Aprilia, 18 maggio 2007

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Aprilia, 18 maggio 2007
ABU OMAR: RUOLO E RESPONSABILITÀ DELL’ITALIA
Il 17 febbraio 2003, Usama Mostafa Hassan Nasr, meglio conosciuto come Abu Omar, cittadino
egiziano con status di rifugiato e residenza in Italia, stava camminando per una via di Milano.
Un uomo che parlava Italiano lo avvicinò’, identificandosi come agente di polizia e chiedendogli
di esibire i documenti. Subito dopo gli venne spruzzata una sostanza in bocca con una
bomboletta spray; successivamente Abu Omar venne spinto con violenza dentro un furgone
bianco.
“Mentre il veicolo procedeva, ho avuto una crisi… Dalla mia bocca usciva qualcosa di
simile a schiuma e il mio corpo è diventato rigido come se l'anima lo stesse
abbandonando, mentre le mie gambe sbattevano l'una contro l'altra come se stessi
morendo.” Abu Omar
Abu Omar venne portato alla base militare NATO di Aviano da agenti statunitensi. Lì, secondo
quanto riportato, venne fatto salire a bordo di un Learjet LJ-35 (SPAR-92) diretto alla base
militare NATO di Ramstein, in Germania. Il Learjet faceva parte di un servizio di aeromobili che
si ritiene utilizzasse jet di tipo executive per gli spostamenti alti ufficiali militari e di altre
importanti personalità civili. Da Ramstein, Abu Omar fu poi trasferito a bordo un jet Gulfstream
IV (N85VM) al Cairo, la capitale dell’Egitto, dove per 14 mesi rimase in detenzione segreta.
Secondo il suo racconto, una volta giunto al Cairo, agenti della sicurezza egiziana lo portarono
in un edificio da lui in seguito identificato come la sede centrale dei servizi segreti. In una lettera
dal carcere egli dichiarò di essere stato torturato per oltre 12 ore al giorno per sette mesi, di
essere stato “crocifisso” su una porta metallica e su una struttura di legno chiamata el-arousa
(la sposa), dove gli furono inflitte scariche elettriche e percosse, e di essere stato picchiato così
duramente da aver perso l’udito da un orecchio.
“Sono stato appeso come carne da macello, a testa in giù, con i piedi in alto, le mani
legate dietro la schiena, anche i piedi legati assieme, e sono stato sottoposto a scariche
elettriche su tutto il corpo e in particolar modo sulla testa per indebolire il cervello e
paralizzarlo...” Abu Omar
Abu Omar ha descritto la sua cella come angusta e poco ventilata, infestata da topi e
scarafaggi. La cella era opprimente per il caldo d’estate e fredda d’inverno. Gli fu data una
coperta sulla quale dormire e veniva alimentato con pane duro.
Per tutta la durata della detenzione non gli fu permesso alcun contatto con il mondo esterno.
Per 14 mesi, la sua famiglia e i suoi amici non seppero dove fosse.
1
Il 20 aprile 2004, Abu Omar venne rilasciato dalla prigione e con l’intimazione di non parlare con
nessuno di ciò che gli era successo. Tuttavia, il 12 maggio, dopo aver sentito telefonicamente
sua moglie e i suoi amici a Milano e raccontato loro cosa gli era accaduto, fu nuovamente
arrestato, probabilmente su ordine del ministero dell’Interno. Fu portato alla sede dei Servizi per
le indagini sulla sicurezza dello Stato (SSI) di Nasr City e da lì trasferito alla prigione “Istiqbal” a
Tora. Successivamente, venne trasferito alla prigione di Damanhur e tenuto in detenzione
amministrativa, senza accuse. Nel febbraio 2005 Abu Omar fu riportato alla prigione “Istiqbal” a
Tora e detenuto in totale isolamento. Sebbene i tribunali egiziani avessero ordinato il suo
rilascio almeno 16 volte, il ministero dell’Interno ha rinnovato ripetutamente il suo ordine di
detenzione utilizzando la legislazione di emergenza.
Abu Omar è stato rilasciato definitivamente nel febbraio 2007 e ora vive ad Alessandria, in
Egitto. Ha raccontato che gli agenti dell’SSI gli hanno imposto di non lasciare la città, tuttavia
egli è comunque andato al Cairo per rendere pubblico ciò che gli era accaduto. Vorrebbe
tornare in Italia, pur sapendo di poter essere sottoposto ad accuse di terrorismo. In Italia Abu
Omar è indagato per coinvolgimento nel terrorismo internazionale e nei suoi confronti è stato
emesso un mandato di cattura internazionale.
Il 3 luglio 2007 Abu Omar è stato chiamato a comparire alla sede dell’SSI di Alessandria. Due
funzionari lo hanno minacciato di arresto se avesse continuato ad avere contatti con i mezzi
d’informazione e le organizzazioni dei diritti umani. Gli è stato permesso di ritornare a casa la
sera stessa.
Nell’aprile 2007 Abu Omar ha raccontato ad Amnesty International le conseguenze che il
rapimento e la tortura subiti hanno avuto su di lui.
“Non riesco a camminare da solo per strada. Mi aspetto di essere rapito di nuovo, di
dover affrontare accuse inventate o anche di essere ucciso. Esco accompagnato da mia
moglie o da un altro familiare, oppure alcune volte esco presto la mattina in modo che
nessuno può vedermi…
Mia moglie è cambiata completamente dopo il mio rilascio, così come la nostra relazione.
Prima del mio imprigionamento, non avevamo problemi e non litigavamo, ma la mia
esperienza in prigione ha cambiato la mia vita, perché le torture hanno lasciato delle
rigidità nel mio carattere. Infatti, faccio un sacco di problemi per motivi banali… Ho
sempre paura, e soffro di problemi di salute, tensione e mangio con avidità. Ho perso
ogni interesse nel parlare con gli altri; passo il mio tempo su internet. Non ho voglia di
uscire di casa, anche se potrei farlo. Non ho voglia di vedere nessuno né di ricevere
visite. Tutte le notti ho incubi e tutti i giorni ricordo le torture e tremo…”
Abu Omar 1
IL RUOLO DELL’ITALIA E LE INDAGINI
Le autorità italiane hanno inizialmente negato di essere a conoscenza o coinvolte nel rapimento
di Abu Omar e nella sua successiva rendition verso l’Egitto.
Tuttavia, alla fine del 2006, dopo ampie indagini, i magistrati italiani hanno scoperto che un
ufficiale dei carabinieri, Luciano Pironi era coinvolto nel rapimento. L’ufficiale ha ammesso di
aver fermato Abu Omar mentre camminava per la strada, con il pretesto di controllare i suoi
documenti d’identità, e di averlo condotto verso il furgone utilizzato nel rapimento. Ha affermato
che la Cia gli aveva rivelato che l’operazione era stata organizzata con la piena collaborazione
dei servizi segreti italiani. Luciano Pironi ha collaborato con le indagini ed è stato condannato
con pena sospesa.
1
Intervista di Amnesty International con Abu Omar, aprile 2007.
2
Diversi funzionari dei Servizi per le informazioni e la sicurezza miltare (Sismi) sono stati indagati
dalla magistratura italiana per rapimento o coinvolgimento nel rapimento. Tra questi compaiono
il generale Nicolò Pollari, capo del Sismi all’epoca del rapimento, e Marco Mancini, capo della
divisione anti-terrorismo del Sismi.
Sulla base di quanto emerso nelle indagini, in una conversazione registrata il 2 giugno 2006 tra
l’agente del Sismi Gustavo Pignero, morto di cancro nel settembre 2006, e Mancini, il primo
avrebbe ammesso che l’ordine di tenere sotto sorveglianza Abu Omar gli era stato impartito da
Nicolò Pollari. Egli avrebbe inoltre dichiarato che alla fine dell’autunno 2002 c’era stata una
riunione del Sismi a Bologna in cui si era discussa la proposta di rapimento di Abu Omar 2 .
Le indagini italiane sul rapimento di Abu Omar sono iniziate quando sua moglie, Nabila Ghali,
denunciò la sua scomparsa alla polizia italiana.
Le indagini hanno conosciuto pochi sviluppi sino all’aprile 2004, quando la donna è riuscita a
parlare con suo marito in Egitto dopo il suo rilascio temporaneo, e ha scoperto l’esatto momento
e giorno del suo rapimento.
Grazie a queste informazioni, a metà del 2004, le indagini condotte in Italia dalla polizia sotto la
direzione del pubblico ministero Armando Spataro, hanno permesso di individuare 17 telefoni
cellulari utilizzati nell’area in cui era stato rapito Abu Omar. La pista telefonica ha condotto a
Robert Seldon Lady, console presso il consolato Usa di Milano e ritenuto essere il funzionario
della Cia di più alto grado a Milano; egli è stato individuato come persona che aveva avuto
frequenti contatti con Luciano Pironi. Durante le indagini nella casa di Lady è stato rinvenuto un
computer contenente fotografie di Abu Omar, una mappa con il tragitto per la base aerea di
Aviano, un biglietto aereo a suo nome per un volo diretto al Cairo e delle e-mail dal contenuto
significativo.
La pista telefonica ha inoltre portato a individuare altri agenti della Cia. Nel 2005 l’Ufficio del
pubblico ministero di Milano ha chiesto, in relazione al rapimento di Abu Omar, l’estradizione di
22 agenti della Cia. Due successivi ministri della Giustizia non hanno inoltrato tale richiesta agli
Usa, nonostante le sollecitazioni di Amnesty International e di altri organizzazioni 3 . Il 12 aprile
2006, la richiesta del pubblico ministero di inoltrare la richiesta di estradizione agli Usa è stata
rifiutata dal ministro in carica, Roberto Castelli. Nel luglio 2006 sono stati emessi altri quattro
mandati d’arresto nei confronti di altrettanti cittadini statunitensi e l’Ufficio del pubblico ministero
di Milano ha rinnovato, al nuovo ministro della Giustizia, la richiesta di estradizione di 26
cittadini statunitensi, tra cui personale consolare, agenti della Cia e un colonnello
dell’aeronautica. L’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella non ha mai risposto a tale
richiesta.
Basandosi sui numeri di telefono individuati nelle indagini italiane, il pubblico ministero tedesco
competente ha determinato che due persone presenti a Milano nel momento del rapimento
sono state anche alla base aerea di Ramstein. Tuttavia, non è stato possibile per il pubblico
ministero localizzare queste persone e le autorità Statunitense non hanno fornito alcuna
informazione su di loro. 4
2
Informazioni emerse nell’ambito del procedimento penale a Milano.
Documento di AI EUR 30/002/2007 del 14 Marzo 2007, disponibile alla pagina:
http://www.amnesty.org/en/library/info/EUR30/002/2007/en
4
Interviste telefoniche con Eberhard Bayer, pubblico ministero tedesco nel caso di Abu Omar, novembre 2005 e
febbraio e maggio 2006.
3
3
Il 5 dicembre 2006, il pubblico ministero di Milano ha richiesto il rinvio a giudizio di 26 cittadini
statunitensi, otto tra agenti dei servizi segreti italiani e funzionari di polizia e un giornalista 5
coinvolti nel rapimento. A febbraio 2007 il giudice per l’udienza preliminare ha rinviato a giudizio
33 persone, sette italiane e 26 statunitensi, in relazione al rapimento di Abu Omar. A febbraio il
consulente legale del Dipartimento di stato Usa avrebbe dichiarato che gli Usa non avrebbero
concesso l’estradizione per i cittadini statunitensi se essa fosse stata richiesta. 6 A maggio le
autorità Usa hanno ripetuto che non avrebbero consentito l’estradizione dei 26 cittadini
statunitensi. 7
A febbraio e a marzo 2007, poco prima dell’inizio del processo, fissato al mese di giugno, il
governo italiano ha presentato alla Corte Costituzionale dei ricorsi per conflitto di attribuzioni,
sostenendo tra le altre cose che i pubblici ministeri avessero violato il segreto di stato per aver
disposto intercettazioni telefoniche nei confronti degli agenti del Sismi e per aver utilizzato
documenti che costituivano segreto di stato. 8
Inoltre, l’allora presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi ha dichiarato che tutta la
documentazione relativa alle misure anti-terrorismo adottate a seguito degli attacchi agli Usa del
settembre 2001, incluse le relazioni dell’Italia con i suoi alleati, erano da ritenersi coperte da
segreto di stato. 9 Tuttavia, secondo informazioni emerse nel processo penale e fornite alla
Corte costituzionale, all’epoca in cui i documenti di prova del Sismi erano stati acquisiti non era
stato opposto il segreto di stato.
Se l’utilizzo di prove di eventuali attività criminose viene impedito, ciò potrebbe comportare
impunità per gli agenti dei servizi di intelligence italiani e per altre persone eventualmente
coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani. Questo sarebbe in contrasto con le
raccomandazione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa del 2007, secondo cui
“le informazioni e le prove relative alla responsabilità civile, penale o politica dei rappresentanti
dello Stato per gravi violazioni dei diritti umani sono escluse dalla protezione del segreto di
stato”. 10
A seguito del ricorso alla Corte costituzionale, il 18 giugno 2007, dietro richiesta di Nicolò Pollari
e di altri imputati, il giudice di Milano ha deciso di sospendere il processo penale in pendenza
del procedimento davanti alla Corte costituzionale. Tale decisione è stata confermata il 31
ottobre 2007, con il rinvio del processo al 12 marzo 2008.
Nel frattempo, a Brescia era stata avviata un’indagine penale a seguito delle denunce
presentate dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e da Nicolò Pollari contro il
Capo della Procura di Milano Manlio Claudio Minale, i procuratori aggiunti Armando Spataro e
Ferdinando Pomarici, il giudice delle indagini preliminari Enrico Manzi e i funzionari di polizia
che si erano occupati delle indagini sul rapimento di Abu Omar. L’indagine di Brescia riguardava
5
Renato Farina, giornalista, è stato accusato di favoreggiamento. Egli ha ammesso il suo coinvolgimento ed è stato
condannato, con pena sospesa, a sei mesi di detenzione (poi convertita in una multa di 6,840 euro). (Cfr. l’articolo di
Leo Sisti “Anatomy of a Rendition: In cleric’s abduction in Italy, the Cia all but left a calling card”, in The Center for
Pubblic
Integrity,
Investigative
Journalism
in
the
Public
Interest,
24
maggio
2007.
www.publicintegrity.org/militaryaid/report.aspx?aid=875)
6
“Contemporary Practice of the United States Relating to International law”, 101 American Journal of International
Law 866 (2007), p. 890
7
John Foot, “The Rendition of Abu Omar”, London Review of Books, 2 agosto 2007
8
I due ricorsi sono stati presentati alla Corte Costituzionale il 15 febbraio e il 14 marzo 2007 dall’allora presidente del
Consiglio dei Ministri, Romano Prodi, rispettivamente nei confronti dell’ufficio del Pubblico ministero di Milano e
contro il giudice dell’udienza preliminare Caterina Interlandi, affermando che quest’ultima avesse emanato rinvii a
giudizio basati su elementi coperti dal segreto di Stato.
9
Nota stampa emessa dall’Ufficio stampa del presidente del Consiglio dei ministri, 5 giugno 2007.
10
Raccomandazioni dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa 1801 (2007), adottata il 27 giugno 2007
4
accuse di “diffusione di informazioni coperte dal segreto di stato”, “reperimento di informazioni
relative alla sicurezza di Stato” e altre attività simili. Il 4 dicembre 2007, su richiesta del pubblico
ministero di Brescia, il giudice di Brescia ha archiviato i procedimenti sulla base del fatto che
“non era stata commessa alcuna violazione della legge” dai pubblici ministeri e dai loro uffici.
Dopo che la Corte costituzionale aveva fissato l’udienza di discussione al 29 gennaio 2008, 24
ore prima la stessa è stata rinviata a data successiva. Il 4 marzo la Corte Costituzionale ha
nuovamente fissato l’udienza per l’8 luglio.
A marzo il pubblico ministero ha chiesto che il processo penale a Milano venisse riavviato, in
considerazione del fatto che la sua sospensione in pendenza di giudizio della Corte
Costituzionale per conflitto di attribuzioni non fosse da ritenersi obbligatoria. Il giudice aveva
infatti stabilito, nel sospendere il processo, che una sospensione fosse da ritenersi appropriata
nell’interesse dell’ “economia processuale”.
Il 19 marzo 2008 il giudice ha deciso di riavviare il processo; le date delle udienze successive
dello stesso sono state fissate da aprile a settembre. Durante il processo penale, sono emerse
informazioni secondo cui il governo e i pubblici ministeri avevano intrapreso passi finalizzati a
una risoluzione concordata della questione pendente davanti alla Corte Costituzionale, ma
sinora essa non è stata raggiunta.
Più di recente, il 30 maggio 2008, il governo italiano ha presentato un altro ricorso alla Corte
costituzionale. La decisione sull’ammissibilità del ricorso dovrebbe essere presa il 24 giugno e
al momento non è certo se l’8 luglio l’udienza della Corte Costituzionale già fissata per gli altri
ricorsi verrà posticipata ulteriormente. Stando alle informazioni disponibili l’appello riguarda la
decisione del giudice del procedimento penale di riavviare il processo prima che la Corte
costituzionale risolvesse la questione.
Inoltre, sebbene il governo italiano abbia dichiarato di non essere a conoscenza della rendition
e della detenzione in Egitto di Abu Omar, le informazioni contenute negli atti presentati alla
Corte Costituzionale farebbero pensare il contrario. In questi, in particolare, si fa riferimento a
comunicazioni che sarebbero intercorse tra la Cia e il Sismi il 15 e 21 maggio 2003, circa
l’arresto in Egitto di Abu Omar e il fatto che egli si trovasse sotto interrogatorio dei servizi segreti
egiziani in un luogo segreto. Queste informazioni sono incluse nel “reperto D21”, fonte di prova
la cui ammissibilità viene contestata dal governo innanzi alla Corte Costituzionale 11 . Le
informazioni contenute nei documenti presentati alla Corte indicano inoltre che Gianfranco
Battelli, ex capo del Sismi, aveva dichiarato che nell’ottobre 2001 la Cia lo aveva contattato
riguardo a possibili rapimenti di sospettati e che, essendo alla fine del suo mandato, egli aveva
trasferito questa informazione a Nicolò Pollari.
LA RESPONSABILITA’ DELL’ITALIA
Abu Omar è stato vittima di sparizione forzata. L’atto iniziale della sparizione sono stati la sua
detenzione arbitraria in Italia e il suo trasferimento illegale avvenuto sul territorio italiano.
L’Italia è responsabile per aver violato l’obbligo di proteggere chiunque sul suo territorio dalle
violazioni dei diritti umani, in particolare poiché almeno un funzionario italiano ha già ammesso
di aver collaborato al rapimento di Abu Omar. L’Italia è responsabile per ogni ulteriore
violazione subita da Abu Omar a causa delle azioni dei suoi funzionari. L’Italia ha l’obbligo di
11
Documenti sottoposti dal pubblico ministero Armando Spataro al TDIP, Ottobre 2006, v.
www.statewatch.orga/documents/spataro-abu-omar.pdf
5
indagare e di assicurare alla giustizia sia i propri funzionari che quelli degli altri Stati, o gli attori
non statali eventualmente coinvolti nel rapimento e nella rendition in Italia.
Quando uno Stato rifiuta di riconoscere la detenzione di una persona vittima di sparizione
forzata e di rivelare il luogo in cui si trova e cosa gli sta accadendo, questo rifiuto può costituire
un’ulteriore violazione dei diritti dei familiari più stetti, i quali possono essere considerati essi
stessi soggetti a trattamento inumano o degradante come effetto di tale condotta. In questo
caso, alcune prove dimostrerebbero che nel maggio 2003 i funzionari italiani erano a
conoscenza della sorte di Abu Omar e del luogo in cui si trovava, ma non informarono sua
moglie, Nabila Ghali, in Italia. Anche questo aspetto dovrebbe essere oggetto di indagini in
quanto possibile violazione dei diritti di Nabila Ghali.
Non può essere consentito che l’opposizione del segreto di Stato su prove di gravi violazioni dei
diritti umani privi le vittime di un risarcimento, e garantisca, giuridicamente o de facto, l’impunità
dei responsabili delle violazioni.
Le violazioni subite da Abu Omar per cui le responsabilità dell’Italia e di altri stati va sottoposta
a indagini includono il diritto alla libertà personale, il diritto di non essere torturato, il diritto a non
essere sottoposto a sparizione forzata e il diritto a non essere trasferito in un paese in cui
potrebbe trovarsi a rischio di tortura o altri maltrattamenti.
Le autorità italiane dovrebbero:
-
fare tutto ciò che è in loro potere per assicurare che gli agenti della Cia e del Sismi
rinviati a giudizio a Milano in relazione al rapimento e al trasferimento illegale di Abu
Omar siano sottoposti a un equo e rapido procedimento giudiziario;
-
richiedere alle autorità Usa l’estradizione delle 26 persone nei confronti delle quali sono
stati emessi mandati di cattura, anche se esse hanno affermato che non risponderanno
positivamente;
-
fornire alla magistratura italiana tutte le informazioni rilevanti che possiedono sulle
attività degli agenti della Cia e del Sismi prima, durante e dopo il rapimento di Abu
Omar, assicurando altresì che nessuna rivendicazione di segreto di Stato, di segreto
legato alla sicurezza nazionale o di segreto legato alla protezione delle relazioni
internazionali venga opposta relativamente a prove di gravi violazioni dei diritti umani;
-
garantire un’appropriata riparazione ad Abu Omar e alla sua famiglia per ogni violazione
dei diritti umani causata dalle azioni delle autorità Italiane e adottare misure per porre
fine le violazioni tuttora in corso e per evitare che si ripetano:
-
esercitare pressioni sulle autorità egiziane affinché indaghino sulle denunce di tortura e
altri maltrattamenti nei confronti di Abu Omar e chiamino a risponderne ogni individuo
che risulti responsabile, fornendo una piena riparazione;
-
ripristinare il diritto di residenza in Italia di Abu Omar. Qualora egli venisse arrestato al
suo rientro, assicurare che venga incriminato di un delitto di riconosciuta natura penale e
sottoposto in tempi rapidi a un processo in linea con gli standard internazionali sull’equo
processo oppure rilasciato.
6