Untitled - Crescere figli altrui

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Untitled - Crescere figli altrui
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Indice
Introduzione
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Capitolo I
Gli studi sull'aggressività
1.1
1.2
1.3
1.4
Cosa si intende per aggressività
La prospettiva psicanalitica
Le due facce dell'aggressività: adattamento e disadattamento
Quando l'aggressività sfocia nella devianza
Capitolo II
Il bullismo: punta d'iceberg di un disagio profondo
2.1
Che cos'è il bullismo: Definizione, fenomenologia,
diffusione del fenomeno
2.2 Gli attori coinvolti
2.2.1 I bulli
2.2.2 Le vittime
2.3 Il bullismo come fenomeno di gruppo
2.4 Stili educativi: le famiglie dei bulli e delle vittime
2.5 Il ruolo degli insegnanti
2.6 Un nuovo volto del bullismo: il ciberbullying
Capitolo III
I primi interventi effettuati all' estero
3.1.
3.1.1
3.1.2
3.1.3
3.2
3.2.1
3.2.2
3.3
3.4
3.4.1
3.5
3.5.1
3.5.2
3.5.3
3.6
3.6.1
3.6.2
Il modello norvegese di Dan Olweus
Interventi sul contesto scuola
Interventi sul gruppo-classe
Interventi a livello individuale
Il modello inglese di Sharp, S., e Smith, P.,K.
La politica integrata antibullismo
Le prepotenze in cortile e la progettazione degli spazi
scolastici
L'approccio curricolare
Il potenziamento delle abilità sociali
I circoli di qualità
I modelli di supporto tra coetanei
L'operatore amico
La consulenza dei pari
La mediazione
Interventi individuali per i bulli
L'approccio morale
L'approccio legale
6
3.6.3
3.6.4
3.7
3.7.1
Il metodo dell'Interesse Condiviso
Il metodo PIC
Interventi individuali per le vittime
Il training dell'assertività
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Capitolo IV
La situazione italiana
4.1 Diffusione del bullismo in Italia
4.2 Rappresentazioni mentali in bambini bulli e vittime
4.3 Il meccanismo del disimpegno morale
4.4 Disturbi correlati al bullismo
4.5 Gli interventi in Italia
4.5.1 Rappresentazioni teatrali e role-playing
4.5.2 L'educazione socio-affettiva
4.5.3 La Token Economy
4.5.4 L'educazione razionale emotiva
4.5.5 Un' esperienza di mediazione scolastica
4.6 Interventi con i genitori
Capitolo V
Fattori di rischio della società postmoderna
5.1
5.2
Cosa è cambiato oggi rispetto a ieri
Analogie tra la teoria delle società "eterodirette" di Riesman
e il modello di socializzazione disadattante di Vergati
5.3 Il senso di smarrimento della società postmoderna
5.4 Il bullismo è in espansione o vi è soltanto maggiore
consapevolezza?
Capitolo VI
Profili giuridici del bullismo
6.1 Culpa in vigilando e culpa in educando
6.2 I danni risarcibili per le azioni nei confronti dei bulli
6.2.1 Il danno patrimoniale
6.2.2 Il danno morale
6.2.3 Il danno biologico
6.2.4 Il danno esistenziale
6.3 Il bullismo come fenomeno penale
6.4 Le misure cautelari applicabili nei confronti dei minori "bulli"
6.5 Il bullismo nel diritto internazionale
6.6 Direttiva ministeriale n.16/2007
6.7 Questioni aperte
7
Capitolo VII
Esperienza di due progetti di prevenzione al disagio
7.1
7.2
Progetto "La Foresta Magica"
Lo sportello d'ascolto
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OBIETTIVI
METODI: strumenti e campione
ANALISI DEI RISULTATI E DISCUSSIONE
CONCLUSIONI
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Conclusioni: cosa possono fare i servizi sociali contro il
bullismo?
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APPENDICE
"Questionario anonimo sul bullismo"
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Bibliografia
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Capitolo VIII
Indagine esplorativa in un quartiere "a rischio"
del territorio di Agrigento
8
.
Introduzione
Ormai il termine bullismo rispetto a dieci anni fa è diventato un vocabolo di uso
quotidiano. Tutte le volte che appare un nuovo video su internet, o la cronaca riporta di
azioni efferate compiute da minorenni ai danni di loro coetanei, per un attimo l’opinione
pubblica si ridesta. Allora sorge spontaneo chiedersi quali siano le ragioni di tanta violenza.
Qualcuno si abbandona a ricordi nostalgici, affermando che i giovani non sono più quelli di
un tempo.
D’altro
canto però quegli stessi
adulti che si scandalizzano, sottovalutano i primi
segnali del problema, assumono posizioni difensive quando sono chiamati in causa. Abbiamo
genitori che negano il comportamento negativo dei figli; presidi ed insegnanti pronti ad
affermare che in quella scuola il bullismo non esiste, o che si tratti solo di innocui giochi
vivaci. Gestori dei siti Internet che non si fanno
alcuno scrupolo a rendere pubblico
materiale ‹‹spazzatura››, calpestando la dignità delle vittime già abbastanza provate.
Le aziende di moda ed i commercianti hanno addirittura fatto del bullismo un marchio:
“Bulli e Pupe”.
L’opinione pubblica deve prendere coscienza del problema del bullismo ma certo non
attraverso la realtà mediatica, che il più delle volte fornisce una percezione distorta del
fenomeno, facendo rientrare nella categoria di bullismo episodi che non lo sono.
La divulgazione massiccia di notizie riportanti episodi bullistici, non equivale
necessariamente ad una presa di coscienza piena e reale riguardo al problema.
Si rischia di abituarsi al problema, considerandolo alla fine normale o senza possibilità di
intervento. Un altro rischio legato all’esplosione mediatica, è il desiderio di emulazione. Pur
di diventare “famosi”, ed apparire in Tv come il proprio compagno, si è disposti a compiere
azioni di prepotenza al solo scopo di filmarle e renderle pubbliche. Quindi sarebbe
auspicabile controbilanciare l’informazione, riportando anche notizie relative ad iniziative
anti-bullismo messe in atto nelle scuole, ponendo l’accento sui risultati positivi ottenuti.
Seppure il bullismo si presenti come un fenomeno dilagante, in realtà vi sono all’interno
della scuola alunni motivati a collaborare per arginare il fenomeno, alunni disposti a
dimostrare comprensione e solidarietà per i compagni in difficoltà.
Lo schermo televisivo è come una “lente d’ingrandimento”, che ingrandisce l’oggetto
messo a fuoco. Accanto ad episodi clamorosi per la loro negatività, che è giusto denunciare,
sarebbe opportuno riportare anche episodi positivi.
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Inoltre si rischia anche di credere erroneamente, che il bullismo è solo quello che
appare.
In realtà sia a scuola, sia nei quartieri, dietro l’apparente facciata di perbenismo si
consumano forme di
prevaricazione subdole ed indirette, con conseguenze altrettanto
drammatiche. E’ il caso del sedicenne Matteo, che nel mese di aprile del 2007 si è gettato
dalla finestra della sua abitazione, perché stanco di essere etichettato ingiustamente come
ragazzo “gay”. Gli insegnanti non si erano accorti di nulla;il ragazzo non avevano mai dato
problemi, riportando anche ottimi risultati nello studio1.
Si dimentica che quello che riporta la cronaca, è solo l’apice di una forma di
devianza che si consolida nella quotidianità; che viene alimentata sia da quelle figure adulte
che dovrebbero contrastarla, sia dal gruppo dei pari che non essendo educato alla cultura del
rispetto e della solidarietà (propria di qualsiasi società democratica), sostiene e rafforza certi
comportamenti. E allora chi è colpevole?
Un colpevole non esiste, esiste una molteplicità di fattori, una concatenazione di cause
che influiscono a vicenda sulla genesi del comportamento prepotente.
L’obiettivo di questa tesi, è quello di esaminare nel corso dei capitoli le
problematiche all’origine del fenomeno del bullismo; mettendo in risalto l’implicazione
sociologica del problema. Il bullismo non è un fenomeno circoscritto soltanto ai due
principali attori: il bullo e la vittima, il bullismo è un fenomeno sociale.
Tre sono i nodi centrali del presente lavoro. Il primo riguarda
la relazione
significativa tra i cambiamenti avvenuti nella società postmoderna e la crescita significativa
del fenomeno del bullismo.
Il secondo la ricerca esplorativa, condotta su un campione di 23 soggetti, della classe
III B, della scuola media “S. Quasimodo” di Agrigento.
Infine il terzo punto importante riguarda il ruolo dei servizi sociali, nella qualità di
punto di raccordo tra i servizi territoriali e l’utenza. Tuttavia rimangono ancora dei punti da
discutere, sulla funzione dell’assistente sociale per la lotta al fenomeno.
CAP I. Il primo capitolo, dopo una preliminare spiegazione del concetto di aggressività,
prende in esame le principali teorie sulle cause del comportamento aggressivo. Infine nel
capitolo si esamina sommariamente il quadro della delinquenza minorile italiana, cercando di
spiegare come il normale disagio evolutivo legato alla crescita del ragazzo, diventi un
disagio anomalo, fonte di comportamenti devianti.
1
Ponte M., “Sei gay”, studente si uccide. Ed è polemica, La Repubblica, 6 aprile 2007.
1
CAP II. Il secondo capitolo riporta le principali definizioni tecniche del fenomeno del
bullismo, esaminandone le caratteristiche e la struttura, oltre alle modalità con cui si
manifesta. Vengono prese in considerazione alcune delle cause del problema: tratti di
personalità di bulli e vittime, gli stili educativi adoperati dalle famiglie, il ruolo del gruppo
dei pari e della scuola. Infine l’ultimo paragrafo spiega in linea generale la nuova forma
che ha assunto il fenomeno: il bullismo digitale.
CAP III. Il terzo capitolo comprende la spiegazione dettagliata di tutte le strategie di
intervento impiegate inizialmente all’estero, sulla base di un approccio ecologico-sistemico
che prende in considerazione tutte le parti della comunità scolastica.
CAP IV. Il quarto capitolo, dopo una panoramica sulla ricerca nazionale condotta da Ada
Fonzi in otto regioni italiane, riporta l’esperienza di alcuni progetti e tecniche messi in atto
in Italia. Inoltre analizza alcuni dei correlati psicologici alla base del comportamento
prepotente.
CAP V. Il quinto capitolo parla dei fattori di rischio della società postmoderna, analizzando
i cambiamenti avvenuti nelle principali agenzie di socializzazione (famiglia, scuola, gruppo dei
pari e mass-media). Si pone l’accento sul livello di consapevolezza del fenomeno e sulla
crescente diffusione.
CAP VI. Il sesto capitolo spiega in linea generale, quali siano le vie legali percorribili per
chi subisce prepotenze. Vengono presentate inoltre le linee guida della direttiva ministeriale
n.16/2007, emanata dal ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni.
CAP VII. Nel settimo capitolo sono riportate le testimonianze, relative all’esperienza svolta
durante il tirocinio formativo, presso l’A.U.S.L n.1 di Agrigento, in collaborazione con il
Gruppo “Prevenire il Disagio”.
CAP VIII. Infine l’ottavo capitolo riporta i risultati della ricerca esplorativa condotta, presso
la III B della scuola media di “Monserrato”, allo scopo di capire quanto sia diffuso il
fenomeno in quella classe, ed il relativo livello di consapevolezza.
Per Durkheim “l’educazione è l’azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle
che non sono ancora mature per la vita sociale. Essa ha lo scopo di suscitare e sviluppare
nel bambino un certo numero di stati fisici, intellettuali e morali che richiedono da lui sia
la società politica nel suo insieme
che il settore particolare al quale egli è destinato”
(Durkheim, 1979).
Seguendo il pensiero del sociologo francese, in ognuno di noi esistono due essere
complementari e distinti: l’uno è l’essere individuale, costituito dagli stati mentali della nostra
vita personale. L’altro comprende le idee, i sentimenti, le abitudini, le credenze che non
1
esprimono le nostra personalità, ma il contesto sociale a cui apparteniamo. Il loro insieme
forma l’essere sociale; fine ultimo dell’educazione è proprio costruire questo essere sociale
in ognuno di noi.
Oggi
più che mai predomina l’essere individuale
a scapito di quello sociale. La
migliore strategia contro il comportamento prepotente è di cercare di costruire una società
improntata alla democrazia, al rispetto per i diritti dell’altro, alla comprensione verso chi è
più bisognoso di tutela; una società improntata ai principi dell’etica e della legalità.
La sfida della famiglia e della
scuola, deve essere quella di saper contrastare il
comportamento prepotente, anche senza il supporto di adeguati progetti. Ciò è possibile solo
se si educano i ragazzi con l’esempio.
1
Capitolo I
Gli studi sull’ aggressività
1.1 Cosa si intende per aggressività
Quando si usa la parola “aggressività”, il senso comune porta a considerare soltanto
l’accezione negativa del termine, risalendo all’etimologia invece è riscontrabile il suo doppio
significato.
Aggressività deriva dal latino “adgredior”, composto da ad e da gradior.
Gradior significa andare, procedere, avanzare, camminare, aggredire; la preposizione ad
significa verso, contro, ecc.
Adgredior
indica quindi l’azione di avvicinarsi a qualcuno o qualcosa con intenzioni
che possono essere alternativamente benigne o ostili (Marini, Mameli,2004,55).
Di per sé quindi l’aggressività non è né positiva, né negativa, ma assolve ad una duplice
funzione: può spingere l’individuo ad arricchirsi, a superare i propri limiti o a difendersi, in
questo caso l’aggressività è fondamentale per la costruzione dell’identità e della sicurezza
interiore, infatti nei primi anni di vita il senso profondo di sicurezza, forza e integrità, si
costruisce nel saper chiedere e prendere ciò di cui abbiamo bisogno. Ma la nostra cultura
male accetta l’aggressività; fin da piccoli impariamo a reprimerla, ad inibirla; ma l’ inibizione
dell’aggressività porta alla rabbia, e la sua repressione più pericolosa dell’ aggressività
spinge al rancore, alla chiusura del carattere e spesso alla violenza 2. L’aggressività potrà
avere una valenza positiva solo nel momento in cui sarà incanalata in maniera costruttiva
nella relazione, come mezzo per far fronte agli impedimenti; quando invece la rabbia viene
trattenuta e accumulata, esploderà in un contesto diverso da ciò che ne ha dato origine o
verso la persona che non è all’origine della frustrazione, in questo caso la carica distruttiva
che ne deriva non è finalizzata a costruire qualcosa.
Non è un caso che molte volte i bulli presentino alle spalle situazioni di famiglie
multiproblematiche, in cui
l’essere
costretti a subire abusi fisici o psicologici, mina
profondamente lo sviluppo della personalità, cosicché il bambino una volta entrato a scuola
designerà una vittima come capro espiatorio su cui indirizzare la propria aggressività.
La teoria dell’ aggressività come risposta alla frustrazione è sostenuta anche da Dollard e
coll.3, secondo la quale ogni atto è compiuto al fine di raggiungere un obiettivo, ma il
2
Marini F., Mameli C., Bullismo e adolescenza, Carocci, Roma, 2004, 56.
3
Il modello teorico di Dollard, è una delle spiegazioni psicologiche del conflitto etnico. L’ individuo
che non riesce ad appagare i propri desideri a causa di un’ interferenza esterna che non riesce a rimuovere,
1
verificarsi di situazioni che impediscono il suo conseguimento determina una frustrazione
che mette in atto una risposta ben precisa: l’ aggressione (Civita, 2006,12).
1.2 La prospettiva psicanalitica
Nel suo saggio Il disagio della civiltà, del 1929 Freud attribuisce lo sviluppo dell’
aggressività alla forza che il Super-io esercita sull’individuo, l’aggressività può essere diretta
contro l’organismo stesso, in una pulsione autodistruttiva, oppure può rivolgersi verso
l’esterno, nella distruzione della realtà fisica e sociale (Marini, Mameli, 2004, 55).
Per Freud nell’ individuo preverrà l’Eros, la pulsione della vita se fin da bambino avrà
un buon rapporto con l’esterno, se invece dalla vita riceverà soltanto delusioni e frustrazioni,
il Thanatos, la pulsione di morte sarà predominate inducendo l’ individuo a sviluppare un
atteggiamento di aggressione distruttiva. Questa minaccia latente per Freud deve essere
repressa attraverso l’ educazione e le sanzioni (Civita, 2006, 12).
Sulla scia di Ferud, Melanie Klein ha dato il suo contributo originale, analizzando in
maniera separata, specifica il ruolo della pulsione di morte, dotata di una spinta autonoma.
La Klein, attraverso l’osservazione analitica del gioco infantile, ha rilevato la
manifestazione di impulsi e fantasie sadiche e distruttive, fin dalla nascita infatti l’Io è
esposto all’angoscia che gli deriva dall’ innata polarità degli istinti di vita e di morte, in
parte proiettandola e in parte convertendola in aggressività.
Nel suo scritto Tendenze criminali nei bambini normali, (1927), Melanie Klein mette
in luce l’analogia
tra alcune fantasie infantili nei primi stadi dello sviluppo e la
consumazione di atroci delitti, da parte di alcuni criminali nell’età adulta.
Il Super-io opera fin dal secondo anno di vita, a quest’ età il bambino è già passato
attraverso le fissazioni orali, inoltre si sono già manifestate gran parte delle fissazioni
sadico-anali, è in questo periodo che il complesso edipico assume una parte decisiva nello
sviluppo globale della personalità, sia relativamente al consolidamento di atteggiamenti
nevrotici, sia per quanto riguarda uno sviluppo normale.
“Le pulsioni connesse allo stadio sadico-anale si connettono alle tendenze edipiche e si
orientano sugli oggetti sui quali si incentra lo sviluppo del complesso edipico: i genitori”. In
questo periodo il bambino in seguito all’odio provato nei confronti del
genitore rivale (il
concentra
la propria ostilità verso obiettivi sostitutivi. Un tipico esempio è quello degli italiani che accusano gli
immigrati di appropriarsi di lavori destinati alla popolazione locale, quando la responsabilità della
disoccupazione è da attribuire al mercato del lavoro, alle politiche occupazionali e alle variazioni economiche.
1
padre per il maschietto e la madre per la femminuccia), temendo di subire le conseguenze
della propria aggressività, viene pervaso da un senso di colpa e di angoscia tale da indurlo
ad allontanarsi dal genitore desiderato, per difendersi dalle pressioni esercitate dal Super-io
“il bambino si aggrapperà alle sue tendenze omosessuali, sviluppando quello che viene
chiamato senso edipico “negativo” (Klein, 1996, 65).
L’Io debole del bambino, riesce a sfuggire al conflitto intollerabile derivante dall’odio e
contemporaneamente dall’ amore provato dai genitori, soltanto rimuovendo nell’inconscio le
proprie fantasie.
Queste fantasie hanno un legame diretto con la sessualità del bambino, “quando il
bambino attraversa le fasi sadico-orale e sadico-anale il rapporto sessuale significa per lui
un atto nel quale entrano principalmente il mangiare, il cucinare, lo scambio di feci e
ogni sorta di azioni sadiche. Il nesso tra queste fantasie e la sessualità è destinato ad avere
effetti importanti nel corso ulteriore della vita”.
In questo filo conduttore troviamo il fondamento di tutte le perversioni che hanno
origine nel primo sviluppo infantile; le forti rimozioni non fanno altro che rendere il
conflitto stabile tra sentimenti di odio e sensi di colpa, in un processo circolare che porterà
il bambino a compiere le stesse azioni entro determinati archi temporali.
Lo stesso circolo vizioso si ritrova nel criminale che continua a delinquere.
La
Klein sfatando il luogo comune secondo cui il comportamento criminale di
alcuni individui è causato da un Super-io debole o assente, attraverso le analisi condotte
nei primi anni di vita sia su bambini con tendenze nevrotiche, sia con bambini normali,
riesce a trovare riscontro in un Super-io estremamente rigido; attraverso il meccanismo della
proiezione, inizialmente il bambino progetta fantasie e impulsi sui genitori, creandosi un’
immagine distorta
e minacciosa
delle persone che lo circondano, in seguito opera il
meccanismo dell’ introiezione, che fa sì che egli si senta minacciato da genitori pericolosi
e crudeli, il Super-io che ha dentro di sé (Klein,1996 ,92).
Ogni persona
nel corso dello sviluppo, tende nel passaggio da uno stadio all’altro di
sostituire i meccanismi di difesa primitivi con i meccanismi di difesa secondari 4, che
consentiranno all’ individuo di far fronte all’ angoscia che gli deriva dalle sue tendenze
distruttive, adattandosi alla realtà con il sostegno dei genitori; laddove invece l’individuo
conserverà i meccanismi di difesa arcaici, sarà schiacciato dalla paura che gli deriva dal
4
Uno dei meccanismi di difesa più evoluti è rappresentato dalla sublimazione, l’ esempio classico è
quello del chirurgo, che nell’ affondare le mani nel sangue e nell’ uso del bisturi, riesce a canalizzare la
carica aggressiva impiegandola in attività costruttiva e socialmente utile.
In criminali come Jack lo Squartatrore si evidenziano le stesse tendenze, indirizzate però verso la
distruzione dell’ oggetto.
1
Super-io, e perseguiterà perché egli stesso si sente perseguitato, mettendo in atto condotte
criminali5.
Redl e Wieneman, attribuiscono l’aggressività dei bambini che odiano, all’ incapacità
del loro Io di far fronte ai compiti quotidiani, non sono in grado di gestire la paura,
l’angoscia, l’insicurezza senza dover ricorrere a forme di aggressione, paradossalmente la
loro aggressività trova alimento nel senso di colpa provocato dalla loro
stessa condotta
aggressiva (Redl, Wieneman, 1996, 31).
I fallimenti per questi bambini, sono il risultato di un complotto studiato ai loro
danni dalle persone che li circondano, al quale si sentono costretti a rispondere con l’odio,
di riflesso non riescono a gestire in modo adeguato neanche i successi, che scatenano in
loro deliri di onnipotenza.
I soggetti che fin da piccoli manifestano condotte devianti, non hanno sviluppato un
adeguato controllo degli impulsi, i bambini di cui parlano i due psichiatri sono dotati di
una spiccata intelligenza e forza d’animo, il problema sta nel fatto che queste qualità
anziché essere impiegate per frenare l’aggressività, vengono utilizzate per l’immediata
soddisfazione dei propri impulsi, per cui innescano una lotta su più fronti.
Prima di tutto questi minori che delinquono lottano contro la propria coscienza
morale, riuscendo a trovare delle argomentazioni per ingannare loro stessi e gli altri
relativamente alle loro cattive intenzioni, in secondo luogo ricercano sostegni alla loro
condotta delinquenziale, nella scelta delle compagnie e dando la colpa ad una sorta di forza
che sarebbe
determinazione
dentro di loro ma che non riescono a fermare, infine si difendono con
da
ogni
prospettiva
di
cambiamento,
poiché
tradire
la
loro
natura
equivarrebbe a passare dalla parte del nemico, equivarrebbe a morire socialmente, poiché
diverrebbero oggetto di ostracismo e di disapprovazione da parte del gruppo di appartenenza.
In contrapposizione alla corrente freudiana, Amonn (1970) definisce l’aggressività
come una forza che spinge l’Io a realizzare se stessi e a dominare il mondo.
“Fromm (1970), opera una distinzione tra aggressività benigna e aggressività maligna.
La prima ha una
funzione adattiva e difensiva, la seconda invece è un’aggressività
sostanzialmente disadattiva che ha come obiettivo la distruzione. Mentre l’ aggressività
benigna ha origini biologiche, quella maligna ha la sua radice nella struttura caratteriale
5
Con questa tesi la Klein spiega, come sia possibile che nei bambini siano presenti tendenze
criminali, ciò scandalizzò in un certo senso l’ opinione pubblica di allora, già Freud aveva ribaltato l’immagine
idilliaca del
bambino. Il discorso della Klein pur costituendo un punto di partenza per la comprensione di certi
comportamenti devianti, andrebbe rivalutato alla luce dell’ evoluzione della società post-moderna, e delle nuove
scoperte pedagogiche.
1
dell’ individuo e costituisce una delle possibili risposte alle esigenze esistenziali fondamentali
dell’ uomo quando le condizioni culturali risultano essere sfavorevoli allo sviluppo di
risposte positive” (Marini, Mameli, 2004, 58).
L’atteggiamento del bullo è mosso dall’ “aggressività maligna”, nella sua ricerca
ossessiva di una vittima destinata a subire le sue angherie.
Le definizioni date dagli autori menzionati, offrono un quadro articolato del
significato connesso al termine aggressività, tuttavia gli autori che seguono il pensiero
freudiano (Melanine Klein, Fritz Redl e David
Wineman) seppur con qualche sfumatura
diversa, non si limitano, soltanto a definire la nozione di aggressività, ma spiegano che
cos’ è analizzandone a fondo i meccanismi che conducono ad atti devianti, ed il perché si
formano.
Di conseguenza ciò permette di studiare metodi di intervento più efficaci, anche se la
psicoanalisi
va sempre affiancata ad altre discipline quali la psicologia di gruppo e la
psicologia sociale, per non rischiare di assumere una visione deterministica dell’ aggressività,
attribuendola soltanto a disfunzioni caratteriali proprie dell’ individuo o al rapporto che l’
individuo ha instaurato con i genitori fin dai primi anni vita.
1.3 Le due facce dell’ aggressività: adattamento e disadattamento.
La nozione di “adattamento” è presente in varie discipline, non rimanda ad una
definizione univoca, ma può assumere diverse sfumature.
Ad ogni modo, la nozione di adattamento, sia nel linguaggio comune, sia in
psicologia, assume una duplice focalizzazione, rimanda sia al rapporto che l’individuo assume
nei confronti del mondo esterno, sia all’ equilibrio interiore che il soggetto è in grado di
raggiungere riuscendo ad assolvere ai bisogni della vita quotidiana, rispondendo alle
richieste dell’ ambiente esterno (Emiliani, 2005, 90).
Il potenziale adattivo dell’ aggressività, si divide in due funzioni: quella difensiva e
quella adattiva. L’aggressività
difensiva ha lo scopo di salvaguardare l’ identità dell’
individuo, proteggendone i confini, l’aggressività
adattiva invece, induce l’individuo ad
esplorare i confini a lui esterni, adattandosi alle circostanze dell’ambiente (Bonino, Soglione,
1976, citato da Marini, Mameli, 2004).
I genitori costituiscono per il bambino, nei primi stadi dello sviluppo, una base
solida su cui trovare rifugio e protezione, ma nello stesso tempo il bambino ha bisogno di
1
muovere i primi verso l’ ambiente esterno, distaccandosi in maniera naturale e autonoma dal
contatto familiare; ogni volta che apprenderà qualcosa di nuovo della realtà che lo circonda,
il suo ritorno alla dipendenza dai genitori avverrà secondo archi di tempo progressivamente
più lunghi. Ma se in questa fase il bambino verrà inibito attraverso un controllo serrato
delle sue esperienze, o se peggio ne verrà totalmente ostacolato, ciò darà origine ad una
situazione conflittuale che trasformerà l’aggressività sana in aggressività distruttiva6.
Il bambino che non avrà percorso le tappe principali per una crescita armoniosa, si
sentirà sempre più dipendente dalla famiglia di origine, nell’ età adulta difficilmente riuscirà
a raggiungere una maturità del carattere completa.
Questo succede in particolar modo nelle famiglie definite in psicologia clinica
“invischiate”, dove i confini sono diffusi, i problemi di un singolo membro diventano i
problemi di tutti e il livello di coesione tra i membri è altissimo, qui i genitori si
presentano estremamente iperprotettivi.7.
Secondo Blos l’ adolescente riesce ad adattarsi ai compiti che l’Io gli impone,
attraverso il meccanismo della regressione, “l’Io progredito dal periodo successivo alla
latenza è indotto a sopportare, attraverso la regressione, i conflitti infantili, l’ ansia e la colpa
che l’Io debole e limitato dei primi anni non riusciva a risolvere, neutralizzare, o rendere
meno dannose. Questi compiti sono diventati impegno dell’ Io dell’adolescente. Possiamo
infatti dire che soltanto un Io che si sia misurato con tali compiti ha le qualità di quello
che definiamo un Io adolescente e che pertanto la regressione non è di natura difensiva ma
esercita una funzione adattiva” (Marini, Mameli, 2004, 63).
L’adolescente è tenuto ad affrontare le sfide che l’emancipazione dalla famiglia
comporta, riuscendo a far fronte ai propri impulsi e organizzando gli stimoli provenienti dall’
esterno, in questo percorso laddove la figura dell’ adulto invaderà lo spazio del soggetto
condizionandone lo sviluppo, laddove l’ aggressività espansiva sarà inibita, l’ adolescente
tenderà di risolvere il conflitto tra le sue esigenze da adulto e i suoi bisogni infantili,
entrando a far parte del gruppo dei pari.
“L’aggressività distruttiva in adolescenza trova riscontro nel gruppo dei pari, che svolge
la funzione di contenitore dell’ angoscia e della rabbia del soggetto.”(Marini, Mameli,
2004,66).
6
Cfr. cap. 4. E’ il caso del cosiddetto bullo- vittima che assume un comportamento prepotente, per
ottenere la benevolenza del bullo attivo, solo per sopperire alla sua fragilità, derivatagli magari da uno stile
educativo eccessivamente punitivo o troppo permissivo.
7
Cfr. cap. 2 . Questo è lo stile educativo che in genere adottano le famiglie delle vittime di bullismo.
1
Per questi motivi per affermare la sua autonomia, per confermare il suo status
sociale di adulto, e farsi accettare dal gruppo, l’ adolescente corre il rischio di entrare a far
parte delle cosiddette “baby-gang”, che altro non sono se non il concretizzarsi della
mancanza di dialogo, tra il mondo degli adulti e quello dei giovani, una rivincita verso
quella società che si disinteressa ai loro problemi, che si rifiuta di accettare le loro
esigenze, soprattutto quando l’ adolescente non può avere accesso ai gruppi normali.8
In una società come quella attuale, caratterizzata dalla famiglia che delega il suo
compito alla scuola, che ha perso il suo ruolo prestigioso di depositaria della cultura, che è
rimasta inquadrata in un sistema eccessivamente nozionistico, che tra l’altro non prepara
adeguatamente al mondo del lavoro, con insegnanti che tendono a etichettare gli studenti
solo sulla base del loro rendimento scolastico, senza tenere conto della personalità globale
dello studente, il ruolo giocato dai mass media e dai new media, e soprattutto i coetanei
avranno maggiore presa sulla coscienza dell’individuo.
L’adolescente si trova solo e confuso, davanti alle sue aspirazioni e le sue tendenze
distruttive, senza riuscire ad amalgamare le due tendenze in modo adeguato, per investirle
nella realtà concreta.
Saremo allora di fronte ad una forma di “disadattamento sociale e di disorientamento
individuale” dell’ adolescente (Marini., Mameli, 2004, 66).
1.4
Quando l’ aggressività sfocia nella devianza.
L’incapacità di gestire il conflitto, se non attraverso il ricorso alla forza, di sopportare
il sacrificio per periodi prolungati di tempo, di rimandare il soddisfacimento dei bisogni, è
alla base di quella Feshbach chiama aggressività “intenzionale” e strumentale, termine con
cui si vuole indicare un atto sociale volto a soddisfare il bisogno immediato (Caravita
2004,15 bis).
8
I ricercatori del COSPES, in una ricerca del 1995 sull’ impiego del tempo libero degli adolescenti, hanno
delineato varie profili di adolescenti:
gli organizzati: coloro che sanno strutturare il loro tempo con regolarità, sono quelli che praticano
uno sport o hanno un hobbie,
i dispersivi: coloro che prediligono il motorino, frequentano la discoteca, spendono facilmente i loro
soldi, curano molto l’ abbigliamento e il loro corpo seguendo la moda,
i solitari: preferiscono guardare i la TV, usare i videogiochi, non amano assumersi responsabilità,
piuttosto seguono le indicazioni degli altri,
gli impegnati: si dedicano al volontariato hanno l’ hobby della lettura, si interessano di politica e
hanno fiducia nel futuro,
i trasgressivi: adottano comportamenti anticonformisti, fanno uso di alcool e droghe, sono portati a
soddisfare esigenze di ordine fisico, sono impulsivi, appaiono insoddisfatti e di umore variabile.
1
Secondo Calabrese, - commissario capo della sezione minori della Direzione centrale
della polizia criminale - il quadro della delinquenza minorile in Italia è diventato più
complesso; i dati più preoccupanti riguardano l’aumento dei minori stranieri deviati, indice
di una mancata integrazione degli immigrati alla società italiana, e l’ arruolamento dei minori
in organizzazioni criminali e mafiose, per la loro non imputabilità9.
In particolar modo, nella regione Campania, la camorra utilizza molti dodicenni e tredicenni.
Anche in altre regioni del Sud, in Sicilia10 e in Calabria, tale fenomeno è di entità
grave, soprattutto paesi con un degrado socio- economico più marcato, in cui per i genitori
dei ragazzi difficili, la scuola è una perdita di tempo, poiché il lavoro in organizzazioni
criminali, come pure il lavoro in nero permette guadagni facili, l’abbandono scolastico
anticipato è strettamente correlato alla politica del mercato del lavoro fallimentare, che
rende difficili l’ingresso ai giovani.
Vi è una differenza di fondo tra i minori stranieri e quelli italiani, i primi compiono
maggiormente reati legati al patrimonio, quali furti, scippi, rapine, i secondi invece
compiono maggiormente atti contro la persona.
Anche il prof. Gaetano De Leo 11 sottolinea questa differenza, mentre per i minori
stranieri il comportamento antisociale è il più delle volte motivato da situazioni di grande
deprivazione materiale, tra gli adolescenti italiani aumentano le aggressioni.
La violenza è diventata il messaggio dei giovani per dimostrare agli adulti che
esistono, per uscire da una condizione di “invisibilità perenne”, dietro molti reati, ci sono
spinte ad avere di più per compensare vuoti affettivi e morali.
Il vandalismo è la tipica forma in cui l’adolescente nell’ attacco alle istituzioni,
esprime il bisogno di attenzione e di educazione, inducendo il mondo adulto a riflettere
(Mariani, 2005, 98).
Il cosiddetto “disagio adolescenziale” racchiude le difficoltà evolutive che l’adolescente
vive nei confronti di se stesso e delle varie realtà che entrano in rapporto con lui. Tale
rapporto di reciprocità mette in atto notevoli e reali difficoltà di relazione, riconoscimento e
comunicazione (Marini, Mameli, 2004, 33).
9
AA .VV., (2000), “Speciale – Devianza Minorile”, in PoliziaModerna,, n.11, pp. 14 - 41.
10
Emblematico è il caso del sacerdote Don Pino Puglisi, assassinato a Brancaccio, in provincia di
Palermo.
Il parroco si era adoperato nella costruzione di un centro sociale, grazie al quale aveva tolto molti
bambini dalla strada affinché non diventassero manovali della mafia.
11
Il prof. Gaetano De Leo, è esperto sulla devianza minorile. Docente di psicologia giuridica presso l’università
“La Sapienza” di Roma.
2
Le difficoltà che l’ adolescente incontra nel passaggio verso l’ età adulta, di per sé
non sono segno di patologia, dato che si trova spinto tra tendenze opposte; questa fase
della vita dovrebbe risolversi in maniera armoniosa grazie al supporto delle agenzie
educative.
Spesso il disagio è sommerso, al punto tale che l’ adolescente soffre in silenzio,
mascherandone i sintomi, fino a quando esplode commettendo gesti eclatanti.
Si verifica sovente, una somma di inadempienze, ritardi tradimenti nei confronti dei giovani
e il disagio soggettivo evolutivo amplificandosi sfocia in disagio sociale. (Marini, Mameli,
2004, 34).
Capitolo II
Il bullismo: punta d’iceberg di un disagio profondo
2
2.1 Che cos’è il bullismo. Definizione, fenomenologia, diffusione del fenomeno
La principale definizione di bullismo da cui derivano gli studi successivi sia in ambito
internazionale sia nel contesto italiano si deve data da Dan Olweus
12
“Uno studente è
oggetto di azioni di bullismo, ovvero prevaricato o vittimizzato quando viene esposto
ripetutamente nel corso del tempo alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più
compagni”13.
Il termine italiano bullismo è la traduzione letterale della parola inglese “bullying”, termine
inglese usato nella letteratura internazionale per connotare il fenomeno delle prepotenze fra
pari in un contesto di gruppo. Originariamente nei paesi del Nord Europa sono stati usati i
termini “mobbing” ( Norvegia e Danimarca) e “mobbning” (Svezia e Finlandia). 14
L’etimologia
della parola
inglese “mob” si riferisce ad un gruppo di persone
coinvolte in azioni di molestie. E’ usato anche per indicare una persona che critica, molesta,
o picchia un’altra.
Tradurre in italiano il termine “bullying” ha comportato delle difficoltà, poiché il
termine “to bully”, significa proprio usare prepotenza. In italiano non esiste un’ espressione
che traduca esattamente questo concetto, pertanto si è dovuto coniare un termine nuovo.
Nella nostra cultura la figura del bullo è interpretata come “sbruffone o spavaldo” (Carovita,
Ardino, 1998 citato da Civita, 2006, 32).
“In particolare il termine italiano prepotenze spesso usato per tradurre l’inglese
“bullying” ha un’area semantica costituita prevalentemente da episodi di tipo verbale e
psicologico, mentre risulta più limitato il peso delle forme fisiche che sono invece rilevanti
per il termine inglese”15.
Heinemann,
ad esempio, è stato uno dei primi nel 1972 ad utilizzare il termine
norvegese mobbning per riferirsi ad una violenza di gruppo esercitata contro un singolo,
12
Dan Olweus è Professore di Psicologia all’ Università di Bergen, in Norevegia. E’ stato Fellow presso il
Center for Advanced Studies in the Behavioral Sciences di Stanford e ricopre attualmente la carica di
Presidente dell’Iternational Society for Research on Aggression. E’ la massima autorità a livello mondiale
relativamente agli studi in tema di aggressività e bullismo.
13
Dan Olweus, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Firenze, 1996.
14
Menesini E., Bullismo che fare? Prevenzione e strategie d’ intervento nelle scuola, Giunti, Firenze, 2000,
p. 24.
15
Menesini E., “Il bullismo a scuola”, In Rassegna bibliografica, n.4/2003, pp. 5-26.
2
prendendo a prestito il termine dalla letteratura etologica che lo utilizzava per definire un
attacco collettivo da parte di un gruppo di animali verso un individuo di specie diversa.
(Menesini, 2003, 7).
Olweus
definizione
nei suoi lavori pionieristici, risalenti agli anni ’70 ha utilizzato una
più ampia, assumendo che il bullismo fosse riferibile sia al gruppo sia all’
individuo.
In queste prime definizioni l’enfasi veniva posta in particolare sulle modalità fisiche
e verbali,
solo
successivamente
si
è
riconosciuta
l’importanza
delle
modalità
di
prevaricazione indirette o psicologiche.
Successivamente Peter K. Smith16, ha ampliato la definizione di Olweus
ponendo
l’accento sull’intenzionalità del fenomeno “Un comportamento da bullo è un tipo di azione
che mira deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura
per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime.
Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un
desiderio di intimidire e dominare” (Smith, 1995, 11).
Infine la definizione di Menesini, “Diciamo che un ragazzo subisce delle prepotenze,
quando un altro ragazzo, o un gruppo di ragazzi gli dicono cose cattive e spiacevoli. E’
sempre prepotenza quando un ragazzo riceve colpi, pugni, calci e minacce, quando viene
rinchiuso in una stanza, riceve bigliettini con offese o parolacce, quando nessuno gli
rivolge mai la parola e altre cose di questo genere. Questi fatti capitano spesso e chi
subisce non riesce a difendersi. S i tratta sempre di prepotenze anche quando un ragazzo
viene preso in giro ripetutamente e con cattiveria. Non si tratta di prepotenze quando due
ragazzi, all’ incirca della
stessa forza fisica, litigano fra loro o fanno la lotta”
(Menesini,2000).
Da queste definizioni si evincono le peculiarità distintive del fenomeno, che riguardano:
•
l’intenzionalità: il bullo, mette in atto dei comportamenti provocatori e aggressivi con
l’intenzione esclusiva di danneggiare e offendere la vittima da lui designata,
•
l’asimmetria: un disequilibrio di forze tra la vittima e il prevaricatore; non si parla,
infatti, di bullismo quando due individui
della stessa forza (fisica e psicologica),
litigano o discutono; è necessario che ci sia un’ asimmetria nella relazione, che può
essere legata al carattere, all’ età, alla forza fisica o al genere (ad es. maschi contro
femmine). Lo studente vittimizzato sperimenta una sensazione di impotenza contro il
singolo o il gruppo che lo perseguita,
16
Peter K. Smith è professore di Psicologia al Dipartimento di Psicologia dell’ Università di Sheffield.
2
•
la persistenza: un singolo episodio di prepotenza, non costituisce un atto di
bullismo, perché se ne possa parlare è necessario che l’azione perduri nel tempo.
Questi elementi
distinguono il bullismo
dalla cosiddetta
ragazzata,17 poiché nel
bullismo i ruoli si cristallizzano nel tempo, ogni attore si comporta secondo regole non
scritte, assume il comportamento che gli altri attori si aspettano da lui, ogni membro del
gruppo dei pari deve preservare un’ identità, seppur in senso negativo. “Il termine ragazzata
rimanda, invece a quei comportamenti
che non prevedono una rigidità di ruoli nella
relazione e soprattutto, in esse manca la volontaria intenzione di danneggiare l’altro o di
fare male”.18
Nelle ragazzate il gioco è condiviso da tutti, il clima di allegria che ne deriva, è reso
possibile dal rispetto reciproco dei membri. Al contrario, nel bullismo la vittima sperimenta
una profonda
sofferenza psicologica, è una sola persona che diviene il bersaglio del
divertimento dell’altro o del gruppo, deumanizzata al livello di un giocattolo, a scapito della
sua dignità umana.
Al fine di giungere ad una rilevazione quanto più veritiera possibile della diffusione del
fenomeno nei diversi stati europei ed extraeuropei, Peter K.Smith in èquipe con colleghi di
diversi paesi, ha impiegato un metodo per operare confronti trans-nazionali sui significati
dei termini correlati al bullismo nelle diverse lingue19. Lo strumento utilizzato da Smith,
consiste nella rappresentazione di 25 vignette, raffiguranti figure umane stilizzate e illustranti
situazioni sociali diverse, che potevano avere a che fare o meno con il bullismo. In
Inghilterra il termine bullying, semanticamente
si riferisce maggiormente all’area della
violenza fisica, mentre i termini associati alla molestia e all’esclusione sociale, sono
harassment, intimidation e tormenton. In alcuni paesi viene enfatizzata la dimensione della
violenza fisica, mentre
in altri con lo stesso termine bullying, si pone l’accento sulle
violenze verbali e relazionali. In Giappone ad esempio, il termine ijiime ha una forte
connotazione di bullismo indiretto/verbale, e fa poco riferimento all’esclusione sociale, che
viene indicata specificatamente con il termine nakamahazushi. Una ricerca di Bigotti e Bonino20,
17
Pisano L., Saturno M.E., “Lavorare sul bullismo o lavorare nel bullismo? Riflessioni epistemologiche
aspetti metodologici dell’intervento nelle scuole medie superiori. 1 parte”, Aree, n. 52, 2004, pp. 8-23.
ed
18
Ibidem.
19
Smorti A.(a cura di) “Bullying e prepotenze: ricerche sul significato”, Età evolutiva, n. 74, 2003, pp. 4792.
20
Ibidem.
2
ha messo in evidenza, una certa convergenza tra la definizione teorica fornita dagli studiosi del
fenomeno e la percezione dei ragazzi coinvolti. Fra gli elementi che caratterizzano il
bullismo, l’intenzionalità
sembra
quella
maggiormente
menzionata
dai
ragazzi. La
comprensione dell’intenzionalità non si modifica in relazione al genere e al ruolo rivestito
dai ragazzi. Sono state riscontrate invece differenze significative legate all’età, l’intenzionalità
si riscontra sempre di più nel passaggio dalla I alla III media, così come l’asimmetria nella
relazione e la persistenza nel tempo. In sintesi il 26% dei ragazzi riporta episodi di
bullismo che rimandano alla definizione teorica condivisa, il 24% del campione si avvicina
alla definizione, mentre il 50% se ne allontana. Le tre caratteristiche si riscontrano in modo
completo nei racconti delle ragazze (31%), mentre il 32% dei racconti dei ragazzi, include
soltanto le due caratteristiche di intenzionalità e di asimmetria relazionale. Azioni di
bullismo possono essere esercitate sia da un singolo individuo, sia da un gruppo di due o
tre persone, così come le vittime prese di mira possono essere più di una, com’è dimostrato
fin dalle prime ricerche sul campione di Bergen.
La prima distinzione importante operata da Olweus, è quella tra:
•
bullismo diretto: consistente in attacchi rivolti alla vittima, quali aggressioni fisiche,
parole offensive, gesti, smorfie e minacce;
•
bullismo indiretto: consistente nell’isolamento sociale: esclusione dal gruppo e dai
giochi, diffusione di pettegolezzi, rifiuto di esaudire le sue richieste.
A sua volta il bullismo diretto si divide in:
•
bullismo fisico: commesso usando la forza fisica, per colpire con calci e pugni la
vittima, per spingerla, rovinarle o rubarle oggetti personali, estorcerle soldi o la
merenda,
•
bullismo verbale: si esplica attraverso l’uso di delle parole, per esempio insultare,
deridere, prendere in giro ripetutamente, inventare dei nomignoli;
Oltre a queste forme principali di bullismo, sono presenti altre sottocategorie quali:
•
il bullismo digitale: consistente in azioni ripetute di molestia nei confronti della
vittima, tramite l’uso di strumenti elettronici;
•
il bullismo omofobico: consistente nella persecuzione e molestia di soggetti ritenuti
omosessuali;
•
il bullismo razziale: rivolto a persone
provenienti da paesi stranieri. I bambini
vittima di questa forma di bullismo, vengono presi in giro soprattutto per il colore
2
della pelle. Oggi è un problema di grande rilievo, la società in cui viviamo presenta
sempre di più i connotati della multiculturalità.
La forma di bullismo più insidiosa è quella relativa al bullismo indiretto. Per la vittima
è molto più difficile difendersi da questa forma di prepotenza, poiché viene rilevata
difficilmente sia dagli adulti che dal gruppo dei pari.
Il bullismo indiretto si sovrappone alle forme di aggressività relazionale, indiretta e
sociale21. L’aggressività indiretta è caratterizzata dal fatto che l’aggressione non avviene in
maniera frontale, ma attraverso l’intervento di una terza persona. L’aggressività sociale mira
a danneggiare l’autostima di un altro e il suo status sociale, l’aggressività relazionale ha
l’obiettivo di distruggere le relazioni tra coetanei.
Gli studi di Olweus hanno contribuito a tracciare un profilo generale dei soggetti coinvolti
in episodi di bullismo. I ruoli assunti dagli allievi sono i seguenti:
•
il bullo: colui che prende l’iniziativa di danneggiare i compagni;
•
l’aiutante del bullo: chi supporta attivamente il bullo, divenendone seguace,
•
il sostenitore: chi rinforza il comportamento del
bullo passivamente, ridendo o
incitandolo;
•
la vittima: il soggetto scelto come bersaglio delle prepotenze della vittima;
•
difensore: chi prende le difese della vittima, affrontando apertamente il bullo
•
esterno: chi sta semplicemente a guardare, assumendo la posizione di spettatore.
Dan Olweus aveva operato una distinzione tra indicatori primari ed indicatori
secondari del possibile bullo e della possibile vittima. Gli indicatori primari
rilevano la
presenza del fenomeno in maniera certa. Quelli secondari, invece, sono degli indizi validi che
non costituiscono una prova certa22 :
•
Indicatori primari della possibile vittima a scuola:
sono ripetutamente
minacciati, umiliati, picchiati. Davanti ai litigi in cui sono coinvolti, non
riescono a reagire.
21
Smith P., K., Monks C., (2002), “Le relazioni tra bambini coinvolti nei problemi del bullismo nella scuola”,
in Genta M., (a cura di), Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola. Carocci, Roma, 2002, pp. 19 -39.
22
Olweus D., Bullismo a scuola, ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Firenze, 1996, pp. 351
-352-356 (citato da Buccoliero E. et al.,Progetto Bullismo. L’esperienza e il confronto di quattro progetti di
prevenzione, Editrice Berti, Piacenza, 2006, pp.34-35).
2
•
Indicatori secondari della possibile vittima a scuola: durante la ricreazione
sono lasciati soli, vengono esclusi dai giochi di squadra, sembrano non avere
alcun amico. Tendono a stare vicini all’insegnante, appaiono svogliati, depressi
e abbattuti. Possono riportare un progressivo
peggioramento nel rendimento
scolastico.
•
Indicatori
primari
della possibile
vittima a casa: tornano da scuola con
vestiti stracciati o libri rovinati. Presentano graffi, tagli e lividi a cui non riesce
a dare una spiegazione.
•
Indicatori
secondari della possibile vittima a casa: non portano a casa
compagni di scuola, non vengono invitato alle feste, inventano scuse per non
andare a scuola. Presentano una sintomatologia da stress: soffrono di nausea o
mal di
pancia, al
mattino possono vomitare prima di andare a scuola. Di
notte fa spesso brutti sogni, hanno mal di testa. Durante il giorno mostrano
sbalzi d’umore con frequenti scatti d’ira, sono sempre tristi, infelici e depressi.
Chiedono o ruba denaro alla famiglia per assecondare le richieste dei bulli.
•
Indicatori del possibile bullo: si comporta in modo violento ed aggressivo
soprattutto con i compagni più deboli, agisce in gruppo. A casa spesso si
vanta delle malefatte compiute a scuola, porta denaro o oggetti che non gli
appartengono.
Rigby23 ha individuato un’ulteriore classificazione del bullismo tra:
-
malevolo, quando
vi
è l’intenzione
di
fare
del
male
a
più
persone
deboli,
ripetutamente e solo per divertimento. Definizione compatibile con quella di Olweus;
-
non malevolo, quando coloro che prevaricano non presentano consapevolezza ed
intenzionalità; alcuni bulli infatti sarebbero portati a perseguitare la vittima solo per
puro conformismo o senso di appartenenza al gruppo.
Nella mentalità degli adulti sono radicati alcuni luoghi comuni errati. Genitori ed
insegnanti, commettono l’errore di considerare il bullismo come “una palestra”, che allena
gli allievi ad affrontare la vita. Oppure come un gioco o una normale marachella tra
bambini, in cui gli adulti non hanno diritto di intervenire.
23
Rigby K., (1996), Bullying in schools: and what to do about it, Acer, Melbourne (citato da Civita A., Il
bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio minorile. Franco Angeli, Milano, 2006,p 33).
2
I dati dimostrano quanto le conseguenze del bullismo possano rivelarsi drammatiche.
Le ricerche hanno messo in evidenza la relazione tra condotte da bulli in età scolare e
comportamenti antisociali in età adulta. Il 60% degli studenti caratterizzati come bulli tra la
IV elementare e la III media, all’età di 24 anni era stato in prigione almeno una volta, ed il
35-40% almeno tre volte24. Chi invece ha sperimentato la condizione di vittima, durante l’età
adulta, ha manifestato elevati livelli di ansia, maggior numero di episodi depressivi, tali da
indurre talvolta al suicidio. Inoltre presentano una stima di sé più bassa rispetto al gruppo
di controllo, maggiori difficoltà nella prosecuzione degli studi e nella realizzazione
professionale.
Olweus ha dato inizio alla prima rilevazione ufficiale negli anni Ottanta, quando nel
1982, un giornale riportò la notizia di tre ragazzi norvegesi, di età compresa tra i dieci e i
quattordici anni, suicidatisi a causa di una grave forma di bullismo perpetrata nei loro
confronti da un gruppo di coetanei. La notizia suscitò così tanto allarme, da indurre il
Ministero della Pubblica Istruzione, nel 1983, ad avviare una campagna nazionale contro il
bullismo, nelle scuole elementari e medie della Norvegia.
L’indagine di Olweus è stata messa a punto su un campione di 830 scuole
della
Norvegia. Dal sondaggio nazionale è emerso che circa il 15% degli studenti delle scuole
medie ed elementari è stato coinvolto in episodi di bullismo, o come bullo o come vittima.
Ciò significa che uno studente su sette è esposto al rischio di diventare bullo o vittima. Il
9% del campione risultava appartenere
alla
categoria delle vittime, il 7% a quella dei
bulli, e l’1,6% ad una categoria mista (Olweus, 1996).
Poco più del 3% riportava di essere prevaricato all’incirca una volta alla settimana,
mentre poco meno del 2% rispondeva di prevaricare gli altri con altrettanta frequenza. Il
5% circa della popolazione studentesca, era coinvolto in gravi problemi di bullismo o come
bullo o come vittima. La percentuale delle
vittime diminuisce con l’aumentare dell’età,
precisamente con il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media, sono soprattutto gli
studenti più deboli che riferiscono di essere stati prevaricati con maggiore frequenza. La
percentuale di studenti che riporta di essere stata prevaricata nelle classi che vanno dalla II
alla VI elementare è pari all’11,6%, due volte più alta di quella registrata nelle classi che
vanno dalla I alla III media (5,4%). Esiste quindi un minor ricorso alla violenza fisica nelle
classi inferiori rispetto a quelle superiori. Relativamente al fare prepotenze la percentuale
dei maschi della scuola media risulta più alta (11,3%) rispetto a quella delle classi inferiori
24
Curti S., “Il bullismo a scuola”, in L’Educatore, n. 19, 2000, pp. 7-11.
2
(10,7%), mentre si verifica il contrario per quanto riguarda le femmine (2,5% della scuola
media vs il 4% delle classi inferiori).
L’atteggiamento aggressivo comincia dai primi anni di età con il sentimento
dell’intolleranza, che se non viene fronteggiato diviene un atteggiamento naturale. Tra i 7 e i
12 anni il bullismo si inserisce in una fase delicata in cui il soggetto necessita di figure
adulte su cui poter contare affettivamente e psicologicamente. Nell’età adolescenziale, tra i
13 e i 16 anni, il bullismo si trasforma nel bisogno di primeggiare, di avere una vita
sociale ed il suo decremento può essere valutato anche come conseguenza dello sviluppo
delle capacità empatiche nei più grandi (Fonzi, 1997).
Complessivamente dai dati raccolti da Olweus, (confermate ricerche successive, seppur
con qualche variazione) risulta che25:
1. sono più i maschi che le femmine, sia a subire prepotenze, sia a fare prepotenze,
soprattutto nelle classi della scuola media. I maschi sono più soggetti al bullismo
diretto, mentre le femmine al bullismo indiretto;
2. sono molte le prepotenze che vengono compiute dai ragazzi nei confronti delle
ragazze, il 60% delle femmine prevaricate ha riportato di essere stata vittima dei
maschi, un altro 15-20% ha affermato di essere stato vittima di entrambi i sessi, e
l’80% ha riportato di essere stato vittima solo dei maschi;
3. in genere queste prepotenze vengono messe in atto dagli studenti più grandi nei
confronti dei più piccoli;
4. i modelli comportamentali della relazione bullo-vittima, tendono a stabilizzarsi nel
tempo;
Alcune convinzioni sul fenomeno del bullismo, non hanno trovato riscontro empirico.
Comunemente si crede che il bullismo si verifichi in misura maggiore nelle grandi città, i
risultati emersi durante la campagna nazionale di Bergen, smentiscono questi risultati. La
percentuale di bulli e vittime, risulta pressocché uguale, nelle città di Oslo, Bergen e
Trandheim, addirittura nei paesi risulta leggermente più alta, rispetto alla città. Ciò potrebbe
essere correlato ad una maggiore attenzione sul problema da parte di genitori ed insegnanti
nelle città, a differenza dei piccoli centri dove il bullismo sembra più sommerso. Altra
opinione non confermata riguarda il rapporto tra comportamenti problematici e l’ampiezza
della classe o della scuola, che renderebbe
difficile la sorveglianza. I
risultati di una
ricerca condotta a Stoccolma non confermano questa ipotesi. Da un confronto tra 307
25
Olweus D., “Bulli” in Psicologia contemporanea, n. 133, 1996, pp. 23-28.
2
scuole elementari con almeno una classe per ogni anno di corso (pluriclasse) e 90 con
una
sola classe (monoclasse), che comprende studenti iscritti ad anni diversi, il risultato
emerso indica che nelle scuole monoclassi, la percentuale di studenti vittima è pressocchè
la stessa delle scuole più grandi, se non più alta (Olweus, 1996).
Altro luogo comune da sfatare, riguarda la convinzione che le prepotenze subite dalla
vittima, siano causate da un difetto fisico o handicap della vittima (cfr. § 4.2 e 4.5).
In realtà determinate caratteristiche fisiche, fungono solo da pretesto. Le cause del bullismo
risultano concatenate da una serie di fattori individuali (quali il temperamento del bambino,
lo stile educativo dei genitori), variabili legate al contesto scuola e all’ambiente sociale.
Non sembra
emergere nemmeno alcun nesso, tra il rendimento scolastico, che
susciterebbe sentimenti di competizione e invidia, e il perpetuarsi
di azioni di bullismo.
Questo secondo le indagini svolte da Olweus. Nel 2001, l’analisi sociologica condotta da
Vergati26 (su un campione di 606 studenti, tra scuole medie ed elementari romane), rivela un
andamento leggermente differente. I bersagli preferiti risultano essere i soggetti che vanno
meglio a scuola (32%), la probabilità di essere vittima è elevata anche tra coloro che
riportano un rendimento “distinto” (27%). Tuttavia anche tra coloro che hanno un rendimento
scarso si nasconde un’alta percentuale di vittime. In sintesi si ipotizza, che i più bravi, si
distinguono in senso positivo, e quindi divengano oggetto di invidia, all’opposto i meno
bravi si distinguono per qualche lacuna, rendendosi bersaglio dei bulli. Il dato che colpisce
è che tra coloro che presentano un rendimento “ottimo”, si nasconde il 12% dei bulli 27,
percentuale maggiore di chi ha un rendimento medio (4,7%). Emerge invece una associazione
tra coloro che riportano un rendimento medio-alto e il ruolo di difensore (53%). Dall’analisi
invece delle aspirazioni sul proprio futuro professionale, emerge che i bulli e gli aiutanti
mirano ad obiettivi più bassi.
E’ da precisare che l’analisi di Olweus si concentra soltanto su un campione
maschile, prendendo in considerazione maggiormente le forme del bullismo diretto.
I dati di Bergen, dimostrano anche che gli episodi di bullismo aumentano quando la
sorveglianza dell’adulto diminuisce. Nello specifico, nel tragitto casa-scuola e durante gli
intervalli previsti per la ricreazione e la pausa pranzo.
I genitori delle vittime e in particolare quelle dei bulli, non sembrano essere a
conoscenza del problema. Solo il 55% degli studenti prevaricati nelle scuole elementari
26
Vergati S., Bully Kids. Socializzaione disadattante e bullismo tra i preadolescenti, .Bonanno Editore, Roma,
2003, pp. 152-153.
27
In genere i bulli che presentano un rendimento scolastico elevato, sono coloro che adottano le forme
di bullismo indiretto, mentre tra chi utilizza la forza fisica, i risultati scolastici lasciano a desiderare.
3
afferma “che qualcuno a casa” ha parlato con loro del problema del bullismo, tale
percentuale si riduce al 35% nella scuola media.
In confronto tra i risultati di Bergen, e quelli di una ricerca effettuata in Svezia, dimostra
che nelle scuole elementari è più alta la percentuale di studenti vittime di bullismo indiretto,
mentre nelle scuole medie aumentano le forme di bullismo diretto. Nel complesso il bullismo
è più grave nelle scuole svedesi, anche se i genitori discutono più frequentemente del
problema. Sempre nel 1983, gli psicologi, Smith e Whitney, su seimilacinquecento studenti
dell’area di Sheffield, hanno rilevato che il 27% di bambini delle elementari e il 10% delle
scuole medie avevano subito esplodi di prepotenza negli ultimi tre mesi.
Nel 1991, Rigby e Slee, in Australia avevano constatato che il 15% degli studenti delle
scuole primarie subiva prepotenze (Maggi, Buccoliero, 2006, 36).
Il luogo privilegiato in cui avvengono le prepotenze è la scuola. In Italia le
prepotenze si concentrano di più in classe, mentre in Inghilterra in cortile (cfr.§ 3.2.2).
Dopo la classe le prepotenze si verificano maggiormente nei bagni e nei corridoi.
(Per la diffusione del bullismo in Italia, cfr. cap. 4).
2.2 Gli attori coinvolti
2.2.1 I bulli
Secondo il profilo psicologico tracciato da Olweus, i bulli si caratterizzano per la
loro aggressività, rivolta sia verso i coetanei, che verso insegnanti e genitori. Sono per lo
più maschi più forti fisicamente o psicologicamente rispetto ai ragazzi in generale, hanno
un atteggiamento positivo verso la violenza e l’uso dei mezzi violenti rispetto agli studenti
in generale. Ciò che li contraddistingue è una forte impulsività associata al bisogno di
dominio, mentre mostrano scarsa empatia per le sofferenze provocate alla vittima (cfr. § 4.2).
I bulli hanno un’opinione relativamente positiva di se stessi, non percepiscono
negativamente le conseguenze delle loro azioni. Parecchi studi dimostrano che i bulli sono
dotati di una popolarità che rientra nella media o che si pone poco al di sotto di essa,
questo favorisce la loro autostima. I tipici bulli, sono soggetti che presentano modelli di
comportamento reattivo-aggressivo, combinato nel caso dei maschi, con la forza fisica28.
Tre sono le cause psicologiche alla base del loro comportamento:
28
Olweus D., “Bulli”, in Psicologia contemporanea, n. 133, 1996, pp. 23-28
3
1. un forte bisogno di dominio e di potere: i bulli traggono piacere nel sottomere
e controllare gli altri;
2. considerando lo stile educativo delle famiglie dei bulli, improntato alla
punizione o al
permissivismo,
è
possibile
che
questi
ragazzi
abbiamo
sviluppato un atteggiamento ostile verso l’ambiente esterno, tale da indurli ad
infliggere sofferenze agli altri;
3. nel comportamento del bullo è presente una componente strumentale. Infatti
agirebbe per tornaconto personale, la vittima è costretta a procurargli denaro,
sigarette o altri oggetti, inoltre da questo comportamento ricava fama e
prestigio
Diversi
studi europei confermano l’ipotesi di Olweus, chi ha assunto il ruolo di
bullo durante il periodo scolastico, da adulto assume condotte antisociali, riportando
condanne penali. I risultati di una ricerca condotta dal Dipartimento di Psichiatria infantile,
dell’ospedale dell’Università di Kuopio in Finlandia29, riportano che il 90% dei bambini che
all’età di otto anni, sono stati vittime-bulli, all’età di 12 e 15 anni presentano condotte
devianti, correlate a disturbi psichiatrici, mentre le vittime tendono a soffrire di disturbi
depressivi.
Nell’ambito della categoria dei bulli, occorre distinguere diverse tipologie, ognuna con
determinate caratteristiche individuali:
•
il bullo dominante: è colui che si muove con l’aiuto di altri bulli, circondato da
un gruppo di due o quattro persone. E’ fisicamente più forte degli altri, ha
un’opinione positiva di sé stesso, predilige l’uso della violenza per ottenere ciò
che vuole senza rimproverarsi delle conseguenze. Ha scarsa empatia nei confronti
della vittima e attivando i meccanismi del disimpegno morale, riesce ad accusarla
di meritarsi le sue angherie;
•
il bullo gregario o passivo: si presenta più ansioso ed insicuro del bullo leader,
spesso presenta
difficoltà nello studio, ha bisogno di seguire il leader
per
acquistare popolarità, o per mettersi al riparo dalle stesse angherie della vittima.
In genere assume il ruolo di aiutante o sostenitore;
29
Kumpulainen K., Rasanen E., “Children involved in bullying at elementary school age: their psychiatric
symptoms and deviance in adolescence. An epidemiological sample”, in Pergamon, Child Abuse & Neglect,
Vol.24, No.12, USA, Elsevier Science Ltd, 2000, pp. 1567-1577.
3
•
il bullo/vittima: presenta una situazione più difficile e problematica, si contrappone
alla categoria della vittima provocatrice. E’ una persona emotiva, irritabile con
scarso controllo delle emozioni. Presenta difficoltà cognitive e disturbi dell’attenzione,
a differenza
del bullo dominante gode di scarsa popolarità. L’aggressività che
esercita nei confronti dei soggetti più fragili, per alcuni soggetti è una sorta di
rivalsa per le ingiustizie subite. Alcune ricerche dimostrano che il bullo della
scuola media e superiore è stato vittima durante il periodo della scuola primaria;
•
il bullo temporaneo; è una particolare categoria di bullo, è colui che ha subito
un evento traumatico tale da generare una condotta aggressiva. Questo genere di
bullismo scomparirà quando saranno venute meno le cause che lo hanno scatenato
(Civita, 2006, 34).
Secondo De Ajurieguerra e Marcelli (1984)30, l’eteroaggressività
del
bullo
dipende
“dall’incapacità di tollerare alcun tipo di ritardo nella soddisfazione delle proprie richieste,
arrivando ad utilizzare gli altri, principalmente i coetanei ma anche gli adulti, come veri e
propri strumenti a sua completa disposizione. Talora questo comportamento potrebbe essere
‹‹selettivo››, diretto per esempio verso l’uno o l’altro dei genitori, ovvero verso una specifica
categoria di coetanei o di adulti; più grave appare il comportamento ‹‹non selettivo›› del
bambino, il quale di fronte a qualsiasi negazione o frustrazione, reagisce in modo tanto
violento quanto esacerbato, realizzando in toto il quadro dell’intolleranza alla frustrazione”.
Il bullismo è legato a variabili quali il sesso e il genere. Olweus nelle sue ricerche
aveva preso in considerazione soltanto il campione maschile, trascurando di conseguenza le
forme del bullismo indiretto. Quando si parla di bullismo, viene subito in mente l’immagine
del bambino o del ragazzo robusto che prevarica un
ragazzo più debole, incapace di
reagire. In realtà esiste anche il bullismo al femminile, molto più insidioso e subdolo di
quello adottato dai maschi. Le femmine ricorrono meno dei maschi alla violenza fisica, ma
le loro prepotenze non sono da sottovalutare, poiché adottano la forma del bullismo
indiretto, che colpisce la vittima sul piano sociale e relazionale, attraverso lo spargimento di
pettegolezzi sul suo conto, la messa in giro di bigliettini offensivi o minacciosi, l’esclusione
dal gruppo o dai giochi. Il gruppo riveste per le femmine un significato diverso rispetto a
quello attribuito ai maschi. Per questi l’aggregazione al gruppo dei pari è un modo per
ribellarsi all’autorità dei genitori, per le femmine al contrario è un modo per instaurare
relazioni significative (Civita, 2006, 45).
30
Giorgi R., Scoccia S., Antonucci A., “Bullismo: analisi e prevenzione del fenomeno. Un’indagine su insegnanti,
operatori e alunni dell’Italia centrale”, Attualità in Psicologia, Volume 15, n. 2, pp. 170-185.
3
Il romanzo di Jacqueline Wilson, Piantatela! Ma chi l’ha detto che il bullismo esiste
solo tra maschi?, è emblematico di quanto possa essere pericoloso il bullismo attuato anche
dalle ragazze più insospettabili. E’ la storia di una ragazzina fragile e remissiva, attanagliata
dal bullismo messo in atto da tre compagne di classe, e dall’amore soffocante di due
genitori anziani incapaci di fronteggiare la situazione.
“Erano lì che mi aspettavano. L’ho capito appena ho svoltato l’angolo. Erano a una
certa distanza, vicino alla fermata dell’autobus. Melania, Sarah e Kim. Kim la peggiore di
tutte” (Wilson, 1996, 8). A differenza dei maschi che attuano le prepotenze sia nei confronti
dei maschi che delle femmine, queste ultime rivolgono le prepotenze soltanto nei confronti
delle compagne dello stesso sesso, e sono più propense ad agire in gruppo. Inoltre mentre i
maschi tendono a colpire compagni di altre classi, le femmine si concentrano maggiormente
su vittime appartenenti alla propria classe.
La
propensione
delle
ragazze
a
perseguitare
apparentemente meno aggressiva, deriva dal
le
loro
vittime, in
maniera
diverso processo di socializzazione, cui è
improntata l’educazione femminile. I maschi in qualche modo ricevono rinforzo per la loro
propensione all’aggressività, anche attraverso il gioco della lotta, o la tendenza ad iscriverli a
sport più movimentati, mentre le femmine soprattutto nell’età adolescenziale ricevono
maggiori punizioni. L’attenzione che le ragazze riversano sul loro corpo che cambia, spesso
è fonte di conflitto e di competizione per le ragazze, che sfogano la loro gelosia mettendo
in atto condotte bullistiche. Spesso si tratta di ragazze brillanti negli studi, con famiglie
benestanti
alle
spalle
che
apparentemente
non
danno
problemi,
per
questo
motivo
difficilmente vengono sorprese dagli insegnanti.
2.2.2 Le vittime
Le vittime designate dai bulli, secondo il profilo di Olweus sono più ansiose ed
insicure degli studenti in generale. Sono persone timide, sensibili e calme, se attaccate dagli
studenti reagiscono piangendo o chiudendosi in se stesse. Soffrono di scarsa autostima, hanno
3
un’opinione negativa di sé e della propria situazione, si
considerano spesso fallite, si
sentono stupide e poco attraenti; solitamente vivono una condizione di solitudine e di
abbandono, non hanno nessun amico in classe, ciò li rende più vulnerabili agli attacchi dei
bulli. Non sono soggetti aggressivi o molesti, hanno un atteggiamento negativo verso la
violenza e l’uso dei mezzi violenti, se sono maschi sono solitamente più deboli fisicamente.
Si definisce questo tipo di vittima passiva o sottomessa, caratterizzata da un modello
reattivo o sottomesso associato alla debolezza fisica (Olweus, 1996).
Questa è la tipologia di vittima
più comune, ma esiste un’altra categoria meno
frequente della prima, definita vittima provocatrice, caratterizzata dall’associazione di due
modelli reattivi, quello
ansioso e
quello
aggressivo (Olweus, 1996). In
genere
viene
rimproverata di attirare su di sé l’ostilità dei compagni, sono persone irritabili ed iperattive,
non riescono a concentrasi su un compito per periodi prolungati di tempo, risultano
problematici anche per gli insegnanti. Sembra che questi ragazzi manchino di alcune abilità
sociali di base e che in particolare, siano carenti nella comprensione delle regole di
comportamento “informale” del gruppo dei pari. Le vittime provocatrice scatenano le
prepotenze dei bulli verso loro stesse, ma a causa della loro insicurezza e mancanza di
autostima non riescono a farne fronte. Mentre la vittima passiva può avere un buon
rendimento scolastico, le vittime provocatrici riportano scarsi risultati nello studio.
Le vittime presentano un legame molto forte, soprattutto con la madre. Durante l’età adulta
hanno
maggiori probabilità di soffrire di depressione e di ansia, soprattutto le vittime
passive. Besag (1989) individua un’altra tipologia di vittima, quella collusiva, cioè colei che
preferisce assumere tale ruolo pur di attirare l’attenzione degli altri, assumendo atteggiamenti
che la rendano ridicola agli occhi dei compagni. Accanto a lei, Baldry individua la vittima
falsa, che non subisce realmente delle prevaricazioni, ma è solo un modo per ricevere
attenzione. Tale condizione indica una situazione
di disagio
che necessita supporto
terapeutico (Civita, 2006, 36).
Smith e Monks 31, individuano tre categorie di bambini vittima:
•
le “vere vittime”: sono bambini che si descrivono come vittime e tali sono
considerate dai compagni;
•
le vittime “paranoidi: sono coloro che si considerano vittime sebbene i loro
compagni non li considerino tali;
31
Smith P.K., Monks C., (2002), “Le relazioni tra bambini coinvolti nei problemi del bullismo a scuola”, in
Genta M.L., (a cura di), (2002), Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola, Carocci, Roma, 2002, p. 24.
3
•
vittime che “negano il ruolo”: sono coloro che negano di essere vittime, mentre tali
sono considerati dai compagni;
i bambini “paranoidi” possono soffrire maggiormente di disadattamento psicologico, sebbene
non corrano il rischio di essere rifiutati dai compagni. Le vittime che “negano il ruolo”,
corrono maggior
disadattamento
rischio di essere rifiutati dai compagni, ma sono meno soggetti al
psicologico. Le “vere
vittime” invece
sono
a
rischio
sia
riguardo
al
disadattamento psicologico che al rifiuto da parte dei coetanei.
Le possibili reazioni che Salmivalli e coll32. ritengono che la vittima può porre in atto sono:
-
il contrattacco, cioè attaccare il bullo con offese ed urla, in modo da umiliarlo
davanti ai compagni, magari chiedendo loro aiuto;
-
l’indifferenza, far finta di niente, mantenendo la calma;
-
l’impotenza, l’incapacità di reagire in qualsiasi modo, o raccontare tutto agli adulti
Chi è vittima di bullismo ha difficoltà a parlare delle prepotenze subite, soprattutto con
gli adulti, il 50% dei bambini vittima dichiara di non averlo detto né agli insegnati né ai
genitori, il 30% non si confida né con gli adulti, né con i compagni (a cura di Genta,
2002, 41-42). Il motivo per cui le vittime tacciono è legato sia alla paura di subire ulteriori
ripercussioni, sia alla vergogna e al senso di colpa per la propria condizione. L’indifferenza
dei compagni spettatori, rafforza sia l’aggressività dei bulli, sia la il senso di impotenza e
solitudine della vittima.
Per i maschi confidarsi con i compagni è più problematico, in quanto hanno paura di
essere considerati dei “codardi”, a causa dello stereotipo del maschio forte avvalorato dalla
nostra cultura. Per le femmine invece l’intimità col gruppo dei pari è un valore importante,
tale da rendere naturale la confidenza dei propri problemi. Nella fase adolescenziale,
fisicamente le ragazze subiscono dei cambiamenti, che attirano l’attenzione dei ragazzi. Le
femmine rispetto ai maschi, possono essere sottoposte ad una forma di bullismo a sfondo
sessuale, che si manifesta tramite le molestie e le cosiddette “toccatine”; l’incapacità di
reazione della vittima, viene scambia il più delle volte per accondiscendenza.
Vergati nel campione delle sue ricerche, ha classificato ulteriori tipologie di vittime:
32
Salmivalli C. e coll., (1996), Bullying as a group process: partecipant roles and their relations to
social status within the group, in “Aggressive Behaviour”, n 22, pp.1-15 (citato da Civita A., Il bullismo come
fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio minorile, Franco Angeli, Milano, 2006, p 37).
3
-
le vittime indignate, coloro che hanno una ridotta diretta esperienza di prepotenze,
con un’altra criticità verso di esse. La qualità della loro vita scolastica è valutabile
come media; lo stile familiare può definirsi indifferente;
-
le
vittime
indifferenti, sono quei ragazzi che hanno un alto grado di esperienza
diretta con le prepotenze, verso le quali si mostrano meno critiche delle vittime
indignate. La qualità della loro vita scolastica è bassa, lo stile educativo della famiglia
è direttivo talvolta autoritario (Vergati, 2003, 229).
I risultati della ricerca di Stefania Vergati, indicano la condizione di isolamento dei
giovani di città che si trovano coinvolti in episodi di bullismo. Il 44,5% indica la mamma
come principale interlocutrice, anche se il 36% si confida con entrambi. La figura paterna
risulta secondaria, solo il 7,3% si confida con il padre, percentuale minore rispetto a chi si
confida con i fratelli (8,3%). Infine i nonni, gli zii e gli altri parenti presentano percentuali
ridottissime, quasi nulle. Chi subisce prepotenze da un solo compagno è più propenso a
confidarsi con la famiglia, chi invece è vittima di prepotenze ad opera di un gruppo si
confida maggiormente con il gruppo dei pari.
Le vittime quando riescono a parlare dei loro problemi, sentendosi capite, provano un senso
di conforto. Il modo per più efficace per intervenire nei loro confronti, riguarda il
potenziamento dell’autostima e delle capacità assertive (cfr.§ 3.7.1).
2.3 Il bullismo come fenomeno di gruppo
Il bullismo non riguarda soltanto il bullo o la vittima, ma si consolida all’interno
della dinamica di un gruppo, che di solito è il contesto della classe. L’asimmetria tra gli
attori coinvolti direttamente nel fenomeno e la persistenza nel tempo, si pongono in una
relazione circolare. L’asimmetria di forze rende possibile il ripetersi di prepotenze tra il
più forte e il più debole, imprigionando queste due identità in ruoli
stabili. Secondo
Bronfenbrenner “il bullismo può essere concepito come una ‹‹nicchia ecologica››, delineata in
primo luogo dalla drammatica complementarietà del bullo e della
vittima. Non si tratta
tuttavia di una cellula isolata, dato che risulta ben inserita e trova un terreno di sviluppo e
sostegno nel contesto più ampio del gruppo dei pari, in modo particolare del gruppo classe”
(Tomaia, Tassi, 1999). Il bullo infatti non agisce isolato, può contare sulla comparazione di
altri compagni che non intervengono e approvano tacitamente. Gli studi condotti da Craig e
3
Pepler(1997) dimostrano che l’85% degli episodi di bullismo, avviene in presenza di
coetanei, i quali, possono assumere, all’interno del gruppo ruoli diversi, ponendosi dalla parte
del bullo, intervenendo a sostegno della vittima o rimanendo semplici osservatori (Di Sauro,
Manca, 2006, 53).
Il bullo e la vittima sono soltanto ‹‹ufficialmente›› protagonisti del fenomeno delle
prepotenze. Implicitamente è il gruppo che contribuisce a rinforzare il fenomeno innescando
un circolo vizioso da cui è impossibile uscire, oppure può operare per attenuare o sminuire
le azioni del bullo. Nel gruppo infatti si delineano altre figure; abbiamo l’aiutante del bullo,
colui che sostiene il bullo attivamente durante la perpetuazione delle prepotenze, fungendo
da ‹‹manodopera›› del bullo leader. Il sostenitore che rinforza il comportamento del bullo
passivamente, incitandolo o ridendo; il difensore colui che interviene in favore della vittima
affrontando apertamente il bullo o cercando di dare una mano alla vittima nei momenti di
calma, ed infine vi è la cosiddetta “maggioranza silenziosa”, formata da coloro che non
intervengono né a favore del bullo né a favore della vittima: gli spettatori o esterni.
Reagiscono con indifferenza agli attacchi dei bulli, maturano distacco emotivo, che li aiuta a
convincersi che quello che accade non li riguarda: “Un ragazzo che non si intromette non
fa niente di sbagliato”, “io bado agli affari miei”, “se è un mio amico intervengo”33.
In realtà, chi assume il ruolo di spettatore, prende posizione; con il suo atteggiamento
omertoso dà il suo tacito consenso al bullo, che si convince di non poter essere fermato e
di agire nel giusto; ne diviene indirettamente complice. La vittima , sarà resa ancora più
vulnerabile da questo atteggiamento.
Vi sono anche motivazioni legate alla paura di subire le stesse vessazioni della
vittima, “a volte vorrei aiutare chi subisce, ma poi rischio di ritrovarmi il bullo fuori dalla
scuola con venti amici”, “quando i bulli si coalizzano sono invincibili”; oppure si teme
l’etichetta di ‹‹spia›› o ‹‹infame››. Purtroppo all’interno del contesto scolastico, il bullo suscita
l’ammirazione dei compagni per il potere che detiene, nessuno si identifica con la vittima,
considerata un essere fragile.
Salmivalli e coll. hanno provato che i bambini con ruoli simili in situazioni
di
bullismo, tendono a formare tra loro reti sociali e di amicizia. Il comportamento individuale
di un gruppo è legato a come gli altri membri si comportano in determinate situazioni. Gli
autori concludono che le modalità messe in atto dai diversi membri durante gli episodi di
prepotenza, costituiscono un elemento attorno a cui si costruiscono nella stessa classe. Da
un lato infatti ci sarebbe un ‹‹effetto selezione››, per cui la scelta dei membri avverrebbe in
33
Sono alcune delle testimonianze tratte dal documentario “Togliamoci la maschera Videoinchiesta sul bullismo
nelle scuole superiori”,ad opera dei sociologi Buccoliero E., Donà D., del comune di Ferrara.
3
base alla somiglianza dei
comportamenti; d’altro canto una volta formatosi il gruppo, i
membri stessi si influenzerebbero a vicenda mediante quello che Salmivalli e coll. hanno
chiamato ‹‹effetto socializzazione dei comportamenti››.
“Talvolta le relazioni gruppali assumono la funzione di ‹‹Io collettivo›› dal quale
non può prescindere il vissuto privato, infatti, i singoli membri del gruppo proiettano le loro
paure, i loro sentimenti, i loro bisogni sul gruppo che in questo caso funge da fattore di
protezione, dal momento che è tramite la relazione, sfruttata quindi come risorsa, che i
membri fanno fronte alle richieste del singolo. Un gruppo fortemente coeso e positivo può
assumere la funzione di ‹‹Io sostitutivo›› il quale sostituirà
per identificazione l’Io del
singolo” (Di Sauro, Manca, 2006, 51).
Una ricerca condotta da Menesini e Gini34, su 591 bambini frequentanti alcune scuole
elementari e medie di due città del Nord e del Centro Italia, tramite il questionario dei
ruoli dei partecipanti usato da Olweus; evidenzia una correlazione positiva tra i punteggi nei
ruoli
“Bullo”, “Sostenitore” e “Aiutante” che suggerisce un’elevata somiglianza delle
caratteristiche comportamentali, tutte a favore delle prepotenze. L’esistenza di correlazioni
negative tra Difensore e Bullo/Aiutante e tra quelli di Bullo/Sostenitore conferma che si
tratta di ruoli ben differenziati e opposti tra di loro. Il 65% dei soggetti che sono stati
nominati dai compagni come Bulli, Sostenitori o Assistenti come secondo ruolo ne hanno
ricevuto un altro pro-bullismo. I Difensori invece presentano come secondo ruolo, più
frequentemente quello di Esterno e gli Esterni quello di Difensore. Infine le vittime hanno
ricevuto come secondo ruolo quello di Difensore e di Esterno in proporzioni simili. I
ragazzi più influenzabili, sono quelli più insicuri, che non godono di alcuna considerazione
all’interno del gruppo dei coetanei e che desiderano affermarsi. Il termine contagio sociale è
stato usato per indicare questo tipo di effetto (Maggi, Buccoliero, 2006, 31).
Un altro meccanismo è dovuto all’inibizione dei meccanismi che regolano la condotta
aggressiva. Se l’azione osservata ottiene una ricompensa, gli astanti penseranno che dal
comportamento prepotente si possa trarre vantaggio, viceversa se viene punita, l’aggressività
probabilmente verrà inibita. Secondo il contributo teorico di Emler e Reicher (2000) 35, i
ragazzi assumono l’idea di acquisire e consolidare una reputazione, qual è appunto quella del
bullo, non conforme ai principi etici e alle norme sociali.
34
Menesini E., Gini G., “Il bullismo come processo di gruppo. Adattamento e validazione del ‹‹Questionario
Ruoli dei Partecipanti›› alla popolazione italiana”, Età evolutiva, n. 66, 2000, pp. 18-32.
35
Tassi F., “ Il bullismo scolastico: problemi aperti e prospettive d’intervento”, Cittadini in crescita,
n.2/2001, pp. 44-53.
3
Secondo Tassi (2001), il sostegno del gruppo dei coetanei
nel bullismo, assume forme
indirette, che si esprimono nelle aspettative e nella condivisione di modelli di comportamento
attesi che interagiscono con il progressivo configurarsi dei ruoli di bullo e vittima. Tale
gioco etichetta bulli e vittime, i quali una volta interiorizzate queste attività, entrano in un
circolo vizioso legittimato dal contesto sociale da cui non riescono ad uscire.
Secondo Vergati, il contesto scolastico anomico, costituisce il catalizzatore, il terreno
dello sviluppo ideale del bullismo, di cui individua quattordici dimensioni:
1. grado di chiarezza dell’appartenenza, la classe risulta organizzata sulla base della
variabile età, cui corrisponde un certo livello di istruzione, però non vi è nessuna
chiarezza riguardo ai ruoli attesi dai ragazzi;
2. grado di impegno normativo, il grado di impegno normativo è piuttosto ridotto, la
maggior parte dei membri, non si impegna a ricoprire il ruolo assegnatogli
all’interno della classe;
3. durata prevista e durata effettiva dell’appartenenza, la classe è un’organizzazione
in cui l’appartenenza ha durata prestabilita, anche se alcuni membri in caso di
bocciatura possono farne parte più del previsto;
4. durata prevista e durata effettiva del gruppo, alcuni membri si frequentano anche
al di fuori del contesto scolastico. Ciò è più difficile quando la classe è in conflitto;
5. dimensione relativa alle parti che compongono il gruppo, il numero di ragazzi che
fanno parte di un sottoinsieme particolare, determinerà situazioni diverse a seconda
che la classe sia più o meno numerosa;
6. grado di apertura o chiusura del gruppo, le scuole pubbliche, rispetto a quelle
private presentano un grado di apertura maggiore. La ricerca empirica deve ancora
dimostrare se la chiusura o apertura del gruppo, sia correlata all’anomia della classe;
7. grado di differenziazione, la tendenza delle attuali organizzazioni scolastiche a non
accentuare differenziazioni
di status infragruppo,
ciò
determina erroei,
poiché
estendendo le punizioni a tutta la classe, vengono coinvolti coloro che non hanno
commesso infrazioni;
8. grado di coesione, il grado di coesione di un gruppo, influenza i comportamenti dei
membri e i ruoli assunti; nel gruppo anomico le mete personali prevalgono su quelle
del gruppo, ciò porta ad una suddivisione interna dei rapporti sociali;
9. spinte alla divisione interna; in relazionale basso grado di coesione, la spinta alla
cooperazione è bassa, di conseguenza il gruppo non è in grado di adempiere alle
4
funzioni che l’organizzazione scolastica gli assegna;
10. qualità dell’interazione sociale, nel gruppo anomico l’interazione sociale dei membri
è bassa, allo stesso tempo anche l’interazione con l’insegnate assume forme nuove
che abbattono le distanze, si crea una condizione di anomia relazionale;
11. rapporti sociali all’interno del gruppo, gli insegnanti tendono a valutare le azioni
sulla base di chi li compie. I rapporti tra gli alunni sono improntati più alla
strumentalità che all’amicizia;
12. aspettative di conformità alle norme del gruppo, oramai nelle classi scolastiche
prevale un orientamento tollerante all’infrazione delle norme, che la scuola prevede.
Gli insegnanti formatisi
in clima ideologico contrario al conformismo sociale e
normativo, implicitamente accettano la deviazione dalle norme;
13. sistema dei controlli normativi, nei contesti scolastici degli insegnanti la capacità di
imporre controlli normativi è molto scarsa. Le regole vengono modellate di volta in
volta, a seconda della situazione.
14. capacità di attivare il controllo sociale sui comportamenti devianti, in una
struttura anomica, il comportamento del deviante ha scarsa visibilità, di conseguenza
minor controllo. Tale comportamento si rafforza prima ancora di essere disapprovato
dal gruppo.
2.4 Stili educativi: le famiglie di bulli e vittime
Il modello educativo, il clima familiare che i ragazzi percepiscono all’interno delle loro
famiglie, risulta una delle cause determinanti per la predisposizione dei ruoli di bullo e
vittima. Olweus, ha identificato tre fattori, che hanno un ruolo nello sviluppo di modelli
comportamentali aggressivi nei maschi36
1. atteggiamento emotivo della principale figura di attaccamento caratterizzato dai
primi anni di vita, da indifferenza, mancanza di calore e affetto;
2. permissivismo, mancanza di limiti nella fase dell’età evolutiva, relativamente al
comportamento aggressivo;
3. uso di metodi autoritari punitivi, improntati anche alla violenza fisica, volti ad
inibire l’ aggressività del bambino, senza elaborarla.
36
Olweus D., “Bulli” In Psicologia contemporanea,n. 133, 1996, pp. 23-28.
4
Le vittime invece presentano alle spalle famiglie molto coese, e iperprotettive nei loro
confronti. In particolare la forte dipendenza di questi bambini con la figura di attaccamento,
non permette di sviluppare quella maturità personale e quell’autonomia, necessarie per
gestire le difficoltà del mondo esterno e le relazioni con il gruppo dei pari. Lo studio
longitudinale sulle carriere devianti di West e Farrington (1973), dimostra che chi ha
ricevuto in età adulta condanne per violenza, aveva avuto da piccolo genitori poco
supportivi, scarsamente coinvolti nella loro educazione e attività.
Bowbly è stato uno dei primi autori insieme a Winnicott, ad attribuire l’origine dei
comportamenti antisociali a modalità disfunzionali di attaccamento. Secondo la teoria
dell’attaccamento, le relazioni che si stabiliscono nella prima infanzia determinano la
formazione di un modello operativo interno che regola i successivi rapporti con gli altri.
Bowbly (1988) “sostiene che nel
corso
delle esperienze ripetute con le figure di
attaccamento i bambini si costruiscono immagini mentali delle interazioni sociali, che
funzioneranno da guida delle future relazioni adulte” (Molinari, 2005, 22).
“Alcuni autori hanno riscontrato una relazione tra vittimizzazione e attaccamento
insicuro-
ambivalente e tra prevaricazione e attaccamento insicuro-evitante. I bambini
insicuri-evitanti non
avendo fiducia negli altri
e aspettandosi da questi risposte ostili
sarebbero indotti a giustificare il proprio comportamento aggressivo verso i coetanei. I
bambini insicuri-ambivalenti, non avendo stima in se stessi e fiducia nelle proprie capacità,
ed essendo ansiose rischierebbero di diventare facili prede dei ragazzi più forti” (Tassi,
2001,49).
I bambini con attaccamento sicuro, invece riescono ad esplorare
il mondo esterno con
fiducia, consapevoli di poter contare sull’aiuto della figura di attaccamento.
Il rapporto madre- figlio è fondamentale nei primi cinque anni di vita. Se la madre è
poco sensibile ai bisogni del figlio, non sa fargli percepire l’affetto e il calore necessari, il
bambino avrà meno probabilità di riuscire a gestire i rapporti con gli altri, e a dominare i
propri impulsi.
Genta e al. sviluppando il modello di Reiss, delineano tre diverse tipologie di
famiglia, sulla base della dimensione di coesione interna al gruppo, dell’indipendenza
personale, della permeabilità delle situazioni esterne. La famiglia sensibile all’ambiente si
trova in equilibrio tra esigenza di coesione interna, indipendenza personale dei singoli
membri, apertura agli eventi e ai cambiamenti esterni. La famiglia sensibile al consenso si
distingue per una dinamica interna basata sulla vicinanza e coesione dei suoi membri,
mentre l’ambiente esterno viene visto come pericoloso. Infine la famiglia alla distanza
4
interpersonale, costituisce una struttura dove i diversi componenti sono disaggregati e i
confini tra mondo esterno e gruppo familiare non risultano regolati e precisi. I bambini non
coinvolti nel bullismo, apparterebbero a famiglie sensibili all’ambiente, le vittime a famiglie
sensibili al consenso, i bulli alle famiglie sensibili alla distanza interpersonale (citato in
Tassi, 2001). L’aggressività del bullo o della vittima provocatrice, è legata anche a forme di
‹‹violenza assistita›› come litigi fra i coniugi, forme di violenza in famiglia. Il bambino che
subisce forme di violenza fisica o psicologica, interpreterà in maniera ostile i segnali che gli
derivano dal mondo esterno, inoltre farà propria l’idea della legittimità della violenza per
ottenere quello che vuole. Salvatore Castorina, utilizzando il test proiettivo dell’abuso
infantile, ha analizzato la correlazione tra maltrattamenti in famiglia e ruoli di bulli e
vittime. Il TPA comprende 10 tavole in cui sono raffigurate scene con un bambino solo,
con un adulti o con altri bambini. In sintesi dai risultati del test è emerso, che i bambini
sono troppo ribelli, o eccessivamente dipendenti nei confronti di adulti e coetanei, spesso
vivono in famiglia una condizione di odio e violenza. I soggetti del gruppo sperimentale
riferiscono spesso di sentirsi maltrattati dai genitori (Castorina, 2003, 129).
Le condizioni familiari di bulli e vittime, pur essendo disfunzionali sono diverse.
Nelle famiglie dei bulli esistono legami familiari legati ad una forte instabilità, a volte si
comportano in modo aggressivo altre volte in modo affettuoso. Le famiglie delle vittime
invece sono caratterizzate da inconsistenti relazioni intrafamiliari tra la coppia e tra genitori
e figli. I genitori sempre assenti per lavoro, sono incapaci di ascoltare i figli, presi soltanto
da problemi pratici o economici. Nelle vittime il fattore patogeno più importante
è la
sensazione soggettiva di mancanza, di vuoto (Castorina, 2003,128-129).
Per i bambini che subiscono maltrattamenti in famiglia, il passaggio dalla dipendenza
(ambiente familiare) all’indipendenza (mondo esterno), è sinonimo di squilibrio soprattutto per
le vittime. Per chi è coinvolto in episodi di bullismo, il transito dalle mura domestiche
all’ambiente sociale spesso è ostacolato o poco sostenuto dai genitori. E’ considerato
violento, pericoloso, perché le esperienze primarie vissute in famiglia, hanno contribuito al
presagio di un mondo disinteressato ad accogliere i propri bisogni, concepito come una lotta
per la sopravvivenza in cui bisogna sopraffare gli altri per sopravvivere37.
Le aggressioni della
vittima sono un richiamo ad
essere ascoltata, ma provocano
ulteriori reazioni punitive. In particolare le femmine vittime, tendono ad identificarsi con
un’immagine materna maltrattata a sua volta, all’interno di un contesto multiproblematico.
37
Castorina S., Fantasie di bullismo. I racconti di bulli e vittime al test proiettivo dell’abuso infantile, Franco
Angeli, Milano, 2003, p. 53.
4
Un’altra
dimensione importante, relativa al clima familiare, riguarda il sistemi di
valore del nucleo. Su questa dimensione Rican38 nel 1995 ha condotto una ricerca. I risultati
evidenziano che i valori trasmessi dai genitori, condizionano il modo in cui il figlio si
relaziona con i coetanei. Nelle famiglie dei bulli, le strategie per affrontare le difficoltà della
vita, sono improntate all’individualismo e all’egoismo, diversamente da quanto si verifica
nelle famiglie delle vittime, i cui valori sembrano improntati alla solidarietà.
L’atteggiamento adeguato che ogni genitore deve assumere nei confronti del figlio, è
quello autorevole. Il genitore deve riuscire a far emergere la personalità del figlio attraverso
un dialogo costruttivo che tenga conto delle sue opinioni. Nello stesso tempo deve essere
capace di porre limiti, e di prestare attenzione alle amicizie che il figlio instaura, senza
contrastarne il processo di maturità personale.
Tonolo (Marini, Mameli, 2004), distingue tre diverse tipologie di atteggiamenti che un
genitore può adottare nel rapporto con i figli:
•
relazionato, quanto i genitori tengono conto delle opinioni del figlio, favorendo
complessivamente l’evoluzione del figlio; in pratica il genitore che presta attenzione
ai bisogni del figlio, favorisce in lui in modo più diretto e marcato lo sviluppo del
concetto di sé, agevolando un’elaborazione cognitiva delle proprie esperienze. In
secondo luogo lo aiuta sotto il profilo affettivo e sessuale, ma anche nella formazione
di una concezione unitaria della propria vita;
•
autocentrato, mostra scarsa sensibilità verso i bisogni dell’adolescente, proprio perché
parte dal presupposto che debba essere il figlio a capire le sue ragioni. Solo il
genitore conosce il bene del figlio, esige obbedienza, e gioca sul senso di colpa del
figlio se non l’ottiene;
•
evasivo, si deresponsabilizza dal suo ruolo, in nome di una concezione moderna del
ruolo genitoriale che lascia il figlio libero di compiere le sue scelte.
Il genitore evasivo, risulta più dannoso di quello autocentrato, il quale seppure in modo
rigido fornisce dei punti normativi di riferimento; il genitore evasivo invece con la sua
incoerenza, peggiora le difficoltà che il figlio incontra, soprattutto durante l’adolescenza.
38
Maggi M., Buccoliero (a cura di), E., Progetto Bullismo. L’esperienza e il confronto di quattro
progetti di prevenzione, Editrice Berti, Piacenza, 2006, pp. 30-31.
4
Ecco alcune semplici indicazioni che un genitore dovrebbe osservare se scopre che il figlio
è vittima di bullismo39 :
1. parlare
con il bambino facendogli capire che può contare sull’appoggio dei
genitori,
2. informare gli insegnanti e il dirigente scolastico di quanto succede;
3. aiutare il bambino ad imparare delle strategie adeguate per affrontare chi fa il
bullo con lui. Consigliargli di ripagare il bullo con la stessa moneta, non è utile,
poiché la vittima non è in grado di reagire; è inutile dirgli che passerà e che
deve ignorarle, poiché tale situazione genera sofferenza nella vittima.
Il bambino avrà meno probabilità di divenire vittima, quanto più i genitori sapranno
guidarlo nel suo percorso di crescita, rafforzando la sua autostima e ponendo fiducia in lui.
Se un genitore scopre che il figlio è autore di comportamenti bullistici deve:
1. parlare con lui per cercare di capire le ragioni che lo portano a comportarsi male,
ma deve cercare di capirlo senza sgridarlo;
2. prendere in considerazione la possibilità che il suo comportamento sia la conseguenza
di qualche difficoltà in famiglia che non riesce ad esprimere in altro modo;
3. aiutarlo a comunicare in modo assertivo, facendogli capire le differenze tra
comportamento aggressivo e comportamento assertivo, sottolineando le conseguenze
che tali comportamenti implicano;
4. comunicare agli insegnati che il bambino sta cercando di cambiare, e quindi che va
supportato in questo percorso.
Uno degli atteggiamenti più sbagliati delle famiglie dei bulli, è quello di difendere il figlio
a tutti i costi, anche contro la scuola, oppure di spronare il figlio a difendersi affinché
impari a “farsi rispettare”. Per alcuni genitori infatti risulta motivo di vanto avere un figlio
che detiene un certo ‹‹potere›› nell’ambito scolastico.
2.5 Il ruolo degli insegnanti
Malgrado le numerose ricerche condotte sul fenomeno del bullismo, gli insegnanti
presentano difficoltà sia nel cogliere il disagio delle vittime, sia nella gestione del gruppo39
Di Pietro M., Dacomo M., Fanno i bulli, ce l’hanno con me…. Manuale di autodifesa positiva per gli alunni,
Erickson, Gardolo, 2005, pp. 114-115.
4
classe qualora gli episodi di prepotenza sfocino in situazioni spiacevoli. Secondo le ricerche
di Olweus, l’85% degli insegnanti non aveva discusso il problema con gli alunni. Di
conseguenza non si preoccupavano di metterne in atto le strategie d’intervento adeguate.
Le prepotenze dei ragazzi sono sottovalutate dagli insegnati per vari motivi. O perché
avvengono in luoghi nascosti, in classe durante la loro assenza e non ne vengono a
conoscenza anche a causa del silenzio della vittima, oppure perché considerate un gioco o
modalità per imparare ad affrontare le difficoltà della vita. Questo atteggiamento accentua il
senso di impotenza della vittima e la convinzione dei bulli di non poter essere fermati.
L’insegnante è la figura più importante nell’ambito scolastico, poiché trascorre più tempo
con i ragazzi ed interagisce di più con loro.
Una delle mancanze più frequenti dei docenti è quella di non riuscire a stabilire
delle regole chiare da rispettare, o qualora siano presenti di non applicarle. I docenti
mancano di una chiara condivisione dei metodi educativi, talvolta di fronte ad uno stesso
comportamento un insegnante adotta un atteggiamento autoritario, mentre un altro reagisce
in maniera tollerante, trasmettendo allo studente un messaggio educativo incoerente. A questo
proposito si potrebbe definire carente non tanto di regole, quanto di meta-regole40, nel
momento in cui i docenti mostrano difficoltà ad accordarsi sui comportamenti da rilevare e
su come sanzionarli. E’ diffusa infatti nelle scuole anti-pedagogica, che ogni docente debba
educare gli studenti con propri parametri personali, in nome di una interpretazione negativa
della libertà d’insegnamento costituzionale, che li spinge a non accordarsi con i colleghi
per una strategia comune.
Il rapporto con gli insegnanti presenta delle sfumature che vanno al di là della
semplice trasmissione di saperi. Una ricerca della fondazione Iard e dell’ufficio scolastico
della Lombardia41, ha messo in evidenza lo scarto tra le aspettative degli studenti ed il reale
atteggiamento degli insegnanti. La capacità di comunicare è importante per l’88% del
campione, anche la disponibilità al dialogo e all’ ascolto sono ritenuti elementi fondamentali
(rispettivamente l’85% e l’83%). Da
un
insegnante i
ragazzi
si
aspettano
soprattutto
un’interazione costruttiva, basata sul dialogo e sul confronto. Importante per i ragazzi è la
correttezza nei
rapporti e nei
comportamenti: l’80% degli studenti da un insegnante si
aspetta imparzialità di giudizio, ed il 63% coerenza. La padronanza
degli argomenti ha
importanza nel 65,3% del campione e la motivazione all’insegnamento nel 54,9%; per
quanto riguarda la simpatia non viene superato il 50%. L’indagine ha riscontrato un maggior
40
Pisano L., Saturno M.E., “Lavorare sul bullismo o nel bullismo?Riflessioni epistemologiche ed aspetti
metodologici dell’intervento nelle scuole medie superiori. 1°parte”, Aree, n.52, 2004, pp.14-23.
41
Margheri C., “Disagio giovanile nelle scuole superiori” Docete, n.6, 2004, pp. 281-292.
4
livello di comunicazione nelle scuole ad area umanistica e professionale, rispetto a quelle ad
area tecnica e scientifica. Nell’area professionale si registra la percentuale maggiore di
situazioni con un basso livello di dialogo (32%). Questi
risultati sono dei segnali
incoraggianti per il rapporto dei docenti con gli allievi, altri invece sono indicatori di un
situazione problematica. Mentre l’aspettativa al dialogo ricopre quasi l’intera totalità del
campione, un alto grado di comunicazione si registra soltanto nel 40% dei casi. Inoltre la
comunicazione con gli insegnanti appare frequente soprattutto per quanto concerne l’ambito
scolastico, mentre
relativamente all’ambito
extrascolastico
e ai problemi
personali la
comunicazione si riduce. Dall’indagine è possibile classificare quattro tipologie di studenti:
-
i fiduciosi, sono coloro che attribuiscono agli insegnanti la competenza
occuparsi dei problemi degli studenti, oltre che delle discipline curricolare. Gli
studenti appartenenti a questa categoria chiedono aiuto all’insegnate con
fiducia, per affrontare i loro problemi;
-
gli
insoddisfatti, ritengono che il compito dei professori sia solo quello di
occuparsi
dei problemi
degli
studenti,
ma
nello
stesso
tempo
non
li
coinvolgono nei momenti di difficoltà;
-
gli incoerenti, secondo loro gli insegnanti devono solo occuparsi di insegnare
la propria disciplina, ma cercano il loro aiuto nel caso abbiano problemi
personali;
-
i distaccati, sono convinti che i professori debbano limitarsi ad insegnare,
quindi non li rendono partecipi dei loro problemi.
Tra i “fiduciosi” e “gli insoddisfatti” prevalgono le femmine, fra i “distaccati” invece i
maschi. Gli insoddisfatti si riscontrano
nelle classi di seconda e quinta, con percentuale
maggiore del 4%. Fra coloro che si sono rivolti agli insegnati senza aver riscontrato
disponibilità al dialogo e al confronto, solo il 20% dei soggetti ha incontrato insegnati
sensibili, capaci di facilitare l’apertura e il dialogo con gli studenti. Il 64% a causa del
basso livello di comunicazione con gli insegnati, preferisce rivolgersi ad un consulente
esterno. Nel 1939
Lewin e collaboratori, avevano esaminato l’effetto sul comportamento di
alcuni individui, riscontrando come coloro che avevano avuto a che fare con insegnanti
democratici erano meno aggressivi con gli altri compagni. Il gruppo gestito da insegnanti
autoritari lavoravano soltanto sotto la supervisione dell’adulto, verso il quale si alternavano
4
passività e ribellione. Infine i soggetti del gruppo permissivo erano disorganizzati, inefficienti,
annoiati e litigiosi (Marini, Mameli, 2004, 43).
La dott.ssa Serblin durante il corso sul bullismo promosso dall’UCIIM Vicenza, nel 2002, ha
sottolineato che il bullismo non riguarda soltanto l’alunno, ma anche le relazioni che si
instaurano con lui. E’ stata data molta importanza all’atteggiamento che l’adulto ha verso se
stesso. L’adulto, soprattutto l’educatore
non
può
pretendere
dai
ragazzi
comportamenti
coerenti, se egli non è coerente. Quanto maggiormente l’educatore è dotato di maturità
psicologica tanto più è in grado di trasmetterla: si dà soltanto ciò che si possiede
veramente42. Nell’ambito scolastico, persiste la mentalità rigida di alcuni insegnati, i quali
servendosi dell’autorità conferita dal loro ruolo, esercitano il loro potere arbitrariamente.
Talvolta sono gli stessi insegnanti ad operare violenza sugli allievi, con modalità sottili e
sommerse. La loro impostazione mentale, li induce a percepire l’educazione come un mezzo
per cambiare l’allievo, senza che l’insegnante debba mettersi in discussione o accettare
critiche. Implicitamente il messaggio che trasmettono è distorto, chi detiene il potere può fare
quello che vuole, senza rispettare il pensiero degli altri. Sono molti i modi in cui un
insegnate può esercitare violenza:
-
escludere un
bambino
portatore
di handicap
dalle
normali
attività
didattiche,
affibbiandolo soltanto all’insegnante si sostegno;
-
etichettare gli alunni negativamente, giudicandoli privi di valore in quanto persone;
-
spingerli
verso un atteggiamento competitivo esasperante; mentalità che spinge i
ragazzi a concepire la scuola come una gara in cui si vince il miglior premio, e chi
rimane indietro resta escluso irrimediabilmente;
-
giudicare gli alunni ponendoli in confronto a delle mete prestabilite;
-
la verifica distorta o incompleta, che può indurre nell’allievo disorientamento,
incertezza, sfiducia in se stesso e calo della motivazione;
-
ignorare le dinamiche relazionali della classe43.
Uno degli atteggiamenti più comuni degli insegnanti, è quello di valutare il ragazzo
soltanto sulla base del rendimento che riporta nella propria di disciplina di insegnamento. Se
dal punto di vista didattico i suoi risultati lasciano a desiderare, poco importa degli interessi
personali del ragazzo, delle sue aspirazioni e delle sue attitudini. Vi sono ragazzi con un
rendimento medio-basso nelle discipline curricolari, che riescono a fornire prestazioni
42
Battilana L., “Il bullismo: un fenomeno in via d’espansione; forse un grido inascoltato?, La scuola e l’uomo,
n.8 -9/2003, pp. 193-1999.
43
AA.VV., “Scuola, famiglia e giudici di fronte al bullismo”, in Minorigiustizia, n.2/2000, pp.7-95
4
eccellenti nelle attività sportive, senza essere considerati o valorizzati dalla scuola, poiché
l’educazione fisica non ricopre lo stesso prestigio di altre materie di insegnamento. Gli
insegnanti, presi da molti impegni, sono portati a valutare ciò che l’alunno può fornire di
concreto, senza prendere in considerazione il disagio che quel ragazzo si porta dietro, le
situazioni problematiche presenti alle spalle; alimentando così il senso di frustrazione e di
fallimento, che è alla base del comportamento aggressivo dell’alunno.
L’insegnante nella gestione di comportamenti problematici come il bullismo, deve
evitare di posizionare riconoscere il potere del bullo. Etichettandolo in continuazione come
alunno problematico che non potrà migliorare, non farà altro che ingabbiarlo ancora di più
nel suo ruolo. Anche nei confronti della vittima deve fornire il suo sostegno, senza che ciò
si trasformi in dipendenza dall’adulto, che ne rafforzi il ruolo, l’insegnante deve cercare di
stimolare la vittima a porsi in modo assertivo.
Secondo Daniele Novara, i criteri cui l’educatore può attenersi nella gestione dei
conflitti sono sostanzialmente tre44:
a) la neutralità formativa: normalmente i ragazzi cercano di utilizzare gli adulti come
alleati nei loro conflitti, per ottenere giustizia o un risarcimento emotivo. Gli educatori
dal canto si portano dietro i loro vissuti psichici, i fantasmi del passato, che li spingono
a cercare un colpevole a tutti i costi, e ad essere manipolati dalla vittima. Assecondare
l’atteggiamento giustizialista dei ragazzi è negativo, poiché non solo dipenderanno
sempre dall’insegnante, cui viene delegata ogni decisione, ma vivranno il conflitto in
maniera distruttiva, e non come occasione di confronto e di ascolto;
b) la decantazione narrativa: i ragazzi devono imparare a risolvere da soli i loro litigi,
riuscendo a spiegare la loro versione dell’accaduto, senza insultare la controparte o
minacciarla, secondo la tecnica del “dammi la tua versione”;
c) bisogno di ricostruire il rapporto: dopo un litigio si sente il bisogno di ricostruire un
rapporto che sia interrelazionale, ma anche di gruppo, di comunità. Per questo motivo
sono importanti elementi rituali che creano una connessione efficace nei momenti di
crisi. All’interno della classe si tratterebbe ad esempio, di stabilire un giorno e un’ora in
cui vengono affrontati i conflitti, possibilmente discutendone in cerchio.
44
www.smontailbullo.it
4
Una classe è un microrganismo sociale. Un gruppo che si pone il problema di trovare dei
mezzi per risolvere i litigi, ha più possibilità di funzionare rispetto a chi preferisce
mantenere il conflitto latente o evitarlo. Ovviamente non ci può essere gestione dei conflitti,
se non è accompagnata da un sistema di regole chiare e pertinenti, stabilite a priori.
Se l’insegnante a fronte di un atto di bullismo non interviene, rafforzerà l’idea che
quel comportamento sia approvato.
Una ricerca condotta su docenti di 20 scuole di Napoli, da Bacchini e al45., mette in
luce la percezione degli insegnati riguardo alla percezione del bullismo. Secondo la loro
rilevazione, le forme più diffuse risultano le aggressioni verbali, seguite dalle minacce e
dalle aggressioni fisiche. I furti sono risultano la forma di prepotenza meno percepita. Per
quanto concerne il luogo la classe è stata indicata dal 65,4% degli insegnanti.
La percentuale di chi subisce prepotenze si aggira intorno al 2,7%, contro il 2,3% di
chi compie prepotenze. Secondo la percezione dei docenti, i bulli risultano impopolari agli
occhi dei docenti, ma riportano il peggior rendimento scolastico, al contrario le vittime
presentano una popolarità al di sotto della media, con un profitto scolastico medio. Per
quanto riguarda le cause, il 24% ne attribuisce la responsabilità a modelli familiari sbagliati.
Mentre gli insegnanti di sesso maschile attribuiscono il comportamento del bullo a causa
quali stati d’animo caratterizzati da ansia e generico “nervosismo”, i docenti di sesso
femminile
attribuiscono
rispetto
ai
colleghi
maschi, maggior
rilievo
ad
“un’elevata
autostima”. Gli insegnanti si sentono incapaci di gestire situazioni problematiche, durante il
loro percorso formativo non sono stati preparati al riguardo. Riescono ad aiutarsi soltanto
con modalità prescrittive, come l’uso delle note, che però hanno scarsa efficacia. In questo
percorso non sono sostenuti adeguatamente da operatori esterni; tendono a restare su
posizioni difensive, che attribuiscono la responsabilità del fenomeno a cause esterne. I
docenti valutano gravemente le conseguenze del bullismo. Nell’indagine emerge un elemento
positivo, le soluzioni proposte si distribuiscono tra rimedi “esterni” alla scuola, volti a
rimuovere le cause socio-ambientali del fenomeno, e rimedi “interni”, volti
a favorire una
didattica maggiormente centrata sugli aspetti relazionali.
Anche il dirigente scolastico46, può costituire un elemento di rinforzo per le
dinamiche
che
portano al bullismo, oppure
fungere
da
deterrente. E’ frequente
la
preoccupazione di dare un’immagine negativa della scuola, che induca i genitori a diminuire
45
Bacchini D. e .al., “La valutazione del bullismo negli insegnanti”, Ricerche di Psicologia, n.1, vol. 23,
1999, pp.75-103.
46
Pisano L., Saturno M.E., “Lavorare sul bullismo o nel bullismo? Riflessioni epistemologiche ed aspetti
metodologici dell’intervento nelle scuole medie superiori”, Aree, n. 53 2004, pp. 8-23.
5
le iscrizioni in quella scuola, con conseguente taglio di personale; di conseguenza si pensa
che se il problema viene negato non esiste. Un altro problema che riguarda i dirigenti
scolastici, è da attribuire alla loro disponibilità formale, cui fa fronte la mancata
partecipazione e supervisione alle attività previste dal progetto; dichiarano infatti di essere
impegnati in questioni burocratiche ed amministrative. In alcuni istituti, il comportamento
degli alunni è lo specchio del livello di maturità professionale e personale raggiunto dagli
adulti, i quali si sentono il più delle volte, vittime essi stessi dei ragazzi.
2.8 Un nuovo volto del bullismo: il cyber bullying
Accanto al bullismo
tradizionale, che comprende le forme di prepotenza già
menzionate, con l’avvento di nuove tecnologie sempre più sofisticate, si è fatta strada negli
ultimi anni un’ulteriore forma di bullismo, altrettanto allarmante ed insidiosa: il ciberbullying,
detto anche bullismo digitale o elettronico. Il cyberbullying tradotto letteralmente “bullismo
cibernetico”; indica l’utilizzo di dispositivi di comunicazione come ad esempio la posta
elettronica, i blog, gli SMS, i telefoni cellulari, gli MMS, l’uso di siti Web con contenuti
diffamatori, per effettuare azioni di bullismo al fine di molestare una persona o un gruppo,
attraverso attacchi personali; arrivando a costituire un vero e proprio crimine informatico 47.
Il bullismo digitale rientra nella modalità del bullismo indiretto, ne sono vittime in numero
maggiore i compagni di scuola, soprattutto le ragazze.
“Bulli del terzo millennio”, sono chiamati quei prepotenti che non si limitano soltanto
a mettere in atto le loro azioni vessatorie verso la vittima; per affermarsi agli occhi dei
coetanei hanno bisogno di spettacolarizzare i loro atti, filmandoli e rendendoli pubblici su
intenet. Come se quel video mandato in onda su tutti i telegiornali, e visitato da migliaia di
persone attraverso i blog informatici, costituisse un trofeo a testimonianza della loro forza e
della loro supremazia. E’ l’ennesima modalità per dire alla società che li circonda “io
esisto”. Paradossalmente tutto ciò avviene all’interno delle istituzioni scolastiche, all’interno di
uno Stato in cui sono state varate numerose leggi a tutela della privacy48.
47
www.bullismo.it
48
Al bullismo digitale è strettamente collegata l’esplosione di notizie relativa ad episodi di cronaca denunciati
come episodi di bullismo, che nell’ultimo anno hanno invaso le pagine di quotidiani e i primi titoli dei
telegiornali; tanto da indurre gli esperti a chiedersi se il bullismo sia diventato un fenomeno dilagante negli
ultimi, o semplicemente se ne ha più conoscenza per via della possibilità di filmarlo (cfr. cap.V). Potrebbe
essere un fatto positivo il fatto che l’opinione pubblica venga a conoscenza di episodi che altrimenti
5
Ma il bullismo digitale non si manifesta soltanto nella realtà mediatica, ma si
caratterizza soprattutto per la sua forma subdola ed anonima.
Quella che i mass-media ci hanno mostrato negli ultimi mesi si chiama “Happy slapping”.
Il termine indica la ripresa, che può essere effettuata con videotelefono, macchina fotografica
o videocamera di scene violente al fine di mostrarle ad amici o di diffonderle.
Nancy Willard49, ha proposto
una distinzione tra i vari tipi di ciberbullying, tramite
l’uso di internet:
•
flaming, si tratta di messaggi violenti e volgari online, spesso all’interno di un forum,
usati a volte per far scoppiare delle liti;
•
molestie (“harassment”), invio ripetuto di messaggi di insulto;
•
denigrazione, diffusione di pettegolezzi o voci al fine di danneggiare la reputazione
di qualcuno,
•
sostituzione di persona (“impersonation”), assumere un’altra identità per spedire messaggi
o pubblicare testi che compromettono la reputazione della vittima o le sue amicizie;
•
rivelazioni (“exposure”), pubblicazione
di
informazioni
ed
immagini
private
imbarazzanti su un altra persona;
•
inganno (“trickery”), si tratta di pubblicare o condividere con altri le informazioni
confidate in segreto;
•
esclusione, escludere deliberatamente una persona da un gruppo online per ferirla;
•
cyber-persecuzione (“cyberstalking”), denigrazioni e molestie ripetute e minacciose
capaci di generare timore significativo.
Chi è vittima del bullismo elettronico, sperimenta una sensazione di estrema impotenza e
di solitudine. Il molestatore rimane anonimo di fronte alla vittima, anonimato reso possibile
dall’abbattimento delle barriere spazio-temporali. Con i dispositivi elettronici, il meccanismo
del disimpegno morale si attiva con maggiore facilità, i mezzi che usa costituiscono una
sorta di “filtro” (www.psicologiaedintorni.com).
Tuttavia attraverso dei semplici accorgimenti è possibile proteggersi dagli attacchi dei cyber
bulli50:
rimarrebbero sconosciuti, infatti sono aumentate da parte della scuola e delle istituzioni, le iniziative per
contrastare il fenomeno del bullismo. Ma nello stesso tempo si rischia di cogliere il problema solo in modo
superficiale, considerando solo ciò che ci viene presentato, gli episodi più gravi, senza prendere in
considerazione quelle forme di molestie a carattere psicologico, molto più deleterie e difficili da combattere.
49
www.psicologiaedintorni.com
50
www.cyberbullying.ca
5
-
se si ricevono messaggi minacciosi via e-mail è possibile rintracciare l’account da
cui è stato inviato il messaggio offensivo, ma è difficile risalire a chi lo abbia usato.
Il bullo infatti potrebbe aver rubato l’account di un altro utente e usato per le sue
molestie; è
possibile
comunque
bloccare
i
messaggi
provenienti
da
mittenti
indesiderati:
-
relativamente al sistema di Istant Messaging (IM) è possibile creare una lista di
nominativi che gli altri utenti possono bloccare, così da impedire da impedire ad
utenti indesiderati di utilizzare la chat-online;
-
sia per gli SMS, sia per i messaggi e-mail, è importante tenere traccia dei messaggi
ricevuti, per spiegare meglio agli altri quello che sta succedendo, affinché possano
aiutare a ritrovare la fonte, e inviare tutto al service - provider o al gestore di
telefonia mobile;
-
se succedono episodi sgradevoli durante la chat, la vittima può salvare copia della
conversazione ed inviare rapporto al service -provider. Per denunciare qualsiasi tipo
di abuso è molto importante il maggior numero di informazioni possibili (data e ora
della conversazione, nome e URL della chatroom da cui si è usciti, nickname del
molestatore ed e-mail).
Da una ricerca realizzata nel Regno Unito, dalla Nch emerge che un adolescente su cinque
viene umiliato tramite fotografie ed SMS ricevuti sul cellulare. Ben il 14% nella fascia di
età compresa tra gli 11 e i 19 anni, l’indagine ha anche rilevato che il 5% dei giovani ha
subito abusi e prepotenze su Internet ed il 4% è stato tormentato via e-mail.
Riguardo al caso dell’Inghilterra il ministro della Pubblica Istruzione
ha lanciato
davanti a presidi ed insegnati un appello ai gestori dei siti internet, affinché impediscano la
diffusione di scene di violenza in cui sono coinvolti i ragazzi. “E’ necessario che una più
ampia responsabilità venga imputata a chi diffonde questo materiale, direi che è un obbligo
morale”(www.corrireredellasera.it).
5
Capitolo III
I primi interventi effettuati all’estero
3.1 Il modello norvegese di Dan Olweus
Secondo la teoria generale dei sistemi un sistema è un complesso di componenti in
relazione, un sistema è maggiore della somma delle singole parti, ogni cambiamento delle
parti provoca cambiamenti nel sistema.51
51
Secondo il modello sistemico relazionale non è possibile spiegare lo sviluppo dell’ individuo senza
considerare l’ ambiente in cui è inserito, ossia la rete di relazioni significative di cui è parte, inoltre non è
5
Infatti è sul modello sistemico - relazionale che si basa l’intervento anti-bullismo messo in
atto da Olweus in quarantadue scuole dell’ area di Bergen, tra il 1983 e il 1985.
Il modello di intervento di Olweus si pone a metà strada tra gli interventi sperimentati da
Pikas (1975) e da Ross e Hazler (1996), che prevedono soltanto soluzioni dal punto di vista
clinico con i soggetti a rischio, e il modello di Randall (1996) e Besag (1999), che propende
per l’attivazione delle risorse della comunità locale quali: linea telefonica, mass-media,
genitori e scuola52.
Il sistema a cui si riferisce il modello norvegese è il contesto scolastico, che
presenta tre livelli di intervento collegati in ordine progressivo, si cerca di lavorare sulla
prevenzione cercando di migliorare il clima scolastico, intervenendo contemporaneamente a
livello individuale, sui bulli e sulle vittime, al livello del gruppo - classe e al livello del
contesto scuola.
Sono quattro i punti chiave del progetto di Olweus:53
1. creare un ambiente scolastico caratterizzato da calore, affetto, interesse verso attività
di gruppo, coinvolgimento emotivo degli adulti;
2. al
tempo
stesso stabilire dei
limiti e delle regole ben precise, che lancino un
messaggio chiaro e coerente, cioè che nella scuola non si accettano atteggiamenti di
prepotenza e che il personale competente si adopererà affinché cessino;
3. applicare con fermezza in caso di infrazione delle regole, le sanzioni previste dalla
scuola, senza
ricorrere a punizioni coercitive
eccessivamente
ostile,
allo
stesso
tempo
improntate su un atteggiamento
bisogna
premiare
chi
adotta
un
comportamento rispettoso delle regole e dei compagni,
4. occorre esigere dagli adulti, insegnanti e genitori, un comportamento autorevole.
Una delle peculiarità dell’ intervento di Olweus è stata quella di impiegare le risorse
umane
interne alla scuola: insegnanti, personale ATA, il dirigente scolastico, genitori e
studenti. Soltanto in casi particolarmente gravi occorre l’ intervento di psicologi, assistenti
sociali e altri specialisti54.
possibile spiegare il comportamento delle persone senza considerare il contesto in cui si verifica.
Questo modello è impiegato nelle terapie di gruppo con famiglie multiproblematiche.
52
Menesini E., Bullismo che fare? Prevenzione ed interventi nella scuola, Giunti, Firenze, 2000, p. 73.
53
Olweus D., “Bulli” Psicologia Contemporanea, n. 133, 1996, pp. 26-28.
Sicuramente la scuola ha il dovere di formare personale competente che possa affrontare da vicino il
problema, ma l’ intervento di specialisti esterni, non deve avvenire soltanto quando succedono episodi eclatanti
per i quali la soluzione si presenta più difficile.
L’argomentazione di Olweus non è errata se si considera che il suo intervento è stato quello
pionieristico da cui hanno preso spunto gli altri progetti nell’ ambito europeo ed extraeuropeo, la sua équipe
54
5
3.1.1 Interventi sul contesto scuola
Prima di qualsiasi
intervento
è
importante
raccogliere
informazioni
tramite la
somministrazione del questionario, sull’ entità del fenomeno, sulla frequenza con cui gli
insegnanti intervengono con gli studenti coinvolti, sul livello di consapevolezza dei genitori
circa le esperienze dei ragazzi a scuola, sul numero totale degli studenti coinvolti nel
problema.
In seguito, se la scuola decide di farsi promotrice di un intervento antibullismo, è
opportuno che organizzi una giornata di dibattito a cui partecipino oltre al capo d’istituto e
agli insegnanti, lo psicologo scolastico, eventualmente un pedagogista, e una rappresentanza
di genitori e alunni, al
fine
di discutere i risultati
del questionario e di tracciare un
programma d’intervento.
Una delle prerogative del modello norvegese è quella di sorvegliare i ragazzi, nei
momenti di maggiore
libertà, occorre, quindi, aumentare la supervisione degli
adulti
durante la ricreazione e l’orario di mensa.
I risultati di Bergen dimostrano che gli episodi di bullismo diminuiscono quando
aumenta la supervisione degli insegnanti, in questo compito l’ insegnante può trovare un
valido supporto nei collaboratori scolastici, i quali possono intervenire o riferire agli
insegnanti eventuali episodi di prepotenza.
Il
più delle volte le prepotenze vengono perpetrate
da studenti più grandi, per
questi motivi sarebbe opportuno studiare una riorganizzazione
degli spazi, in modo da
rendere più facile la supervisione degli adulti nei luoghi più a rischio, quali i bagni, i
corridoi e il cortile (cfr. §. 3.2.2).
Una
buona
organizzazione
delle
aree
ricreative della scuola, ad esempio attraverso
l’allestimento di aule adibite a laboratori, può stimolare attività ricreative comuni.
Per mettere a punto questi interventi, è auspicabile la formazione di un gruppo di studio tra
insegnanti, formato da non più di dodici persone.
ha iniziato a muoversi quando il problema non era assolutamente rilevato dalla scuola e dalla società, è
naturale quindi che la sensibilizzazione al problema debba partire dall’ interno, ma diversi progetti di
prevenzione e ricerche- intervento che si sono svolte in Italia e altrove, dimostrano che il lavoro degli
operatori, inviati dalle A.U.S.L o dai comuni, può essere determinante inizialmente per un intervento di
prevenzione primaria, che si accompagna ad interventi di prevenzione secondaria (nella scuola e nei servizi
competenti), laddove si presentino particolari situazioni di rischio.
Da precisare inoltre che spesso le figure esterne rivestono il ruolo di consulenti, non si sostituiscono
al personale scolastico, il loro obiettivo è quello di indirizzare e sostenere gli insegnanti nella programmazione
e verifica delle attività, favorendo un clima di dialogo e confronto.
5
Periodicamente sono anche auspicabili degli incontri tra genitori e insegnanti.
3.1.2
Interventi sul gruppo-classe
L’insegnante essendo l’operatore che, all’interno della scuola, trascorre più ore a
contatto con gli studenti, è tenuto a promuovere il rispetto per gli altri, facendo rispettare
le regole, adottando un comportamento coerente ed autorevole.
Affinché le regole siano rispettate è necessario che esse siano rese chiare fin dall’
inizio, si rendano applicabili e si discutano con gli studenti al fine di modificare
atteggiamenti sbagliati, riguardo al bullismo.
L’insegnante deve promuovere
un buon clima scolastico attraverso ricompense ed
elogi che rinforzino comportamenti prosociali, e adattare
sanzioni che invece puniscano
comportamenti sbagliati, devono essere applicate tenendo conto della personalità e dell’età
dello studente.
E’ necessario che l’insegnante si ritagli, all’interno dell’attività didattica, uno spazio dedicato
alla programmazione insieme ai ragazzi, delle attività future, discutendo sulle esperienze
passate, attraverso degli incontri sistematici. La discussione costituisce un’ottima occasione
per affrontare la problematica del bullismo55.
In America l’apprendimento cooperativo tra
gruppi
di sei
studenti, ha prodotto
ottimi risultati (Menesini, 2000).
L’organizzazione di attività extradidattiche quali (gite, campeggi, feste), rappresenta un
importante momento di confronto e socializzazione.
Al fine di un coinvolgimento dei genitori nelle attività scolastiche, è importante
programmare con altrettanta sistematicità, incontri tra genitori, alunni e insegnanti.
Il
punto di vista dei genitori può contribuire a risolvere il problema in una
prospettiva più ampia e diversa.
3.1.3
Interventi a livello individuale
55
Una pecca molto comune di diverse iniziative scolastiche, è quella di iniziare delle attività, talvolta anche
con notevole entusiasmo e partecipazione, per poi interromperle senza alcuna spiegazione, vanificando i
benefici ottenuti. Prerogativa di qualsiasi intervento da attuare è che si stabilisca un determinato limite di
tempo, in cui le attività si svolgano con costanza.
5
Al livello individuale la prima cosa da fare è quella di iniziare separatamente dei
colloqui con i bulli e con le vittime, considerando che si tratta già di una situazione
conclamata, in particolare con i bulli bisogna procedere uno alla volta se agiscono in
gruppo, per riunirli poi in seguito.
Durante questi colloqui è importante che la vittima si senta capita e percepisca il
sostegno degli adulti a livello emotivo, rispettando anche i suoi tempi, nel caso in cui non
se la senta di raccontare tutto subito, per paura o vergogna. Per quanto riguarda i bulli
invece bisogna far capire loro senza atteggiamenti di ostilità o rabbia, che in quella scuola
la violenza non è tollerata, tenendo conto che molte volte cercano di minimizzare le
conseguenze del loro comportamento, inoltre un colloquio approfondito può aiutare a
prendere coscienza delle cause del disagio del bullo.
Dopo aver parlato con i ragazzi
coinvolti, è utile affrontare il problema con le
famiglie.
Le famiglie dei bulli non sempre sono a conoscenza della vita scolastica dei figli,
un comportamento autorevole, e il venire a conoscenza delle compagnie dei figli, può
essere utile per contrastare il fenomeno.
D’altro canto le famiglie delle vittime possono sostenere i figli evitando un
atteggiamento iperprotettivo, aiutandoli
invece
a potenziare la loro
autostima, ciò li
renderebbe meno vulnerabili agli attacchi dei bulli.
Proficui risultati può fornire l’aiuto degli studenti neutrali, coloro che non sono
coinvolti in nessuno dei ruoli, questi oltre a reagire alle prepotenze del bullo in difesa della
vittima, potrebbero aiutarla nei momenti di calma, per farle capire che non è sola, a tal
fine è utile promuovere delle attività in cui si possa coinvolgere la vittima.
Nel caso in cui vi sia una comunicazione difficile tra le famiglie dei bulli e delle
vittime e tra queste ultime e la scuola, è indispensabile l’intervento di un terapeuta che
effettui colloqui con le famiglie, dapprima separatamente e poi riunendole.
Frequentemente l’unica soluzione che le famiglie riescono a trovare, è il trasferimento
in altre classi o scuole. Questa in realtà, non rappresenta una vera e propria soluzione per
il problema in generale, in quanto il bullo troverà un’ altra vittima su cui scaricare
la
propria aggressività. Per la vittima, essa, invece, rappresenta l’unica soluzione adeguata,
quando, malgrado la famiglia abbia parlato con preside, insegnanti e genitori del bullo le
prepotenze
persistono. In tal caso è inutile che la vittima continui a soffrire, viste le
conseguenze che comportano sia al livello fisico che psicologico gli attacchi del bullo.
Trasferire il bambino in un ambiente più accogliente è la soluzione più auspicabile.
5
La verifica dei risultati dell’ intervento messo in atto secondo il modello di
Olweus,
è la dimostrazione che contro il bullismo si può e si deve intervenire e che non va
assolutamente minimizzato.
Ecco qui di seguito in sintesi i risultati dello studio di Bergen:
•
Dopo due anni dall’ attuazione del progetto, si è verificata una riduzione di circa il
50% dei problemi legati al bullismo, relativamente al bullismo diretto e a quello
indiretto. I risultati si riferiscono sia ai maschi sia alle femmine, sia della scuola
elementare sia della scuola media.
•
Oltre ai comportamenti di bullismo si è anche verificata una riduzione degli altri
comportamenti antisociali quali vandalismo, abuso di sostanze alcoliche, assenze non
giustificate, risse, furti ecc.
•
Gli episodi di bullismo oltre che in classe, sono diminuiti anche durante il tragitto
casa-scuola. Il programma non solo ha avuto effetti sui problemi di vittimizzazione
esistenti, ma ha ridotto considerevolmente anche il numero di “nuove vittime”.
•
Vi sono stati notevoli progressi per quanto riguarda il miglioramento del clima
scolastico, si è notata una maggiore propensione all’ ordine e alla disciplina, i
rapporti interpersonali tra gli alunni sono diventati più costruttivi, l’interesse per le
attività didattiche è aumentato con conseguenze
positive sul rendimento scolastico.
Complessivamente il grado di soddisfazione nei confronti della vita scolastica è
aumentato.
L’esempio di Bergen
dimostra che il bullismo non rappresenta una problematica
soltanto per gli attori coinvolti, ma indirettamente ne risente anche il corpo docente e
gli alunni che si dimostrano neutrali.
Se si interviene con un adeguato programma di intervento, si offre a tutti i
componenti della scuola la possibilità di confrontarsi con nuove esperienze positive, che
non sarebbero possibili in un clima di sopraffazione56.
56
In un contesto scolastico dove manca la tranquillità necessaria anche per lo svolgimento delle
ordinarie attività didattiche, principalmente il corpo docente e in misura secondaria il personale scolastico,
rischia di andare incontro alla “sindrome del burnout” a causa del senso di impotenza e di esaurimento delle
energie che un clima turbolento comporta (cfr. cap.VII)
In questi casi l’ intervento di un consulente esterno è indispensabile per evitare che a scuola si entri
in un circolo vizioso, in cui il bullo crede che nessuno lo possa fermare, la vittima si sentirà sempre più sola
e l’ insegnante sempre più impotente.
5
3.2 Il modello inglese di Sharp S. e Smith Peter K.
Il progetto coordinato da Smith è stato realizzato su un campione di 24 scuole nell’
area di Sheffield, in Inghilterra, tra il 1991 e il 1993, riportando buoni risultati; si è rilevata,
infatti, una riduzione delle prepotenze del 25%, con variabilità differenti da scuola a scuola.
Il modello inglese come quello di Olweus, si basa sull’ approccio ecologico-sistemico, che,
rispetto al primo, risulta più articolato e dettagliato, in quanto pone maggiore attenzione
alle attività operative da mettere in atto; “in esso possiamo cogliere una particolare
attenzione al costruttivismo, al cognitivismo, alle tecniche di modeling e di potenziamento dei
comportamenti socialmente positivi” (Menesini, 2000, 58).
Gli interventi pionieristici di Olweus, e poi quelli di Smith negli anni Novanta, si
muovono nell’ ottica della prevenzione, al contrario dei social skills training.
Il
social skills training è un modello di intervento utilizzato negli U.S.A con
bambini aggressivi, selezionati come incompetenti sul piano sociale, emotivo o affettivo.
Il limite di questi interventi è di rivolgersi in modo specialistico a dei bambini –
target, e di essere realizzati solo da specialisti esterni. Dishion, McCord e Poulin (1999)
sulla base di alcuni dati hanno mostrato gli svantaggi di quest’ approccio, poiché molti dati
dimostrano che soggetti in età adolescenziale e preadolescenziale, se selezionati in gruppi a
rischio, sono particolarmente esposti all’ aggressione, inoltre stando insieme rafforzano
comportamenti negativi. “Oltre ad un training positivo, sembra cioè realizzarsi in questi
contesti quello che gli studiosi dei processi di condizionamento hanno definito “training
della devianza” (Menesini 2000, p. 47).
Esamineremo successivamente i punti chiave del modello inglese, cercando di capire
quali sono i vantaggi rispetto ad un approccio diretto soltanto all’individuo.
3.2.1 La politica integrata antibullismo
Secondo la definizione di Sharp e di Thompson, 57 “per
‹politica› intendiamo una
dichiarazione di intenti che guidi l’azione e l’organizzazione all’ interno della scuola, l’
esplicitazione di una serie di obiettivi concordati che diano agli alunni, al personale e ai
genitori un’indicazione e una dimostrazione tangibile dell’ impegno della scuola a fare
57
Sonia Sharp e Peter K. Smith (1994), Tackling bullying in your school. A pratical handbook for teachers,
Routledge, London and New York, (tr. it. Bulli e prepotenti nella scuola. Prevenzione e tecniche educative,
Erickson, Trento, 1995, pp. 31-32).
6
qualcosa contro i comportamenti bullistici. Per permettere poi l’ attuazione della politica così
come definita nell’ impianto normativo, la scuola dovrà mettere in atto concrete procedure
volte a prevenire e a trattare tali comportamenti ogni qualvolta si manifestino”.
Il concetto di politica integrata58 esige il coinvolgimento di tutto il personale scolastico,
docente e non docente e a tutti i livelli.
Il dirigente scolastico e il collegio docenti sono i primi organi tenuti ad attivare un
lavoro sinergico con le altre componenti della scuola, affinché possa avere inizio un progetto
per il contrasto al bullismo. Il loro contributo è importante non solo per l’ impiego delle
risorse, ma anche per supportare passo dopo passo il resto del personale, intervenendo
qualora gli impegni non siano rispettati nei tempi previsti.
L’atteggiamento di tutti i componenti della scuola
deve essere improntato ad una
maggiore sorveglianza, per poter evidenziare atti di bullismo. Al fine di intervenire
tempestivamente, è anche
importante
che si trovi
il tempo di ascoltare i problemi dei
ragazzi.
Per quanto riguarda i bulli è opportuno evitare strategie di controllo eccessivo che
possano intimorire o umiliare gli alunni, è più adeguato un approccio diretto e fermo allo
stesso tempo, che sproni gli alunni ad una migliore gestione dei conflitti.
Al riguardo il personale dovrà essere il primo esempio, nel senso che i colleghi
della scuola dovranno dimostrare in prima persona di possedere abilità relazionali adeguate
che consentano di gestire il conflitto in maniera positiva.
Per migliorare il clima scolastico è necessario
agire sul modo di pensare dei
ragazzi, sia in classe, sia ogni volta che si presenti l’occasione.
Il messaggio che devono percepire i ragazzi è quello di una comunità scolastica, in
cui vengono valorizzate e rispettate le idee
di ciascuno, nel rispetto delle diversità,
considerate come risorse e non come ostacolo. In questo contesto gli alunni impareranno a
lavorare in collaborazione, ad aiutarsi, a fidarsi degli adulti e del gruppo dei pari.
In questo modo gli alunni saranno portati a riflettere su loro stessi e sugli altri,
imparando ad
ascoltare con sensibilità le esigenze del prossimo, riusciranno anche ad
esprimere i loro sentimenti, senza ricorrere a modalità aggressive.
E’ sulla demolizione del pregiudizio che bisogna lavorare, affinché possa beneficiarne la
cooperazione tra i ragazzi.
58
E’ sottinteso che prima di mettere in pratica qualsiasi intervento anti-bullismo, è necessario procedere
ad una prima rilevazione dell’ entità del fenomeno tramite un’ indagine descrittiva (cfr. cap. II § 2.1).
6
Certamente promuovere la cultura della solidarietà non significa che tutti gli alunni
debbano instaurare legami di amicizia, bisogna far capire che sebbene sia normale avere
delle preferenze, tutti sono tenuti a fare qualcosa per aiutare chi è in difficoltà; in questo
modo i comportamenti bullistici non saranno motivo di merito agli occhi dei coetanei.
Nel secondo capitolo si è parlato del ruolo che rivestono gli astanti riguardo al
bullismo, i ragazzi non coinvolti direttamente, potrebbero avere una funzione deterrente sia
passivamente, cioè evitando di prendere parte a comportamenti vessatori, accogliendo le
vittime nel loro gruppo, o escludendo i bulli ogni volta che molestano un loro compagno,
sia attivamente chiamando in aiuto gli adulti, reagendo apertamente alle prepotenze del
bullo e impedendo il contatto fisico tra vittime e bulli, inoltre può essere importante il loro
atteggiamento nell’ incoraggiare la vittima a raccontare a qualcuno del personale.
Quando si riesce a comunicare che certe azioni sono oggetto di disapprovazione da
parte dei coetanei, tutti si sentiranno più sicuri per intervenire, avranno meno paura di
andarci di mezzo, i bulli si sentiranno a disagio poiché violeranno le regole del gruppo,
nello stesso tempo chi ne è vittima non solo si appoggeranno maggiormente sui compagni,
ma saranno portati a reagire alle prepotenze in maniera meno timorosa59.
Secondo Smith anche i genitori si sentiranno meno soli e si dimostreranno più
inclini a collaborare con la scuola, quelli dei bulli tenderanno a scoraggiare l’ atteggiamento
del figlio, e quelli delle vittime informeranno subito chi di dovere.
La politica scolastica integrata è un processo costituito da cinque fasi:
•
Aumento di consapevolezza: è la fase preliminare in cui bisogna informare le persone
del problema per prendere decisioni adeguate al riguardo.
Durante questa fase è facile trovare delle resistenze, a causa di luoghi comuni errati,
sarà facile sostenere che il bullismo in quella scuola non esiste, che anzi è utile per
rafforzare il carattere, che è sempre esistito e non ha mai creato problemi.
Per questi motivi occorre mostrare i dati delle ricerche condotte, possibilmente in
quella scuola, cercando di arrivare ad una definizione univoca di bullismo perchè
prima di capirne la gravità è necessario comprendere la natura del fenomeno e le
59
Una situazione del genere si è verificata presso il gruppo missionario “Porta aperta” ad Agrigento. Questo
gruppo di volontariato composto da religiosi e laici, con un progetto finanziato dalla Regione ha dato il via
ad una serie di attività ricreative e culturali, utilizzando una tenda posta al Viale della vittoria, punto di
ritrovo dei giovani agrigentini. Un’operatrice durante l’ incontro settimanale previsto dal C. S. M, per lo
sportello di ascolto, mi ha raccontato che sono riusciti a contrastare un atto di bullismo, spronando la vittima
a raccontare l’accaduto, grazie all’ atteggiamento di disapprovazione che ne è seguito, il bullo ha cominciato a
vergognarsi del suo comportamento e la vittima sentendosi valorizzata ha acquistato fiducia e sicurezza.
6
conseguenze. E’ utile in questa fase spiegare le strategie impiegate in altre scuole e i
benefici ottenuti, in questo caso il supporto di esperti susciterà maggiore interesse,
•
Consultazione: in questa fase dovrà essere coinvolto tutto il personale competente, i
genitori e gli alunni, le opinioni di ciascuno di loro servono per definire i principi
che dovranno guidare la politica della scuola, che più sarà condivisa, più probabilità
vi saranno di ottenere dei cambiamenti significativi.
A questo scopo sarà costituito un gruppo di lavoro multidisciplinare, che redigerà un
documento in cui si procederà alla stesura di una prima bozza di progetto.
Anche le altre componenti della comunità, i religiosi, medici e la polizia locale
possono arricchire il programma dalla loro prospettiva professionale.
•
Preparazione del documento politico e redazione della versione finale della bozza:
in questa fase tutte le idee espresse verranno elaborate per stendere la prima bozza
del documento, che deve essere visionato da tutto il gruppo di lavoro, i cui
componenti sono tenuti ad apportare gli opportuni commenti e correzioni. Nella
stesura del documento si dovrà tenere conto:
-degli obiettivi della politica,
-di una definizione chiara di cosa sia il bullismo,
-di strategie adeguate per prevenire comportamenti bullistici,
-delle modalità di segnalazione degli episodi di bullismo,
-del come rispondere ai comportamenti bullistici,
-del ruolo e della responsabilità degli insegnanti,
-monitoraggio e valutazione della politica.
•
Comunicazione e attuazione: una volta concordato il progetto dovrà essere realizzato,
sulle modalità e sui tempi di attuazione, molta importanza riveste
il ruolo della
dirigenza scolastica.
Prima di attuare qualsiasi intervento, è necessario che il personale sia formato per
sviluppare determinate capacità, quali abilità di counseling con gli alunni, abilità di
gestione dei comportamenti di prepotenza.
Relativamente alla comunicazione è auspicabile pubblicizzare l’ iniziativa coinvolgendo
i mezzi di comunicazione locali, e affiggendo il manifesto del progetto nei punti
visibili dell’edificio scolastico.
E’ necessario che il personale adoperi un sistemi di registrazione degli atti di
bullismo, condiviso da tutta la scuola, segnalando chi desta maggiori preoccupazioni.
6
•
Mantenimento e revisione: Una politica antibullismo è un impegno di lunga durata
che bisogna richiamare periodicamente, e per questo
si può approfittare delle
scadenze quadrimestrali durante le assemblee di istituto.
Il
monitoraggio è importante per sapere se la politica porta a dei risultati. Essa
dovrà essere revisionata periodicamente. In genere dopo un anno si avvertono piccoli
cambiamenti, i primi progressi si rilevano dopo due anni dall’ attuazione, se ciò non
accade si dovrà rivedere il programma antibullismo, senza andare incontro a
demotivazioni, ma cercando di riflettere in maniera costruttiva60.
3.2.2 Le prepotenze in cortile e la progettazione degli spazi scolastici
Le ricerche dimostrano che tre quarti delle prepotenze avvengono in cortile, durante la
ricreazione e la pausa per il pranzo, anche i bagni come i punti più remoti dei corridoi
dove diminuisce la sorveglianza, sono spesso teatro di molestie drammatiche nei confronti
delle vittime.
Il modello inglese al fine di migliorare il clima scolastico, oltre ad un adeguata
collaborazione tra i membri della scuola, prevede anche un adeguato piano per migliorare
gli spazi all’ aperto e un’ accurata squadratura dell’ edifico scolastico.
Tale problema riguarda soprattutto le scuole elementari e medie, di meno le scuole superiori.
Spazi troppo ampi e spogli rischiano di risultare dispersivi e noiosi, mentre spazi limitati
potrebbero fungere da pretesto per lo scatenarsi di conflitti per il controllo del territorio.
Infatti in un ambiente squallido, che stimoli poco la creatività dei ragazzi, i bambini pur di
trovare un stimolo
che contrasti con il senso di noia e frustrazione che l’ambiente
trasmette, cederanno a risse e comportamenti bullistici.
60
Il modello inglese presenta i punti chiave di qualsiasi politica antibullismo, ma non va applicato in maniera
uniforme in tutte le scuole, ogni istituzione scolastica potrà apporre delle variazioni in rapporto al proprio
contesto.
6
I bambini più grandi soprattutto, cercheranno di monopolizzare l’ambiente, con partite
di calcio, escludendo dai giochi chi è meno prestante fisicamente e le bambine.
Uno spazio abbandonato a se stesso, senza alcuna attrezzatura o protezione, privo di
confini delimitati, favorirà indirettamente nei ragazzi la convinzione che soltanto chi saprà
conquistarsi quel territorio, tramite la partecipazione a determinati giochi, potrà usufruire del
cortile, chi non è all’altezza rimarrà escluso, divenendo maggiormente bersaglio di azioni
bullistiche. Se, a quanto detto precedentemente, si aggiunge, che un ambiente eccessivamente
spazioso, renderà a bidelli ed assistenti maggiormente difficile la sorveglianza, diviene
comprensibile, l’influenza che il cortile assume nel favorire interazioni positive o negative61.
A questo punto bisogna chiedersi cosa bisogna fare per rendere il proprio spazio all’ interno
della scuola, adeguato alle esigenze di gioco e apprendimento dei bambini.
Affinché i bambini amino l’ambiente di cui usufruiscono, rafforzando il senso di
identità e di appartenenza che li lega alla scuola, occorre che questo spazio sia
ricco,
flessibile vario, multifunzionale, con scenari che stimolino la più ampia tipologia di attività
ricreative e di attività didattiche.
Gli alunni di una scuola richiedono usi diversi del cortile, a seconda delle esigenze
legate all’ età e al sesso. I bambini più piccoli si dedicano in genere a giochi di fantasia, i
più grandi soprattutto i maschi, si organizzano con giochi di squadra competitivi mediati da
regole, in cui si confrontano sul piano della forza fisica e delle abilità motorie le femmine
invece svolgono attività sociali sedentarie, preferiscono trascorrere il tempo conversando o
tutt’ al più passeggiando riunendosi in gruppi intimi62.
Lo spazio che si vuole strutturare dovrebbe racchiudere tutte quelle caratteristiche
che lo rendano allegro e stimolante per i bambini, ma nello stesso tempo sicuro, facile da
sorvegliare e da mantenere.
L’originalità del contributo di Higgins, sta nel proporre la partecipazione dei bambini
alla ristrutturazione degli spazi all’aperto, tramite un iter di sei fasi63.
61
Purtroppo spesso il cortile non è al centro delle priorità di una scuola, il cortile è l’ ultimo aspetto in cui si
pensa di investire tempo e risorse finanziarie.
62
Genta M.L., Pieracci L., Canei B, La ricerca osservativa sul bullismo e la ricreazione, in Maria Luisa
Genta, ( a cura di), Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola, Carocci, Roma, 2002, p. 66.
63
All’interno di un’ ottica anti-bullismo, la partecipazione degli alunni è importante perché si sentano parte dei
loro spazi, i piccoli utenti potranno offrire dei suggerimenti utili sulle modifiche da apportare. Dal momento in
cui ognuno offre il suo contributo, si rafforzerà la consapevolezza che gli spazi appartenenti alla scuola siano
di uso comune, e quindi non sia legittima una spartizione basata su relazioni di dominanza e sottomissione.
6
La fase di inizio serve a coinvolgere i componenti della scuola, a stabilire se sia
necessario avvalersi dell’ aiuto di un progettista di esterni, chi sarà tra gli insegnanti quello
disponibile ad assumersi la responsabilità di coordinatore del progetto, a reperire fondi se
necessari tramite il coinvolgimento di istituzioni locali e di associazioni di volontariato.
Nella seconda fase si procede alla raccolta di informazioni sull’ ambiente fisico e su
come gli utenti usino lo spazio disponibile, la terza fase comprende la definizione degli
obiettivi tramite la discussione e la valutazione delle informazioni raccolte nella fase
precedente.
I principali obiettivi che comprende la ristrutturazione degli spazi all’aperto riguardano:
•
La diversità, il cortile deve risultare il più vario possibile a sviluppare giochi,
esperienze di socializzazione di gruppo e individuali e attività didattiche,
•
La flessibilità: è una caratteristica complementare alla diversità, dovrebbero essere
modificate le cose che non funzionano, o migliorabili in base le esigenze che
potrebbero sorgere,
•
A misura di bambino: le panchine, i sentieri, le attrezzature devono essere di
dimensioni più ridotte rispetto a quelle che gli adulti creerebbero per loro,
•
Il senso estetico del bambino: l’ambiente, dalle superfici, al materiale per le rifiniture
e la pavimentazione, deve poter stimolare i cinque sensi del bambino,
•
Sicurezza: ogni scuola deve svolgere i propri controlli in conformità con gli standard
previsti dall’ assessorato locale all’ istruzione.
Tutti questi obiettivi però rischiano di scontrasi con dei fattori limitanti, quali la mancanza
di risorse materiali e finanziarie.
La partecipazione volontaria richiede un lavoro lento e progressivo, ciò potrebbe
indurre a bruciare l’ entusiasmo iniziale.
Da non sottovalutare è il rischio di atti vandalici, un progetto a prova di vandalo,
però non permetterà la creazione di un ambiente ricco e flessibile.
Il coinvolgimento degli alunni
rischia di comportare dei conflitti di interessi con gli
adulti, non sempre quello che i bambini desiderano è compatibile alla ristrutturazione di
uno spazio adeguato che contrasti le prepotenze.
Dopo aver definito gli obiettivi ed aver considerato i fattori limitanti si procederà
alla progettazione del cortile.
La prima cosa da considerare è la creazione di zone e spazi. Le zone sono aree
utilizzate per attività specifiche, ad esempio all’ interno dello stesso cortile potremmo avere
6
area giardinaggio, area panchine, ed aree destinate ad attività didattiche (si pensi alle riserve
naturali create in alcune scuole per lo studio della natura). Una buona organizzazione in
zone sarà un ottimo deterrente per evitare l’ insorgere di conflitti.
La Higgins,64 metaforicamente definisce gli spazi ‹‹stanze all’aperto››, in quanto
avranno ‹‹pareti›› che li separeranno dal resto del cortile (piante, staccionate, linee di
demarcazione ecc.). “Uno spazio è un luogo appartato o distinto. Una zona può essere
formata da tanti spazi collegati o da un solo spazio […]. Come le stanze di una casa, uno
spazio avrà delle funzioni primarie, per esempio il gioco avventuroso, ma sarà anche
sufficientemente flessibile da venir usato per scopi estemporanei diversi”.
A questa fase del progetto seguirà la dislocazione delle zone e degli spazi nelle aree del
cortile destinate a determinate attività.
La funzione che occuperà uno spazio ne determinerà anche la forma e la
dimensione, aiuterà a prendere decisioni anche relativamente alla forma, se questa debba
essere parziale o aperta su due lati.
I bordi che separeranno i vari spazi, devono essere a misura di bambino,
relativamente bassi per una migliore sorveglianza ma altrettanto alti da creare un luogo
sicuro e appartato; se i bordi di uno spazio saranno usati bene potranno fungere da gioco
quanto gli spazi stessi che delimitano.
Anche le attrezzature svolgono la loro parte nell’ arredo di un cortile, che dovrebbe
contenere il maggior numero di attrezzature per evitare sovraffollamento e di conseguenza il
deterioramento dei giochi, per evitare tutto questo ogni zona deve essere dotata di
attrezzature conformi alla sua funzione.
Sono preferibili le superfici d’asfalto nei luoghi più frequentati, mentre il prato si
riserva alle zone che hanno meno accesso.
Relativamente
alle
rifiniture,
un
valido
supporto
si
trova
nell’ impiego
di
composizioni floreali, ciò che per gli adulti può essere confusionario, per i bambini sarà
una fonte di stimoli.
Dopo la fase della progettazione, si passerà alla quinta fase in cui il progetto verrà
attuato, e poi alla sesta relativa alla manutenzione e revisione del cortile. Nell’ ultima fase
sarà stabilito un codice di comportamento
per l’ utilizzo del cortile, stilato dagli stessi
alunni.
La manutenzione va concordata prima di qualsiasi progetto, poiché una carenza
riguardo a questo aspetto, rischia
di condurre al fallimento dell’ intero progetto. La
64
Higgins, C., “Come migliorare gli spazi all’aperto della scuola”, in Sharp S. e Peter K. Smith. (a cura di)
Bulli e prepotenti nella scuola. Prevenzione e tecniche educative, Erickson, Trento, 1995, p. 165.
6
manutenzione del cortile dovrebbe essere inserita nelle ore
curricolari e non
affidata
soltanto ad un membro del personale.
Il nuovo ambiente va percepito in maniera dinamica, ciò significa che gli utenti
devono tenerlo sotto controllo per apportare eventuali aggiustamenti in funzione delle loro
necessità.65
Per ridurre le prepotenze in cortile, non basta soltanto riuscire ad attuare e mantenere
un buon progetto di ristrutturazione fisica dell’ ambiente, tale lavoro va integrato con un
adeguato programma di formazione del personale addetto alla sorveglianza durante la
ricreazione e la pausa pranzo.
Secondo Boulton,66 accrescere le competenze degli assistenti scolastici, con adeguati
corsi di formazione, è il primo passo contro il bullismo in cortile.
Un problema frequente è la mancanza di rispetto e di autorità di cui godono gli
assistenti agli occhi degli alunni, i quali ne ignorano le direttive. Gli insegnanti implicitamente
stabiliscono delle gerarchie, lanciando messaggi di relativa superiorità per quanto concerne il
loro ruolo, rispetto al resto del personale non docente. Boulton suggerisce di adottare la
filosofia ‹‹tutti
fanno parte del
personale››, ogni componente della scuola va percepito
come una cellula essenziale al funzionamento quotidiano, quindi prima di migliorare la
relazione tra assistenti ed alunni, occorre stabilire una collaborazione assidua tra assistenti ed
insegnanti. Ogni giorno dopo la pausa pranzo dovrebbero incontrarsi per scambiarsi
informazioni relativamente al comportamento assunto dai ragazzi, tale complicità permetterà
di concordare delle soluzioni uniformi da adottare, al fine di contrastare i fenomeni di
prepotenza. Il messaggio da trasmettere riguarda l’importanza del comportamento da
assumere in cortile, che sarà valutato al pari di quello assunto in classe .
Nella maggior parte delle scuole del Regno Unito, gli assistenti vengono assunti
soltanto dopo intensi periodi di formazione. Il corso proposto da Sonia Sharp e Mike
Boulton consiste in due sedute di circa due e ore mezza ciascuna, durante la prima seduta
65
Confrontando la politica inglese con quella di molte di scuola d’ Italia, in particolare del Sud, è percepibile
quanto ancora si sia lontani da quell’ethos culturale che metta al primo posto le esigenze dei bambini. In
molte scuole il progetto del cortile proposto dai collaboratori di Smith, sembra un miraggio; non solo il cortile
ma perfino le aule, i corridoi e i bagni testimoniano una situazione di degrado, che sicuramente aumenterà
quel senso di frustrazione alla base dei comportamenti bullistici; non è raro sentir parlare dai notiziari di
strutture scolastiche abbandonate a se stesse, di aule umide e sporche che rendono difficoltoso il normale
svolgimento delle attività didattiche. In certi contesti è impensabile che gli insegnanti tolgano tempo allo
studio, per incentivare la partecipazione degli alunni ad un progetto come quello inglese, se non tramite un
tenace lavoro di sensibilizzazione da parte di operatori esterni.
66
Boulton,, M., “La prepotenza in cortile”, in Sharp S., Peter K. Smith. (a cura di), Bulli e prepotenti nella
scuola. Prevenzione e tecniche educative, Erickson, Trento, 1995, p. 114.
6
si cerca di far capire agli assistenti l’ importanza che la direzione della scuola attribuisce al
loro ruolo e quanto il loro contributo possa migliorare il clima scolastico.
Uno dei punti principali del corso riguarda la definizione di comportamenti bullistici, come
riconoscerne i segnali, soprattutto quelli del bullismo indiretto.
Un errore comune nel quale possono incorrere gli assistenti è quello di scambiare
comportamenti aggressivi con il cosiddetto “rough-and-tumble”67.
Il “rough-and-tumble” consiste nel gioco della lotta rincorrendosi; a differenza della
lotta aggressiva, quest’ attività favorisce un’interazione positiva tra i compagni e, a
differenza del bullismo, l’ unica intenzione è il gioco, che in questo caso accresce la
competenza sociale dei bambini e la capacità di negoziare; lo scambio dei ruoli previsto da
questa lotta giocosa, tra chi sottomette e chi è sottomesso “può facilitare lo sviluppo della
capacità di scambiarsi i turni (turn - taking) e preparare il terreno alla pratica dei giochi con
regole”.
Se l’assistente interviene in questa tipologia di comportamento, rischia di suscitare
da parte dei ragazzi una reazione aggressiva nei suoi confronti senza alcuna motivazione
apparente.
In altri casi l’ assistente non riconosce un atto di bullismo, poiché alla vittima è stato
imposto di tacere prima ancora che l’adulto intervenga68.
Dopo aver definito cosa si intende per comportamenti bullistici, si passa alla
spiegazione delle strategie preventive da impiegare.
La prima responsabilità di bidelli e assistenti è quella di procedere alla perlustrazione
dei punti
più appartati della scuola e nello specifico del cortile, ciò permetterebbe agli
alunni di muoversi con maggiore sicurezza.
Rafforzare la sorveglianza permetterà agli assistenti di capire chi sono i bambini
coinvolti in episodi di bullismo. Questo consentirà di osservarli a distanza evitando forme
di etichettamento che possano nuocere all’ autostima del bambino sia esso bullo o vittima.
Si giudica il comportamento non il bambino.
Gli alunni solitari dovrebbero attirare l’attenzione dell’ assistente, in quanto sono i
più esposti agli attacchi dei bulli, l’ intervento dell’ adulto li aiuterà ad integrarsi in attività
ricreative.
67
Genta M.L., Pieracci L, Canei B., “La ricerca osservativa sul bullismo e la ricreazione” in Maria
Luisa Genta (a cura di) Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola. Carocci, Roma, 2002, pp. 66-67.
68
Grazie al corso di formazione potrebbe imparare a riconoscere i segnali di turbamento della vittima.
6
Un colloquio separato sia con i bulli, sia con le vittime, aiuta
a far sentire la
presenza di una sorveglianza attenta. Il messaggio deve essere chiaro: in quella scuola non
si accettano comportamenti del genere.
Di fronte all’atteggiamento aggressivo dei ragazzi, l’ assistente deve sforzarsi di
mantenere la calma, i bambini tendono ad imitare l’ atteggiamento degli adulti, di fronte ad
una reazione esasperata si
sentiranno autorizzati ad adottare dentro e fuori il conteso
scolastico comportamenti violenti; se riuscirà a mantenere il controllo non farà minacce che
non potrà mantenere, perdendo considerazione davanti agli alunni.
Quando l’assistente interviene bisogna che ascolti con attenzione, senza trarre
conclusioni affrettate, così dimostrerà di essere una persona corretta. Le sanzioni vanno
inflitte gradualmente, all’inizio vi sarà solo un avviso verbale, se la situazione persiste si
coinvolgerà la direzione, e se non bastasse si provvederà ad avvertire i genitori.
Di pari passo con la punizione dei comportamenti positivi, va il riconoscimento delle
azioni positive, che l’assistente potrà esprimere con piccoli apprezzamenti, che provvederà a
riferire anche ai docenti.
Una delle principali caratteristiche delle vittime è quella di soffrire in silenzio, per
paura o vergogna. Un assistente rispetto ad un insegnante o un genitore, è una figura neutra
cui fare affidamento, non solo sarà in grado di intervenire direttamente, ma potrebbe fungere
da tramite tra l’alunno e il personale docente.
Concludendo se l’ assistente avrà fatto proprie le giuste strategie da adottare, i bulli
si sentiranno scoraggiati dalla sua presenza e le vittime saranno più propense a confidarsi e
difficilmente saranno schiacciati dalla solitudine e dall’abbandono che li accompagna.
3.2.3
L’ approccio curricolare
Nel primo paragrafo si è spiegato in cosa consista la politica integrata antibullismo,
nel secondo, trattando la prepotenza in cortile, si sono messe in evidenza alcune delle
soluzioni al livello scolastico, qui di seguito passerò all’analisi dei principali interventi al
livello di gruppo-classe, sperimentati inizialmente nel Regno Unito e dopo adattati alla realtà
italiana.
Il termine ‹‹curricolare››, rimanda alla trasmissione
di contenuti educativi durante le
lezioni69.
69
La terza edizione del dizionario italiano Zanichelli, riporta la seguente definizione di curricolo: “carriera
scientifica, burocratica o accademica di una persona. Resoconto sommario delle successive fasi di tale carriera”.
7
Con questa definizione si rimane fermi a un’ ottica che vede la scuola come una sterile
dispensatrice di nozioni e di voti.
Sostanzialmente si può affermare che la realtà è questa, ma una scuola che vuole
adottare una politica contro il bullismo, deve prevedere e valutare anche l’esistenza del
‹‹curricolo trasversale››.70
Il curricolo trasversale è parallelo e complementare ai curricoli disciplinari, il cui
obiettivo è quello di formare non soltanto lo studente, ma il cittadino.
L’approccio curricolare, tramite lo spunto di varie discipline didattiche, mira ad
accrescere nello studente quella maturità personale improntata al rispetto del pensiero altrui,
anche se diverso dal nostro schema mentale, alla comprensione e sensibilità verso chi è più
debole e bisognoso di aiuto, all’ intolleranza verso ogni forma di prevaricazione. Soltanto in
questo modo la scuola doterà i suoi allievi delle competenze necessarie, affinché possano
esercitare la loro cittadinanza in modo consapevole, nell’ ambito di una società democratica
(cfr. § 4.12)71.
Per quanto concerne il bullismo, gli alunni devono prendere consapevolezza non solo
di che cosa sia, e quali conseguenze provochi, ma quali ingranaggi trasformino una delle
principali agenzie educative in un inferno per le vittime e in un’ arena per i bulli, secondo
la metafora usata da Gian Vittorio Caprara.72.
Ma il processo di consapevolezza del sé e degli altri, non può essere guidato da un
solo insegnante, l’obiettivo riguarda l’intero consiglio di classe, la riflessione non avrà
valore se prenderà il via da una sola disciplina, gli insegnanti devono impegnarsi a
collaborare senza porre gerarchie basate sulle materie d’ insegnamento.
Nell’approccio curricolare, i contenuti devono essere mirati, la metodologia didattica
da adottare non è frontale, ma cerca di stimolare la partecipazione degli alunni, seguendo
Il significato generico del termine curricolo rimanda quindi alle esperienze lavorative e ai titoli accumulati
affinché ogni persona adulta possa accedere a determinati ambiti lavorativi. Restringendo il focus intorno ad
un ambito scolastico, lo Zanichelli per curricolo intende l’ “attività di programmazione degli operatori scolastici
mediante l’ integrazione flessibile di obiettivi, contenuti, metodi, tecniche di valutazione”.
70
Ongaro V., “Favorire la consapevolezza in classe: l’ approccio curricolare” in Ersilia Menesini (a cura di)
Bullismo: le azioni efficaci della scuola. Percorsi italiani alla prevenzione e all’ intervento. Erickson, Trento,
2003, pp. 70-71.
71
Nel corso degli anni lo studio dell’ educazione civica si è sempre più affievolito, le ore dedicate a
questa disciplina sono sempre meno, i cosiddetti “Studi sociali” stanno scomparendo. Bisognerebbe ripartire da
questa disciplina per iniziare una sana riflessione sulla legalità e sulla convivenza democratica.
72
Gian Vittorio Caprara è ordinario di Psicologia della personalità e Direttore della Scuola di perfezionamento
in psicologia dello sport alla Facoltà di psicologia dell’ Università “La Sapienza” di Roma. E’ direttore del
Centro interuniversitario per la ricerca sulla genesi e sullo sviluppo delle motivazioni prosociali e antisociali.
7
sempre contenuti mirati, lo stimolo infatti non si esaurisce nell’ imporre regole dall’ alto,
quelle regole vanno valutate reciprocamente e condivise.
Perché possa avere dei risvolti positivi, quest’attività non deve avvenire in maniera
sporadica, ma deve far parte costantemente del percorso didattico. Il fine ultimo di questa
strategia, è quello di concentrare la riflessione sulle responsabilità individuali di ciascun
componente della classe, mediante un riflessione personale.
Le linee guida dell’ approccio curricolare costituiscono il trampolino di lancio dell’
ultimo stadio da attraversare. Perché l’allievo acquisisca consapevolezza, deve concludere la
sua riflessione, sulla base degli stimoli ricevuti, raccontando un’ esperienza relativa al
proprio vissuto, con le emozioni piacevoli o spiacevoli che l’ hanno accompagnata. In sintesi
“si aiuti l’allievo a rielaborare personalmente il problema” (Menesini, 2003, 72).
Vediamo adesso dettagliatamente, quali contenuti selezionare, a seconda delle varie
discipline, e come adoperarli, al fine di suscitare la sensibilità degli alunni riguardo al
problema.
Le materie umanistiche, soprattutto quelle relative alla sfera letteraria, se trattate dalla
giusta
prospettiva,
costituiscono
un’importante
risorsa
per
stimolare
emozioni
e
considerazioni personali. La letteratura per ragazzi offre diversi spunti, che aiutano a tracciare
un profilo del bullo, a capirne le cause e le sofferenze che provoca alla vittima.
La sensibilità del ragazzo sarà rafforzata, tanto più il lavoro di lettura e di
rielaborazione scritta sarà stato condotto in maniera attenta.
Secondo Sharp e Thompson “la letteratura e la scrittura creativa, così come la
rappresentazione teatrale, offrono agli alunni l’ opportunità di sviluppare una percezione di se
stessi in contesti differenti e di sperimentare nuove prospettive di come mettersi in relazione
con gli altri […]. I bambini scrivono in maniera differente a seconda del pubblico. Questo
fattore è importante
quando prendiamo in considerazione il potere della scrittura per
cambiare i punti di vista su un problema come quello dei comportamenti bullistici”.
Tramite la lettura di brani letterari, discutendone alcuni passi e scrivendo documenti
per i ragazzi, si contribuirà all’ instaurazione di un
clima di apertura e di fiducia nella
scuola, in cui il seme della prepotenza troverà un terreno più aspro su cui germogliare.
Naturalmente la scelta dei brani terrà conto dell’ età degli studenti e del grado della scuola.
Tra i racconti proposti dagli autori inglesi, possiamo citare The Diddakoi di Rumer, oppure
The Heartstone Odyssey di Avan Kumar, che dimostrano l’ ingiustizia dei comportamenti
bullistici, e le strategie difensive applicate dalle vittime73.
73
Sharp, S., e Thompson, D.,“Combattere il bullismo attraverso attività didattiche in classe” in Sharp, S., e
Smith, K. P.,(a cura di) Bulli e prepotenti nella scuola. Prevenzione e tecniche educative. Erickson, Trento, 1995,
7
Uno dei racconti italiani da proporre invece è “Il prepotente” di Ian McEwan, tratto
dal libro “l’Inventore dei sogni”. Da questo brano si potrebbe riflettere sul problema della
forza del bullo, che si alimenta della paura e della forza degli astanti, si potrebbe avviare
la riflessione da questo periodo “Che cosa rendeva tanto potente il roseo, il paffuto Barry? E
all’ improvviso Peter trovò la risposta. Ma è ovvio pensò. Siamo noi. Siamo noi che lo
abbiamo sognato come il prepotente della scuola. Non è più forte di nessuno di noi. Tutta
la sua forza e il suo potere, ce li siamo sognati noi. Noi abbiamo fatto di lui quello che è
[…]. Con il crescere delle grida di scherno, la sua mano si sollevò in un pugno poco
convinto. E proprio a quel punto accadde una cosa terribile. Barry si mise a piangere”.
I
supporti
audiovisivi,
che
possono
essere
utilizzati
in
diverse
discipline,
sono
particolarmente adatti ad attirare l’attenzione degli allievi, i giovani padroneggiano i codici
iconici meglio del linguaggio verbale.
Vi sono molti film adatti a diversi fasce d’età, che presentano scene di violenza fisica tra
pari, ma anche scene di sorprusi femminili, nelle forme del bullismo indiretto. 74 Anche la
lettura dagli articoli di giornale, offre validi spunti per affrontare problematiche di interesse
sociale, la cronaca, offre molti spunti che aiutano i ragazzi sentire più vicino il fenomeno
delle prepotenze, comprendendone le caratteristiche, le cause e le conseguenze.
Anche la Storia
presenta
dei contenuti strettamente collegate con il tema delle
prepotenze.
In tutte le epoche, anche in quelle che vantano maggiore
civiltà, è sempre esistita la
differenza tra oppressi e oppressori. Dal colonialismo all’ Olocausto, fino alla guerra nei
Balcani, sono tutti esempi che stimolano la riflessione, sulle ingiustizie perpetuate dall’
abuso di potere, e sulla base di discriminazioni razziali.75 Anche le discipline giuridiche
offrono un valido spunto per affrontare il problema delle prepotenze, ma anche dell’ aiuto
reciproco; la lettura degli articoli di legge e di alcuni passaggi della costituzione, aumenta
p. 80.
74
Il film “In fuga dalla scuola media” ne è un esempio. Recentemente è stato presentato nelle sale
cinematografiche, il film “Un ponte per Terabithia”, tratto dall’ omonimo romanzo. I due protagonisti, per
sfuggire al bullismo scolastico che vivono tutti i giorni, trovano riscatto nella loro amicizia, grazie alla loro
immaginazione si rifugiano in un mondo magico, di cui diventano i monarchi.
75
La storia di Ghandi, può essere presentata ai ragazzi come simbolo della pace, un documentario o un film
sulla sua vita, potrebbe aiutare le giovani generazioni a valutare la possibilità di affrontare il conflitto attraverso
‹‹la non violenza››. Una sua frase da analizzare sarebbe la seguente: ‹‹ ci sono stati tiranni nella storia che in
primo momento sembravano invincibili, ma prima o poi sono decaduti››. Sarebbe lo spunto migliore per far
capire al bullo che il senso di onnipotenza procuratogli dal suo comportamento potrebbe in futuro portarlo a
conseguenze spiacevoli.
7
nei ragazzi la consapevolezza che lo stato tutela i più deboli, che rispetta la diversità e
tutela i principali diritti dell’ individuo.
Negli ultimi anni sono state applicate delle sentenze contro chi ha messo in atto
comportamenti da bullo, discuterne aiuta a prendere consapevolezza dei risvolti legali del
fenomeno delle prepotenze (cfr.Cap. VI).
Le discipline scientifiche
pur non offrendo, per loro natura, dei contenuti idonei,
potrebbero essere adoperate per stimolare il lavoro cooperativo, ad esempio un’ attività di
laboratorio o la risoluzione di un problema complesso.
L’approccio curricolare rispetto agli altri nell’ ambito del gruppo-classe, sicuramente
si concilia maggiormente con l’ attività didattica, e quindi dovrebbe essere adottato con più
disponibilità dagli insegnanti.
Un limite dei programmi didattici italiani, proposti dal Ministero, è quello di
costringere gli insegnanti a trasmettere massicce quantità di nozioni ai ragazzi, a rincorrere il
programma per tutto l’anno, svuotando le discipline curricolari del loro contenuto essenziale.
Negli ultimi anni, all’aumento dei contenuti da assimilare, i ragazzi sembrano
rispondere con un atteggiamento sempre più svogliato nei confronti della scuola, percepita
sempre più come una realtà astratta nella quale non si riconoscono. L’affaticamento che i
ragazzi subiscono a livello cognitivo induce ad un più rapido disinteresse verso lo studio, la
loro mente è intasata di contenuti che non hanno il tempo di assimilare ed interiorizzare.
L’approccio curricolare deve essere presentato come l’ occasione, per esplorare nelle
varie discipline
quei punti nascosti, quelle sfumature aderenti alla realtà, che la routine
quotidiana rischia di soffocare.
3.4 Il potenziamento delle abilità sociali
Gli assunti teorici, su cui si basano gli approcci che mirano al potenziamento delle abilità
sociali sono i seguenti:76
1. un bambino che presenti difficoltà nelle relazioni con i coetanei manca di abilità
sociali;
2. questo bambino può tuttavia acquisire tali capacità attraverso uno specifico training
formativo;
76
Ersilia Menesini, “Bullismo. Che fare? Prevaricatori e vittime tra i banchi di scuola”, in Psicologia
contemporanea, n. 149, pp. 38-44.
7
3. grazie alle nuove acquisizioni le sue relazioni sociali migliorano.
I bulli e le vittime risultano essere meno competenti sul piano sociale e relazionale
rispetto alla media. L’aggressività dei bulli dipende dalla loro scarsa empatia, dalla
percezione distorta relativamente ai comportamenti degli altri, percepiti come ostili, da
atteggiamenti egocentrici, mentre le difficoltà della vittima dipendono dalla loro inibizione e
dalla scarsa accettazione sociale.
Se gli attori coinvolti acquisiscono maggiore consapevolezza del proprio stato interiore,
riusciranno a decodificare meglio le emozioni dell’ altro, l’ individuo rafforza le proprie
capacità empatiche.
Il modo migliore per sviluppare un atteggiamento positivo all’interno del gruppo-classe,
è quello di favorire attività che promuovano la cooperazione tra gli alunni, a tale scopo è
fondamentale il ruolo dell’insegnante nel creare occasioni di lavoro e di aiuto
tra pari.
Affinché vi sia cooperazione è necessario che il gruppo abbia un obiettivo comune e
condiviso dai pari, nella cooperazione i successi degli altri diventano i propri (Fonzi, 1991;
Johnson, 1991).
Naturalmente il lavoro cooperativo non è facile, non basta mettere insieme dei
ragazzi perché riescano a lavorare bene, occorre osservare degli accorgimenti metodologici:
innanzi tutto occorre definire i tempi di lavoro per ogni obiettivo, organizzare lo spazio per
evitare interferenze tra i gruppi, formare piccoli gruppi combinando in modo diverso l’
appartenenza di genere dei membri, lo status sociale e le capacità cognitive, suddividere i
compiti in modo tale da garantire la partecipazione dei partecipanti. Ogni allievo ricopre un
ruolo, in questo modo non vi sono problemi né dominanza da parte di alcuni alunni, né di
esclusione di altri.
Come dimostrano gli approcci successivi, il lavoro
cooperativo è utile per migliorare il
clima sociale della scuola, infatti gli alunni possono trovare delle soluzioni relativamente ai
problemi sociali.
3.4.1
I circoli di qualità (CQ)
“Il circolo di qualità è un gruppo composto dalle cinque alle dodici persone che si
riunisce regolarmente, di norma una volta alla settimana, allo scopo di identificare modalità
7
idonee volte ad identificare le modalità idonee a migliorare l’ organizzazione in cui
operano”( Cowie e Sharp, 1995, 52-53).
L’obiettivo è quello di migliorare l’efficacia del gruppo, per trovare soluzione ai
problemi interpersonali e concreti comuni.
Il bullismo è uno dei problemi sociali più sentiti dai ragazzi durante la loro vita
scolastica, anche chi non è coinvolto direttamente, conosce chi subisce prepotenze, chi le
realizza, e le dinamiche correlate.
Il CQ è una strategia preventiva, che utilizza l’ influenza degli astanti per contrastare
il fenomeno, i membri del circolo di qualità sono responsabili dei cambiamenti positivi
apportati nell’ ambiente in cui vivono, sempre previa supervisione degli insegnanti.
Il procedimento da impiegare nel CQ, è il problem- solving, 77 il fine ultimo è quello di
stimolare negli alunni l’ attivazione delle risorse interne, affinché superando progressivamente
la
dipendenza
dall’adulto
prendano consapevolezza
della
possibilità
di
intervenire
concretamente.
Analizziamo nelle sue fasi l’ iter di un CQ:
•
Identificazione del problema: il gruppo stila un elenco dei problemi connessi al
fenomeno del bullismo, stabilisce un ordine di priorità, e decide quale affrontare per
primo, la scelta può cadere o su quello più grave o su quello più facile
da
risolvere, l’ identificazione del problema comprende la tecnica del brainstorming e dei
metodi di votazione;
•
Analisi del problema: dopo aver scelto il problema da affrontare, il gruppo cerca di
stabilire
le cause e i fattori che lo compongono. Tramite la tecnica ‹‹Perché?
Perché?››, prende atto delle cause più importanti;
•
Formulazione di una soluzione: Una volta analizzata la causa principale, i membri
del CQ, iniziano a proporre le soluzioni adeguate;
•
Presentazione di una soluzione: i membri del CQ, in questa fase devono lavorare
per presentare la soluzione ritenuta opportuna al comitato direttivo anti-bullismo. I
contenuti della presentazione devono essere chiari, il discorso deve essere esposto in
modo chiaro e sintetico. Infine devono essere pronti a rispondere alle eventuali
domande del contenuto direttivo;
77
Il problem -solving è uno dei principali modelli usati nelle professioni di aiuto, l’ utente che si rivolge al
servizio, è stimolato a scomporre il problema nelle sue parti, per poi attivare quelle risorse personali che gli
consentiranno di acquisire indipendenza e di trovare una soluzione efficace.
Le fasi seguite dagli alunni di CQ, sono le stesse che l’assistente sociale segue nel processo d’aiuto
con l’ utente.
7
•
Revisione della soluzione: alla fine il gruppo direttivo decide se attuare la soluzione
proposta. In caso di risposta negativa i membri del CQ, devono modificare la loro
proposta, oppure prendere in esame un altro problema.
Affinché il CQ giunga ad una soluzione concreta, la sua attività deve essere costante
nel tempo, una volta costituito il gruppo continua la sua attività a tempo indeterminato,
fissando degli incontri una volta alla settimana, durante ogni quadrimestre.
A ogni quadrimestre, dedicando un’ ora alla settimana all’attività si completa un CQ.
Durante gli incontri, i membri di un CQ, sperimentano come superare le divergenze d’
opinione e di personalità, rafforzano le abilità comunicative, imparano ad ascoltare gli altri,
a comprendere in profondità le cause del problema, a proporre soluzioni, a valutarne costi e
benefici. Il circolo di qualità
dà inizio a dinamiche di gruppo complesse, per questo
motivo, perché rimanga efficiente nel tempo, periodicamente l’ insegnante deve valutare il
lavoro svolto.
3.5 I modelli di supporto tra coetanei
Il modello di supporto tra pari, rispetto agli altri interventi svolti a livello di gruppoclasse, presenta la particolarità di usare gli stessi alunni come agenti di cambiamento.
Le ricerche dimostrano che le vittime di bullismo, sono più propense a confidarsi con un
compagno o con un amico piuttosto che con un adulto, soprattutto nella fase adolescenziale.
Con l’ approccio curricolare si punta alla sensibilizzazione del problema, è l’ approccio in
cui l’insegnante investe maggiori energie. Negli approcci che mirano a potenziare le abilità
sociali, come i circoli di qualità l’intervento dell’ insegnante diventa meno direttivo, si
limita a supervisionare e valutare periodicamente il lavoro dei ragazzi, i quali avanzano
soluzioni dopo un’ accurata analisi del problema. Nei modelli di supporto tra coetanei
invece gli alunni
sono promotori
attivi
dell’aiuto alle vittime, l’aiuto dell’ insegnante
diviene ancor meno incisivo, giocano un ruolo importantissimo i professionisti esterni (anche
lo psicologo scolastico qualora sia presente, può adempiere a questa funzione), i quali
selezionano gli alunni più idonei a ricoprire il ruolo di operatori. A loro volta, devono
essere sottoposti ad un intenso periodo di formazione, in cui dovranno acquisire le abilità di
7
base, proprie delle professioni d’aiuto,
al
fine di capire realmente la sofferenza della
vittima e di aiutarla in modo efficace.78.
Soprattutto durante il periodo della scuola media, i ragazzi tendono ad incorporare
gli atteggiamenti negativi
infliggono;con i modelli
dei
coetanei, non rendendosi
di supporto
conto spesso del male che
dei coetanei, si tende a potenziare le capacità
empatiche dei ragazzi, che non sempre trovano riscontro pratico.
Vi sono diversi termini per definire approcci simili, “ tutorato dei coetanei”, “sostegno
emotivo e psicologico dei coetanei”, “aiuto e assistenza
dei coetanei”, gli autori inglesi
Cowie e Sharp, hanno coniato il termine “educazione dei pari”.
Pur differenziandosi nella struttura e nell’ organizzazione, gli interventi di supporto tra
coetanei presentano degli elementi comuni quali (Cowie, Wallace e Menesini, 2002):
a) i ragazzi operatori sono in genere volontari, possono autocandidarsi o essere scelti dai
compagni,
b) i ragazzi operatori ricevono un training formativo su alcune dimensioni e competenze
sociali rilevanti nel ruolo di aiuto che sono chiamati a svolgere,
c) i ragazzi operatori sono supervisionati e sostenuti da adulti, in genere insegnanti,
sistematicamente,
d) con il tempo i ragazzi diventano sempre più coinvolti, nell’ esperienza a livello di
selezione, di training e di supervisione del gruppo.
I modelli di supporto tra coetanei, talvolta hanno incontrato l’ ostilità degli adulti, i quali si
dimostrano diffidenti nel delegare il loro compito educativo agli alunni.
3.5.1
L’ operatore amico
La
tecnica dell’operatore amico, prevede l’attivazione di un piccolo
all’interno della
gruppo
classe, ognuno con compiti differenziati, che vanno da attività di tipo
organizzativo ad interventi di supporto psicologico.
I compiti dell’operatore amico sono i seguenti:
- agire come sostegno per i ragazzi arrivati da poco nella scuola;
78
A volte gli astanti non intervengono per paura di divenire loro stessi bersaglio dei bulli, se la scuola affida
ad alcuni alunni il ‹‹mandato›› di intervenire, il bullo sarà portato ad avanzare meno pretese sul presupposto
che chi non è coinvolto debba mettersi da parte. I suoi ricatti morali avranno minore presa sulla vittima,
alla quale difficilmente potrà affibbiare l’etichetta di ‹‹spia››.
7
- organizzare giochi o attività di socializzazione per i compagni più soli durante la
ricreazione o la pausa pranzo;
- aiutare i compagni con maggiori difficoltà di apprendimento a fare i compiti;
- essere disponibili ad aiutare o ad ascoltare coloro che hanno un problema;
- stare vicino ai compagni emarginati e vittime di bullismo;
- essere vicini emotivamente ai ragazzi che stanno vivendo un periodo difficile della loro
vita (trasferimento di città, delusioni sentimentali, separazioni in famiglia, lutti, rapporti
conflittuali con i genitori).
L’intervento prevede cinque fasi:
•
Intervento preliminare in classe: in questa fase si iniziano a porre le basi del progetto
sia all’ interno del gruppo- classe, che nei confronti di altre classi, di genitori e
insegnanti. Inizialmente si fa riferimento all’ approccio curricolare per approfondire il
problema del bullismo. Successivamente si cerca di trovare degli slogan per
pubblicizzare il progetto, e renderlo visibile nell’ ambito della comunità in cui è
inserita la scuola;
•
Attività preparatorie per la selezione degli operatori: la seconda fase prevede la
selezione degli operatori che ricopriranno il ruolo di ‹‹operatore amico››. I ragazzi
sono invitati a presentare coloro che presentano le caratteristiche di altruismo, fiducia,
ascolto e mediazione; in media occorrono tre o quattro ragazzi per ogni classe. I
ragazzi
vengono
autocandidarsi
stimolati
a
selezionare
i
loro
compagni(che
possono
anche
o essere indicati dagli insegnanti), grazie all’ attività del circolo di
aiuto; la classe seduta in cerchio chiude gli occhi e pensa ad un aspetto della vita
scolastica che gli risulta difficile, il ragazzi iniziano a fare qualche esempio,
successivamente, a turno ognuno cerca di completare la frase. Il conduttore annota
queste affermazioni. Nell’ esercizio di condivisione, il conduttore invita ognuno a
pensare ad un avvenimento della loro vita che ritengono importante e che non hanno
mai confidato. Non devono comunicare al gruppo quel momento, ma solo a chi
confiderebbero quell’evento, senza dire il nome. Il supervisore invita poi i partecipanti
a pensare perché hanno scelto quella
persona e a descriverne le qualità. Il
supervisore annota queste caratteristiche in un foglio;
•
il training comunicativo-relazionale per gli operatori: gli operatori selezionati sono
sottoposti ad un training condotto da uno psicologo, in collaborazione con la scuola.
Il training può essere organizzato in un giorno sotto forma di seminario, i altri casi
si utilizza il periodo del doposcuola o le ore di compresenza degli insegnanti, ad
7
ogni modo bisogna dedicare dalle otto alle dieci ore alla formazione degli operatori,
affinché potenzino le loro abilità.
L’operatore deve capire e mettere in pratica la modalità di ascolto attivo. La capacità
di ascolto non è così scontata come si pensa, il sentire non coincide con l’ ascolto.
L’ascolto attivo implica vicinanza emotiva verso l’ altro, porsi nei suoi confronti con
vicinanza e attenzione.79 L’ ascoltatore non deve essere assente mentalmente, né porsi
in modo direttivo, svalutando il punto di vista di chi gli sta di fronte per imporre la
sua opinione.
Il rispetto, l’interesse, la disponibilità verso l’interlocutore va manifestata attraverso il
linguaggio non verbale, ad esempio la postura rigida o lo sguardo altrove comunicano
distacco e freddezza.
Durante il colloquio l’ interlocutore deve saper alternare, domande aperte e domande
chiuse. Le domande aperte spingono a parlare di se stessi e favoriscono un dialogo
spontaneo e un maggior numero di informazioni, nello stesso tempo però risultano
dispersive, su un interlocutore timido si rischia un atteggiamento di chiusura. Le
domande chiuse invece sono mirate e focalizzate su un punto, permettono di ottenere
informazioni chiare e precise, ma si rischia di tralasciare altri dettagli;
•
l’ intervento nella classe: in questa fase gli operatori comunicano ai compagni di
classe, l’esperienza vissuta durante il training, e progettano insieme un programma di
intervento per la classe. A questo punto si organizzano le attività pratiche in cui
ognuno degli operatori sarà impiegato. E’ importante che prima dell’ inizio delle
attività l’ insegnante incontri gli operatori per confermare il consenso della classe.
Nel caso di un ragazzo-vittima, eventuali compiti degli operatori possono essere:
-
due di loro si siedono vicino a lui durante la pausa pranzo,
-
uno si siede vicino a lui in classe,
-
uno gli sta vicino durante la ricreazione,
-
cercano di aiutarlo nei compiti,
-
cercano di valorizzarlo,
-
si sforzano di integrarlo in una rete di relazioni positive,
-
lo difendono apertamente dagli attacchi dei bulli,
-
cercano di conquistarsi la sua fiducia.
79
Bisogna percepire oltre a quello che dice, anche quello che non dice, il problema raccontato durante il
colloquio può essere correlato a sentimenti che l’ interlocutore non manifesta.
8
Durante questa fase gli alunni operatori hanno come referente un supervisore referente, il
cui compito è quello di offrire momenti di riflessione e di confronto, soprattutto nei
momenti di difficoltà.
•
Il
passaggio
di consegne: il progetto deve partire da pochi alunni per
estendersi progressivamente ad una quantità sempre maggiore. Negli incontri
successivi vengono selezionati altri operatori amici, fino al coinvolgimento
dell’intera classe, coloro che hanno già affrontato l’ esperienza possono aiutare
gli altri compagni durante il training o la supervisione.
3.5.2 La consulenza dei pari
Questo modello di intervento, si presenta più strutturato rispetto al primo, richiede
maggiore organizzazione, il ruolo assunto dai ragazzi si avvicina maggiormente al profilo
professionale del consulente.
I compiti che i ragazzi possono assumere vanno dalla gestione di uno sportello di ascolto
all’ interno della scuola, alla conduzione di una linea telefonica di aiuto.
Coloro che decidono di esserne gli operatori, ricevono un training ed una
supervisione continua da uno psicologo o da un esperto di counseling.
Secondo Naylor e Cowie (1999) questi programmi hanno lo scopo di:
-
espandere e aumentare i servizi
di supporto e di aiuto presenti nella
comunità scolastica;
-
fornire ai ragazzi le abilità per fronteggiare i problemi dei coetanei e quelli
personali;
-
affrontare i problemi psicosociali del gruppo;
-
creare un contesto sociale e psicologico più positivo.
8
Helen Cowie nello specifico definisce gli operatori dello sportello di counselling
“compagni terapeuti”, e sottolinea la differenza delle capacità empatiche nei due sessi. Le
ragazze mostrano un aumento di questa capacità di dieci anni in avanti, indistintamente nei
confronti di maschi e femmine, i ragazzi invece soprattutto nei confronti dei loro coetanei
maschi mostrano una riduzione delle capacità empatiche.
Per i maschi subire prepotenze è più problematico poiché tendono a subire le
pressioni del contesto sociale, che tende ad attribuire alla figura maschile
“duro”, per questi motivi è riluttante a
il ruolo di
confidarsi per la paura di essere considerato
debole, per le ragazze invece è istintivo confidarsi con qualcuno, soprattutto con persone
delle stesso sesso, senza che comporti pregiudizio alcuno.
La percentuale di bambini che non raccontano di aver subito prepotenze80 è pari al
14% in scuole in cui è attiva la politica antibullismo, contro il 36% delle scuole
non
organizzate al riguardo.
La consulenza
tra pari come il modello dell’ operatore amico, ha l’obiettivo di
intervenire sulle situazioni che creano sofferenza nelle vittime, a differenza del modello
precedente i gli operatori consulenti, cercano di rivolgersi non soltanto agli alunni presi in
carico tramite l’ assegnazione da parte degli adulti, ma all’intero gruppo-classe.
3.5.3
La mediazione
La mediazione è un metodo strutturato di gestione e risoluzione delle difficoltà
interpersonali, a partire dall’ aiuto di un team di compagni mediatori che in genere operano
in coppia.
L’origine dell’ aggressività del bullo dipende dalla sua incapacità di gestire il conflitto, e la
sofferenza della vittima dalla sua personalità vulnerabile.
Quando si parla di conflitto si tende a percepire uno scontro tra due persone in cui l’uno
vince e l’ altro perde. Un metodo per la risoluzione del conflitto è quello di creare un clima
di collaborazione e di ascolto, che permetta di giungere ad una situazione di accordo
reciproco, in cui ambedue le parti siano soddisfatte.
Prima di qualsiasi intervento di mediazione, gli operatori devono comprendere fino in
fondo che cosa sia e che cosa comporti il conflitto.
80
Helen Cowie “L’ infelicità delle vittime. Perché soffrire in silenzio,” in Maria Luisa Genta (a cura di)
Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola, Carocci, Roma, 2002, pp. 46-50.
8
Secondo Daniele Novara, una pedagogia tradizionale e moralistica tende a considerare
il conflitto nei bambini come un momento transitorio, da superare e riempire con momenti
di ordine e armonia. Il litigio è visto in modo contrapposto alla concordia, in realtà i due
poli sono complementari, poiché è attraverso l’ incontro e lo scontro che i bambini
imparano a conoscere se stessi e a confrontarsi con gli altri (www.smontailbullo.it).
Il conflitto è inerente alla condizione umana, è inevitabile che ognuno di noi abbia
desideri e opinioni differenti dagli altri.
Si ritiene che la conseguenza di un conflitto sia il peggioramento delle relazioni,
in realtà il conflitto solo quando è gestito male assume valenza distruttiva, in caso contrario
offre l’opportunità di conoscere se stessi e gli altri. In questo modo il conflitto subisce
un’evoluzione, determinando maggiore riavvicinamento e rispetto reciproco tra le parti
(Menesini, Modiano, 2003).
Nel processo di mediazione il ricorso ad un soggetto imparziale quale è il mediatore,
avviene in modo volontario, è necessario che le parti siano motivate e collaborino con il
mediatore per appianare le loro divergenze. La soluzione al conflitto deve giungere dalle
persone coinvolte, senza l’imposizione esterna . Gli obiettivi della mediazione riguardano:
•
prevenzione della violenza scolastica, tramite il potenziamento di strumenti orientati
alla risoluzione del conflitto;
•
apprendimento di strategie e attività necessarie per svolgere la funzione di mediatori
dei conflitti;
•
promozione di un clima socio-affettivo in cui
l’incontro con l’altro sia percepito
come un arricchimento personale.
Coloro che ricopriranno il ruolo di mediatori devono sottoporsi ad un periodo di
training per acquisire le abilità necessarie.
I mediatori devono rimanere neutrali, indicare e far rispettare le regole del procedimento,
ascoltare con attenzione, garantire la riservatezza e aiutare a trovare soluzioni con delle
domande.
Torrego presenta un percorso di mediazione formale nelle sue fasi:
1. La
premediazione:
i due
mediatori
incontrano separatamente le parti, durante
questo incontro decidono se collaborare al processo di mediazione. Durante questa
fase i protagonisti sono aiutati a scaricare le loro emozioni, in modo da poter
8
giungere alla mediazione con maggiore apertura verso l’ altro. Durante questa fase
si concorda il luogo e il tempo del programma di mediazione, oltre la conferma
dei mediatori. Questa fase è preliminare all’ intervento vero e proprio, in quanto i
mediatori valutano
se si debba intervenire tramite il processo di mediazione o
accostarsi a un altro approccio. La mediazione è possibile quando vi è la volontà
di risolvere il conflitto da entrambe le parti, quando malgrado desiderino
mantenere le distanze devono rimanere in contatto, e quando il conflitto ha
ricadute su persone terze. Non si ricorre alla mediazione quando il sentimento di
rabbia che accompagna il conflitto è ancora troppo forte, perché le parti si diano
ascolto a vicenda, oppure una delle parti non si fida dell’altro o lo teme;
2. Presentazione
e
regole
del
gioco: le parti e il mediatore
si incontrano
nel
giorno, nel luogo stabilito, dopo la relativa presentazione si avvia il processo di
mediazione;
3. Racconto: ognuna delle parti inizia a esporre la propria versione dell’ accaduto
(aiutata dai mediatori ad esprimere le loro emozioni in modo non aggressivo), nei
tempi concordati con il mediatore, il quale nel frattempo cerca di capire il focus
del problema, identifica i punti di accordo e disaccordo, i sentimenti, i rispettivi
valori, valutando se stia avvenendo un confronto;
4. Chiarire il problema: il mediatore pone alle parti delle domande precise sui punti
non chiari del racconto. L’ opera dei mediatori in questa fase consiste nel cercare
di spiegare le ragioni reciproche per giungere alla soluzione;
5. Proporre una soluzione: sono le parti a questo punto che devono proporre una
soluzione. Ogni proposta viene valutata e discussa;
6. Giungere a un accordo: una volta decisa quale proposta sia soddisfacente per
entrambe le parti si redige l’ accordo che prende la forma di un contratto, firmato
dalle parti. I termini devono essere chiari, concreti e operativi.
Ovviamente questa procedura, in un contesto scolastico, subisce variazioni inerenti
all’ambiente (cfr.IV).
Queste sono le fasi di un percorso di mediazione formale, ma la mediazione avviene
anche in forma informale, ciò accade
quando si aiutano due persone a trovare
un
accordo, con norme flessibili e con un dialogo proprio di una conversazione amichevole.
Il mediatore può essere chiunque spontaneamente decide di trovare un accordo o di
migliorare la relazione tra due persone.
8
3.6 Interventi individuali per i bulli
Le strategie
finora presentate, impiegate sul contesto scuola, e sul gruppo-classe
ricoprono una funzione preventiva, tesa ad instaurare un clima di democrazia e solidarietà,
che permetta ad ognuno di frequentare la scuola sentendosi libero e protetto.
Le attività finora descritte sono quelle più efficaci ai fini di un cambiamento radicale,
tuttavia
le ricerche dimostrano, che il cambiamento
seppure significativo avviene
gradualmente, il tempo mimino per registrare dei progressi è di circa due anni.
Nel frattempo però, la scuola si trova di fronte a delle vere e proprie emergenze che in
qualche modo deve affrontare tempestivamente.
In questo caso si ricorre soltanto ad interventi mirati, sugli attori coinvolti, il bullo e
la vittima, con le rispettive famiglie.
3.6.1
L’ approccio morale
L’approccio morale è parte integrante del modello australiano di Rigby. E’ più vicino
al modello norvegese che a quello inglese, per l’ impronta direttiva che presenta.
Tale approccio non può essere applicato se la scuola non ha lavorato con i ragazzi alla
costituzione di un’ etica scolastica contro le prepotenze, e gli studenti non ne abbiano
interiorizzato i valori.
Se uno degli studenti assume comportamenti da bullo viene contattato, gli viene
richiesto di
riflettere sull’ accaduto mediante un colloquio o per iscritto. L’ alunno deve
prendere consapevolezza dei suoi errori e porgere le proprie scuse alla vittima.
Infine i genitori del bullo vengono invitati allo scopo di spiegare loro i valori della scuola.
Questo approccio punta all’ introiezione delle regole, ma non sempre si rivela efficace.
Il bullo ha bisogno di trasgredire le regole, per compensare in qualche modo il suo
disagio, l’assimilazione delle regole imposta dall’ alto non porterà a risultati proficui, se non
sarà affiancata da opportune attività che stimolino la cooperazione e la convivenza sociale.
8
3.6.2
L’ approccio legale
L’approccio legale comprende una serie di regole, di cui il bullo dovrebbe essere a
conoscenza. Si applica la legge della scuola e la pena può essere lieve, media o severa. La
punizione deve essere percepita dal bullo come conseguenza delle sue azioni.
Questo approccio prevede un intervento rapido senza alcuna consulenza psicologica. La
gestione delle regole e delle sanzioni può avvenire in collaborazione con gli studenti. In
Inghilterra sono stati attivati dei tribunali anti-bullismo gestiti dagli alunni.
Quest’approccio non agevola la riconciliazione tra bulli e vittime, soprattutto quando
sono gli studenti a gestire le regole.
3.6.3 Il metodo dell’Interesse Condiviso
Il metodo dell’ interesse condiviso è stato lanciato dallo psicologo svedese Arnold
Pikas.
Questo approccio è appropriato per il bullismo di gruppo contro una stessa vittima.
Lo scopo non è quello di punire chi realizza comportamenti da prepotente, ma di creare
delle regole che pongano le basi per una convivenza serena a scuola.
Il principio da cui parte questa tecnica è che esiste un problema, l’ alunno che è
vittima di comportamenti bullistici, sta male a scuola.
Per riuscire a modificare il comportamento degli alunni, l’ insegnante deve
seguire
scrupolosamente il copione cui si ispira questo metodo.
I primi incontri
devono avvenire con il gruppo dei bulli, uno alla volta iniziando
dal ‹‹bullo leader››, l’ ultimo colloquio avverrà con la vittima.
Vi sono delle ragioni che giustificano questo ordine, scopo del metodo non è
colpevolizzare il bullo. In questo modo gli alunni torneranno in classe serenamente, stato d’
animo che viene percepito dagli altri
alunni
coinvolti nel bullismo. Percependo un
atteggiamento di tranquillità da parte degli insegnanti, saranno propensi ad avere un
8
atteggiamento positivo e a collaborare. Sentendo il racconto della vittima per ultimo, si
eviterà una possibile smentita da parte del gruppo dei bulli.
I colloqui devono avvenire consecutivamente, senza intervalli, non bisogna dare agli
alunni la possibilità di parlarsi tra di loro.
La stanza dove avvengono i colloqui deve essere riservata e senza linea telefonica.
L’ insegnante non deve sedersi di fronte all’alunno, ma deve mettersi alla pari sedendosi a
fianco. Durante il colloquio deve mantenere un atteggiamento neutrale, senza imporre la
propria direttività, anche quando l’ alunno non collabora, l’insegnante deve aspettare che sia
l’ alunno a prendere la parola, se questo non avviene per sbloccare la situazione può
rimandare il colloquio in un altro giorno.
Durante il colloquio con la vittima, l’insegnante deve manifestare un atteggiamento di
intenso supporto. Di solito la vittima è grata nei confronti di chi le manifesta solidarietà, di
conseguenza sarà propensa ad aprirsi con la persona che le offre il suo sostegno.
Durante i
primi colloqui con i bulli, l’ insegnante
deve indurli
a cambiare ad
avanzare dei suggerimenti per trovare una soluzione, in genere propongono di lasciare in
pace la vittima o di divenirne amici; i primi incontri si concludono con il proposito da
parte dell’ alunno di mettere in pratica i comportamenti suggeriti.
Negli incontri successivi, l’ insegnante verifica se quanto stabilito durante i primi
colloqui è stato messo in pratica, se i comportamenti bullistici
non sono scomparsi, si
persisterà sulla fase iniziale.
L’ ultima fase è quella determinante, perché il bullo mantenga un atteggiamento
positivo a lungo termine, è questo il momento in cui i protagonisti coinvolti si incontrano
congiuntamente. In questa fase la vittima viene accolta in modo positivo dal gruppo, dopo
che si è discusso dei progressi portati avanti, e si chiede di elaborare una soluzione
alternativa nel caso in cui i comportamenti di prepotenza si ripresentino.
Dopo questo incontro si fissa un altro incontro a distanza di sei mesi, per verificare se la
situazione di collaborazione è stata mantenuta.
Un metodo simile è stato adoperato nel Regno Unito ad opera di Barbara Maines e
Gorge
Robinson: l’Approccio Senza Accusa.
Come il metodo dell’ Interesse Condiviso, così l’ Approccio Senza Accusa, si basa su una
soluzione partecipativa e non punitiva, che coinvolga gli alunni nella risoluzione dei
problemi. Il secondo metodo pone maggiore
attenzione allo stato emotivo degli attori
coinvolti, la sua applicazione richiede sette fasi (Sharp,Cowie, Smith):
8
1. Colloquio con
gli alunni
vittima di comportamenti bullistici:
l’insegnante
durante questo colloquio cerca di capire chi è coinvolto nelle prepotenze;
2. Organizzazione di un incontro con tutti gli attori coinvolti:
in questa fase, l’
insegnante incontra tutti gli attori coinvolti, anche coloro che non hanno preso
parte direttamente alle prepotenze;
3. Presentazione
del problema:
in
questa fase l’ insegnante informa gli alunni
sullo stato d’ animo della vittima;
4. Condivisione delle responsabilità:
a questo punto il gruppo deve prendersi le
proprie responsabilità e cercare di trovare una soluzione;
5. Ricerca delle soluzioni: a turno ognuno avanza una proposta affinché la vittima
si trovi meglio a scuola, senza approfondire ulteriormente;
6. Intervento autonomo degli alunni: l’ incontro si conclude attribuendo a ognuno
la responsabilità di risolvere il problema;
7. Nuovo
incontro: dopo circa due settimane, si fissa un ulteriore incontro con
ogni alunni, chiedendo come procede la situazione. L’insegnante fondamentalmente
deve verificare l’ interruzione delle sopraffazioni, e il miglioramento dello stato
d’ animo della vittima.
3.6.4 Il metodo PIC
La sigla è “Putting
Issues
in Common” (condividere i problemi), è un modello
terapeutico e risulta più pertinente al ruolo dello psicologo scolastico. E’ stato ideato da
Hazler, negli Stati Uniti.
Gli operatori cercano di prendersi cura dei danni psicologici provocati da coloro che non
rispettano le regole.
Prima di intervenire, il consulente deve avere la situazione sotto controllo, poiché non è
possibile intervenire quando vi è un clima di forte tensione. Affinché il lavoro risulti
proficuo, deve essere integrato all’interno di una politica scolastica
che definisca
determinate regole in modo chiaro e univoco.
Il metodo si compone di quattro fasi:
1. Di fronte ad un episodio di aggressività bisogna prima di tutto assistere chi ha
subito un danno, stilare un rapporto senza emettere giudizi, e cercare di stabilire
una relazione di lavoro con i soggetti;
8
2.
nella
fase iniziale occorre sostenere colloqui individuali con i bulli e con le
vittime, per focalizzare l’attenzione sulle necessità, in vista di un futuro lavoro di
collaborazione. Si ascolta prima il bullo e poi la vittima, i punti di vista dei due
interlocutori aiutano a capire
le varie sfumature del problema, approfondendo le
emozioni vissute. In questa fase si prepara il terreno per costruire una linea di
lavoro comune;
3. quando le condizioni sono favorevoli, si perviene ad un incontro congiunto, saranno
incontri relazionali, strutturati sotto forma di relazioni problematiche, che devono
pervenire al massimo dei benefici, con il minimo impiego di rimproveri;
4. man mano il percorso va avanti, bisogna rivalutare la situazione, e ridefinire gli
obiettivi.
Il PIC, il metodo dell’ Interesse Condiviso, a differenza dell’ approccio legale e
morale, hanno come fondamento un approccio umanistico, capire il bullo in quanto
persona. Al di là delle specifiche
differenze, questi metodi, hanno dei comuni
denominatori:
•
far nascere un senso di empatia nei confronti delle vittime;
•
sollecitare
la responsabilità individuale
dei bulli, puntando sul senso di
colpa;
•
lavorare congiuntamente per risolvere i problemi;
•
verificare gli sviluppi del percorso e rinforzare i comportamenti positivi.
Questi metodi puntano a modificare non solo l’ atteggiamento, ma anche l’atteggiamento
mentale del bullo.
Il successo di questi interventi dipende dalla qualità della relazione che il consulente
o l’insegnante riesce a stabilire
con l’alunno. In questo modo si può intervenire
direttamente sulla situazione, nello stesso tempo questa assunzione di responsabilità richiede
un grande dispendio di energie e di tempo, prima di intraprendere questo percorso la scuola
deve verificare la disponibilità del team che dovrà collaborare.
3.7 Interventi a livello individuale per le vittime
3.7.1
Il training dell’ assertività
8
Nel secondo capitolo delineando il profilo della vittima, si è cercato di capire perché
alcuni bambini vengono scelti dal bullo come bersaglio delle sue angherie; sostanzialmente
alla base dell’ incapacità di reagire da parte della vittima, vi è un forte senso di sfiducia,
scarsa autostima e mancanza di assertività.
Il termine assertività sta ad indicare un comportamento che permette all’ individuo di
esprimere le proprie emozioni, le proprie opinioni e di impegnarsi a risolvere positivamente
i conflitti, senza alterare la propria personalità o arrecare danno o fastidio ad alcuno.
La vittima nelle relazioni interpersonali, tende di più ad accontentare l’ altro che non
se stesso, non riesce ad opporsi alle influenze e alle pressioni degli altri, è un soggetto con
una forte ansia, che si inibisce quando deve far rispettare le sue esigenze, il suo unico
obiettivo è di evitare qualsiasi contrasto con gli altri. Se nell’ immediato la vittima riesce a
placare la sua ansia, a lungo termine, avvertirà una profonda sensazione di stress, a causa
della sua limitata capacità d’ azione, cui fa seguito il senso
di colpa per non sapersi
opporre. Il soggetto avrà interiorizzato il comportamento assertivo quando di fronte alle
prepotenze del bullo saprà rispondere in modo chiaro e diretto, esprimendo le proprie
opinioni, i propri sentimenti e i propri desideri, opponendosi a tattiche
aggressive; il training dell’ assertività
manipolatorie o
mira a sviluppare nella vittima queste abilità,
all’interno di un gruppo protetto e di sostegno.
Secondo
Banchetti (2002) “L’assertività è
un
modo
di comunicare che nasce
dall’armonia tra abilità sociali, emozioni e razionalità senza necessariamente modificare la
propria personalità. In questa integrazione entra in gioco l’ aspetto neurovegetativo per le
emozioni, quello motorio volontario per i gesti e le azioni ed infine quello corticalecognitivo per i pensieri e le verbalizzazioni. Tra questi tre aspetti della personalità esiste un
rapporto di interdipendenza per cui migliorare l’ assertività significa agire su ognuno dei
tre” (www.aquiloneblu.org).
Il training dell’ assertività è un approccio creato dai pedagogisti Tiny Arora e Enid
McNeill, è applicabile dalla scuola elementare alle scuole superiori.
Il primo passo è la costituzione del gruppo cui è rivolto il training, il numero varia
dai 4 ai 15 partecipanti. Vi sono due modi per individuare chi è vittima di comportamenti
bullistici, tramite indicazione diretta (degli insegnanti, delle famiglie o degli alunni stessi),
oppure tramite un’ indagine. Il primo metodo rischia si escludere alcuni soggetti, poiché non
sempre la sofferenza della vittima viene percepita correttamente, tuttavia per quanto riguarda
le indagini, la tattica migliore è somministrare questionari che garantiscano l’ anonimato, in
modo che chi subisce prepotenze non si vergogni di dichiararlo.
9
Per evitare di etichettare le vittime negativamente, la soluzione migliore è di
organizzare gli incontri durante la pausa pranzo, in modo che non siano costrette ad
allontanarsi durante le lezioni agli occhi dei compagni; ogni seduta ha una durata di tempo
dai trenta ai quarantacinque minuti, per un lasso di tempo di 6/8 settimane.
Per garantire la continuità dell’ incontro senza interruzioni, la gestione del gruppo va
affidata a due persone adulte, non necessariamente ambedue insegnanti, ma con competenze
di facilitatori ed esperienza nella gestione dei comportamenti bullistici.
Le tecniche assertive che devono apprendere sono le seguenti:
•
per contrastare una persona assertivamente, gli alunni durante il training, devono
apprendere modalità di risposta al livello del linguaggio
non verbale. Quando si
trovano davanti al bullo, devono guardarlo negli occhi assumendo una posizione
eretta, accompagnata da un’ espressione del viso neutra;
•
fondamentali sono le affermazioni accompagnate al linguaggio verbale, per svincolarsi
dai ricatti morali, dai raggiri o dalle minacce, si propone al soggetto di adoperare la
tecnica del disco rotto, che consiste nel ripetere la stessa risposta fino a quando chi
si ha di fronte non lascia perdere le sue richieste pressanti. Quando invece il bullo
insiste con gli insulti, se le richieste di finirla sono inutili, la vittima può ricorrere
al
fogging,81 una tecnica che consiste nel rispondere all’insulto, con affermazioni
neutre che mirino a smorzare il clima di tensione anziché a surriscaldarlo, di fronte
all’atteggiamento di calma della vittima, il bullo sarà portato a lasciare perdere la
situazione;
•
talvolta per chi è vittima di bullismo, è più conveniente chiedere aiuto agli astanti o
trovare una via di fuga per rivolgersi ad un adulto, con atteggiamento sicuro e
veloce, soprattutto quando sta per avvenire un’ aggressione di gruppo (per frenare il
bullismo, sarebbe utile se i ragazzi apprendessero alcune tecniche di autodifesa).
Durante il periodo di training, l’alunno matura determinate abilità assertive, imparando
a valutare le situazioni e le modalità con cui vanno impiegate, attraverso simulazioni
di scenette;
Le tecniche di assertività per essere efficaci, devono essere sorrette da una buona dose
di autostima, secondo obiettivo del training. Lavorare in gruppo, ricevere complimenti per i
risultati conseguiti o per determinate qualità manifestate, crea nella vittima un senso di
81
Sonia Sharp, Helen Cowie, Peter K. Smith, “Come gestire i comportamenti bullistici” in Sonia Sharp e Peter
K. Smith, (a cura di) Bulli e prepotenti nella scuola. Prevenzione e tecniche educative. Trento, Erickson, 1995,
p. 108.
9
sicurezza. Per mantenere un atteggiamento sicuro, durante il training gli alunni apprenderanno
delle tecniche che li aiutino a mantenere la calma in situazioni difficili, quali il
rilassamento fisico, il controllo del respiro e la visualizzazione.
Se il periodo previsto non è sufficiente, per alcuni alunni si continuerà a lavorare
individualmente.
Capitolo IV
La situazione italiana
4.1 Diffusione del bullismo in Italia
In Italia l’influsso delle ricerche di Olweus e di Smith, ha portato i primi frutti a
partire dal 1996.
Il termine bullismo oggi, largamente impiegato in riviste e articoli di giornale per
connotare il fenomeno della violenza scolastica tra pari, risale a non prima del ’96.
“Sul dizionario Zanichelli del 1993 al termine ‹‹bullo›› corrisponde la definizione di
bellimbusto che si mette in mostra con spavalderia”.82
Occorre attendere il 1996 affinché
il termine bullismo assuma il suo attuale
significato.
La prima ricerca in Italia è stata condotta nel 1993, nelle città di Firenze e Cosenza
dal gruppo di ricerca coordinato da Fonzi, cui fa seguito una ricerca coordinata in otto
regioni italiane.
82
Bacchini, D., “Il bullismo in Italia. Definizione, fenomenologia, prevenzione, in Famiglia oggi, n..6-7/2000, pp.
45-59.
9
I risultati della ricerca del ’93 attestano non solo la presenza del bullismo nelle scuole
italiane, ma anche la particolare gravità rispetto ad altri stati.
Metà dei bambini delle scuole primarie di Firenze dichiara di aver subito “qualche
volta o più” nell’ultimo periodo atti di bullismo e il 20% “una volta a settimana o più”.83
Relativamente al campione di Cosenza, il 38% dichiara di aver subito prepotenze
“qualche volta o più”, il 14% “una volta
a settimana o più”.
Nelle scuole medie le
percentuali diminuiscono, 29,6% a Firenze e 27,4% a Cosenza. Circa il 20% degli alunni
delle scuole elementari denuncia di aver fatto prepotenze “qualche volta o più”, l’8% “una
volta o più volte a settimana”. Nelle medie la percentuale è di 13,4% a Firenze e di
19,3% a Cosenza.
Anche i risultati della ricerca del 1997 condotta da Fonzi, confermano l’elevata
incidenza del bullismo in Italia, rispetto ad altri paesi con indici di vittimizzazione che
oscillano dal 41% nelle scuole elementari al 26% nelle scuole medie.
Il lavoro
di Ada Fonzi offre una panoramica a livello nazionale
fenomeno delle prepotenze, le ricerche svolte successivamente
si
riguardo al
concentrano solo su
specifiche realtà locali, senza risultati comparativi.
Emergono differenze significative tra Nord e Sud, sia dal punto di vista qualitativo
che quantitativo.
L’indagine inizia dalla Valle d’Aosta, continua con Piemonte, Bologna, Firenze, Roma,
per concludere con Calabria, Napoli e Palermo.
Lo strumento d’indagine utilizzato è il questionario anonimo di Olweus, adattato alla realtà
italiana. Il campione preso in esame riguarda il secondo ciclo della scuola elementare ( terza,
quarta, quinta) e l’intero ciclo della scuola media ( prima, seconda, terza).
Valle d’Aosta e Piemonte. Le percentuali riscontrate sono inferiori a quelle registrate
nel totale del campione italiano. Relativamente al Piemonte, l’ indagine coinvolge paesi in
provincia di Torino, zone periferiche di Torino, zone appartenenti al centro della città di
Torino. La Valle d’ Aosta comprende solo la zona rurale84.
La ricerca presenta delle convergenze con il lavoro di Olweus. La frequenza degli
episodi di bullismo, per chi subisce prepotenze, diminuisce con il passaggio dalla scuola
83
Maggi M, Buccoliero E, (2006), (a cura di) Progetto Bullismo. L’esperienza e il confronto di quattro
progetti di prevenzione. Berti, Piacenza, p. 37.
84
Bonino S., (1997), “Piemonte e Valle d’ Aosta: i ragazzi si raccontano”, in Fonzi, A., (a cura di), Il bullismo
in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Ricerche e prospettive di intervento,
Firenze, Giunti, pp. 19-49.
9
elementare alla scuola media (il 35% contro il 18%), sebbene per il sesso femminile, la
percentuale si presenti più alta.
Nella scuola primaria, maschi e femmine, subiscono prepotenze in misura uguale,
mentre alle scuole
medie, i maschi
riportano
una percentuale
più alta
rispetto ai
compagni (19% contro il 16%).
Per quanto concerne il luogo di residenza, i più colpiti risultano i bambini delle
elementari che abitano la
zona
periferica di
Torino. La percentuale più bassa viene
registrata nei bambini di scuola media del centro di Torino.
I ragazzi della zona
rurale
della Valle d’Aosta, denunciano
intensi, tuttavia, presentano percentuali inferiori rispetto al
episodi
di
bullismo più
centro e alla periferia. Ciò
significa che nonostante i ragazzi denuncino il fenomeno frequentemente, in media è meno
diffuso. Il
contrario avviene per i bambini
di città, i quali
pur
essendo vittime
di
bullismo in misura maggiore, sono più restii a denunciarlo. Solo per i bambini di paese,
il numero di episodi denunciati corrisponde a quello che effettivamente accade (Bonino,
1997, 29).
Per chi compie prepotenze ai danni dei compagni, la percentuale si aggira intorno al
30% alle elementari e il 24% alle scuole medie, con differenze significative tra i due
sessi, il 22% dei maschi contro il 10% delle femmine.
Per i bulli si riscontrano le percentuali più alte nelle scuole elementari situate in
zone periferiche e
rurali, mentre si
riscontrano le percentuali più basse nelle
scuole
medie situate in centro.
I paesi di provincia e della valle di montagna, rispetto al centro ed alla città,
sembrano conservare un sistema normativo coeso, a carattere comunitario. Famiglia e scuola
sembrano svolgere maggiormente il loro ruolo educativo.
Eventuale correlazione, tra queste peculiarità e la bassa percentuale di vittime e
bulli, dovrebbe essere confermata da studi successivi.
Relativamente alla
tipologia
di prepotenze subite, tra i maschi
delle elementari,
prevalgono le percosse (30%) e le offese (26%). Per le femmine delle elementari invece si
ha un’ inversione, il 30% delle prepotenze subite
riguarda
le offese, ed
il 22%
le
percosse. Questi dati avvalorano la tesi del bullismo indiretto nel sesso femminile. Nelle
scuole medie sono sempre le ragazze, a presentare la percentuale più alta di prepotenze,
perpetuate tramite le offese, il 44% contro il 38% dei maschi.
Sia per i maschi che per le femmine, diminuisce la percentuale di aggressioni
fisiche subite, il 30% dei maschi delle elementari contro il 20% delle medie. Nelle
9
scuole elementari le femmine che subiscono aggressioni fisiche, riportano una percentuale
del 21% contro il 14% delle scuole medie.
Per quanto riguarda le minacce, la percentuale aumenta in modo significativo, nel
passaggio dalle elementari ( 7%) alle scuole medie (15%) per i maschi. Relativamente alle
femmine la percentuale rimane invariata (5%).
I furti tendono a diminuire nelle scuole medie, in entrambi i sessi. Considerando
i dati in relazione al luogo di residenza, non vi sono differenze per quanto concerne le
violenze verbali, mentre quelle fisiche sono minori nella zone rurale della Valle d’Aosta.
L’isolamento presenta i valori più
bassi nei paesi. La percentuale di femmine che
subisce prepotenze, da un
di bulli, è più alta nelle
gruppo
ragazze della scuola
elementare, mentre i maschi tendono a subire prepotenze da un solo bullo. Nelle scuole
medie invece sono le ragazze a subire maggiormente le prepotenze del ‹‹branco››.
In entrambi gli ordini di scuola, i maschi sono individuabili più facilmente come attori, e
le femmine come vittime.
Altro
dato che accomuna entrambi gli ordini ed i sessi, riguarda i luoghi del
bullismo. La classe più di altri posti, si presenta come scenario di prepotenze.
Bologna. Il campione della ricerca di Bologna, riguarda i bambini di terza, quarta,
quinta del 6° e 15° Circolo delle scuole elementari, situate nell’ area periferica della città
(quartiere San Donato). Il quartiere è abitato da nuclei familiari con un livello socioeconomico medio, ed una quota di famiglie a rischio85.
Per entrambi i sessi, la percentuale di chi subisce prepotenze e di chi le attua, risulta al
di sopra della media. Per i bulli maschi il 34,9%, contro il 31,5% delle femmine, e il
46,5% dei maschi vittima, contro il 37,1% delle femmine.
Relativamente alle modalità di prepotenza, le femmine lamentano di sopportare di frequente
minacce, maldicenze
ed
esclusione
dal
gruppo, i
maschi invece si
trovano a subire
maggiormente offese e percosse.
Per entrambi i sessi, i prepotenti si trovano nella propria classe o in quelle più
avanti. La percentuale di vittime che si confida con uno della famiglia, è più alta nei
maschi (70%) e più bassa nelle femmine (59%).
85
Genta, M.L., Berdondini, L., Brighi, A., (1997), “Bologna: prepotenza e rappresentazione sociale in bambini di
8-11 anni”, in Fonzi, A., (a cura di), (1997), Il bullismo in Italia, Firenze, Giunti, pp. 50-65.
9
Provincia di Firenze.. Il campione, si basa sulla popolazione di scuola elementare
e di
scuola media, delle
quali due
situate nel
centro,
sei in periferia; quattro nel
comune di Firenze ed una in provincia86.
Anche
qui i risultati sono elevati, il
50,6%
dei
maschi ed il
41%
delle
femmine
subisce prepotenze alle elementari. Nelle scuole medie, il 31,2% delle femmine subisce
prepotenze, contro il 29,2% dei maschi.
Anche relativamente ai bulli, l’andamento risulta diverso per maschi e femmine, (33,3%
vs 13,5%), nella scuola primaria. Le scuole medie, presentano il 15,1% dei maschi bulli,
contro il 28% delle femmine.
Per quanto riguarda le modalità di prepotenza, le molestie verbali rappresentano la forma
di prepotenza più diffusa, ad entrambi i livelli d’età, sia nei maschi che nelle femmine. In
aggiunta a carico dei maschi, si registra un maggior numero di percosse e minacce. Gli
autori di prepotenze, soprattutto nelle scuole medie sono i maschi.
Concentrando il centro dell’analisi sulle singole classi, risulta evidente che con il passaggio
dalla scuola elementare, alla scuola media, i bulli tendono ad esercitare le loro vessazioni,
più nei confronti di alunni appartenenti ad altre classi, anziché verso i propri compagni di
classe.
Per le femmine le prepotenze, diminuiscono alla fine della scuola elementare, per
poi aumentare in terza media.
Per
i
maschi invece, le prepotenze diminuiscono
alla
fine della scuola elementare, per aumentare in prima media, e diminuire in terza media.
Le
prepotenze
dei
bulli, invece, diminuiscono fino alla prima media, per
poi
aumentare in terza media. Nella scuola media, i maschi diventano sempre più bulli, e le
femmine meno vittime. Per
le femmine, invece, il subire e il fare prepotenze, non è
correlato con l’ età. Sembra che alle scuole medie, si verifichi una specie di “nonnismo,” i
ragazzi più grandi tendono a perpetuare prepotenze nei confronti dei più piccoli (Fonzi,
Smorti, 2007, pp. 70-91).
Provincia
Gentano. Per
di
Roma. Il
campione riguarda due scuole medie, della provincia di
quanto riguarda le prepotenze
subite, il 15,7%
dei
giovani, dichiara di
essere vittima di prevaricazioni. Per le ragazze, la percentuale è più alta (19,4%). Per le
prepotenze agite, i ragazzi ne sono
coinvolti
per il 20,5%, mentre
le
ragazze per il
86
Smorti, A., Ciucci, E., Fonzi, A., (1997), “La provincia di Firenze: prepotenze e dinamica sociale”, in
Fonzi, A., (a cura di), (1997), Il bullismo in Italia, pp. 66-91.
9
12,8%. Per entrambi i sessi, le offese verbali, presentano la percentuale più alta, seguita
dalla diffusione di pettegolezzi, e dalla violenza fisica87.
Sia i ragazzi, che le ragazze, sostengono che le azioni di bullismo, sono perpetuate
maggiormente da un singolo individuo, piuttosto che dal gruppo.
La classe, continua ad essere, il principale luogo di prepotenze. Diversamente dai dati
emersi dagli studi di Olweus, nell’ ambito di questo campione, i bulli e le bulle, sembrano
godere di minore popolarità, mentre le vittime sono percepite come depresse ed infelici.
Napoli. Il
campione
napoletano si
presenta
diverso, suddiviso in cinque
zone,
ognuna con background differenti88:
Zona 1: periferia Nord
Zona 2: periferia Ovest .
Zona 3: periferia Est
Zona 4: Centro storico
Zona 5: Centro residenziale
Le tre zone periferiche, si distinguono per il forte ancoraggio della criminalità organizzata
sul territorio, e per essere abitati da ceti proletari e sottoproletari.
Alcuni quartieri presentano un’antica tradizione operaia, ormai in declino per i processi di
ristrutturazione industriale. Nel
centro storico, nuclei familiari
tradizionali, convivono con
altri ceti appartenenti soprattutto alla borghesia intellettuale, attirata dalla presenza di
molte facoltà universitarie.
Nella
ricerca sono
state
coinvolte
venti scuole, duecentomila
alunni, che
frequentano le classi dalla terza elementare alla terza media. I risultati sono scoraggianti.
“Nelle scuole elementari il 47,9% dei bambini riferisce di aver subito prepotenze
‹‹qualche volta o più››. Alle
scuole
medie, la percentuale
dei
ragazzi
coinvolti
diminuisce, soprattutto per le prepotenze subite (30,7%), mentre il numero di alunni che
afferma di essere stato prepotente, rimane molto elevato” (Bacchini e all., 1996, 118). Gli
episodi di prepotenza sono vissuti come naturali avvenimenti quotidiani, essendo abituati
ad assistere sistematicamente a scene di violenza in famiglia, e nel quartiere. Il 75% degli
87
Caprara, G., V., Pastorelli, C., Barbaranelli, C., De Leo, G., (1997), “La provincia di Roma: differenze di genere e
caratteristiche di personalità”, in Fonzi, A., (a cura di), (1997), Il bullismo in Italia, pp. 92-108.
88
Bacchini, D., Valerio, P., (1997), “Napoli: l’arte di sopravvivere tra conflitto e affiliazione”, in Fonzi, A.,
(a cura di), (1997), Il bullismo in Italia, pp. 109 - 141.
9
insegnanti, afferma che nella loro classe, si verificano abitualmente aggressioni a livello
fisico e verbale. Sia gli insegnanti, sia gli alunni, affermano che abitualmente, sono presenti
in ogni classe, tre vittime e tre bulli.
Rispetto alle altre regioni, la ricerca sul
territorio partenopeo, ha rivelato due
differenze significative. Non si registra diminuzione delle prepotenze, nel passaggio dalle
scuole elementari
alle scuole medie. Anche la variabile sesso, non mostra
differenze
significative per le vittime. Per i bulli invece, che dichiarano di aver partecipato ‹‹qualche
volta o più››, abbiamo una percentuale del 43,6% dei bulli maschi, contro il 31,9 delle
bambine. Nelle scuole medie, la percentuale dei
ragazzi prepotenti si aggira intorno al
33,1% contro il 30,3% delle ragazze.
Le ragazze napoletane che si dichiarano prepotenti, sono il doppio rispetto alle
coetanee delle altre città.
Principali
differenze, sono state
riscontrate tra il quartiere del Vomero, abitato dal ceto
medio, e gli altri a prevalente composizione popolare.
Più elevate, si presentano le percentuali della periferia Nord e del centro storico, rispetto
alla periferia Est ed alla periferia Ovest.
Non sembrano influire sul fenomeno delle prepotenze, né l’ ampiezza della scuola,
né la numerosità degli alunni. Altra variabile presa in considerazione, è la differenza di
età tra compagni della stessa classe, poiché è frequente la presenza di ragazzi bocciati,
nelle
scuole napoletane. Mentre nelle scuole elementari, i bambini, dichiarano di subire
prepotenze
dai
più piccoli, i ragazzi delle scuole medie dichiarano di essere meno
frequentemente vittime, pur non essendo prepotenti.
Le principali forme di prepotenza, rimangono le offese verbali e le percosse, seguite
dalle minacce, dalle esclusioni dal gruppo, dai furti, e dalla diffusione di dicerie. In rapporto
ad altre città, Napoli presenta un’ elevata incidenza di furti e minacce, mentre il ricorso
alla violenza fisica è inferiore.
Lo scenario principale di prepotenze è la classe, seguito dai bagni, dai corridoi e dal
cortile. I ragazzi napoletani, sembrano subire prepotenze dai
ragazzi più grandi. Le
prepotenze vengono esercitate prevalentemente da un solo ragazzo.
Il numero dei ragazzi dalla terza elementare, alla terza media che dichiara di subire
prepotenze, è risultato molto elevato, sia rispetto ai dati esteri, che rispetto a quelli italiani.
Negli anni ’60 e ’70, alcune ricerche realizzate da psicologi napoletani, ipotizzarono la
presenza di
una specifica modalità, nei soggetti
meridionali di interazione con l’altro,
caratterizzata dal processo di affiliazione. Nelle zone meridionali, il conflitto viene percepito
9
in forma negativa, una minaccia che rompe la protezione delle reti sociali. Il rapporto con
l’altro è ambivalente, temuto ma cercato nello stesso tempo, per non incorrere nell’
isolamento sociale.
Tale mentalità, riportata nell’ ambito di azioni bullistiche, induce la vittima a
minimizzare il suo aggressore, minimizzando l’effetto delle sue azioni.
La realtà calabrese. Il campione di ricerca è costituito da un gruppo di soggetti di
scuola elementare e uno di scuola media. I soggetti della scuola elementare
sono 298,
appartenenti a quattro paesi della provincia di Cosenza89. L’utenza dal punto di vista
socioeconomico si presenta disomogenea. Il bullismo diminuisce nel passaggio dalla scuola
elementare alla scuola media per i bambini (8,8% vs 4,8%), mentre aumenta per le bambine
(6,1% vs 6,4%).
Queste percentuali sono state rilevate in relazione alla domanda, “Quante volte hai subito
prepotenze nell’ultimo periodo?”
Alla domanda: “Quante volte ti sei unito agli altri per compiere prepotenze?”, nei
bambini si nota un decremento al crescere dell’età, mentre nelle bambine, si verifica la
tendenza opposta. In entrambi i sessi, la forma di prepotenza subita maggiormente è quella
verbale. Le percentuali sono più alte per il sesso femminile, soprattutto per le ragazzine
delle scuole medie. Dopo le offese, la forma di bullismo più diffusa è quella relativa alle
percosse e ai furti. I maschi sono più propensi a mettere in atto forme di bullismo diretto,
mentre le femmine ottengono la percentuale più alta relativamente alla diffusione di
pettegolezzi, mentre alla elementari lo scarto è minimo (12% vs 15,8%) alle scuole medie il
distacco è significativo (22,2% vs 34,3%).
La città di Palermo. Il campione della ricerca è costituito da 1095 studenti, di cui
537 maschi e 558 femmine, frequentanti le classi quarta e quinta elementare, e prima,
seconda, terza media90. Sono state coinvolte 8 scuole elementari e 2 scuole medie. Le scuole
elementari sono situate nella zona centrale e periferica dell’area di Palermo, le due scuole
medie solo nella zona centrale. Per quanto riguarda le prepotenze subite, complessivamente
il 39,5 % dei ragazzi della scuola elementare e il 21,6% dei ragazzi della scuola media,
dichiarano di essere stati vittime di prepotenze. Mentre nelle scuole elementari i risultati si
89
Costabile, A., Palermiti A., Tenuta, F., (1997), “Una realtà calabrese”, in Fonzi, A., (a cura di), (1997), Il
bullismo in Italia, Firenze, Giunti, pp. 142-159.
90
Pastorelli, C.,(1997), “Palermo: variabili macrosociali e differenze di genere”, in Fonzi, A., (a cura di), (1997), Il
bullismo in Italia, pp. 161-175.
9
presentano simili per entrambi i sessi, nelle scuole medie, vi sono differenze significative tra
maschi e femmine.
Il 25,7% delle ragazze contro il 17,5% dei ragazzi subisce prepotenze. Per quanto
riguarda le prepotenze agite, la presenza complessiva del fenomeno è pari al 29,2% nelle
scuole elementari e al 20% nelle scuole medie. Nelle scuole
elementari si registrano
percentuali più alte nelle bambine (11,2%) rispetto ai bambini (8,3%); nelle scuole medie la
percentuale delle prepotenze agite, si attesta intorno al 6,9%, registrando percentuali più alte
nei ragazzi (8,2%), che nelle ragazze (5,6%).
Per quanto riguarda le modalità di prevaricazione, nelle scuole elementari le offese
verbali e quelle fisiche costituiscono le modalità prevalenti di aggressione, seguite da furti e
a dal racconto di storie per i ragazzi, e dalla messa in giro di pettegolezzi e dal racconto
di furti per le ragazze. Questi dati ancora una volta, confermano la tendenza delle ragazze a
colpire in forma indiretta, e dei ragazzi a privilegiare le forme di bullismo diretto, soprattutto
alla scuola media.
Sia nelle scuole elementari che nelle scuole medie, maschi e femmine dichiarano
che il bullismo, viene esercitato in prevalenza da un singolo individuo che da un gruppo.
Il luogo che si presenta maggiormente come teatro delle prepotenze è la classe. Per
quanto riguarda il subire prepotenze, le classi quarta e quinta elementare, riportano punteggi
più elevati rispetto alle scuole medie. Per i bulli invece, le maggiori differenze si registrano
nel gruppo delle bambine della scuola elementare, rispetto a ragazzi e ragazze della scuola
media.
I maschi a differenza delle femmine, che raggiungono punteggi più bassi in prima e terza
media, raggiungono punteggi più bassi in II media.
Per
quanto
riguarda
le
prepotenze
subite, i risultati
non
evidenziano
alcuna
correlazione con la zona di provenienza e la fascia sociale, sia per il campione delle scuole
elementari che per il campione delle scuole medie. Per quanto riguarda le prepotenze agite,
nelle scuole elementari, i risultati evidenziano un effetto significativo a carico della zona di
provenienza. I bambini che provengono dal centro storico e dalla periferia, riportano punteggi
più alti rispetto ai ragazzi provenienti dalla zona fuori il centro storico. Nelle scuole medie,
l’importanza della classe sociale, sembra rivestire un ruolo importante rispetto alla zona di
provenienza. I ragazzi di estrazione sociale più elevata, sono implicati in misura minore
(1,54) in azioni di prevaricazione rispetto ai ragazzi di estrazione bassa (2,02%). Non si
registrano differenze nei gruppi appartenenti a fasce intermedie.
1
Nella città di Palermo, come nelle altre regioni italiane, la presenza del bullismo è
notevole. Un dato rilevante, è il coinvolgimento delle bambine delle elementari nei fenomeni
di prepotenza, che tendono ad assumere un ruolo più attivo, rispetto ai bambini delle
elementari e alle ragazze della scuola media.
Le variabili macrosociali incidono in modo significativo, sulla messa in atto di condotte
bullistiche. La scuola che registra il punteggio più alto è quella frequentata da bambini di
fascia sociale bassa ed intermedia, in una zona collocata fuori dal centro storico.
L’incidenza del fenomeno del bullismo in Italia, è doppia rispetto a quella inglese, i
cui valori sono ritenuti elevati rispetto a quelli del Nord Europa, quali la Norvegia e la
Scozia. Anche i dati di una ricerca condotta da Mario Rizzardi,91 professore associato di
psicologia dello sviluppo all’Università di Urbino, convergono con i risultati della ricerca
condotta da Ada Fonzi. Il 39% dei ragazzi è responsabile almeno di un episodio di bullismo
alla
settimana, mentre il 52% ne
è vittima. Ben il 32% del
campione
è
coinvolto
quotidianamente in episodi di bullismo. Cifre tanto elevate non si riscontrano in nessun
paese europeo ed extraeuropeo.
In Italia le prepotenze del bullo sono sottovalutate, e maggiormente tollerate, mentre
all’estero si cerca di bloccarle, ne è
prova il fatto che la classe rimane il luogo privilegiato
d’azione. La mentalità italiana, costituisce un fattore di rilievo, al fine di spiegare la presenza
di un tasso di bullismo così elevato. A differenza di altri paesi, in Italia l’uso dell’ironia nei
confronti di altre persone, è una modalità di affermazione nei confronti del gruppo. In
Toscana ad esempio, prendere in giro gli altri, risulta radicato nella cultura del luogo: “Nella
nostra cultura le manifestazioni di conflitto e di certi comportamenti aggressivi sembrano
essere
maggiormente
tollerati, senza
che
portino
alla
rottura
della
relazione
sociale”(Fonzi,1996)92.
Infatti la forma di prepotenza considerata meno grave è quella verbale.
Due ricerche condotte in Sardegna, da Franco Marini e Cinzia Mameli, dimostrano il
nesso tra il bullismo e la dimensione culturale del territorio. In particolare nella regione
dell’Ogliastra è stato possibile confrontare la figura del bullo, con quella del ‹‹balente››93.
Il balente è una figura storica rivoluzionaria fedele ai doveri che la vita gli impone, ed alla
propria legge. In quella parte del territorio, è sempre stata presente la contesa per il pascolo,
la lotta contro la natura e contro il bestiame, che nel tempo è diventata lotta contro le
91
Semeraro S, “Ricomincia la scuola: attenti ai bulli” , Specchio, N. 482/2005, pp. 27-32.
92
Maggi M, Buccoliero E, Progetto Bullismo. L’esperienza e il confronto di quattro progetti di
prevenzione. Editrice Berti, Piacenza,2006, p. 38.
93
Mameli C, “Bullismo e cultura: due mondi a confronto”, Aree, n. 31, 2000, pp. 10-12.
1
persone. Secondo la mentalità di quella porzione di territorio sardo, tipica delle zone ad
economia agricola ed isolate, vige la legge della vendetta. Se viene commesso un torto,
occorre difendersi e dimostrare di essere capaci di farsi rispettare. In un’ottica del genere, le
prepotenze dei bulli sono giustificate, è meglio perpetuare prepotenze contro gli altri, per
legittima difesa, che subire ed essere considerati deboli.
Secondo Guido Crocetti, docente di psicologia clinica dell’Università La Sapienza di
Roma , “la nostra cultura e la nostra società sono prigioniere di una metafora di guerra,
dove tutto ciò che non è ricerca della produttività, dell’efficienza a tutti i costi, viene
rifiutato. In questo modo ai bambini giungono messaggi distorcenti (…)”.
Nelle scuole superiori italiane94, il 18% degli intervistati dichiara
che “a volte è meglio
appartenere ai gruppi dei ragazzi più forti, che magari sono anche prepotenti con gli altri,
piuttosto che esserne fuori e subirne le prepotenze.” Il 56% è d’accordo con la frase che
“nella vita è meglio essere furbi e svegli, piuttosto che disciplinati e diligenti.”
Anche nelle scuole superiori la forma di prepotenza considerata meno grave è quella
verbale.
Questi dati devono far riflettere, sulla necessità di contrastare il fenomeno, con
opportuni provvedimenti che facciano comprendere, come l’uso della violenza sia improprio
per ottenere ciò che si vuole.
4.2 Rappresentazioni mentali in bambini bulli e vittime
I protagonisti coinvolti in episodi di bullismo, presentano una fisionomia specifica dal
punto di vista caratteriale (vedi cap.II).
Il bullismo è un fenomeno complesso, non è individuabile una sola causa. Famiglia, scuola,
società, mass media e new media, presentano le loro responsabilità.
Accanto
a
questi
fattori
non
va
esclusa
l’incidenza
del
temperamento, delle
caratteristiche individuali che tendono a cristallizzare gli alunni nei ruoli di bulli e vittime.
Gli studi psicologici, soprattutto di matrice cognitivista, dimostrano la correlazione tra scarse
abilità sociali e deficit dei mediatori socio-cognitivi in bambini bulli e vittime.
I risultati delle ricerche di Olweus smentiscono l’ipotesi secondo la quale, le vittime
vengono scelte come bersaglio solo per particolari caratteristiche fisiche, quali portare gli
94
Fattori A, Nobile P, “Quando il bullismo entra in classe”, Salute, n.01/2007.
1
occhiali, essere grassottella o presentare handicap nel linguaggio o nella deambulazione
(motivo che determina l’esclusione della vittima dai giochi in cortile e dagli sport).
Determinati tratti fisici non hanno legame di causa- effetto con la designazione del ruolo di
vittima, ma fungono da pretesto per il bullo.
In una ricerca su alcune scuole
della zona centrale di Londra 95 un terzo dei
bambini – per la maggior parte di colore – riferisce di essere stato oggetto di bullismo
razziale. Tuttavia una ricerca su 6000 bambini dell’area di Sheffield (Inghilterra), ha appurato
che tra i bambini che riferiscono di essere stati oggetto di prepotenze, solo il 15% dei più
piccoli e il 9% dei più grandi, dichiara di aver subito prepotenze per il colore della pelle.
Un altro confronto più accurato tra 33 bambini asiatici e 33 bambini bianchi, dello stesso
anno, sesso e scuola, non riportava nessuna differenza relativamente alle esperienze di bulli e
vittime; nonostante si è trovata una differenza notevole relativamente alle offese di natura
razziale, il 18% dei bambini asiatici ne era coinvolto.
Tuttavia i bambini tendono a percepire la distinzione tra bullismo e razzismo. Il secondo pur
arrecando offese dolorose, non sembra diretto a colpire il sé dell’individuo.
Il
filone
di
ricerca
sui mediatori
socio-cognitivi
del
comportamento
aggressivo,dimostra la relazione tra interpretazioni distorte degli eventi sociali e condotta
aggressiva. Gli studi condotti da Sloby e Guerra (1988), sul filone dell’apprendimento sociale,
concentrano il focus d’indagine sulle credenze che regolano il comportamento dell’individuo.
I bambini aggressivi si aspettano esiti più favorevoli dai comportamenti negativi, rispetto ai
bambini neutrali, in termini di ricompense e di minor disturbo da parte dei compagni. Essi
sono convinti che la probabilità di ottenere dei benefici aumenti se le prepotenze sono
rivolte alle vittime. Il modello del Social Skill Deficit, elaborato da Dodge (1993), attribuisce
il comportamento aggressivo al deficit del processo di elaborazione cognitiva, precisamente
durante la fase di codifica selettiva dell’informazione, con conseguente difficoltà nella
selezione e messa in atto di risposte a situazioni conflittuali. Secondo Dodge e coll., i
bambini aggressivi tendono ad interpretare situazioni ambigue come ostili, e di conseguenza
a reagire negativamente. Altri studi dimostrano che bulli e vittime posseggono un repertorio
di soluzioni meno ampio rispetto al gruppo di controllo.
Sebbene il modello proposto da Dodge, abbia avuto successo nello studio delle
condotte aggressive, occorre considerare che i bulli sono una sottocategoria particolare di
bambini aggressivi. Se riescono a capeggiare un gruppo accade grazie alla loro capacità di
95
Smith P.K, Monks C., “Le relazioni tra bambini nei problemi di bullismo a scuola”, In Genta M.L. (a
cura di), (2002), Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola, Roma, Carocci, pp. 19 - 38.
1
saper manipolare gli altri per ottenere consensi. La considerazione di tali capacità, si scontra
con l’ipotesi del deficit socio-cognitivo. Bennelli, Menesini e Gini96, contrariamente hanno
svolto una ricerca su un campione di 491 soggetti maschi e femmine, appartenenti a due
scuole elementari di Milano e Padova. L’obiettivo consisteva nel verificare l’esistenza di
eventuali differenze, tra i principali attori coinvolti nel fenomeno del bullismo e i bambini
esterni, relativamente al modo in cui si rappresentano gli eventi della vita quotidiana e le
interazioni tra i ruoli. Lo strumento usato per tali rappresentazioni è stato lo script 97. Per la
rilevazione del fenomeno è stato utilizzato il questionario della nomina dei pari. Sono state
formate tre tipi di coppie: 17 coppie bullo-esterno, 17 coppie vittima-esterno, 13 coppie
esterno-esterno.
Ogni
coppia è stata portata in un’aula in cui erano allestiti i setting rappresentati
rappresentanti due scene di vita quotidiana: una visita medica e due amici che fanno una
gita al mare. Lo script dottore è stato definito asimmetrico, poiché vengono assunti un ruolo
dominante e un ruolo subordinato, nella gita al mare invece la relazione è complementare,
non vi è disequilibrio di potere.
Ai bambini di ogni coppia sono stati descritti i setting e si è spiegato loro cosa
avrebbero dovuto fare mediante una consegna in cui si chiedeva loro di fare e di dire tutto
quello che si fa e si dice nelle situazioni proposte.
I dati della ricerca contrariamente alle aspettative indicano che bulli e vittime non
presentano difficoltà di tipo cognitivo- rappresentazionale, per quanto riguarda le modalità
interazionali. E’ emerso che non mostrano particolari difficoltà nell’interazione col compagno,
anzi si sono dimostrati attivi prendendo l’iniziativa e tenendo la conversazione in forma
appropriata. Questi risultati tendono a confermare l’immagine del bullo
come un abile
manipolatore sociale i cui comportamenti sono diretti ad ottenere il comando del gruppo; il
bullo quindi agirebbe con ‹‹fredda cognizione››. Non presenta dei deficit a livello sociocognitivo, ma soltanto dal punto di vista emotivo.
Per quanto riguarda le vittime, durante la ricerca non hanno mostrato difficoltà nella
conoscenza
ed esecuzione dei ruoli sociali, dando persino prestazioni migliori dei loro
96
Benelli B., Menesini E., Gini G., “Rappresentazione di eventi sociali in bambini bulli e vittime” Età
evolutiva, n.68/2001, pp. 5 -20.
97
Lo script è uno schema che consente la rappresentazione di eventi sociali, familiari, dal carattere
ripetitivo e stereotipato. Gli script descrivono situazioni ben conosciute che costituiscono schemi socialmente
condivisi di eventi sociali organizzati attorno a ruoli, attori, azioni, regole e scopi sociali. Essi permettono
all’individuo di prevedere le azioni che potranno verificarsi in quel particolare contesto e di gestire
appropriatamente le relazioni tra gli attori coinvolti.
1
compagni. Le difficoltà della vittima riguardano maggiormente la negoziazione della relazione
con il partner, anche quando non rappresenta il potenziale aggressore.
Dalla ricerca di Benelli e al., emerge un altro dato interessante, nelle coppie “miste”
si sono riscontrata maggiori difficoltà ad arrivare a forme di interazione equilibrate, rispetto
alle coppie formate da due bambini esterni.
E’ da ipotizzare a questo punto che i soggetti esterni grazie alla loro competenza
sociale, riescono ad adattare il loro comportamento sulle caratteristiche che attribuiscono al
bullo o alla vittima.
Un’altra ricerca condotta da Fonzi e da Ciucci, cerca di analizzare il legame tra un
aspetto dell’intelligenza emotiva, cioè la capacità di riconoscere le emozioni
altrui e le
condotte disadattive degli attori coinvolti in episodi di bullismo. Occorre risalire al concetto
di intelligenza multipla lanciato da Gardner (1993)98: oltre all’intelligenza verbale e logicomatematica, indispensabile per le prestazioni scolastiche, occorrono altri tipi di intelligenza
per far fronte agli altri aspetti sociali della vita e delle relazioni sociali.
L’intelligenza emotiva racchiude due componenti legate tra loro: quella interpersonale
e quella intrapsichica. L’intelligenza interpersonale comprende la capacità di riconoscere e
rispondere adeguatamente agli stati d’animo altrui, per poter interagire con gli altri in
maniera equilibrata. L’intelligenza intrapsichica invece comprende la capacità di valutare le
proprie emozioni e di controllarle per raggiungere gli obiettivi prefissati.
In particolare l’intelligenza interpersonale è essenziale per saper codificare i segnali
che gli altri esprimono, tale capacità permette di relazionarsi adeguatamente in ogni
circostanza.
Per la loro ricerca
Fonzi ed Ciucci, si sono avvalse del Test di riconoscimento delle
emozioni tratto da Ekman e Friesen (1975), consistente in fotografie di aspersioni facciali
raffiguranti le sei emozioni di base (felicità, tristezza, paura, rabbia, sorpresa, disgusto). Ai
bambini veniva chiesto di contrassegnare su un foglio l’emozione corrispondente a quella
presentata in fotografia.
I risultati evidenziano differenze significative nel riconoscimento dell’intero set di
emozioni. Le vittime differiscono significativamente dal gruppo di controllo nel senso che
rivelano minore competenza, non vi sono invece differenze tra bulli e gruppo di controllo.
In particolare bulli e vittime mostrano maggiori differenze nel riconoscimento della felicità,
rispetto al gruppo di controllo. Relativamente al riconoscimento delle altre emozioni le
vittime dimostrano meno competenza, sia rispetto al gruppo di controllo, sia rispetto ai bulli.
98
Fonzi A., Ciucci E., “La grammatica delle emozioni in prepotenti e vittime”, In Fonzi A., (a cura di) Il gioco
crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo, Firenze, Giunti, 1999, pp. 27-34.
1
Occorre però notare delle differenze rispetto al sesso e all’età. Per le vittime di sesso
maschile le maggiori difficoltà
si registrano nella scuola elementare, così come per le
vittime di sesso femminile.
Il riconoscimento del sentimento della felicità, risulta più difficoltoso per le vittime
della scuola media, nonostante questo genere di emozioni sia individuato già dai primi stadi
del processo evolutivo. Anche questa ricerca concorda con l’ipotesi che il deficit sociocognitivo riguarda solo le vittime e non i bulli.
Nonostante sia propria del sesso femminile una maggiore abilità nel riconoscere le
emozioni, per via delle maggiori attenzioni che dedicano all’interlocutore, questo discorso non
vale per le vittime; le quali essendo timide ed insicure non riescono a cogliere i messaggi
non verbali dell’altro. Per bulli e vittime è difficile sperimentare una condizione di
benessere, da qui nasce la difficoltà nel riconoscere l’emozione della felicità.
Una ricerca condotta da Pinto, Pistacchi e Malvagia 99 dimostra che le vittime hanno
difficoltà nel riconoscere la pericolosità dell’interlocutore, sottovalutando le sue reazioni. Ai
soggetti del campione frequentanti la scuola media ed elementare veniva chiesto di
riprodurre due disegni: uno nel quale si ritraevano insieme ad una persona normale, e l’altro
che li rappresentava insieme ad un soggetto tossicodipendente.
I soggetti appartenenti al gruppo di controllo tendono ad affermare il loro spazio
individuale e ad interagire di meno con il partner; bulli e vittime invece sembrano non
riuscire a cogliere la pericolosità della relazione con un soggetto a rischio.
Per i soggetti esterni la relazione con una persona deviante o con soggetti normali,
sembra incidere sulla
percezione della loro immagine: rispettivamente migliorandola o
peggiorandola; per bulli e vittime invece tale differenza non sembra significativa
Tra i correlati psicologici dei bulli e delle vittime si riscontra una limitata capacità
di modulare la relazione in funzione delle caratteristiche del partner, ma anche una visione
statica del sé e soprattutto tra le vittime un’incompetenza a decifrare le differenze valoriali
connesse alla collocazione sociale degli individui. Le vittime presentano una sorta di
analfabetismo circa i segni e le connotazioni che consentono la categorizzazione sociale.
Smorti e Pagnucci100 hanno condotto una ricerca su campione di 306 soggetti frequentanti la
quarta elementare e la seconda media di alcune scuole comprese nel territorio
della
Versilia, al fine di analizzare l’esperienza sociale di bulli e vittime.
99
Pinto G., Pistacchi P., Malvagia S., “Quando i ‹‹diversi›› incontrano i ‹‹diversi››: uno studio sulle rappresentazioni
mentali”, In Fonzi A., (a cura di), Il gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo,
Firenze, Giunti,1999, pp. 84-100.
100
Smorti A., Pagnucci S., “Narrazioni ed interpretazioni delle prepotenze”, In Fonzi A., (a cura di) Il
gioco crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo, Firenze,Giunti, 1999, pp. 66-79.
1
I soggetti dovevano raccontare due eventi autobiografici: uno relativo ad un episodio
di prepotenza ricevuta e uno di amicizia.
Se si osservano i nodi sintattici delle storie raccontate si nota che i bulli utilizzano
maggiori informazioni di orientamento rispetto alle vittime, riguardo alle conseguenze i bulli
le impiegano meno del gruppo di controllo e delle vittime. Infine per quanto concerne le
valutazioni i bulli ne fanno minor uso rispetto alle vittime e al gruppo di controllo.
Ancora una volta la teoria del deficit socio-cognitivo sembra riguardare le vittime, i
bulli tendono a costruire schemi di storie più complete rispetto alle vittime. Questi due
attori tendono a costruire il significato degli eventi di prepotenza e di amicizia in modo
diverso. Le vittime si concentrano maggiormente sulle conseguenze del gesto, sono più
preoccupate delle ripercussioni sull’ambiente sociale. Per i bulli è più importante invece
risalire all’antecedente dell’accaduto, alle cause che lo hanno provocato e nel fare questo si
preoccupano di inserirlo in un contesto sociale.
A seconda dello status il gesto di amicizia viene interpretato in modo diverso; per i
bulli è il gesto di aiuto è funzionale al superamento di un ostacolo, per le vittime invece il
gesto di aiuto ha una funzione consolatoria qualora l’ostacolo non venga superato.
In sintesi i bulli sembrano in possesso di uno schema di storia più completo e di un modo
di narrare più evoluto, che si avvicina al gruppo di controllo più delle vittime.
4.2 Il meccanismo del disimpegno morale
Perché il bullo non si rende conto delle sofferenze che provoca nella vittima? O peggio
perché pur rendendosene conto, queste sofferenze divengono per lui motivo di orgoglio? Il
profilo del bullo tracciato nel corso di questa tesi, spiega perché il bullo ha bisogno di
dominare e opprimere, perché sia così ostile nei confronti dell’ambiente che lo circonda. Ma
occorre analizzare un’altra importante sfumatura: quali meccanismi psicologici attiva il bullo
per spegnere l’interruttore della colpa?
Il ‹‹disimpegno morale›› accomuna devianti e criminali, è l’atteggiamento con cui
riescono a giustificarsi per l’atto compiuto (Civita, 2006, 28).
Bandura individua otto meccanismi di disimpegno morale:
•
la giustificazione morale, il comportamento viene tollerato perché raggiunge scopi
sociali;
1
•
il dislocamento delle responsabilità, con cui si trasferisce la responsabilità del gesto
ad autorità superiori101;
•
l’etichettamento eufemistico, utilizza il linguaggio per rendere plausibili azioni che
non lo sono, o per diminuire la gravità delle stesse;
•
la diffusione delle responsabilità, si trasferisce la responsabilità del gesto al resto
del gruppo;
•
distorsione delle conseguenze, si cerca di minimizzare sulle conseguenze delle
proprie azioni;
•
il confronto vantaggioso, si cerca di minimizzare confrontando l’atto compiuto con
azioni peggiori;
•
attribuzione della colpa, si tende ad attribuire la colpa
delle proprie azioni alla
vittima, affermando che merita di essere maltrattata,
•
la deumanizzazione, svalutazione della vittima in quanto essere umano, al fine di
dare significato alla propria condotta.
Tali meccanismi riguardano anche il bullismo, essendo un particolare forma di devianza
sommersa. Nel comportamento prepotente vengono disattivati i meccanismi di autoregolazione,
le sanzioni interne quali il biasimo, il senso di colpa, l’autoriprovazione che prevengono atti
immorali. Una ricerca condotta da Fonzi e altri102, conferma questa ipotesi. I risultati relativi
al sottocampione maschile confermano lo stato di benessere dei bulli, si sentono forti e
sicuri, di conseguenza non percepiscono lo stato d’animo delle vittime. I bulli per giustificare
il loro comportamento sono propensi ad attivare il meccanismo della deumanizazione o
dell’attribuzione di colpa: se la vittima non ha valore merita di essere maltrattata. L’analisi
del sottocampione delle vittime e del gruppo di controllo, non evidenzia differenze
significative. Si riscontrano invece differenze tra le vittime in relazione al sesso. Le femmine
vittime di sorprusi rispetto ai compagni maschi, tendono ad essere più tolleranti nei
confronti dei loro aggressori, tendono a minimizzare il peso degli attacchi subiti. E’ da
precisare che le femmine rispetto ai maschi, sono soggette a forme indirette di bullismo,
generalmente considerate meno gravi delle aggressioni fisiche.
101
I più spietati gerarchi nazisti, durante il processo di Norimberga, hanno cercato di giustificare i loro crimini
rispondendo che avevano solo eseguito gli ordini dei superiori.
102
Menesini E., Fonzi A., Vanucci M.(1999), “Il disimpegno morale”, in Fonzi A. (a cura di) Il gioco
crudele. Studi e ricerche sui correlati psicologici del bullismo, Firenze, Giunti, 37-53.
1
Gini e Carli103, hanno cercato di studiare il meccanismo del disimpegno morale,
allargando le ricerche sugli astanti, anche sui membri del gruppo che ricoprono il ruolo di
sostenitore del bullo o di difensore della vittima.
La ricerca è stata condotta in tre scuole elementari di Taranto con un campione di 290
bambini (104 bambini di 8 anni, 101 di 9 e 85 di 10 anni).
Applicando la scala del disimpegno morale (Caprara et. al. 1995), i punteggi oltre che
confermare i risultati delle ricerche precedenti, hanno evidenziato una correlazione negativa
tra il meccanismo del disimpegno morale e il ruolo di difensore. Chi assume il ruolo di
difensore rispetto agli spettatori, ricorre meno al disimpegno morale, a differenza dei
compagni, percepiscono le vittime meritevoli di maggiori attenzioni per via loro bisogno di
aiuto. Ciò che differenzia la cosiddetta ‹‹maggioranza silenziosa››, rispetto ai difensori è il
mancato riconoscimento della responsabilità personale, di fronte alle angherie subite dalle
vittime. Considerare i correlati psicologici che stanno alla base dei ruoli assunti dagli alunni,
è importante per elaborare strategie d’intervento.
Il ruolo di difensore richiede un’elevata maturità morale, precise competenze sociali
di cui non tutti i bambini dispongono, per questo motivo assumono particolare importanza i
programmi di prevenzione volti al miglioramento di determinate abilità mediante training
specifici. A differenza del difensore, per quanto riguarda l’aiutante del bullo, è emersa la
correlazione più alta tra comportamento prepotente e disimpegno morale. L’aiutante del bullo
non ha le stesse motivazioni del suo leader, magari non risente di un ambiente familiare e
culturale negativo; ha solo bisogno di acquistare sicurezza e popolarità, quindi senza adeguati
valori che
sostengono le sue azioni, più del bullo ha bisogno di giustificare il suo
comportamento attivando i meccanismi del disimpegno morale.
Il bullismo non è soltanto una disfunzione presente nell’interazione disadattata tra
due persone: il bullo e la vittima, ma coinvolge ampiamente il gruppo-classe e il contesto
scolastico. La politica integrata di Smith e Sharp, offre le soluzioni migliori per consolidare
un ethos democratico, sprezzante delle sopraffazioni. Un ambiente che tende a bollare
l’atteggiamento del bullo e dei suoi gregari come riprovevole e non ammissibile, attenua il
senso di onnipotenza tipico dei prepotenti.
E’ difficile trovare giustificazioni o deumanizzare la vittima, laddove si promuove il
rispetto nei confronti del più debole, anche se diverso. In un ambiente dove i compagni
103
Gini G., Carli G., “Il bullismo a scuola: analisi dei meccanismi di
prospettiva di gruppi”, in Orientamenti pedagogici, vol.50, n.2/2003, pp. 303-313.
1
disimpegno morale in una
cooperano per risolvere i problemi dei loro coetanei, chi sostiene il bullo capisce che quella
non è l’unica strada per conquistare la stima degli altri.
Numerose notizie di cronaca e drammatiche vicende storiche, (quali ad esempio il
nazismo), testimoniano la capacità degli essere umani di commettere i crimini più efferati
soltanto quando si è in gruppo. L’uomo quando si trova inserito nella dinamica di un
gruppo commette azioni che da solo non sarebbe capace di compiere, dislocando le
responsabilità sul gruppo: “se tutti si comportano in questo modo perché non devo farlo
anch’io”, “non ho agito da solo, quindi non è colpa mia”.
4.5 Disturbi correlati al bullismo
Tra i vari fattori di rischio che predispongono un bambino ad occupare lo status di
bullo o di vittima, oltre alle componenti esaminate finora, vi sono dei disturbi psichiatrici
classificati nel D. S. M, che comprendono disfunzioni a livello comportamentale e cognitivo.
La sindrome più frequente riguarda i bambini iperatttivi, il nome scientifico è A.D.H.D (cioè
disfunzione di iperattività e deficit di attenzione), accanto alla D.C.D. (cioè disfunzione dello
sviluppo e della coordinazione motoria), comprende bambini balbuzienti o con difficoltà
motorie.
I bambini che presentano determinate patologie con il loro comportamento possono
suscitare
l’irritabilità
dei
compagni (talvolta
anche
degli
insegnanti), e
divenire
di
conseguenza bersaglio degli attacchi dei coetanei, è il caso tipico delle vittime provocatrici o
dei bulli/vittima. Tali caratteristiche fungono da pretesto poiché questi bambini assolvono al
ruolo di capro espiatorio.
La sindrome di iperattivià
e deficit dell’attenzione viene descritta come una
‹‹sequenza di persistente di comportamenti improntati a mancanza di attenzione e/o
impulsività -iperattività in cui i fenomeni si presentano come più gravi e più frequenti di
quanto non compaiano in individui a omologhi livelli di sviluppo›› (Kalverboer ,2002, 54).
I bambini iperattivi mostrano scarsa capacità di concentrazione, segni di impulsività durante
lo studio e il gioco, per questi motivi sono fonte di disturbo per gli altri compagni, oltre ad
avere uno scarso rendimento scolastico.
1
La sindrome D.C.D
dei disturbi motori, viene descritta dal D.S.M-IV come ‹‹una
sequenza comportamentale continuamente presente, in cui i diritti degli altri o importanti
norme sociali non vengono osservati››. I bambini con disturbi dello sviluppo della
coordinazione motoria ‹‹manifestano un impedimento molto forte nello sviluppare le capacità
di coordinare i movimenti, non dovuto a ritardo mentale, né dovuto a una disfunzione di
tipo fisico›› (Kalverboer ,2002, 55).
Tale disturbo interferisce negativamente sulle prestazioni scolastiche del bambino e
con le normali attività della vita quotidiana, anche l’esecuzione di semplici gesti risulta
difficoltosa.
L’Università di Groningen (Olanda), ha portato avanti delle ricerche per capire il
nesso tra le sindromi sopra citate e la rete sociale dei bambini. I bambini con iperattività
pervasiva
attirano maggiormente l’attenzione dei loro compagni, hanno relazioni sociali
meno intense, presentano condotte negative, hanno problemi di linguaggio e comunicazione,
sono più frequentemente rifiutati dai compagni di scuola.
Per quanto riguarda i ruoli di bulli e vittima, sia il fare sia il subire prepotenze sono
più presenti nel gruppo dei bambini iperattivi. Sia il bullo sia la vittima sono più
rappresentati nel gruppo clinico di bambini A.D.H.D.
Le caratteristiche dei bambini affetti da D.C.D, cioè goffaggine e disturbi motori,
possono provocare problemi secondari di isolamento sociale, per via della loro difficoltà a
partecipare alle attività sportive. Questi bambini vengono descritti come solitari, sottomessi e
consapevoli, con scarsa autostima.
In sintesi sebbene sia i bambini iperattivi, sia quelli affetti da disturbi motori, siano presi
in giro dai compagni più della norma, i bambini affetti da A.D.H.D, hanno più probabilità
di rivestire il ruolo di bullo, per la loro eccessiva espressività a livello verbale. Mentre i
bambini affetti da D.C.D, per via della loro introversione e condizione di isolamento, hanno
maggiori probabilità di rientrare nel ruolo di vittime passive.
4.5
Gli interventi in Italia
4.5.1 Il role-playing e le rappresentazioni teatrali
Anche
questa
tipologia
di attività
è stata impiegata dapprima in Inghilterra
nell’ambito della politica integrata antibullismo, al fine di rafforzare le
Italia è stata una delle tecniche che ha avuto maggiore applicazione.
1
abilità sociali. In
Il
termine
role-playing letteralmente
rappresentazione
significa
‹‹gioco
dei
ruoli››. “Si
tratta
di
una
drammatica di situazioni conflittuali e rilevanti per la persona, che può
essere usata per molteplici scopi: diagnostici, terapeutici o semplicemente per l’esercizio ed
il rafforzamento di certi modelli comportamentali” (Pignatti e al.,,2003,116).
Poiché la caratteristica del role-playing è l’assunzione di un certo ruolo, l’individuo è
stimolato ad esplorare il proprio vissuto emotivo, e a comprendere il punto di vista
dell’altro; il role-playing così come le rappresentazioni teatrali aiuta ad esplorare il
fenomeno del bullismo da varie prospettive in modo costruttivo.
Per risultare efficace il role-playing deve essere seguito da un momento di
discussione e di riflessione dell’esperienza, in cui l’alunno prende le distanze dal ruolo
assunto, per elaborare il significato di questa esperienza.
I temi sui quali si orienta la discussione, in relazione al fenomeno del bullismo sono:
•
le esperienze personali;
•
le motivazioni verso le prepotenze;
•
cosa si prova a subire o a fare prepotenze;
•
le conseguenze di tali azioni;
•
l’impatto delle prepotenze sulla famiglia, sia per la vittima sia per il bullo;
•
le strategie per combattere queste prepotenze
Dal
gruppo classe l’attività di role-playing può essere estesa all’intera comunità locale;
grazie al supporto degli enti locali, tramite la rappresentazione di una commedia teatrale che
calchi sulla scena i problemi affrontati in classe.
In una scuola media di Lucca104, durante la prima fase di intervento sono stati attivati
laboratori teatrali e tecniche di role-playing insieme all’approccio curricolare.
I risultati finali hanno registrato una diminuzione dello stato di vittimizzazione per quanto
riguarda le ragazze, la situazione invece è rimasta invariata per il sesso maschile. Di contro
però è aumentata la nomina dei bulli, conseguenza di un maggior numero di denunce, dal
31% la percentuale dei ragazzi che ha dichiarato di aver percepito un maggior intervento da
parte degli adulti, è salita dal 28,6% al 50%.
4.5.2
L’educazione socio-affettiva
104
Menesini E., “Prevaricatori e vittime tra i banchi di scuola”, in Psicologia contemporanea, n. 149/1998, pp.
38-44.
1
L’educazione socio-affettiva è stata applicata in molte ricerche-intervento in Italia, con
risultati notevoli. “E’ modello di intervento psicopedagogico che tende a migliorare nell’individuo
la conoscenza di sé, facilita nel gruppo-classe la collaborazione tra i membri. E’ un efficace
strumento di formazione della personalità secondo valori democratici e un valido mezzo di
prevenzione del disturbo mentale e della devianza e delle dipendenze”(Maggi, Manassero,
Tassi, 2006, 59).
I bambini che compiono prepotenze, soprattutto quelli che presentano alle spalle
situazioni familiari di maltrattamento o di famiglie multiproblematiche, accumulano un senso
di frustrazione e di aggressività tale da manifestare sentimenti di ostilità verso l’ambiente
circostante. Incapaci di esprimere le loro emozioni, si nascondono dietro un atteggiamento da
“duri”. Se spronati a manifestare il loro stato d’animo, in un ambiente sicuro, aperto al
confronto, possono capire meglio le cause del loro disagio e valutare le conseguenze delle
loro azioni. Anche per le vittime troppo inibite per reagire, l’educazione socio-affettiva può
essere un momento di in cui manifestare la propria sofferenza, rompendo la morsa di
solitudine e dolore che le attanaglia.
L’educazione socio-affettiva è uno strumento per sviluppare il benessere in classe,
lavorando sul gruppo, indirettamente si lavora anche sui ragazzi in difficoltà.
I percorsi di educazione socio-affettiva, mirano a rinforzare la consapevolezza delle proprie
emozioni, per intervenire là dove vi siano delle difficoltà
nella gestione delle proprie
relazioni. Uno stile emozionale inadeguato, inculcato dalle figure di riferimento può essere
recuperato attraverso percorsi di empowerment.
L’educazione socio-affettiva trae i suoi fondamenti da due rami della Psicologia: dalla
Psicologia Umanistica trae il pensiero filosofico e valoriale, e dalla Psicologia di Comunità
trae le strategie di gestione e promozione dei gruppi.
Il pensiero filosofico è quello umanistico di Maslow e Rogers; l’uomo viene
concepito come una totalità,dove la sfera cognitiva, affettiva e corporea sono strettamente
interconnesse. Il modello di relazione interpersonale improntato ad empatia, accettazione ed
autenticità trae ispirazione dal pensiero di Rogers.
Una sperimentazione delle tecniche socio-affettive avvenuta in due scuole elementari di
Palermo, ha presentato indici di gradimento molto alti negli alunni105.
Durante lo svolgimento degli incontri sono state potenziate le seguenti abilità:
105
Pisciotta S., “L’educazione socioaffettiva
per la prevenzione contro il
bullismo
scolastico.Ricerca realizzata in due scuole elementari”, In Esperienze sociali, n.1/2002, pp. 19 -27.
1
nel
contesto
a) abilità per la gestione delle emozioni;
b) abilità per controllare e mantenere l’aggressività;
c) abilità per fare o mantenere le amicizie
L’educazione socio-affettiva si dimostra un valido strumento per la diffusione della cultura
della non violenza e del rispetto reciproco. Se inserito all’interno dei curricola scolastici,
potrebbe essere un contributo per la prevenzione contro il fenomeno del bullismo, e
apportare maggiore benessere psicofisico agli alunni; sia nel rapporto bambino-bambino, sia
nel rapporto insegnante-alunni, sia nel rapporto bambino con se stesso.
4.5.3
La Token economy
La Token Economy (letteralmente economia a gettoni)106, è una delle strategie
impiegate durante il progetto per la gestione di comportamenti problematici in classe.
La Token Economy
unisce il rinforzo positivo e una punizione. La strategia punitiva
adottata è il costo della risposta, che consiste nella sottrazione dei rinforzatori (ad es.
diminuire il tempo dell’intervallo).
I rinforzatori
essere poi
impiegati nella Token Economy si presentano sotto forma
simbolica, per
riconvertiti in ricompense tangibili. Possono assumere svariate forme: fiches,
gettoni, banconote di carta applicati su una scheda personale o su un cartellone da
appendere in classe, suddiviso per settori da colorare. Tagliare il traguardo sarà più difficile
se si applica la tecnica del costo della risposta, che consiste in questo caso nel togliere i
rinforzatori simbolici qualora si verifichino comportamenti inadeguati.
L’efficacia di questa strategia può essere garantita da poche regole semplici e specifiche:
•
Offrire un elenco ricco di rinforzatori tangibili, scelti sulla base delle preferenze degli
allievi;
•
Occorre fare in modo che i rinforzatori più desiderati siano ottenibili con un numero
maggiore di gettoni;
•
Definire i momenti in cui effettuare lo scambio con i rinforzatori di sostegno,
dapprima dovrebbe essere frequente, per poi aumentare gradualmente il tempo di
intervallo.
106
Iannacone N., Stop al bullismo, Molfetta, La Meridiana, 2005, pp. 40-42.
1
Le regole e le relative ricompense vanno spiegate in modo chiaro ed inequivocabile, gli
alunni devono avvertire la percezione della ricompensa come effetto immediato in un
determinato lasso di tempo.
Il modello comportamentista
privilegia l’area relativa al comportamento, tuttavia ciò non
esclude la sfera cognitiva ed emotiva dell’alunno. Riuscire ad incrementare comportamenti
positivi con opportuni rinforzi, può produrre a lungo termine emozioni positive dovute al
rafforzamento di una maggiore autostima in un ambiente in cui il soggetto si sente
apprezzato. A lungo termine il soggetto assumerà comportamenti adeguati, non per via del
controllo esterno, ma perché avendo interiorizzate determinate regole, sarà in grado di
esercitare su di sé un adeguato autocontrollo.
La tecnica del rinforzamento dovrebbe far parte dello stile educativo di chiunque
lavori a contatto con i ragazzi, anziché essere applicata durante determinati programmi.
Esiste in ambito scolastico un atteggiamento che
tende a puntualizzare
soltanto i
comportamenti scorretti, dando per scontati quelli corretti.
Il risultato che si ottiene è quello di valorizzare solo chi offre prestazioni brillanti,
trascurando chi invece assume atteggiamenti problematici solo per attirare l’attenzione.
Un educatore attento dovrebbe imparare a considerare anche i comportamenti positivi,
gratificandoli con dovuti rinforzi; anche un semplice complimento del tipo “bravo, hai fatto
un buon lavoro,” può produrre effetti notevoli.
4.7.4
L’educazione razionale emotiva
Soltanto negli anni ’70 la Ratioanl –Emotive Therapy (RET), da modello da applicare
in campo clinico diventa strumento
per
la prevenzione del disagio psicologico in età
evolutiva. L’educazione razionale emotiva nasce come terapia Razionale Emotiva negli anni
Cinquanta, ad opera dello psicologo americano Albert Ellis sui presupposti delle teorie dei
grandi maestri di pensiero orientale. E’ una metodologia di intervento che si fonda prima
sull’identificazione e poi sulla trasformazione di quelle forme di pensiero distorte ed
irrazionali che non permettono agli individui di raggiungere un adeguato benessere
psicologico. Secondo la RET, ognuno di fronte a determinati eventi presenta reazioni emotive
diverse, che naturalmente non sono legate a ciò che effettivamente accade, ma al modo in
1
cui ognuno valuta ed interpreta l’accaduto. Si affrontano le difficoltà che si incontrano
secondo il pensiero che si proietta in quelle situazioni.
Per Ellis comportamento, emozioni e pensiero sono aspetti dell’esperienza umana
strettamente interconnessi. Ad esempio un impedimento fisico può avere evoluzione diversa a
seconda dell’approccio che ne avranno i soggetti portatori107.
I termini “razionale” ed “emotivo”, messi insieme indicano la possibilità di raggiungere un
adeguato benessere emotivo, abituandosi a pensare in modo costruttivo e razionale.
I pensieri razionali sono coerenti con la realtà oggettiva, di conseguenza l’individuo
raggiunge i suoi obiettivi, con adeguate reazioni emotive.
I pensieri irrazionali si possono suddividere nelle seguenti categorie108:
•
Doverizzazioni: considerare un’esigenza assoluta ciò che dovrebbe essere preferibile;
•
Insopportabilità: è una forma di esagerazione attraverso cui l’aspetto sgradevole di
una persona o di un evento viene ingigantito;
•
Giudizi totali su di sé e sugli altri: giudicare una persona solo sulla base di un suo
comportamento:
•
Catastrofizzazione: si considera il verificarsi di determinati fatti come eventi orribili,
quando sono solo cose spiacevoli o fastidiose;
•
Indispensabilità: affermazioni che trasformano in bisogni assoluti ciò che sarebbe
spiacevole o fastidioso.
Per vivere in modo equilibrato le proprie esperienze, potenziando le emozioni positive e
riducendo quelle spiacevoli, occorre “ristrutturare” quei pensieri irrazionali che scatenano
reazioni emotive sproporzionate. Queste sono le linee generali della RET, tali presupposti
colludono con l’idea di uno sviluppo integrale del bambino, valorizzando la dimensione
affettiva quanto quella intellettiva.
L’obiettivo dell’Educazione Razionale Emotiva, è quello di far apprendere al bambino
come autoregolare le proprie emozioni, in modo che non sia lui ad essere dominato dalle
emozioni ma possa esercitarne il controllo, modulandole secondo le proprie esigenze.
Lavorando
sulla
propria
emotività
il
bambino
impara
a
ridurre
gli
stati
d’animo
eccessivamente negativi ed a potenziarne quelli positivi.
107
I malati oncologici ad esempio, rispondono meglio alle terapia a seconda dello stato psicologico con cui
affrontano la malattia. Le ricerche hanno dimostrato che quando il paziente si abbandona a stati depressivi le
cure risultano meno efficaci, rispetto a chi si dimostra determinato nell’affrontare la malattia.
108
Op. cit.45- 47.
1
“Affinché tale obiettivo sia raggiunto è necessario prima rendere il minore consapevole delle
proprie reazioni emotive, ed in seguito arricchire il vocabolario emotivo in modo che
possieda un discreto bagaglio di emozioni verbali per descrivere le differenti situazioni”
(Giobbio, 2005, 46).
In seguito occorre sottolineare la relazione tra i pensieri e gli stati d’animo, ponendo
l’accento sull’importanza con cui ognuno interpreta gli eventi. Dopo questi accorgimenti il
bambino
avendo
imparato
a
pensare
razionalmente
sarà
in
grado
si
superare
le
problematiche quotidiane e di prevenirne le emozioni connesse.
La metodologia dell’Educazione Razionale Emotiva è stata il fondamento del
percorso finalizzato a prevenire l’insorgere di episodi di bullismo all’interno del progetto
“Stop al bullismo”.
4.5.6 Un’esperienza di mediazione scolastica
Nel III capitolo è stata descritta la metodologia di intervento della mediazione. Gli
interventi proposti dal modello inglese hanno trovato ampia applicazione in Italia, seppure
siano concentrate soltanto in poche realtà locali, senza alcuna azione di coordinamento a
livello nazionale.
Nel 1999 a seguito di eclatanti episodi di bullismo presentati dai media, presso la scuola
media “Melo” di Bari, alcuni genitori decidono di costituire un “cordone di sicurezza”
all’interno dell’edificio scolastico. Tra i genitori dilagava un notevole senso di paura, gli
insegnanti non riuscivano a garantire il normale svolgimento delle lezioni, si reclamavano
pene severe per i bulli, si minacciavano trasferimenti in altre scuole.
A questo punto la scuola decide di intervenire a livello istituzionale, coinvolgendo le
forze socio-politiche e culturali per una soluzione partecipata del problema. Viene costituito
un tavolo di studio al quale sono chiamati gli operatori del centro di mediazione dei
conflitti di Bari.
Il capoluogo pugliese presenta una situazione particolare, la violenza è giustificata e sorretta
dalla cultura dell’illegalità in un territorio degradato dal punto di vista socio-economico.
Questa esperienza di mediazione si scosta dallo schema tradizionale, si parta dalla scuola per
intervenire sulla comunità locale. Alla cultura dell’illegalità dove vige la legge del più forte,
dove la vittima deve subire in silenzio, bisognava sostituire un clima sociale fondato sulla
legalità e sulla concordia.
1
La mediazione non era concentrata soltanto sul conflitto tra due persone; in un territorio
assoggettato dalla mafia occorreva coinvolgere tutte le risorse che facevano parte della
comunità scolastica, affinché si arrivasse al raggiungimento della pace. Non quella imposta
dalla mafia ma la pace del rispetto della legge e del riconoscimento dei diritti di ogni
società democratica.
L’origine del conflitto tra insegnanti e alunni, era dovuto al contrasto di valori tra
l’istituzione scolastica e il territorio di appartenenza. Di fronte ai disordini quotidiani la
scuola poteva arginare il fenomeno solo tramite misure disciplinari immediate. L’effetto
positivo era solo temporaneo, poiché le parti tendevano sempre di più ad irrigidirsi nel loro
ruolo e a far valere le proprie ragioni, senza trovare alcun punto d’incontro.
La sfida del laboratorio di mediazione, era quella di far capire che esistono delle alternative
per affrontare il conflitto, che vanno oltre la fuga e la violenza.
Il progetto relativo al laboratorio di mediazione scolastica comprendeva due fasi:
•
la mediazione
•
la formazione della mediazione.
Le attività relative alla mediazione comprendevano tre fasi. La prima prevedeva incontri
di formazione sulle tematiche mediative rivolte ad insegnanti, genitori e studenti oltre alla
costituzione di un gruppo di lavoro con gli insegnanti per l’approfondimento delle tematiche
riguardanti la mediazione tramite l’approccio curricolare.
La seconda fase prospettava la creazione di uno sportello per la mediazione, uno spazio
dedicato all’ascolto e all’accoglienza di coloro che riscontrano difficoltà relazionali.
La terza fase riguardava la valutazione del laboratorio mediante un questionario rivolto a
studenti ed insegnanti.
Su tutti i fronti il lavoro per i mediatori si
è dimostrato complesso, i docenti
esasperati e demotivati si aspettavano soluzioni immediate da parte dei soggetti esterni. I
genitori non riuscivano a stabilire un dialogo con la scuola, alla quale tendevano a delegare
il loro compito educativo. Gli alunni non conoscevano altra via per risolvere il conflitto se
non quella dello scontro fisico e verbale.
Il primo passo è stato quello di far capire ai ragazzi cosa significasse mediazione.
Complessivamente coloro che sembrano aver beneficiato del progetto risultano i ragazzi
vittima e le rispettive famiglie, le quali hanno appreso forme comunicative adeguate per
affrontare i loro aggressori. Per i soggetti esterni al bullismo, l’esperienza di mediazione è
stata un passo importante dal punto di vista della maturazione personale.
1
Secondo la valutazione di un’operatrice scolastica109, l’apertura degli alunni verso la
mediazione è stata progressiva. Coloro che erano abituati al ruolo di “boss” hanno preferito
darsi
alla fuga durante i primi incontri. Pian piano al caos che caratterizzava le prime
lezioni si sostituisce un clima di collaborazione, l’entusiasmo di essere promotori di
un’iniziativa della propria città coinvolge sempre più persone.
La sfida del Centro di mediazione C.R.I.S.I era la seguente: genitori, alunni e docenti,
avrebbero dovuto le abilità alla mediazione all’interno dell’istituzione scolastica, per essere in
grado di applicarle nelle relazioni all’interno del loro quartiere e del loro paese.
Si dimentica spesso che i ragazzi, soprattutto nelle fasi più delicate (adolescenza e
preadolescenza), modellano il loro comportamento sull’esempio che ricevono dagli adulti.
E’ facile scandalizzarsi, etichettare, punire, condannare di fronte ad episodi di violenza che
coinvolgono i minorenni, molto più difficile invece è capirne le cause. I ragazzi non sono
stupidi, gli adulti possono predicare e salvare le apparenze. I ragazzi non hanno bisogno di
parole, ma di un valido esempio che li guidi nelle loro scelte. Per qualsiasi tipo di educatore
è frequente l’errore di giudicare, perdendo di vista le risorse di cui sono dotati i ragazzi.
Si può plasmare il modo di pensare e di comportarsi dei ragazzi, se oltre ai valori negativi
cui sono abituati, qualcuno li aiuta ad apprendere altre modalità di interazione. Ecco perché
le strategie più proficue riguardano gli interventi di supporto tra coetanei. Bisogna investire
sulla prevenzione non sull’emergenza.
4.6
Interventi con i genitori
Una politica antibullismo adeguata richiede una collaborazione attiva tra genitori e
insegnanti, senza accuse reciproche o trasferimento di responsabilità. Ampi filoni di ricerca
dimostrano che alcuni stili educativi da parte dei genitori predispongono alla condizione di
bulli o vittime. Fantocci e Berdondini110 propongono un percorso di intervento che prevede la
partecipazione attiva dei genitori. Un programma di prevenzione adeguato richiede i genitori
si sottopongano ad un training formativo per apprendere esperimentare idonee strategie
comunicative
quali
l’ascolto
attivo, lo
sviluppo
dell’empatia
ed
il
rafforzamento
dell’autostima. Il programma prevede delle tappe da rispettare:
109
Coppola De Vanna A., “La mediazione in ambito scolastico”, In Minorigiustizia, n. 2/2000, pp. 138-152.
Fantacci F., Berdondini L., “Coinvolgere i genitori in un intervento anti-bullismo”, In Genta M.L., (a cura di),
(2002), Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola, Roma, Carocci, pp. 97-113.
110
1
1. sensibilizzare ed informare ed informare i genitori sul fenomeno del bullismo a
scuola;
2. rendere il genitore consapevole del ruolo che occupa rispetto al fenomeno;
3. offrire alle famiglie un momento per esprimere le proprie esperienze, difficoltà,
paure;
4. cercare un’occasione di confronto tra i membri del gruppo;
5. individuare e sperimentare più strategie possibili per affrontare il problema, che si
tratti di genitori di bulli, vittime o di bambini non direttamente coinvolti nel
fenomeno.
Nonostante la partecipazione attiva, il genitore durante gli incontri non veniva
obbligato a raccontare la sua esperienza diretta, per evitare eventuali tensioni emotive che
non consentissero un incontro sereno.
La metodologia dell’intervento era finalizzata alla sperimentazione da parte del genitore di
tutti i ruoli attraverso l’impiego di simulazioni e del role-play.
Al termine di ogni incontro venivano dedicati dieci minuti all’approfondimento delle
dinamiche relazionali ed emotive che durante gli interventi venivano trascurate (debriefing).
Il primo incontro con le famiglie era importante per stipulare “il contratto”, relativo ai tempi
e alle regole del corso, è la base per gli incontri successivi.
Durante il primo incontro si focalizza l’oggetto su cui si intende discutere, si analizzano le
aspettative e il livello di conoscenza del gruppo riguardo al problema. Una parte importante
dell’incontro riguarda la conoscenza tra i membri del gruppo al fine di creare un clima di
complicità. Nella
fase
successiva
si
applicano
le
tecniche
del
braistorming (libera
associazione di idee) e della “scatola della paura”.
Tramite il braistorming111 si arriva alla definizione teorica del bullismo; la tecnica della
“scatola della paura” invece aiuta i genitori ad esprimere le proprie paure e le loro ansie
riguardo al fenomeno in cui sono coinvolti. I genitori inserendo in una scatola chiusa alcuni
bigliettini anonimi in cui esprimono ciò che provano realizzano virtualmente l’allontanamento
delle
loro paure. La lettura di fronte al gruppo di tutti i bigliettini aiuta i genitori a
condividere i loro problemi e a sdrammatizzarli.
Durante il secondo incontro i genitori vengono stimolati ad individuare il profilo del
bullo e della vittima riconoscendone gli indicatori primari e secondari. Relativamente ai
111
Il braistorming è una tecnica che permette la definizione di un termine, tramite la libera associazione di
parole.
1
genitori dei bambini esterni, si cerca di stimolare la riflessione sul ruolo e sulle
responsabilità dei figli nel fenomeno delle prepotenze.
Per tale scopo viene utilizzata la tecnica della “sedia vuota”. Il gruppo si riunisce in cerchio,
il conduttore pone al centro una sedia, si deve immaginare che sia seduta un’ipotetica
vittima, un ipotetico bullo. I genitori sulla base delle domande ricevute dovranno descriverne
le caratteristiche; per la descrizione degli astanti si trova supporto nella letteratura (cfr.§ 3.3).
Il terzo ed ultimo incontro all’apprendimento di strategie volte a fronteggiare le
manifestazioni del fenomeno e le ripercussioni sulla vita scolastica dei figli. Il genitore deve
capire quali sono i meccanismi del suo stile educativo che favorisce nel figlio l’insorgere
dello status di bullo o di vittima.
I genitori per prevenire ed arginare gli effetti del bullismo, devono apprendere
modalità comunicative adeguate. Saper comunicare significa anche cogliere i messaggi non
verbali che lancia il figlio quando torna da scuola.
Fondamentalmente la vittima dimostra mancanza di assertività, caratteristica che la
rende vulnerabile alle prepotenze. I genitori durante il corso apprendono determinati esercizi
per rinforzare queste qualità, al fine di trasmetterle ai figli. La tecnica per l’apprendimento
di queste strategie è il role-play.
Gli obiettivi sono stati parzialmente raggiunti; si è creato un gruppo molto affiatato
che ha sentito l’esigenza di continuare a riunirsi anche dopo la fine del corso, a scadenze
regolari, inoltre si sono impegnati a collaborare attivamente con gli insegnanti.
Nel progetto “Nuovi Passi” del Comune di Savigliano (CN), l’iniziativa di studiare e
progettare interventi contro il bullismo è partita dalla proposta dei genitori, appartenenti
all’Associazione di Volontariato il “Cerchio” di Savigliano, con la collaborazione di alcuni
istituti del territorio e con il finanziamento del Centro dei servizi del Volontariato, cui
l’associazione il Cerchio ha presentato il progetto “Nuovi Passi”, attivando così un intervento
di prevenzione e ricerca azione sul bullismo per gli anni scolastici 2004/2005 e 2005/2006.
La valutazione da parte dei genitori si è presentata positiva.
Il 41% ha condiviso l’esperienza, il 69% dichiara che il corso di formazione è stato un’
esperienza
positiva, il 66% che sarebbe utile continuarla ed il 48% che è stata di aiuto.
La maggior parte dei genitori ha riscontrato miglioramenti nelle relazioni dei figli con
maggiore controllo d’impulsività e capacità di spiegare le proprie ragioni.
Una parte di loro ha riscontrato un aumento di autostima nel figlio, con risvolti
positivi sul rendimento scolastico (Maggi, Gramoglio,2005).
1
Questa esperienza dimostra quanto possa essere proficua la collaborazione tra genitori
degli alunni e terzo settore.
Capitolo V
Fattori di rischio della società postmoderna
5.1 Cosa è cambiato oggi rispetto a ieri?
La risposta a questa domanda non è univoca. Prima di tutto, occorre cercare di
esaminare, i cambiamenti riguardanti la principale agenzia educativa, nella quale ogni individuo
inizia il processo di socializzazione primaria112: la famiglia.
Con le trasformazioni sociali avvenute negli ultimi decenni, la configurazione della famiglia,
ha assunto un’ impronta diversa.
Le gerarchie sono scomparse, oggi si assiste ad una omogeneizzazione dei ruoli
paterni e materni: il padre può fare da madre, e la madre da padre (Marini, Mameli, 2006).
Nella ‹‹famiglia patriarcale››, il capofamiglia deteneva l’esercizio dell’autorità nei confronti
di moglie e figli. Al padre spettava il compito di trasmettere norme e regole di vita, la
madre invece era ‹‹ l’angelo del focolare››, alla quale spettava la presa in carico degli
affetti. Attualmente invece i ruoli sono intercambiabili, il padre rispetto al passato trascorre
più tempo con i figli, costituendo per loro un valido supporto emotivo. Il padre di oggi non
rappresenta più l’unica fonte di sostentamento economico per la famiglia, ha più tempo da
trascorrere con i figli, quindi riesce ad instaurare relazioni coinvolgenti sul piano affettivo, è
più propenso all’ascolto che all’imposizione.
112
Con questo termine si definisce, il processo attraverso il quale ogni società, per assicurare la propria
continuità, cerca di trasmettere a coloro che vi entrano per la prima volta, la sua cultura, cioè l’ insieme
di valori, di norme, di atteggiamenti, di aspettative, di conoscenze, di linguaggi di cui dispone. Avviene nei
primi anni di vita del bambino, ed è rivolta alla formazione delle competenze di base.
1
Soprattutto l’ingresso della donna nel mondo del
lavoro, ha favorito
nel ruolo
materno, l’assimilazione di alcune caratteristiche, da sempre appannaggio della figura paterna.
Le famiglie moderne, sono ‹‹le famiglie dell’accumulo››, entrambi i genitori lavorano,113
per
assicurare
ai figli una condizione di discreto
benessere
economico. Si
cerca
di
colmare il vuoto dovuto alla mancanza di tempo per stare insieme, cercando di colmare i
figli di beni materiali. Per i genitori, è diventato difficile porre dei freni, dire di “No”.
Nei
pochi momenti in cui la famiglia si riunisce, l’unica preoccupazione è quella
di
assecondare le richieste dei figli, pur di non arrecare loro qualche dispiacere.
Un tempo rientrando a casa, il ragazzo, entrava in contatto con un’ ampia rete di
relazioni, oltre alla mamma, poteva introdurre un dialogo, con la nonna o con la zia. Oggi
invece trascorre molto ore in solitudine, davanti
la
TV o al computer, quando non è
affidato alle cure di una tata.
Secondo Risè, nella società moderna si configura ‹‹la patologia della società senza
padre››. Non solo perché i padri non detengono il controllo di un tempo, ma anche a causa
dell’aumento progressivo dei divorzi, delle convivenze more uxorio, che minano la stabilità
familiare. L’Italia occupa ancora l’ultimo posto in materia di instabilità coniugale, insieme
a Spagna e Portogallo. Gli Stati Uniti detengono il primato in materia di divorzi, seguiti da
Gran Bretagna, Svezia e Danimarca. Al terzo posto troviamo Francia, Belgio, Olanda e
Germania. Tuttavia
in Italia, in trentacinque anni, il
numero dei
divorzi, è
cresciuto
di
quattordici volte, passando da 5.600 nel 1975, a 76.000 nel 2001 (Bagnasco e all, 2004, 250).
Nelle regioni del Nord, il numero di divorzi è maggiore rispetto al meridione, ciò è dovuto
ad una lenta evoluzione sociale, ed alla prevalenza di società a carattere comunitario, legate
a certi valori.
Qualche dato fornito dagli uffici di censimento americani, dimostra che il 90% dei
senza tetto, e dei figli fuggiti di casa, non avevano un padre in famiglia. Il 70% dei
giovani delinquenti ospitati in istituzioni statali, provenivano da famiglie dove mancava la
113
In questa situazione, riveste un ruolo determinante anche l’economia del paese. Nelle regioni
settentrionali, una famiglia che vive soltanto con lo stipendio del padre, non riesce ad arrivare alla fine del
mese. I prezzi degli affitti sono molto cari, così come le rate di un mutuo, per poter almeno assicurare
un’abitazione stabile ai figli. L’inflazione provocata dell’entrata dell’euro, ha diminuito il potere d’acquisto
in tutti i settori, senza che vi sia alcuna tutela da parte dello stato.
Una condizione del genere, protratta per tanto tempo, provoca dei cambiamenti disastrosi. I figli
tendono a rimanere a casa dei genitori il più a lungo possibile, di conseguenza tendono a rimandare il
momento del matrimonio, le nascite diminuiscono. Nelle famiglie già costituite i genitori hanno sempre meno
tempo per i figli, investendo in scelte sbagliate per la loro educazione.
Naturalmente alcuni cambiamenti, da sistemi più ampi quali sono la società e l’economia di una
nazione, ricadono sul microsistema familiare, di conseguenza tali modifiche investono il tessuto sociale nella
sua totalità, in un processo circolare.
Questa parentesi, andrebbe approfondita con ulteriori ricerche sociologiche, che analizzino l’impatto
di determinate politiche economiche e statali, sulla società.
1
presenza paterna. L’85% dei giovani che si trovano in carcere, sono cresciuti senza padre,
il 60% dei giovani che sono ricorsi al suicidio avevano padri assenti (www.socialnews.it).
I risultati di una ricerca di Prosperi, dimostrano che una situazione di separazione
familiare, che si manifesti durante il periodo adolescenziale, riporta maggiori traumi nella
personalità
dell’individuo. In un periodo delicato per la ricerca di una propria identità
personale, la disgregazione di un punto di riferimento importante, quale è il nucleo
familiare,
rappresenta
motivo
di
smarrimento
per
i giovani114. In modo particolare, i
preadolescenti compresi nella fascia di età tra gli undici e i dodici
anni, mantengono
un’immagine “conservativa” della famiglia, di conseguenza elaborano con maggiore difficoltà
tale evento (www.smontailbullo.it).
Il padre rappresenta colui che regge le ferite e le perdite, a cui ogni individuo
incorre nel corso
della propria esistenza. I cittadini di
una società “senza padri,”
percepiscono la perdita come un affronto personale, più che come un normale ostacolo da
superare durante il corso della vita. Di queste perdite fa anche parte il sacrificio di dover
riconoscere l’autorità paterna. E se si può fare a meno dell’autorità paterna, perché prendere
in considerazione chiunque cerchi di far rispettare delle regole? (www.socialnews.it)
La psicologa Vermigli, sottolinea l’importanza del padre, come figura che sostiene il
figlio, nel compiere i primi passi verso una socializzazione del mondo esterno, al fine di
staccarsi dal guscio protettivo della famiglia, e compiere nuove esperienze. La madre invece
tende a tenerlo legato a sé, atteggiamento che frena la maturazione dell’adolescente, con
conseguente calo dell’autostima.
Reggere il confronto con la realtà, è difficile senza una figura paterna che introduca
nella società, che aiuti il figlio a prendersi le proprie responsabilità.
Nella società attuale, seppure il padre, sia presente fisicamente, instaura con il figlio, un
rapporto paritario, anziché asimmetrico, un rapporto da fratello o da amico, più che da padre.
“I ragazzi e gli adolescenti, hanno infatti un costituzionale bisogno, di vedere negli adulti
dei punti di riferimento, per essere confermati non solo per quello che sono, ma anche per
114
Da molti anni, la giurisprudenza tutela la madre, considerata il soggetto debole, a sfavore del
padre. Il padre in caso di separazione ha meno diritti di occuparsi dell’educazione dei figli. L’entrata in
vigore, nel 2006, della legge che prevede l’affidamento congiunto, rappresenta un passo in avanti, al fine di
garantire al figlio la presenza continua di entrambi le figure genitoriali durante il periodo di crescita.
Inoltre, è in espansione la figura del mediatore familiare, non ancora pienamente conosciuta. Il suo
compito è quello di aiutare le famiglie in difficoltà a trovare un punto di incontro, nonostante la situazione
conflittuale. In caso di separazione o divorzio, è importante che i coniugi capiscano, che sono loro a
separarsi, e non i figli dai loro genitori. Questo eviterebbe ulteriori traumi psicologici, nei confronti di minori,
che spesso vengono usati nelle cause legali, come arma di ricatto, per assecondare i rancori personali che
possono esplodere dopo una separazione.
1
quello che possono divenire, oltre che per poter confrontarsi, e magari scontrarsi con una
definita proposta di valori” (Butturini,1984,181).
Come osserva Lorenz,115 nessuno accetta norme da persone deboli e sottomesse. I
giovani di oggi, non hanno più come esempio persone credenti, capaci di sentimento e di
ragione, persone disposte a “mettersi in gioco.”
L’attuale figura paterna, non è più in grado di fornire questo esempio. Per questo
motivo i giovani saranno portati a ricercare l’attenzione dei pari, anche a costo di
conformarsi ai loro modelli. A volte i genitori, favoriscono di proposito, questa sorta di
dipendenza nei confronti del gruppo amicale. Affinché il figlio non subisca una sorta di
isolamento, sono disposti anche a costo di sacrifici economici, a fornirgli quei beni materiali,
che gli permettano di seguire la moda del momento e di uniformarsi agli altri. Spesso si
sente dire ai genitori moderni, che ai loro figli non deve mancare nulla. Se gli altri ragazzi
possono permettersi, quel cellulare di ultima generazione, o quel vestito firmato, allora anche
i loro figli devono possederlo, perché non siano inferiori agli occhi della società. Se gli
adulti non hanno il giudizio e la forza di volontà necessaria, per resistere a certe pressioni
effimere, come si può pretendere che ne siano in grado bambini e adolescenti?
Secondo gli ultimi dati di una ricerca condotta dal Centro Studi Minori e Media, gli
alunni
delle
elementari
possiedono
un
proprio
telefonino, alcuni di loro l’hanno avuto
addirittura a quattro anni (www.larepubblica.it, 12/12/2007).
Con l’ingresso nella scuola materna,116 il bambino inizia
il proprio processo di
socializzazione secondaria, inizia a sviluppare le proprie competenze sociali e relazionali,
uscendo dall’ambito familiare. Comincia ad esplorare il mondo esterno, con il supporto del
gioco. Frequentare la scuola dell’infanzia favorisce lo sviluppo del bambino, su due
versanti. Viene sollecitata la consapevolezza cognitiva, nella padronanza linguistica, che il
bambino esercita tramite le conversazioni con i coetanei. Nello stesso tempo, i bambini sono
spronati a padroneggiare il valore affettivo della vita di gruppo (Molinari,2005,38).
Se il bambino si concentra sul telefonino, tenderà a chiudersi in se stesso, senza
apprendere quelle abilità che gli consentiranno di interagire con il mondo esterno. Questo
vuoto che si verifica durante l’età evolutiva, avrà ripercussioni,
sugli altri stadi dello
sviluppo. I genitori, tentando di arricchire il figlio materialmente, non si rendono conto di
privarlo di elementi essenziali per la sua crescita personale.
115
Butturini E, Disagio giovanile e impegno educativo, Editrice La Scuola, Brescia, 1974, p. 181.
Secondo il modello dello sviluppo cognitivo, elaborato da Piaget, dall’età di 18-24 mesi, fino ai 7-8 anni,
il bambino si trova nel periodo preoperatorio. Durante questa fase emerge l’attività rappresentativa e
simbolica, per cui ora il bambino è in grado di usare simboli, immagini, parole, azioni che rapprsentino altre
cose; sviluppo dell’imitazione differita, del gioco simbolico, del disegno, del linguaggio che permette di
attuare interventi non attuali.
116
1
Si dovrebbe
ristabilire, un rapporto asimmetrico, fra un adulto
adolescente alla ricerca
responsabile, e un
della propria identità; in un clima di rispetto reciproco, tra un
adulto che apprezza le potenzialità del giovane, e un giovane che rispetta e ammira il
modello educativo, impartitogli dall’adulto.117
Vergati118 in una ricerca effettuata su un campione di 606 intervistati, ha rilevato
un alto grado di normatività familiare, solo nel 12% degli intervistati; mentre il 51% si
situa ad un livello medio, e il 37% presenta un grado normativo basso. In particolare è
stata rilevata, la correlazione tra il grado di normatività familiare, e la presenza/assenza in
famiglia della figura paterna. In alcuni casi i risultati sono inattesi, nel 15,7% del campione
in cui il padre è assente, si è rilevato un grado di normatività elevato, doppio rispetto a
quello delle famiglie in cui il padre è presente; mentre il livello medio e quello basso
risultano inferiori alla media. E’ probabile che le madri degli intervistati, proprio a causa
dell’assenza del padre, siano portate ad adottare uno stile educativo più rigido, al fine di
regolare i comportamenti
del
figlio; talvolta
questa
maggiore
severità
è dovuta
all’atteggiamento trasgressivo manifestato dai figli.
Il grado di normatività, è connesso anche allo status sociale; tra le famiglie di status
alto e quelle di status medio, non vi sono differenze rispetto alla media. Invece tra le
famiglie di status
basso, si nota maggiore propensione ad adottare uno stile educativo
autoritario. Un livello di normatività alto, si riscontra in 21 famiglie su 100, invece la
normatività di grado basso è inferiore. Al contrario tre quarti delle famiglie dei non attivi
sono caratterizzate da bassa normatività.
Il quadro complessivo, presenta una famiglia con madri amorevoli e stressate e padri
assenti o autoritari (Vergati,2003,110).
Anche
comportamento
nella
presa in considerazione
delle
reazioni dei genitori di fronte
al
dei figli119, è emerso che nei casi di comportamenti positivi o di successi
scolastici, poco più della metà dei genitori li loda. Il 40% delle mamme ed il 39% dei
papà, quando il figlio sbaglia si limitano a parlare con lui; il 41% delle mamme contro il
117
Op. cit. p. 182.
118
Stefania Vergati è titolare della cattedra di Sociologia dei gruppi e docente di analisi della qualità
della vita nelle organizzazioni nella Facoltà di Sociologia dell’Università di Roma “La Sapienza”, oltreché di
Sociologia generale nella Facoltà di Scienze della formazione della Libera Università Maria SS. Assunta di
Roma.
119
Stefania Vergati, Bully Kids. Socializzazione
Editore, Acireale- Roma, 2003, p. 111.
disadattate e bullismo fra i preadolescenti. Bonanno
1
37% dei papà sgrida i figli, infine un quinto dei genitori si colloca su posizioni estreme,
di tipo autoritario o trascurante. Il 12% delle mamme, ed il 13% dei papà adotta vere e
proprie punizioni, mentre si mostra indifferente il 13% dei papà e soltanto il 2% delle
mamme. Nella maggior parte dei casi, l’indifferenza dei padri, non è dovuta solo a separazioni
o divorzi, ma alla tendenza a delegare alle mogli l’educazione dei figli.
Anche la scuola ha subito dei cambiamenti radicali. Con l’ingresso a scuola, il
bambino inizia il processo di socializzazione secondaria, che mira alla formazione delle
competenze specifiche, necessarie per lo svolgimento di vari ruoli sociali. Grazie all’interazione
con insegnanti, conoscenti, amici, una persona non solo apprende il contenuto di innumerevoli
norme di cui fa parte la società, ma le interiorizza in norme morali che guideranno la
condotta dell’individuo, facendolo sentire in colpa, ogni volta che tenterà di violarle
(Bagnasco e al., 2004,108).
Le aspettative nei confronti della scuola, risultano contraddittorie; si trascorrono a
scuola molte più ore rispetto al passato, agli insegnanti non viene soltanto demandato il
compito di trasmettere la cultura, ma anche quello di preparali alla vita sociale. Nelle scuole
oggi, si tengono corsi di educazione stradale, di educazione alla legalità, di informatica, che
hanno avuto il loro incremento solo nell’ultimo decennio. Anche i programmi ministeriali,
relativi all’attività curricolare, risultano molto più corposi rispetto al passato. Ogni anno,
quando si riaprono le scuole, si chiede ai bambini fin dall’ingresso della scuola elementare
di assimilare sempre più nozioni, senza che abbiano il tempo, di assimilare i contenuti di
base delle varie discipline. Tutto questo in un periodo in cui, l’insegnante ha perso il
prestigio sociale di cui godeva un tempo, di conseguenza non riesce ad esercitare la propria
autorità nei confronti degli alunni. L’insegnante è detentore di qualcosa, che alla società non
interessa più: la cultura. Un tempo la cultura, posseduta da pochi, conferiva prestigio, al più
umile degli insegnanti delle elementari, così come al luminare dell’accademia. Oggi invece
laddove i valori sociali dominanti sono altri (il successo conseguito senza sforzi, il denaro e
la visibilità, il potere), la cultura interessa a pochi, e la scuola si trasforma sempre di più
in un parcheggio, che sopperisca all’assenza dei genitori, nel caso dei piccoli, o per sottrarli
alla strada nel caso dei ragazzi più grandi (Vergati, 2003, 24-25).
In passato dedicarsi allo studio era un modo per emergere, per migliorare la propria
posizione sociale, costituiva motivo di gratificazione per l’allievo. Il De Rossi del romanzo
“Cuore”, di De Amicis, era ammirato e nello stesso tempo invidiato dai compagni per il suo
ruolo di “primo della classe”, a cui tutti ambivano. Oggi invece chi si impegna negli studi,
viene etichettato come “il cocco della maestra”, viene considerato una sorta di lecchino, che
1
tradisce il gruppo dei pari, ostile alla scuola. Per questo motivo può divenire bersaglio di
azioni bullistiche120. Il tempo da dedicare allo studio, viene percepito come sprecato.
Con l’avvento dell’istruzione di massa, a partire dai famigerati anni ’60, il diploma è
diventato il livello di istruzione minimo da cui partire, proprio come la licenza media di un
tempo.
Il titolo di studio, non offre più la garanzia per assicurarsi un ruolo professionale, mentre un
tempo era il biglietto da visita per ambire a posizioni sociali relativamente elevate. E’ una
meta ampiamente condivisa, alla quale, in fondo si attribuisce limitata importanza
(Vergati,2003, 22). Per questi motivi, le nuove generazioni possono permettersi di trasgredire
quelle prescrizioni che consentono il raggiungimento di un titolo, che ormai è diventato solo
un
evanescente “pezzo di carta”, privo anche di quel valore simbolico, che attribuiva il
conferimento di un notevole grado di cultura o di competenze.
Per Parsons, “la funzione di socializzazione può essere definita come lo sviluppo negli
individui degli impegni e delle capacità che costituiscono i prerequisiti essenziali per
l’attuazione del loro ruolo futuro (…). Anche le capacità possono dividersi in due sottoclassi:
da una parte la competenza o l’abilità di adempiere ai compiti specifici di ruolo, dall’altra
la responsabilità di ruolo, ossia la capacità di rispondere alle aspettative delle altre persone
per quanto riguarda il comportamento interpersonale inerente a questi ruoli”(Parsons,in
Cesareo, 1972,1). Il percorso che la scuola svolge, si pone come un continuum, costituisce un
ponte che consente all’individuo di acquisire quelle abilità necessarie, che gli permettano di
entrare a far parte della società, come cittadino serio e responsabile. Secondo il pensiero di
Parsons, la struttura della classe scolastica, si presenta come sistema sociale. E’ una cellula
la cui funzione va inserita in un contesto più ampio. Infatti mentre da una parte può essere
considerata come un’agenzia mediante la quale si creano diverse competenze e impegni,
dall’altra dal punto di vista della società, costituisce un’agenzia di collocamento della mano
d’opera. Parsons, riporta l’esempio del meccanico e del medico, che oltre a possedere le
competenze professionali basilari, devono saper assumere un comportamento responsabile, con
le presone con cui entrano in contatto mediante il loro lavoro.
Gettando lo sguardo, sulla situazione attuale della scuola, si evince la lontananza del pensiero
di Parsons
rispetto ai giorni nostri. Sul piano delle finalità educative, si riscontra un
appiattimento della trasmissione dei saperi tradizionali, a fronte di un’ istruzione che mira
120
Costantini A., (2002), Tra regole e carezza. Comunicare con gli adolescenti di oggi, Carocci, Roma, p. 74
(citato da Civita A., Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio minorile,Milano,
FrancoAngeli, 2006, p. 43).
1
all’adozione di ruoli pratici, alla formazione dello specialista sempre a passo con i tempi
del progresso tecnologico, e non dell’uomo colto, o della persona (Vergati, 2003, 22).
La cultura ormai è considerata solo fine a stessa. Nella società postmoderna, a differenza
della società in via di modernizzazione, in cui la scuola prevedeva canali formativi paralleli,
uno professionalizzante ed uno di formazione di cultura generale, si è manifestato un
appiattimento dei piani di studi, che perseguono soltanto lo sviluppo, di competenze
specialistiche. Tutto ciò laddove, andrebbe auspicato il ritorno ad una formazione umanistica
che
stimoli nell’individuo la flessibilità mentale e la curiosità, necessarie per cogliere i
rapidi cambiamenti, che si susseguono nella società della globalizzazione (ibidem).
Un altro punto di riferimento venuto a mancare è quello del cosiddetto “posto fisso”, su
cui ogni persona contava al fine di accumulare risparmi, per comprare una casa e formarsi
una famiglia. Il mercato del lavoro, è diventato sempre di più competitivo, richiedendo
professionalità specialistiche, con relativo aumento delle credenzialità. L’occupazione stabile,
deve fare i conti con il lavoro precario, e con le nuove
forme di contratto, relative al
tempo determinato, al part-time ed al lavoro interinale (Civita, 2006, 17).
I titoli che l’istituzione scolastica, si propone di fornire, non soddisfano le aspettative dei
ragazzi, anche di quelli con le migliori intenzioni, dato che non costituiscono nessuna
garanzia per il loro futuro. Di contro è scomparso l’apprendistato delle botteghe di
artigianato, la cosiddetta “scuola di avviamento”, che permetteva ai ragazzi non inclini allo
studio di imparare un mestiere, che consentisse di svolgere una dignitosa attività lavorativa.
Gli istituti professionali attuali, non garantiscono una preparazione di qualità.
Queste condizioni determinano frustrazione, disorientamento, incertezza nel mondo giovanile.
I ragazzi in assenza di punti di riferimento stabili, di una meta precisa a cui aspirare, si
ritroveranno travolti dalla noia e dal senso si fallimento. Avremo così una generazione più
propensa
all’abuso
di
alcool
e
di
droghe, più
disponibile
a
farsi
adescare
dalle
organizzazioni criminali in cerca di facili guadagni. Ma soprattutto ostile verso quella scuola
che sono obbligati a frequentare, ma che ignora i loro bisogni.
Paradossalmente la società postmoderna, così instabile dal punto di vista economico si
presenta come la società del consumo di beni superflui. I giovani pur di ottenere quegli
oggetti che conferiscono un certo status symbol, sono disposti anche ad estorcerli ad altri,
nel caso in cui non possano permetterseli. “Le ricerche in ambito scolastico, mostrano che
sono aumentati fortemente i comportamenti antisociali: disattenzione molesta, indisciplina
generalizzata, ostentazione di comportamenti trasgressivi, conflittualità e bullismo sempre più
interferiscono con le normali attività scolastiche” (Vergati, 2003, 23).
1
Verifica quindi quella condizione di anomia, determinata da quelle strutture sociali, ove “si
stabilisce un conflitto fra le norme culturali e le mete che queste norme impongono e le
capacità socialmente strutturate dei membri del gruppo di agire in conformità ad esse”
(Merton, 1992, 350).
Il concetto sociologico di anomia
possa essere
presuppone che l’ambiente significativo dell’individuo,
utilmente concepito come implicante sia la struttura sociale che quella
culturale. Si definisce struttura culturale quel complesso organizzato di valori normativi che
regolano il comportamento comune ai membri di una determinata società o gruppo. Per
struttura sociale invece si intende quel complesso organizzato di rapporti sociali in cui i
membri della società o del gruppo sono variamente implicati.
In sintesi secondo Merton “la devianza è provocata dalle situazioni di anomia che a loro
volta nascono da una tensione tra la struttura culturale e la struttura sociale (Bagnasco e al
2004, 112).
Tra i vari elementi di una struttura sociale o culturale, due rivestono un’importanza
immediata. Il primo elemento è rappresentato dalle mete, scopi, interessi che sono definiti
culturalmente, e sono obiettivi legittimi per tutta la società. Vi è poi un secondo elemento
della struttura culturale che definisce, regola e controlla i modi accettabili secondo i quali
tali mete possono essere raggiunte (Merton,1992,299-300).
Ogni gruppo sociale unisce agli obiettivi culturali che si dà una regolamentazione, che trae
le sue radici dal costume o dalle istituzioni, dai procedimenti leciti per tendere a questi
obiettivi. Quando si pone eccessiva importanza alle mete, senza che le istituzioni si
preoccupino di assicurare a tutti i cittadini i mezzi necessari per arrivarci, ognuno pur di
arrivare a quelle mete ricorre anche a mezzi illeciti.
Un altro fattore di differenza rispetto al passato è la totale mancanza di collaborazione tra
scuola e famiglia. In passato per un insegnante era più facile agire con severità, poiché il
suo metodo educativo era coerente con quello che l’allievo sperimentava al rientro in
famiglia; erano i genitori stessi a pretendere che i figli imparassero determinate regole, per
raggiungere una considerazione importante nella società. Oggi invece l’unica preoccupazione
dei genitori è il supporto affettivo, che comporta la scelta di prendere le difese del figlio ad
ogni costo, senza considerare il suo grado di responsabilità o le conseguenze delle sue
azioni. Addirittura la cronaca riporta atti di bullismo da parte dei genitori nei confronti di
presidi e insegnanti. Risale al 13 Febbraio 2007 la notizia di una madre, che non
sopportando le accuse rivolte alla figlia a causa del suo comportamento bullistico, durante
un riunione prese a pugni la preside della scuola media “Flavioni” di Civitavecchia.
1
Anche il preside della scuola media “Lombardi” di Bari, è stato picchiato nel Marzo 2007,
da due genitori solo perché aveva vietato i cellulari in classe, inoltre è stato minacciato con
queste parole “tu devi venire fuori, io ti devo uccidere” (www.laRepubblica.it, 14/03/2007).
Il rapporto tra le due principali agenzie educative risulta contraddittorio. La famiglia tende
a delegare alla scuola l’educazione dei figli senza riconoscere il ruolo dell’insegnante, e la
scuola tende a giustificare le proprie lacune, attribuendo la responsabilità alle
carenze
educative dei genitori.
Non bisogna trascurare il peso che in passato ha assunto la religione nel controllo del
comportamento degli individui. Soprattutto negli stati cattolici, il processo di socializzazione
del bambino passava attraverso valori morali impartiti
dalla religione. Nella religione
l’individuo trovava le prescrizioni su cui uniformare il suo comportamento.
Il processo di secolarizzazione che ha portato all’istituzione dello stato laico, rappresenta
l’alibi che sorregge il nichilismo dei valori ed il relativismo culturale del modo di vivere
della società postmoderna.
Agli inizi degli anni ’70 è stata realizzata una ricerca tra il provveditorato degli studi di
Ragusa e il Ministro della Pubblica Istruzione 121, nelle scuole superiori della provincia di
Ragusa (Ragusa,Modica, Vittoria, Comiso, Pozzallo).
Agli inizi degli anni ‘60 i giovani progettano il loro futuro secondo la concezione borghese
di tipo individualistico - utilitaristico: formarsi una famiglia, vivere una vita tranquilla, avere
una discreta o buona situazione economica, vivere nell’agiatezza cercando denaro, successo,
divertimento e avventure sessuali. Questo ideale di vita si riscontra nell’85,41% degli
intervistati, mentre la maggioranza verte verso valori borghesi, si ha invece una flessione dei
valori morali-religiosi dovuti al processo di secolarizzazione.
Una società basata sul consumo e sull’opulenza crea nuovi bisogni artificiali, complice il
bombardamento proveniente dalla pubblicità e dai mass-media.
Dal 1970 i giovani rimproverano alla società in cui vivono di essere corrotta, il 60% del
campione afferma che in quel periodo vivere onestamente è difficile. I ragazzi intervistati
affermano di sentirsi trascurati da scuola e famiglia. Inoltre sembra di soccombere in
un
mondo che deride l’uomo onesto, ove regna la caccia al denaro, al benessere, all’edonismo.
La maggior parte dei giovani si sente impotente ad agire per cambiare qualcosa, di
conseguenza si sentono giustificati ad assumere gli stessi atteggiamenti (Emma,1974,170).
121
Emma M., Giovani di
C.E.S.P.A,1974, p 253.
oggi, incontro
al
domani: ricerca
1
psico-sociologica su 1000
giovani, Ragusa,
5.2 Analogie tra la teoria delle società “eterodirette” di Riesman e il modello di socializzazione
disadattante di Stefania Vergati
Prima
di poter procedere ad un confronto accurato tra le società “eteordirette” di
Riesman, ed il modello di socializzazione di Vergati questi due modelli, occorre definire la
nozione di “carattere sociale” secondo Riesman122.
Carattere sociale è la parte di carattere propria di gruppi sociali rilevanti. Non riguarda la
personalità individuale, non è il genere di sistema con il quale egli affronta il mondo e la
gente. Il carattere sociale un volta formato costituisce la base della società che ne orienta
l’educazione dei fanciulli, il lavoro, il gioco, la politica.
Riesman aveva considerato tre tipi di società:
•
Società con alto potenziale di crescita: “tipi diretti dalla tradizione”;
•
Crescita di transizione: tipi autodiretti (a direzione interiorizzata);
•
Incipiente declino della popolazione: i tipi eterodiretti
La società con alto potenziale di crescita è propria delle epoche premoderne, quella con
crescita in transizione coincide con l’avvento dell’industrializzazione e la società con
incipiente declino della popolazione è propria della società postmoderna.
Non appena le nascite cominciano a seguire le morti in senso discendente, le società si
avviano all’epoca dell’incipiente declino della popolazione.
Nelle società con tipi eterodiretti, gli individui, venendo meno il lavoro nelle
fabbriche hanno meno da dedicare al lavoro e più tempo libero. L’intraprendenza dei tipi
autodiretti è meno necessaria in questa nuova condizione.
Nelle
società con tipi autodiretti vige la “psicologia della scarsità”, nel periodo della
ricostruzione postbellica l’individuo accumula capitale per erigere le fondamenta della
propria sicurezza economica. Nelle società con tipi eterodiretti si fa strada la “psicologia
dell’abbondanza” ove vi è un consumo voluttuario del tempo libero e dei prodotti in
eccedenza. L’individuo nelle società eterodirette è bombardato da molteplici stimoli, dovuti
allo sviluppo dei mass-media. Le relazioni che le persone instaurano tra di loro e con il
122
Colombo M., (a cura di), (2006),E come educazione: autori e parole-chiave della sociologia, Napoli, Liguori.
1
mondo esterno sono filtrate dai moderni mezzi di comunicazione. I tipi eterodiretti vivono
gli eventi politici da spettatori, attraverso lo schermo, mentre l’individuo autodiretto cercava
di tradurre in azione i contenuti morali appresi.
Il carattere sociale presente nelle società con incipiente declino della popolazione, influenza
anche i rapporti tra i coniugi e le relazioni tra genitori e figli. Infatti in queste società i
figli vengono allevati seguendo uno stile educativo “permissivo”, in cui non si richiede al
figlio di seguire determinate regole morali, ma di essere popolare e di coltivare relazioni
con altri bambini.
“Ciò che è comune a tutte le persone eterodirette è che i contemporanei sono la fonte di
direzione per l’individuo, quelli che conosce o quelli con cui instaura relazioni indirette
attraverso gli amici e i mezzi di comunicazione di massa. Questa fonte è naturalmente
‹‹interiorizzata›› nel senso che la dipendenza da essa come guida nella vita è radicata nel
fanciullo molto presto [….]” (Riesman, 164-165).
Per i tipi eterodiretti gli altri rappresentano la guida principale cui uniformare il
proprio comportamento, il loro punto di riferimento varia a seconda della moda del
momento, cioè dei gusti e dei desideri degli altri; questi altri possono essere sia il gruppo
amicale, sia le voci anonime dei mezzi di massa.
Analizziamo adesso gli elementi in comune con il modello di socializzazione disadattante
della Vergati. Secondo la sociologa romana il bullismo trova terreno fertile “nell’identità
instabile, eterodiretta e potenzialmente disadattata che connota un numero crescente di
adolescenti” (Vergati, 2003, 50).
Il gruppo dei pari, i mass media ed i new media oggi assumono un ruolo di primo piano
nella vita degli adolescenti, marginalizzando il ruolo di scuola e famiglia.
Il processo di socializzazione tende sempre di più a trasformarsi in autosocializzazione.
Come i tipi eterodiretti di Riesman, gli adolescenti gli adolescenti della società postmoderna
vivono nell’abbondanza, per quanto riguarda il
benessere materiale, ottengono tutto senza
sacrificio. Ma l’elevato tenore di vita che oggi conduciamo rispetto al passato, ha sostituito il
rispetto delle regole e il dialogo tra gli individui.
I giovani sia in famiglia, sia a scuola sono sottoposti a minore controllo, prevale il modello
educativo del lasciar fare nell’errata convinzione che tutto si aggiusterà, che il ragazzo saprà
trovare la strada da solo.
Nemmeno le relazioni con il gruppo dei pari sono autentiche, sebbene occupino un
ruolo di primo piano nella vita degli adolescenti. I giovani sono di fronte a forme di
iposocialità spontanea e di ipersocialità organizzata. Che cosa significa?
1
Il time budget dei bambini e degli adolescenti odierni risulta estremamente organizzato, gli
spazi di libertà e autonomia sono limitati. Dopo la scuola i giovani trascorrono il loro
tempo libero impegnati in molteplici attività, in cui vengono in contatto con gruppi sociali
differenti. Questi contatti avvengono in maniera superficiale e fugace, senza che il ragazzo
abbia il tempo di consolidare il senso di appartenenza a quel gruppo, senza che intorno a
quella cerchia di persone possa formarsi un’identità consolidata. Anche
negli sport di
squadra, in cui dovrebbe prevalere la collaborazione e la solidarietà all’interno del gruppo
sportivo, prevalgono sentimenti improntati all’individualismo e al narcisismo. Le relazioni con
i coetanei hanno iniziato ad assumere connotazioni diverse con l’avvio del processo di
industrializzazione, che di conseguenza ha modificato la struttura urbanistica della città.
In passato i bambini si ritrovavano per le strade (molto più sicure ed accessibili rispetto ad
oggi), avevano molto più tempo per interagire. Il possesso di pochi mezzi rudimentali e di
fortuna
consentiva loro non solo di stimolare la creatività, inventando giochi nuovi; ma
favoriva anche il senso di coesione e appartenenza al gruppo, che in genere coincideva con
quello del quartiere.
Un eccesso di programmazione delle attività e pianificazione della giornata, castrerebbe nei
bambini bisogni vitali. Questi si riferiscono alla necessità di scoprire da soli stimoli nuovi
ed
eccitanti attraverso condotte esplorative. Per i bambini è indispensabile inventare,
costruire, fantasticare e desiderare; è indispensabile imparare ed entusiasmarsi. Tali competenze
non possono essere completamente programmate dagli adulti (Mariani, 2005,19).
Organizzare il tempo libero dei figli, per i genitori è un alibi per collocarli da
qualche parte, mentre si dedicano ad altre attività produttive. I ritmi frenetici e stressanti
della vita quotidiana non concedono più tempo per ascoltare, per capire quali siano le
paure, le esigenze e gli interessi dei figli.
La
diffusione
della
TV
e
dei
new
media, induce i
ragazzi
all’isolamento
e
all’identificazione con una realtà virtuale che richiede prestazioni sempre più alte, con
ripercussioni sul piano psichico. I risultati di una ricerca condotta dal C.R.T.I (Centro di
Ricerca delle Tecnologie dell’Istruzione)123, dimostra che gli alunni con un’elevata frequenza
di comportamenti prepotenti, utilizzano in percentuale maggiore giochi a contenuto violento
e per
tempi più prolungati. Secondo Carovita e Bartolomeo si stabilisce un rapporto
circolare, in cui i videogiochi
violenti vengono scelti
condotte aggressive, connotandosi
come
da soggetti già caratterizzati da
modalità adeguate
di espressione della loro
aggressività. I giochi elettronici però contemporaneamente consentono l’apprendimento di
123
Carovita S., Bartolomeo A., “Bullismo nella scuola primaria e utilizzo dei videogiochi a contenuto violento:
quale relazione?”, In Orientamenti pedagogici, vol. 52, n. 3/2005, pp. 499-508.
1
ulteriori modalità di offesa e di attacco, confermando l’ammissibilità sociale e le condotte e
le condotte aggressive come modalità di risoluzione dei problemi a livello sociale.
“E’ comune
vedere
bambini
e
ragazzi
che
a
individualmente con il game boy, il che spesso
scuola
durante
l’intervallo
giocano
accade anche durante le feste a cui
partecipano (…); per non parlare dell’esposizione protetta di preadolescenti e adolescenti
lasciati
navigare senza filtri di protezione su Internet e a sviluppare una relazionalità
distorta sulle chat line” (Vergati, 2003, 29).
I bambini e gli adolescenti odierni, sono sottoposti a modelli di riferimento violenti
e trasgressivi in misura maggiore rispetto al passato.
Le ore di programmazione televisiva sono aumentate notevolmente dalla nascita
della
televisione. A fronte di però di una maggiore quantità però è scesa la qualità del prodotto
proposto alla famiglia. Secondo il filosofo Popper124 alla base del deterioramento della
televisione vi è la ricerca
del
consenso. Il livello è sceso anche perché
le stazioni
televisive per mantenere alta l’audience, dovevano produrre sempre più materia scadente e
sensazionale. Ciò che è sensazionale però non coincide con ciò è buono.
Anche Coldry muove delle critiche al modo di fare televisione attuale: “la televisione
non è concepita per fornire ai bambini informazioni circa il mondo reale. Quando viene
usata
per questo scopo fa un pessimo lavoro (…). La televisione è uno strumento
commerciale. I suoi valori sono i valori del mercato; la sua struttura e i suoi contenuti
rispecchiano tale obiettivo” (Coldry a cura di Borsetti, 2002, 87).
Attualmente in televisione è difficile che un dibattito avvenga in maniera equilibrata e
regolare. Nei salotti televisivi sono presenti personaggi anche di un certo livello culturale e
sociale, che non sanno rispettare nemmeno le regole basilari che attengono ad una
conversazione; si assiste ad un groviglio di urla in cui si perde il filo del discorso, e si è
fortunati quando non si arriva alle mani. Anche i politici mentre discutono dei gravi
problemi del paese, si lasciano andare a battibecchi infantili.
Fino all’anno scorso venivano invitati in TV personaggi rissosi, al solo scopo di
alzare l’audience. Non c’è da meravigliarsi se gli episodi di bullismo vengono filmati, dato
che anche litigare è un modo per fare spettacolo.
Come per i tipi eterodiretti di Riesman, il vivere di oggi è un ‹‹vivere televisivo››,
definito così venti anni fa negli U.S.A, da uno psichiatra in un rapporto di una
commissione del Senato americano: “noi non viviamo più la nostra vita, ma siamo per così
124
Popper K.., “Una patente per fare tv”, In Bosetti G., (a cura di) Cattiva maestra televisione,Venezia, Marsilio
Editori, 2002, pp. 69 -80.
1
dire vissuti dallo schermo televisivo (…). Questo porta un tale aumento delle tendenze alla
dipendenza da ostacolare il libero sviluppo della persona” (Sbornia, 1965; tr.it., 176, citato da
Valeri/Betti,1976, 85).
Alcuni insegnanti delegano il loro compito educativo, accettando incondizionatamente
i contenuti
dei
media, in
nome dell’accettazione
del
progresso, dello
sviluppo
e
dell’evoluzione del mondo moderno125.
I rapporti tra i ragazzi seppure improntati all’indivdualismo, presentano spiccati caratteri di
eteroreferenzialità,
soprattutto
nell’abbigliamento
divenuto
mezzo
decisivo
di
inclusione/esclusione dal gruppo e di gerarchizzazione del gruppo.
“Eterodirezione
e
individualismo
rappresentano
aspetti
complementari
dell’anomia
psicologica: alla coesione sociale basata sull’interazione si è sostituita un’espressività
eterodiretta dai media che non favorisce le aggregazioni stabili in gruppi integrati, ma si
esprime piuttosto attraverso performances tendenzialmente trasgressive”(Vergati, 2003, 21).
L’adolescente del nuovo millennio, così come il tipo etrodiretto di Riesman, è bombardato
dalla pubblicità e dalle mode del momento. L’anomia relazionale e normativa di cui parla
Stefania Vergati per descrivere la condizione dei giovani di oggi, è simile alla condizione di
ansietà del tipo eterodiretto di Riesman, che non sa quali segnali captare poiché
i
cambiamenti sono rapidi e le fonti molteplici
Il carattere sociale tipico delle società con tipi eterodiretti, a differenza del modello di
socializzazione disadattante non implica la crisi che sta attraversando la scuola.
Ecco in sintesi i due schemi:
Società con incipiente declino della popolazione:
i tipi eterodiretti (David Riesman)
•
Società dei consumi
•
Aumento del tempo libero
•
Psicologia dell’abbondanza
•
Sviluppo delle attività non produttive
•
Influenza dei mass media
•
Modello educativo improntato al permissivismo
•
Importanti scuola e gruppo dei pari
125
Valeri M., Betti C., I mass media e l’educazione: per una interpretazione alternativa dei messaggi dei
media, Firenze, Le Monnier, 1976, p.42.
1
•
Conformità alla massa mediante interiorizzazione delle aspettative
•
Bisogno di approvazione altrui
•
Sensibilità alle mode
•
Ansietà
Modello di socializzazione disadattante (Stefania Vergati)
SCUOLA
- anomia relazionale e normativa
- interazione disadattata
- stile conduzione inadeguato
FAMIGLIA
- progetto educativo carente
- stile educativo autoritario o non- direttivo
- scarsa coesione
- scarsa attenzione
OLD-MEDIA
- modelli di riferimento violenti o trasgressivi
- adultizzazione precoce
- eterodirezione
NEW-MEDIA
- autoreferenzialità
- stress
- competitività senza interazione
GRUPPO DEI PARI
- iposocialità spontanea
- ipersocialità organizzata
- assenza di we-feeling
INSTABILITA’→ETERODIREZIONE→POTENZIALE DISADATTAMENTO
1
5.3 Il senso di smarrimento della società postmoderna
Jean-François Lyotard, nel suo volume “La condizione postmoderna”,(1979), presenta
la tesi secondo la quale la modernità è giunta al suo compimento, e quindi ci troviamo nel
postmoderno. Il termine designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle
ripercussioni sulla vita quotidiana e politica.
Per Lyotard è finita l’epoca del disincanto, sono crollate le grandi ideologie che hanno
segnato la modernità: Illuminismo, Idealismo, Marxismo.
I moderni e i postmoderni secondo Lyotard, professano una visione dell’uomo, della società
e in genere della realtà, antitetiche nei loro aspetti più essenziali. L’idea cardine dei moderni
è il progresso umano, in virtù del quale l’uomo realizza le proprie facoltà. L’uomo moderno
ha fiducia in se stesso, come creatore e protagonista di una civiltà nuova, più democratica
e avanzata delle precedenti, che guarda verso ulteriori traguardi. L’uomo moderno riesce a
guardare dentro se stesso, sa quello che vuole, a quali valori aspira.
La società postmoderna, invece, difetta di questa mancanza di chiarificazione. L’uomo
postmoderno
disconosce
l’esistenza
di
valori
ultimi, in
grado
di
fondare
qualsiasi
ordinamento della società, di motivare qualsiasi comportamento, di conferire un senso unitario
alla vita umana ed alla società.
“Il rapporto dell’individuo con la propria tradizione culturale cessa di configurasi come un
processo di interiorizzazione. Ne segue l’esautoramento della scuola e dell’università come
agenti di socializzazione e orientamento di valori”(http://www.filosofico.net/lyotard.htm).
Per Lyotard - in coerenza
con quanto sostenuto dalla Vergati
sulla figura
dell’insegnante - il nichilismo dei valori che caratterizza la società postmoderna, si manifesta
con la perdita di potere e di funzione sociale della figura dell’intellettuale.
Una società che rifiuta il riferimento a valori ultimi, e che si compiace di questo rifiuto,
cessa di stabilire criteri di verità, moralità e giustizia. L’epoca postmoderna si configura
come una forma vuota, soprattutto per le giovani generazioni.
Nel suo saggio “Il disagio della civiltà”126,(1929), Freud puntualizza la presenza di tre
elementi caratteristici della civiltà: la bellezza, la pulizia e l’ordine.
126
Bauman Z., La società dell’incertezza,Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 7-9.
1
Queste tre cose si acquistano pagando un prezzo, ognuno rinuncia ad una parte della propria
libertà per la sicurezza comune. Freud definiva l’ordine, l’orgoglio della modernità e punto
di partenza di ogni altra sua realizzazione.
Settant’anni dopo la stesura del saggio però, la libertà regna sovrana, qualsiasi altro valore è
subordinato
al perseguimento del piacere. Questa ricerca del piacere, della libertà senza
limiti e regole, provoca un disorientamento dell’identità.
Mentre la preoccupazione dell’uomo moderno era quella di costruire un’identità stabile
e solida, il problema dell’identità postmoderna è quello di evitare ogni tipo di fissazione e
di lasciare aperte le possibilità.
“Il principale motivo d’ansia dei tempi moderni, collegato all’identità, era la preoccupazione
riguardo alla durabilità; oggi riguarda invece la possibilità di evitare ogni impegno. La
modernità
è
costruita
in
acciaio
e
cemento.
La
postmodernità
in
plastica
biodegradabile”(Bauman,1999, 28).
Secondo Bauman nel periodo moderno la vita era intesa come un pellegrinaggio. Il percorso
dell’uomo moderno era paragonabile ad un righello, diritto, con punti equidistanti, fatto di
materiale duro e solido. La vita dell’uomo moderno era volta verso un progetto.
Il pellegrino (l’uomo moderno), poteva scegliere fin da giovane la sua meta e confidare
nella buona
riuscita del suo viaggio, senza interruzioni. Il pellegrino a fronte di una
gratificazione immediata, preferisce provare un senso di privazione temporanea. L’energia che
ne derivava era necessaria alla costruzione dell’identità, l’uomo moderno era sicuro di essere
ripagato dei sacrifici compiuti.
Per descrivere l’uomo postmoderno, Bauman descrive invece le metafore del turista e
del giocatore. Per l’individuo postmoderno l’identità può essere costruita secondo la propria
volontà. “Il mondo fatto di oggetti è stato sostituito da ‹‹prodotti di consumo progettati per
una rapida obsolescenza››. In un mondo tale ‹‹le identità possono essere adottate e scartate
come se si trattasse di un cambio di costume››”(Bauman, 1999,35).
Nell’epoca postmoderna tutto il lavoro di costruzione può risultare vano. Il ruolo dell’uomo
postmoderno è quello del giocatore. Le regole del gioco cambiano continuamente e nel
corso della partita. La strategia più ragionevole è quella di chiudere ogni partita
velocemente, per evitare ogni impegno a lungo termine.
“Come il pellegrino era la metafora più adatta per la strategia della vita moderna,
preoccupata del compito inquietante di costruire un’identità
-il flâneur, il vagabondo, il
turista e il giocatore, presi insieme offrono la metafora della strategia postmoderna generata
dall’orrore di essere legati e fissati”(Bauman, 1999,39).
1
Uno dei motivi che determinano paura ed incertezza nella modernità, è la velocità
con cui avvengono i cambiamenti, dovuti in gran parte alla tecnologia. Tali trasformazioni
naturalmente si riflettono sui rapporti umani.
Vi sono notevoli differenze tra le condizioni tra le condizioni dei rapporti di fiducia nelle
culture premoderne rispetto al mondo moderno. Tra il mondo moderno e il mondo
premoderno vi è notevole differenza tra il concetto di rischio e quello di fiducia.
Secondo Giddens127 sono quattro i contesti locali di fiducia che tendono a
predominare nelle culture premoderne, comprese le civiltà agrarie, dove il livello di
distanziamento
spazio-temporale
è
relativamente
basso, rispetto
alle
condizioni
della
modernità.
Il primo contesto di fiducia riguarda le relazioni di parentela, che negli scenari premoderni
rappresenta un modo stabile per organizzare il tempo e lo spazio. I parenti sono sempre
pronti a far fronte agli impegni, al di là dei sentimenti di antipatia. Il secondo contesto di
fiducia è la comunità locale. Un terzo fattore di influenza è quello della cosmologia
religiosa. Le credenze religiose possono essere fonte di profonde ansie, sotto altri aspetti però
forniscono spiegazioni morali e pratiche che rappresentano una sicurezza per il credente.
Il quarto contesto principale delle relazioni di fiducia, è costituito dalla tradizione stessa. La
tradizione guarda al passato, in continuazione con il presente ed il futuro.
L’anomia in cui vive l’uomo moderno secondo la definizione di McIver, sta ad
indicare “la condizione mentale di quell’individuo che è stato strappato dalle sue radici
morali, che ha più alcun modello cui uniformare il suo comportamento, ma agisce sotto la
spinta
di impulsi contraddittori e che non possiede più alcun senso di continuità, di
socialità, di obbligo. L’uomo anomico è un essere divenuto spiritualmente sterile, che
risponde solo a se stesso e non sente nessuna responsabilità nei confronti degli altri (…).
Egli vive sul fragile filo delle sensazioni immediate che non hanno un passato come non
hanno un futuro. L’anomia è una condizione mentale in cui il senso di coesione sociale
dell’individuo si è spezzato o irrimediabilmente indebolito” (Merton, 1952, tr.it 1992, 348).
Il prof. Lattuca durante il suo intervento in un seminario128, ha cercato di analizzare il
sistema sociale nei suoi vari aspetti, per risalire ai motivi e alle condizioni che provocano
la devianza nei giovani.
Sotto l’aspetto politico rispetto al dopoguerra, si avverte la mancanza di personalità politiche
con forti ideologie che concepiscono la politica come servizio alla collettività.
127
Giddens A., Le conseguenze della modernità, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 102-105.
128
Lattuca G., “Devianza, emergenza, disagio nei giovani di oggi”, In Atti del convegno “Giovani e
condotta violenta: un calcio ai valori? (Agrigento, 30/03/2007), a cura di Laiola G., Romano B.
1
Negli anni ’60 si diceva che i giovani mangiassero “pane e politica”, oggi si assiste ad un
progressivo allontanamento dalle segreterie dei partiti; consci del fatto che la politica non è
più un servizio onesto alla società, ma un mezzo per aumentare la ricchezza personale
anche ricorrendo ad affari illeciti.
Sotto il profilo economico, a fronte della vecchia dirigente che accumulava ricchezze,
grazie a duri sacrifici, oggi abbiamo imprenditori che si arricchiscono ricorrendo a manovre
illegali.
Anche il mondo giurisdizionale, non offre garanzie al cittadino onesto. Chi delinque non
risarcisce mai la società o la parte civile. Chi viene condannato raramente riceve una pena
adeguata per il reato commesso. Assistiamo a processi che durano decine di anni, e magari
l’ultimo grado assolve l’imputato vanificando il lavoro di magistrati ed inquirenti, e
soprattutto deludendo il cittadino onesto. Naturalmente la sentenza emessa dopo un arco
temporale lungo, perde la sua efficacia educativa nei confronti dell’opinone pubblica.
Si ha l’impressione che a pagare sia solo il delinquentino di quartiere, spinto a rubare dal
bisogno a causa della sua situazione socio-economica.
Un frate francescano, durante una catechesi disse: “Non si può insegnare la legalità ai
giovani, se la società non vive nella legalità”. I comportamenti devianti da parte dei giovani
si sono moltiplicati, perché l’esempio che ricevono non è affatto positivo.
5.4 Il bullismo è in espansione o vi è soltanto maggiore consapevolezza?
Sul seguente quesito psicologi e sociologi tendono a rimanere su posizioni differenti.
I primi sostengono che il bullismo sia sempre esistito, che negli ultimi anni se ne parli
tanto semplicemente perché finalmente gli insegnanti riescono a rilevarlo, e che inoltre si
tenda a far rientrare nel fenomeno episodi che non corrispondono alla definizione di
bullismo. Secondo la prospettiva psicologica, il bullismo è dovuto a particolari caratteristiche
di personalità (quali il temperamento, lo stile educativo della famiglia), proprie del bullo e
della vittima. Infatti inizialmente l’attenzione era concentrata soltanto sugli attori principali,
interventi quali il
Social skills
training, non
hanno
sortito
gli
effetti
desiderati.
Successivamente con lo sviluppo della psicologia sociale, il punto di vista degli psicologi
ha
subito qualche modifica, elevando il bullismo a fenomeno di gruppo. Da questa
prospettiva gli interventi di prevenzione, hanno iniziato a coinvolgere il gruppo-classe e il
contesto scuola, in una prospettiva ecologica- sistemica; il focus d’indagine degli psicologi si
1
concentra soltanto sulle famiglie di bulli e vittime, sulla classe, e di recente anche sulla
comunità (solo in ambito ristretto, gli interventi comunitari coinvolgono solo piccole porzioni
di territorio come il quartiere o la città).
Di contro secondo i sociologi che si sono occupati del fenomeno, il bullismo è
peggiorato in vista di alcuni cambiamenti significativi avvenuti nella società. Esiste un
legame micro↔meso↔macro, che collega i processi di socializzazione ai comportamenti
nelle istituzioni e nelle organizzazioni (in primis, quella scolastica; ma non solo), ai processi
generali ed ai valori socialmente condivisi. Ciò rende prettamente sociologico ed in chiave
generalistica lo studio del bullismo (Vergati,2003,13).
Esaminiamo qui di seguito la frequenza
negli anni, con cui appare il termine
bullismo negli articoli di giornale. Sono stati presi in esame due quotidiani: il “New York
Times”, di testata internazionale, ed il “Corriere
della sera”, uno dei più importanti
quotidiani italiani.
Frequenza degli articoli in cui appare il termine bullismo nei titoli in due
quotidiani
180
160
140
Frequenza
120
100
New York Times
Corriere della sera
80
60
40
20
19
70
19
72
19
74
19
76
19
78
19
80
19
82
19
84
19
86
19
88
19
90
19
92
19
94
19
96
19
98
20
00
20
02
20
04
20
06
0
Anno
Seguendo l’andamento del grafico, si nota subito uno sviluppo inverso delle linee. In
America dal 1970 fino al 1981, il numero degli articoli si aggira
intorno
allo zero. Il
primo picco si riscontra nel 1982 con una media di circa 30 articoli all’anno, continua a
salire con qualche oscillazione, fino al 2002 con una frequenza di 150 articoli in un anno.
A partire dal 2003, si ha un’inversione, la frequenza continua a scendere fino al 2007, con
una media di poco più di 80 articoli in un anno.
1
Con il Corriere
della sera si verifica la tendenza opposta. Si registra qualche
articolo a partire dal 1998, anno in cui iniziano ad essere pubblicati i primi risultati della
ricerca su scala nazionale condotta da Ada Fonzi. Fino al 2005 la frequenza si mantiene
relativamente bassa, a partire dal 2006 si ha un incremento notevole con una media di
circa 100 articoli all’anno (in questo punto si incrocia con il New York Times), fino a
raggiungere il picco nel 2007 con una media di circa 180 articoli all’anno. E’ palese la
sproporzione tra gli inizi degli anni ’90 e gli ultimi due anni.
Intuitivamente si potrebbe supporre che il bullismo sia diminuito in America e
aumentato in Italia; ma il confronto che ci mostra il grafico, non fornisce informazioni
precise al riguardo. Permette semplicemente di constatare
il livello di consapevolezza
riguardo al bullismo, in rapporto a quanto sia possibile rilevare. Un atto di bullismo diventa
notizia di cronaca, soltanto nei casi più gravi; per quanto riguarda le forme di bullismo
indiretto e verbale, non si
attinge nessuna notizia dai quotidiani. Inoltre in America, il
problema della violenza nelle scuole si presenta più allarmante rispetto agli altri stati
europei, quindi l’opinione pubblica e la scuola sono maggiormente sensibilizzate.
In Italia la situazione è diversa, la ricerca si è accostata al fenomeno solo a partire dal
’96, ciò non significa che prima il bullismo non esistesse.
Adesso si può rispondere alla seconda parte del quesito: il bullismo si è aggravato?
Relativamente alla situazione italiana vi sono dati certi. Il rapporto della Società Italiana di
Pediatria129 aggiornato al 2006, conferma la crescita del bullismo in Italia. Più del 70% degli
adolescenti ha assistito ad episodi di prepotenza, questo dato ha registrato un incremento del
5% rispetto all’anno precedente. La ricerca presenta una panoramica della gioventù italiana,
con adolescenti che si sentono abbandonati dalla famiglia, rifugiandosi nel gruppo dei pari. Il
64,8% dichiara di sentirsi solo ed il 92% si dichiara triste, anche se solo il 21% vorrebbe
trascorrere più tempo con la famiglia. Si è registrato un aumento anche nell’uso di sostanze
alcoliche e stupefacenti.
Secondo Maggese, ex presidente della Sip (Società Italiana di Pediatria), “la colpa non
è certo degli adolescenti, semplicemente i nostri giovani vivono come possono. E in una
società in cui famiglia, scuola e istituzioni latitano, vanno avanti come riescono e con i
mezzi di cui dispongono, immersi in un mondo mediatico che non li aiuta”.
La situazione si dimostra più allarmante se si analizza il motivo per cui molti ragazzi si
comportano da bulli, l’84,1% lo fa per ottenere l’ammirazione del gruppo, il 75,8% perché
129
Pass E., “Cosa c’è dietro il bullismo?”, Panorama, n. 2/2006, p. 98.
1
vuole essere attraente e il 63,2% per paura di essere escluso. Questi dati segnalano l’elevata
diffusione del bullismo rispetto al passato.
Un’altra indagine svolta dallo stesso istituto nell’ultimo anno, conferma l’espansione
del fenomeno. Mentre nel 2005 gli adolescenti che dichiarano di aver assistito a prepotenze
erano il 65,8%, oggi la percentuale si aggira intorno al 72% (www.laRepubblica.it).
Realizzata su un campione nazionale di 1200 studenti della scuola media inferiore di
età compresa tra i 12 e i 14 anni, l’indagine riporta che il 75,6% ha assistito ad episodi di
bullismo (il 59,2% dei maschi contro il 69,1% delle femmine). Mentre il 70% del campione
giudica
negativamente il bullo, il 26,6% se non ha subito prepotenze, non ha nulla da
rimproverargli. In generale il bullo è considerato un tipo in gamba, e per il 20,5% chi
denuncia il bullo è una “spia”.
Ritornando all’ipotesi iniziale: si parla tanto di bullismo perché il fenomeno si è aggravato
o perché l’opinione pubblica è diventata più sensibile?
Alla luce
degli studi condotti da alcuni sociologi contemporanei sulle condizioni
della società postmoderna, e dei dati empirici disponibili, si può affermare con certezza che
l’opinione pubblica è diventata più sensibile perché il bullismo si è aggravato.
Il numero crescente di notizie non è dovuto, soltanto ai moderni telefonini che permettono
di filmare determinati episodi.
La divergenza tra psicologi e sociologi è priva di fondamento, poiché le due posizioni non
possono essere disgiunte. Il bullismo è sempre esistito, è un fenomeno con caratteristiche
proprie. Inizia nel momento in cui vi sono due persone che si portano dietro il loro disagio,
poste in relazione asimmetrica, in cui uno abusa della propria forza e l’altro subisce
passivamente. Intorno vi sono gli astanti che possono rinforzare o attenuare il fenomeno, vi è
la scuola che istituzionalmente è chiamata ad intervenire sul fenomeno, ma il più delle volte
è sprovvista delle capacità e dei mezzi per porvi fronte. Ma non bisogna negare l’influenza
che le evoluzioni della società postmoderna esercitano sul bullismo, come su tutti i fenomeni
devianti; tali cambiamenti hanno contribuito all’aggravamento del fenomeno. L’implicazione
sociologica del fenomeno è dimostrata dal fatto che le percentuali variano da nazione a
nazione, e a seconda dei periodi.
La differenza tra ieri e oggi, riguarda la quantità e la qualità del fenomeno. In
passato era maggiormente perpetuato da ragazzi provenienti da famiglie disagiate culturalmente
ed economicamente, oggi il bullismo è un problema trasversale che coinvolge tutte le classi
sociali. E’ un problema ad ampia
diffusione internazionale, sono aumentate le forme di
prepotenza in gruppo nei confronti di più persone; mentre prima era più frequente un
1
rapporto di sottomissione a due tra bullo e vittima, adesso nelle classi troviamo sempre più
contrapposti gruppi di bulli che si accaniscono contro ragazzini più deboli.
Altro elemento di differenza rispetto al passato, riguarda la
mancanza del rimprovero
morale da parte della società.
Nel romanzo “Cuore”, il gruppo classe si identifica con figure positive: De Rossi e Garrone.
Il primo è ammirato per il successo negli studi, il secondo riesce a conquistarsi l’affetto
della classe, grazie alla sua generosità e solidarietà nei confronti dei compagni, soprattutto
quando li difende
dalle malefatte del bullo Franti. Quest’ultimo viene emarginato dalla
classe per il suo comportamento negativo.
Oggi invece siamo di fronte ad una società ‹‹narcotizzata›› di fronte alla violenza,
che ha perso la capacità di indignarsi. Ogni cellula sociale (dalla famiglia alla scuola, dalle
istituzioni
fino allo stato), ha imparato a tollerare ad anche le più inaccettabili forme di
sopraffazione, è una società abituata a convivere con tutto quanto possa andare contro
l’etica, la morale, il buon senso ed ogni forma di civiltà.
Anzi il comportamento furbo e disonesto, quando non subentra la rassegnazione, è legittimo e
fonte di ammirazione agli occhi della società.
Secondo i sociologi ogni individuo è contemporaneamente figlio e padre del suo
tempo. Figlio in quanto nasce e viene educato dalla società, attinge le identità ed i valori
che ogni individuo si proporrà poi come obiettivi da realizzare. In quanto padre, egli è
soggetto
attivo
di
trasformazione
con
le
sue
aspirazioni, le
sue
abitudini
e
suoi
comportamenti. Grazie a ciò egli riesce ad influire in modo determinante sul “farsi” della
storia, in un certo tempo, in una specifica comunità; ogni soggetto umano è nello stesso
tempo, prodotto e produttore della società in cui vive.
Ora in una società improntata al relativismo, dove conta solo ciò che appaga i propri
desideri, le proprie esigenze nell’immediato senza alcun sacrificio, in cui implicitamente viene
insegnato alle giovani generazioni che l’onestà è sinonimo di stupidità; non bisogna
meravigliarsi se l’età dei minorenni che mettono in atto condotte devianti nei confronti di
coetanei, amici o compagni, sia drasticamente abbassata rispetto al passato.
Adesso
concediamoci
un’ultima
volta
il
beneficio
del
dubbio, prendendo
in
considerazione i dati delle ricerche di Manuel Eisner130.
Secondo questo autore si assiste nel mondo occidentale ad un decremento vertiginoso degli
omicidi rispetto alle società “chiuse” tradizionali. Questi risultati sembrano andare contrastare
le ipotesi discusse finora, in realtà non è così.
130
Eisner Manuel, “Modernization, Self-control and Lethal Violence, in Brit J .Criminol, n.41/2001, pp. 618-638.
1
Il declino degli omicidi secondo Ostreich coincide con la creazione di organizzazioni
amministrative e giudiziarie centralizzate, quindi con la nascita dello stato nazionale ed il
declino dei poteri locali. Ostreich sottolinea la presa disciplinativa e regolativa sulla vita di
ogni giorno che deriva dall’aumento di ordinanze riguardanti l’abbigliamento, il consumo di
alcool, l’adempimento dei doveri religiosi.
Lo stato infatti ha sostituito i vincoli normativi delle comunità tradizionali. Nelle società
premoderne anche il semplice insulto innesca conflitti violenti, poiché viene danneggiato
“l’onore”, capitale sociale molto importante soprattutto per i maschi e per il gruppo. Quindi
l’onore deve essere necessariamente ristabilito tramite la violenza privata, non a caso il
codice Rocco legittimava il “delitto d’onore”, perché rispecchiava l’organizzazione di quelle
società.
Con il processo di industrializzazione e l’avvento della modernità, secondo Taylor la
concezione del sé è “caratterizzata da distacco e interiorizzazione, una distanza riflessiva
metodica dall’immediato mondo esteriore e interiore e un orientamento verso idee-guida
quali autonomia, autoresponsabilità e autenticità”.
Secondo
la
teoria
della
civilizzazione
di
Elias, la
società
moderna
appare
caratterizzata dalla crescita del controllo affettivo e da decremento dell’impulsività, alti livelli
di auto-controllo implicano interazioni pacifiche.
Il declino della violenza letale è avvenuto quando le pratiche istituzionali e le pratiche
educative, hanno sostenuto il consolidarsi di questa identità individualizzata.
Ma attenzione! Stiamo parlando della società moderna, giunta al declino con l’avvento della
postmodernità, che stiamo vivendo attualmente.
Gli individui della nostra società sono “tipi eterodiretti” secondo la classificazione di
Riesman, non “autodiretti”. Quelle strutture che hanno contribuito a porre ordine nella società
oggi risultano evanescenti (cfr.§ 5.1).
Paradossalmente l’elevato tasso di omicidi delle epoche premoderne segue una certa
logica, è teso a ristabilire un equilibrio violato, è la conseguenza non dell’assenza ma
dell’eccessiva condanna morale da parte del gruppo di appartenenza, al quale l’individuo è
legato da un vincolo sacro. Le progressive forme di violenza cui stiamo assistendo oggi,
invece, sono il campanello d’allarme di un malessere sociale profondo dovuto alla
condizione di anomia normativa e relazionale che caratterizza l’epoca attuale.
Ogni soggetto non è più responsabile di se stesso, ancora una volta è diretto da forze
estranee alla sua volontà. A differenza del passato però, queste forze confuse, provenienti da
più parti ed illusorie non sono in grado di guidarlo verso nessuna meta.
1
Vi è comunque una differenza notevole tra la violenza suscitata dalla necessità di salvare
l’onore, e la violenza perpetuata nei
confronti di coetanei solo per divertimento o per
procurarsi oggetti costosi, senza peraltro rendersi conto del male inflitto o provare rimorso.
Quindi neanche le ricerche empiriche di Eisner possono negare la correlazione tra i fattori
di rischio della società postmoderna e la progressiva crescita del bullismo e delle altre
forme di devianza giovanile.
In conclusione, la prospettiva sociologica non annulla, né modifica le teorie portate avanti
dalla psicologia sociale sul fenomeno del bullismo, ma le integra, guardando al fenomeno da
una diversa angolazione.
Laddove le istituzioni sono carenti e le relazioni sociali mancano di equilibrio, l’aggressività
anziché essere incanalata in forme di negoziazione pacifica, sfocia in forme di violenza
esacerbata.
1
Capitolo VI
Profili giuridici del bullismo
6.1 Culpa in vigilando e culpa in educando
Il
profilo
giuridico
del bullismo si presenta complesso e l’emanazione di leggi
adeguate per la tutela delle vittime di bullismo è ancora in fase di evoluzione in Italia.
Mentre sul piano delle scienze psicologiche e sociali il bullismo è stato affrontato con
opportune ricerche - intervento, sul piano normativo vi sono carenze notevoli.
La
vittima di
bullismo
può
fare
appello al
sistema
giudiziario, soltanto quando il
comportamento del bullo sfocia in atti illeciti, nella violazione della legge penale o civile.
In mancanza di una legislazione specifica che inquadri il
bullismo
come reato, la
giurisprudenza ha dovuto ricorrere ad alcune analogie del codice civile e penale.
Uno degli articoli presi
come punto di riferimento è l’art. 2043 C.C, in materia di
responsabilità civile da illecito di natura extracontrattuale.
“Si parla di illecito extracontrattuale o aquiliano (…), quando si viola un diritto o una
situazione giuridica tutelata in modo assoluto, cioè verso la totalità dei consociati, senza
che preesista un vincolo obbligatorio tra danneggiante e danneggiato” (Ascione, 2007, 31).
Tale responsabilità sussiste in rapporto a tre elementi:
- fatto materiale: comprende il comportamento della persona (omissivo o commissivo) quando
è legato all’evento dannoso da un nesso di causalità giuridica rilevante;
- l’antigiuridicità: è ricondotta al contrasto tra il comportamento lesivo e il dovere giuridico
espresso da una norma che impone di rispettare i diritti protetti erga omnes;
- la colpevolezza del soggetto che commette l’atto lesivo.
Presupposto della colpevolezza secondo l’art. 2046 è l’imputabilità
che si traduce nella
capacità di intendere e di volere.
Il minore capace di intendere e di volere può essere chiamato a rispondere degli atti
compiuti ai danni di terzi. In tema di responsabilità civile possono verificarsi due ipotesi: l
‘autore del fatto può essere incapace di intendere e di volere e quindi non rispondere dei
1
danni arrecati a terzi ai sensi dell’ art. 2046 del C.C. oppure, in mancanza di imputabilità
del soggetto agente, la legge con l’art. 2047 C.C, 131 individua
una responsabilità che
potremmo definire “sostitutiva” in capo ad una persona diversa, ovverosia in capo “a chi è
tenuto alla sorveglianza dell’ incapace, salvo che non provi di non aver potuto impedire il
fatto” (Ascione, 2007, p. 33).
L’art. 2048 C.C, come rubricato come “Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei
precettori dei maestri d’ arte”, disciplina l’ ipotesi
di responsabilità
concorrente
tra
il
minore capace e il soggetto preposto alla vigilanza di quest’ultimo.
Il bullismo si manifesta in particolare nei luoghi dell’ edificio scolastico. Tuttavia
accade che le prepotenze siano esercitate durante il tragitto casa- scuola. In questi casi è
difficile stabilire chi sia responsabile degli atti dei ragazzi, poiché la situazione implica
maggiore difficoltà di sorveglianza.
La giurisprudenza ha deciso di colmare questo vuoto legislativo tramite la creazione di titoli
di responsabilità colposa : omessa osservanza dei doveri di vigilanza, mancata corretta
educazione relazionale e sociale, erronea scelta dei genitori a
‹‹ custodire›› i minori
(Ascione, 2007, p. 41-42).
L’art. 2048 C.C diversamente dall’art. 2047 C.C , afferma che i minori siano capaci di
intendere e di volere, ma non emancipati.
Per quanto riguarda le disposizioni dell’ art. 2048 C.C, i genitori non solo devono
rispondere della mancata vigilanza fisica nei confronti del figlio minore, ma sono
responsabili di non aver impartito un’ adeguata educazione sociale, tale da garantire una
buona condotta del figlio al di là della loro sorveglianza. Questo è il nodo centrale di ciò
che la normativa individua come culpa in educando.
Nell’ ambito di una fattispecie connotata da elementi di bullismo, oltre alla
responsabilità del genitore per il danno provocato dal figlio nei confronti di un coetaneo,
si aggiunge la responsabilità dei soggetti tenuti ad esercitare la sorveglianza imposta dalla
legge per altro titolo idoneo: precettori, insegnanti, animatori ecc:. In questo caso, secondo
l’art. 2055 del C.C,132 può verificarsi l’ ipotesi del concorso di responsabilità sia tra soggetti
131
Danno cagionato dall’ incapace. In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere
il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’ incapace, salvo che provi di non
impedire il fatto.
Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da cui è
sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può condannare
danno a un’ equa indennità.
e di volere
aver potuto
tenuto alla
l’ autore del
132
Responsabilità solidale. Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido
al risarcimento del danno (…). Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali.
1
tenuti
alla sorveglianza
che tra il minore ed i propri sorveglianti, situazione che offre
maggiori garanzie alla vittima, la quale può chiedere risarcimento nei confronti
di più
soggetti responsabili (Ascione, 2007, 44).
A tal proposito una sentenza della Suprema Corte - del 21 settembre 2000, n. 12501ha stabilito per la parte civile, idoneo risarcimento a carico dell’insegnante per culpa in
vigilando, in concorso con il genitore per culpa in educando, responsabile di non aver
impartito una giusta educazione al figlio. 133 La Corte aveva pronunciato tale sentenza in
merito ad un episodio di bullismo scolastico. Un ragazzo aveva subito gravi lesioni ad un
occhio, a causa di una gomma lanciatagli da un compagno durante una lezione di disegno.
Per comprendere meglio l’applicazione delle disposizioni legali previste dal Codice civile, in
relazioni ad azioni bullistiche bisogna
definire la figura del precettore. “Quest’ultimo
rappresenta il soggetto al quale l’allievo è affidato per ragioni di educazione ed istruzione,
sia nell’ambito di una struttura scolastica pubblica (come avviene per i maestri), sia in virtù
di un autonomo rapporto privato (qual è quello che intercorre con un istruttore), in tutti
quei casi in cui l’affidamento, seppur limitato ad alcune ore al giorno o della settimana,
assuma carattere continuativo e non meramente saltuario” (Ascione, 2007, 51-52).
L’orario di vigilanza non è circoscritto al tempo cronologico, ma comprende anche il
tempo extrascolastico in cui i precettori sono tenuti a sorvegliare, come ad esempio nel
caso delle gite scolastiche.
Rispetto agli insegnanti di istituti privati, gli insegnanti dipendenti da istituti pubblici
risultano maggiormente tutelati. Con la legge n. 312/1980, per il docente
non vi è
responsabilità diretta, nei casi di danni provocati a terzi, o a compagni coetanei da parte di
alunni della scuola pubblica, la rifusione patrimoniale del danno viene risarcita dalla
pubblica amministrazione, pur rimanendo responsabile l’ insegnante per mancata vigilanza,
l’amministrazione può comunque rivalersi nei confronti dell’ insegnante nelle sole ipotesi di
dolo o colpa grave.
Secondo una diversa impostazione, invece, nell’ambito dell’attuale normativa, se il
docente non ottempera all’obbligo di vigilanza, tenuto al risarcimento non è tanto il
Ministero, quanto il singolo istituto scolastico, nella persona del Dirigente scolastico, in virtù
dell’autonomia amministrative di cui godono le scuole (Ascione, 2007, 58).
Sia i genitori che gli insegnanti, possono avvalersi della c.d. prova liberatoria e
sono esenti da ogni responsabilità qualora dimostrino di non aver potuto impedire il fatto.
133
Ascione M., Bullismo. Tutela giuridica alla luce della Direttiva Ministeriale n. 16/2007, Halley Editrice,
S..l, 2007, pp. 47-48.
1
Secondo l’art. 2049 del C.C ‹‹i padroni e i committenti sono responsabili per i danni
arrecati dal danno illecito dei loro domestici e commessi nell’ esercizio delle incombenze
a cui sono adibiti››. Il fenomeno del bullismo deve essere ricompreso in questo ultimo
titolo di responsabilità, per il quale i soggetti responsabili non sono unicamente chiamati
in ragione del ruolo organizzativo , ma per omessa sorveglianza discendente dalla legge o
da altro titolo.
Anche nell’aggiornamento della direttiva ministeriale n.16/2007, quello relativo al
prot. n.30 del 15 marzo 2007, è contemplato il dovere di vigilanza e di corresponsabilità
nei confronti di genitori e docenti.
Nell’ambito
delle modifiche dello Statuto
delle
studentesse e degli
studenti è
prevista la possibilità per ciascuna scuola, di richiedere ai genitori , al momento dell’
iscrizione, la contrattazione di
‹‹un patto
di
corresponsabilità››,
in
cui si
defiscono i
diritti e i doveri verso la scuola.
I docenti, il personale ATA e i dirigenti, in caso di episodi particolarmente gravi, hanno
il dovere di segnalare l’ accaduto alle autorità competenti.134
Le disposizioni in materia di culpa in vigilando, dovrebbero essere estese anche agli
autisti di autobus, dove di frequente si verificano forme di bullismo, soprattutto nella forma
indiretta. Usufruire di questo mezzo di trasporto, sia per i bambini della scuola elementare
del paese, sia per gli studenti pendolari di scuole superiori, residenti in piccoli paesi di
provincia, può essere un problema serio quando si viene presi di mira.
Non sempre il conducente ha il buon senso di fermarsi e di intervenire. Durante uno dei
miei viaggi in autobus per recarmi all’ università, un gruppo di ragazzi frequentanti l’istituto
alberghiero di Favara, residenti a Naro, ha iniziato ad aggredire in forma subdola e
continua un loro coetaneo, il quale sentendosi incapace di reagire si è chiuso in se stesso,
piangendo silenziosamente in un angolo. L’autista indignato ha accostato l’ autobus, si è
alzato dal posto di giuda, ed ha
ammonito gli
autori di quella
forma di prepotenza,
invitando poi il ragazzo ancora in lacrime a sedersi in prima fila vicino a lui.
L’atteggiamento severo del conducente, ha innescato diverse reazioni positive, oltre
ad evitare che l’episodio sfociasse in forme più gravi. Il ragazzo vittima rincuorato dall’
134
1
interessamento dell’ autista si è subito tranquillizzato, qualche minuto dopo coloro che
avevano sostenuto il bullo, si sono avvicinati al ragazzo accarezzandogli
la testa per
consolarlo, cercando di spiegargli che non si erano resi conto di averlo ferito così tanto.
Poco dopo anche il bullo si è avvicinato alla vittima per chiedergli scusa, invitandolo a
ritornare al posto di prima, nessuno lo avrebbe disturbato. Così è stato, il ragazzo vittima
di quell’episodio spiacevole, è tornato al posto di prima ed ha
proseguito il
viaggio
tranquillamente. Cosa era successo in realtà? I ragazzi avevano preso consapevolezza di
quali conseguenze potessero provocare le
loro azioni, coloro che erano stati spettatori,
incoraggiati dalla presa di posizione di una persona adulta, avevano trovato il coraggio di
esprimere la loro opinione e di convincere il bullo e i suoi gregari a riparare al torto
subito da quel ragazzo. Il conducente era riuscito ad ottenere di più di quanto sperava, il
suo obiettivo mirava ad intervenire sull’ emergenza per tutelare il ragazzo, in realtà si era
spinto oltre, gli aveva restituito dignità, per la prima volta i suoi compagni erano riusciti a
considerare i suoi sentimenti.
Ho voluto raccontare quest’episodio, perché legalmente quando si parla di dovere di
vigilanza, si fa riferimento a genitori e corpo docente e non docente della comunità
scolastica. Difficilmente si pensa ai conducenti dei pullman, nemmeno dalla direttiva n.
16/2007 del ministro Fioroni,
sembra emergere alcuna responsabilità a carico di questa
categoria. I bambini delle scuole elementari, beneficiano sul pulmino della presenza di
qualche assistente -personale impiegato dal comune per lavori socialmente utili addetto alla
sorveglianza (anche se in forma discontinua). Per le scuole di grado superiore ciò non
avviene. Bisognerebbe varare una norma che addebiti ai conducenti di autobus una pena
pecuniaria, qualora si verifichino episodi di violenza sui minori all’interno del mezzo che
hanno in custodia a causa del loro comportamento indifferente, salvo dimostrazione che non
abbiano potuto impedire il fatto.
Il lavoro del conducente di pullman può risultare gravoso, concentrato sulla guida
non sempre è in grado di cogliere tutto quello che accade in autobus, per questo motivo
dovrebbe essere affiancato obbligatoriamente da un assistente addetto alla sorveglianza.
In proposito non solo non vi è alcuna norma vigente, ma non sembra essere stato
presentato alcun disegno di legge.
1
6.2 I danni risarcibili per le azioni provocate dai bulli
In mancanza di particolari
risarcibili
disposizioni che affrontano nello specifico i danni
da parte dei soggetti “bullo” nei confronti delle “vittime”, i giuristi fanno
riferimento alle norme di natura extracontrattuale. In base a tali disposizioni del codice
civile, le conseguenze derivanti da tale responsabilità prendono il nome di “risarcimento
del danno”, inteso come compensazione delle perdite subite dalla vittima dell’illecito
(Ascione, 2007, 64).
Fra i danni risarcibili vi è una prima distinzione tra danno patrimoniale e danno non
patrimoniale che a sua volta comprende diverse tipologia di danno.
6.2.1 Il danno patrimoniale
Per danno
patrimoniale
deve intendersi la perdita
subita in conseguenza della
condotta del bullo. Quindi tale disposizione nel caso del bullismo è applicabile solo per
particolari fattispecie.
I tutori legali del bullo -ad esempio- sono tenuti al risarcimento delle somme dovute per
gli oggetti danneggiati o rubati dalla vittima, per il denaro estorto. Qualora il bullo abbia
compromesso l’ integrità psico-fisica della vittima, i genitori e la scuola sono tenuti al
rimborso delle spese per le eventuali cure mediche.
I criteri cui il giudice deve attenersi per la determinazione dell’esatto ammontare sono gli
art. 1223, 1226 e 1227 del C.C.135
6.2.2 Il danno morale
135
Art 1223 del C.C. Risarcimento del danno.
Il risarcimento del danno per l’ inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita
subita
dal creditore come mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.
Art. 1226 del C.C. Valutazione equitativa del danno.
Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal
valutazione equitattiva.
giudice con
Art. 1227 del C.C. Concorso del fatto colposo del creditore.
Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito
secondo la gravità della colpa e l’ entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ ordinaria
diligenza.
1
Sino a qualche anno fa
il danno morale
era l’unica forma di danno non
patrimoniale che si contrapponeva al danno patrimoniale.
Ciò
era dovuto ad una lettura restrittiva degli art. 2059 C.C e 185 C.P, che
prevedono la risarcibilità del danno ‹‹solo nei casi previsti dalla legge››. Il colpevole era
obbligato a risarcire il danno patrimoniale o non patrimoniale solo per il danno provocato
dal reato commesso.
Una sentenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione ha superato questa
interpretazione, prevedendo il risarcimento del danno ogniqualvolta venga violato un valore
legalmente riconosciuto dalla Costituzione dal quale conseguono pregiudizi di natura non
economica.
In base agli art. 2059 C.C e 185 C.P, il danno morale si ravvisa ogniqualvolta da un
fatto costituente reato derivi un transeunte turbamento dello stato d’animo, che a differenza
del danno esistenziale si manifesta sul piano interno, mediante disagi, turbamenti o ansie.
La vittima ha diritto al risarcimento del danno, anche nel caso in cui si configurino
gli estremi di reato tentato o pericolo.
Il danno morale
può essere a carico di un soggetto non imputabile, in caso di
bullismo dal minore che ha cagionato un danno alla vittima, tale da configurarsi come
reato.
Titolare per la richiesta di risarcimento danni è naturalmente la persona offesa, in caso di
bullismo il minore vittima di vessazioni.
Ai sensi dell’art. 1223 del C.C, l’ autore dell’ illecito risponde di tutti i danni applicati che
siano ‹‹conseguenza immediata e diretta›› del fatto.
Certamente il danno patito dai familiari della vittima è riconducibile al verificarsi del fatto
illecito, di conseguenza i congiunti della vittima hanno diritto a chiedere il risarcimento del
danno, in particolare qualora gli episodi di prepotenza sfocino nel reato di lesioni gravi o
nei casi più eclatanti di omicidio. In quest’ ultimo caso si verifica la concorrenza di un
risarcimento del danno morale iure proprio e di un danno morale iure hereditatis.
Con il termine iure proprio si intendono le sofferenze provate dai familiari per la perdita
del
congiunto, che ha origine per conseguenza
diretta del fatto illecito, che prescinde
dunque, dalla qualità di erede. Quando il soggetto passivo del reato decede a causa delle
lesioni provocate, dopo un determinato arco di tempo dal verificarsi del fatto, il
risarcimento del danno morale sofferto in vita dal danneggiato si trasmette per via ereditaria
1
ai prossimi congiunti che abbiano agito in qualità di eredi, nei limiti della loro quota; in
questo caso viene riconosciuta una tutela indiretta o riflessa.
Sotto l’aspetto procedurale, per quanto riguarda
la prova del danno morale
soggettivo, occorre soltanto allegare la documentazione che attesti i fatti.
La liquidazione del danno morale, tradotta in risarcimento economico -non potendo
applicare criteri scientifici- varia secondo discrezione del giudice. Tuttavia per stabilire l’
ammontare della cifra il magistrato tiene conto di alcuni parametri quali la gravità del
reato, l’entità delle sofferenze patite dalla vittima, l’età, il sesso, il grado di sensibilità del
danneggiato, o il dolo dell’autore dell’ illecito, o la realtà socio-economica del danneggiato.
6.2.3 Il danno biologico
Il danno biologico concerne il pregiudizio arrecato all’integrità psico - fisica della
persona, a prescindere da ogni riflesso patrimoniale o morale soggettivo.
Nel
caso in cui venga compromessa l’integrità psico-fisica del minore, il risarcimento
comprende:136
1. un danno patrimoniale ‹‹eventuale››, commisurato sull’ incidenza che il danno ha
avuto sul reddito effettivo, in conseguenza di una dimostrata perdita della capacità
di guadagno;
2. un danno non patrimoniale, nella sua forma “c.d. morale,” consistente nella
pecunia doloris, cioè nella sofferenza fisica e psichica sopportata in conseguenza
della lesione.
In presenza di determinati requisiti accanto al danno biologico subito dal danneggiato, la
giurisprudenza riconosce anche la riparazione del danno nei confronti dei familiari del
minore, quando quest’ ultimo sia deceduto a causa delle lesioni subite, secondo i criteri del
iure proprio e del iure hereditatis.
Con le ipotesi di risarcimento per le azioni bullistiche non è sempre agevole individuare
una perdita di reddito, una pecunia doloris specifica, ovvero una lesione “biologica” con
riferimento al minore di età. Per queste ragioni la giurisprudenza ha previsto numerosi voci
di danno di creazione, specificatamente nelle ipotesi di danni di illeciti
commessi tra
minori. In questa categoria rientrano il “danno c.d di relazione e il danno di rottura
dell’ equilibrio familiare.” Soltanto di recente la giurisprudenza ha iniziato a catalogare
136
Ascione M., Bullismo. Tutela giuridica alla luce della Direttiva Ministeriale n.16/2007, Halley Editrice s.r.l,
2007, pp 78-79.
1
queste forme di risarcimento nell’ ottica del danno biologico, mentre prima rientravano
nell’ambito del danno non patrimoniale
e quindi solo in alcuni casi riconosciuti dal
legislatore.
6.2.4 Il danno di relazione
Il danno c.d. “di relazione” rappresenta una menomazione dell’ integrità psicofisica
che incide negativamente sulla personalità dell’individuo attraverso una lesione dei rapporti
con i terzi e un danneggiamento delle sue “attività sociali e ricreative”.
“La Suprema Corte con le sentenze n. 3564 e 8287 del 1996,137 ha ritenuto
opportuno riconoscere come fondamentale, alla pari del danno patrimoniale, tutte le lesioni
delle attività ritempranti dell’individuo, ed in particolar modo le relazioni sociali dello stesso
individuo inserito nella società.” (Ascione, 2007, 79)
In un soggetto adolescente il deterioramento, delle relazioni sociali, compromette la qualità
della vita del minore, con ripercussioni sul piano psicofisico.
Le statistiche dimostrano che gli effetti a lungo termine di chi subisce episodi di bullismo
riguardano disturbi depressivi e sintomatologia da stress, aggravati dalla condizione di
isolamento indotta dal bullo.
6.2.5 Il danno da rottura dell’ equilibrio familiare
Tale
tipologia di danno è stata creata specificatamente per i casi di nascite
indesiderate e per i danni conseguenti ad omessa diagnosi di malformazioni del feto. Il
danno da rottura dell’ equilibrio familiare potrebbe essere adattato anche in caso di condotte
bullistiche.
La vittima di episodi di bullismo manifesta uno stato di malessere profondo che si
presenta come condizione di stress per tutta la famiglia, a lungo termine le tensioni derivate
dalla posizione del figlio a scuola possono indurre alla rottura dell’ equilibrio familiare.
Le nuove categorie di danno “non patrimoniale”, si sono sviluppate negli anni, per
rispondere alla specificità di ogni singolo caso, colmando le lacune dell’ ordinamento in
materia di risarcimento.
137
Op. cit. p. 79.
1
6.2.6 Il danno esistenziale
Nel
danno esistenziale sono confluiti tutti i danni derivanti dalla
lesione di
situazioni ed interessi riconosciuti a livello costituzionale. Secondo la sentenza n. 6572
della Corte di Cassazione del 24 marzo 2006, il danno esistenziale va inteso ‹‹come ogni
pregiudizio, oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che
alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendo a scelte di vita diverse
quanto alla espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno››.
Tale situazione può sorgere in diverse circostanze, il danno può riguardare non solo il
danneggiato, ma anche gli stretti congiunti.
Riportando tale fattispecie a condotte bullistiche, quando ledono interessi costituzionalmente
garantiti si può procedere alla risarcibilità del danno esistenziale non solo nei confronti
della vittima, ma anche dei familiare legati a lui ogniqualvolta si verifichi una rottura dell’
equilibrio familiare.
In materia di regime probatorio, secondo la giurisprudenza il danno esistenziale va collocato
fra i c.d. “danni-conseguenza”, il danno non sussiste
in re ipsa, non coincide con la
lesione in sé e per sé dell’ interesse, ma con le lesioni “esterne” derivanti dalla lesione
medesima. A differenza del danno morale, il danno esistenziale deve essere provato dalla
persona che procede per ottenere il dovuto risarcimento (Ascione, 2007, p. 86).
Relativamente alla liquidazione economica essa avviene sulla
base di una valutazione
equitativa, secondo i criteri precisati negli art. 1223 e 2056 del C.C 138.
6.3 Il bullismo come fenomeno penale
Gli episodi di cronaca degli ultimi anni, dimostrano come episodi di bullismo,
inizialmente considerati innocue ragazzate, possano sfociare in atti di efferata crudeltà, che
assumono rilevanza dal punto di vista penale.
Secondo Maurizio Ascione, occorre
“ipotizzare una norma a struttura collettiva
costituente delitto (…) che segnali la rilevanza penale del bullismo,” tale norma non
dovrebbe essere necessariamente di natura repressiva, ma dovrebbe puntare soprattutto sulla
prevenzione.
138
Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli art. 1223, 1226 e
1227. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.
1
Attualmente, dal punto di vista giuridico, il bullismo assume rilievo penale - non per
l’intenzionalità di arrecare danni a qualcuno per tempi prolungati- ma soltanto quando le
conseguenze delle azioni del bullo sono tali per cui si verificano alcune ipotesi tradizionali
del
C.P quali: percosse, lesioni volontarie, minaccia, violenza privata, minaccia per
costringere a commettere reato.
Norme specifiche per la prevenzione, la sanzionabilità e il recupero del “bullo” non
sono previste. Bisognerebbe inglobare gli atti di bullismo nella tutela, distinguendo tra reati
comuni commessi dai minori e reati propri della figura del bullo.
Tale distinzione non risulta semplice, infatti accade che un minore si comporti da
bullo senza che si configuri alcun reato (seppur tale comportamento risulti eticamente
riprovevole), viceversa
accade
che comportamenti di bullismo vengano sottovalutati o
trascurati, configurandosi nel tempo in azioni di importanza penale.
6.4 Misure cautelari applicabili nei confronti del bullo
Dall’ emanazione del D.P.R n. 448/1988, che disciplina le funzioni del Tribunale dei
Minori, si riconoscono al minore particolari
esigenze educative che prevedono
un
trattamento differenziato rispetto a quello degli adulti, nella procedura ed esecuzione della
pena. L’errore comune cui ricorrono spesso i giudici, è quello di esasperare la funzione
rieducativa della pena. Il diritto penale minorile, deve
coordinarsi con il diritto penale
seppure con qualche adattamento senza correre il rischio di trasformare il Tribunale per i
Minori in completamento giurisdizionale del servizio sociale (Ascione, 2007, 97).
Per
colmare il vuoto normativo, relativo ai
comportamenti bullistici, il legislatore per
adottare le dovute misure cautelari, deve tenere in considerazione quanto disposto dall’art.
16 del D.P.R, che dispone l’applicazione della custodia cautelare in carcere solo quando ‹‹si
procede per delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell’ ergastolo o
della reclusione non inferiore al massimo a nove anni››.
Ecco di seguito un veloce esame delle misure cautelari:
- l’arresto in flagranza di reato (art. 16 D.P.R
n. 448/1988), può avvenire per i fatti più
gravi, o quando esistono particolari esigenze di indagine, pericolo di fuga, pericolo che
l’autore commetta altri delitti della stessa specie, o delitti di criminalità organizzata.
1
- in ogni altro caso è prevista una gradazione progressiva di misure cautelari che partendo
da semplici prescrizioni (art. 20 n.448/1988), impartite dal giudice, non previste dal codice
ma adeguate al caso concreto, variano fino all’ obbligo di frequentare una scuola, di
esercitare un lavoro, di non frequentare alcuna compagnia, di risarcire la vittima
- la violazione dell’obbligo delle prescrizioni comporta la misura dell’obbligo della
permanenza in casa, con l’ eventuale previsione dei permessi speciali per recarsi a scuola
o al lavoro;
- il collocamento in comunità, (art.22 n.448/1988), è un provvedimento ancora più
restrittivo;
- infine nei casi in cui le altre misure siano fallite è prevista la custodia cautelare in
carcere minorile, riservata ai casi più gravi.
Il D.P.R n.48/1988, prevede altri istituti volti a sottrarre il minore alla pena detentiva:
•
i primi due riguardano la sospensione della pena e la messa alla prova, che
consiste in un provvedimento di sospensione del processo penale, per un periodo
massimo di tre anni, con un programma
elaborato dai
servizi sociali, nel quale
anche la famiglia contribuisce al recupero personale del minore. Nel caso in cui
l’esito della prova sia positivo, il giudice dichiarerà il reato estinto;
•
il perdono giudiziale
invece
dibattimentale
sede
nella
presuppone lo svolgimento di una minima attività
dell’udienza
preliminare, chiedendo un giudizio di
responsabilità per l’imputato;
•
la riabilitazione sociale, un’ ulteriore figura di larga applicazione anche nella riforma
del processo penale minorile.
Negli ultimi anni la magistratura, ha iniziato a prendere in maggiore considerazione
l’
ipotesi della custodia cautelare.
Un primo caso da
segnalare, riguarda la sentenza del
Tribunale
dei
minorenni
de
L’Aquila con sentenza dell’ 11 aprile 2002139.
139
Ascione, M., Bullismo. Tutela giuridica alla
Editrice S.r.l, 2007, pp. 112-113.
1
luce della Direttiva Ministeriale n. 16/2007, Halley
Il collegio giudicante, nel caso di specie, non ha applicato alcuna sanzione penale,
sebbene fosse accertata la responsabilità dei minori per il delitto di percosse. Agli autori del
reato è stato concesso il perdono giudiziale, con la motivazione che in futuro non
avrebbero commesso altri reati.
Pochi anni dopo, invece si assiste al passaggio
da
un atteggiamento
indulgente
all’adozione di misure cautelari per i reati giovanili.
La sentenza della Suprema Corte n. 19331/2005, ha annullato una precedente
ordinanza emessa dal Tribunale per i minorenni di Sassari, in funzione di tribunale per il
riesame, con la quale veniva previsto il collocamento in comunità al posto della custodia
cautelare in carcere.
La
fattispecie di reato riporta i seguenti estremi relativamente alla condotta di un
adolescente
nei confronti di un compagno di scuola
“affetto da
handicap, che veniva
costretto a compiere e subire atti di violenza sessuale, ad assumere sostanze stupefacenti
e a mangiare un panino imbottito con escrementi animali.” La
Corte di Cassazione ha
motivato la sentenza spiegando che “il giovane denoti un’ indole spavalda ed arrogante(…)
. L’ ordinanza impugnata si distingue poi per una particolare sottovalutazione dell’ ulteriore
elemento acquisito al procedimento ed evidenziato dal
ricorrente; la circostanza che
nell’agosto 2004 (quindi dopo la sostituzione della misura più grave) U. abbia minacciato
un testimone proprio a causa della sua deposizione nel processo per i fatti oggetto del
presente procedimento cautelare.” (www. bullismo.com).
Il magistrato ha ritenuto che l’applicazione di
misure alternative alla detenzione,
fosse inidonea al caso preso in esame, poiché come ha dimostrato la condotta del giovane,
il pericolo di reiterazione si era manifestato anche al di fuori del contesto scolastico.
6.5 Il bullismo nel diritto internazionale
Sebbene Olweus abbia dato avvio alle ricerche sul bullismo, dando un volto ad un
problema nascosto e sottovalutato, tutti gli ordinamenti europei ed extraeuropei, sono
accomunati dalla mancanza di norme che disciplinino in modo specifico la responsabilità
di adolescenti, genitori, episodi e scuola coinvolti in episodi di bullismo.
Il fronte su cui gli stati concentrano gli spazi
mediante interventi anti - bullismo.
1
è quello della prevenzione
scolastica
In
Svezia
dal 1994
la legge impone alle scuole
bullismo. Tale responsabilità
grava sui dirigenti
di predisporre programmi contro il
scolastici, ai quali spetta il compito di
programmare, monitorare e valutare le strategie di intervento più adatte.
In Inghilterra il governo per arginare episodi di bullismo ha introdotto alcune novità in
campo legislativo.
Le nuove norme prevedono140:
•
l’estensione delle responsabilità: tutti i minori dal compimento del decimo anno
d’età, sono imputabili;
•
Misure di sorveglianza per i minori a rischio o autori di reato;
•
Il Parenting Order, ovvero di un ordine rivolto ai genitori di un giovane a rischio
di impartire determinati consigli
•
o di seguire lezioni di ‹‹guida educativa››;
l’utilizzo dell’ imposizione dell’ Anti-Social Behaviour
Order, cioè di una misura
civile imposta ai giovani con comportamenti bordeline, ma non del tutto criminali.
“Il nuovo assetto normativo inglese prevede misure intermedie tra la riparazione e la
prigione che si concretizzano nella sorveglianza regolare da parte di un probation officier
(…). Tali misure sono sottoposte
a verifica
da parte
degli Youth
offending team,
organizzati a livello locale, con competenze di servizio sociale, salute, educazione,
criminologia e diritto” (Ascione, 2007, 126).
Relativamente
ai provvedimenti
adottati
dal Ministero della Pubblica istruzione
inglese, dal 2 aprile 2007, nelle scuole britanniche è entrato in vigore un provvedimento
che
autorizza gli insegnanti a fare ‹‹uso ragionevole
della
forza›› in risposta al
comportamento inappropriato degli studenti. Secondo il ministro inglese Alan Johnson gli
insegnanti potranno utilizzare la forza nel caso di zuffe a scuola se esiste il timore che
qualcuno posa
farsi male. Avranno il diritto a procedere a perquisizioni corporali
se
sospettano l’ ingresso a scuola di coltelli o pistole, potranno anche avvalersi della facoltà di
sequestrare i telefonini e di somministrare punizioni come l’ obbligo di ‹‹detenzione›› a
scuola, il sabato, quando non sono previste lezioni (www.corriere.it).
Il governo inglese ha risposto alle richieste avanzate dal sindacato nazionale degli
insegnanti (National
Union of Teacher), che da tempo chiedevano di essere dotati di
strumenti idonei a far fronte al problema della mancata disciplina.
140
Op. cit. pp. 125-126.
1
Anche in Norvegia le scuole sono tenute ad elaborare un sistema di norme antibullismo e ad aderire ad un programma anti-violenza.
Negli Stati Uniti più che in altre parti del mondo, la violenza nelle scuole raggiunge
proporzioni esasperate. Gli interventi antibullismo si sono moltiplicati dopo il 20 aprile del
1999, quando a Colombine (Colorado) due studenti di scuola superiore prima di suicidarsi
hanno ucciso dodici studenti e un insegnante, e ferito altri ventitré ragazzi.
In particolare sui dirigenti scolastici, legalmente grava il compito di attivare progetti
mirati alla prevenzione del bullismo, così come nei casi di mobbing sul posto di lavoro
è il datore a rispondere del comportamento dei suoi dipendenti.
In America risale agli anni ’90 il programma di giustizia minorile denominato “Teen
Courts
Program,” che prevede l’ introduzione di un processo nel quale le funzioni del
pubblico ministero, di difensore, cancelliere, giurato vengono assunte da minorenni,
competenti a giudicare reati commessi dai minorenni.
Naturalmente sono chiamati a giudicare nei casi in cui il minore non abbia avuto
precedenti penali, ed abbia commesso reati di lieve entità.
Accanto alle “Teen Courts Program” esistono anche
specifiche, come le “Student
Courts,” che si
delle corti con competenze
occupano di illeciti penali commessi in
ambito scolastico, come le azioni di bullismo.
Il ricorso a questo procedimento extragiudiziale è sottoposto a particolari condizioni, quali
la volontà del minore di
sottoporsi volontariamente
al giudizio
della
Corte e il
riconoscimento dell’ addebito da parte del minore.
Il procedimento
applicato è simile allo svolgimento del processo davanti alle Corti
ordinarie, ma si conclude con l’ applicazione di una sanzione prevalentemente a carattere
riparativo
piuttosto che punitorio, come ad esempio lo svolgimento di un lavoro
socialmente utile o la partecipazione ad un intervento – antibullismo. Tale sistema finora ha
ottenuto buoni risultati.
Le organizzazioni internazionali come l’Unione Europea e quelle con finalità di
cooperazione come l’O.N.U si sono interessate al fenomeno preso in esame, con modalità
diverse. Il Parlamento Europeo il 12 dicembre 2006, ha emanato una raccomandazione
rivolta agli stati membri sulla tutela dei minori e il rispetto della dignità umana nel settore
della diffusione di immagini su Internet. L’ iniziativa è volta a tutelare i minori oggetto di
immagini su Internet, sappiamo negli ultimi tempi quanto sia diffuso il cyberbullying.
Il
Parlamento ha attribuito ai gestori di siti Internet la responsabilità
contenuti illeciti.
1
di non utilizzare
Il Consiglio d’ Europa al
fine di prevenire qualsiasi
forma di violenza fra i
giovani, con la Raccomandazione n. 87/20 individua nell’ educazione e nell’inserimento
sociale l’ obiettivo del Sistema penale dei minori, e considera la prigione come ultima
ratio.
L’O.N.U annovera tra le sue iniziative per la tutela dei minori la Dichiarazione dei
diritti del fanciullo, che riconoscere la necessità di garantire al minore particolari cure,
compresa un’ adeguata protezione giuridica sia prima che dopo la nascita.
Della stessa importanza è la Convenzione O.N.U sui diritti del bambino del 20
novembre del 1989. La Convenzione è stata ratificata dall’ Italia con la Legge n. 176/1991.
Riprende i principi già affermati nelle “Regole di Pechino,” che hanno influenzato la
redazione di alcuni codici di processo fra i quali il D.P.R 448/1988.
La Convenzione stabilisce che:
•
il minore non può essere soggetto a pene capitali o all’ergastolo;
•
nei confronti del minore devono essere evitate le privazioni di libertà arbitrarie o
illegali;
•
la privazione della libertà
deve
essere eseguita con trattamento umanitario,
considerando le esigenze legate all’età del detenuto;
•
il minore deve poter mantenere i contatti con il proprio ambiente familiare ed avere
diritto ad un’ adeguata assistenza legale;
•
l’ obiettivo principale della detenzione deve essere quello dell’ educazione, allo scopo
di promuovere la dignità e il valore del minore.
Il 27 agosto 1990, il VII Congresso O.N.U ha approvato il Regolamento delle Nazioni
Unite per la protezione dei minori privati della loro libertà, nel quale si ribadisce che
la carcerazione del minore deve essere adottata soltanto quando le
rivelino inidonee, e in ogni caso deve
altre pene alternative si
essere affiancata ad un progetto educativo
individualizzato, da implementare anche in piccole comunità, cercando di realizzare i diritti
all’istruzione, al lavoro, allo svago, all’assistenza medica (Ascione, 2007,136).
1
6.6 Direttiva ministeriale n. 16/2007
Entrata in vigore il 5 febbraio 2007, tale direttiva, emanata dal Ministro della
Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, non rientra nell’ ambito prettamente giuridico. Tuttavia
è il primo regolamento che oltre a menzionare diritti e doveri degli studenti all’interno
dell’istituto scolastico -menzionati accuratamente nello “Statuto
degli
studenti e delle
studentesse della scuola secondaria,”- prevede un programma di prevenzione che coordini
non solo le varie componenti della cellula scolastica, ma preveda collegamenti con gli Enti
locali, provinciali e
regionali, supervisionati
direttamente dal Ministero della Pubblica
Istruzione e non dal Provveditorato agli studi.
L’ escalation di episodi di violenza
degli
ultimi mesi, pubblicizzati
dai media,
rappresenta la motivazione che ha indotto all’emanazione urgente della seguente direttiva,
al fine di fornire gli insegnanti di strumenti disciplinari più idonei a contrastare
comportamenti bullistici, tuttavia l’ obiettivo principale è investire sulla prevenzione.
Con l’entrata in vigore dello Statuto delle Studentesse e degli Studenti, il D.P.R. 24 giugno
1998, n. 249, si è passati da
un modello repressivo
che tendeva ad espellere l’ allievo
importuno dalla scuola, ad un sistema di natura “riparatoria- risarcitaoria,” il cui scopo è
quello di responsabilizzare l’alunno all’ interno della comunità scolastica (art. 4).
Anche le sospensioni, adottate in caso di reiterazioni o infrazioni gravi, non devono
superare il periodo di quindici giorni, salvo nei casi in cui si commettono reati, o sia in
pericolo l’ incolumità delle persone. Ad ogni modo deve essere mantenuto il contatto con la
famiglia dello studente per favorirne il rientro.
Il
DPR
249/98, prevede che le scuole adottino un proprio provvedimento
disciplinare. E’ responsabilità
dei dirigenti scolatici e dei consigli d’ istituto competenti,
adottare regolamenti che affrontino le questioni connesse al bullismo con severità, tramite
l’applicazione di misure rapide ed efficaci, e l’ irrogazione di sanzioni proporzionate all’
infrazione commessa.
Azioni a livello nazionale. “Ai Dirigenti scolastici, ai docenti, al personale ATA e
ai
genitori è affidata
la responsabilità
di trovare spazi per affrontare
il tema del
bullismo e della violenza attraverso un’ efficace collaborazione nell’azione educativa volta a
sviluppare negli studenti valori e comportamenti positivi e coerenti con le finalità educative
dell’ istituzione scolastica.”
1
Avvalendosi del Piano dell’Offerta Formativa (POF)- DPR n. 275/99 possono elaborare
iniziative pedagogiche ed educative, traducendo nella didattica i saperi che fanno di ogni
allievo un buon cittadino integrato nella società.
Spetta alla scuola trovare la strategia migliore che promuova il comportamento prosociale,
in contrasto con i fenomeni di bullismo e violenza. Particolarmente importante è la
collaborazione tra il Ministero della Pubblica Istruzione e il Ministero dell’Interno, al fine di
affrontare il fenomeno dal punto di vista investigativo, con il Servizio di Polizia Postale e
delle Comunicazioni, che avrà il compito di monitorare
la rete internet per raccogliere
elementi utili per la prevenzione e repressione dei reati in generale, comprese le forme di
bullismo. Verranno messi a punto dei sistemi di sicurezza
per proteggere le reti delle
scuole, dall’ utilizzo illegittimo di terminali.
1) Campagna di comunicazione diversificata
Tutte le scuole di ogni ordine e grado sono chiamate, con il coinvolgimento diretto dei
genitori
e degli
alunni, ad organizzare campagne pubblicitarie, al fine di sensibilizzare
l’opinione pubblica riguardo al fenomeno.
Le rappresentanze di genitori, studenti e insegnanti, avvalendosi dell’aiuto degli osservatori
regionali potranno
impegnarsi a sostenere la realizzazione di un portale internet, in
collaborazione con scuole, studenti e consulte; messa in onda di spot televisivi e radiofonici
scelti tra quelli elaborati dalle scuole, coinvolgimento dei portali WEB, maggiormente
frequentati
dai giovani nella campagna di comunicazione; coinvolgimento di testimonial
contro il bullismo e promozione di apposite iniziative nell’ ambito della TV.
Il ruolo della scuola sarà determinante
per il coinvolgimento di gruppi di aggregazione
extrascolastici, di centri aggregazione giovanile, di associazioni e di gruppi sportivi, di
associazioni di genitori e di centri religiosi e culturali frequentati dai ragazzi.
Nell’ambito della scuola materna ed elementare, si pone la necessità di valorizzare
la
comunicazione interpersonale, di costruire contesti di ascolto giudicanti e momenti dedicati
al dialogo che in questa fase evolutiva possono essere integrati con attività, di concerto tra
l’Amministrazione e gli osservatori regionali.
Attraverso le reti Rai possono essere potenziati spazi legati al riconoscimento, all’
espressione dei sentimenti anche negativi; possono essere creati poster da affiggere nelle
scuole, che contengano immagini facilmente comprensibili e realizzate dai più piccoli.
Si può intervenire anche sulla sensibilizzazione dell’ editoria per bambini.
1
2) Costituzione di osservatori regionali permanenti sul bullismo
Presso
ciascun
Ufficio
scolastico
regionale
sono
istituiti
degli
osservatori
regionali
permanenti sul fenomeno del bullismo, mediante appositi fondi assegnati dal Ministero della
Pubblica Istruzione.
Ogni osservatorio sarà un centro polifunzionale che opererà in rete sul territorio.
Lavorerà
in
stretta
connessione
con
l’ Amministrazione
centrale
e
periferica,
in
collaborazione con le diverse agenzie educative, ricercando tutto il patrimonio di esperienze
che si sono sviluppate grazie all’ impegno delle scuole e delle istituzioni locali (Regioni,
Università, Asl, Comuni….) e delle associazioni.
Gli osservatori garantiranno in primo luogo una rilevazione e un monitoraggio costante del
fenomeno, sia il supporto di attività promosse da istituzioni scolastiche.
Il
“nodo” di
raccordo di
tutti
i
soggetti
coinvolti,
sarà
il
portale
internet
(www.smontailbullo.it).
Gli osservatori adotteranno strategie di intervento operando su quattro fronti:
1. prevenzione e lotta al bullismo, attuate attraverso il coinvolgimento di tutte
componenti delle realtà scolastiche e attraverso programmi di intervento rispondenti
alle esigenze degli specifici contesti territoriali,
2. promozione di percorsi di educazione alla legalità attraverso attività curricolari ed
extracurricolari,
3. monitoraggio costante del fenomeno bullismo,
4. monitoraggio e verifica in itinere e conclusiva dei vari soggetti coinvolti, anche
attraverso
la
raccolta
di
valutazioni
sulle
attività
svolte
e
proposte
sulla
prosecuzione delle stesse, provenienti dalle scuole.
3) Attivazione di un numero verde nazionale
Presso la sede del Ministero della Pubblica
Istruzione è attivo il numero verde 800.
66.96.96, attivo dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19.
E’ garantito l’ anonimato, si possono segnalare casi, chiedere informazioni e consigli sul
fenomeno, ricevere sostegno.
1
Vi sono 10 postazioni di ascolto, un gruppo di psicologi, insegnanti, genitori e personale del
ministero.
Il primo bollettino comunicato dal Ministro Fioroni il 29 marzo 2006, attesta l’ afflusso di
4.437 telefonate, circa 120 al giorno. Il 37,5 % delle chiamate sono state effettuate da
genitori e insegnanti, il 31,4% dagli insegnanti, e il 23,2% dagli studenti vittime di episodi
di bullismo.
Il maggior numero di denunce proviene dalle scuole secondarie di primo grado (35%),
seguite dalle primarie (25%), dai licei (19%), dagli istituti tecnici o professionali(15%) e dalla
scuola dell’infanzia (5%).141
4) Mezzi di comunicazione e reti informatiche
Verranno elaborati e promossi d’intesa
con le Forze dell’ Ordine, le Associazioni a
tutela dell’ infanzia e gli organi competenti, specifici protocolli di comportamento per
favorire nei ragazzi comportamenti di salvaguardia e contrasto, segnalando alla polizia
postale, tutti i video, le foto illegali e lesivi dei soggetti coinvolti.
Particolare
attenzione
verrà posta sull’ esigenza di far acquisire ai giovani il
significato e il rispetto del diritto alla privacy propria e altrui, tutelata anche all’interno
dell’ ordinamento scolastico e di ciò che ne consegue anche in sede di responsabilità
penale e civile al compimento del quattordicesimo anno di età.
Un buon utilizzo del videogioco può aver dei risvolti positivi, può divenire un buon
strumento di educazione e di socializzazione. Non solo si potrebbero utilizzare come
sussidi didattici, ma sarebbe opportuno coinvolgere gli studenti
nella realizzazione di
videogame. In alcune scuole sono già messe in pratica iniziative del genere. Il Ministero di
intesa con l’ A.E.S.V.I. (Associazione Editori Software Videoludico Italiana), promuoverà
una
campagna
di
sensibilizzazione
videogiochi, ponendo
attenzione
alla
volta
ad
informare
classificazione
i genitori nella
PEGI
(Pan
scelta
European
dei
Game
Information), il codice di autoregolamentazione adottato su scala europea dalle stesse ditte
produttrici di videogame.
Il Ministero della Pubblica Istruzione infine si attiverà con il Ministero della
Comunicazione e del comitato “Tv e minori,” per istituire un tavolo di discussione con
le principali emittenti televisive a diffusione nazionale e regionale, con le principali case
141
Osservatoriosullalegalità.org
1
cinematografiche per elaborare una strategia che limiti il fenomeno della violenza in TV
ed offrire occasioni di riflessione anche utilizzando materiale cinematografico o televisivo.
Tale direttiva, è stata aggiornata il 15 marzo 2007 con il prot. n. 30. Tale direttiva viste
le dimensioni del bullismo elettronico, punta maggiore attenzione alle norme in materia di
uso di cellulari.
Lo studente ha il dovere di non utilizzare il cellulare o altri dispositivi elettronici
durante lo svolgimento delle lezioni. La violazione di tale dovere comporta l’ irrogazione
di sanzioni disciplinari stabilite da ciascuna scuola, nell’ ambito delle propria autonomia.
La
sanzione che deve rispettare il criterio di
proporzionalità, prevede il temporaneo
sequestro del cellulare. Ogni scuola adotterà misure organizzative per prevenire un uso
scorretto del cellulare durante le lezioni. Per motivi urgenti la scuola garantirà
la
comunicazione con le famiglie tramite gli uffici d segreteria.
Il divieto di utilizzare telefoni cellulari in classe, riguarda anche i professori.
Sul dovere di vigilanza e del patto di corresponsabilità tra genitori e docenti se ne è
parlato nel par. 6.1.
6.7 Questioni aperte
Attualmente per valutare gli episodi di bullismo, non vi è una fattispecie giuridica a
se stante. La giurisprudenza ha cercato di colmare il vuoto legislativo, procedendo per
analogia con il diritto civile e penale.
Il bullismo scolastico presenta molti punti in comune con il mobbing sul posto di lavoro.
Il
giurista
più volte si è
applicare, le stesse
trovato di fronte ad un problema interpretativo, se poter
disposizioni giurisprudenziali, in materia
di mobbing
anche al
bullismo.
L’avvocato Viola,142 ha
mobbing, e per
cercato di
spiegare
cosa
renda il bullismo simile al
quali motivi invece questo fenomeno non possa essere ricondotto alla
stessa fattispecie del mobbing.
Il bullismo al pari del mobbing
presenta l’ elemento della persistenza nel tempo e dell’
asimmetria di potere. Il datore di lavoro si trova in una posizione giuridica superiore e ne
approfitta per danneggiare il dipendente, posto in condizione subordinata.
142
Bullismo come mobbing: profili giuridici (www.bullismo.it).
1
Anche
l’elemento psicologico sembra accomunare i due fenomeni, nel bullismo
come nel mobbing, vi è la volontà di danneggiare la
vittima senza alcun
vantaggio
personale (dolo intenzionale).
Procedendo ad una interpretazione diversa, invece, l’ inquadramento giuridico del bullismo,
sarebbe diverso da quello del mobbing.
Il datore di lavoro, secondo l’art. 2087 C.C,143 ha
il dovere
di impegnarsi
per
adottare le misure che sono necessarie alla tutela della personalità morale del dipendente.
Naturalmente tale responsabilità non riguarda il bullo della scuola, poiché le disposizioni
dell’ art.2087, sono applicabili ai soggetti coinvolti in rapporti verticali (come nei rapporti
di lavoro), e non riguardano i rapporti orizzontali tra amici o compagni di scuola.
Il
mobber
per provocare un danno
verso il suo sottoposto, deve
necessariamente
perpetrare le sue vessazioni, per un periodo di tempo relativamente ampio. Il bullo invece
può cagionare un danno alla vittima, fisico e/o psichico, anche con un solo episodio.
Altro elemento divergente, tra mobbing e bullismo, sembrerebbe riguardare l’ elemento
psicologico. Per il datore di lavoro, si verifica l’ ipotesi del dolo intenzionale, in quanto
l’unico obiettivo è quello di danneggiare il prestatore di lavoro. Nella fattispecie del
bullismo invece, il soggetto attivo mira soprattutto ad auto-elogiarsi, a fare sfoggio davanti
ai compagni della sua forza (i filmini diffusi su internet, ne sono la prova). Il ragazzo
bullo si diverte prendendo di mira il suo “capro espiatorio”. Con il suo comportamento
però non si
cura del
danneggiarla. Riportando
male inflitto alla vittima,
si
diverte accettando il rischio di
quanto detto sul piano giuridico, l’elemento psicologico per il
mobber è il dolo intenzionale, per il ragazzo bullo è il dolo indiretto144.
143
Tutela delle condizioni di lavoro. L’ imprenditore è tenuto ad adottare nell’ esercizio dell’ impresa
le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’ esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’
integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
144
L’ ipotesi del dolo indiretto, è solo un cavillo giuridico che ostacola la tutela della vittima. Le ricerche
svolte sia sotto il profilo psicologico che sociologico, dimostrano quanto questa ipotesi possa consistere in
una speculazione teorica inutile e dannosa. E’ vero che il bullo si porta dietro un disagio, che lo induce
ad autoaffermarsi con la prepotenza, è vero che il bullo si diverte e spesso non si rende conto del male
che compie. Questo discorso però riguarda maggiormente i bulli passivi, non il bullo dominante. Quest’
ultimo - come il datore di lavoro nel caso del mobbing- ha intenzione di danneggiare la vittima, e per
farlo ha bisogno di attivare i meccanismi del disimpegno morale. Il bullo si diverte perché gode nel
vedere la vittima soffrire.
Il bullismo è sempre esistito, ma la spettacolarizzazione del bullismo è un elemento nuovo. Vent’
anni fa il comportamento aggressivo era penalizzato maggiormente rispetto ad oggi, eppure il bullo non si
faceva scrupolo dei danni cagionati alla vittima.
Oltre al dolo indiretto vi è anche la presenza del dolo intenzionale.
D’ altronde, se prendiamo in considerazione i tre elementi che permettono di individuare
determinati episodi come atti di bullismo, notiamo che uno di questi è l’ intenzionalità, insieme alla
persistenza nel tempo e all’ asimmetria di potere.
Quindi l’ ipotesi del dolo indiretto, che esclude il dolo intenzionale, risulta contraddittoria.
1
Infine c’è un altro dettaglio che non è da trascurare, a differenza del mobbing, nel
bullismo vi è il coinvolgimento di soggetti minorenni.
Vi è un’ assunzione di responsabilità del tutto diversa, il datore di lavoro, risponde
in
via
contrattuale verso il
dipendente
mobbizzato (mobbing
verticale), mentre in via
extracontrattuale se ad esercitare il ruolo di mobber è un collega (mobbing orizzontale).
Nel caso del bullismo, essendo legalmente il minore di età, sprovvisto della capacità di
agire, responsabili per
la
sua
condotta risultano i
genitori (culpa
in educando) e gli
insegnanti (culpa in vigilando). Nulla di tutto ciò si riscontra nel mobbing, in rari casi un
alunno è oppresso
dal
docente. Semmai il dirigente scolastico, così come
il datore di
lavoro è responsabile dell’organizzazione della struttura scolastica, al fin monitorare eventuali
episodi di bullismo.
Non si può procedere ad una interpretazione analogica, tra mobbing e bullismo. Il
referente normativo, presenta posizione diversa e di conseguenza diverse responsabilità.
Chiusa questa parentesi, la domanda che sorge spontanea è la seguente: si sta lavorando
a qualche
disegno di legge, che
ponga
il bullismo su un
gradino autonomo, tale
da
punire la condotta del bullo, come reato penale?
Attualmente, non vi è nessuna proposta
di legge che tenda a colmare
questa lacuna
giuridica. Da segnalare è lo schema del Disegno di legge, da approvare, recante ‹‹ Misure
di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona e
nell’ ambito della famiglia, per l’ orientamento sessuale, l’ identità di genere ed ogni altra
forma di discriminazione››.
La novità del presente D.D.L, sta nella contemplazione del reato di “atti persecutori,” diretto
a punire le condotte che consistono in continue minacce o molestie (Ascione, 2007, 142).
Introducendo questa fattispecie di reato, sarà possibile applicare misure cautelari più adatte
anche ai casi
di bullismo. Sarà possibile punire quelle situazioni di subdola minaccia e
vessazione, non rilevanti penalmente, e che rendono magistratura e polizia impotenti riguardo
al problema.
Un’ultima
riflessione riguarda la direttiva n. 16/2007, con i relativi aggiornamenti del
30/03/2007 e del 30/11/2007.
Vorrei iniziare con la segnalazione degli elementi positivi:
•
le disposizioni dettate dal Ministro Fioroni, rappresentano una forma di “antidoto,”
alla disinformazione e all’ignoranza, che dilaga
1
nelle scuole, relativamente al
fenomeno del bullismo. La direttiva prevede maggiore formazione nei confronti di
alunni, genitori e insegnanti;
•
coinvolgimento degli
alunni mediante adeguate campagne di sensibilizzazione, e
realizzazione di spot pubblicitari;
•
collaborazione tra la scuola e le risorse presenti sul territorio;
•
monitoraggio del fenomeno, tramite la realizzazione di ricerche;
•
valutazione costante dei interventi messi in atto;
•
attivazione del numero verde, per segnalazioni, consigli, e ricerca di sostegno;
•
attivazione del sito www.smontailbullo.it, dove poter visionare, le iniziative intraprese
in ogni regione;
•
divieto dei telefoni cellulari in classe;
•
collaborazione con emittenti televisive;
•
controllo della rete internet;
Dopo aver menzionato gli elementi positivi, vorrei ora spiegare, perché tale direttiva
potrebbe portare risultati inferiori alle aspettative.
Vista l’emergenza degli ultimi mesi, era evidente il bisogno di emanare un regolamento
che puntasse alla prevenzione nelle scuola.
In quali punti difetta allora la direttiva n.16? In realtà non presenta mancanze, se non per
il fatto di poggiare sulla legge n. 59/1997, relativa al conferimento dell’ autonomia scolastica
nelle scuole. Se ne è parlato tanto, ma poche scuole sanno usufruirne a dovere.
La direttiva emanata da Giuseppe
Fioroni, risulta vaga dal punto di vista delle
attività operative da mettere in atto, offre linee generali per la risoluzione del problema, ma
non
ne spiega le modalità, delegando questo compito agli enti locali e agli osservatori
regionali. A differenza degli altri stati europei, in Italia - pur essendo il paese a più alto
rischio- non vi è una legge
che obbliga i dirigenti a rendere conto degli interventi di
prevenzione messi in atto. E’ legittimo chiedersi, quante scuole, prenderanno in seria
considerazione questa direttiva, e con quali mezzi cercheranno di contrastare il fenomeno. I
progetti previsti dal POF, il più delle volte si rivelano degli alibi, per
consentire agli
insegnanti di guadagnarsi qualche straordinario pagato bene, senza nessuna finalità educativa
o di apprendimento; anzi il più delle volte si verificano degli scontri tra gli stessi insegnanti
per l’assegnazione del progetto migliore.
1
Nella ricerca esplorativa che ho svolto presso la scuola media “S. Quasimodo”, presso
il quartiere di Monserrato ad Agrigento, soltanto il 34,8% dichiara di averne sentito parlare
dagli insegnanti, una parte del campione, ne ha appreso l’ esistenza da altre fonti. Il 26,1%
ne ha sentito parlare al telegiornale e il 17,4% dai genitori (cfr. cap. VIII).
A differenza di quanto avvenuto nei paesi scandinavi negli anni Ottanta, in Italia non vi è
un programma di intervento coordinato a livello nazionale, tutto si ferma in ambiti
territoriali ristretti.
Nella direttiva è stato messo per iscritto, ciò che dovrebbe essere ordinario. Occorre
emanare una direttiva, firmare un ‹‹patto di corresponsabilità›› all’atto dell’iscrizione, per
stabilire quanto c’è di più ovvio, e cioè che genitori e insegnanti
sono i principali
responsabili della condotta tenuta dai ragazzi? Era necessario emanare una direttiva, per
vietare l’utilizzo dei cellulari in classe?
Che senso ha parlare di protocolli con le Forze dell’Ordine, di accordi con il
Ministero delle Comunicazioni, se in internet, vi è ancora la presenza di un sito indecente
come www.scuolazoo.com, dove poter visionare le bravate dei bulli? Quanto si deve
aspettare ancora, perché i gestori di siti internet abbiano minore libertà nella pubblicazione
di materiale spazzatura?
Non si possono regolamentare con una semplice direttiva, le regole del buon senso e
della disciplina. L’ Italia presenta il più alto tasso di bullismo, perché vige la cultura del
permissivismo e della furbizia più che altrove. Se non si cambia mentalità, qualsiasi direttiva
o circolare che si possa emanare, rischia di rimanere solo uno insieme di sterili fogli di
carta. Il rischio è che tutto si esaurisca, in ricerche, in archivi pieni di dati statistici, senza
sapere cosa fare concretamente.
La mia opinione personale è che non si perda troppo tempo con tavoli di studio e
convegni, prevenzione non significa solo questo. Prevenire vuol dire mettere in atto
interventi costanti e graduali, che maturino i loro frutti nel tempo.
Queste considerazioni non hanno l’intento di sminuire le buone intenzioni del Ministero della
Pubblica Istruzione, finalmente il problema si riconosce e vi è una seria presa di posizione.
Ma occorre l’ impegno del Parlamento affinché si lavori per l’ emanazione di strumenti
legali, che obblighino dirigenti ed insegnanti ad agire con efficacia, prima che si arrivi ai
livelli allarmanti degli Stati Uniti.
Qualche mese fa, il Ministro Fioroni aveva proposto, una circolare che prendesse in
considerazione l’ipotesi di allontanare il bullo per l’intero anno scolastico (provvedimento che
comporterebbe la bocciatura del ragazzo), per essere affidato ai servizi sociali.
1
Si sono scatenate delle polemiche, in quanto sarebbe dannoso ai fini della rieducazione.
Forse sarebbe la soluzione più realistica.
Concludo questo capitolo dedicato alla parte giuridica con un’ultima osservazione.
Sarebbe auspicabile, introdurre negli sportelli d’ ascolto delle scuole - oltre a psicologi,
pedagogisti e assistenti sociali - anche dei legali esperti. Questa figura potrebbe essere utile
per informare la vittima su suoi diritti, e su quali vie legali procedere. Allo stesso modo
il bullo potrebbe essere informato sulle eventuali conseguenze penali.
1
Capitolo VII
Esperienza di due progetti di prevenzione al disagio
7.1 Progetto “La Foresta magica”
Durante l’A.A 2006/2007, ho svolto il tirocinio formativo, previsto dal corso di laurea
in Servizio Sociale, presso il C.S.M (Centro Salute Mentale), dell’A.U.S.L n.1 di Agrigento.
Durante questo periodo ho avuto modo di collaborare
con gli operatori del “Gruppo
Prevenire il Disagio”.
Il Gruppo Prevenire il Disagio, è costituito da un gruppo di consulenza formato da
Psichiatri, Neuropischiatri infantili, Psicologi, Pedagogisti, Assistenti sociali dell’A.U.SL. n.1 di
Agrigento. Affronta le tematiche connesse alla prevenzione del disagio psichico e relazionale,
si occupa di problematiche evolutive dell’infanzia e dell’adolescenza (dispersione scolastica,
dipendenza da alcool e sostanze stupefacenti, disturbi alimentari).
Offre servizi di consulenza sulle problematiche relative al disagio psichico e
relazionale, a famiglie, Enti ed Agenzie del territorio. Si presenta come punto di raccordo,
tra le agenzie educative, le Istituzioni del territorio, le Associazioni, il Volontariato e l’A.U.S.L.
L’obiettivo principale è l’elaborazione di modelli operativi comuni sul territorio della
provincia di Agrigento, per la prevenzione del disagio giovanile.
L’èquipe propone percorsi di sensibilizzazione e formazione sostegno alla genitorialità,
svolge indagini territoriali in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia dell’Università
di Palermo.
Nell’a.s. 2006/2007, gli operatori del C.S.M, l’assistente sociale Felicia Di Nica e la
pedagogista Gabriella Micciché, coordinati dalla psicologa Angela Bruno, in continuazione
con il lavoro svolto l’anno precedente, nel mese di Novembre, hanno riavviato il progetto
“La Foresta Magica.”
Il progetto è stato rivolto alle classi prima e terza della scuola media “S. Quasimodo”
di Agrigento. E’ stata coinvolta sia la sede centrale di Villaseta, sia la succursale del
quartiere Monserrato. Il progetto non era direttamente rivolto alla lotta al bullismo, ma alla
prevenzione di problematiche legate all’età evolutiva, che indirettamente incidono sull’insorgere
di comportamenti bullistici.
Si sono svolti tre incontri per ogni classe. Le attività previste dal progetto, miravano
a costruire un sistema relazionale improntato sulla cooperazione che all’interno di questi
classi deficita molto. E’ presente una conflittualità dovuta, nella maggior parte dei casi a
1
differenze socioculturali o alla presenza di uno o più soggetti portatori di una “diversità”
fisica o psichica, i quali vengono emarginati dal resto della classe.
Le difficoltà maggiori si sono
incontrate, a causa dell’eccessiva iperattività dei
ragazzi, i quali non essendo capaci di esprimere le loro emozioni, cercavano di comunicare
attraverso un comportamento eccessivamente vivace e chiassoso. Dopo le prime difficoltà
relative alla gestione pratica della classe, si è riusciti a trovare un punto d’incontro con i
ragazzi, e ad inquadrare le dinamiche di gruppo, e le difficoltà relazionali ed emotive di
alcuni bambini.
Ogni incontro iniziava e terminava con una sequenza di circle time. Tale tecnica è
volta al potenziamento delle abilità sociali, tramite una sorta di ‹‹discussione cooperativa››.
Gli alunni seduti in cerchio vengono stimolati a comunicare le loro esperienze relative al
contesto scolastico, esprimendone gli stati d’animo connessi.
Durante la prima sequenza di circle time, i ragazzi venivano disposti in cerchio,
stando in piedi e tenendosi per mano. Questo spazio era volto al potenziamento della propria
identità
all’interno del gruppo, infatti a turno ogni bambino
chiamava
un
compagno,
prendendone il posto, questi a sua volta ripeteva la stessa operazione. La sequenza finale
invece, rappresentava un momento di ricongiungimento per discutere le esperienze relative al
progetto, e per verbalizzare le emozioni e gli stati d’animo (es. tramite la frase di una
canzone o un colore). Mentre i ragazzi che non avevano subito esperienze di bullismo,
esprimevano la propria gioia e soddisfazione, citando colori vivaci e allegri, le vittime
esprimevano la loro solitudine e sofferenza tramite colori scuri.
Le altre attività realizzate riguardavano:
- attività psicomotorie (es. giochi
con la corda, lavori con colori fatti in gruppo,
rappresentazione di una propria figura corporea e di uno dei compagni);
- simulazioni (psicodramma), dove i ragazzi divisi in sottogruppi, hanno rappresentato
fiabe classiche o di invenzione. Questo genere di intervento ha stimolato molto la
collaborazione tra i compagni di classe.
Per gli alunni delle classi prime, alcuni piccoli miglioramenti si sono verificati nel corso
degli incontri. Nei ragazzi di terza media invece, rispetto all’anno precedente, si sono riscontarti
dei miglioramenti per quanto riguarda la disciplina (come hanno confermato anche gli insegnanti),
inoltre si sono dimostrati meno restii a prendersi per mano durante il circle time.
Dalla semplice osservazione diretta, ho avuto modo di constatare quanto accertato dalla
ricerca su scala nazionale, di Ada Fonzi, del 1997. La forma di bullismo prevalente nelle
1
scuole medie, è quella
indiretta, sottoforma di offese verbali, con alta diffusione di
pettegolezzi che mirano ad
isolare la vittima. Ne sono vittime soprattutto le ragazzine,
perseguitate principalmente dai compagni maschi, spesso un solo compagno della stessa
classe. Tuttavia l’esperienza di Monserrato, dimostra quanto a volte la realtà mediatica tendi
ad esaltare, soltanto quegli episodi che suscitano clamore. Durante il lavoro con le classi, ho
avuto modo di verificare, che malgrado la scuola stia attraversando una crisi profonda, gli
alunni continuano a costituire la principale risorsa, al fine di combattere determinati
comportamenti aggressivi.
Nella classe III C, una ragazzina con seri problemi di deambulazione, anziché subire
forme di bullismo, era oggetto di solidarietà e protezione da parte dei compagni. Durante il
gioco del tiro alla fune in coppia, un ragazzino non solo incitava la compagna avversaria
della ragazzina, a perdere, perché non tirasse troppo la fune, ma addirittura si è posizionato
dietro di lei, al fine di evitarle una possibile caduta. Anche gli altri ragazzi si dimostravano
premurosi con lei durante i giochi. Questo dettaglio è incoraggiante, poiché soprattutto nel
periodo preadolescenziale, sono le ragazze a dimostrare un maggiore grado di maturazione,
ed un più alto istinto di protezione, mentre i ragazzi sono più propensi all’uso della forza
indiscriminatamente nei confronti di maschi e femmine.
A Villaseta invece, la situazione si presenta più problematica. La scuola non
rappresenta per i ragazzi un luogo di socializzazione e di apprendimento, ma un contesto
estraneo alla loro vita, che sono obbligati a frequentare per legge.
Villaseta, frazione del comune di Agrigento, presenta situazioni di degrado socioeconomico
e di conseguenza culturale, di gran lunga superiori al quartiere di Monserrato. Sul territorio
la mafia esercita un forte controllo. Questo determina un alto tasso di dispersione scolastica,
e di abbondano precoce degli studi. Non è un caso in quella zona che ragazzi minorenni,
vengano ingaggiati al servizio di organizzazioni criminali, o siano costretti dalle famiglie a
lavorare in nero, per sopperire alle difficoltà economiche. La maggior
parte degli alunni
della scuola risultano pluriripetenti, molti di loro arrivano alla maggiore età senza aver
conseguito la licenza media, costretti poi a frequentare lezioni serali.
Lo svolgimento regolare delle lezioni è difficile, poiché la maggior parte dei ragazzi
che frequentano la scuola, anche durante le lezioni, trascorre il proprio tempo gironzolando
in modo confusionario per i corridori. Gli insegnanti schiacciati dalle difficoltà quotidiane
relative alla gestione della classe, e frustrati dal pessimo rendimento degli alunni, col tempo
vanno incontro alla sindrome del burnout. Così si crea un circolo vizioso, in cui gli alunni
credono che in quella scuola non esistono regole, e quindi ne sono padroni, gli insegnanti
1
perdono
entusiasmo
l’atteggiamento
e
fiducia,
alimentando
con
il
loro
comportamento
passivo
caotico dei ragazzi. Le forme di bullismo più diffuse sono quelle del
bullismo diretto, nella forma di percosse, minacce ed estorsione. Diffuso è il bullismo di
gruppo, sia nei confronti di compagni della stessa classe, che di compagni di altre classi.
Ho potuto appurare, un altro indicatore, conforme alla ricerca di Ada Fonzi. Come nei
quartieri a rischio di Napoli e di Palermo, anche a Villaseta, le ragazze tendono ad essere
bulle, al pari dei compagni maschi, usando anche le forme del bullismo diretto,
indistintamente nei confronti di maschi, e femmine. Questo dato è dovuto al fatto, che in
certi contesti vige una specie “di legge della giungla,” in cui il più forte sopravvive, quindi
anche il “sesso debole,” per adattarsi a quell’ambiente è costretto a mettere in atto le stesse
modalità di aggressione dei ragazzi
Nelle classi prime, seppur con qualche difficoltà iniziale, siamo riusciti ad implementare
le attività previste dal progetto. Mentre a Monserrato il setting era la palestra, a Villaseta,
abbiamo preferito lavorare in classe, poiché la palestra di dimensioni più ampie, risultava
dispersiva. La rappresentazione di fiabe, non ha avuto molto successo, viste le carenze
cognitive dimostrate dai ragazzi, dovute per lo più ad una situazione di continui
maltrattamenti familiari alle spalle, e all’adozione di uno stile
educativo autoritario e
coercitivo da parte dei genitori. Le conseguenze di un rapporto difficile con i genitori, si
ripercuotono sul piano emotivo, nella difficoltà ad esprimere le loro emozioni, e stati
d’animo. Durante la rappresentazione, non ricordavano nemmeno le battute che dovevano
recitare, ciò è dovuto anche a notevoli lacune presenti sul piano scolastico, riscontrate
soprattutto nell’uso del linguaggio.
Le
attività preferite erano quelle psicomotorie, poiché hanno trovato il modo di
incanalare la loro aggressività grazie ad una sana competizione sportiva.
La prima classe con cui abbiamo lavorato, era oppressa dal controllo di un bullo
dominante, che gestiva i movimenti dei compagni. Durante le attività sentendosi spiazzato
del suo ruolo di leader, cercava di intimidire i compagni, minacciandoli con lo sguardo,
affinché non prendessero parte ai giochi. I ragazzi seppur con qualche riserva, presi
dall’entusiasmo hanno preferito ignorare le sue disposizioni, tanto da indurlo a lasciare la
classe. Durante il circle time infatti hanno manifestato sentimenti di serenità e soddisfazione.
Anche i ragazzi più difficili, quando si sentono guidati adeguatamente da un adulto,
quando avvertono un clima tranquillo sono più disposti a cooperare. Se invece sono lasciati
liberi, sotto il controllo dei pari, senza regole, allora potrebbero commettere atti che da soli
non avrebbero il coraggio di portare a termine.
1
Nelle classi terze invece, è stato necessario cambiare formula. Le attività previste,
sono risultate banali ai loro occhi. I ragazzi hanno manifestato un forte bisogno di dialogo
e di confronto. Come ho accennato prima, per questi ragazzi la scuola è solo un involucro
esterno alla loro vita. Soprattutto i ragazzi di terza media, tendono a bruciare le tappe,
vivendo esperienze precoci quali l’abuso di alcool, o rapporti sessuali precoci. In tutte
queste situazioni non sono supportati dai genitori, che adottano uno stile educativo punitivo,
affettivamente assente dai ragazzi. Pochi hanno affermato di riuscire ad instaurare un dialogo
con le rispettive famiglie. Quindi le attività svolte riguardavano la rappresentazione di
simulazioni, aventi come tema la conflittualità intrafamiliare, l’accettazione del proprio corpo
che cambia, e i rapporti con l’altro sesso. Gli incontri terminavano con la discussione finale
relativa alla simulazione.
Alla fine del progetto, non sono state effettuate ricerche empiriche per verificare i
risultati degli interventi. L’unica fonte di valutazione è la testimonianza degli insegnanti
delle classi coinvolte, che hanno riscontrato diminuzioni del conflitto all’interno della classe,
a fronte di un più alto livello di cooperazione.
7.2 Lo “Sportello d’ascolto”
Oltre al progetto “La Foresta magica,” ho avuto modo di prendere parte all’attività
relativa allo sportello d’ascolto. Questo spazio, è stato attivato per il 2° anno consecutivo,
presso l’Istituto Professionale Industriale “E. Fermi”di Agrigento, con cadenza quindicinale, dagli
operatori del C.S. M, la pedagogista Gabriella Miccicchè e l’assistente sociale Felicia Di Nica, i
quali hanno espletato attività di consulenza per gli studenti. L’iniziativa è stata richiesta
dalla dirigenza scolastica, in continuità, con il progetto realizzato l’anno precedente con
risultati positivi.
I ragazzi si sono rivolti allo sportello spontaneamente per colloqui individuali. I
problemi esposti dai ragazzi, rientrano nella categoria della cosiddetta “crisi adolescenziale.”
Durante i colloqui, sono emerse problematiche dovute a relazioni difficili con gli amici, alla
difficoltà di essere accettati per “quello che si è” e non per “quello che si dovrebbe essere”. I
punti di forza, riguardano l’entusiasmo e la fiducia, con cui gli alunni e la committenza si
sono rivolti
agli operatori. Il punto debole, invece, è relativo all’afflusso di un’utenza
esclusivamente femminile. Mentre le ragazze si sono dimostrate propense al dialogo e al
confronto, per i ragazzi, confidarsi soprattutto con una figura femminile, rappresenta motivo
1
di
debolezza. Questa
convinzione
è avvalorata
dallo stereotipo dell’uomo forte che deve
nascondere le proprie emozioni. Molti ragazzi non si rivolgono agli operatori per paura di
essere presi in giro dai compagni. Alcune ragazze, che si sono rivolte allo sportello,
lamentavano di essere vittime di bullismo indiretto, sia da parte dei maschi che delle
femmine. I loro racconti concordano con la ricerca sull’argomento, il bullismo nelle scuole
superiori, diminuisce quantitativamente, ma aumenta di intensità. Inoltre le prepotenze che
generano maggiore sofferenza, sono quelle messe in atto dalle ragazze in gruppo, nei
confronti di altre compagne. Tali forme di prepotenza, mirano a compromettere le relazioni
della vittima fino ad indurla all’isolamento, tramite la diffusione di pettegolezzi. Gli studenti
pendolari, subiscono le peggiori forme di bullismo, durante il viaggio in autobus.
Sostanzialmente, tali forme di bullismo sono dovute, all’incapacità dei giovani di
comunicare
in
modo
adeguato,
e
di
gestire
il
conflitto. Anche
le
difficoltà
e le
incomprensioni, che i ragazzi incontrano nel rapporto con i genitori, si riflettono nelle
relazioni con i compagni.
Il
progetto si è presentato come un complesso di proposte di intervento socio-pedagogico,
all’interno della scuola, mirato a diffondere la cultura della prevenzione. Il lavoro dello
sportello, funge da filtro, al fine di rilevare le situazioni di emergenza, inviando l’utenza
presso i servizi specialistici
del territorio, qualora sia necessario un intervento socio-
assistenziale, terapeutico o riabilitativo.
1
Capitolo VIII
Indagine esplorativa in un quartiere “a rischio” del territorio di Agrigento
OBIETTIVI
Dopo aver affrontato i temi delle ricerche e delle strategie di intervento effettuate in Italia
nell’ultimo decennio, ho voluto integrare il mio lavoro con una ricerca sul campo a carattere
esplorativo, condotta in una scuola dove mesi addietro ho preso parte ad un progetto di
prevenzione del disagio, con una prima ed una terza media.
Il quartiere di Monserrato, presenta una realtà complessa e disomogenea, accanto a famiglie
di estrazione medio-alta, risiedono nello stesso quartiere, famiglie con alle spalle situazioni
di degrado socio- economico.
L’ obiettivo della seguente ricerca, è quello di sondare in primo luogo il livello di bullismo
presente nella classe, e indirettamente all’interno della scuola, se vi è consapevolezza del
fenomeno, soprattutto dopo il boom mediatico dell’ultimo anno e la direttiva ministeriale
emanata dal Ministro Fioroni, e in che modo i ragazzi e gli insegnanti affrontano il
problema.
METODO
Strumenti e campione.
Lo strumento utilizzato è un questionario di 52 domande, (adattato con qualche domanda
personale), utilizzato dai
Buccoliero Elena e Marcella Darbo, sociologi di Promeco. E’ stato
somministrato, all’inteerno del progetto di prevenzione al bullismo, avuto luogo a Cento (Fe),
agli alunni delle scuola medie superiori (a.s 2003/2004 e 2004/20059.
Il
questionario è stato somministrato esclusivamente ad
un gruppo di ventitré ragazzi,
divisi in tredici ragazzi e dieci ragazze, tutti residenti ad Agrigento. Il 78,9% risiede nel
quartiere
di Monserrato, zona periferica di Agrigento, mentre il 21,7% nel quartiere di
Villaseta, frazione di Agrigento. Si tratta della classe III B della scuola media “S.
Quasimodo”, di Villaseta. La ricerca però è stata condotta presso la succursale di
Monserrato.
1
ANALISI DEI RISULTATI E DISCUSSIONE
Gli alunni della III B, non sono affatto al riparo dal fenomeno, assistono e subiscono episodi
di bullismo. Il 78,3% del campione, afferma che in quella
scuola vi sono episodi di
prepotenza, ed il 95% afferma di aver assistito ad episodi di bullismo.
Tabella 8. 1. Percezione dei ragazzi, riguardo alla consistenza del fenomeno del bullismo
nella scuola.
Si
78,3
No
17,4
Non lo so
4,3
Secondo te nella tua scuola c’è qualcuno che
compie prepotenze?
.
Tabella 8.2. Coinvolgimento in episodi di episodi di bullismo, a seconda dei ruoli di
bullo, vittima e spettatore.
A te è capitato di…
Assistere alle prepotenze
degli altri
95,7%
Subire prepotenze
4,3%
Fare il bullo
4,3%
Nonostante la percezione riguardo al bullismo sulla scuola risulta alta, le relazioni con i
compagni di classe e con gli altri ragazzi che frequentano la scuola, risultano positive. Il
65,2% dichiara di trovarsi bene con i ragazzi con i compagni di classe, e il 43,5% del
campione si trova bene con gli altri ragazzi che frequentano la scuola.
Tabella 8.3. Qualità delle relazioni tra i ragazzi della III B
Come ti trovi con i tuoi compagni di classe?
1
Né bene né male
4,3%
Abbastanza bene
30,4%
Bene
65,2%
Tabella 8.4. Qualità delle relazioni tra i ragazzi della III B e gli altri ragazzi che
frequentano la scuola.
Come ti trovi con gli altri che frequentano la
scuola?
Né bene né male
17,4%
Abbastanza bene
39,1%
Bene
43,5%
Il discreto livello di benessere della classe si evince anche dalla scelta del momento della
giornata, che si preferisce trascorrere con i compagni; per il 56,5% il momento preferito è
la ricreazione e per il 34,8% il tempo libero. Inoltre il 95, 7% afferma di stare sempre
insieme ai compagni.
Tabella 8.5. Momento della giornata che i ragazzi preferiscono trascorrere con i
compagni.
Quale momento della giornata preferisci
trascorrere con i tuoi compagni di classe?
La ricreazione
56,5%
Le lezioni
4,3%
Il tragitto da casa a scuola
4,3%
Il tempo libero
34,8%
Tabella 8.6. Frequenza con cui qualcuno viene isolato.
Ti accade di restare solo perché nessuno dei tuoi
compagni vuole stare con te?
Si durante la ricreazione
No sto sempre con gli altri
ragazzi
4,3
95,7%
Le forme del bullismo indiretto e verbale, prevalgono di gran sulle altre forme di prepotenza;
seguono le aggressioni fisiche, le minacce e i furti.
1
Tabella 8.6 Tipi di prepotenze compiute.
Che tipo di prepotenze vengono compiute?
Prese in giro
87%
Scherzi pesanti
39,1%
Esclusione della compagnia
39,1%
Offese e insulti
60,9%
Minacce
26,1%
Piccoli furti
8,7%
Furti importanti
4,3%
Aggressioni fisiche
17,4%
Luogo privilegiato degli episodi di bullismo risultano i bagni (52,2%), seguiti dalla classe
(39,9%), il terzo posto è occupato dallo spazio esterno alla scuola (30,4%). Anche il corridoio
presenta una percentuale relativamente alta; il cortile occupa l’ultimo posto. Ciò è dovuto
alla poca utilizzazione di questo spazio, infatti i ragazzi trascorrono la ricreazione
maggiormente in classe o nei corridoi. Questi dati sono meno rassicuranti dei precedenti, il
livello di bullismo si presenta elevato, ed avviene maggiormente nei luoghi meno sorvegliati.
Tabella 8.7. Luoghi in cui avvengono gli episodi di bullismo.
Dove avvengono di frequente queste azioni?
Fuori dalla scuola
30,4%
Nei corridoi
26,1%
In classe
39,9%
Nei bagni
52,2%
In cortile durante la
ricreazione
17,4%
La differenza tra il bullismo perpetrato da una sola persona e il bullismo di gruppo, risulta
minima. Relativamente al sesso, sembra che il bullismo sia una condotta maschile; nessun
soggetto del campione afferma che il bullismo è condotto solo dalle femmine. Tuttavia non
possibile attestare con certezza il minor coinvolgimento del sesso femminile, le forme
1
subdole di prepotenza messe in atto dalle ragazze, risultano più difficile da rilevare. Però
considerando l’alta percentuale di forme di prepotenza verbale e indiretta, e le percentuali
relative al sesso, si potrebbe supporre che anche il sesso maschile sia più incline alla forme
di bullismo indiretto.
Tabella 8.8. Prepotenze messe in atto da una o più persone.
Uno solo
30,4%
Due
34,8%
Un gruppo
34,8%
Maschi
Sia maschi che femmine
65,2%
34,8%
I bulli sono da soli o in gruppo?
Tabella 8.9. Prepotenze compiute in relazione al sesso.
E sono maschi o femmine?
Il questionario comprende anche delle domande relative all’esperienza dell’anno scolastico
precedente (2006/2007). Per quanto riguarda i bulli, alla domanda “hai fatto dei dispetti ad
un tuo compagno?”, il 56,5% risponde “mai”, ed il 43,5% “qualche volta”.
Le ragazze sembrano essere prese meno di mira rispetto ai maschi, infatti alla domanda
“hai fatto dei dispetti ad una tua compagna?”, il 78,3% risponde “mai” e il 21,7% “qualche
volta”. Anche relativamente alle altre forme di prepotenza, le risposte “mai” e “qualche
volta”, detengono le percentuali più alte.
Per quanto concerne le vittime invece, alla domanda “ti hanno fatto dei dispetti?”, il
60,9% ha risposto “mai”, il 34,8% “qualche volta” e il 4,3% “molte volte”. Le percentuali
relative alle altre forme di prepotenza seguono all’incirca lo stesso andamento.
I soggetti del campione, tutto sommato presentano un atteggiamento critico nei confronti
degli episodi di prepotenza e dei bulli. Coloro che ostentano indifferenza, in realtà
nascondono la paura di subire le stesse angherie delle vittime. Dai risultati della ricerca,
gli atteggiamenti di rinforzo, nei confronti di azioni di bullismo risultano di minore entità,
rispetto ad atteggiamenti di supporto nei confronti della vittima, soprattutto quando si tratta
di un amico.
1
Il 73, 9% è indifferente nei confronti del bullo, ed il 69,6% cerca di aiutare la vittime nei
momenti di calma, mentre il 21,7% reagisce apertamente alle prepotenze del bullo.
Anche tra gli adulti prevale un atteggiamento di supporto nei confronti delle vittime
8.10. Reazione dei compagni quando qualcuno fa il bullo.
Quando qualcuno fa il bullo i compagni…
Si divertono e fanno il
tifo per lui
17,4%
Sono spaventati
13,0%
Fanno finta di niente
39,1%
Cercano di aiutare il più
debole
39,1%
Lasciano solo il bullo
17,4%
Escludono dal gruppo chi
è vittima
13,0%
8.11. Reazione degli adulti quando qualcuno si comporta da bullo.
Quando qualcuno si comporta
adulti…
da bullo, gli
Non si accorgono di
niente
13,0%
Non sono mai presenti
21,7%
Intervengono per difendere
chi subisce prepotenze
65,2%
8.12. Atteggiamento dei compagni nei confronti del bullo.
Sono indifferente
Qual è il tuo atteggiamento nei confronti del Sono contento quando si
trova in difficoltà
bullo?
Reagisco apertamente alle
sue prepotenze
8.13 Atteggiamento dei compagni nei confronti di chi subisce prepotenze.
1
73,9%
4,3%
21,7%
Qual è il tuo atteggiamento nei confronti di
chi subisce prepotenze?
Lo prendo un po’ in giro
4,3%
Faccio finta di niente
26,1%
Nei momenti di calma
cerco di dargli una mano
69,6%
8.14.Motivo per cui i compagni decidono di intervenire a favore della vittima.
Se ti capita di intervenire quando qualcuno
subisce prepotenze è perché…..
Il “bullo” se la prende
con un mio amico o con
una mia amica
30,4%
Non ho paura di nessuno
17,4%
I prepotenti non mi
piacciono
E’ un problema che
riguarda tutti
21,7%
30,4%
8.14 Motivo per cui i compagni decidono di NON intervenire a favore della vittima.
Con me si comporta bene,
quindi non sono fatti miei
Io e la vittima non siamo
amici, quindi
non
mi
interessa
Se ti capita di non intervenire quando qualcuno
Non voglio essere escluso
subisce prepotenze è perché…
dal gruppo
Ho paura di andarci di
mezzo
Penso che ognuno debba
difendersi da solo
13,0%
4,3%
13,3%
34,8%
21,7%
Anche di fronte alle notizie di cronaca trasmesse dai telegiornali, i ragazzi sentono il
bisogno di prendere coscienza del fenomeno e di avere l’opportunità
di denunciarlo. Il
47,8% risponde che sentirne parlare può aiutare a prendere coscienza del fenomeno, ed il
21,7% che è giusto denunciare certi episodi di bullismo come fatti di cronaca
Tabella 8.16. Opinione riguardo al boom mediatico degli ultimi due anni.
1
Penso
che
la
preoccupazione
sia
eccessiva, in
fondo
è
sempre successo.
Penso che il parlarne
Qual è la prima cosa che ti viene in mente
aumenti il fenomeno
quando ascolti al telegiornale notizie relative
E’ giusto denunciare certi
ad episodi di bullismo?
episodi
come fatti di
cronaca
Sentirne
parlare
può
aiutare
a
prendere
coscienza del fenomeno
8,7%
21,7%
21,7%
47,8%
Lo status di vittima, non è applicabile al 52,2% del campione. La maggior parte di coloro
che si trovano nella posizione di vittima cercano di mettersi nei panni del bullo, il 30,4%
risponde che cerca di capire perché il bullo se la prende con lui. Inoltre confida
nell’appoggio dei compagni, il 30,4% risponde che i compagni sono dalla sua parte.
Tabella 8.16. Reazione della vittima di fronte agli attacchi del bullo.
Mi sforzo di rispondere
Cerco di capire perché se la prende con
Quando qualcuno se la prende con te tu… me.
Cerco aiuto tra i miei compagni e le
.
mie compagne.
Spero che qualcuno si accorga di come
mi sento.
Le vittime
8,7%
30,4%
4,3%
4,3%
subiscono maggiormente attacchi dai ragazzi non appartenenti alla classe, il
21,7% risponde che il bullo è una persona fuori dalla classe, e l’8,7% che si tratta di un
gruppo esterno alla classe (il 13% del campione non risponde).
Per quanto riguarda le prospettive future, ancora una volta la vittima si dimostra fiduciosa
nei
confronti dei compagni. Il 17,4% risponde che forse qualcuno cercherà di aiutarla
(l’8,7% del campione non risponde a questa domanda).
Tabella 8.17. Persone da cui la vittima subisce prepotenze.
1
Alcune persone della mia classe
Una sola persona fuori dalla mia
classe
Un gruppo fuori dalla mia classe
Chi si comporta da prepotente con te è…
8,7%
21,7%
8,7%
Tabella. 8.18. Opinione della vittima riguardo al futuro.
Quando guardi al futuro pensi che…
Una volta o l'altra riuscirò a difendermi
Forse qualcuno cercherà di aiutarmi
Sarebbe bello se diventassi io il più forte
Continuerò ad essere bersaglio delle
prepotenze altrui.
4,3%
17,4%
8,7%
8,7%
Lo status di bullo non è applicabile al 73,9% del campione (il 17,4% non ha risposto).
Tra le motivazioni che spingono il bullo ad agire in modo prepotente, vi è il desiderio di
comandare e di incutere paura ai compagni.
Incoerentemente però, è convinto di che gli altri vogliano essere suoi amici e che lo
ammirino.
Tabella. 8.19. Motivazioni del comportamento del bullo.
Mi piace che gli altri abbiano
paura di me.
Finalmente sono io quello che
comanda.
Faccio il bullo perché ...
4,3%
8,7%
Tabella 8.20. Percezione del bullo riguardo all’opinione dei compagni su di lui.
Secondo te i tuoi compagni e le tue compagne …
Si divertono
8,7%
Hanno paura di me
4,3%
Vogliono essere miei amici
17,4%
Il 65,2% all’interno della scuola parla di quello che succede. Gli interlocutori preferiti
risultano i compagni di classe, il 43,5% parla con un compagno di cui si fida, il 21,7% con
1
i compagni di classe (la prima domanda non è applicabile per il 34,8% del campione, la
seconda per il 30,4%).
Tabella 8.21. Percentuale dei ragazzi che all’interno della scuola comunicano quello che
succede.
Si
No
65,2%
30,4%
Con un compagno di cui mi
fido
43,5%
Con i compagni di classe
21,7%
Con un insegnante di fiducia
8,7%
Con un bidello
4,3%
Con alcuni insegnanti
4,3%
All'interno della scuola parli di quello che
succede?
Tabella 8.22. Interlocutori privilegiati dai ragazzi.
Se si, con chi ne parli?
Al di fuori della scuola l’83,6% parla di quello che succede, gli interlocutori preferiti dai
ragazzi sono i genitori ( 47,8%), seguiti dagli amici (30,4%).
Tabella 8.23. Percentuale dei ragazzi che comunicano quello che succede, al di fuori
della scuola.
Al di fuori della scuola parli di quello che ti
succede?
1
Si
82,6%
No
17,4%
Tabella 8.24. Interlocutori privilegiati dai ragazzi.
Se si con chi ne parli?
Con un amico di cui mi fido
39,1%
Con gli amici che frequento al di
fuori della scuola
30,4%
Con i miei genitori
47,8%
Con altri familiari
8,7%
I risultati evidenziano un rapporto positivo dei ragazzi con i loro genitori, improntato al
dialogo ed al coinvolgimento affettivo. Anche il rapporto con gli insegnanti e i fratelli
risulta positivo.
Tabella 8.25. Percezione dei ragazzi riguardo al coinvolgimento del genitore nella vita
scolastica del figlio.
Sei soddisfatto di come i tuoi genitori si
interessano alla tua esperienza scolastica?
Abbastanza
Bene
34,8%
65,2%
Tabella 8.26. Percezione dei ragazzi riguardo alla comprensione dei genitori per i
sentimenti del figlio.
I tuoi genitori riescono a capire i tuoi sentimenti?
Tabella 8.27. Stile educativo adottato dai genitori.
1
Poco
4,3%
Abbastanza
52,2%
Molto
43,5%
Come definiresti lo stile educativo dei tuoi
genitori?
Punitivo
21,7%
Autoritario
21,7%
Democratico
34,8%
Permissivo
13,0%
Tabella 8.28. Livello di soddisfazione dei ragazzi riguardo al rapporto con i fratelli?
Sei soddisfatto del tuo rapporto con i tuoi fratelli
e/o sorelle?
Molto
30,4%
Abbastanza
47,8%
Poco
8,7%
Tabella 8.29. Livello di soddisfazione dei ragazzi riguardo al rapporto con gli
insegnanti.
Sei soddisfatto del tuo rapporto con gli
insegnanti?
Per niente
4,3%
Abbastanza
34,8%
Molto
56,6%
Riguardo al piano antibullismo emanato dal Ministro Fioroni, il 78,3% del campione ne è a
conoscenza, il 34,8% ne ha sentito parlare dagli insegnanti. Il 43,5% conosce abbastanza il
contenuto del progetto, ed il 60,4%, pensa che sia necessario affrontare il problema con un
adeguato piano. Questi dati, insieme a quelli riportati finora, dimostrano complessivamente
nei ragazzi un atteggiamento maturo e responsabile da parte dei ragazzi.
Tabella. 8.30. Percentuale dei ragazzi che conoscono il contenuto del progetto.
Sei a conoscenza del progetto antibullismo messo
in atto dal ministro Fioroni?
Tabella. 8.31. Fonti da cui ne hanno sentito parlare.
1
Si
No
78,3%
21,7%
Se si, da chi ne hai sentito parlare?
Dagli insegnanti
34,8%
Dai genitori
17,4%
Dai compagni
4,3%
Dal Telegiornale
26,1%
Tabella. 8.32. Misura in cui ragazzi conoscono il contenuto del progetto.
In che misura conosci il contenuto del progetto?
Per niente
8,7%
Poco
13,0%
Abbastanza
43,5%
Molto
17,4%
Tabella 8.33. Opinione dei ragazzi al riguardo.
Cosa ne pensi?
Non risolverà il problema
13,0%
E' negativo dare risalto al fenomeno
E' necessario affrontare il problema con un
piano adeguato
4,3%
60,9%
CONCLUSIONI
La presente ricerca condotta sulla III B, offre dei risultati indicativi riguardo alla
presenza del
fenomeno del bullismo in quella scuola, che andrebbero approfonditi con
ulteriori ricerche che coinvolgano l’intera scuola, o le altre scuole del territorio agrigentino.
Nonostante vi sia un alto tasso di bullismo, soprattutto per quanto riguarda le forme del
bullismo indiretto e verbale, sono presenti dei fattori di protezione. Nonostante i bulli
pensino di essere ammirati, i ragazzi della III B, sembrano aver maturato un atteggiamento di
critica nei confronti del comportamento prepotente. Gli spettatori non ammirano il bullo e
1
non tendono a supportarlo nelle sue malefatte, al contrario cercano di aiutare la vittima nei
momenti di calma, o addirittura affrontano il bullo apertamente. Se non intervengono è per
paura di subirne le conseguenze. La maggior parte degli intervistati, avverte che il bullismo
è un problema che riguarda l’intero contesto scolastico, riguarda anche chi non è coinvolto
direttamente. Per questi
motivi sentono il bisogno di essere supportati dagli adulti, con
adeguati interventi, e cercano il loro appoggio per denunciare il fenomeno.
Anche il rapporto con gli adulti, improntato all’equilibrio e al dialogo, rappresenta un
fattore di protezione.
Dai dati emerge che i soggetti del campione subiscono
prepotenze maggiormente dai
compagni esterni alla classe. Il bullismo non si presenta in misura maggiore come fenomeno
di gruppo, infatti le prepotenze sia dentro sia fuori la classe, risultano essere messe in atto
da un solo bullo o da due. Le femmine risultano essere prese di mira di meno rispetto ai
maschi. Le percentuali sui luoghi in cui avvengono le prepotenze, indicano che in quella
scuola occorre rinforzare la sorveglianza sia in classe, sia nei punti più isolati della scuola.
Conclusioni: cosa possono fare i servizi sociali contro il bullismo?
Ad una prima lettura del fenomeno, sembrerebbe che il bullismo rientri nell’area di
competenza di psicologi, pedagogisti, insegnanti e sociologi che non dell’assistente sociale. In
realtà se si analizza il problema da una prospettiva più ampia, risulta evidente quanto sia
importante l’investimento di questa figura professionale in questo campo, sia per quanto
riguarda la prevenzione, sia per un suo intervento quando il disagio sfocia in situazioni
eclatanti. Negli ultimi decenni l’assistente sociale ha ampliato il suo raggio di azione,
affermandosi in settori che prima non le competevano, dando con la sua professionalità
specifica un contributo importante.
Quando mi sono recata presso la scuola media “S. Quasimodo” per la ricerca
esplorativa, dopo la somministrazione dei questionari, l’insegnante presente in quell’ora, mi
ha rivolto una domanda diretta ed esplicita: “Cosa fa l’assistente sociale nei casi di
bullismo?”.
L’insegnante alludeva a quei fattori che scatenano l’aggressività del bullo, ed alla
situazione di profonda sofferenza sperimentata dalla vittima. Occorre precisare che il
quartiere di Monserrato
si
presenta in maniera disomogenea dal punto di vista socio-
economico, per questi motivi è annoverato tra i “quartieri a rischio”. Accanto a situazioni di
1
discreto benessere economico proprie del ceto medio-alto, vi è una fetta della popolazione
residente nel quartiere che vive in condizioni di povertà. Al riguardo mi ha colpito un’altra
sua frase: “Ci sono ragazzi che rientrando da scuola, non trovano nemmeno la tavola
imbandita per il pranzo”. Ovviamente le ricerche sociologiche degli ultimi anni, dimostrano
che il bullismo non è più appannaggio soltanto delle fasce sociali deboli della popolazione,
ma è un fenomeno trasversale a tutti gli strati sociali. Nonostante ciò il disagio economico
in alcune zone contribuisce ad aggravare il fenomeno, poiché in certi contesti trova terreno
fertile la cultura della sopraffazione e della rassegnazione, oltre al desiderio di facili
guadagni illusori ed allettanti nello stesso tempo.
L’insegnante era fermamente convinto che la condotta aggressiva di alcuni alunni
fosse il risultato di un malessere evolutivo dovuto a condizioni esterne. Il ragazzo che non
riesce ad accedere a determinate risorse si sente frustrato. Tale frustrazione trova l’unica
valvola di sfogo nel trovare una vittima su cui scaricare le proprie tensioni.
Nonostante quella scuola non fosse estranea a progetti di prevenzione del disagio, il
docente sentiva la mancanza di un valido supporto da parte dei servizi. Secondo lui la
scuola aveva bisogno di una presenza costante degli operatori, che non coincidesse soltanto
con la durata degli incontri previsti dal progetto.
Collaborando al progetto “La foresta magica”, anche in quella stessa scuola, ho potuto
constatare di persona che quando l’iniziativa parte da un ente dell’A.U.S.L, la figura
dell’assistente sociale occupa una posizione secondaria rispetto a quella dello psicologo o
del pedagogista. Pur affiancando queste figure nell’implementazione delle attività in classe,
l’assistente sociale non ricopre un ruolo definito.
Attualmente gli insegnanti avendo perso ogni punto d’incontro con le famiglie degli
alunni, sentono il bisogno di un supporto esterno che funga da punto di raccordo tra le
famiglie dei ragazzi e le istituzioni, al fine di rimuovere quei problemi che costituiscono la
radice del comportamento prepotente.
Questo ruolo compete all’assistente sociale, la cui competenza specifica è proprio quella di
svolgere un lavoro di mediazione tra utenza ed istituzioni locali.
Salvatore Castorina ha dimostrato la relazione tra maltrattamenti in famiglia (di natura
fisica o psicologica) e condotte violente. L’assistente sociale che viene a conoscenza di
determinate situazioni, dovrebbe essere investito del mandato di poter sondare il problema
tramite gli strumenti propri della professione (visite domiciliari, colloqui in ufficio), per
segnalare il problema alle autorità competenti nei casi più gravi, o semplicemente nel
supportare le famiglie con difficoltà di gestione dei conflitti a trovare un proprio equilibrio.
1
Questo è uno tanti esempi in cui l’assistente sociale potrebbe agire.
Il quartiere di Monserrato come tante zone della Sicilia, nonostante l’entrata in vigore
della 328/2000, riceve dai servizi sociali del proprio territorio un forma di aiuto a carattere
esclusivamente assistenziale, di fatto il vecchio welfare state non è stato superato.
Un opportuno intervento dei servizi sociali potrebbe costituire un aiuto per quelle famiglie
disagiate che non consista soltanto nella mera erogazione di un sussidio temporaneo.
Questi esempi sottolineano le questioni aperte sul ruolo dell’assistente sociale nella lotta al
bullismo. Esaminiamo adesso come può effettivamente operare questa figura professionale per
contrastare il fenomeno.
Quando l’ente locale investe sulla prevenzione, il ruolo dei servizi sociali riveste una
funzione importante per la programmazione ed il coordinamento di determinati progetti di
prevenzione. Il settore dei servizi sociali del comune di Codogno, presenta un’esperienza
all’avanguardia da questo punto di vista.
L’introduzione della 328/2000 ha indotto operatori ed amministratori del settore, a
partecipare a numerosi tavoli di lavoro allo scopo di elaborare una programmazione
associata e non più singola.
Nel progetto “Nuovi Passi”, l’assistente sociale Eleonora Tassi, è stata una sorta di
cerniera tra l’amministrazione locale e l’istituzione scolastica. Il comune per l’attività diretta
con l’utenza ha messo a disposizione due consulenti, un formatore e uno psicologo che si
sono occupati principalmente del lavoro con gli studenti e gli insegnanti. Il coordinatore
invece era un consulente educativo. Egli ha rivestito un ruolo di gestione tecnica del
progetto e di formatore per corsi con insegnanti.
Il comune di Codogno ha messo a disposizione del progetto un’assistente sociale per
le relazioni con le istituzioni territoriali.
Con il superamento del Welfare State, il lavoro per progetti si è fatto strada
nell’ambito sociale, non come riparazione del disagio, ma come promozione del benessere
degli utenti. L’intervento “a pioggia”, proprio del Welfare State comportava in certe
situazioni
uno spreco
di
risorse
finanziarie
notevoli. Infatti
l’intervento
non
essendo
supportato da preventive ricerche sul campo, non sempre rispondeva ai reali bisogni
dell’utenza; formata da soggetti che non presentavano gli stessi problemi.
L’assottigliamento del budget economico, dovuto all’aumento della domanda, impone
ai comuni di intervenire secondo un adeguato rigore metodologico. L’ente locale è tenuto a
seguire i principi di efficacia, efficienza ed economicità, introdotti dalle riforme degli Enti
Pubblici; per questi motivi è richiesta la partecipazione di figure professionali qualificate, in
1
grado di valutare un determinato progetto in tutte le sue fasi, dall’ ideazione fino alla
conclusione (valutazione di risultato).
A Codogno la logica di intervento per progetti, ha preso avvio con il progetto di
prevenzione primaria “Comunità e Quartiere”, iniziato nel 2000 e terminato nel 2003; ha
segnato la svolta nell’attività di prevenzione promossa dall’amministrazione comunale.
In un intervento di promozione, diventa fondamentale la ricerca-azione. Infatti tale
tipologia di ricerca, non si limita alla rilevazione dei dati fine a se stessa, ma è finalizzata
al cambiamento tramite adeguati interventi.
Gli operatori al fine di potenziare le risorse ed i fattori protettivi, presenti nella comunità
tramite le tecniche di empoverment e di problem solving, sono ricorsi al metodo di
progettazione di
dei
tipo dialogico. L’èquipe non si pone su un piano superiore nei confronti
soggetti del territorio con cui viene in contatto, ma diviene co-protagonista di un
processo condiviso. Relativamente alla problematica del bullismo, l’amministrazione comunale
di
Codogno, ha finanziato due progetti paralleli. Il progetto “Nuovi Passi” per l’anno
scolastico 2004/2005, e “Sai che cosa” per l’anno scolastico 2005/2006.
Dall’analisi è emersa la correlazione tra il fenomeno del bullismo e l’uso di sostanze
alcoliche, soprattutto tra i bulli. La valutazione ex post condotta dagli operatori, ha messo in
evidenza
una diminuzione dei comportamenti negativi, e un miglioramento delle abilità
comunicative e di ascolto.
Concludendo, l’unico ambito in cui l’assistente sociale, conserva un margine di
autonomia
professionale, per quanto riguarda la lotta al bullismo, è quello relativo al
coordinamento dei servizi territoriali, per la ricerca di finanziamenti e per l’implementazione
dei progetti. L’assistente sociale non entra mai in contato con alunni ed insegnanti.
Presso il numero verde del Ministero della Pubblica Istruzione istituito per la campagna
anti-bullismo non è presente la figura dell’assistente sociale.
L’intervento di questa figura professionale, non dovrebbe rimanere vincolato a quei casi in
cui l’ente locale prende l’iniziativa e riesce ad ottenere fondi per l’avvio dei progetti di
prevenzione. Ma dovrebbe seguire le problematiche dei bulli e delle vittime più da vicino.
Valida è la proposta del Ministro Fioroni, che intende sospendere i bulli fino alla fine
dell’anno, precludendo la loro ammissione agli scrutinii finali. In questo arco di tempo,
andrebbero affidati ai servizi sociali in accordo con l’autorità giudiziaria, affinché svolgano
attività sociale, culturale a favore della scuola145.
145
Intravaia S., “Linea dura, ecco le nuove punizioni. Bocciati i bulli più violenti”, La Repubblica, 15 ottobre
2007.
1
In questo modo l’assistente sociale potrà intervenire efficientemente sia sulla
prevenzione, sia sull’emergenza.
APPENDICE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PALERMO
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE
QUESTIONARIO ANONIMO SUL BULLISMO
Presentazione scopi della ricerca
Sono una studentessa del Corso di Laurea in Servizio Sociale del polo universitario di
Agrigento e stiamo conducendo una ricerca su come i ragazzi della tua età vivono i
rapporti con gli altri all’interno della scuola.
A volte fra ragazzi capita di litigare per diversi motivi: per una scortesia, per una
incomprensione, e per altre cause. Sono cose che normalmente capitano, perché non è
sempre possibile andare d’ accordo.
L’ importante è che poi tutto si sistemi senza particolari conseguenze.
In altri casi invece un ragazzo o una ragazza della tua età possono diventare vittime di
prepotenze continue da parte di uno o più ragazzi o ragazze ed essere sistematicamente
presi in giro, offesi, esclusi dalla compagnia, minacciati o picchiati.
Queste azioni di prepotenza continuata vengono definite azioni di bullismo e non sono
normali, perché provocano sofferenza nei ragazzi e nelle ragazze che ne sono vittime.
Per la nostra ricerca è importante capire se queste cose accadono anche nella tua scuola e
qual è il tuo pensiero sui bulli e sulle vittime, e come viene affrontato il bullismo dai
compagni e dagli insegnanti.
Non è nostra intenzione individuare i bulli per punirli, ma capire cosa succede per poter
intervenire, discutendo assieme di questi problemi.
1
Nel questionario non c’è il tuo nome. Quando l’avrai compilato sarà mescolato insieme a
quello degli altri, perciò rispondi tranquillamente e senza timori.
Non ci sono risposte giuste o sbagliate. A noi importa la tua opinione e la tua esperienza,
per cui rispondi spontaneamente e senza preoccuparti.
Grazie per la tua collaborazione.
SCUOLA DI ----------------------------------------------------------------------------------------------CLASSE-------------------------------------------------
V)1Numero caso:
----------------------------/
└┘└┘└┘└┘
V) 2 Sei un ragazzo o una ragazza?
└┘1 un ragazzo
└┘2 una ragazza
V) 3 Quale classe frequenti?
└┘Prima
└┘Seconda
└┘Terza
V) 4 Qual è il tuo anno di nascita?-----------------------V) 5 Qual è il tuo comune di residenza? --------------------------------V) 6 In quale
quartiere abiti? -----------------------------1
19└┘└┘
V) 7 Compreso te, da quante persone è composta la tua famiglia?
└┘└┘
Numero componenti:
V) 8 Quanti fratelli e/o sorelle hai?
0. Non ho fratelli e/o sorelle
x.--------------------
└┘└┘
V) 9 Quanti sono maschi?
------------------------------------------
└┘└┘
V) 10 E quante femmine?
└┘└┘
------------------------------------------V) 11 Qual è il tuo ordine di genitura? Sei il primogenito, il secondogenito, il
Terzogenito……?
--------------------------------------------------------
└┘
V) 12 Come ti trovi con i tuoi compagni di classe? (una sola risposta)
└┘5-------------└┘4------------------└┘3----------------------└┘2-------------------------└┘1
Bene
abb.za bene
né bene né male abb.za male
molto male
V) 13 …. e con gli altri ragazzi che frequentano la scuola? (una sola risposta)
└┘5-----------└┘4-----------------└┘3--------------------------└┘2------------------------------└┘1
Bene
abb.za bene
né bene né male
abb.za male molto male
V) 14 Sei soddisfatto del tuo rapporto con gli insegnanti? (una sola risposta)
└┘4---------------------└┘3----------------------└┘2----------------└┘1
Molto
abbastanza
poco
per niente
V) 15 Sei soddisfatto di
scolastica? (una sola risposta)
come i tuoi genitori
1
si
interessano alla tua esperienza
└┘4------------------------└┘3----------------------└┘2--------------------└┘1
Molto
abbastanza
poco
per niente
V) 16 Quale momento della giornata
risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
preferisci trascorrere con i compagni di classe? (1
la ricreazione
le lezioni
la strada da casa a scuola e viceversa
il tempo libero
nessun momento
V) 17 Ti accade di restare solo perché nessuno dei tuoi compagni vuole stare con te? (1
risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
Sì, durante la ricreazione
Sì, durante le lezioni
Sì, durante la strada da casa a scuola e viceversa
Sì, mi lasciano sempre solo/a
No, sto sempre con gli altri ragazzi
Secondo te nella tua scuola c’è qualcuno che compie delle prepotenze?
└┘1 Sì
└┘2 No
V) 18 Che tipo di prepotenze vengono compiute? (anche più di una risposta)
└┘1 prese in giro
└┘2 scherzi pesanti
└┘3 esclusioni dalle compagnie
└┘4 offese e insulti
└┘5 minacce
└┘6 piccoli furti( es. .oggetti di scarso valore)
└┘7 furti importanti (es. cellulari, portafogli)
└┘8 estorsioni di denaro
└┘9 aggressioni fisiche
└┘10 altro, specificare:--------------------------------------------------------------------------V) 19 Dove avvengono di frequente queste azioni? ( anche più di una risposta)
└┘1 prima di arrivare a scuola
└┘2 fuori della scuola
└┘3 nei corridoi
└┘4 in classe
└┘5 nei bagni
└┘6 in cortile durante la ricreazione
└┘7 lungo il tragitto da casa a scuola
2
└┘8 altro, specificare:----------------------------------------V) 20 I bulli sono da soli o in gruppo?
└┘1 uno solo
└┘2 due
└┘3 un gruppo
V) 21 E sono maschi o femmine?
└┘1 maschi
└┘2 femmine
└┘3 sia maschi che femmine
V) 22 Quando qualcuno fa il bullo, i compagni----------- (al massimo 2 risposte)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
└┘6
si divertono e fanno il tifo per il bullo
sono spaventati
fanno finta di niente
cercano di aiutare il più debole
lasciano solo il bullo
escludono dal gruppo chi è vittima
V) 23 Quando qualcuno si comporta da bullo, gli adulti (insegnanti, bidelli)
(1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
non si accorgono di niente
fanno finta di niente
non sono mai presenti
intervengono per difendere chi subisce
ridono e si divertono con noi
V) 24 A te è capitato di…… (anche più di una risposta)
└┘1 assistere alle prepotenze di altri
└┘2 subire prepotenze
└┘3 fare il bullo
V) 25 Se ti capita di INTERVENIRE quando qualcuno subisce prepotenze è perché……….
(1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
il “bullo” se la prende con un mio amico o con una mia amica
sono più forte di lui
non ho paura di nessuno
i prepotenti non mi piacciono
è un problema che ci riguarda tutti
2
V) 26 Se ti capita di NON INTERVENIRE
perché…………….. (1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
quando qualcuno subisce prepotenze è
con me si comporta bene, quindi non sono fatti miei
io e la vittima non siamo amici, quindi non mi interessa
non voglio essere escluso dal gruppo
ho paura di andarci di mezzo
penso che ognuno debba difendersi da solo
V) 27 Qual è il tuo atteggiamento nei confronti del bullo? (1 sola risposta)
di
└┘1 lo ammiro perché riesce a fare il capo e ci fa divertire
└┘2 evito tutti i contatti con lui perché ho paura
└┘3 sono indifferente
└┘4 sono contento quando si trova in difficoltà
└┘5 reagisco apertamente alle sue prepotenze
V) 28 Qual è il tuo atteggiamento nei confronti di chi subisce prepotenze?
(1 sola risposta)
└┘1 lo prendo un po’ in giro
└┘2 penso che si meriti di essere trattato così
└┘3 faccio finta di niente
└┘4 nei momenti di calma cerco di dargli una mano
└┘5 non fa parte del mio gruppo, quindi non mi interessa.
V) 29 Qual è la prima cosa che ti viene in mente, quando ascolti al telegiornale notizie
relative ad episodi di bullismo? (1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
penso che la preoccupazione sia eccessiva, in fondo è sempre successo
non mi interessa
penso che il parlarne aumenti il fenomeno
è giusto denunciare certi episodi come fatti di cronaca
sentirne parlarne può aiutare a prendere coscienza del problema.
V) 30 Durante lo scorso anno a scuola:
1
2
3
4
Quasi
sempre
Molte volte
Qualche
volta
Mai
1) Hai fatto dei dispetti
ad un tuo compagno
2
Hai fatto dei dispetti
ad una tua compagna
2) Hai insultato o detto
brutte cose degli altri
3) Hai
preso
di
nascosto (o rubato) ad
un tuo compagno/a
4) Hai escluso un tuo
compagno/a
5)Hai detto bugie
Su un tuo compagno/a
6)Hai preso in giro
un tuo
compagno/a
- per il suo colore della
pelle
- per
fisico
il
suo aspetto
- per la sua famiglia
-per i suoi risultati a
scuola
- perché non è bravo/a
quando gioca in cortile
o in palestra.
V) 31 Durante lo scorso anno a scuola:
1
Quasi
sempre
2
Molte volte
1) Ti hanno fatto
dei dispetti
2) Ti hanno fatto
male
3)
Ti
hanno
insultato/a o detto
brutte cose
4) Hanno
preso
le tue cose di
2
3
Qualche
volta
4
Mai
nascosto(o rubato)
5) Ti
hanno
escluso/a
6) Hanno detto
bugie su di te
7) Ti hanno preso
in giro
- per il colore
della tua pelle
- per
il
tuo
aspetto fisico
sulla
tua
famiglia
- per
i
tuoi
risultati a scuola
- perché non sei
bravo/a
quando
giochi in cortile
o in palestra.
Solo per chi ha subito o subisce prepotenze ripetute:
V) 32 Quando qualcuno se la prende con te, tu……(1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
mi sforzo di rispondere
vorrei reagire, ma ho troppa paura
cerco di capire perché se la prende con me
cerco aiuto tra i miei compagni o le mie compagne
spero che qualcuno si accorga di come mi sento
V) 33 Secondo te i tuoi compagni e le tue compagne……(1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
si divertono
mi disprezzano perché sono il più debole
se ne fregano di me e di come posso sentirmi
sono dispiaciuti per me, ma hanno paura di intervenire
sono dalla mia parte.
V) 34 Chi si comporta da prepotente con te è ….. (max 2 risposte)
└┘1 una sola persona della mia classe
└┘2 alcune persone della mia classe
└┘3 quasi tutta la mia classe
└ ┘4una sola persona fuori della mia classe
└┘5 un gruppo fuori dalla mia classe
2
V) 35 Quando guardi al futuro pensi che…… (1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
vorrei non venire più a scuola
una volta o l’altra riuscirò a difendermi
forse qualcuno cercherà di aiutarmi
sarebbe bello se diventassi io il più forte
continuerò ad essere bersaglio delle prepotenze altrui
Solo per chi ha avuto comportamenti da bullo:
V) 36 Faccio il bullo perché…….. (anche più di una risposta)
└┘1 dimostro di essere più forte degli altri
└┘2 mi piace che gli altri abbiano paura di me
└┘3 finalmente sono io quello che comanda
└┘4 è il modo più efficace per risolvere le cose
└┘5 i miei compagni e le mie compagne si aspettano che io mi comporti così
└┘6 altro:……………………………………………………………………………………….
V) 37 Secondo te i tuoi compagni e le tue compagne….. ( anche più di 1 risposta)
└┘1 mi ammirano
└┘2 si divertono
└┘3 hanno paura di me
└┘4 vogliono essere miei amici
└┘5 mi disapprovano
Per tutti:
V) 38 All ‘ interno della scuola, parli di quello che succede?
└┘ si
└┘ no
V) 39 Se sì, con chi ne parli? (anche più di 1 risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
con
con
con
con
con
un compagno o con una compagna di cui mi fido
i compagni di classe
un insegnante di fiducia
un bidello
alcuni insegnanti
V) 40 Al di fuori della scuola parli di quello che ti succede?
└┘1 si
└┘2 no
2
V) 41 Se sì, con chi ne parli? (anche più di una risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
con
con
con
con
con
un amico o un’amica di cui mi fido
gli amici che frequento al di fuori della scuola
i miei genitori
altri familiari (fratelli, zii…)
altri adulti (allenatore, animatore di associaz, educatore parrocchiale)
V) 42 I tuoi genitori riescono a capire i tuoi sentimenti? (1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
per niente
poco
abbastanza
molto
V) 43 Come definiresti lo stile educativo dei tuoi genitori? (1 sola risposta)
└┘1 punitivo
└┘2 autoritario
└┘3 democratico
└┘4 permissivo
V) 44 Sei soddisfatto del rapporto con i tuoi fratelli e/o sorelle? (1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
molto
abbastanza
poco
per niente
V) 45 Sei a conoscenza del progetto antibullismo messo in atto dal ministro della pubblica
istruzione Giuseppe Fioroni?
└┘1 sì
└┘2 no
V) 46 Se sì, da chi ne hai sentito parlare? (1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
└┘5
dal preside
dagli insegnanti
dai genitori
dai compagni
dal telegiornale
2
V) 47 Se sì, in che misura conosci il contenuto del progetto? (1 sola risposta)
└┘4………………└┘3…………………└┘2…………………└┘1
Molto
abbastanza
poco
per niente
V) 48 Cosa ne pensi? (1 sola risposta)
└┘1
└┘2
└┘3
└┘4
non è necessario
non risolverà il problema
è negativo dare risalto al fenomeno
è necessario affrontare il problema con un adeguato piano
V) 49 Ti ricordi il titolo di studio dei tuo padre?
1
Nessun
titolo
2 Licenza
elementare
V)50 E di tua madre?
1
Nessun
4 Diploma
o maturità
5 Laurea
3 Licenza
4 Diploma
5 Laurea
media
o maturità
└┘
2 Licenza
Titolo
3 Licenza
media
└┘
elementare
V) 51 Che lavoro svolge tuo padre? (1 sola risposta)
└┘ 0 Non lavora
└┘ 1 Pensionato └┘ 2 Disoccupato/in cerca di occupazione
└┘3. Sì:--------------------------- (Specificare quale lavoro)
V) 52 Che lavoro svolge tua madre? (1 sola risposta)
└┘0 Non lavora
di occupazione
└┘1 Casalinga
└┘2 Pensionata
└┘4. Sì:------------------------------ (Specificare quale lavoro)
2
└┘3 Disoccupata/in cerca
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