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DANIELA ESPOSITO
Estratto dal volume:
ROMA
LE
LA CAMPAGNA ROMANA NEL SECOLO XVI:
INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI
NEL SUBURBIO
TRASFORMAZIONI URBANE
NEL
CINQUECENTO
II
DALLA CITTÀ AL TERRITORIO
a cura di
GIORGIO SIMONCINI
FIRENZE
L E O S. O L S C H K I E D I T O R E
MMXI
DANIELA ESPOSITO
LA CAMPAGNA ROMANA NEL SECOLO XVI:
INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI NEL SUBURBIO
Fin dai primi anni del XVI secolo una delle forme di utilizzo dell’area intorno alle mura aureliane, il cosiddetto ‘suburbio’ della città di Roma, fu quella, pur se non prevalente, della caccia. La prima carta descrittiva della campagna prossima alla cinta muraria, la carta del ‘‘Paese di Roma’’, elaborata e
pubblicata nel 1547 da Eufrosino della Volpaia, fu seguita dalla descrizione,
nel 1548, di alcuni percorsi di caccia da parte di Domenico Boccamazza, nella
quale i punti di riferimento per la direzione delle strade da percorrere erano i
casali, i ponti, i corsi d’acqua (fig. 1).1 Tali fonti illustrano l’assetto del territorio intorno a Roma, prossimo alle mura della città, e permettono, con buona
approssimazione, di ricostruire le direttrici delle principali vie di comunicazione, le infrastrutture e gli insediamenti presenti. I percorsi stradali che, nel
1548, muovono dalle porte urbiche si distendono fra pantani, sterpari, prati,
campi coltivati e aree libere destinate al pascolo e si muovono tra fontanili,
osterie, casali, torri, piccole cappelle e chiese di campagna, superano alcuni
fossi in presenza o meno di ponti, e costeggiano alcune selve e i ruderi di
1 La Carta del Paese di Roma di Eufrosino della Volpaia è pubblicata a cura di TH . ASHBY in La
Campagna Romana al tempo do Paolo III, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, s.d.;
D. BOCCAMAZZA, Le caccie di Roma, Roma, 1548. Boccamazza era un capocaccia del papa Leone
X e scrisse la sua opera dividendola in due parti. La prima è composta da cinque libri: le cacce della
zona Trasteverina, a destra del Tevere, fra la riva destra dell’Aniene e la sinistra del Tevere, nel Lazio,
dal fiume Arrone a Canino e nel quinto libro parlò dei doveri del capocaccia e dei cacciatori. La seconda parte riguarda i tipi di uccelli e di cacciagione. Nel suburbio, i luoghi dove svolgere battute di
caccia erano attestati attorno alle mura; in particolare tali località erano concentrate entro le dieciquindici miglia circa dal centro della città. Si trovavano lungo le principali vie di comunicazione; luoghi di caccia erano dunque, secondo le indicazioni di Boccamazza, a Santa Colomba o Campiglia e a
Marcigliano, fuori porta Salaria, al nono miglio circa della strada; a Poterano, all’altezza dell’undicesimo miglio della via Nomentana; a Greppe, nei pressi del sedicesimo miglio della via Palombarese; a
Monte del Sorbo, Pratolungo, Testine, Lunghezza, fra l’ottavo e il tredicesimo miglio della via Tiburtina; l’area di caccia ‘‘Trasteverina’’ era situata, dopo ponte Milvio, fra il ponte di Prima Porta e alcune strade che da questo si dirigono verso Riano, Leprignano, Pietra Pertusa e Sacrofano.
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strutture di ville, ponti e acquedotti antichi. L’immagine che si delinea, attraverso le notazioni di Boccamazza, è quella di una campagna solcata da strade
che collegano la città capitolina verso tutte le direzioni, da nord a sud; percorsi viari più o meno importanti, primari e secondari, con diverticoli e piccole
vie di collegamento con i centri abitati prossimi a Roma.
Altra linea di comunicazione, spesso la preferita soprattutto per i carichi
pesanti, è costituita dai corsi d’acqua, in particolare dal Tevere, con i suoi due
sbocchi verso il mar Tirreno a Ostia e a Fiumicino, il cui canale fu riaperto
dopo una lunga fase di insabbiamento, e, in misura minore, dall’Aniene. Questi furono oggetto, da parte delle istituzioni competenti dello Stato pontificio,
di una particolare cura nella ricostruzione o nella nuova realizzazione di ponti
collegati con le principali vie di comunicazione da Roma verso i più importanti centri commerciali della penisola e dell’Europa.2 A tal proposito Giovanni
de l’Herba scriveva nel 1564:
Se Roma fosse priva del suo fiume, morrebbe di fame in tre giorni e sarebbe abbandonata da tutti i suoi abitanti.3
La campagna di Roma non era esente dalla presenza di pantani e di sterpari, come nel caso del ‘‘Pantano ritondo’’, poco dopo Marcigliano nuovo o di
un’area nei pressi dell’osteria di Poterano detta Casa Nuova, presso l’undicesimo miglio della via Nomentana, o dell’area denominata ‘‘Monastero’’, dove
è attestata l’esistenza di un grande pantano all’ottavo miglio della via Salaria.4
Il Suburbio è un’area posta a ridosso delle mura aureliane, che appare piuttosto vitale, diversamente dall’immagine trasmessaci da Montaigne, il quale, alla
fine del XVI secolo, descrive questo territorio come una «terra spoglia, senz’alberi, in buona parte sterile».5 Un’impressione che Montaigne conferma
in più occasioni nel corso del suo viaggio in Italia, come durante la sua visita
da Roma a Porto, il 15 marzo del 1581:
Varcammo il Tevere sul ponte di Nostra Signora [ponte Rotto] e uscimmo dalla
porta del Porto, anticamente detta Portuensis; di là procedemmo per una contrada
2 I. AIT in questo volume; si rimanda anche a L’Episcopio di Porto. Un’esperienza innovativa di
restauro, a cura di S. Cancellieri, Roma, Gangemi, 2002, in particolare, sulla storia dell’attività intorno al canale di Fiumicino e il suo utilizzo nel tempo, pp. 35-54.
3 GIOVANNI DA L’HERBA , Itinerario delle poste per diverse parti del mondo, Venezia, 1564 (da
J. DELUMEAU, Vita economica e sociale di Roma nel Cinquecento, Firenze, Sansoni, 1979 – 1º ed. completa Paris, Librairie Hachette, 1975-, p. 34).
4 Su Poterano: S. CAROCCI – M. VENDITTELLI , L’origine della Campagna Romana. Casali, castelli
e villaggi nel XII e XIII secolo, con saggi di D. ESPOSITO – M. LENZI – S. PASSIGLI, Roma, 2004 (Miscellanea della Società romana di Storia patria, XLVII), p. 65 (n. 48); D. BOCCAMAZZA, Le caccie ...,
cit., cc. 18 e 21v.
5 M. MONTAIGNE , Viaggio in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 147-148.
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ineguale e mediocremente fertile di vini e di biade. Dopo circa otto miglia raggiungemmo il Tevere e scendemmo in una gran piana a pascoli e praterie, in fondo al quale si adagiava una grande città: si vedono ancora parecchie belle e grandi rovine sulle
rive del lago di Traiano, un rigurgito del mar Tirreno dove entravano le navi; ma il
mare non vi manda più che ben poca acqua, e ancor meno a un altro lago, poco a
monte della località chiamato un tempo Arco di Claudio [Porto di Claudio].6
Pur se a distanza di quasi quarant’anni, l’assetto della campagna intorno a
Roma, del Suburbio, nell’ultimo ventennio del Cinquecento non differiva
molto da quello della metà del secolo, lo stato di abbandono di alcune parti
del territorio era una realtà che si era consolidata nel corso del XVI secolo.
Ma a questa condizione si associava la presenza, costante e ormai radicata,
di strutture insediative e d’infrastrutture viarie sempre in uso, mai dismesse
e, anzi, rinnovate o in corso di modifica in quegli anni, come nel caso dei numerosi interventi di ristrutturazione di strade fra le quali le vie Cassia, Flaminia, Aurelia e Appia, soprattutto, dell’intervento per il tratto dell’Appia nuova, durante i pontificati di Gregorio XIII e di Sisto V.7 Secondo quanto
rilevato da recenti studi sulla situazione patrimoniale ed economica della
Campagna romana nel XVI secolo, si può affermare che tale realtà non era
dunque totalmente inattiva e inerte, come ritenuta dalla storiografia del passato.8 Ne sono testimonianza la presenza dei casali nell’Agro di Roma, su
un’area di circa 200.000 ettari e la loro divisione frequente in quote-parti, uniti pro-indiviso, spettanti in prevalenza ad esponenti del patriziato romano del
XVI secolo e, soprattutto, la diffusione dell’allevamento destinato alla produzione casearia, con la conseguente dotazione, nei casali preesistenti, di ambienti adeguati per lo svolgimento delle attività legate a tale produzione (procoi, stalle, spazi per la stagionatura dei prodotti caseari e altro).9 Del resto la
stessa forma di ‘dinamismo’ appare confermata nel Suburbio, nello stesso periodo, dalla trasformazione di alcuni casali, da intendersi come proprietà fondiaria, in più piccoli appezzamenti destinati a vigna. Ne sono un esempio, fra
gli altri, il casale di Vincenzo Schiavo, il casale di Lorenzo Castellano, fuori
Porta Portese, il casale di Girolamo de Cupis e il casalino di Stefano CrescenIvi, pp. 190-191.
G. SIMONCINI, Roma. Le trasformazioni urbane nel Cinquecento. Topografia e urbanistica da
Giulio II a Clemente VIII, Firenze, Olschki, 2008.
8 M. VAQUERO PIÑEIRO , Patrimoni agricoli e redditi familiari nello Stato della Chiesa nel XVI
secolo, in La famiglia nell’economia europea secc. XIII-XVIII. Atti della ‘‘Quarantesima Settimana
di Studi’’, 6-10 aprile 2008, a cura di S. Cavaciocchi, Fondazione Istituto Internazionale di Storia
economica ‘‘F. Datini’’ – Prato, Firenze, Firenze University Press, 2009, pp. 141-152 e si rimanda
sempre a M. VAQUERO in questo volume.
9 Ivi, p. 152.
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zi, fuori Porta Salaria, che, nelle liste di Renzi e Bardi, erano indicati con l’espressione oggi vigna.10
Nel Suburbio il nuovo assetto produttivo cinquecentesco comprende vigne e orti, coltivati per assicurare derrate alimentari alla città e ai suoi mercati
rionali. Il territorio intorno a Roma nel corso del XVI secolo è dunque indubbiamente dominato dagli arativi e dai campi aperti; ce ne danno conferma, per
altre strade, Eufrosino della Volpaia e Domenico Boccamazza. Lo stato di abbandono del territorio intorno alla città appare, nell’opinione di Montaigne,
anche indotto dalla mancanza di un rapporto diretto fra la realtà rurale esterna alle mura e la città:
Avvicinandosi a Roma si vedono quasi da ogni parte campagne per lo più sterili e
incolte, sia per difetto del terreno o – come a me pare più verosimile – perché questa
città non ha quasi affatto manovali e uomini che vivano del lavoro delle loro braccia.
Per istrada incontrai, quando ci venni, molti gruppi di contadini che venivano dai
Grigioni e dalla Savoia, a guadagnar qualcosa nella stagione in cui si lavoran le vigne
e i giardini; e mi dissero che ogni anno ciò costituiva il loro reddito.11
Le trasformazioni, in atto nel corso del secolo, del tipo di attività che si
svolgono entro il Suburbio e l’aumento della ricchezza per effetto della produzione casearia e dell’allevamento, hanno un portato anche sui prati e sulle
selve, sullo stato di conservazione e sulla dotazione delle infrastrutture (strade,
ponti, fontanili, scoli di fossi, canalizzazioni e altro) e degli insediamenti (mole, gualchiere, casali, torri, cappelle, osterie e altro). Le fonti cartografiche e
descrittive trasmettono dunque un’immagine non inerte, quanto piuttosto ‘localmente’ dinamica della campagna intorno a Roma.
L’area del Suburbio, da intendersi come il settore prossimo alle mura aureliane ed esteso con un raggio di pochi chilometri intorno a quelle è dunque
caratterizzata dalla presenza di uno scarso numero di strutture edilizie e di casali ed è piuttosto interessata dall’estensione di vigne, di prati e di terreni coltivati (fig. 2). Più rari, rispetto alla zona dell’Agro, sono i casali. Pur se presenti, questi sono quantitativamente inferiori rispetto a quelli attestati nella fascia
di territorio più lontana, coincidente con l’estensione del cosiddetto Agro romano, secondo la delimitazione delineata nella carta dei casali di Giovan Battista Cingolani del 1692.12 In maggioranza (circa il 58% dei casi rilevati nel
10 Le liste di Renzi e Bardi sono state elaborate rispettivamente negli anni 1588 e 1595-96. Per
le liste si rimanda a J. COSTE, I casali della campagna romana alla fine del Cinquecento, «Archivio della
Società romana di storia patria», 94 (1971), pp. 86-123.
11 M. MONTAIGNE, Viaggio ..., cit., p. 195.
12 G.B. CINGOLANI , Carta delle Tenute dell’Agro romano, 1696 (in P.A. FRUTAZ , Le piante del
Lazio, Roma, Istituto di Studi Romani, 1972, vol. III).
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INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI NEL SUBURBIO
Suburbio) si tratta di casali medievali ristrutturati e ampliati per le nuove funzioni che le attività produttive del territorio richiedevano nel corso del XVI
secolo. Un certo numero di casali, localizzati in particolare nel settore nordorientale, risultano di nuova fondazione, almeno a partire dalla metà del
XV secolo (circa il 30% dei casi rilevati), e presentano impianti planimetrici
semplici e spesso meno articolati di quelli medievali. Il 12% delle strutture
edilizie dei casali medievali risulta, nel 1547, abbandonato e allo stato di rudere (fig. 3). Un fenomeno peculiare della Campagna Romana, associato all’utilizzo ‘rinnovato’ dei casali medievali e alla costruzione dei nuovi, è indotto
dall’introduzione, fra le attività economiche e produttive della Campagna Romana, dell’allevamento di colombi, che comporta la realizzazione di colombaie all’interno o in soprelevazione delle torri dei casali medievali o ex novo
nelle costruzioni rurali di nuova fondazione. Insieme ai casali sorgono le prime
residenze e casini per la caccia. Fra questi, il casale della Magliana, appena
fuori Porta Portese, a poca distanza dalle ville suburbane che si andavano formando fuori dalle mura di Roma e ad esse molto prossime. Queste ultime sono ascrivibili al processo già avviato, all’interno delle mura, fin dagli ultimi
vent’anni del XV secolo, con i provvedimenti di Sisto IV in merito al decoro
della città e le facilitazioni connesse all’attività di miglioramento dell’assetto e
dello stato di conservazione e di utilizzo delle aree non edificate del suolo di
Roma, che ebbero i loro riflessi anche sugli assetti e sulle caratteristiche delle
ville suburbane del XVI e del XVII secolo.13 Fra le ville suburbane costruite
nel XVI secolo, collocate, come si diceva, in vicinanza delle mura della città si
possono ricordare, a titolo d’esempio, per il settore nord-occidentale, la Vigna
Farnese, il palazzo Riario, la villa di Agostino Chigi, la villa Turini Lante, la
villa di Bonifacio Ferrero, la villa di Blosio Palladio, la vigna Altoviti.
Altro aspetto proprio della campagna intorno a Roma è rappresentato
dalle preesistenze antiche, alcune in stato di abbandono e a rudere, altre ancora in uso, come ad esempio gli acquedotti, che caratterizzano il contesto
paesaggistico dell’area romana. Si tratta in prevalenza di sepolcri, ville rustiche, ponti.
Per l’analisi delle forme insediative e delle infrastrutture presenti nel Suburbio romano, si prenderanno le mosse proprio dall’assetto viario consolidato alla metà del XVI secolo e documentato da Eufrosino della Volpaia e dal
testo di Domenico Boccamazza; altre indicazioni saranno tratte dalle indica13 D. ESPOSITO , Vigneti e orti entro le mura. Utilizzo del suolo e strutture insediative, in Roma
nel Quattrocento, a cura di G. Simoncini, Firenze, Olschki, 2004, vol. II, pp. 205-228; si rimanda
anche a R. SAMPERI, in questo volume.
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zioni contenute nella carta di Roma del Bufalini, dalla lista dei casali di Renzi e
Bardi, elaborata fra il 1588 e gli ultimi anni del secolo e dalla cartografia successiva a quella di Eufrosino, che costituı̀ comunque il modello di riferimento
per le successive almeno per un secolo (fig. 1).14 Questa lettura preliminare
consente di affrontare l’analisi, cogliendone alcuni caratteri peculiari, dell’assetto del Suburbio e delle sue trasformazioni nel corso del XVI secolo. Infatti
le iniziative papali volte a potenziare e ristrutturare l’antico assetto stradale interno a Roma, furono avviate da papa Giulio II, si moltiplicarono nei decenni
centrali del Cinquecento e proseguirono per tutta la seconda metà dello stesso
secolo, conferendo al territorio suburbano connotazioni peculiari, come riflesso ma anche come impulso di potenziamenti, trasformazioni o alienazioni di
forme e funzioni del passato.
LA
STRUTTURA VIARIA E LE VIE D’ACQUA
Avvicinandosi a Roma, lungo il percorso della via Cassia-Francigena,
Montaigne nel 1581 scriveva:
Roma, vista da questa strada, non faceva un grande effetto. Lontani, sulla sinistra,
avevamo gli Appennini; l’aspetto della contrada aspro, montuoso, pieno di fosse profonde, inadatto a qualsiasi ordinata manovra di truppe; la terra spoglia, senz’alberi, in
buona parte sterile; assai aperto il paese all’intorno, per più di dieci miglia, e quasi
tutto di tal natura, poverissimo di case.15
Per questa strada Montaigne, l’ultimo giorno di novembre, giunse a Roma attraversando porta del Popolo, ricostruita durante il pontificato di Pio IV
(1559-1565), dopo aver percorso circa trenta miglia e aver costeggiato, in vicinanza della porta, la Villa Giulia, residenza da poco compiuta e utilizzata
per l’alloggio di re, cardinali e ambasciatori che da qui si preparavano per l’in14 L. BUFALINI , Pianta di Roma, 1550 (in P.A. FRUTAZ, Le piante di Roma, Roma, Istituto di
Studi Romani, 1972, vol. II). Alla carta di Eufrosino della Volpaia si ispirarono le elaborazioni cartografiche per oltre un secolo, come nella carta del ‘‘Territorio di Roma’’, di un incisore anonimo del
1557 che ingrandisce l’area rappresentata rispetto a quella di Eufrosino della Volpaia, riportando con
precisione l’orografia e, in maniera piuttosto sintetica, le strade e i percorsi viari che solcavano l’area
intorno alla città (Nova descrittione del territorio di Roma con tutte le città, ville, castelli, monti, fiumi
et ponti, 1557, in R. MAMMUCCARI, Campagna romana. Carte, vedute, piante e costumi, Città di Castello, Edimond, 2002, pp. 84-85). Si è tenuto conto anche delle indicazioni toponomastiche e orografiche presenti nelle carte degli ultimi anni del XVI secolo (incisioni su rame di Gerhard Mercator,
Latium nunc Campagna di Roma, 1589 e di Abraham Ortelius, Latium, 1595, che si rifà alla precedente del Mercator, ambedue in R. MAMMUCCARI, Campagna romana ..., cit., pp. 86-87 e 88-89).
15 M. MONTAIGNE, Viaggio in Italia ..., cit., pp. 147-148.
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gresso in città.16 Le ragioni dell’apparente abbandono del territorio vanno ricercate sia nella già citata trasformazione dell’assetto produttivo della Campagna Romana nel corso del Cinquecento con l’estensione dei pascoli, sia nell’insicurezza per la residenza stabile dovuta al banditismo e ai passaggi frequenti
di soldatesche, nonché al ricorrente pericolo di epidemie malariche favorito
dalle fasi di abbandono delle terre e all’impaludamento di alcune di esse.
Ma, come già notato, tale condizione non è l’unico tipo di realtà: la campagna
aveva anche una sua vitalità soprattutto lungo le strade di maggiore percorrenza da e per Roma, attive soprattutto come itinerari postali, percorsi da pellegrini e per gli scambi commerciali, come la via Cassia-Francigena, la via Aurelia, la via Flaminia, la via Appia.17
La via Cassia-Francigena costituiva uno degli assi stradali più importanti
della viabilità cinquecentesca; il tratto da ponte Milvio fino alla valle del Baccano viene sistemato durante il pontificato di Giulio II (1505-1513). Lungo il
suo percorso venivano trasportate, da carovane con muli o cavalli, le merci da
e verso Firenze: fra le altre, le balle di seta lavorate proprio in territorio fiorentino. La prima stazione di posta da Roma, a un giorno di cammino, era
Sutri e lungo il percorso fra Roma e Sutri erano presenti numerose osterie come, ad esempio, le due strutture situate in corrispondenza della Storta.
La via Flaminia, da porta del Popolo, collegava con le regioni orientali e
quelle bagnate dall’Adriatico; lungo questa strada e il Tevere venivano importati in Roma soprattutto i prodotti cerealicoli dalle Marche, dalla Romagna e
dall’Umbria. Le iniziative dei funzionari preposti alla cura delle strade dello
Stato della Chiesa furono rivolte spesso ad interventi sul tratto della strada fino al ponte di Borghetto, presso Magliano Sabino. Nel Suburbio, la via Flaminia fu sistemata nel tratto da porta del Popolo a ponte Milvio durante il
pontificato di Clemente VII (1523-34) e di papa Pio V; papa Giulio III
(1550-55) avviò la costruzione di Villa Giulia in prossimità della strada, poco
fuori la porta del Popolo. Alla fine del secolo si registrano nuovi interventi,
volti al potenziamento della strada che collegava anche con Loreto: fu ricostruito il ponte presso Borghetto per volontà dei papi Sisto V (1585-1590)
e Clemente VIII, terminato nei primi anni del XVII secolo. Nel suburbio la
strada superava due fossi con i ponti di Quinto e di Prima Porta.18
Altro asse stradale frequentemente utilizzato nel corso del Cinquecento e
oggetto di interventi di sistemazione nel corso del secolo è la via Aurelia, che
collegava Roma, attraverso porta Pertusa e porta Cavalleggeri, con il porto di
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Si rimanda al contributo di R. SAMPERI, in questo volume.
J. DELUMEAU, Vita economica ..., cit., pp. 9-38.
D. BOCCAMAZZA, Le caccie ..., cit., c. 71r.
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Civitavecchia e con il settore nord-occidentale dello Stato e della penisola.
Durante il pontificato di Leone X (1513-21) furono eseguiti interventi alla
porta Pertusa, in uscita da Roma. Nella seconda metà del secolo fu decisamente potenziato il collegamento con Civitavecchia: durante i pontificati di
Pio IV, Pio V (1566-72) e Clemente VIII (1592-1605) furono realizzati lavori
di sistemazione della strada fino a Civitavecchia e di ricostruzione della porta
Cavalleggeri.19
La via Appia fu oggetto di sistemazione durante i pontificati di Pio IV,
quando ne fu rettificato in parte il percorso da porta San Giovanni, di Gregorio XIII (1572-85) e di Sisto V, con l’avvio della bonifica del territorio verso
meridione e la sistemazione e apertura del tratto dell’Appia nuova praticabile
fino a Gaeta.20
Altre vie furono oggetto di ristrutturazione nel corso del secolo, con frequenti rettificazioni dei tracciati in corrispondenza delle relative porte d’accesso: la via Aurelia, da porta San Pancrazio, la via Flaminia, da porta del Popolo, la via Nomentana, il cui percorso è stato rettificato dalla porta Pia fino al
ponte Nomentano durante il pontificato di Pio IV e sistemato verso Sant’Agnese fuori le mura con l’apertura di una strada nella valle di Sant’Agnese
(l’attuale via di Sant’Agnese) sotto Clemente VIII; la via Casilina, nella tratto
verso l’Acqua Bullicante (durante il pontificato di Giulio II e Pio V) e al ponte
dell’Acqua Bullicante (sotto Clemente VIII); e, infine, le vie Ostiense, Portuense e Tiburtina.21
Per migliorare la percorribilità di queste vie gli uffici preposti alla manutenzione e agli interventi sulle strade dello Stato della Chiesa intrapresero la
ricostruzione o il semplice riattamento di alcuni ponti antichi sul Tevere e sull’Aniene, fra cui ponte Milvio, sotto Giulio II, ponte Nomentano, con Paolo
III (1534-49) e la costruzione del ponte presso Borghetto, sulla via Flaminia,
con papa Clemente VIII.22
I corsi d’acqua nel territorio intorno alla città, il Tevere e l’Aniene, erano
percorsi da imbarcazioni e zattere per il trasporto soprattutto di derrate alimentari, come i cereali provenienti dalle province orientali dello Stato della
Chiesa (Marche, Romagna e Umbria), dei materiali pesanti come le pietre
da costruzione, quali il travertino proveniente dalle cave di Tivoli e il marmo
di Carrara, che veniva scaricato alla dogana di Ripa. Alla fine del secolo l’auG. SIMONCINI, Roma ..., cit., pp. 215, 247, 423.
J. DELUMEAU, Vita economica ..., cit., pp. 9-38; G. SIMONCINI, Roma ..., cit., pp. 293-294,
391-392.
21 G. SIMONCINI , Roma ..., cit., p. 206; J. DELUMEAU , Vita economica ..., cit., pp. 9-38.
22 J. DELUMEAU, Vita economica ..., cit., p. 37.
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INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI NEL SUBURBIO
mento del prezzo degli animali da soma favorı̀ il trasporto per via d’acqua,
regolato da un Editto del 1591, per l’inoltro di barche sul Tevere e di merci
fino a quel momento trasportate nella città via terra.23 Un punto nodale per il
traffico fluviale e stradale è l’area dove l’Aniene incontra il Tevere, nei pressi
del ponte Salario, fortificato con due torrette di guardia, e del casale di Bernardino del Bufalo, che ingloba una torre medievale costruita sui ruderi di un
sepolcro romano, in vista dell’innesto tra i due fiumi. Nello stesso punto, attraversato il ponte e in prossimità del casale con torre (di proprietà di Bernardino del Bufalo nel 1547 e denominato casale Torricella nella lista dei casali di
Renzi e Bardi del 1588 e del 1595-96), si diramano due percorsi: uno, la via
Salaria, diretto verso Rieti e i territori orientali dello Stato della Chiesa e un
altro, meno importante, che attraversa la selva e il prato di Radicicoli, oltrepassa un fosso senza ponte e la selva di Ciampiglia, nell’area della Marcigliana
e si dirige verso Monterotondo attraverso la campagna.24
Per quanto riguarda l’accesso dal canale di Fiumicino, questo era insabbiato almeno dal X secolo; la serie di naufragi avvenuti nei secoli successivi all’imbocco della Fiumara, la foce del Tevere in prossimità di Ostia, convinse papa
Gregorio XIII a riaprire il canale navigabile di Fiumicino.25 Il problema della
sistemazione della foce del canale si ripresentò negli anni successivi, senza avere una soluzione definitiva e comportò una continua opera di riassetto e prolungamento di palificate lignee in mare realizzate da architetti come Giovanni
Fontana (1582) e Carlo Maderno (1611-12).26 La riapertura alla navigazione
del canale di Fiumicino può essere associata all’interesse dei pontefici e degli
uffici preposti alla manutenzione delle strade del Suburbio e dello Stato della
Chiesa per la sistemazione della via Portuense. Questa fu oggetto di migliorie e
lavori idraulici fin dal tempo di Giulio II, poi con Clemente VIII, Paolo IV e
Pio V, fino al ponte sul fosso della Magliana, dove sorgeva il casino detto ‘‘la
Magliana’’. Costruito dal cardinale Girolamo Riario fra il 1471 e il 1480, il casino fu utilizzato come residenza pontificia per tutto il XVI secolo.27
Numerosi erano i fossi che solcavano il territorio suburbano; solo per la
parte orientale vi erano i fossi di Casa Rossa, dell’Osa, di Castiglione, un fosso
verso Radicicoli e Campiglia, tutti attraversati da ponti tranne l’ultimo.28
Ivi, p. 34.
J. COSTE, I casali ..., cit., pp. 86-123.
25 G. SIMONCINI , Porti e politica portuale dello Stato pontificio dal XV al XIX secolo, in ID ., Sopra
i porti di mare. IV. Lo Stato pontificio, Firenze, 1995, pp. 9-79.
26 C. VARAGNOLI , L’Episcopio di Porto da castrum a palazzo, in L’Episcopio ..., cit., pp. 55-108:
68-80.
27 EUFROSINO DELLA VOLPAIA , La Campagna ..., cit.
28 D. BOCCAMAZZA , Le caccie ..., cit., cc. 17-18.
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Oltre al riassetto di tracciati stradali antichi e all’apertura di vie secondarie
utili per collegare nuove realtà insediative e infrastrutture, come nel caso della
via della Magliana nuova, aperta a valle del casino della Magliana e corrispondente all’attuale via che passa sotto i colli della Magliana, il restauro di alcuni
ponti preesistenti e la costruzione di nuovi testimoniano la volontà di migliorare
le condizioni di percorribilità dell’area prossima alle mura di Roma lungo percorsi selezionati in funzione dei traffici e dei collegamenti più utilizzati all’epoca. Furono oggetto dunque di riparazioni e restauri il ponte Milvio, da cui passavano le
vie Flaminia e Cassia (durante i pontificati di Giulio II, Paolo III e, dopo la piena
del 1598, di Clemente VIII), il ponte Nomentano, situato sull’Aniene lungo il
percorso della via Nomentana (restaurato durante il pontificato di Paolo III), alcuni ponti in legno verso la villa della Magliana, lungo la via Portuense (costruiti
nel 1560), il ponte dell’Acqua Bullicante, lungo il percorso della via Casilina (restaurato nel 1523, durante il pontificato di Clemente VII) (fig. 4).29 A questi interventi si aggiunse la costruzione del nuovo ponte di Borghetto (ponte sul fosso
di Rio Sorcello), presso Civitacastellana. Realizzato da Carlo Maderno e G. Fontana il ponte fu completato durante il pontificato di Clemente VIII proprio per
migliorare, come detto in precedenza, il cammino lungo la strada ed evitare il
traghettamento delle carrozze per attraversare il fosso.30
LE
PREESISTENZE ANTICHE E MEDIEVALI
Molti dei ponti presenti nel Suburbio sono di epoca romana, restaurati già
nel medioevo e ricostruiti, ampliati e ristrutturati nel corso del Cinquecento.
Fra tutti si ricorda il ponte Nomentano, il quale ancora oggi conserva il grande arco romano su piedritti in opera quadrata in travertino con intradosso in
peperino, d’epoca tardo-repubblicana, soprelevato e merlato durante il pontificato di Niccolò V e integrato da due avancorpi con coronamento merlato
sempre nel corso del XV secolo e infine consolidato, in corrispondenza del
piedritto destro, durante il pontificato di Paolo III (fig. 5). Il ponte era utilizzato, fin dall’epoca romana, per il passaggio del bestiame transumante che veniva qui numerato, cosı̀ come ai ponti Salario e Mammolo.31 Erano ancora in
29 Per i ponti sulla via Portuense: M. F AGIOLO – M.L. M ADONNA , 1973, p. 194, nota 63;
G. SIMONCINI, Roma ..., cit., p. 220; per il ponte in zona acqua Bullicante: ivi, p. 96.
30 Per il ponte di Borghetto: G. SIMONCINI , Roma ..., cit., p. 423, con riferimento all’‘‘Editto dei
maestri delle strade di Roma col quale si notifica l’appalto dei lavori per il ristauro della strada fuori
porta del Popolo’’ del 16 aprile 1603.
31 A. MESSINEO – A. CARBONARA , Antiche strade – Lazio – Via Nomentana, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1996, pp. 32-33.
* 298 *
INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI NEL SUBURBIO
uso altri ponti romani come, fra gli altri, il ponte Mammolo sull’Aniene, già
restaurato nel XV secolo, il ponte di Nona su un torrente al IX miglio della
via Prenestina, realizzato forse in età sillana, il ponte Milvio menzionato per
la prima volta nel 207 a.C., in blocchi di tufo e travertino, infine il ponte sulla
Valchetta, dove passava la via Flaminia, costruito in età repubblicana e consolidato in età severiana e medievale.32 La percezione delle antichità da parte
degli eruditi del Cinquecento faceva sı̀ che spesso le citazioni contenute nelle
guide o nei resoconti di viaggio fossero ricche di citazioni con orientamento
ora più propriamente antiquario, ora più storico.33 È quanto si percepisce dalla lettura degli appunti di Montaigne a proposito del suo sopralluogo a Ostia,
nel 1582, in vista dei ruderi degli acquedotti e delle ville romane che fiancheggiano il percorso della via Ostiense:
Questa strada da Ostia a Roma – la via Ostiense – è piena di grandi vestigia della
sua antica bellezza: molti argini, parecchi ruderi d’acquedotti, e quasi tutto il percorso
disseminato di grandi rovine; più di due terzi della strada pavimentata ancora di quei
gran blocchi neri con cui lastricavano le loro vie di comunicazione. A veder questa
riva del Tevere, non si ha difficoltà a tener per vera l’opinione che da una parte e dall’altra si susseguissero le case, da Roma fino ad Ostia. Fra le rovine incontrammo verso metà strada, alla nostra sinistra, il bellissimo sepolcro d’un pretore Romano con
l’iscrizione ancora intatta.34
Il sepolcro era dedicato a M. Stlaccio Corano ed era situato in località
Mezzocammino, appunto a circa metà del percorso fino al borgo di Ostia, all’altezza e a sud-est del casino della Magliana (fig. 6).
Tale è la mentalità che contraddistingue in genere la percezione dell’antico
nella Campagna Romana nel XVI secolo: esso costituiva una realtà che cominciava ad essere percepita con senso storico, come testimoniato dai toponimi
presenti nella documentazione notarile del periodo, seguiti spesso dall’aggettivo antiquo, a testimoniare la consapevolezza della vetustà e del valore che tali
preesistenze avevano.35 Proprio lo sguardo alla campagna intorno alla città
permette di delineare il rapporto esistente fra la mentalità cittadina e la campagna stessa. Una campagna legata profondamente alla cultura romana, anche
32 P. OLIVANTI , Antiche strade – Lazio – Via Tiburtina, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello
Stato, 1997, pp. 21-23; F. CARBONI, Antiche strade – Lazio – Via Prenestina, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1997, pp. 35-36; A. MESSINEO – A. CARBONARA, Antiche strade – Lazio – Via
Flaminia, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1993, pp. 16-17 e 26-27.
33 Si rimanda al contributo di A. CERUTTI , in questo volume.
34 M. MONTAIGNE, Viaggio ..., cit., p. 192.
35 A. ESCH , Monumenti antichi nelle descrizioni medievali nei confini dei dintorni di Roma,
«Arte medievale», n.s., II, 2003 (2), pp. 9-14.
* 299 *
DANIELA ESPOSITO
in termini tecnici e costruttivi murari; legata anche al modo di percepire l’antico da parte di uomini non sempre animati da conoscenze o passioni antiquarie ma, piuttosto, colpiti da una percezione intuitiva dell’antico nella semplice
quotidianità rurale. L’ingenuità è presente infatti nelle parole di un mercante
di stoffe a Douai, Jacques Le Saige, che, viaggiando da Douai a Roma, riportava nelle sue memorie l’idea che le alte muraglie degli acquedotti romani trasportassero non solo acqua ma anche olio e vino:
Si vedono resti di muri che si allungano fino al porto di Napoli dal quale ci sono
ben quaranta leghe almeno. E c’era sui detti muraglioni un tubo da dove veniva l’olio
e vino in un altro tubo e anche l’acqua dolce in un altro venivano cosı̀ da tre parti di
Napoli portati dentro Roma, poiché essi non osavano dunque bere la torbida acqua
del Tevere.36
Nella carta di Eufrosino della Volpaia sono raffigurati, anche limitatamente
alla zona del Suburbio, ampie strutture ad archi di antichi acquedotti, come
quelle in prossimità del casale Bocca di Leone, del fosso della Marrana, vicino
a porta Maggiore o lungo la via Latina; sono presenti anche alcuni sepolcri
allo stato di rudere, concentrati soprattutto lungo la via Appia antica; sulla
via Prenestina, a destra del fosso della Marranella, esisteva un casale denominato Monimento o Monumento, poi Tor de’ Schiavi, citato da Boccamazza,
casale che nel 1517 apparteneva alla famiglia de Rubeis col nome di ‘‘Casale
Monumento vechio’’ (fig. 7).37 Il termine era riferito, in genere, a edifici antichi a pianta circolare, maestosi e spesso in stato di abbandono e isolati nella
campagna intorno a Roma. L’impatto visivo di tali preesistenze, spesso iden36 J. LE SAIGE, Chy s’ensuivent les gistes, repaitres et despens que moy J.Le Saide marchant de
draps et de soye demourant à Douay, ay faict de Douay à Hierusalem, Venise, Rhodes, Romme, Notre-Dame de Lorette; avec la description des lieux, ports, cités, villes, et autres passaiges que moy J.
Le saige ay faict l’an mil chincqcent XVIII avec retour, Combray, 1520, pp. 16 A-B (da J. DELUMEAU,
Vita economica ..., cit., pp. 44-45).
37 ASR, CNC, vol. 1094, cc. 158v-165v (in A. RUGGERI , Dai nomi di famiglia ai nomi dei casali,
in Sulle orme di Jean Coste. Roma e il suo territorio nel tardo medioevo, a cura di P. Delogu e A. Esposito, Roma, Viella, 2009, pp. 119-169). Ruggeri affronta, nel testo citato, la complessa trasformazione
e articolazione del toponimo ‘‘monumento’’, in casali confinanti appartenenti a proprietari diversi nel
corso del XVI secolo. Ciò che interessa in questa sede è comunque la permanenza del toponimo
stesso, d’origine medievale (è attestato infatti fin dal XIV secolo) e riferibile alle strutture del mausoleo rotondo e dei resti di una villa con aula ottagonale sulla quale fu costruita, nel XII secolo, la
torre del casale. Si segnala solo un dubbio nell’associazione del toponimo ‘‘Monumento’’ con quello
di ‘‘Tor de’ Schiavi’’ sollevato da Ruggeri a proposito dell’esistenza, nella stessa area del mausoleo
cilindrico e della sala ottagonale della villa d’epoca imperiale sulla quale fu costruita una torre medievale appartenente ad un casale. Ai fini del presente studio permane comunque la considerazione,
qualsiasi sia l’emergenza individuata con il toponimo ‘‘monumento’’, della permanenza di tale termine che evidenzia la percezione della maestosità delle strutture nel panorama della campagna intorno a Roma.
* 300 *
INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI NEL SUBURBIO
tificabili con i sepolcri e i mausolei di famiglie aristocratiche romane costruiti
presso le prime basiliche cristiane extraurbane, nel paesaggio presso le mura
della città era di grande effetto, come ancora oggi è possibile intuire in alcune
zone della periferia romana.38 In questo caso il monumento è identificabile
con il mausoleo cilindrico noto col nome di Tor de’ Schiavi e, impropriamente, Mausoleo dei Gordiani, annesso alla basilica circiforme eretta nel IV secolo
presso la villa forse appartenuta della famiglia dei Gordiani.39 Al termine
‘‘monumento’’ è associabile anche la denominazione ‘‘torrione’’ riscontrata
in alcuni documenti relativi alla misura del casale Monumento del 1592, nei
quali è citata una ‘‘pedica del Torrione sotto la strada’’.40 Anche la parola
‘‘torrione’’, rara nella Campagna Romana, sembra essere utilizzata per individuare non proprio le alte e snelle torri medievali, quanto piuttosto le ampie
strutture circolari di mausolei o sepolcri. Alcune di queste strutture furono
anche utilizzate come basi o intere fortificazioni nel corso del medioevo. Infatti, sempre a proposito della Tor de’ Schiavi e, in particolare, delle strutture
del casale con torre del XII secolo eretto sui resti della sala ottagonale della
villa dei Gordiani, vicina e preesistente al mausoleo e alla basilica circiforme,
Pirro Ligorio scriveva, alla metà del XVI secolo:
Questo [rudere] è caduto per mano degli huomini, per che si vede che ne’ tempi più bassi, le gente factiose che erano in Roma [lo circundorno di un alto muro a
guisa d’un rivellino] et sopra le volta ne tirorono intorno un altro ornato di merli a
modo di riparo [havendovi prima piantato un pilastro di pietre] dal centro del tempio per insino a la volta, per maggiore sostegno di quella, et di quelli ripari fatti da
loro, et cosı̀ fu [ridutto in forma et in uso di fortezza], la qual poi si come io mi
credo...per opera di qualche pontefice, o pur del Popolo Romano, fu gettata a terra
per via di fuoco.41
Il rivellino descritto da Pirro Ligorio era un recinto che chiudeva il casale con
torre medievale e oggi non è più visibile. Ciò che emerge dalla descrizione è
l’approccio antiquario che consente di riconoscere le diverse fasi costruttive
presenti sulle strutture murarie del rudere.
38 E. LA ROCCA , Le basiliche cristiane ‘a deambulatorio’ e la sopravvivenza del culto eroico, in
Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana, Catalogo della mostra, a cura di S. Ensoli e
E. La Rocca, Roma, L’«Erma» di Bretschneider, 2000, pp. 204-220.
39 Sulla Villa dei Gordiani si rimanda a G. TOMASSETTI , La Campagna Romana antica, medievale
e moderna, a cura di F. Bilancia e M.L. Chiumenti, Firenze, Olschki, 192, vol. III, pp. 546-547;
G. BOVINI, Edifici cristiani di culto d’età costantiniana a Roma, Bologna, 1968; R. VOLPE, Le ville
del suburbio di Roma, in Aurea Roma, pp. 161-167.
40 ASR, CNC, vol. 1508, c. 339r citata in A. RUGGERI , Dai nomi ..., cit., p. 132, nota 54.
41 Ms. Bodleian, c. 30 in T. ASHBY , The classical topography of the Roman Campagna, «Paper of
the British School at Rome», I, 1902, p. 157 (da A. RUGGERI, Dai nomi ..., cit., p. 140, nota 76).
* 301 *
DANIELA ESPOSITO
A sinistra della via Latina erano visibili i ruderi della ‘‘Villa dei Sette Bassi’’ e lungo la via Appia antica erano presenti numerose strutture antiche, dall’‘‘Ippodromo’’ di Massenzio al sepolcro di Cecilia Metella, riprodotto nella
carta senza le strutture medievali addossate e, all’epoca della redazione della
carta, in abbandono, e i ruderi della ‘‘Villa di Scipione asiatico’’ (la Villa dei
Quintili). I toponimi presenti sulla carta della Campagna Romana di Eufrosino
della Volpaia che indicano e definiscono i monumenti antichi o che potrebbero essere segno di tali strutture sono diversi. In primo luogo, i termini o le
espressioni che indicano antiche strutture di sepolcri e le formae o formelle,
ossia le strutture degli acquedotti, legate alla presenza di condotte di acqua
(fig. 1). Altri toponimi tradiscono il permanere di termini e di strutture antichi. Ad esempio il nome ‘‘Centocelle’’, sulla via Flaminia, a poche miglia dalle
mura, indica un mausoleo cilindrico su basamento quadrato con diciassette
nicchie, disegnato da Pirro Ligorio, cosı̀ chiamato proprio per effetto del senso del colossale e del grandioso che la costruzione generava per la sequenza di
numerose aperture. La denominazione, utilizzata anche da Boccamazza, come
riferimento topografico per un percorso di caccia, indica il rispetto e l’ammirazione per la grandezza e il senso del mistero che tali manufatti incutevano.
Allo stesso modo i toponimi crypta e grotta sono indizio spesso di ambienti
abbandonati di antiche strutture a volta o di antiche cave di pozzolana. Le
cryptae della Domus aurea diedero infatti il nome alla pittura ‘‘grottesca’’
del XVI secolo. Cosı̀ si trovano citati, nella carta di Eufrosino della Volpaia,
il casale Grotta dei Greci, sulla via Tiburtina (oggi località Grotte di Gregna)
e Grotta Rossa, sulla via Flaminia, dalla presenza di cave di pozzolana rossa
(saxa rubra). Anche indicativi sono il toponimo marmorata o marmorea presente nel nome di una torre presso la via Appia e utilizzato per indicare anche
la zona intorno, ricca di reperti in marmo e altre pietre da costruzione di buona qualità.
Un altro toponimo, in verità poco diffuso nel Suburbio, ma comunque
presente, deriva dal termine ‘palazzo’. In un atto del 1537 relativo al ‘‘Casale
di San Clemente’’, situato poco fuori porta Sant’Agnese nell’attuale zona del
‘‘Tufello’’, fra i confini si indicava ‘‘lo palazecto del capo’’. Questo termine
rappresenta, con molta probabilità, un’eredità del passato medievale in riferimento alle strutture residenziali dei casali, i quali erano spesso dotati di palaczecti o palatia, ossia abitazioni di pregio dei proprietari dei casali stessi.42
42 J. COSTE, Descrizione e delimitazione dello spazio rurale nella Campagna Romana [1984], in
ID., Scritti di topografia medievale. Problemi di metodo e ricerche sul Lazio, a cura di C. Carbonetti
Vendittelli, S. Carocci, S. Passigli, M. Vendittelli, Roma, Istituto storico per il Medioevo, 1996,
pp. 25-40; A. CORTONESI, L’economia del casale romano, in Alle origini della nuova Roma. Martino
V (1417-1431), a cura di M. Chiabò, G. D’Alessandro, P. Piacentini, C. Ranieri, Roma, Istituto sto-
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INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI NEL SUBURBIO
LE
STRUTTURE EDILIZIE E LE INFRASTRUTTURE
In corrispondenza di crocicchi di strade e lungo i percorsi delle stesse, il
Suburbio, come l’Agro Romano, è caratterizzato dalla presenza di osterie come l’Osteria del Pidocchio, tra le via Aurelia nuova e la via Cornelia e all’incrocio di vie che solcavano il territorio a nord-ovest della porta Pertusa, oggi
non più riconoscibili. Un’altra osteria era situata presso porta San Sebastiano,
lungo il primo tratto della via Appia antica, quando questa superava il torrente Almone e in corrispondenza anche di un bivio costituito, a sinistra, dal percorso della via Appia dalla porta San Sebastiano e, a destra, dalla via Ardeatina che attraversava l’attuale parco della Caffarella (fig. 8). La posizione
dell’osteria, di antiche origini, sembra coincidere con quella di una taverna descritta da Capgrave alla metà del XV secolo «to the confort of pilgrims».43 Più
lontano, ai limiti del suburbio, altre osterie erano situate in prossimità di strade come la via Cassia, la via Flaminia e la via Ostiense. Qui, la struttura era
situata in vicinanza del casale di Tor di Valle, al sesto miglio circa della via
Ostiense. Un’altra osteria costeggiava la via Tiberina all’altezza di Prima Porta, al quinto miglio circa della via Tiberina e due ancora erano situate in corrispondenza della Storta, sulla via Cassia, a tredici miglia circa dalle mura e al
trivio fra questa strada consolare e due percorsi diretti uno verso nord-est, che
passava ai piedi dell’abitato di Isola Farnese e aggirava la valle del Baccano
per ricongiungersi con la via Cassia-Francigena, nei pressi di Campagnano,
l’altro verso nord-ovest, alla volta di Bracciano (fig. 9). Si trattava, in molti casi di strutture semplici coperte a tetto, con stalle e scuderie al piano terreno,
un ambiente per la ristorazione e spazi per dormire al piano superiore.
In prossimità dei percorsi stradali, dei torrenti e dei piccoli corsi d’acqua
erano presenti nel Suburbio, anche a poca distanza dalle mura, numerose fonti d’acqua potabile o fontanili per abbeverare gli animali. La carta di Eufrosino della Volpaia ne individua una notevole quantità; alcuni sono anche identificati con un nome, come la Fontana di Papa, nei pressi di Prima Valle, la
Fontana di S. Spirito e quella di S. Eustachio (Stati), citata dal Boccamazza
(‘‘Casale di Santi Stati, dove è un fontanile’’), il Fontanile di Mattei, in vicinanza del fosso della Maglianella, la Fontana dell’Acqua Acetosa alle sorgenti dell’acqua omonima, la Fonte Egeria, prossima al ninfeo appartenente ad una vilrico per il Medioevo, 1992, pp. 589-601; S. CAROCCI – M. VENDITTELLI, L’origine della Campagna
Romana ..., cit., pp. 7, 53, 85; D. ESPOSITO, Architettura e costruzione dei casali della Campagna Romana fra XII e XIV secolo, Roma, Miscellanea della Società romana di storia patria, 2005, pp. 83-84.
43 J. CAPGRAVE , Ye solace of Pilgrims, Oxford, Mills, 1911, p. 162 (in EUFROSINO DELLA VOLPAIA, La Campagna ..., cit., p. 34).
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DANIELA ESPOSITO
la romana (II d.C.), le Fontane dell’Acqua Vergine e Coverchiata, lungo la via
Tuscolana.
Nel Suburbio di Roma sono presenti anche alcune mole da grano, a ruota
verticale sui corsi d’acqua, e alcune gualchiere. La torre Valca, ad esempio, è
un edificio medievale i cui ruderi sono ancora visibili nella valle della Caffarella, a circa tre miglia dalle mura aureliane: era alimentata dalle acque dell’Almone ed è probabile che fosse una gualchiera (marcita) dei panni. Un’altra
torre, nella tenuta della Valchetta, presso l’ottavo miglio della via Flaminia,
sorgeva in prossimità del fosso della Varca, un toponimo (‘‘La Varca’’) che
richiama la funzione di gualchiera della costruzione, anch’essa d’origine medievale. Una mola era attestata sull’Almone, in prossimità delle mura di Roma
e della basilica di San Paolo (fig. 10).
Nel corso del XVI secolo furono progettati, e in alcuni casi eseguiti, interventi di sistemazione e abbellimento degli spazi aperti antistanti le facciate o
comunque gli ingressi alle principali strutture religiose del Suburbio, piazze
raccordate alla principale viabilità e direttamente collegate, attraverso tali strade, fra campi coltivati e prati, con le porte della città. Sisto V prevedeva di far
erigere un obelisco nella piazza antistante San Paolo fuori le mura; Gregorio
XIII (1572-85) fece demolire i resti di Laurentopoli per la creazione di un
piazzale antistante la facciata della chiesa di San Lorenzo: anche qui Sisto V
progettò l’erezione di un obelisco.44 Lo slargo davanti alla facciata della chiesa
di Sant’Agnese sarà sistemato nel 1600, in piena assonanza con gli altri interventi citati: fu realizzato un piazzale a mezza costa fra la via Nomentana e il
fosso di Sant’Agnese, affiancato dalla via di Sant’Agnese, aperta durante il
pontificato di Clemente VIII, che aveva un andamento ortogonale alla via Nomentana e diretto verso lo stesso fosso. Oltre ai complessi religiosi citati, a poche miglia dalla cinta aureliana si attestavano, lungo le principali strade che
uscivano dalle porte di Roma, la basilica di San Pancrazio, l’abbazia delle
tre Fontane, la chiesa dell’Annunziata (o dell’Annunziatina) in via di Grotta
Perfetta. Nelle vicinanze di porta San Sebastiano, sulla via Appia, si allineava
la facciata della chiesa del Domine quo vadis?, nell’area dove sorgeva anche
l’osteria e nei pressi del fiume Almone.
La presenza di terreni coltivati, prati, selve e boschi ricchi di selvaggina
favorirono lo sviluppo della caccia, un passatempo molto frequente all’epoca.
Un parco per la caccia fu allestito anche entro le mura, fra le rovine delle terme di Diocleziano; qui, il 10 novembre 1514, il cardinale Ippolito d’Este organizzò un banchetto e una partita di caccia per i cardinali Cybo, Bibiena,
44 Sollecito del papa Sisto V rivolto ai monaci di San Paolo affinché avviassero i lavori per l’erezione di un obelisco sulla piazza del 22 luglio 1587 (G. SIMONCINI, Roma ..., cit., pp. 297, 344,
393).
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INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI NEL SUBURBIO
Cornaro, Petrucci e d’Aragona.45 Il 29 gennaio 1515 Isabella d’Este fu ospite
nella tenuta del cardinale d’Aragona a Decima e in quella di Campo Salino per
assistere ad alcune cacce date in suo onore. Un incentivo alla caccia era dato
anche dalle disposizioni statutarie della città di Roma del XVI secolo, per le
quali la Camera Capitolina, al fine di far scomparire i lupi dalla città stabiliva
un premio per la loro eliminazione.46 Il 21 maggio 1513 papa Leone X istituı̀
la carica di ‘‘Commissario speciale per le cacce suburbane’’; per un raggio di
dodici miglia intorno alla città, il Commissario aveva il compito di moderarne
e sorvegliarne le modalità di svolgimento, di tutelare la conservazione dei volatili e degli animali da caccia e di sorvegliare che non venisse effettuata la caccia di frodo.47 Nel Suburbio vi era una zona dedicata alla caccia privata del
pontefice che comprendeva l’area della Magliana e si estendeva dal fiume Tevere al fiume Galera. Nell’ambito di tale attività, i casini del Suburbio, temporanei punti di sosta nella campagna, nelle vigne a poche miglia dalla città, erano associati alle battute di caccia, soprattutto dei pontefici e della sua corte, e
conservavano spesso un carattere agreste, a differenza delle ville suburbane
dove prevaleva il rapporto con il paesaggio naturale e progettato, ma anche
e con i panorami verso le antichità presenti nel territorio extraurbano. Il casino di Muro Torto, presso porta del Popolo, di proprietà dei Cybo Malaspina
e, dalla fine del XVI secolo, dei Borghese, presentava un carattere agricolo:
era infatti preceduto da un viale affiancato da una vigna.
La Magliana, un altro dei rari casini di campagna presenti nel Suburbio,
sorge al quinto miglio circa della via Portuense; fu ampliato, su strutture già
costruite, dal cardinale Girolamo Riario fra il 1471 e il 1480, da Innocenzo
VIII (1484-92) e dal cardinale Francesco Alidosi fra il 1505 e il 1510. Fu residenza di campagna dei pontefici, soprattutto dopo le battute di caccia. Nei
primi anni del XVI secolo, dopo i lavori al tempo di papa Giulio II, era costituito da un impianto a C con un cortile interno fornito di portici asimmetrici (fig. 11).48 Nel corso del XVI secolo, per questo tipo di residenze di campagna o casini, situati a poche miglia dalla città, si può ravvisare una diretta
discendenza dalla configurazione dei casali medievali, dei quali per altro erano
spesso un ampliamento, cosı̀ come l’affermazione di un modello semplice di
aggregazione degli spazi coperti e scoperti, chiusi su tre lati e con un muro
di cinta lungo il quarto lato, come nel casino di Muro Torto o in quello di
45 C. DE CUPIS, La caccia nella Campagna Romana secondo la storia e i documenti, Roma, Nardecchia, 1922, p. 26.
46 Statuti della città di Roma, a cura di Camillo Re, Roma, Tip. della Pace, 1880, p. 70.
47 ASV, Vat. Leonis X Brevia, Arm. XLIV, tom. V, 65 (in C. DE CUPIS , La caccia ..., p. 50).
48 I. BELLI – M.G. BRANCHETTI , Ville della Campagna Romana, Milano, Sisar, 1975, p. 10.
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DANIELA ESPOSITO
Pio V, in posizione dominante sulla via Aurelia.49 Simili tipi di residenza sono
presenti in modo molto più frequente nell’Agro Romano, soprattutto nella zona prossima all’area suburbana. Essi figurano, insieme ad altri, caratterizzati
da costruzioni compatte isolate circondate da un muro di cinta, e alle ville
che mutuavano la propria configurazione dai complessi fortificati e che spesso
erano caratterizzate da torri angolari non sempre realizzate per fini difensivi,
come nel caso di Lunghezza o di villa Catena a Poli.
Il nuovo ordine produttivo della campagna intorno a Roma si consolidò su
un assetto in gran parte già delineato nel medioevo, passando attraverso un
fenomeno di momentanea parcellizzazione delle estese proprietà tipiche dei
casali del Due-Trecento, il quale farà da ponte verso una nuova fase di accorpamento di proprietà che si avvierà dalla fine del XVI e si attuerà nel corso del
XVII secolo. Il cambio di attività produttiva comportò una modificazione anche nelle strutture rurali e agricole preesistenti e condizionò, logicamente, le
nuove costruzioni.
In particolare le strutture dei casali medievali presenti nel Suburbio erano
collocate a poche miglia dalle mura cittadine. Nel medioevo erano rari i casi di
complessi rurali o addirittura fortificati situati a meno di cinque miglia dalle
mura. La principale ragione era di natura difensiva; lo spazio libero davanti
alle mura della città era garanzia di visibilità e di avvistamento per proteggere
l’abitato e controllare il territorio circostante. Un caso eccezionale fu il castrum di Capodibove, a meno di quattro miglia da porta San Sebastiano, la
cui posizione risentı̀ delle origini, residenziali e rurali insieme, del casale
con palazzo che preesisteva all’intervento dei Caetani, negli ultimi anni del
XIII secolo (fig. 12).50 A Capodibove il processo di acquisizione, ripresa e
‘ammodernamento’ di un tale insediamento da parte dei Caetani nel territorio
del Districtus Urbis è un aspetto dell’avvicinamento della famiglia a Roma, culminato con l’acquisto della Torre delle Milizie nel 1301. Anche l’eccezionalità
dell’ubicazione del castello a meno di cinque chilometri da Roma (rispetto alla
norma che vede collocate tali fondazioni almeno a dieci-dodici chilometri dalla città) può essere spiegata proprio attraverso la volontà politica della famiglia
Caetani, sostenuta dal papa Bonifacio VIII.51 Nel 1484 il complesso era già
Ibid.
Solo la forza politica di Bonifacio VIII poteva favorire, alla fine del XIII secolo, la creazione
di un castello cosı̀ prossimo alla città, una scelta altrimenti in contrasto con le intenzioni e le aspettative del Comune romano fra la fine del Duecento e i primi anni del secolo successivo. Sull’insediamento di Capodibove si rimanda da ultimo a D. ESPOSITO – S. PASSIGLI, Alcune note sull’insediamento fortificato di Capodibove. Dal casale, al castrum, al casale, in Scritti per Isa. Raccolta di studi
offerti a Isa Lori Sanfilippo, Roma, Istituto storico italiano per il medioevo, 2008, pp. 369-402.
51 S. CAROCCI – M. VENDITTELLI , L’origine della Campagna Romana ..., cit., p. 31.
49
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INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI NEL SUBURBIO
abbandonato e fu preso in proprietà dai Savelli; alcuni atti ne registrano la
contemporanea trasformazione in casale agricolo.
Nel caso di Capodibove, come nell’intero Agro Romano, la fase d’incasalamento scaturiva da uno spontaneo passaggio dei territori dei castra a quelli
dei casali. Ciò che avvenne per l’insediamento di Capodibove è da intendersi
come un caso eccezionale nella storia del Suburbio romano, caratterizzato, nel
medioevo, solo dalla presenza di vigne, prati, di alcuni edifici religiosi, da
qualche casale e residenze rurali di famiglie del ceto nobiliare cittadino romano; un caso seguito alla trasformazione dell’assetto territoriale e delle attività
produttive, al progressivo spopolamento delle campagne e alla mancanza di
manutenzione delle strutture edilizie esistenti. Come casale, il complesso fu
ancora utilizzato per tutto il XVI secolo, frazionato e passato in proprietà alla
famiglia dei Leni.52 Nella seconda metà del secolo XVI la proprietà unitaria
dei Leni venne ripartita in due tenute: una, a destra della via Appia, di proprietà dell’ospedale del Salvatore ad Sancta Sanctorum e l’altra, a sinistra, acquistata da Rocco e Francesco Cenci (1549-1567).53
Il caso di Capodibove è paradigmatico nella sua atipicità; è un caso atipico
se lo si riferisce all’area nella quale sorge trasformandosi da casale a castrum e
quindi di nuovo in casale, ma porta in sé tutti i caratteri dei processi di mutamento peculiari del territorio intorno a Roma, in specie del Suburbio e dell’Agro romano. Intorno alle mura, dunque, il limite dell’area senza insediamenti che nel medioevo era distante circa quattro-cinque miglia si ridusse,
nel corso del XVI secolo, a una o due miglia; alcuni nuovi edifici rurali e alcune ville suburbane occuparono posizioni limitrofe alle mura, come ad esempio le ville del cardinale Riario alla Lungara, Turini Lante, di Bonifacio Ferrero, di Blosio Palladio, la Vigna de’ Medici e la Vigna Altoviti. Per quanto
riguarda le costruzioni, si pose mano a un limitato numero di nuovi investimenti e si verificarono alcuni casi di edifici abbandonati e destinati a cadere
in rovina, con esiti che si possono constatare nella raffigurazione delle torri
allo stato di rudere nella carta di Eufrosino della Volpaia (fig. 2). I nuovi edifici rurali erano di configurazione più semplice rispetto ai complessi rurali me52 Per le vendite del casale da parte di Lorenzo Martino di Lello Leni e di Rita Tedallini a Giordano Colonna, Subiaco, Biblioteca statale del monumento nazionale di Santa Scolastica, Archivio
della famiglia Colonna, perg. III, BB, XXX, 18, 12 marzo 1421 e perg. III, BB, XXX, 20, 15 marzo
1421. Per la proprietà dei Leni, I. AIT – M. VAQUERO PIÑEIRO, Dai casali alla fabbrica di San Pietro.
I Leni: uomini d’affari del Rinascimento, Roma, 2000, pp. 128-129.
53 Per le vicende relative ai passaggi di proprietà alla famiglia Cenci nel secolo XVI, A. RUGGERI, Le terre dei Cenci, pp. 82-84. Nel Catasto alessandrino (1660) le due tenute erano individuate
con i toponimi: ‘‘Capo di Bove dell’ospedale del Salvatore ad Sancta Sanctorum’’ (mappa 433A/49,
rubbia quarantasette pari a circa ettari ottantasette) e ‘‘Capo di Bove dei Cenci’’ (mappa 433A/50,
rubbia sessantacinque pari a circa ettari centoventi).
* 307 *
DANIELA ESPOSITO
dievali ed erano costituiti da edifici ad uno o al massimo due piani, talvolta
con torre adibita a colombaia (fig. 13).
La maggior parte delle strutture rurali esistenti nel Suburbio erano casali
medievali che continuarono ad essere utilizzati, assumendo gradualmente una
fisionomia completamente diversa rispetto alla prima fase di incasalamento
del XII-XIII secolo. Essi furono «frutto di un processo di investimento e di
innovazione molto più semplice di quello attestato in precedenza» e furono
dotati, nel tempo, di costruzioni come le stalle per il bestiame, caseifici per
la lavorazione e la stagionatura dei prodotti caseari, colombaie.54 Il processo
è ben delineato nella successione delle fasi costruttive del casale del Quadraro,
situato all’ottavo chilometro circa della via Tuscolana. L’edificio rurale era
dentro il casale del Quadraro, di proprietà di Giacomo Arcioni nei primi anni
del XIV secolo.55 Sorge su alcuni resti di strutture romane in opera reticolata
situate all’interno di un fundus romano, Lauretum, esteso, in epoca imperiale,
fra porta Sessoria (porta Maggiore) e la via Prenestina. La torre costituisce il
primo nucleo edificato del casale e risale al XIII secolo, periodo nel quale esso
viene citato per la prima volta dalle fonti documentarie. Alla torre si addossa
un primo volume, probabilmente una caminata, ossia una costruzione, generalmente addossata alle torri dei casali, con funzioni residenziali che giustificano la presenza di camini per la vita quotidiana dei residenti, in specie personale che lavorava per il proprietario e gestiva il casale e le sue terre (fig. 14).
L’edificio medievale fu ampliato, quando era proprietà dei della Valle, con un
54 S. CAROCCI – M. VENDITTELLI , L’origine della Campagna Romana ..., cit., p. 17. Per lo sfruttamento del territorio basato sul sistema del casale bassomedievale, J.-C. MAIRE VIGUEUR, Les ‘‘casali’’ des églises romaines à la fin du Moyen Age (1348-1428), «Mélanges de l’École française de
Rome», 86 (1974), pp. 63-136 e A. CORTONESI, L’economia del casale romano agli inizi del Quattrocento, in Ruralia. Economie e paesaggi nel medioevo italiano, Roma, 1995, pp. 105-118. Per il sistema
dei casali cinquecenteschi nella Campagna Romana, M. VAQUERO PIÑEIRO, Patrimoni agricoli e redditi
familiari nello Stato della Chiesa nel XVI secolo, in La famiglia nell’economia europea secc. XIII-XVIII.
Atti della ‘‘Quarantesima Settimana di Studi’’ 6-10 aprile 2008, a cura di S. Cavaciocchi, Fondazione
Istituto Internazionale di Storia economica ‘‘F. Datini’’ – Prato, Firenze, Firenze University Press,
2009, pp. 141-152.
55 La denominazione ha origini medievali e fa riferimento ad un enfiteuta del 1164, Guadralis,
del casale, all’epoca di proprietà dei monaci di Sant’Alessio. Una parte del casale fu venduta dagli
stessi monaci a Giovanni Arcioni nel 1288. Nel testamento di Giacomo Arcioni del 1309 e, successivamente, nel 1358 viene ancora denominato ‘‘Casale Quatralis’’ e risultava composto, nella descrizione degli edifici che vi insistevano, anche da una torre. Di proprietà del monastero benedettino di
S. Alessio e delle famiglie Arcioni e Astalli nel 1288, passò alla famiglia Colonna nel corso del 1420
secolo. Dalla metà del XV secolo e per tutto il XVI il casale fu dei della Valle; alla fine del XVI secolo, una parte della tenuta passò agli Astalli, i quali, proseguendo nell’acquisto delle altre parti, unificarono la tenuta nel XVII secolo per poi venderla, nel XVIII secolo, a Sciarra Barberini. Il processo
di ampliamento della grande proprietà proseguirà poi con i Torlonia, proprietari della tenuta e di
quella limitrofa detta ‘‘Romavecchia’’ già nel 1818 (G. TOMASSETTI, La Campagna ..., cit., IV,
pp. 87-93).
* 308 *
INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI NEL SUBURBIO
edificio addossato al lato meridionale della torre che comprendeva una scala
per l’accesso ai due piani superiori destinati alla residenza. Gli ambienti del
piano terra erano utilizzati per le attività agricole del casale; vi erano spazi
per le stalle, le scuderie, un pollaio e nello spazio aperto circondato dagli edifici disposti a L vi era l’aia o cortile, racchiuso entro un recinto. Una costruzione ad un piano a sviluppo longitudinale e adibito a stalla fu realizzato poi
dai Torlonia nel XIX secolo; gli stessi reintegrarono le merlature nei primi anni del XX secolo (fig. 15).
Sempre nell’ambito del Suburbio, le strutture edilizie del casale di Tor Fiscale rappresentano un caso di ‘immobilismo’ e di permanenza della configurazione medievale nel corso dei secoli successivi (fig. 16).56 I passaggi di proprietà del casale attestano che dagli Annibaldi, nel XIII secolo, esso passò alla
basilica di San Giovanni, tanto da essere denominato nel XIV secolo turris ecclesie sancti Iohannis. Nel 1385 sarà individuato con il nome di Turris Brancie
e risulterà di proprietà della famiglia Bastardella. Il terreno del casale era coltivato e tale funzione si protrasse nei secoli XV e XVI, anche dopo l’unificazione della piccola tenuta con altre proprietà terriere situate nella zona sud-est
del suburbio, operata dalla confraternita del San Salvatore ad Sancta Sanctorum (casale dei Sette Bassi, casale del Buonricovero, casale Statuario, tenuta
Arco di Travertino). Nel XVII secolo l’intera proprietà fu venduta alla famiglia Torlonia.57 Nel corso del XVI secolo cambiò, in questo caso, l’assetto fondiario e non la configurazione degli edifici del casale. Il casale con la Torre del
Fiscale divenne parte della vasta tenuta dell’Arco di Travertino del San Salvatore e poi dei Torlonia, senza mutare nulla della sua configurazione medievale
costituita da una torre posta al di sopra delle strutture dell’acquedotto Claudio, con ambienti più bassi adiacenti e recinto quadrangolare intorno. Questa
trasformazione si inserisce in un processo, ormai ben delineato e consolidato,
proprio a partire dalla fine del XVI secolo, di formazione di grandi latifondi.58
L’uso del suolo corrispondente all’antico casale medievale continuò, in questo
caso specifico, ad essere quello della coltivazione soprattutto di frumento e
grano.
Il Suburbio di Roma era, nel XVI secolo, uno spazio legato alla città e solo
apparentemente abbandonato; la vitalità del territorio suburbano si legge
piuttosto nel rapporto di dipendenza e di scambio con la città capitolina, dove
i percorsi viari e le vie d’acqua avevano il valore di connettivo e collegamento
56 A. LENTISCO , Tor Fiscale, in D. ESPOSITO , Architettura e costruzione dei casali della Campagna
Romana fra XII e XIV secolo, Roma, Società romana di storia patria, 2004, pp. 191-212.
57 G. TOMASSETTI , La Campagna ..., cit., IV, pp. 80-84.
58 In questo volume, si veda S. PASSIGLI .
* 309 *
DANIELA ESPOSITO
e le antichità mantenendo il ricordo della grandezza della cultura e della storia
di Roma. È quanto si evince dalle parole dello stesso Eufrosino della Volpaia,
il quale, in apertura della sua opera sul Paese di Roma, scrive, fra l’altro, a proposito del suo «nuovo disegno del Paese di Roma, il quale no[n] è meno da
essere considerato di fuora, che sia Roma di dentro, anchor, che soffocata dalle istesse rovine sue, ne mostra ogni di più che la sua antica grandezza».59
59
EUFROSINO
DELLA
VOLPAIA, La campagna ..., cit.: legenda nell’angolo in alto a sinistra della
Carta.
* 310 *
1
2
Fig. 1. EUFROSINO DELLA VOLPAIA, Il Paese di Roma, mappa della Campagna Romana,
1547: area suburbana (da ASHBY, La Campagna Romana al tempo di Paolo III).
Fig. 2. Il Suburbio di Roma: insediamenti nella seconda metà del XVI secolo (base
IGM 1:100.000). I cerchi pieni indicano i casali di nuova fondazione; i cerchi vuoti
al centro indicano i casali medievali trasformati tra il XV e XVI secolo.
3
4
Fig. 3. Roma, via Tiburtina: casale dei Gallicano (Torraccia): veduta d’insieme. Fig. 4. EUFROSINO
VOLPAIA, op. cit.: particolare del ponte Molle (ponte Milvio).
DELLA
5
6
Fig. 5. Roma, via Nomentana: ponte Nomentano (ponte Vecchio). Fig. 6. EUFROSINO
DELLA VOLPAIA, op. cit.: particolare dei sepolcri sulla via Ostiense.
7
8
Fig. 7. EUFROSINO DELLA VOLPAIA, op. cit.: particolare del casale
Monimento. Fig. 8. EUFROSINO DELLA VOLPAIA, op. cit.: particolare
del gruppo di osterie presso la via Appia in prossimità della porta
San Sebastiano.
9
10
Fig. 9. EUFROSINO DELLA VOLPAIA, op. cit.: particolare
del gruppo di osterie in località presso la Storta (via
Cassia). Fig. 10. EUFROSINO DELLA VOLPAIA, op. cit.:
particolare della mola presso il fosso Arrone, in prossimità della basilica di San Paolo fuori le mura.
11
12
Fig. 11. EUFROSINO DELLA VOLPAIA, op. cit.: particolare della Magliana. Fig. 12. Roma, via Appia
Antica: Castello di Capo di Bove presso il sepolcro di Cecilia Metella.
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14
Fig. 13. EUFROSINO DELLA VOLPAIA, op. cit.: particolare di una costruzione rurale del
XVI secolo. Fig. 14. EUFROSINO DELLA VOLPAIA, op. cit.: particolare del casale del
Quadraro.
Fig. 15. Roma, piazza dei Consoli:
casale e torre del Quadraro (rilievo
di F. Angeli, V. Delfini, C. D’Andrea, 2002). Fig. 16. Roma, parco degli Acquedotti: Tor Fiscale
(2009).
15
16