videogiochi? no grazie!
Transcript
videogiochi? no grazie!
VIDEOGIOCHI? NO GRAZIE! di Laura A., Martina B., Serena B., Riccardo D., Sara M., Sara P., Matteo Z. (I Semantici) "Mi trovo in una città che non conosco, piena di templi, statue, è tutto così antico... Diciamo che sono vestito in modo buffo, se i miei compagni mi vedessero così mi prenderebbero in giro a vita e perderei la misera reputazione che ho conquistato in questi anni. Mi sento quasi nudo, indosso solamente un panno bianco attorcigliato e legato bene all'altezza del cavallo e il petto è scoperto... I sandali intrecciati che porto sono esattamente della mia misura e stranamente sono anche comodi, certo non lo sarebbero per giocare con i miei amici... Ma dove sono finiti tutti i miei vestiti? Mi sembra di aver già visto questo posto, forse in un libro. Sì, sicuramente si tratta di quello di storia, che dovrei aprire più spesso. Credo di trovarmi in quella città greca dove si svolgevano i giochi olimpici, di cui a causa della mia pigrizia non ho mai studiato il nome. Mi sento disorientato ma felice, è una sensazione strana, mai provata prima, quasi come in un sogno... Poi mi accorgo di stringere un giavellotto nella mano destra e un'irrefrenabile voglia di lanciarlo mi invade completamente. Guardo lontano, fisso un punto distante e la mente mi dice di scagliare quello strumento, per me rudimentale, oltre l'orizzonte, dove nemmeno il mio pensiero riuscirebbe ad arrivare. Ho voglia di vincere e diventare una figura e un modello per gli altri, penso solo a me stesso in questo momento, tutto il resto non conta. Non riesco proprio a capire cosa mi stia succedendo. Posiziono i piedi parallelamente, cerco di creare una stabilità perfetta in modo da non perdere l'equilibrio, incomincio a far ruotare il braccio, lo porto indietro e lancio. Un tiro fantastico, effettuato con una potenza perfetta e calcolata in ogni minimo dettaglio,ma per il momento non è sufficiente come prova, ne devo affrontare molte altre per poter vincere. Per il momento sono soddisfatto del mio lavoro e, da quanto sento, anche i miei fans la pensano come me, mi sono messo in testa di vincere, sono molto ottimista perché alla fine devo solo credere in me stesso e pensare che sia solo un gioco, cosi diventerà tutto più facile." Sto giocando con la play station, la mia passione -possiedo numerosi videogiochi per questa console, di cui vado molto orgoglioso- quando dei passi leggeri lungo il corridoio annunciano l'arrivo di mia madre che, come è già capitato troppe volte, stacca la spina dalla corrente, urlando: "Alessandro, vai a studiare!" Senza voglia trascino le gambe fino alla camera e sbuffando prendo il libro di storia. Basta guardarlo quando è chiuso a farmi venire il terrore e credo che ciò si riscontri nei miei voti, considerando le note rosse sulle mie verifiche e la delusione dei professori e dei miei genitori. Lo apro lentamente e prima di iniziare conto le pagine7 troppe! Il titolo mi incuriosisce: i giochi olimpici dell'antica Grecia. Leggo che i giocatori si dedicavano alla corsa ed altri tipi di sport, come il giavellotto. Ma che noia, come facevano a vivere senza le sparatorie, l'azione, e soprattutto senza la play station?! E' così divertente essere sempre un nuovo personaggio! Inoltre questi matusa non conoscevano nemmeno il calcio, sicuramente la vita a quei tempi era davvero noiosa! Personalmente non amo la storia, mi sembra solo un mucchio di roba vecchia e inutile, così credo di essermi addormentato mentre provo a studiare, spargendo un po' di bava sulle pagine del libro. Quando riapro gli occhi, però, vedo stagliarsi davanti a me uno scenario magnifico, mai visto prima! Fa caldo, l'aria è secca, ma si respira e si annusa un senso di natura e benessere che non avevo mai sentito, data la mia, lo ammetto, dipendenza dalla console ultimo modello che sta distruggendo la mia vita sociale. Guardando attorno a me noto lo strano abbigliamento delle persone e vengo pervaso dal terrore di trovarmi in un'altra epoca. Forse qui non esistono neanche i cellulari e i computer. Vedo molta gente intorno che urla, grida, si scatena, semplicemente tifa. Si divertono, ridono e io, guardandoli, sorrido con loro, senza saperne il motivo: sembrano così felici. Il cielo è azzurro, il sole splende e la bella giornata mi mette di buon umore. E' molto più bello vedere il sole da fuori che dentro casa, con gli occhi segnati a furia di guardare lo schermo, si percepisce una sensazione di libertà e gioia. L'atmosfera è molto giocosa, ma allo stesso tempo sento nell'aria una tensione altissima e mi accorgo che gli spettatori si trovano in uno stato d'animo 1 a metà tra felicità e agitazione e che sono tutti con il fiato sospeso. Noto che sono seduti su grandi scalini di pietra, divisi, come gli ultras che tifano allo stadio durante le partite di calcio. L'unica differenza è che qui non esistono squadre e ogni fazione urla a squarciagola il nome di un atleta diverso. Negli occhi dei tifosi vedo sguardi di complicità rivolti a chi sostiene lo stesso atleta e di sfida verso gli avversari. Mentre osservo tutto ciò, sento che una parte del pubblico comincia ad urlare il mio nome, li sento gridare: "Alexander, Alexander" e mi vengono in mente i cori della curva nello stadio della mia squadra calcistica preferita. Ovviamente io faccio parte di quella curva. Un brivido mi colpisce improvvisamente. Mi accorgo di trovarmi al centro di una piattaforma. Finalmente capisco il motivo del giavellotto che stringo nel pugno chiuso: sono un giocatore e i tifosi stanno attendendo impazienti il mio lancio. Non ho mai provato questa sensazione in vita mia, è un'emozione strana ma molto bella, comincio ad abituarmi al nuovo ambiente in cui mi trovo ed ai tifosi che mi incitano. Non avrei mai pensato che un giorno della mia vita avrei cominciato a giocare con qualcosa che non fosse PC, console o quant'altro di tecnologico. Le persone venute alle gare stanno iniziando ad agitarsi perché non comprendono il motivo del mio blocco, aspettano con ansia la mia prestazione sportiva. Anche se è la prima volta in questo evento sportivo mi sento molto preparato, penso di sapere tutto, sono già convinto della vittoria. Lancio così il giavellotto con tutta la potenza, che considero sconosciuta, perché mai avevo provato una sensazione di orgoglio e liberazione del genere, la massima soddisfazione da me provata è stata quella di sconfiggere i mostri virtuali in uno dei miei tanti videogames. Ma non è la stessa cosa. Appena dopo il lancio i tifosi urlano. Urlano talmente forte che non sento più i miei pensieri. Mentre il giavellotto vortica in aria, sento che la folla che mi circonda rimane con il fiato sospeso, aspettando con ansia il risultato del lancio. Il cuore batte così forte che sento l'eco dentro la testa. Guardo prima gli spettatori, poi il giavellotto e continuo in questo modo per non so quanto; sento che sto per vincere, per essere un campione, come quelli da me "pilotati" con il joystick, ma questa volta in carne ed ossa. Ripeto il gioco degli sguardi e sento il sole che picchia forte sulla mia schiena e, proprio nello stesso istante, una goccia di sudore passa sulla tempia destra, attraversa la guancia e scivola giù sul collo. Il giavellotto, dopo un'attesa che sembra infinita, atterra e il risultato del lancio viene accolto da un boato della folla. Tutto ciò mi sembra talmente incredibile che, per un momento, penso di aver preso davvero parte ad un videogioco, non riesco neanche a crederci. Il mio giavellotto è atterrato lontanissimo, non lo vedo, ma sento che gli spettatori stanno urlando e tifando per me, quindi gioisco con loro. Ho vinto. Ciò che tanto desideravo è successo davvero. D'istinto alzo il pugno destro in segno di vittoria, di forza. Chi avrebbe mai detto che avrei partecipato alle olimpiadi, delle gare così importanti, e soprattutto alle prime gare olimpiche! La gara è ormai finita e sono riuscito ad ottenere il risultato tanto atteso e desiderato, ma c'è ancora qualcosa che mi sembra strano... incurante di chi sta intorno a me e si chiede stupito che cosa io stia facendo, mi riposiziono in mezzo alla piattaforma dalla quale avevo eseguito il lancio e mi guardo attorno. Finalmente capisco cosa c'è che non va... il pubblico! Gli spettatori sono divisi in sezioni e ogni sezione tifa un atleta differente. Mi chiedo se non sarebbe più bello creare delle squadre, proprio come quando, insieme ai miei amici, gioco utilizzando l'opzione "multigiocatore", scegliendo di appartenere alla stessa squadra. Considerando come gli spettatori gridavano il mio nome, credo di essere una persona importante, probabilmente un giocatore olimpico molto famoso qui in Grecia. Chissà cosa direbbero i miei amici di tutto questo, sicuramente mi consiglierebbero di giocare di meno e dormire di più. Mah.. sarebbero solo invidiosi della mia fama! Data la mia notorietà, forse posso permettermi di proporre la formazione di "team", perché penso che la collaborazione possa permettere di giocare e gareggiare al meglio. Non capisco come sia possibile che sia proprio io a pensare ciò, visto che trascorro la maggior parte delle giornate a controllare un personaggio virtuale con il joystick. Però, ora che rifletto, mi rendo conto che giocare con i compagni vicino, anche se non comunichiamo ed abbiamo tutti gli occhi rossi e segnati, mi tranquillizza. Mi permette di dare il meglio e vincere. Forse dovrei trascorrere più tempo in compagnia. Penso: " magari potrei passare del tempo al parco che è tanto che non ci vado o proporre ai miei amici di fare una mini-vacanza in campagna, mi sono innamorato di questo clima non inquinato, quanto sarebbe bello.. ora mi rendo conto del tempo perso davanti a tutte quelle macchine tecnologiche.." Quindi 2 mi dirigo verso gli altri partecipanti e parlo loro della mia idea. Mi sembrano molto ostili, non come le persone del mio "mondo", aperte a tutto ciò che è nuovo. Continuo a cercare di convincerli e finalmente ci riesco. Hanno detto sì. Mi hanno ascoltato. I giocatori si guardano negli occhi e dal loro sguardo percepisco un senso di sorpresa, forse non si erano mai guardati così e non avevano mai compreso il vero senso della sportività, della lealtà, dell'onestà, ma soprattutto del rispetto. Non si erano mai considerati delle vere persone. Dai propri tratti somatici riconoscono la provenienza dalle varie zone della Grecia e si dividono per luogo di appartenenza, cominciando a parlare. Senza che io faccia niente, le squadre si formano in modo spontaneo. Contento di essere riuscito a creare le squadre, cerco di introdurre nelle loro olimpiadi "primitive" anche il calcio e, dopo una lunga discussione, gli atleti decidono di provare a giocare. Insieme creiamo un pallone utilizzando degli stracci, poi comincio a spiegare le regole di questo gioco. Dopo alcuni calci, l'istinto porta i novelli calciatori a ritrovarsi sempre con il pallone in mano. Sono perplessi perché è il primo sport da loro conosciuto che non richieda forza fisica quanto capacità di coordinazione e strategia. Poi, finalmente, comprendono. "Oh", "Bello!" e "Stupendo!", li sento sussurrare tra loro. Il mio nuovo e strano gioco è piaciuto molto anche agli Anziani di Olimpia che perciò hanno deciso di introdurre la mia idea ai giochi olimpici. Sono molto appagato del mio lavoro qui. Mio papà mi ha sempre insegnato che la l'unione fa forza e per me è l'insegnamento più bello che mi potesse regalare. Quando si è uniti, si pensa a dare il meglio di sé inteso come squadra, come gruppo, che condivide momenti belli e felici e momenti di delusione. Nella vita si vince e si perde, ma se non si è da soli tutto risulta più facile e si dà meno peso alle partite perse e si è anche più entusiasti di giocare. E' proprio quello che ho cercato di far capire a tutti i miei compagni di squadra e non, che non avevano mai pensato di unirsi per dare vita a gruppi di persone anche per giocare. Ora non riesco proprio a comprendere le ragioni per cui io sia diventato così solitario, così competitivo ma, nello stesso tempo, pauroso perché sempre protetto da uno schermo... Come si può non desiderare di passare una giornata all'aperto, sotto il sole con gli amici? un po' di tempo fa non avrei mai pensato di dire una cosa del genere. Sono soddisfatto di me stesso. Ci rispettiamo a vicenda nel corso delle gare, senza mai insultarci o discutere pe un nulla. Mi diverto qui, mi sento finalmente bene, un vero giocatore, un'altra persona. Chissà, forse lo sono veramente perché non più fatto di finzione e non sono solo più uno dei tanti ragazzini che passano la loro vita a "rimbecillirsi" davanti allo schermo. Lo sport fa bene, ma più importanti sono la condivisione e il rispetto, valori che dovrebbero imparare anche gli atleti di oggi. La folla è ancora in delirio, stupita ma gioiosa: non aveva mai assistito a gare che avessero come protagonisti delle squadre, era abituata a tifare per un solo uomo alla volta. Sono soddisfatto del mio consiglio di unirsi insieme; tutti sono d'accordo e sanno che possono contare su qualcuno ora. Mi torna in mente il motto di De Coubertin "L'importante non è vincere ma partecipare" e l'importanza dei cinque cerchi olimpici, che simboleggiano la fratellanza e l'unione. Vedo sfocato, solo un mucchio di ombre che si sovrappongono; sono costretto a chiudere gli occhi poiché non vedo. Li tengo sbarrati per qualche minuto e poi li riapro. Alzo la testa velocemente e vedo le pareti della mia stanza intorno a me, la mia realtà. Era tutto un sogno. Era soltanto un sogno. Un bel gioco dura poco... purtroppo! Rimango convinto per un po' che il mio sia stato troppo breve. Tutto ciò è successo tempo fa, una decina d'anni, se ben ricordo. E' rimasto impresso nella mia mente e nelle memoria per tutto questo tempo, senza abbandonarmi mai. Mi ha insegnato molto... E pensare che era solo finzione! Forse il bello del gioco è proprio potersi incontrare e condividere un momento tutti insieme. Ancora non sapevo che dieci anni dopo, oggi, sarei stato un campione olimpico. Ancora non sapevo che dieci anni dopo, oggi, avrei capito che per realizzare i propri sogni bisogna giocare fino in fondo. E quando il gioco si fa duro... PROGETTO EMERGENZA ITALIANO Il racconto corre sul web. Dalla parola alla narrazione 3