare. In genere, tutte le misure previste dal
piano hanno manifestato un’incidenza positiva dal punto di vista occupazionale.
Comunque, per poter valutare correttamente gli effetti ottenuti, bisogna tenere
sempre in considerazione l’obiettivo globale del PSR, che si propone di incrementare la
competitività delle aree rurali, in un contesto di sviluppo intersettoriale compatibile con
la tutela e la salvaguardia del territorio, del paesaggio e dell’agroecosistema.
La validità del PSR è stata prevista per sette anni, dal 2000 al 2006, in coerenza
con quanto stabilito a livello comunitario.
Al fine di attuare il regime di aiuti previsto dal Reg. CE 1257/99, il PSR risulta
articolato nelle seguenti quattro misure:
•
Misura F “Agroambiente”;
•
Misura E “Zone svantaggiate”;
•
Misura H “Imboschimento delle superfici agricole”;
•
Misura D “Prepensionamento”.
Le suddette misure, a loro volta, si articolano in azioni che perseguono degli
specifici obiettivi operativi.
La misura F ha come obiettivo generale quello di diffondere metodi di produzione
agricola e di gestione dei terreni compatibili con la tutela dell’ambiente e del suolo,
salvaguardando la redditività dell’impresa. Gli obiettivi specifici sono quattro e si
riconducono in:
• F1: introduzione e mantenimento di metodi di produzione a basso impatto
ambientale, anche in funzione della valorizzazione commerciale delle produzioni
ottenute;
• F2: difesa e tutela del territorio regionale dai fenomeni di dissesto, erosione,
dagli incendi e gestione di sistemi foraggeri estensivi;
• F3: ricostruzione e mantenimento del paesaggio agrario tradizionale in aree
sensibili;
• F4: incremento e salvaguardia della biodiversità.
59
Con la misura E gli obiettivi che si vogliono raggiungere sono quelli di frenare
l’esodo rurale, favorendo e garantendo attraverso un uso regolare delle superfici
agricole, il mantenimento di una comunità rurale vitale; conservare lo spazio naturale e
mantenere e promuovere sistemi di produzione agricola sostenibili.
La misura H ha come obiettivo generale quello di incentivare l’imboscamento
delle superfici agricole, allo scopo di diversificare l’orientamento produttivo aziendale e
di ridurre i fenomeni di dissesto idrogeologico. Gli obiettivi specifici della misura sono
riassumibili in:
• H1: imboschimento di terreni agricoli con finalità produttiva;
• H2: creazione di popolamenti forestali naturali stabili.
La misura D, infine, persegue l’obiettivo di favorire il ricambio generazionale
nelle aziende agricole ed assicurare un reddito agli imprenditori anziani che cessano
l’attività.
L’obiettivo globale del piano e gli obiettivi specifici delle misure sono stati fissati
in coerenza con gli orientamenti della nuova Politica Agricola Comunitaria (PAC),
puntando sullo sviluppo rurale e sulla sostenibilità dell’attività produttiva agricola. In
particolare, i riflessi positivi attesi, riguarderanno i seguenti aspetti:
• consolidamento e rafforzamento della diffusione dei metodi produttivi a basso
impatto ambientale;
• prevenzione e riduzione dell’abbandono dei terreni, dissesto ed erosione dei
suoli;
• incremento delle superfici forestali in sostituzione di terreni agricoli;
• miglioramento del paesaggio agrario ed incremento della biodiversità;
• incentivazione del ricambio generazionale in agricoltura.
Dall’esame del piano finanziario distinto per misura, riportato nella tabella 14, è
possibile riportare alcune considerazioni.
La copertura finanziaria complessiva disponibile è di 558,8 milioni di euro; di
questa somma 419 milioni di euro provengono da contributi comunitari, mentre la
restante parte è a carico dello Stato. Va evidenziato che, circa 436 milioni di euro sono
destinati alla spesa obbligatoria da destinare al pagamento degli impegni che fanno capo
alla precedente programmazione (regolamenti 2078/92, 2079/92, 2080/92), ne
60
consegue, dunque, che, per la nuova programmazione, la disponibilità residua viene
notevolmente ridotta, ad un valore di circa 122 milioni di euro. Da quanto
precedentemente esposto, si può osservare che la misura che incide maggiormente,
assorbendo oltre il 73% della spesa totale del PSR, è la misura F. Quanto affermato
viene giustificato dalla rilevanza strategica che assumono gli obiettivi specifici della
stessa misura. Fra le azioni contenute nella misura agroambientale, particolare rilevanza
assume quella relativa all’agricoltura e alla zootecnia biologica, i cui obiettivi operativi
rivestono una notevole importanza per lo sviluppo delle aree rurali dell’isola. L’azione,
infatti, assorbe quasi il 42% della copertura finanziaria della misura. Una quota
altrettanto importante, pari al 49% sul totale della misura, è stata attribuita al
finanziamento delle azioni F2, F3, F4, allo scopo di intervenire efficacemente sulle
emergenze relative ai fenomeni di erosione e dissesto delle aree maggiormente a rischio;
tali fenomeni, infatti, costituiscono uno dei principali fattori di rischio agroambientali.
Per quanto riguarda le altre misure, quella relativa al settore forestale, incide per quasi il
25% sulla spesa totale del PSR, mentre le azioni relative al prepensionamento assorbono
soltanto l’1% delle risorse disponibili.
Considerate
le
limitate
risorse
finanziarie
disponibili
per
le
nuova
programmazione, sia a livello comunitario, che nazionale, assorbite principalmente per
il soddisfacimento degli impegni assunti con la precedente programmazione, la Regione
ha predisposto dei finanziamenti aggiuntivi, utilizzando le proprie risorse iscritte nel
bilancio di spesa, allo scopo di garantire una copertura finanziaria superiore rispetto a
quella assegnata con delibera CIPE n. 225/99 del 21/12/1999.
La dotazione finanziaria regionale aggiuntiva avrà un importo massimo di 154,94
milioni di euro, suddiviso così come riportato nella tabella 15.
61
Tabella 14 – Risorse finanziarie disponibili per le Misure contenute nel PSR Sicilia (*)
Misura
F-Agroambiente
E-Zone Svantaggiate
H-Imboschimento delle superfici agricole
D-Prepensionamento
Totale
Costo a
carico
FEOGA
(M. euro)
Costo a
carico dello
Stato
(M. euro)
Totale
M. euro
%
307,2
102,4
409,6
73,3
3,8
1,3
5,1
0,9
103,8
34,6
138,4
24,8
4,3
1,4
5,7
1,0
419,1
139,6
558,8
100,0
(*) Fonte: PSR 2000 – 2006, Regione Siciliana.
62
Tabella 15 - Aiuti regionali aggiuntivi per Misura (2000-2006) (*)
Misura
F - Agroambiente
Costo
annuale
(M. euro)
Costo
totale
(M. euro)
13,3
80,0
E - Zone Svantaggiate
8,7
52,0
H - Imboschimento delle superfici agricole
3,5
21,0
D - Prepensionamento
0,3
1,9
25,8
154,9
Totale
(*) Fonte: PSR 2000 – 2006, Regione Siciliana.
Una particolarità della nuova programmazione è data dalla suddivisione in zone
del territorio, grazie alla quale viene favorita una corretta distribuzione delle risorse, allo
scopo di raggiungere gli obiettivi specifici della misura a cui le singole azioni da
applicare si riferiscono.
In particolare, fra le aree d’intervento considerate per l’applicazione delle singole
azioni e/o ai fini dell’individuazione delle priorità d’intervento rientrano:
• i bacini imbriferi di fiumi con significativa concentrazione di nitrati;
• i territori con elevata intensità colturale;
• le aree ad elevata vulnerabilità ai sensi della Direttiva 91/676;
• i parchi, le riserve naturali istituiti secondo la normativa regionale vigente;
• le oasi di protezione e rifugio della fauna selvatica di cui alla L.R. n. 37/81;
• i siti d’importanza comunitaria individuati ai sensi della Direttiva 43/92;
• le zone di protezione speciale (ZPS) individuate ai sensi della Direttiva 79/409
“Uccelli”;
63
• i territori compresi nella rete ecologica prevista dall’asse I del POR Sicilia;
• i terreni sottoposti a vincoli idrogeologici e/o paesaggistici;
• la cartografia tematica riguardante le colture ad elevata valenza paesaggistica;
• le aree di rispetto di corsi d’acqua, pozzi, sorgenti e bacini artificiali.
L’azione Fb1, della misura F (Agroambiente) contenuta nel PSR, è attuabile su
tutto il territorio regionale. L’applicazione diffusa dell’agricoltura e della zootecnia
biologica, viene, infatti, considerata come un’azione di miglioramento degli
agroecosistemi, comportando, in maniera effettiva, una riduzione dell’impatto
ambientale dell’attività agricola. In ogni caso, si è voluto attivare un regime di aiuto
differenziato per aree, ponendo maggiore attenzione alle zone più vulnerabili dal punto
di vista ambientale.
L’applicazione dei metodi di coltivazione e di allevamento biologici, mira al
conseguimento di determinati obiettivi che si riflettono, positivamente, sull’ambiente e
sugli operatori. Gli obiettivi che si intendono raggiungere possono essere riassunti nelle
seguenti azioni:
• ristabilimento progressivo dell’equilibrio biologico, con particolare attenzione
all’entomofauna e alla fauna selvatica;
• aumento della sostanza organica nel terreno;
• salvaguardia della salute degli operatori e dei consumatori.
Oltre a ridurre l’impatto ambientale che i metodi di produzione e di allevamento,
spesso, comportano, l’azione è finalizzata alla valorizzazione delle produzioni
biologiche regionali, che a tutt’oggi non risultano orientate al mercato. E’ il caso delle
colture foraggere che potranno avere, in tal modo, uno specifico riconoscimento dovuto
alla certificazione, soprattutto in seguito all’applicazione del Reg. 1804/99. In tal modo,
è auspicabile che la zootecnia biologica, possa assumere particolare rilievo nelle aree
interne collinari dell’isola, dove l’allevamento brado o semibrado di razze autoctone è
oramai consolidato, essendo parte integrante della cultura rurale di tali territori (PSR
Sicilia).
La possibilità, dunque, di valorizzare le produzioni tradizionali provenienti dagli
allevamenti estensivi, attraverso un processo biologico riconosciuto a livello europeo,
64
può rappresentare un’importante leva strategica per lo sviluppo dell’agricoltura
regionale.
L’adesione a questa azione, che deve essere applicata all’intera superficie agricola
utilizzata (al momento della sottoscrizione all’impegno) e su tutte le colture presenti,
comporta l’obbligo del rispetto delle prescrizioni stabilite dal Reg. 2092/91 e successive
modifiche. Nel caso di aziende in cui è prevista la presenza di animali da allevamento,
diventa obbligatoria anche la sottoscrizione dell’impegno riferita all’attività zootecnica,
nel rispetto del Reg. CE 1804/99.
Per quanto riguarda le aziende agricole, la distribuzione degli elementi
fertilizzanti deve essere realizzata attraverso un piano di concimazione e di gestione del
suolo, predisposto in base all’analisi su di un campione di terreno effettuata, a spese del
beneficiario, durante il primo anno di impegno e poi ripetuta all’ultimo anno, allo scopo
di valutare l’evoluzione del tenore di sostanza organica. La gestione del suolo va
realizzata attraverso l’adozione di tecniche di lavorazione che riducano i fenomeni
erosivi, rispettando le condizioni pedoclimatiche ed orografiche dell’azienda.
L’azione può essere associata, in modo facoltativo, all’azione F4b “Allevamento
di specie animali locali in pericolo di estinzione”, sempre rispettando i massimali
previsti dal Reg. CE 1257/99.
Nella tabella 16 sono riportati i livelli di aiuto massimali per ettaro e per coltura
previsti dal regolamento comunitario 1257/99.
65
Tabella 16 - Livelli di aiuto (euro/ha/anno)
AREA DI APPLICAZIONE
ORDINARIA
Premio
PREFERENZIALE
Premio
COLTURE NON
IN PRODUZIONE
Premio
300
280
500
180
350
310
540
200
-
450
500
-
550
590
-
600
600
-
550
500
850
750
750
750
480
600
600
550
900
800
800
800
500
650
160
160
160
160
160
160
PERENNI NON SPECIALIZZATE
400
450
-
AROMATICHE ED OFFICINALI pluriennali
450
450
-
FORAGGERE NON ANNUALI
180
200
-
350
385
-
450
450
-
COLTURE
ANNUALI
PERENNI
SPECIALIZZATE
Grano duro
Altri cereali
Cereali con allevamento zootecnico biologico da 1 a 2 UBA escluso grano duro
Leguminose da granella, veccia, trifoglio, lupinella ed altre foraggere avvicendate
Veccia, trifoglio, lupinella ed altre foraggere avvicendate con allevamento
zootecnico biologico da 1 a 2 UBA
Leguminose da granella con allevamento zootecnico biologico da 1 a 2 UBA
Cereali, legunimose da granella, veccia, trifoglio, lupinella, ed altre foraggere
avvicendate con allevamento zootecnico biologico in associazione all’azione F4b
Ortive
Aromatiche ed officinali annuali
Agrumi
Olivo
Fruttiferi
Pistacchio
Mandorlo, nocciolo, e carrubo
Vite da vino e cappero
PASCOLI NATURALI E FORAGGERE NON ANNUALI con allevamento zootecnico biologico da 1 a 2
UBA
PASCOLI NATURALI E FORAGGERE NON ANNUALI con allevamento zootecnico biologico in
associazione all’azione F4b
(*) Fonte: elaborazione su dati forniti dall’Assessorato Agricoltura e Foreste.
66
In riferimento alla tabella precedentemente esposta, è opportuno fare alcune
precisazioni. In particolare, per quanto riguarda le colture perenni, si intende soddisfatto
il requisito della specializzazione solo quando, la destinazione del terreno viene rivolta
esclusivamente ad un’unica specie; è, comunque, ammessa una particolare deroga
qualora la presenza di altre colture perenni non superi il 10% della superficie
assoggettata all’impegno. Per tali quote, viene corrisposto lo stesso livello di aiuto dato
per la coltura specializzata.
Nelle tabelle 17, 18 e 19 vengono riportate i dati riferiti al triennio 2001-2003
sugli importi versati in relazione agli ettari utilizzati ed alla tipologia colturale, distinti
in relazione alle colture ordinarie e preferenziali; in quest’ultimo caso, il premio
stabilito è leggermente superiore rispetto alle colture ordinarie.
Nel corso del triennio considerato, gli importi versati si sono progressivamente
ridotti, passando da circa 6 milioni a poco più di 3 milioni di euro, per le colture
biologiche preferenziali e da quasi 11 milioni a circa 7 milioni di euro per le colture
ordinarie, mostrando un calo del 43% nel primo caso e del 34% nel secondo caso.
Tutto ciò deriva dalla riduzione del numero di domande presentate e dalle
superfici destinate alle produzioni di tipo biologico, come si può dedurre dai dati
riportati nelle stesse tabelle. Le domande di integrazione presentate per le colture
biologiche preferenziali, infatti, hanno subito una riduzione del 38%, rispetto al 2001,
mentre per le colture biologiche ordinarie la contrazione registrata è stata del 33%.
Stessa osservazione può essere fatta per le superfici investite a coltivazioni biologiche,
sia preferenziali, che ordinarie. Nel primo caso, infatti, la riduzione delle superfici
registrata è stata del 44%, mentre nel caso delle colture biologiche ordinarie, si è
registrato un’incidenza leggermente inferiore ma, comunque, consistente, pari a circa il
38%. Questo fenomeno potrebbe essere giustificato dal tentativo, da parte degli
imprenditori agricoli, di produrre secondo il metodo biologico in modo indipendente
dalla fruizione dei premi, come conseguenza del fatto che, il mercato in cui si opera,
sembrerebbe supportare il prodotto biologico in termini di prezzo.
Facendo riferimento alle specializzazioni colturali, emerge che, tra gli
orientamenti produttivi che rientrano nella coltivazione biologica preferenziale, quello
foraggero annuale e quello dei pascoli e foraggero non annuale, con allevamento
67
zootecnico associato, hanno mantenuto il loro primato regionale, intercettando oltre il
60% degli importi versati, e quasi il 61% delle superfici investite e, con un numero di
domande di adesione, pari ad oltre il 42% del totale. Altro importante comparto è quello
cerealicolo, con quasi il 21% delle domande presentate, all’interno del quale circa il
20% è rappresentato dalla coltivazione del grano duro. Gli importi liquidati in questo
caso, intercettano quasi il 17% del totale, mentre le superfici destinate a tale tipo di
coltivazione rappresentano oltre il 19% del totale regionale sottoposto all’applicazione
dell’azione Fb1 del Reg. CE 1257/99.
Per quanto riguarda le coltivazioni biologiche di tipo ordinario, l’orientamento
produttivo più significativo è rappresentato dagli agrumi. Nello specifico, le domande di
integrazione presentate, per l’applicazione all’azione Fb1, incidono per il 16% sul
totale, mentre la superficie investita, pari ad oltre 2 mila ettari, copre quasi il 14%. In
riferimento agli importi liquidati, il comparto, con oltre 1 milione ed 800 mila euro, si
conferma al primo posto, intercettando oltre il 26% del totale dei finanziamenti. Anche
in questo caso le coltivazioni foraggere annuali con allevamento zootecnico, rivestono
una notevole importanza, confermandosi, infatti, seconda coltura per importanza, con
circa 1 milione di euro finanziati. Seguono le coltivazioni cerealicole, con una quota di
domande presentate di quasi il 16%, un’estensione di oltre 3 mila ettari, e con
un’incidenza di circa il 13%. sul totale degli importi liquidati. Infine, i pascoli e le
foraggere non annuali con allevamento zootecnico biologico registrano 121 domande
presentate, con oltre 2 mila 600 ettari di superficie interessata ed intercettando un
importo liquidato di circa 900 mila euro, (si confermano al quarto posto nelle preferenze
degli operatori agricoli).
Occorre rilevare che, per alcune colture, appartenenti ad una produzione di tipo
preferenziale e/o ordinaria, con un numero di domande presentate ed una relativa
estensione, venga registrato un finanziamento evidentemente più alto, rispetto ad
un’altra coltura il cui numero di domande presentate e le superfici investite risultano
maggiori. Questo è dovuto al fatto che, come precedentemente accennato, i premi
offerti, per ettaro di superficie, sono sensibilmente differenti a seconda della coltura
considerata. Può succedere, dunque, di osservare una non perfetta corrispondenza tra
numero di domande presentate, superficie investita ed importi effettivamente liquidati.
68
Tabella 17 - Applicazione dell'azione Fb1 del Reg. CE 1257/99 (2001) (*)
BIOLOGICO (AREE PREFERENZIALI)
Orientamento colturale
Cereali
di cui
Grano duro
Cereali con all. zootecnico biologico
Leguminose da granella
Leguminose da granella con all. zootecnico
biolog.
Foraggere annuali con all. zootecnico biolog.
Foraggere non annuali
Ortive
Fruttiferi
Frutta secca
Pistacchio
Agrumi
Olivo
Vite da vino e cappero
Pascoli e foraggere non annuali con all.
zootecnico biolog.
Perenni non specializzate
Totale
Domande
Superfici
BIOLOGICO
Importi liquidati
(000 )
Euro
%
n
%
ha
%
222
18,8
2.733
19,0
955
213
33
101
18,1
2,8
8,6
2.707
382
1.134
18,7
2,7
8,0
16
1,3
156
205
17,4
25
9
7
11
87
57
98
13
281
Domande
Superfici
Importi liquidati
(000 )
Euro
%
n
%
ha
%
16,2
541
18,2
6.277
24,7
1.879
17,5
947
206
227
16,0
3,5
3,8
504
66
270
16,9
2,2
9,1
6.086
418
3.190
24,0
1,6
12,5
1.826
209
574
17,0
2,0
5,3
1,2
92
1,6
21
0,7
150
0,6
82
0,8
3.878
27,8
1.939
32,8
228
7,7
3.849
15,1
1.732
16,1
2,1
0,8
0,6
1,0
7,4
4,8
8,3
1,1
254
4
14
22
24
393
202
21
1,7
0,0
0,1
0,1
0,3
2,8
1,5
0,1
51
2
11
11
19
354
162
14
1,0
0,0
0,2
0,2
0,3
6,0
2,7
0,2
28
67
61
278
5
360
471
168
1,0
2,2
2,0
9,3
0,2
12,1
16,0
5,6
244
250
328
979
20
2.533
1.178
867
1,0
1,0
1,3
3,8
0,1
10,0
4,6
3,4
44
137
246
470
15
2.153
883
520
0,4
1,3
2,3
4,5
0,1
20,1
8,2
4,8
23,8
4.853
34,6
1.857
31,4
204
6,8
4.754
18,7
1.618
15,1
13
1,2
20
0,1
9
0,1
207
6,9
408
1,6
163
1,5
1.178
100,0
14.489
100,0
5.909
100,0
2.975
100,0
25.444
100,0
10.725
100,0
(*) Fonte: elaborazioni su dati forniti dall’Assessorato Agricoltura e Foreste. Nella voce cereali viene escluso il grano duro.
69
Tabella 18 - Applicazione dell'azione Fb1 del Reg. CE 1257/99 (2002) (*)
BIOLOGICO (AREE PREFERENZIALI)
Orientamento colturale
Domande
n
Cereali
di cui
Grano duro
Cereali con all. zootecnico biologico
Leguminose da granella
Leguminose da granella con all. zootecnico
biolog.
Foraggere annuali con all. zootecnico
biolog.
Foraggere non annuali
Ortive
Fruttiferi
Frutta secca
Pistacchio
Agrumi
Olivo
Vite da vino e cappero
Pascoli e foraggere non annuali con all.
zootecnico biolog.
Perenni non specializzate
Totale
Superfici
BIOLOGICO
Importi liquidati
(000 )
Euro
%
%
ha
%
173
19,2
2.314
18,5
809
170
13
91
18,9
1,4
10,1
2.285
170
1.393
18,3
1,4
11,2
8
1,0
20
189
21,0
23
2
6
13
5
45
93
12
221
Domande
Superfici
Importi liquidati
(000 )
Euro
%
n
%
ha
%
15,9
338
15,0
3.854
20,0
1.153
13,8
800
92
279
15,6
1,8
5,4
312
50
221
13,8
2,2
9,7
3.693
259
3.011
19,1
1,3
15,6
1.108
130
542
13,2
1,5
6,5
0,2
12
0,2
17
0,7
189
1,0
104
1,2
3.537
28,4
1.768
34,5
171
7,5
2.967
15,4
1.335
16,0
2,5
0,2
0,7
1,4
0,5
5,0
10,3
1,3
278
1
13
25
24
313
216
22
2,2
0,0
0,1
0,2
0,2
2,5
1,7
0,2
56
0,6
10
12
19
282
173
14
1,1
0,0
0,2
0,2
0,4
5,5
3,4
0,3
21
47
47
209
0
337
354
132
1,0
2,1
2,1
9,2
0,9
0,8
1,5
3,9
12,0
4,7
3,6
30
81
214
364
0
2.000
684
413
0,3
1,0
2,5
4,3
15,0
15,6
5,8
167
147
286
759
0
2.339
912
688
24,0
8,2
5,0
24,5
4.149
33,2
1.597
31,1
159
7,0
3.332
17,3
1.166
13,9
7
0,9
7
0,0
3
0,0
162
7,1
383
2,0
153
1,8
901
100,0
12.482
100,0
5.127
100,0
2.265
100,0
19.293
100,0
8.369
100,0
(*) Fonte: elaborazioni su dati forniti dall’Assessorato Agricoltura e Foreste. Nella voce cereali viene escluso il grano duro
70
Tabella19 - Applicazione dell'azione Fb1 del Reg. CE 1257/99 (2003) (*)
BIOLOGICO (AREE PREFERENZIALI)
Orientamento colturale
Domande
n
Superfici
Importi liquidati
(000 )
Euro
%
n
%
ha
%
1.608
19,7
562
16,8
315
15,8
3.220
20,4
953
13,6
123
8
60
20,1
1,3
9,8
1.582
20
802
19,4
0,2
9,9
554
11
160
16,4
0,3
4,8
288
43
184
14,5
2,2
9,3
3.086
254
2.288
19,5
1,5
13,5
926
127
412
13,1
1,8
5,8
7
1,1
38
0,5
22
0,6
14
0,7
82
0,5
45
0,6
118
19,3
2.125
26,0
1.062
31,5
137
7,0
2.322
13,6
1.045
14,8
19
5
6
8
4
33
60
9
3,1
0,8
1,0
1,3
0,6
5,4
9,8
1,5
243
3
9
14
21
264
158
12
3,0
0,0
0,1
0,2
0,2
3,2
2,0
0,1
49
2
7
7
17
238
126
8
1,4
0,0
0,2
0,2
0,6
7,1
3,7
0,2
9
40
41
195
5
319
306
111
0,4
2,0
2,1
9,8
0,2
16,0
15,4
5,6
47
157
220
710
19
2.194
796
582
3,0
1,0
1,4
4,4
0,1
13,8
4,9
3,6
8
86
165
341
14
1.865
597
349
0,1
1,2
2,3
4,8
0,2
26,5
8,5
5,0
Pascoli e foraggere non annuali con all.
zootecnico biolog.
Perenni non specializzate
143
23,4
2.841
34,8
1.094
32,6
121
6,1
2.601
16,4
910
13,0
6
1,0
7
0,1
3
0,0
147
7,4
321
1,9
128
1,8
Totale
612
100,0
8.165
100,0
3.368
100,0
1.987
100,0
15.813
100,0
7.045
100,0
Foraggere annuali con all. zootecnico biolog.
Foraggere non annuali
Ortive
Fruttiferi
Frutta secca
Pistacchio
Agrumi
Olivo
Vite da vino e cappero
%
Domande
20,6
Leguminose da granella con all. zootecnico
biolog.
ha
Importi liquidati
(000 )
Euro
%
126
Cereali
di cui
Grano duro
Cereali con all. zootecnico biologico
Leguminose da granella
%
Superfici
BIOLOGICO
(*) Fonte: elaborazioni su dati forniti dall’Assessorato Agricoltura e Foreste. Nella voce cereali viene escluso il grano duro
71
4.3 - La commercializzazione dei prodotti biologici realizzati in Sicilia
Negli ultimi quindici anni, uno dei fenomeni più significativi che ha interessato il
settore dell’agroalimentare, è rappresentato dalla crescente richiesta, da parte dei
consumatori, sia nazionali, che europei, di prodotti ottenuti attraverso processi
produttivi a ridotto impatto ambientale ed, in particolare, quelli ottenuti da agricoltura
biologica (De Stefano et al., 2000). Le aziende produttrici sono riuscite a far fronte a
questo tipo di richiesta, realizzando prodotti ottenuti mediante processi produttivi
conformi al Regolamento CEE 2092/91. Tale tipo di atteggiamento è stato, inoltre,
supportato dai premi che vengono offerti ai produttori agricoli che decidono di aderire
ai programmi comunitari attraverso un impegno pluriennale, come definito dal
Regolamento CEE 2078/92, poi sostituito dal Regolamento CE 1257/99.
Dopo un ampio periodo, durante il quale il Reg. CEE 2092/91, è stato applicato,
sostanzialmente, per orientamenti produttivi di tipo estensivo, come foraggi, cereali,
prati e pascoli, ed in misura minore per coltivazioni arboree, quali agrumi, olivo, vite,
negli ultimi anni l’interesse degli operatori agricoli si è spostato verso altre tipologie
produttive, rappresentate principalmente dalle produzioni ortofrutticole e da quelle
zootecniche.
Anche i moderni sistemi distributivi, identificati, soprattutto, nella Grande
Distribuzione Organizzata (GDO), hanno manifestato un crescente interesse verso i
prodotti ottenuti da agricoltura biologica, riuscendo, in tal modo, a proporsi come valida
alternativa ai tradizionali punti vendita specializzati ed offrendo ai consumatori la
possibilità di scegliere tra un’ampia gamma di prodotti alimentari.
Nel presente lavoro si è cercato di definire, per linee generali, i principali aspetti
che caratterizzano il mercato dei prodotti biologici in Sicilia. L’indagine è stata
orientata, soprattutto, sull’acquisizione di informazioni inerenti ad alcuni caratteri
specifici della commercializzazione delle produzioni biologiche, individuando le
principali categorie di prodotto maggiormente richieste e, quindi commercializzate,
nonché i principali canali distributivi ed i mercati di destinazione di tali prodotti.
72
I caratteri specifici inerenti alla commercializzazione dei prodotti biologici in
Sicilia, sono stati analizzati utilizzando informazioni raccolte mediante un’indagine
condotta su un gruppo di imprenditori e responsabili commerciali del settore. Grazie a
tale indagine è stato possibile delineare, dunque, gli aspetti commerciali delle
produzione oggetto di indagine, i principali canali distributivi ed i mercati di
destinazione degli stessi.
Per quanto riguarda le tipologie produttive maggiormente commercializzate, dai
dati forniti, emerge che oltre il 50% è rappresentato dai prodotti ortofrutticoli freschi,
mentre una quota inferiore è determinata dai prodotti trasformati. Per quanto riguarda il
comparto ortofrutticolo ed, in particolare la frutta, una notevole percentuale viene
ricoperta dagli agrumi, tra i quali spiccano per importanza, con quasi il 70% le arance; il
restante 30%, invece, viene determinato dalle altre tipologie agrumicole quali
clementine, mandarini e limoni. In riferimento ai prodotti trasformati, viene rilevato che
significative quote dei prodotti commercializzati sul territorio siciliano (15 – 20%),
sono rappresentate dalla pasta e dalle marmellate e confetture , l’8% dalle conserve
vegetali; carne ed olio costituiscono il 5% dei prodotti commercializzati; infine, con
solo il 2% sul totale, ritroviamo un altro derivato cerealicolo, rappresentato dal pane
biologico.
La natura stessa del prodotto considerato, è strettamente correlata ad una specifica
tipologia di confezionamento. Generalmente i prodotti ortofrutticoli freschi vengono
commercializzati allo stato sfuso o confezionati in appositi contenitori di cartone o
plastica di dimensioni variabili, ricoperti da film plastico trasparente. I prodotti
trasformati, come marmellate e confetture, olio, vino, conserve, vengono confezionati in
contenitori realizzati per lo più in vetro e le cui capacità di contenimento variano a
secondo del prodotto che si considera.
Qualunque sia il tipo di confezione utilizzata, per la messa in commercio del
prodotto, questa deve obbligatoriamente riportare, in etichetta, la dicitura che il prodotto
è stato ottenuto da “Agricoltura Biologica” ed, inoltre, tutte le informazioni rese
obbligatorie dalla normativa vigente, in relazione alla tracciabilità ed alla garanzia
fornita dall’Organismo di Controllo.
73
Tenendo in considerazione le mutate condizioni di mercato, appare interessante
conoscere alcuni aspetti inerenti ai canali distributivi, oltre che individuare i principali
mercati di destinazione di tali produzioni. Questi elementi risultano indivisibili per gli
operatori e gli analisti del settore, per individuare idonee strategie di mercato da parte
delle imprese che commercializzano tali produzioni (Bracco, D’Amico, 2001).
In genere, da quanto emerge dalla figura 7, il 70% delle produzioni (in quantità)
viene commercializzata da associazioni di produttori, mentre, per il restante 30% viene
veicolata dai singoli produttori.
Figura 7 – Canali distributivi dei prodotti biologici in Sicilia (2005)
PRODUZIONE
(100)
SINGOLI
PRODUTTORI (30)
55
ASSOCIAZIONI DI
PRODUTTORI (70)
15
5
10
IMPORTATORI
10
PUNTI VENDITA
TRADIZIONALI
30
BROKERS
30
PUNTI VENDITA
SPECIALIZZATI
20
GRANDE
DISTRIBUZIONE
ORGANIZZATA
74
Per quanto riguarda i circuiti distributivi, è stato rilevato che, in circa il 55% dei
casi, i prodotti realizzati vengono intercettati da importatori, soprattutto esteri (USA,
Canada), che, spesso, rilavorano i prodotti e li commercializzano con marchi
commerciali propri o di catene distributrici. L’indagine ha permesso di rilevare che solo
il 30% dei prodotti biologici raggiunge direttamente il mercato al consumo e sempre
attraverso il circuito distributivo della Grande Distribuzione Organizzata (GDO). Dalla
figura 7, è possibile notare che, per quanto riguarda la distribuzione al dettaglio,
notevole risulta l’aliquota veicolata attraverso la GDO (60%). Quest’ultima risulta,
dunque, il circuito distributivo maggiormente utilizzato per i prodotti biologici, al pari
dei circuiti seguiti dai prodotti convenzionali. Mantengono, tuttavia, una certa
importanza i punti vendita specializzati (organic store), mentre i punti vendita
tradizionali continuano ad attraversare un periodo di crisi, in seguito al fatto che tali
prodotti non sono facilmente reperibili presso questa tipologia di struttura commerciale.
Per quanto riguarda i mercati verso cui vengono destinati i prodotti biologici
realizzati in Sicilia, dall’analisi delle informazioni raccolte, emerge che circa il 65%
delle
produzioni
biologiche
viene
commercializzata
attraverso
il
mercato
extranazionale. Nello specifico, il 50% interessa il mercato europeo, dove vengono
interessati in diversa misura alcuni Paesi, tra i quali spiccano l’Austria e la Germania,
mentre il 15% viene intercettato dai mercati extra europei, tra i quali particolare rilievo
assumono il mercato americano e quello canadese (Fig. 8). Solo circa il 35% delle
produzioni realizzate sull’isola viene veicolato nel mercato interno e, di questa quota,
appena il 5% rimane sul territorio siciliano.
75
Figura 8 – Mercati di destinazione dei prodotti biologici realizzati in Sicilia
PRODUZIONE
(100)
MERCATO
ESTERO
65,0
MERCATO
NAZIONALE
35,0
SICILIA
5,0
UE
50,O
RESTO
D’ITALIA
30,0
EXTRA UE
15,0
AUSTRIA
25,0
USA
9,5
GERMANIA
20,0
OLANDA
5,0
CANADA
5,5
76
5. ANALISI DEL CONSUMO DEI PRODOTTI BIOLOGICI REALIZZATI IN
SICILIA
5.1 - Introduzione
Negli ultimi decenni i Paesi ad avanzato sviluppo economico, sono stati
caratterizzati da un interessante cambiamento nello stile di vita e nelle abitudini
alimentari dei consumatori. Il tutto è stato determinato da variabili non solo di natura
economica, quali possono essere l’aumento del reddito pro-capite, o la riduzione dei
prezzi internazionali di alcuni prodotti, ma anche da variabili di natura socio-culturale e
tecnologiche. Sono mutati, dal punto di vista sociale e culturali, alcuni aspetti legati, in
particolare, alla composizione del nucleo familiare, che vede prevalere la condizione dei
singles o, comunque, delle famiglie con pochi membri, al ruolo della donna
nell’ambiente lavorativo, alla scelta dei prodotti alimentari, orientata sempre più verso
un’omologazione dei consumi. Dal punto di vista tecnologico, invece, le nuove scelte
dei consumatori sono correlate alle nuove tecniche di trasformazione e conservazione,
che hanno consentito un diverso utilizzo degli alimenti stessi.
Alla tendenza dell’omologazione dei consumi si è contrapposta, specie negli
ultimi anni, un’attenzione sempre più spiccata verso prodotti alimentari caratterizzati da
un elevato contenuto in servizi e in requisiti qualitativi, quali, in particolare, quelli
dietetici, salutistici ed igienico-sanitari.
Come conseguenza di tutto ciò, si è osservata da parte dei consumatori, una
crescente richiesta di prodotti agroalimentari ottenuti con processi produttivi a ridotto
impatto ambientale, facendo emergere un nuovo concetto di qualità che tiene conto non
soltanto delle caratteristiche finali del prodotto, ma anche delle tecniche utilizzate per
ottenerlo.
77
Nel presente lavoro, è stata condotta un’indagine sui principali caratteri relativi al
consumo di prodotti biologici in Sicilia. In particolare, si è cercato di accertare il grado
di conoscenza ed il tipo di comportamento che i consumatori mostrano di fronte
all’acquisto di prodotti ottenuti da agricoltura biologica, ma si è anche voluto
individuare e valutare le attuali tendenze in atto associate al consumo di tali prodotti.
L’analisi è stata realizzata allo scopo di individuare i principali punti di forza e di
debolezza che ancora contraddistinguono il mercato delle produzione biologiche.
Tali valutazioni potranno fornire validi elementi di riflessione, sia per quanto
riguarda gli aspetti che distinguono il mercato al consumo, sia per ciò che concerne le
future prospettive di mercato, nella nostra Isola.
5.2 - Metodo d’indagine
L’indagine è stata condotta, seguendo uno schema metodologico utilizzato in
numerose indagini, effettuate nello stesso ambito territoriale (D’Amico, La Via, 2001),
nell’arco temporale compreso tra il 1° ed il 31 agosto 2005, su un campione di 500
consumatori siciliani, utilizzando una scheda-questionario opportunamente predisposta.
Allo scopo di contenere l’errore di campionamento si è fatto ricorso al metodo di
campionamento casuale.
Le rilevazioni sono state effettuate attraverso una scheda-questionario, contenente
domande a risposta libera o vincolata (binaria o multipla), realizzando delle interviste
dirette, con il metodo face to face. In questo modo è stato possibile raccogliere
informazioni di carattere qualitativo e quantitativo sui diversi aspetti socio-economici e
culturali degli intervistati, nonché sul comportamento degli stessi durante la fase di
acquisto e sulla percezione della qualità e del prezzo dei prodotti biologici.
La scheda-questionario è stata articolata in cinque sezioni.
La prima sezione ha mirato alla raccolta di informazioni sul grado di conoscenza
dell’esatta definizione di prodotto biologico, sui principali canali attraverso i quali è
78
stato possibile attingere informazioni su tali produzioni, sulle caratteristiche del
consumo dei prodotti biologici, quali frequenza e motivi d’acquisto, tipologie di
prodotti biologici maggiormente consumati o di potenziale interesse.
La seconda sezione ha consentito l’acquisizione di informazioni sulle
caratteristiche relative alla distribuzione commerciale dei prodotti biologici, cercando di
individuare le diverse tipologie distributive presso cui viene effettuato l’acquisto, sulla
percezione
dei
corrispondenti
prezzi
e
sulla
disponibilità
a
pagare
per
l’approvvigionamento di tali prodotti.
La terza parte è stata indirizzata all’acquisizione di informazioni circa il livello di
conoscenza che i consumatori mostrano di avere in riferimento ai principali Organismi
di controllo ed agli aspetti inerenti alla certificazione ed etichettatura dei prodotti
biologici.
La quarta sezione ha consentito di individuare le motivazioni che spingono il
consumatore a rinunciare all’acquisto di prodotti biologici.
La quinta ed ultima sezione ha permesso di acquisire informazioni sulle
caratteristiche generali dei consumatori, facendo riferimento in particolare all’età, al
sesso, al numero dei componenti il nucleo familiare, al grado d’istruzione, alla
professione, al reddito.
Il limitato intervallo di tempo durante il quale sono state condotte le rilevazioni e
la consistenza del campione intervistato, hanno consentito di ottenere un insieme di dati
abbastanza attendibile in grado di fornire dei risultati finali altamente rappresentativi.
79
5.3 - Caratteristiche del consumo dei prodotti biologici
5.3.1 - Aspetti generali
I dati relativi alle caratteristiche socio-economiche del campione di consumatori
intervistato, sono riassunte nella tabella di seguito riportata.
Dall’analisi esplorativa dei dati contenuti nelle 500 schede-questionario rilevate, è
emerso che la componente più significativa è quella femminile che, con 305 unità,
rappresenta il 61% del campione. La distribuzione per fascia d’età evidenzia come, nel
complesso, il campione risulti meglio rappresentato da consumatori al di sotto dei 50
anni; le classi più rappresentative sono state, infatti, quelle tra i 18 e i 30 anni, con il
23% circa, ma ancora di più la classe compresa tra i 31 e i 50 anni, con una quota del
51%. In riferimento al titolo di studio, si rileva un’aliquota consistente di consumatori in
possesso di un livello culturale medio-alto, infatti quasi il 64% dei soggetti intervistati
possiede un diploma di Scuola Media Superiore, e nel 47,6% dei casi, i consumatori
hanno dichiarato di essere in possesso di una Laurea. Relativamente alla professione
svolta dagli intervistati è emerso che la figura più rappresentativa si identifica negli
impiegati (33%), seguita dalla classe delle casalinghe (quasi il 23%). Infine, per quanto
riguarda il reddito familiare degli intervistati, è emerso che la classe più rappresentativa
(47%) è quella con un reddito medio-alto, compreso tra i gli 11 e i 20 mila , mentre
oltre il 26% degli intervistati ha un reddito compreso tra i 21 e i 40 mila .
80
Tabella 20 - Caratteri generali del campione esaminato (*)
Indicazioni
n
%
Sesso
Indicazioni
n
%
Professione
Donne
305
61,0
Artigiano
11
2,2
Uomini
195
39,0
Impiegato
165
33,0
Totale
500
100,0
44
8,8
Casalinga
114
22,8
Studente
21
4,2
Età (classe)
Operaio
18-30
117
23,4
Professionista
46
9,2
31-50
257
51,4
Dirigente
11
2,2
51-70
112
22,4
Disoccupato
15
3,0
oltre 70
14
2,8
Pensionato
42
8,4
Totale
500
100,0
Altro
31
6,2
500
100,0
Totale
Titolo di studio
Reddito
4
0,8
10.000
100
20,0
38
7,6
11-20 mila
233
46,6
Lic. Media
145
29,0
21-40 mila
132
26,4
Diploma
238
47,6
40 mila
28
5,6
Laurea
75
15,0
7
1,4
Totale
500
100,0
500
100,0
Nessuno
Lic. Elementare
N. R.
Totale
(*) Fonte: dati rilevati in maniera diretta.
81
Allo scopo di valutare il grado di conoscenza dei prodotti biologici da parte dei
consumatori intervistati, a ciascuno di loro è stato chiesto se conoscesse la differenza tra
prodotto biologico e prodotto convenzionale e, a questo riguardo, l’86,2% ha dichiarato
di esserne a conoscenza. Tuttavia, per verificare il grado di attendibilità della risposta
data, è stato chiesto se si avesse conoscenza delle caratteristiche tecniche specifiche del
processo produttivo “biologico”. Dall’analisi dei dati raccolti, è emerso che, il 45%
degli intervistati definisce come “biologico” un prodotto ottenuto attraverso un
processo produttivo dal quale sono esclusi prodotti di sintesi chimica; il 39% ritiene
biologico un prodotto che non contiene residui di pesticidi, mentre per il 16% dei
soggetti sottoposti all’intervista, biologico è un prodotto ottenuto attraverso l’impiego
esclusivo di sostanze organiche.
Con riferimento ai canali di informazione, attraverso i quali i consumatori hanno
avuto modo di ricevere informazioni circa i prodotti biologici, i principali sono risultati:
la televisione (30%), la stampa (poco più del 21%), gli amici (circa il 18%), le riviste
specializzate (oltre il 15%) ed, infine, i punti vendita specializzati (quasi il 13%). Sulla
scorta dei dati rilevati, risulta poco significativo il grado di informazioni acquisite
attraverso canali differenti dai precedenti (2% circa) (Fig. 9)
Figura 9 - Principali canali d'informazione dei prodotti biologici
50
40
30,0
30
21,3
20
15,4
18,3
12,9
10
2,1
0
riviste specil. televisione
stampa
amici
P.v.s.
altro
82
5.3.2 - Il consumo dei prodotti biologici
Dall’indagine effettuata, emerge che 193 unità, pari al 44,8% del campione
intervistato, ha dichiarato di aver acquistato prodotti biologici, mentre della restante
aliquota, il 26,7%, ha dichiarato che, pur non avendo mai acquistato tali prodotti,
sarebbe, comunque, interessata al loro futuro acquisto.
Nello specifico, le scelte dei potenziali consumatori (i soggetti che pur non avendo
mai acquistato prodotti biologici si sono mostrati interessati ad un loro futuro acquisto),
come è possibile osservare nella figura seguente, ricadono, principalmente, sui prodotti
freschi, quali frutta (oltre il 70%) ed ortaggi (quasi il 60%), ma richieste significative si
osservano per altre tipologie di prodotto, come olio, latte, vino e carne, con quote di
incidenza, rispettivamente del 40, 34, 24, 21% circa.
Figura 10 - Prodotti biologici preferiti dai potenziali consumatori
altro
miele
olio
vino
pane e pasta
marmellate e confetture
conserve tipiche regionali
formaggi
yogurt
latte
carne
legumi secchi
ortaggi
frutta secca
frutta fresca
1,7
11,3
40
24,3
12,2
27
9,6
24,3
13
34
20,9
9,6
7,8
58,3
70,4
0
20
40
60
80
83
Focalizzando l’indagine sugli effettivi consumatori di prodotti biologici, possono
essere fatte ulteriori deduzioni. Innanzitutto, la domanda di prodotti biologici, come si
può dedurre dalla figura 11, risulta maggiormente orientata verso prodotti freschi, come
frutta fresca (61,7%) ed ortaggi (48,7%). Rilevante risulta, anche, la domanda di alcune
particolari tipologie di prodotti trasformati quali, l’olio di oliva, con quasi il 51% delle
preferenze, seguito dalle marmellate e confetture di frutta e dal vino, rispettivamente,
con circa il 41% ed il 36%. Inferiore, anche se con un valore medio del 25% delle
preferenze, è l’attenzione mostrata verso altri prodotti, come ad esempio latte e derivati,
carne, pane e pasta. Inoltre, dai dati raccolti durante le interviste, risulta che il 77% dei
soggetti intervistati ha dichiarato di effettuare tali acquisti da almeno un anno, anche se,
quasi il 60%, ammette che si tratta di acquisti saltuari.
Figura 11 - Principali prodotti biologici consumati
altro
miele
olio
vino
pane e pasta
marmellate e confetture
conserve tipiche regionali
formaggi
yogurt
latte
carne
legumi secchi
ortaggi
frutta secca
frutta fresca
4,7
20,7
50,8
35,7
25,4
41,4
20,2
24,3
28,5
31,6
25,9
16,6
48,7
9,8
61,7
0
20
40
60
80
84
In riferimento ai motivi che spingono al consumo di questi prodotti (Fig. 12), dalle
indicazioni fornite dagli intervistati, emerge che le componenti più rilevanti sono
associate a requisiti di maggiore sicurezza, nel 23,3% dei casi, e di maggiore salubrità,
nel 22,8%. Significative sono le percentuali di consumatori che scelgono un prodotto
biologico, perché ritenuto più nutriente o più gustoso, con quasi il 16%. Solo il 12% dei
consumatori intervistati, ha dichiarato di orientare le proprie scelte verso i prodotti
biologici per aiutare l’ambiente; mentre nel 10% dei casi è stato dichiarato di effettuare
determinate scelte solo per semplice curiosità.
Figura 12 - Motivi del consumo dei prodotti biologici
50
40
30
22,8
20
23,3
15,5
10
15,5
12,5
10,1
0
Più salubre
Più sicuro Più nutriente Più gustoso Per aiutare Per curiosita
l'ambiente
85
5.3.3 - La distribuzione commerciale ed i prezzi dei prodotti biologici
In base ai dati raccolti durante le interviste, è stata costruita la figura 13 dove è
possibile individuare il tipo di preferenza dei consumatori per quanto riguarda il luogo
d’acquisto dei prodotti in oggetto. Dall’analisi è risultato che quasi la metà del
campione (circa il 48%), effettua gli acquisti nei punti vendita della Grande
Distribuzione Organizzata (GDO) (ipermercati e supermercati); il 17,6% direttamente
dal produttore, il 15,6% presso dettaglianti specializzati, mentre la rimanente parte,
poco più del 18%, effettua le proprie scelte presso altre forme distributive. Dai dati
rilevati emerge come, anche in Sicilia, la GDO si afferma come luogo preferito per
l’acquisto dei beni alimentari, indipendentemente dalla natura dei prodotti, sia che si
tratti di prodotti allo stato fresco, sia di prodotti trasformati.
Figura 13 - Luoghi d'acquisto dei prodotti biologici
50,0
40,0
30,0
24,5
23,8
20,0
17,6
15,6
10,1
8,5
10,0
0,0
Ipermercato
Supermercato
Mercato rionale
Dettaglio
specializzato
Dettaglio
tradizionale
Direttamente dal
produttore
86
Per quanto riguarda l’incidenza della quota dei prodotti biologici sulla spesa
alimentare complessiva, è emerso che, quasi l’84% dei soggetti intervistati, non
raggiunge livelli superiori al 10%. Solo il 4% dei consumatori, infatti, ha dichiarato che
la spesa relativa ai prodotti biologici rappresenta il 20% della spesa complessiva; mentre
per il 12% dei soggetti sottoposti ad intervista, la quota dei prodotti biologici incide dal
10 al 20% sul totale. La mancata proporzionalità tra la crescita dell’offerta di prodotti
biologici e l’effettivo consumo, può essere spiegata con il fatto che, a tutt’oggi, sono
ancora notevoli le ragioni che frenano l’acquisto dei suddetti prodotti. Secondo quanto
rilevato nell’intervista, infatti, l’ostacolo più ricorrente durante l’acquisto di prodotti
biologici, è risultato il prezzo elevato (37%), seguito dalla difficoltà di reperimento e
scarso assortimento, entrambe con un peso percentuale del 23,2%; per il 16,5% degli
intervistati, infine, l’ostacolo principale è stato riscontrato nel fatto che il prodotto
acquistato sia di qualità merceologica scadente (Fig. 14).
Figura 14 - Principali ostacoli per l'acquisto dei prodotti biologici
50
37,0
40
30
23,2
23,2
20
16,5
10
0
Difficoltà di
reperimento
Prezzi elevati
Qualità
merceologica
scadente
Scarso
assortimento
87
L’indagine ha proceduto, inoltre, a valutare il grado di percezione, da parte del
consumatore, del prezzo dei prodotti biologici presenti sul mercato siciliano. Sulla
scorta delle dichiarazioni raccolte, è emerso che 125 unità, pari al 64,8% degli
intervistati, trova il prezzo di tali prodotti elevato, il 21,2% proporzionato ed il 14%
eccessivamente elevato. L’indagine ha, anche, permesso di constatare come i
consumatori valutino la differenza di prezzo tra un prodotto biologico ed uno
convenzionale. Quasi l’80% degli intervistati ha dichiarato di riscontrare tra le due
diverse tipologie di prodotto, un differenziale di prezzo compreso tra il 10 e il 30%.
Questo dato è molto vicino ai valori medi registrati e dimostra come, il consumatore
metta particolare attenzione durante la fase di acquisto dei beni agroalimentari, specie in
un periodo in cui, a livello regionale, si registra una sfavorevole congiuntura economica.
Gli stessi, infatti, nel 56% dei casi, si dichiarano disposti a pagare un differenziale di
prezzo sino al 10% a favore del prodotto biologico rispetto a quello convenzionale.
Comunque, notevole è anche la percentuale di consumatori (42%) che riconoscono
implicitamente nel prodotto biologico un premium price, mostrando, in questo caso, una
disponibilità a pagare un differenziale di prezzo compreso tra il 10 e il 30% in più.
5.3.4 - Il grado di conoscenza sulla certificazione e motivi del diniego al consumo dei
prodotti biologici
Accertato il differente grado di conoscenza sulle caratteristiche e sul consumo dei
prodotti biologici da parte dei consumatori siciliani, è stato chiesto agli stessi se fossero
a conoscenza dell’obbligatorietà di certificazione di tali prodotti da parte di un
Organismo di controllo riconosciuto. Dall’analisi delle rilevazioni effettuate è emerso
che, il 77,2% degli intervistati sono a conoscenza di tale obbligatorietà. Si è, quindi,
voluto accertare in modo più specifico il grado di informazione inerente alla
certificazione dei prodotti. A tal fine, nel questionario, è stata inserita una domanda
specifica sull’argomento, in cui è stato incluso, oltre ad AIAB ed Ecocert, due degli Enti
certificatori riconosciuti in Italia, anche un nominativo non biologico, ma spesso
88
associato a prodotti biologici, qual è, appunto, Oasi ecologica Plasmon. In particolare, è
emerso che, quasi il 74% dei consumatori intervistati, crede che quest’ultimo marchio
identifichi un prodotto come biologico, mentre, solo il 18,4% riconosce i marchi AIAB
ed Ecocert; questo evidenzia un grado di informazione, ancora, insufficiente (Fig. 15).
Nel 69,3% dei casi, gli intervistati hanno ammesso di considerare affidabile la
certificazione attuata dagli Organismi di controllo.
Figura 15 - Grado di conoscenza dei Marchi biologici
90
75
73,7
60
45
30
15
6,7
11,7
7,8
0
Oasi ecologica
Plasmon
AIAB
Ecocert
Altri
Allo scopo di definire un quadro complessivo sulla situazione del mercato dei
prodotti biologici in Sicilia, è stato chiesto a quella parte di intervistati, pari a 115 unità,
che pur non avendo consumato prodotti biologici, si era mostrata interessata ad un
potenziale consumo degli stessi, quali fossero state le motivazioni che li avevano portati
a non consumare i prodotti in oggetto. A tal proposito (Fig. 16), è emerso che il 36% dei
soggetti intervistati considera elevato il prezzo di vendita unitario; il 28% dichiara di
non possedere adeguate informazioni al riguardo; il 23,8% si dichiara indifferente
89
all’argomento biologico, mentre il 12,1% ammette di trovare difficoltà nel reperimento
del prodotto.
Figura 16 - Motivazione della rinuncia a consumare prodotti biologici
40
30
36,0
28,0
23,8
20
12,1
10
0
Mancanza di
informazioni
adeguate
Prezzi elevati
Difficoltà di
reperimento
Indifferenza
La mancanza di informazioni adeguate e la difficoltà di reperimento
rappresentano, comunque, una percentuale notevole, quasi il 40%. In particolare, la
prima motivazione, ha come conseguenza il fatto che, nonostante i consumatori
cerchino di avvicinarsi ai prodotti biologici, questo tipo di mercato continua a rimanere
un mercato di nicchia, in cui le informazioni disponibili non sempre risultano chiare e
trasparenti. Al tema delle informazioni si collega, poi, quello relativo ai controlli ed alla
loro affidabilità, altro elemento ritenuto poco trasparente e che, quindi, tende a creare un
alone di sfiducia sul mercato in oggetto. La scarsa reperibilità è, invece, dovuta al fatto
che manca una omogenea distribuzione territoriale dei punti vendita della GDO e dei
negozi specializzati. Informazione e “attributi di fiducia”, così come reperibilità dei
prodotti, sono elementi determinanti per lo sviluppo del mercato del biologico, senza i
90
quali si può arrivare a disattendere le aspettative dei consumatori, con la conseguenza
che, trovandosi disorientati, si arrivi ad una riduzione della domanda e, quindi, del
livello medio dei prezzi.
91
6. CONCLUSIONI
Il presente studio, ha permesso di aggiornare ed, in parte, ampliare l’insieme di
conoscenze relative al comparto dell’agricoltura biologica in Sicilia. Tale metodo
produttivo, caratterizzato dall’uso esclusivo di sostanze di natura organica, comporta
una notevole e significativa riduzione dell’impatto ambientale, che caratterizza, invece,
i processi produttivi di tipo convenzionale. La presenza sul mercato di prodotti
igienicamente sicuri, in cui sono escluse sostanze di natura chimica, potenzialmente
nocive, fornisce, sicuramente, maggiori garanzie per la tutela della salute, non solo dei
consumatori, ma anche degli operatori agricoli che si trovano ad operare in condizioni
di maggiore “sicurezza sanitaria”.
In oltre un decennio dall’emanazione del Regolamento CEE 2092/91 e successive
modifiche, si è riscontrato un certo successo dell’agricoltura biologica anche nel nostro
Paese, con oltre 1 milione e 115 mila ettari coltivati, nel 2003, con tale metodo di
produzione (BIO BANK, 2004).
La Sicilia risulterebbe attualmente (BIO BANK, 2004) la seconda regione italiana
per superfici investite (17,2%), con oltre 195 mila ettari coltivati. Nella nostra Isola, nel
periodo interessato dall’ultima programmazione comunitaria (2000-2006), si può
riscontrare che, lo strumento applicativo di tali interventi di politica agraria (Reg. CE
1257/99), nel settennio di programmazione ha avuto, per la misura F-Agroambiente
contenuta nel PSR della Regione Siciliana, disponibilità finanziaria pari a quasi 500
milioni di euro. Tali risorse, tuttavia, sono risultate non adeguate rispetto alle richieste
degli imprenditori, anche perché impiegate per i vecchi impegni finanziari del Reg. CEE
2078/92 (programmazione 1994-1999) Si è, infatti, assistito, in questi ultimi anni, ad
una contrazione delle superfici interessate dall’azione Fb1 (introduzione e
mantenimento di metodi di produzione a basso impatto ambientale, anche in funzione
della valorizzazione commerciale delle produzioni ottenute) della misura F, contenuta
nel PSR siciliano, di circa il 40%, rispetto a quelle della fine degli anni ’90.
92
L’agricoltura biologica sembrerebbe, quindi, disancorarsi, in termini di superfici,
dalla consistenza e dalla disponibilità dei “premi” comunitari. Tale fenomeno potrebbe
essere dovuto al fatto che, gli imprenditori agricoli stiano iniziando a produrre secondo
il metodo biologico, indipendentemente dalla fruizione dei premi, consapevoli di
ritrovarsi ad operare in un mercato disposto a valorizzare il prodotto biologico
attraverso un premium price, in grado di remunerare positivamente i loro sforzi.
In riferimento alla collocazione finale dei prodotti biologici realizzati dalle
aziende siciliane, è emerso che i prodotti sia allo stato fresco che trasformati, vengono
immessi sul mercato con i marchi delle aziende che si occupano di commercializzarli
sui mercati al dettaglio e raggiungono i consumatori finali, nazionali ed esteri,
principalmente, attraverso il circuito della GDO (circa il 60%), che anche nella nostra
isola si configura come il modello distributivo maggiormente utilizzato.
Per quanto concerne il consumo di prodotti biologici in Sicilia, l’indagine condotta
ha consentito di definire un quadro più ampio delle principali variabili che influenzano
ed orientano le scelte dei consumatori durante le fasi di acquisto dei prodotti biologici. I
risultati dell’indagine di mercato condotta sul consumo di prodotti biologici in Sicilia,
hanno confermato, ancora una volta, analoghi elementi emersi in precedenti indagini,
realizzate nel contesto territoriale regionale (D’Amico, La Via, 2000), e hanno posto
particolare attenzione al mutato rapporto tra le produzioni biologiche e le moderne
strutture di distribuzione.
L’elaborazione dei dati rilevati, ha evidenziato che, i consumatori effettivi di
prodotti biologici costituiscono quasi il 45% del campione intervistato, costituito da 500
soggetti. Il dato indica che, anche se con un andamento lento, le azioni volte al
miglioramento del livello informativo per valorizzare le produzioni ottenute con metodo
biologico, cominciano a dare risultati di un certo interesse. Il 77% dei consumatori
effettivi di prodotti biologici, infatti, ha dichiarato di consumare tali prodotti da oltre un
anno, anche se hanno ammesso che si tratta di acquisti saltuari. Sembra, inoltre, che, i
prodotti freschi, come frutta e verdura iniziano ad occupare nuovi segmenti di mercato
che, negli anni precedenti, apparivano preclusi a tali tipologie di prodotto. Maggiori
difficoltà sono state rilevate per alcuni prodotti trasformati, come latte e derivati, carne,
pane e pasta, mentre per altre tipologie produttive, in particolare olio, vino, confetture e
93
marmellate, l’interesse dimostrato da parte dei consumatori per il loro acquisto, risulta
abbastanza significativo.
Generalmente, i principali ostacoli all’acquisto di prodotti biologici, sia allo stato
fresco, sia trasformati, sono riconducibili alla mancanza di fiducia, che spesso traspare
dalle dichiarazioni fornite dai consumatori, nei confronti della certificazione delle
diverse fasi del processo di produzione e/o trasformazione, ma anche all’elevato prezzo
di vendita con cui tali prodotti sono immessi sul mercato e alla difficoltà di reperimento
di determinate categorie di prodotto ricercato. Significativa risulta, anche, quella quota
di consumatori (16% circa) che non mostra interesse nell’acquisto di prodotti biologici,
perchè riscontra in questi ultimi una qualità merceologica particolarmente scadente, non
paragonabile a quella dei corrispondenti prodotti ottenuti attraverso processi produttivi
di tipo convenzionale.
L’indagine ha messo, anche, in evidenza il limitato grado di conoscenza che
ancora contraddistingue i consumatori siciliani, circa alcuni caratteri specifici delle
produzioni biologiche, tutt’altro che marginali, quali l’obbligo della certificazione
biologica, o ancora gli organismi di certificazione accreditati. Questi dubbi che
persistono ancora nella cultura dell’isola, sono una conseguenza della scarsa trasparenza
del mercato e non permettono di veicolare le corrette informazioni che dovrebbero
attribuire maggiore fiducia alle produzioni biologiche.
Appare evidente, dunque, che le azioni, lungo le diverse fasi della filiera, volte a
caratterizzare e differenziare le produzioni biologiche, come elemento strategico per una
maggiore competitività aziendale, producano effetti assai limitati in mancanza di
interventi mirati tra il livello di conoscenza che i consumatori possiedono sulle
peculiarità di tali tipologie di prodotto ed i corrispondenti marchi che dovrebbero
contraddistinguerli.
Risulta necessario, dunque, agire sul piano delle conoscenze, attraverso cmpagne
di comunicazione ad hoc. Va, ancora, sottolineata la necessità di predisporre di una
adeguata campagna di divulgazione sull’importanza dell’utilizzo del marchio biologico,
al fine di poter attuare una più sicura promozione dei prodotti in oggetto. L’uso del
marchio bio, se da un lato andrebbe visto come elemento distintivo di un prodotto
rispetto ad un altro, dall’altro lato offrirebbe maggiori garanzie ai consumatori che, a
94
causa di certi episodi legati a scandali (BSE, ecc.) e frodi alimentari, sono sempre più
diffidenti.
Infine, è possibile affermare che, il fenomeno del biologico in Italia, così come sulla
nostra Isola, tende a consolidarsi e, pur mantenendo quelle connotazioni di
un’agricoltura di nicchia, può essere visto come un idoneo strumento di competitività
delle imprese.
95
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