Anno 3, Numero 3

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Anno 3, Numero 3
Joe Berti
Anno 3 - Numero 3
Febbraio 2008
Liceo Classico e Linguistico V. Gioberti
Via S. Ottavio 9 - 11 10124 Torino
Per nostra grande fortuna, anche se siamo parte di una generazione rinunciataria di adolescenti fragili che alla prima difficoltà gettano la spugna, costretti a vivere in un ambiente scolastico rigido dove vigono metodi retrogradi e dove il lato umano non è in primo piano, in
questi due mesi post-natalizi
siamo riusciti a produrre il numero più bello della storia di
Joe Berti. Chissà, sarà la volontà di reagire.
Eppure è proprio qui, di fronte
a voi: trentasei pagine con
quattro interviste e il racconto
del viaggio ad Aushwitz fatto
da alcuni studenti trascinandosi
dietro le catene cui sono costretti durante il quinquennio di
liceo. Ma non un comune liceo
classico o linguistico: il Liceo
Classico e Linguistico Statale
“Vincenzo Gioberti” di Torino,
ormai assurto agli onori delle
cronache su prestigiosi quotidiani nazionali.
Ed è proprio questo, alla fine,
l’aspetto di cui non possiamo
(CONTINUA A PAGINA 3)
Mi sorprendo
ogni volta
Professori, laureandi, diplomandi
non sono casalinghe, sciampiste,
lobotomizzati. Eppure lo fanno.
Non tutti, ma molti...
A PAGINA 8
Il Gioberti
che Libera
Tutti ascoltavano il suo racconto
con indignato silenzio, provando
unanime ammirazione per il suo
coraggio e disgusto per una società
irrimediabilmente corrotta...
A PAGINA 20
Gomorra
Avete notato che in televisione non
si parla quasi mai di mafia? Eppure
qualche anno fa i telegiornali ci
tartassavano di notizie sulla cattura
di Provenzano...
A PAGINA 28
che essere felici: per una volta, i giornali parlano del Gioberti! Non il moderno Alfieri, non lo storico D’Azeglio,
non il blasonato Cavour, ma il Gioberti! Duro e retrogrado, però. E va beh,
non si può mica avere tutto dalla vita!
Ed è di qui che miracolosamente, tra
un mesetto circa, i redattori del giornalino riusciranno facendo l’autostop a
raggiungere Piacenza, dove si terrà un
Convegno Nazionale dei giornali scolastici con tema “La Costituzione Italiana”. Pensate un po’.
Ancora: Joe Berti aderirà al concorso della
stampa scolastica organizzato dalla Provincia
di Avellino nel mese di
Marzo. Per la partecipazione sono richiesti due
numeri dell’anno corrente.
Infine, a Maggio, ci sarà un altro convegno, questa volta a Chianciano Terme, in Toscana.
Tutte cose che speriamo di affrontare
meglio possibile, nonostante la durezza
degli insegnanti, che ci inseguiranno
ovunque, e la nostra nota psicolabilità.
Ma, per passare oltre, ci sono altre importanti novità da mettere in evidenza.
A pagina trentatrè troverete (mi si scusi
lo scioglilingua) un simpaticissimo tagliandino che potete compilare e inserire nelle celebri scatole poste
nell’androne in sede e in succursale.
Attraverso il tagliandino potete dare
un voto al giornale (da 0 a 10), esprimere preferenze sugli articoli pubblicati
o suggerire nuovi argomenti finora non
trattati. Tutto questo per farvi capire
che vi aspettiamo sempre a braccia
aperte.
Inoltre, stiamo (soprattutto la parte più
giovane della redazione) elaborando
alcuni cambiamenti della veste grafica
e dell’impostazione interna del giornale, che potrebbero comparire già sul
prossimo numero.
Infine, su proposta di alcuni, sarà probabilmente creata una nuova rubrica
all’interno di Joe Berti che riporterà i
risultati di indagini statistiche su argom e n ti
v ar i
f a t te
all’interno della scuola.
Per concludere, complimenti a tutti coloro che
hanno contribuito a
produrre così tanto materiale da portare il
giornale da ventiquattro a trentasei pagine.
Continuiamo così.
Dunque, i giornalisti de
La Stampa avranno pur fatto il loro
mestiere.
E noi, nel
nostro
piccolo, facciamo il
La
redazione
nostro.
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3
Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
(CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA)
Joe Berti
L ’ e d i t o r i a l e
l i b e r o p e n s i e r o
-
Fuga del Gioberti:: Realta ?
Joe Berti
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Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Nel numero del 14 febbraio
2008 de “la Stampa”, sulla
rubrica “Specchio dei tempi”, è stata pubblicata una
lettera che ha messo in agitazione il nostro liceo.
Simonetta
Agliotti,
pianista, madre di una
ragazza ginnasiale al
primo anno, ha voluto mettere per iscritto
un’ esplicita critica al
metodo
d’insegnamento e, cosa
ancora più grave, alla
sensibilità e all’umanità che (a suo
parere) non sarebbero
presenti all’interno del
liceo classico Vincenzo
Gioberti.
Sette ragazzi della
stessa
classe,
4°A
(sede) hanno dato
forfait. Hanno voluto
il nullaosta, e in pochi
giorni hanno iniziato
la frequentazione di
altri istituti. Non uno,
non due. Sette ragazzi, e della stessa classe.
Pare che i primi mesi
del ginnasio abbiano
significato per loro
un’angoscia tale, corredata,
come scrive la madre di
questa ragazza, da pianti e
depressione, da fuggire il
più lontano possibile. Ed
ecco che un trafiletto di
giornale diventa un caso: il
giorno dopo, 15 febbraio,
troviamo sul medesimo
giornale un articolo il cui
titolo è “Fuga dal Gioberti”.
Figure importanti come
Piero Gobetti sono uscite da
questo liceo, eppure i tempi
sono cambiati. E’ inevitabile
ammettere che il fatto che
sette ragazzi della stessa
classe abbiano deciso di
andarsene è un chiaro segno
di un problema. Non è cosa
Giulia Trivero
da prendere alla leggera,
sicuramente. Leggendo “La
stampa”, oltre che rimanere
profondamente colpita, ho
avuto un immediato moto
di irritazione. Eppure qualche secondo dopo ho
ripreso il giornale, e
ho riflettuto.
“C’era una volta una
figlia che voleva fare il
liceo classico” scrive
Simonetta e poco
dopo, parlando della
figlia, afferma “mai
avrebbe immaginato
di ritrovarsi in un luogo così poco adatto
ad una sensibilità profonda”. E’ dunque
vero? Il liceo classico
che, per il pensiero
comune dalla riforma
Gentile ad oggi, dovrebbe “aprire la mente”, dare una formazione adeguata ma al
contempo un carattere, spronarti, costruirti
un futuro in un modo
che (senza alcuna forma di razzismo) è
diverso da quello delle altre scuole è oggi
diventato un luogo “poco
adatto ad una profonda
sensibilità”? Non posso
prendere una posizione
decisa, sicura, perché la
mente è zingara, così come
(CONTINUA A FIANCO)
l’opinione comune. Eppure,
a primo impatto, mi sento
di difendere a spada tratta il
nostro liceo.
Credo che tutti si rendano
conto che la vita è un percorso a ostacoli. Sarebbe
piacevole frequentare una
scuola in cui si viene trattati
come pargoli da accudire,
almeno inizialmente. Ma
non sarebbe giusto. La rigidità, le insufficienze, i rapporti ostici con professori e
alunni, fanno parte della
scuola. Le botte morali for-
mano, stimolano, aiutano a
comprendere com’è difficile
muoversi nella giungla della
vita. E ora cos’è cambiato? I
ragazzi hanno troppa paura
di affrontare le decisioni
prese, perché percorsi in
salita? O sono i genitori,
talmente apprensivi da sentirsi spaventati dal mostro
della crescita? Mi auguro
che tutti si interroghino sui
motivi delle scelte di questi
ragazzi, ma soprattutto sui
motivi che hanno spinto a
fare accuse così pesanti. In
tutti i casi, non vi è il perico-
lo di alcuna indagine
dall’Ufficio Scolastico Provinciale. Sette ragazzi in
fuga smuovono gli animi dei
professori, dei genitori, e
temo anche degli alunni
stessi che ancora (e per fortuna!) frequentano il nostro
liceo, ma non abbastanza da
gridare al crollo. Forse…
E’ quindi solo un problema
di metodo di orientamento
non adeguato per i ragazzi
che decidono di iscriversi ad
un istituto superiore, o la
“fuga dal Gioberti” è il reale
inizio di un fallimento?
Di seguito riportiamo la lettera di risposta scritta dai ragazzi di IVA alla lettera citata
nell’articolo precedente.
Un ragazzino trova sempre il lato comico e divertente delle cose, così quando per la prima
volta abbiamo sentito che su La Stampa era stata
pubblicata una lettera sul Gioberti, increduli ci
siamo messi a ridere. Leggendo ciò che era stato
scritto in questa lettera, abbiamo sgranato gli
occhi quando, alla quarta riga, abbiamo scoperto
che non solo si trattava della nostra scuola, ma
proprio della nostra classe. Questa mattina, poi,
eravamo tutti sconcertati quando molti sono
arrivati dicendo che a noi, “super dotati”, e al
nostro istituto, avevano dedicato un’intera pagina della cronaca cittadina. Un ragazzino trova
sempre il lato comico delle cose, ma un ragazzino è anche capace di riflettere, di ragionare.
Leggendo di “retrograda rigidità”, “insegnanti
inflessibili” e “sensibilità offese”, abbiamo deciso
di esprimere le nostre opinioni riguardo la nostra
situazione di allievi, all’interno dell’ambiente
scolastico.
La cosiddetta “fuga” è cominciata con due allieve che, fin da prima dell’inizio dell’anno, non
desideravano intraprendere questo percorso di
studi. Oltre a ciò, in una qualunque classe di
liceo classico è abbastanza normale che , nei
primi mesi, circa tre studenti si rendano conto di
aver scelto un liceo inadatto alle proprio attitudini. Se nella nostra classe gli studenti a ritirarsi
sono stati sette, ciò non è dovuto alla rigidità
degli insegnanti e dell’ambiente scolastico, bensì
ad uno scoraggiamento dei ragazzi di fronte alle
prime difficoltà nell’organizzare lo studio, uno
scoglio da affrontare piuttosto che da evitare.
L’ambiente scolastico è sereno e vitale, niente
affatto coercitivo, a meno che si consideri
“coercizione” il naturale fatto di dover studiare,
che, tuttavia, non è un impedimento alle attività
extra-scolastiche (anche impegnative, come uno
sport a livello agonistico o lo studio della musica), che molti di noi svolgono regolarmente.
La nostra sensibilità, inoltre, non è stata trascurata in alcun modo e non si può pensare che noi, i
ventuno allievi “superstiti”, siamo insensibili
automi da studio. I consigli e le critiche costruttive aiutano a crescere e maturare e sono quindi
doverosi da parte degli insegnanti, con cui si è
instaurato un buon rapporto di confronto, non
certo basato su un atteggiamento di sufficienza.
Un bravo insegnante fa appassionare gli allievi
alla propria materia, non può, però, motivarli a
studiarla: a quindici anni dovremmo essere abbastanza indipendenti per saperci automotivare!
E poi i genitori non dicono sempre ai propri figli
che la scuola deve preparare alla vita? E che nella
vita non è tutto così facile?
LA IV A
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(CONTINUA)
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Senza titolo
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Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Io sono Nim Onào, e ho il
difetto di trovare sempre e
ovunque qualcosa da ridire,
di avercela sempre con qualcuno o qualcosa, di essere
sempre arrabbiato. E oggi in
particolare voglio parlare
della SQuola. La SQuola con
la S e la Q maiuscole, la
SQuola che non insegna, la
SQuola come grande complesso di enti e persone che
arriva
dal
ministro
dell’istruzione al vostro
professore di educazione
fisica. Intendiamoci, non ce
l’ho con tutti i professori, né
coi presidi (né tantomeno
col personale ATA). Non ce
l’ho con la Scuola Gioberti,
e nemmeno con chi ci sta
dentro. Però ultimamente
mi sono successe un po’ di
cose, ho fatto un po’ di
riflessioni che mi hanno
portato ad avere l’impressione che buona parte
di noi liceali, in quelle cinque o sei ore al giorno, non
faccia altro che perdere del
tempo. Beh, non è che io
abbia da esporre argomentazioni complesse e inoppugnabili, è solo che mi sembra che la scuola tralasci
l’insegnamento di un paio
di cosette fondamentali.
Innanzitutto, di frequente
non insegna ad imparare. O
meglio, ciò che vedo più
spesso è che la scuola insegna a studiare quello che
dice il professore, o al massimo a fare ricerche. La scuola
non sviluppa negli studenti
una vera e propria coscienza
critica del mondo che li
circonda, né insegna loro a
barcamenarsi tra politica e
attualità, argomenti sui quali
gli odierni mezzi di informazione di massa tendono più
che altro a creare una confusione e un’ignoranza bestiali. Non siete d’accordo
con me? Pace e bene, però
provate a vedere quanti, sul
totale
dei
promossi
dell’ultimo anno, sono effettivamente in grado di leggere un giornale. Oppure chiedete loro cosa sanno della
storia contemporanea (o
perché no, dell’arte, della
musica e della letteratura
degli ultimi cinquant’anni).
Non escludo poi che un
buon numero di studenti le
conosca, queste cose, però
dubito fortemente che sia
stata la scuola a insegnarle.
Poi, e questo lo considero
ancora più grave, a scuola
non si impara ad amare la
cultura che si studia. E a
proposito di questo vi racconto un bell’aneddoto: mi
trovavo a casa di un amico,
con una persona che io reputo assai intelligente, oltre
che dotata di una discreta
cultura (e che tra l’altro
frequenta la nostra stessa
scuola), che in questa sede
Nim Onào
chiameremo P. Stavamo lì, a
chiacchierare, quando P.
raccolse da un tavolo un
libro, “La vita e le opinioni
di Tristram Shandy, gentiluomo”, di L. Sterne, e lo
guardò come se fosse stato
un… boh, un pezzo di
m***a. “Che hai contro
quel libro?” esclamammo
più o meno in coro io e il
padrone di casa, che quel
libro lo adoriamo. E P. rispose “Questa roba l’ho
studiata a scuola, che schifo!”. Ora, se non avessi sinceramente ritenuto quella
persona davvero saggia e
colta, come ho detto (e non
lo dico per lusingare P, ma
per far capire il senso
dell’aneddoto), probabilmente l’avrei defenestrata
(si era al settimo piano di un
edificio del centro). Il fatto
è che secondo me se P. avesse letto quel libro senza
averne mai sentito parlare
probabilmente l’avrebbe
anche apprezzato. Però
avendolo conosciuto solo
attraverso schede di commento, biografia dell’autore, domande di comprensione, probabilmente lo
associa indissolubilmente a
un’imposizione, a una valutazione, alla faccia di un
professore, e quindi forse
non avrà mai voglia di leggerselo, quel libro. E trovo
(CONTINUA A FIANCO)
che questo non valga solo
per la letteratura, ma per
tutte le materie. Magari chi
è dotato di senso del dovere potrà anche studiare e
impegnarsi nelle materie che
odia, e forse avrà dei bei
voti, ma fuori da scuola
questo servirà a qualcosa?
Per finire, ho delle perplessità anche sull’opinione che la
gente ha della scuola. Alcuni
mi dicono “A scuola non
impariamo perché abbiamo
un atteggiamento sbaglia-
AHAHAHAH
C’era una volta un agnello,
che beveva alla riva di un
fiume, in un giardino truffaldino.
Era questo agnello un tipino
niente male, diciamo
un’animale molto spiritoso,
che collezionava battutine
molto divertenti e giochi di
parole. Al fiume incontrò il
suo amico elefante e gli
canticchiò la seguente canzoncina, molto in voga tra i
giovani del momento:
“Lero Lero Lillibullero
Lillibullero bullen a la
Lero Lero Lero Lero
Lillibullero bullen a la!”
Nell’esatto istante in cui
l’agnello finì di pronunciare
il celebre ritornello,
l’elefante, un vero gra(da)s-
to.” E io rispondo: l’atteggiamento dovrebbe darcelo
proprio la scuola, dare una
formazione vuol dire questo: a scuola ci entriamo da
ragazzini, è a scuola che
dovremmo impararli, gli
atteggiamenti costruttivi. E
dove, altrimenti? Concludo
con un altro aneddoto, tanto per dare il colpo di grazia: si parlava del fatto di un
parlamentare, che, interrogato dalle Iene (già, i comici
in questo paese contano
molto più che nel resto del
mondo), non aveva saputo
rispondere alla domanda
“Che cos’erano i Gulag?”. E
una delle persone che partecipavano alla conversazione
disse “Beh, si vede che non
aveva una famiglia in cui si
parlava di cose del genere…”
Questa è la considerazione
di cui la scuola gode presso
la gente oggi, questa
l’importanza che le viene
attribuita nella formazione
degli individui.
7
“I absolutely LOVE this thing, man!”–
Andrea Graziadei
so, rispose a gran voce che
si sentiva superiore a tali
tarrate e che lui ascoltava
solo Musica Vera. A sentirsi
rispondere con un tono
simile, l’agnello, sempre
propenso alla risata, disse
che la Musica Vera era un
po’ come un asino che vola,
cioè tutti la indicavano per
fregare gli altri.
Sul più bello, quando il litigio stava diventando acceso, non successe proprio
nulla. L’agnello, sapendo
che gli elefanti sono erbivori
con una lunga memoria,
schernì il suo amico e lo
mandò a casa. Ritornato nel
suo maniero, e dopo aver
ascoltato un buon disco di
Musica Vera Distillata,
l’elefante
(memore
dell’offesa) diede un colpo
di telefono alla volpe, che si
stava divertendo per i fatti
suoi.
Una volpe è sempre alla
ricerca di cose nuove, questo va da sé. La nostra volpe
decise di dare una mano
all’elefante in un modo
ingegnoso, ma di sicura
efficacia: avrebbe pubblicato sul giornale del Paese
delle Favole articoli di critica sociale noiosissima (vera,
per carità), cose del tipo
“Jingle Bells - Il Natale è
una schifezza”, “Siamo Drogati” e “Non Ci Sono Più Le
Mezze Stagioni”; l’agnello
leggendole, si sarebbe de(CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE)
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(CONTINUA)
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(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)
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presso e in seguito suicidato.
Rispose a lui l’elefante, dicendosi sicuro della riuscita
del piano.
A questo punto l’agnello,
che nonostante tutto era un
animale positivo, leggendo
articoli di tale attitudine su
di un giornale bello e rap-
presentativo come quello
del Paese delle Favole, un
po’ ci rimase male. Ma non
si scoraggiò, si fece una bella
risata e tirò avanti a fare
battute tipo “una duna dice
a un’altra duna “hai mica
visto qualche Duno?” e cose
del genere. L’agnello capì
che di fronte a persone che
vogliono sempre parlare di
cose deprimenti, non restava che pensare con la propria testa su quello che dicono, ridere e prendere la vita
con più felicità e amore, per
far vedere che a carnevale
ogni scherzo vale.
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Mi sorprendo ogni volta
Professori, laureandi, diplomandi non sono casalinghe,
sciampiste, lobotomizzati.
Eppure lo fanno.
Non tutti, ma molti. Non si
rendono, non vi rendete
conto che un gesto così
piccolo contribuisce a peggiorare le cose.
Che poi non è un gesto. E'
un non-gesto, si tratta di
non rifiutare, di farsi appioppare qualcosa di ben
più che inutile, dannoso.
Il danno ambientale è che
per stampare dei giornali ci
vuole la carta. Per stampare
tanti giornali ci vuole tanta
carta, e tanta carta significa
un grande spreco di risorse,
perchè o si abbattono alberi, o si spreca energia per
riciclare carta vecchia (e
acqua, e sostanze chimiche,
ecc ecc). Poi si spreca un
sacco d'inchiostro, e la ben-
zina che serve per trasportare quelle montagne di carta,
prima e dopo la stampa,
per tutto il tragitto fino ad
arrivare agli angoli delle
strade: da chissà dove fino
in via Po angolo via S. Ottavio, tanto per dirne una,
dove un simpatico signore si
trova costretto a rifilare
quel ciarpame gratuito a
tutti quelli che passano di lì
per andare a scuola..
Ma i vari giornali da strada,
quelli che non spendi una
lira per prendere eppure
valgono ancor meno, sono
una vera piaga, un morbo
in grado di atrofizzare buona parte della materia cerebrale… Metro, Leggo,
City… Articoli scritti coi
piedi da incompetenti, gente che "professionalità" non
sa nemmeno come si sillabi
(si prende la notizia ANSA o
Stefano Ugliano
Reuters che sia e la si sbatte
lì, magari si cambiano due
parole tanto per non aver
troppi sensi di colpa quando
si intasca lo stipendio), notizie da due lire, cronaca nera, rosa e del colore che
volete, sport che prende
due volte lo spazio delle
notizie dal mondo, eppure
a nessuno dà fastidio nulla
di tutto ciò.
Il fatto che una pubblicazione riesca a mantenersi gratuitamente, con i soli incassi
degli sponsor, significa automaticamente un crollo della
qualità. Ma a voi va bene.
A me non va bene per niente. E non mi vanno bene le
scuse di quelli che allungano
la mano per prendere la
loro copia. Ti interessa lo
sport? Guardatelo in televisione dopo, non ti cambia
(CONTINUA A FIANCO)
nulla. Ti prendi il giornale
per fare il sudoku? Sei un
pirla, comprati un qualche
coso apposta, ne hai dieci
volte tanto. Sei una
(femminile, come nella maggioranza dei casi...) di quelle
che legge solo l'oroscopo?
Probabilmente non meriti
neanche che i contribuenti
paghino per la tua istruzione. Vai a raccogliere i pomodori direttamente, ti
prego. Fatti investire dal 15.
Hai afferrato il concetto.
A me non è mai andato
bene. Non me ne frega nulla del simpatico signore
all'angolo di via Sant'Ottavio, non gli prendo il giornale perchè mi fa pena.
Piuttosto gli stacco la testa,
ma non accetto di diventare
complice di questi signori. IL
COLMO, PERO', l'han superato ieri. Metro, una pagina
centrale. Ho avuto la fortuna di buttare l'occhio
sull'"articolo" giusto, mentre
lo leggeva un mio amico.
NOTIZIONA, nuovi video
shock a Londra: in uno, in
particolare, un ragazzo si
riprende mentre, sdraiato
lungo i binari, si fa passare
un treno sopra, uscendone
illeso. Poi si alza e sorride
alla telecamera.
Predica, come faremo, queste cose sono scandalose. I
ragazzi ormai quasi si uccidono e poi mettono su youtube.
Solito articolo retorico, ma
ecco il colpo di scena. IL
GIORNALE PUBBLICA IL
LINK AL VIDEO...
Adesso, sinceramente, sono
l'unico a sentirmi schifato?
Offeso, ferito nella mia decenza? Nessun altro sente
quella puzza di ipocrisia (e
questa volta non è una parola usata a caso...) soffocante? Ora, io vi ho dato
mille ragioni per non prendere più, mai più, nemmeno
una copia dei giornali gratis,
ma è probabile che non ne
condividerete magari neanche una. Chissenefrega dello
spreco di risorse. Chissenefrega di gente che pretende
di fare il giornalista senza
conoscere l'ortografia. Chissenefrega se ancora una
volta servo come carne da
pubblicità per i guadagni
degli altri. Però non è tollerabile una mancanza di gusto simile. E non è tollerabile che voi imbecilli andiate
avanti a supportare editori
canaglie e giornalisti buffoni. Quindi FINITELA ORA.
Da questo momento voglio
che capiate quanto è stupido allungare una mano,
accettare un giornale, non
opporre resistenza all'avanzata dell'ignoranza.
Sappiate che, da parte mia,
la guerra è già cominciata...
,
Oui, l’amour
Non ne posso più. Di cosa,
non lo so. Ho 14 anni, divido il mio tempo tra amici,
scuola, ricerca dell’amore, o
almeno qualcosa che ci assomigli, libri, computer, tutte
le stragi che si sentono al
telegiornale, qualche de-
pressione, i normali litigi coi
miei, i miei meravigliosi voti
tra il 6 e il 7 raggiunti con
fatica (forse neanche troppa), qualche sogno ad occhi
aperti…insomma, una vita
del tutto normale e scontata. E allora cos’è che mi dà
Giada Aloi
noia, che mi opprime, che
mi pesa? Non lo so. Forse
proprio quel “qualcosa che
assomigli all’amore”. In
fondo, ognuno di noi ha
avuto, sta vivendo o sogna
le proprie esperienze con il
(CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE)
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(CONTINUA)
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Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
sesso opposto, qualche fidanzamento, serio o anche
no.
Chi le sta vivendo, aspetta
con ansia l’arrivo di San
Valentino. Se ne leggono
tante su questo Santo. Le
versioni più ricorrenti raccontano che il nostro beniamino era un vescovo, il
primo che celebrò un matrimonio tra un legionario
pagano e una fanciulla
cristiana, battezzando il
ragazzo. Purtroppo, durante la preparazione dei
festeggiamenti, la cristiana
si ammala di tisi. Lui viene
chiamato al suo capezzale,
e prega Valentino di unirlo
per sempre all’amata. Così
viene battezzato dal Vescovo, e subito dopo muore. Una storia un po’ triste.
Devo ammettere che tutte
le leggende legate a San
Valentino sono abbastanza
tragiche, e si concludono
sempre con la morte di
qualcuno. Un esempio (a
me sembra il più realistico),
narra che a Roma, dal IV
secolo a.C. i pagani erano
soliti mischiare in un’urna i
nomi di maschi e femmine
vergini e accoppiarli a caso,
facendo estrarre i due nomi
ad un bambino. Questo
gesto aveva lo scopo di
concludere il rito della fertilità. Ma la Chiesa volle mettere fine a questa cerimonia, proclamando un santo
degli innamorati. La carica
toccò, appunto, a Valentino, un vescovo martirizzato
circa duecento anni prima.
Volendo potremmo andare
avanti ancora per molto,
ma più o meno le leggende
si assomigliano, trovando
qualche piccola differenza.
Ma veniamo ad oggi. Come
dicevo, molti aspettano il 14
febbraio con ansia, occasione in cui si dimostra
l’amore, l’affetto che si prova nei confronti, solitamente, del partner... Tranne
qualche eccezione, questo
giorno è particolare perché
non si regala ciò che ci consiglia il cuore. Per convenzione sono nati dei doni
studiati apposta: le rose
rosse, che sono il simbolo
della passione e dell’amore,
un braccialetto o una collanina con le proprie iniziali,
un peluche tenero, e tanto
altro… occorre solo un po’
di fantasia e molto romanticismo. Ma sicuramente i
gesti più significativi rimangono le follie. Girovagando
un po’ su internet, ad esempio, si trova una ragazza
che ha scritto a mano
l’intero libro preferito del
suo fidanzato, completo di
rilegatura, disegni e dedica,
per poi regalarglielo; oppure di qualcuno che ha cantato una serenata alle due di
notte, e poi ha scoperto che
lei non era in casa.. E tante
altre idee improvvisate,
come farsi 25 chilometri di
superstrada col motorino
sotto il sole delle tre di pomeriggio e 38 di febbre,
rientrare in ritardo in caserma rischiando di essere denunciato per diserzione, o
ancora rimanere davanti
alla sua porta tutta la notte, passando poi una settimana con la febbre, per
poi finalmente mettersi
insieme, o infine andare ad
insegnare l’italiano a Taipei
per stare con la persona
che si ama. Ovviamente
tutto ciò non è stato fatto
per San Valentino, ma solo
per amore. Infatti la maggior parte della gente sostiene che non occorra proclamare una festa degli innamorati per manifestare i
propri sentimenti, perché
ogni momento dovrebbe
essere buono. Come non
dar loro ragione? In effetti,
questa è un’occasione come
un’altra per far guadagnare
fiorai, cartolai, gioiellieri…
però credo che alcune persone (mi riferisco più che
altro ai maschi) siano un po’
chiuse, ed abbiano difficoltà
ad esprimere ciò che provano. Così San Valentino li
aiuta, donandogli un po’ di
coraggio e la forza di non
lasciarsi influenzare dalla
timidezza… non vi sembra
il caso di ringraziarlo anche
solo per questo?
l i b e r o p e n s i e r o
scola. Il simbolo, usato da
due partiti nella scorsa legislatura, è stato sostituito
da un arcobaleno,
che non può non
ricordare
quello
nel simbolo della
fallimentare Unione. La fiamma
missina
ricompare,
goffamente, nel simbolo di un partito
guidato
da
uno
che è riuscito a farsi sconfiggere da un presentatore di un
programma della
sera. Resta lo scudocrociato, simbolo
conteso di un grande
passato naufragato
da tre lustri, nel
simbolo di un partito che è riuscito,
forse a fatica,
a mantenere
una linea coerente con i due anni
passati, senza confluire in estemporanei
contenitori.
Curioso vedere
come
l’accostamento verde–rosso sia tanto diffuso nei partiti. E dire che di
bandiere italiane normalmente se ne vedono solo
allo stadio, ed il verde si
vede col rosso solo sulla
pizza. Cinque simboli su sei,
di quelli qui rappresentati
hanno questo accostamento, come anche aveva la
fiammina del M. S. I. Il sesto… beh che dire, sobrio
ed elegante! Come si
vede in bianco e
nro sta che è un
bijou.
Ma perché mi
soffermo a lungo
sui simboli? Perché non parlo dei
programmi delle formazioni politiche che tra due
mesi voteremo, ed io, almeno alla camera, personalmente voterò? Beh, confesso con imbarazzo di
non aver molto
ben colto i programmi.
L’ici,
certo. La legge
elettorale. Il cambiamento,
d’altronde “si può fare”.
La politica ambientale non è
all’ordine del giorno? Non
lo è la giustizia, impossibilitata ad agire da norme bislacche (per
usare un termine
colorito)? Pare di
no, eh? Be’, andiamo a votare, chi
può. E magari non
fermiamoci ai simboli.
Joe Berti
Pochi giorni fa si sono aperte le danze e, uno dopo
l’altro, i partiti stanno
scendendo in pista.
C’è chi si muove
prima, in pullman,
chi ci mette ancora un attimo per
carburare,
senza
sapere bene dove
andare, e con chi. C’è chi
secede, e chi recede da passate secessioni. C’è poi qualcuno che nessuno vuole. È
in effetti un
pers on agg io
scomodo,
in af fi d abi le ,
ha
appena
fatto cadere
un governo, ed in precedenza aveva fatto parte di un
governo di segno opposto.
Assistiamo anche alla scomparsa dei simboli: rimane
l’ulivo, certo, adeguatamente ridotto,
ma scompare la
fiammina con la
scritta M. S. I. dal
simbolo di un partito in effetti scomparso
esso stesso e confluito nel
grande contenitore nato tra
la folla di piazza S. Babila.
Non c’è più traccia della
falce e del martello, che, ai
tempi
si
trovavano
all’ombra della quercia, e
furono poi sostituiti da una
rosellina altrettanto minu-
Francesco Delù
11
Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
Valzer elettorale
i
n
t
e
r
v
i
s
a luca mercalli
Joe Berti
12
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Definirlo un meteorologo
sarebbe estremamente riduttivo. Luca Mercalli, divenuto ormai famoso oltre che
per le sue innumerevoli
pubblicazioni anche per la
regolare partecipazione al
programma di Rai Tre Che
tempo che fa, condotto da
Fabio Fazio, è un fisico, un
climatologo, un ambientalista, un opinionista, un anti-TAV
sfegatato, un abilissimo oratore. E non si
limita certo a esporre
con la calma propria
di un qualsiasi professore universitario i
problemi del cambiamento climatico e del
riscaldamento
del
pianeta.
Piuttosto
cerca di coinvolgere,
convincere, di insegnare quale deve essere
oggi il comportamento di
chi tiene al proprio pianeta.
lazione studentesca molto
inerte, che, così, in qualche
modo è anche interessata ai
problemi, ma che li vive in
maniera assolutamente passiva, dicendo “Tanto c’è
qualcuno che decide per
me, e io, alla fine, mi ritiro
nel mio i-pod, sento un po’
di musica, mi guardo
t
a
Adriano Bollani
lando proprio con i giovani,
con gli studenti, e cercando
di fare con loro il punto
della situazione. Una situazione che vede il prezzo del
petrolio schizzato alle stelle,
il rischio sempre più sentito
di una crisi energetica globale, un ambiente disastrato
da interventi selvaggi e dalle
immondizie, e, d’altro
lato, un pianeta che
continua a riscaldarsi
raggiungendo,
nel
2007, la temperatura
più elevata mai registrata o tra quelle di
cui si hanno prove
attraverso i carotaggi
dei ghiacci che sono
stati fatti nelle zone
polari, e che ci permettono di avere dati fino
a circa 100000 anni fa.
E, di fronte a tutto ciò,
una quantità colossale
di energia sprecata,
l’impossibilità, l’incapacità o
la non volontà di diminuire
se non eliminare l’impiego
di materiali non riciclabili,
una serie di cattive abitudini
nella vita di tutti i giorni che
ci trasciniamo dietro da
cinquant’anni, dall’epoca
dell’abbondanza energetica,
dall’età dell’oro.
Voi avete
in mano la
possibilità di
condizionare
la
società, e non mi
pare
stia
avvenendo.
Ne è prova l’esordio della
conferenza tenuta qualche
settimana fa proprio qui al
liceo Gioberti.
«Voi avete già in mano, se
volete, la possibilità di condizionare la società. Cosa
che, in questo momento
storico italiano, non mi pare
che stia avvenendo: cioè, io
vedo purtroppo una popo-
l’ultimo videogioco, e lascio
che il mondo vada dove
vuole. Tanto non posso
farci nulla”. Questo sentimento, vi dico, prende anche me, certe volte, perché
viviamo in un mondo di
contraddizioni»
Critico dunque nei confronti
della società, dei giovani,
della politica, ma non certo
privo di speranze. Ed è per
questo che ha deciso di girare per le scuole d’Italia par-
Ma a lui la parola:
(CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE)
t
e
(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)
«Il 30% circa è la valutazione che l’Enea ha fatto a
livello italiano: il 30%
dell’energia attuale - ed è
tanta, parliamo praticamente di un terzo - oggi è spreco puro.
Per venire da voi questa
mattina io dalla stazione
sono passato in via Roma e
ho visto ancora una volta
tutti i negozi con le porte
aperte: la temperatura era
di zero gradi questa mattina
in centro a Torino. Allora,
qui abbiamo aperto la finestra purtroppo per
motivi di tipo, chiamiamolo, involontario: l’impianto di riscaldamento funziona
così; bisognerà fare un
gran lavoro per regolarlo eccetera… I negozi di via Roma, invece, le porte le tengono aperte di proposito, nella speranza che
qualcuno entri dentro
più facilmente a comprare. Allora il poveraccio che entrerà dentro a comprare pagherà
anche il riscaldamento buttato via da parte del negozio. Ma è proprio quello
che porta a fare una scelta
di questo genere! Ma questa
gente che sta lì dentro, ma
le commesse che stanno in
quel negozio, hanno mai
letto un giornale? Hanno
mai sentito un titolo di un
telegiornale? Sanno cos’è il
protocollo di Kyoto? Chiaramente non pagano loro…
Non ha senso, ed è questo
r
v
l’invito che io vi faccio ad
usare il cervello: ci si rifiuta
di entrare in un negozio
così, categoricamente! Io
non compro da te, non
entro nel tuo negozio, perché sei imbecille! Non compro!»
Ma, per quanto riguarda più
specificamente il cambiamento climatico, c’è anche
chi sostiene che in realtà,
nonostante la situazione
assolutamente inedita, non
sia dovuto per nulla al comportamento dell’uomo, ma
i
s
t
a
Italia un famoso scienziato,
Antonino Zichichi è notoriamente grande oppositore
dei cambiamenti climatici di
origine antropica, però sul
clima non ha una sola pubblicazione sul suo curriculum; magari sarà espertissimo di fisica delle particelle:
benissimo, studi quella!
Quindi io dico: prima di
tutto bisogna vedere quali
sono le obiezioni e in qualche modo qual è l’ambiente
scientifico che le produce;
poi
va
benissimo,
l’obiezione furba può anche
arrivare da uno che
passa per strada, però
bisogna poi provarla e
avanzare una teoria
alternativa. In questo
momento c’è molta
gente che dice “No
non è vero, non dipende dall’uomo”
però non dice da cosa
dipende il riscaldamento.»
Ma questa
gente che
sta lì, ha
mai letto un giornale? Sa cos’è il
prot ocollo
di Kyoto?
che dipenda esclusivamente
da un ciclo naturale.
«Vorrei vedere le prove:
non le ancora sentite, ho
solo sentito tante chiacchiere. Gran parte di coloro che
avanzano dubbi sui cambiamenti climatici di origine
antropica non sono climatologi, appartengono magari
alla comunità scientifica, ma
non sono climatologi, quindi attenzione, a ognuno il
suo mestiere. E vero: in
Lei ha espresso, anche
pubblicamente, posizioni contro la costruzione della linea ferroviaria
Alta Velocità che dovrebbe
attraversare una delle nostre
valli alpine.
«Sì. La realtà è che anche
sulla TAV siamo vittime di
una propaganda che non da
i numeri giusti. In realtà nel
sistema TAV, già solo a livello di costruzione, di cantieraggio, il bilancio energetico
è negativo. Cioè, vent’anni
di cantieraggio di un sistema
(CONTINUA A FIANCO)
Joe Berti
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Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
i
i
n
t
e
(CONTINUA)
Joe Berti
14
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
così pesante come una ferrovia Alta Velocità e
Alta Capacità con oltre
settanta chilometri
complessivi di tunnel
consuma più energia
nella fase di costruzione di tutta quella che
farebbe risparmiare
durante
i
primi
cinquant’anni di vita
utile qualora fosse
usata a pieno carico.
Quindi già questa è
una
contraddizione.
Secondo, il problema
più pratico è che la
linea per trasportare merci e
passeggeri esiste già e funziona benissimo, ed è
l’attuale linea, storica, Torino-Modàne, a doppio binario, utilizzata al venti per
cento della sua capacità. E
questo è stato, per fortuna,
sancito anche dal Governo, nell’ultimo
quaderno dell’Osservatorio sulla TAV.
Una parte della politica continua a sbraitare
che questo è il progresso e che siamo tagliati
fuori dall’Europa: queste sono parole vuote
di qualsiasi contenuto.
Cosa vuol dire tagliati
fuori dall’Europa? Io
vado a Parigi quando
voglio, prendendo il
TGV che ferma a Porta
Susa e ci mette cinque
ore e mezza. Che cosa cambia?»
r
v
Le previsioni del tempo
sono adesso molto precise e
i
s
t
a
tà previsionale attuale arriva
sia dalla potenza di calcolo,
dall’uso dei supercalcolatori a parallelismo
massivo che oggi permettono di fare qualcosa come 200 miliardi di miliardi di operazioni al secondo
(siamo attorno ai 230
teraflop, la velocità
dei computer più grandi), sia dal graduale
affinamento
della
comprensione
dei
meccanismi fisici, di
ciò che viene messo
dentro a questi modelli. Tuttavia senza i supercalcolatori i modelli non
potrebbero funzionare. I
primi modelli per fare le
previsioni del tempo sono
stati concepiti nel 1904, da
un punto di vista del concetto; però fino al 1950 non
si è potuto fare nulla
perché mancava la
capacità di calcolo: dal
primo calcolatore a
valvole del 1950 siamo
arrivati ad oggi usando
gran parte della conoscenza che era già stata
maturata prima. Chiaramente si aggiungono
ogni giorno un po’ di
dettagli.»
Il
30%
dell’energia
attuale - ed
è tanta, parliamo
di quasi un terzo oggi è spreco puro.
tra l’altro sono per tutta la
settimana. Quanto ciò è
dovuto al calcolo bruto,
cioè alla potenza di calcolo
che siamo in grado di mettere in atto, e quanto invece
è dovuto alla conoscenza
scientifica?
Cosa vuol
dire tagliati
fuori
dall’Europa? Io vado
a
Parigi
quando voglio!
Per concludere, una domanda di carattere più tecnico.
«Tutte e due: sono due
processi che viaggiano in
parallelo. Adesso è difficile
mettere dei numeri, però il
miglioramento della capaci-
La ringraziamo, professor Mercalli, e speriamo che la sua attività di divulgatore ci
aiuti a essere consapevoli e
a contribuire, seppure in
minima parte, a salvare il
nostro pianeta, o, come
dice lei, a salvare l’uomo.
t
e
r
v
a maurizio crosetti
La nostra classe, 5^A, ha
avuto la fortuna di partecipare, per entrambi gli anni
del ginnasio, ad un laboratorio di giornalismo tenuto
da Maurizio Crosetti, giornalista del quotidiano Repubblica. Al termine di questo progetto abbiamo colto
l’occasione per intervistarlo
e pubblicare sul Joe Berti le
opinioni di un vero giornalista.
Incuriosito per l’insolita
situazione, si tira su le maniche della camicia e sedendosi, sorride: “Per una volta
non sono io a preparare le
domande!”.
Esitando, gli chiediamo:
Ha sempre saputo di voler
fare il giornalista?
L’ho scoperto molto presto:
alle medie avevo partecipato ad un corso di giornalismo tipo il nostro e ci avevano portato a visitare le
redazioni dei maggiori quotidiani. In realtà ho sempre
saputo di voler lavorare con
le parole, con la scrittura.
Oggi c’è una facoltà di giornalismo: secondo lei si può
insegnare
o
è
frutto
dell’esperienza?
Non conosco bene il programma… Be’ , fino a poco
tempo fa potevano provarci
tutti a fare il giornalista, non
era importante conoscere le
i
s
t
a
Delia San Martino ed Eliana Vitolo
lingue, né niente. C’erano
solo 18 mesi di apprendistato e un esame; il rischio era
che ad essere assunti fossero
parenti e amici. Adesso almeno è richiesto un minimo
di preparazione in sociologia, lingue, economia. Dopodiché è un mestiere artigianale, che si costruisce giorno
per giorno, quindi l’esperienza è fondamentale.
Infatti lei ha partecipato ad
un laboratorio di giornalismo con la nostra classe:
perché? E come le è sembrato?
Penso che sia importante
trasmettere l’esperienza da
parte di chi ha il privilegio
di appassionarsi al proprio
lavoro, soprattutto a chi sta
ancora cercando dentro di
sé la propria strada. Non
spero di creare 30 giornalisti, ma se è successo a me,
perché non a voi?
Spesso quando chiarisci le
cose agli altri, e non sei un
insegnante, alla fine le chiarisci anche a te: questo laboratorio è come se l’avessi
anch’io. Avendo tre figli, so
che spesso si rischia di considerare i ragazzi una categoria, ma sono persone, singoli individui.
Tra i ragazzi di oggi, molti
sognano di fare il suo lavoro: crede che abbiano
un’idea distorta di ciò che è
fare il giornalista?
Ovviamente c’è il rischio di
avere un’idea troppo cinematografica, ma vale per
tutti i mestieri. Però non mi
stupisce, perché è un bellissimo lavoro. La tv ha cambiato tutto, ma secondo me il
giornalista rimane quello
che scrive gli articoli, non
chi appare, come chi va da
Bruno Vespa.
Quali sono secondo lei le
caratteristiche di un buon
giornalista?
Curiosità, desiderio di capire, capacità di raccontare.
Vengono meglio gli articoli
di cui non si sa niente, se il
giornalista ha voglia di farsi
il mazzo e ha freschezza
nello sguardo. Osservare i
dettagli per vedere la complessità. E’ un po’ come
quando un estraneo passa
nella via dove abitate: vede
duemila particolari in più
rispetto ai vostri occhi abituati. Inoltre non perdersi in
moralismi, ma attenersi ai
fatti. E’ molto più importante tutto ciò che viene prima
della parola: l’umiltà di
capire davvero; e soprattutto ciò che precede l’articolo:
non c’è nessuno che possa
scrivere dignitosamente se
non ha letto altrettanto.
Qual è la differenza tra lei e
(CONTINUA A FIANCO)
Joe Berti
n
15
Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
i
i
Joe Berti
16
n
t
e
r
v
(CONTINUA)
sull’informazione?
un giornalista di settimanali
o mensili?
Ovviamente quando si aggiunge uno strumento è
sempre qualcosa di positivo.
Però spero che rimanga la
curiosità di saperne di più, il
rischio è di accontentarsi.
Dipende poi sempre da chi
legge. Noi discutiamo di
queste differenze, ma molta
gente non si pone neanche
il problema, vive un po’
peggio, non perché meno
felice, ma perché ha meno
strumenti. Essere informati
serve nel pratico.
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Semplicemente hanno più
tempo, ma rischiano di far
invecchiare le notizie. Come
in cucina: una minestra scaldata è buonissima… ma un
sugo appena fatto col pomodoro fresco forse è meglio! Non so, sarà che sono
comunque un giornalista di
un quotidiano… Lavorano
un po’ meno, ma forse si
divertono anche un po’
meno. Non mi prendo mai
troppo tempo per scrivere.
Quando mi chiedono “Cosa
fai Lunedì?” “Ma che ne
so!” Da qui a Lunedì può
cadere dieci volte il governo. (Quasi un oracolo)
Si parla da un po’ di sostituire completamente il giornale cartaceo con quello virtuale: cosa ne pensa?
Sono due realtà che già convivono
parallele,
però
l’esperienza insegna che è
ancora il cartaceo a trainare
l’altro e secondo me tutto
ciò che ha corpo ha qualcosa in più di ciò che non lo
ha. Banalmente quello di
carta lo porti in tram, in
bagno, ci avvolgi il pesce.
Inoltre leggere al computer
affatica la vista, almeno per
me, sarà perché porto gli
occhiali. Comunque secondo me ci sono molte ragioni
per cui si può sperare che il
giornale di carta non venga
sostituito.
La possibilità di sapere tutto
e subito data dalla rete, che
effetti pensa che provocherà
sulle nuove generazioni e
Per concludere: potrebbe
raccontarci l’esperienza che
più l’ha segnata nella sua
carriera?
In generale segnano maggiormente le esperienze in
cui devi tenere a freno le
emozioni, ogni volta che si
ha a che fare con la sofferenza degli altri. E’ talmente
forte l’impatto emotivo da
persona che è difficile poi
dire: “lo tratto con sangue
freddo”. Però devi anche
farti coinvolgere, perché se
no non puoi raccontare
bene. Mi ricordo la finale di
champions Liverpool-Juve
in cui sono morti 39 tifosi.
Era la mia prima trasferta e
non avevo neanche la “leva
d’emergenza”; non avevo
mai visto morire nessuno, a
parte la morte di qualche
vecchio parente, cosa che
comunque fa parte della
vita di tutti. Lì era più tipo
la guerra: medici, tracheotomie, poi sangue, tutti blu…
transenne usate come barelle, ma anche bandiere, festoni,
striscioni…
era
i
s
t
a
un’atmosfera surreale, una
scenografia di festa con avvenimenti da fronte. Ma voi
forse siete troppo piccoli
per ricordarvelo: era il 1985
all’Heysel di Bruxelles. Dovete immaginarvi tutta la
curva degli italiani che viene
schiacciata dal muro divisorio… gente morta soffocata,
tutti blu… e i sopravvissuti
erano scappati in campo,
tutti cercavano qualcuno: il
figlio che avevi portato alla
partita, la fidanzata. I poliziotti hanno perso la testa e
hanno cominciato a manganellare la folla. Nell’85 non
esistevano i cellulari e noi
giornalisti eravamo gli unici
ad avere un telefono: la
gente veniva da noi perché
doveva dire a casa di essere
viva. Ci mettevano in mano
foglietti con sopra scarabocchiati i numeri di telefono,
qualche chiamata l’abbiamo
fatta, ma la linea doveva
rimanere libera per mandare
le notizie, anche se ti rendevi conto che il tuo problema
era molto inferiore al loro.
All’epoca immagini del genere erano ancora più scioccanti: pensate chi ha acceso
Rai1 alle 20:30, aspettandosi una partita e ha trovato
una strage.
Ho parlato anche troppo,
ma il lavoro
dell’intervistatore è quello di riassumere, quindi in definitiva
sono tutti cavoli vostri.
t
e
r
v
i
s
A Claudio Marino Moretti
Sono ormai cinque anni che
faccio parte del coro di voci
bianche del Teatro Regio e,
fin dal primo istante, la figura altera e severa del Mae-
stro Claudio Marino Moretti
mi ha affascinato.
Il Maestro è stato
per me, come per
molti altri ragazzi,
una guida e un esempio da cui prendere spunto.
In queste poche
righe (purtroppo il
tempo a disposizione era minimo) si
racconta come la
musica possa rapire
una persona, al
punto che questa
dedichi tutta la vita
ad inseguirla.
Ammetto che non
ero sicura che il
maestro accettasse
di essere intervistato, ha sempre tenuto alla
sua riservatezza e, spesso,
deviava le domande che i
bambini
facevano
a
quell’uomo che suonava
così bene il pianoforte. Peccato, dal prossimo anno
non potremo più vedere la
sua espressione orgogliosa
quando ci vedeva sul palco...il perché? Be’ leggete
l’intervista e lo scoprirete.
Quando è nata la sua passione per la musica?
“Fin dai primi anni, già dai
tempi dell’asilo, ho cominciato con piccoli strumenti
come la fisarmonica,
l’armonica a bocca o gli
organetti, per poi passare al
pianoforte - rispondendo
t
a
Lucrezia Mele
mo conosciuti e da lì è nato
tutto il resto…”Il maestro
Moretti racconta che da
collaboratore del maestro
Bruno Casoni, ex direttore
del coro che ora lavora al
teatro “Alla Scala” di Milano, è diventato il
nuovo maestro del
coro del Regio.
Come è nato il coro
di Voci Bianche?
“La nascita del coro
di Voci Bianche è
stata quasi casuale,
perché c’era il centenario de “La Bohème” qui al teatro
Regio, dodici anni
fa, e serviva un coro
di bambini e allora
abbiamo preso un
gruppo di ragazzi
della scuola media
del Conservatorio
Giuseppe Verdi…”
alla mia domanda continua
raccontandomi dei suoi
studi e della sua carriera -
ho cominciato gli studi relativamente tardi: a dieci anni
con un insegnante del mio
paese che era cieco…”
Quando ha cominciato a
lavorare al Regio?
“Prima di lavorare qui in
teatro ho lavorato a Milano
e poi mi è stato detto che al
maestro Bruno Casoni serviva un collaboratore, ci sia-
All’interno del teatro gira voce che Lei abbia
ricevuto un’offerta di lavoro
dal teatro di Venezia,è vero? “Sì, è vero, a giugno me
ne andrò”. Dopo questa
risposta secca, sono riuscita
però a far ammettere al
Maestro che il teatro Regio
gli mancherà e nel nominare
il coro di Voci Bianche ha
fatto un largo sorriso (un
tuffo al cuore, per me, pensare alle lezioni del mercole(CONTINUA A FIANCO)
Joe Berti
n
17
Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
i
i
n
t
e
(CONTINUA)
Joe Berti
dì e del sabato pomeriggio
senza di lui). Ha aggiunto
però che un’esperienza nuova significa anche crescere,
che arriva sempre il momento di cambiare e che ora è
arrivato.
Quale sarà il suo “successore”?
La risposta del Maestro Moretti è stata un “non si sa
ancora”: ci saranno però
due maestri distinti per i due
r
v
cori, quello degli adulti e
quello dei ragazzi, ma ancora non sono state scelte le
persone che ricopriranno
questa carica.
L’intervista finisce interrotta
dal suono del telefono del
Maestro ed io, un po’ scontenta del poco tempo ottenuto, me ne vado ringraziando. Restano ancora
pochi mesi prima che Claudio Marino Moretti si trasferisca a Venezia, fino ad allo-
i
s
t
a
ra ci sono ancora molti spettacoli da mettere in scena,
tra cui La Cenerentola
(Gioachino Rossini) e
l’Edgar (Giacomo Puccini),
non ci rimane che goderci
la presenza del maestro e
augurargli buona fortuna
per la nuova opportunità
che gli si è presentata, siamo
tutti sicuri che svolgerà un
lavoro ottimo come quello
svolto in questi anni al Teatro Regio di Torino.
18
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Due Parole con Pensiero Acutis
Dario (il) Barbao
Ho avuto, l'altro giorno, la
fortuna di parlare con il
signor Pensiero, presidente
della
sezione
torinese
dell’Associazione Nazionale Ex Internati
(A.N.E.I).
Abita nel mio stesso
condominio, due piani
sopra casa mia: avevo
letto, l'anno scorso, il
suo libro, Stalag-xa. Mi
era piaciuto: raccontava della sua prigionia
nel campo di lavoro
che si chiama, per l'appunto, Stalag-xa, in
Germania, durante la
Seconda Guerra Mondiale.
Eppure, fino a sabato, non
avevo mai parlato con Pensiero di quanto aveva vissuto: quando ci incrociavamo
in strada ci salutavamo e
basta. Ogni tanto salivo a
chiedergli delle uova o del
limone, nient'altro. Eppure
lui era stato in un campo di
lavoro, vicino ad Amburgo,
lavorando sotto i bombardamenti
anglo-americani.
Invece io l'avevo sempre
conosciuto solo come un
mite e gentile anziano.
Infine, forse senza averne
piena coscienza, decisi
di intervistarlo per
scrivere di lui qui, sul
giornalino. Sono salito
di sopra, dopo essermi
preparato al mattino
qualche domanda e
preso un piccolo registratore: l'avevo avvisato il giorno prima e
lui era lì, alle tre, che
mi stava aspettando.
Siamo andati nel salotto, ci siamo seduti e io
ho iniziato a fargli le
domande. Lui parlava
e io ascoltavo, come mai
avevo ascoltato fino a quel
momento: anche se avevo
(CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE)
t
(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)
già sentito in diverse conferenze persone che erano
state partigiani o prigionieri
dei nazisti, non ero mai
stato così attento. Stare di
fronte ad una persona che
ha vissuto quegli eventi per
cui rabbrividiamo quando li
vediamo in televisione o al
cinema era una sensazione
strana, bella e commovente
allo stesso tempo.
Era stato catturato dai tedeschi poco dopo l'armistizio,
nel 1943 e spedito in Germania insieme a molti altri
suoi commilitoni, a lavorare
nel campo di Stalag-xa. Era
arrivato lì in treno, su carrozze bestiame, insieme a
centinaia di altre persone,
come tutti schiacciato a causa dei treni sovraccarichi. Le
carrozze si fermavano raramente e per liberarsi dai
propri bisogni corporali era
stato adibito a bagno un
angolo. Il cibo veniva distribuito raramente e si dormiva schiena contro schiena.
E alla fine, dopo settimane
e
r
v
passate in questo modo,
Pensiero, era arrivato ad
Amburgo, nel nord della
Germania, a 288 chilometri
da Berlino, la capitale. Patì
sofferenze per il lavoro, la
fame, ma soprattutto per il
freddo, la prima cosa che
aveva ricordato quando gli
chiesi quali erano stati i momenti più difficili: non solo
in inverno, ma anche in
estate il gelo continuava a
tormentare i prigionieri.
Ora Pensiero ha 84 anni, è
nato nel 1924, a Torino: ha
scritto Stalag-xa e ci ha omaggiato di una copia. Ha
scritto il libro perchè non
vuole che si perda la memoria di quello che è avvenuto, perchè le testimonianze
scritte saranno imperiture, e
sono ancora molto poche:
questo perchè non tutti
riescono a liberarsi in pubblico da un peso così gravoso.
Un libro perchè noi giovani
dobbiamo sapere cosa è
accaduto: ma questo non
basta, dobbiamo cercare di
i
s
t
a
capire. Figli di deportati
hanno ripercorso le tracce
dei loro genitori, lungo la
Germania, per vedere dove
questi hanno sofferto. Anche noi dovremmo fare
così, per evitare di far cadere nell'oblio le stragi che
hanno causato la morte di
oltre 11 milioni di persone,
per non confondere le esperienze tragiche dei sopravvissuti con brutte favole, per non rendere il 27
gennaio una tradizione priva di significato.
Quest'anno Torino, che
pure vanta una medaglia
d'oro per la resistenza, ha
trascurato rispetto al passato
questa commemorazione:
Pensiero era infatti molto
deluso, triste a causa di
quanto poco la sua città
natale si fosse impegnata
per offrire manifestazioni e
conferenze. Sono passati
solo 63 anni dalla liberazione di Auschwitz da parte
delle truppe sovietiche, noi
non possiamo dimenticare.
Per sapere come far parte
del presidio di Libera
“Renata Fonte” o anche
solo per semplici informazioni, contattate Antonella
o Ivan della III D in succursale o Francesca della III E
in sede, oppure visitate il
blog del presidio.
http://presidiorenatafonte.spaces.live.com
http://gioberti.forumcommunity.net
Joe Berti
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19
Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
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Il Gioberti che Libera
Joe Berti
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Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Tutti ascoltavano il suo racconto con indignato silenzio, provando unanime ammirazione per il suo coraggio e disgusto per una società irrimediabilmente corrotta. Quel venerdì di dicembre
nella sala riunioni di casa
Acmos ad ascoltare Pino
Masciari, imprenditore calabrese oggi costretto a una
vita di isolamento e rinunce
per essersi opposto alle pressioni della ‘Ndrangheta,
erano riuniti membri di Libera, Terra del fuoco, Acmos,
tra cui il presidente Davide
Mattiello, ma soprattutto
molti ragazzi e ragazze, studenti di diverse scuole piemontesi. E mentre Pino,
tradendo una certa commozione, raccontava forse per
l’ennesima volta la sua storia, i suoi occhi umidi per le
lacrime, più volte scontratisi
contro muri di indifferenza,
sembravano cercare segnali
di speranza tra i volti giovani che lo circondavano. La
risposta a questa velata richiesta di aiuto e di collaborazione non tardò ad arrivare. Alcuni ragazzi del Gioberti, che da qualche settimana stavano maturando
l’idea di costituire un presidio, cioè un gruppo autogestito, all’interno di Libera,
trovarono nelle parole di
Pino il motore scatenante
che li spinse finalmente a
realizzare le loro intenzioni.
Ed ecco che, in quello stesso
gelido pomeriggio, quei
ragazzi finalmente fondano
il presidio, il cui referente
diventa lo stesso Pino Masciari, che volentieri suggella
la nascita del gruppo con la
sua autorevole firma. Un
mese più tardi, al coordinamento generale di Libera
Piemonte, il presidio è ufficialmente presentato da
Mattiello e viene dedicato a
Renata Fonte, una delle
prime donne vittime della
mafia, che, per aver perseguito i suoi ideali fino alla
fine in una determinata e
strenua lotta contro la criminalità organizzata, ne rimase
irrimediabilmente
colpita.
Renata Fonte fu uccisa il 30
marzo del 1984 a Nardò, un
paese in provincia di Lecce,
per essersi opposta alla lottizzazione e alla speculazione edilizia del parco naturale di “Porto Selvaggio” e per
aver sempre rifiutato apertamente ogni forma di ingiustizia in nome della legalità e
dell’amore per la sua terra.
Ed è nel ricordo di un grande personaggio come questo
che il presidio del Gioberti
inaugura il suo ingresso nella
rete di Libera. Perché la memoria, innanzitutto, è uno
degli impegni fondamentali
che ogni presidio si assume,
la memoria per un passato
costellato di stragi orribili e
di vittime eroiche che non
Ivan Ieri
devono rischiare di cadere
nell’oblio. In secondo luogo
è indispensabile per i
“presidianti” una costante
documentazione e continui
approfondimenti su temi
riguardanti mafia e legalità e
infine un impegno più concreto e attivo, che si può
risolvere nell’organizzazione
di assemblee e riunioni, nella
partecipazione alle iniziative
promosse da Libera, ma
anche in concerti, spettacoli,
o qualsiasi altra forma di
espressione artistica, in modo che ciascuno possa offrire
quanto è nelle sue risorse e
capacità per impreziosire il
mondo di Libera e per sentirsene parte integrante. Il
presidio “Renata Fonte”,
che per ora, sia per la sua
recente nascita sia per l’età
media dei suoi componenti,
è tra i più giovani in
tutt’Italia, sta ancora muovendo i suoi primi incerti
passi, ma una delle sue più
convinte speranze è quella
di riuscire ad allargarsi
all’interno dei muri dello
stesso Gioberti, raccogliendo
un numero sempre maggiore
di adesioni, per poter diventare magari “Il presidio degli
studenti” e vantare un’ appartenenza
rigorosamente
giobertina.
g i o b e r t i
Il giorno martedì 22 Gennaio
settecento studenti di varie
scuole di Torino si sono ritrovati al teatro Regio prima di
partire per un viaggio che
lentamente avrebbe cambiato
le loro vite. Dopo il saluto di
varie autorità torinesi, svoltosi nel più completo e rispettoso silenzio, divisi in gruppi ci
siamo diretti tutti verso la
stazione di Porta Nuova per
cominciare finalmente il nostro lungo e faticoso viaggio.
Ci siamo fermati solo in una
stazione prima di arrivare a
Cracovia (meta della nostra
esperienza): Milano Centrale,
luogo da cui molti ebrei furono deportati. Sul fianco destro di questa stazione c’è un
luogo (usato originariamente
per il trasporto di animali) in
cui, nei giorni di festa o nelle
domeniche, venivano ammassati circa seicento ebrei
alla volta, che poi venivano
caricati su carri bestiame dalle
SS a forza di manganellate e
bastonate. Questi carri bestiame, grazie ad un complesso
sistema di spostamento, venivano collocati sul tetto della
stazione tra il binario diciannove e venti e in seguito
calati, carichi di persone, sul
binario ventuno per formare
il convoglio che sarebbe partito per Auschwitz. Anche a
Milano siamo stati salutati
dalle autorità che, in maniera
molto commossa, ci hanno di
nuovo augurato un buon
viaggio e ribadito l’im-
portanza di questa esperienza. Durante il cammino verso
Cracovia abbiamo iniziato a
conoscerci meglio, anche con
i ragazzi delle altre scuole,
oltre che tra di noi: abbiamo
scherzato, giocato a carte,
riso, ma anche letto brani
tratti da diari e testimonianze
di alcuni sopravvissuti per
entrare nello spirito del viaggio e parlato tra di noi a
proposito di questo per vedere quali erano le nostre impressioni e i nostri pensieri a
riguardo. Tutti in fondo ci
chiedevamo le stesse cose:
chissà come saranno i campi
di concentramento, chissà se
quest’esperienza ci cambierà,
che cosa ci rimarrà, che cosa
invece ci lasceremo alle spalle. Il giorno dopo il nostro
arrivo a Cracovia (ormai il 24
di Gennaio), siamo andati a
visitare Auschwitz e Birkenau.
A questo punto terrei a precisare la funzione dei due campi, poiché spesso si tende a
considerare Auschwitz il campo dello sterminio: Auschwitz
(Auschwitz I) è un campo di
concentramento in cui la
maggior parte dei deportati
erano
prigionieri
politici
(infatti, Elie Wiesel ne “La
notte” dice che lì la gente era
più serena, genericamente più
tranquilla e non si doveva
lavorare come a Birkenau),
Birkenau (Auschwitz II) è il
vero campo di sterminio: i
deportati che arrivavano lì
dopo essere rimasti rinchiusi
Maria Luisa Candellieri
nei carri bestiame per a volte
anche due settimane venivano divisi in due gruppi dal
famoso dottor Mengele, coloro che venivano mandati a
destra erano salvi, quelli a cui
veniva indicato di andare a
sinistra (donne, bambini piccoli, vecchi, malati e coloro
che erano visibilmente in
condizione di non poter lavorare) erano destinati alle
camere a gas e ai crematori.
La prima impressione che fa
Auschwitz, se non si conoscesse cosa è successo lì dentro e per caso non si fosse
letta la
scritta
ARBEIT
MACHT FREI (il lavoro rende
liberi), è quella di una caserma, ma con un po’ troppo
filo spinato che la circonda.
Non appena si entra nei blocchi, che ora hanno la funzione di musei, ci si accorge che
la prima impressione era
quella sbagliata: i documenti,
le foto le sculture, ciò che è
rimasto dei prigionieri non
sono cose trascurabili. Ci
sono vetrine lunghe venti
metri e alte tre che contengono parte dei beni dei prigionieri: le scarpe, le valigie, gli
oggetti personali, le foto dei
loro cari che si portavano
dietro per non dimenticarli, i
capelli, i tappeti fatti con i
capelli, i vestiti dei bambini.
Nel blocco undici in particolare vi sono le celle dei prigionieri politici (trattati decisamente meglio degli altri
(CONTINUA NELLA PAGINE SEGUENTE)
Joe Berti
Il treno della memoria
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Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
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Joe Berti
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Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
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(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)
originale, ve ne erano solo
alcuni ricostruiti, ma che rendevano perfettamente l’idea:
ottocento deportati per capannone, in cui dormivano
stipati su letti a castello di
legno il cui “materasso” era
formato di paglia. In questi
capannoni per un certo periodo i deportati erano anche
costretti a fare i propri bisogni dal momento che fino al
1943 l’acqua non c’era. Le
latrine erano in capannoni
separati da quelli in cui i deportati dormivano ed erano
lastroni di pietra bucati, in cui
spesso i prigionieri cadevano
e da cui non potevano tirarsi
più fuori, perché troppo deboli loro e coloro che nel
caso avrebbero potuto tirarsi
fuori. Questo campo di concentramento è più inquietante di Auschwitz I anche perché è circa cinque volte più
grande dell’altro ed è posto
in una pianura in cui tirava
un vento gelido e fortissimo e
tutti noi avevamo freddo,
nonostante cinque strati di
maglioni, due paia di calzettone i pantaloni da sci. Lascio
immaginare lo stato dei poveri deportati, vestiti solo
con un pigiama di tela leggerissima. Alla fine dei binari è
stato costruito un monumento alla memoria del milione e
mezzo di ebrei uccisi a Birkenau, davanti al quale, dopo
la visita al campo, sono stati
letti dei brani che ricordavano le cose più atroci successe
nel campo e sono stati ricordati alcuni dei nomi dei deportati morti. La giornata
successiva si è basata su dibattiti fatti sia negli ostelli al
mattino, sia nell’Auditorium
prigionieri, quasi facessero
parte delle SS), e le camere di
tortura: delle celle di novanta
centimetri per novanta in cui
quattro prigionieri, se si
“comportavano male”, venivano messi a trascorrere la
notte, senza cibo, acqua e
addirittura senza aria, infatti
queste celle erano murate e
l’unico buco da cui poteva
passare dell’aria era quello da
cui erano entrati di quaranta
centimetri per quaranta. Sempre vicino al blocco undici vi
era anche il muro in cui venivano fucilati i prigionieri (ora
ricostruito) e nello stesso
spiazzo dei pali, che nessuno
di noi ha notato subito, ma
su cui la guida ha focalizzato
la nostra attenzione dal momento che a volte alcuni
prigionieri venivano legati a
questi pali con le mani dietro
la schiena, in modo che si
rompessero e il giorno dopo
venivano mandati al lavoro
con le mani rotte e se non
riuscivano a fare il proprio
lavoro venivano uccisi. Ad
Auschwitz il forno crematorio
non è stato distrutto e abbiamo potuto visitarlo, mentre
ben due dei forni crematori
di Birkenau sono stati distrutti
prima dell’arrivo dei Sovietici
e perciò ne abbiamo osservato solo le macerie. L’arrivo a
Birkenau è stato molto più
duro che l’entrata ad Auschwitz. Oserei definirlo angosciante: una distesa di camini circondata da filo spinato e da torri di guardia, attraversata al centro dai binari
del treno da cui scendevano
migliaia di persone alla volta.
Non c’era nessun capannone
dell’università di Cracovia al
pomeriggio.
L’argomento
centrale, almeno del dibattito
pomeridiano, è stata la guerra in Kosovo, ma per la maggior parte di noi, che non
conoscevano l’argomento o
ne sapevano decisamente
poco è stata solo una perdita
di tempo, pertanto tralascio i
dettagli di quest’ultima giornata passata a Cracovia. Per
concludere, trovo che quest’e
-sperienza sia decisamente
importante e privarne altri
studenti significherebbe non
avere assolutamente rispetto
per loro. Alcune scuole hanno deciso di portare solo
studenti del quarto anno:
reputo sbagliato anche questo, poiché, nonostante possano già essere maturi, non
hanno la preparazione adatta
ad un’esperienza simile, ovvero rimangono colpiti dal
tutto senza riuscire a dargli
un’importanza storica ben
definita, che secondo me è
uno degli aspetti più di valore per affrontare questa dura
“prova”. Aggiungerei solo più
un consiglio: se ci sarà una
prossima volta, spero che
tutte le classi vengano avvisate e non solo quelle della
sede e un paio della succursale, poiché sarebbe anche
questo un torto per i ragazzi
della succursale che non hanno avuto la possibilità di
affrontare questo viaggio ora,
durante l’anno della maturità, l’anno più importante
nella vita di ognuno di noi, il
più adatto ad affrontare questo grande passo.
g i o b e r t i
Ti Voglio Bere
Dal nucleo primitivo di
scuole che facevano parte
del progetto, di cui il gioberti era capofila, si è giunti
al buon numero di 25 istituti da tutto il Piemonte, di
cui tredici nella provincia di
Torino. I primi risultati del
progetto si riferiscono al
nostro solo liceo: 12% di
riduzione del consumo in un
anno, 369000 (sì trecentosessantanovemila) litri in
meno a persona, 590 litri
in meno a testa. Ora, se i
giorni di scuola sono
duecento all’anno, sono
te litri al giorno: due
bottiglie da tavola. Si
immagini dunque che
ognuno di noi accumuli
dietro al proprio banco
di giorno in giorno due
bottiglie:
dall’inizio
dell’anno sono passati
più di cento giorni, dunque ognuno di noi ha
risparmiato
duecento
bottiglie d’acqua. Si sforzi
un attimo la capacità
immaginativa e ci si rappresenti la scena: un risultato
non indifferente.
Questa è la soluzione del
cruciverba in ultima pagina: chiunque volesse
sottoporci giochi enigmistici o matematici li può
inviare all’indirizzo email
o inserire nella scatola
nell’atrio di sede e succursale.
Joe Berti
Il 30 Gennaio scorso in succursale è stato inaugurato il
T.V.B. lab, laboratorio interattivo creato come fase due
del progetto T.V.B., ti
voglio bere, di cui il nostro istituto è il polo. Si
tratta di un progetto per
l’uso consapevole delle
risorse idriche nelle scuole
superiori guidato dalla
SMAT, la società che gestisce l’acquedotto torinese
e
prevede
l’installazione nelle scuole
di riduttori di flusso e
nella scuola polo - il Gioberti, appunto - la realizzazione di un laboratorio
per la formazione di studenti ed insegnanti sul
tema del risparmio idrico.
Verranno infatti formati i
Water-manager,
studenti
incaricati di formare a loro
volta i compagni.
Francesco Delù
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Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
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Cinque lunghi interminabili anni
Simone Cattaneo
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I fatti che seguono sono
contenuti nel prologo del
libro di Marco Travaglio,
Gianni Barbacetto e Peter
Gomez intitolato "Mani
Sporche", del cui prologo ho
realizzato una sintesi da
condividere con tutti i
lettori del giornalino: i
temi trattati sono inquietanti, recano un
sentimento di impotenza nei confronti del
potere e suscitano la
voglia nel lettore di
arrabbiarsi. Tuttavia è
tutto vero, nonchè
informativo, giusto per
capire cosa è successo
negli ultimi 5 anni di
Storia Italiana a nostra
insaputa.
Il 5 Luglio 2006, su
ordine della Procura di
Milano, gli agenti della
Digos fanno irruzione
in un palazzo di via
Nazionale 230, a Roma, raggiungono l'interno 12, nel quale si trova
un mega-appartamento di
quattordici stanze dove vive
e lavora giorno e notte Pio
Pompa, nato a L'Aquila il 15
Febbraio 1951, funzionario
del Sismi, ovvero il Servizio
per le Informazioni e la
Sicurezza Militare, dal 1
Agosto 2007 trasformato in
Aise, Agenzia Informazioni
Sicurezza Esterna. È assunto
da Niccolò Pollari, Generale
della Guardia di Finanza
capo del Sismi dall'autunno
del 2001.
Sia Pompa sia Pollari sono
coinvolti nelle indagini sul
sequestro del'imam egiziano
Abu Omar, rapito a Milano
il 17 Febbraio 2003 da un
commando della Cia: Pollari
è indagato per sequestro di
persona, Pompa per favoreggiamento.
In quegli uffici di via Nazionale, oltre alle miriadi di
carte, dossier e report su
politici, magistrati, imprenditori, giornalisti, dirigenti
delle forze dell'ordine e
servizi di sicurezza, c'è di
molto peggio.
L'attenzione degli investigatori si concentra su un appunto anonimo: 23 pagine,
9 scritte a macchina, datate
24 Agosto 2001, in cui si
propone di "disarticolare
con mezzi traumatici" l'opposizione al governo
che da poco aveva la
maggioranza a Palazzo
Chigi. A una prima lettura, sembra un piano
d'azione redatto per
punti; letto col senno di
poi, emergono inquietanti analogie con il
programma in materia
di giustizia, libertà e
sicurezza poi messo in
atto dal governo Berlusconi.
Le prime due pagine
sono costituite da 3
elenchi, sotto il titolo
"Aree di sensibilità",
contenenti nomi di giornalisti, politici, intellettuali e soprattutto magistrati che sartebbero i
protagonisti e fautori di
"iniziative di aggressione"
contro "esponenti dell'attuale maggioranza di governo
e di loro familiari": delle
sorte di liste di proscrizione.
La terza e la quarta pagina
trattano invece il piano d'azione in sette punti, sempre
sotto il titolo "Aree di Sensibilità" (le parti virgolettate
sono il testo originale, le
(CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE)
(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)
mie semplificazioni sono
esterne alle virgolette):
1. "Disarticolazione, graduale ma costante del dispositivo approntato in sede politico-giudiziaria" da parte,
probabilmente, di Luciano
Violante. Si parla anche di
"un movimento trasversale"
caratterizzato da "correnti"
all'interno dell'Ordine giudiziario e che i presunti esponenti siano "strutture di supporto, di mantenimento del
consenso e di promozione
delle iniziative di aggressione".
2. Stessa "disarticolazione"
per gli esponenti della passata legislatura, considerati
favorevoli o alleati degli
esponenti del "progetto
aggressivo" del punto 1.
3. "Neutralizzazione di iniziative, politico-giudiziarie,
riferite direttamente a esponenti della attuale maggioranza di governo e/o di
familiari" (ecco a cosa servivano le liste di cui sopra)
4.
"Neutralizzazione"
o
"ridimensionamento di attività aggressive, politiche,
giudiziarie
provenienti
dall'estero, ma svolte in
sinergia con ambiti e soggetti di cui ai precedenti punti.
Paesi d'interesse: Spagna e
Inghilterra" (Berlusconi aveva a quel tempo problemi
giudiziari a Madrid con Telecinco e a Londra con David Mills e il caso AllIberian)
5. "Neutralizzazione" di
iniziative aggressive da parte
degli
enti
investigativi
n
dell'Unione Europea volte
alla "delegittimazione" della
maggioranza "al fine di promuovere interventi volti a
stimolarne le dimissioni"
6. "Esigenza" di un "team"
che si occupi preventivamente di ogni "iniziativa
aggressiva"
al
fine
di
"attuarne misure di neutralizzazione o di deterrenza",
oltre alla possibilità di
"svolgere attività di dissuasione" mediante "adeguate
contromisure in Italia e all'estero".
7a. La tempistica di questo
progetto prevede una "fase
di avvio e rodaggio che
deve essere quanto meno
iniziata con effetto immediato".
7b. "In questi termini una
iniziale reattività è prefigurabile fin dalla prima quindicina di Settembre, mentre
una congrua messa a regime
del sistema richiede un periodo temporale minimo di
almeno sei mesi".
Per quanto riguarda invece
il
capitolo
intitolato
"Attività di tutela di eminenti personalità di governo", vi
sono due punti atti a proteggere l'esecutivo, sulla
falsa riga dei precedenti 7
punti: ricorrono spesso riferimenti alla "valutazione di
atteggiamenti
impropri",
"monitoraggio dei settori
notoriamente
sensibili",
"studio di ipotesi di lavoro
volte a neutralizzare iniziative improprie", particolare
attenzione alla "credibilità di
organi e/o soggetti di governo".
d
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Delirii di uno o più spioni?
Macchè. Progetti che verranno messi in opera dal
governo Berlusconi e dalla
sua maggioranza - come
dice il dossier - "fin dalla
prima quindicina di Settembre" e nei mesi successivi. Se
i sovversivi da "disarticolare"
si muovono sul fronte della
corruzione e dei reati finanziari, ecco subito la legge
che depenalizza il falso in
bilancio. Se il nemico si annida anche nelle magistrature del resto d'Europa, ecco
pronta la legge che cestina
le rogatorie internazionali. E
se il nuovo governo deve
guardarsi dagli "organismi
investigativi
dell'Unione
Europea",
come
l'Olaf
(l'Office européen de Lutte
Anti-Fraude) e l'Eurojust (la
superprocura europea di
Bruxelles), ecco il sabotaggio di entrambi gli organismi, seguito dal no del governo italiano al mandato
di arresto europeo (per i soli
reati di cui Berlusconi è imputato all'estero).
Il 23 Novembre 2001 il
governo blocca la nomina
all'Olaf di Perduca, nominato due volte nelle liste del
dossier, e anche Mario Vaudano e Nicola Piacente, che
hanno vinto un regolare
concorso.
Il 13 Marzo 2002 si replica
con l'Eurojust: questa volta
ad essere estromesso è Giancarlo Caselli, nonostante
tutta la procura cerchi di
convincere il governo a
mantenerlo
nell'incarico.
(CONTINUA A FIANCO)
Joe Berti
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(CONTINUA)
Joe Berti
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Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Caselli poi verrà anche escluso dal concorso per la
Procura Antimafia con due
leggi "contra personam".
Da segnalare anche le persecuzioni con "iniziative traumatiche" (prima fra tutte la
la sospensione della scorta
per tutte le toghe di prima
linea) alla Boccassini, a
Colombo, ai fratelli Mancuso, a Natoli e Ingroia
(estromessi dall'antimafia di
Palermo) e a tutti i magistrati iscritti nelle liste della prima parte del dossier di via
Nazionale.
Tutto ciò continuerà con
n
una sequenza impressionante nei primi due anni del
governo e anche negli anni
a venire, segnato da silenzi
inauditi, leggi vergogna,
disinformazione, censura e
chi più ne ha più ne metta.
Basta seguire la scansione
cronologica dei fatti per
comprendere che un'azione
cosi perfettamente funzionante e impeccabile che ha
potuto perdurare per tutta
una legislatura, necessitava
di un'architettura a monte
che passasse inosservata, in
quanto messa in atto da chi
osservava, vale a dire i Servizi Segreti. Un'architettura
d
o
che, finora, continua anche
durante l'odierna maggioranza
di
centrosinistra/
destra, perchè fondamentalmente conviene a chi sta al
potere
“Disarticolare, spiare, calunniare magistrati, giornalisti e
intellettuali scomodi per il
governo. Questo si progettava e si faceva negli uffici
del Sismi, mentre Berlusconi
sedeva a Palazzo Chigi.
Per cinque lunghi, interminabili anni.”
http://gioberti.forumcommunity.net
L’email del
Joe Berti
[email protected]
Il sito del Joe Berti http://www.infojoeberti.altervista.org
La pagina del J.B. http://liceogioberti.scuole.piemonte.it/JoeBerti/joeberti.htm
sul sito della scuola
Il blog degli studenti
http://giobertinfo.spaces.live.com
n
Piccole donne crescono
Il
termine
“emancipazione” (dal latino : affrancamento dalla schiavitù) presuppone che la donna parta
da una condizione di inferiorità; in realtà non è esattamente così: è scientificamente provato che, già
dalla nascita, a parità di
difficoltà , le femmine vanno più avanti e, poiché -per
decreto biblico- il dolore è
una faccenda soprattutto
femminile, esse sono dotate
di maggiore resistenza al
dolore fisico.
Quindi, la condizione di
schiavitù è stata indotta
dall’ uomo nel corso dei
secoli: è infatti noto che,
nell’ antica Grecia, la legislazione di Sparta non poneva
alcuna discriminazione tra
uomini e donne, così come
gli antichi Egizi avevano da
sempre riconosciuto alla
donna capacità e diritti per
poter essere regina, sacerdotessa, moglie e madre.
Purtroppo però, sparite
queste illuminate civiltà, si è
sviluppata e radicata nel
tempo una profonda discriminazione verso la donna,
considerata un essere inferiore e privata dei diritti più
elementari.
Occorrerà attendere la fine
del secolo XIX per intravedere possibili spiragli di
democrazia.
Concedendo alle donne
l’accesso alle università,
inizia per loro un lento ma
inesorabile processo di emancipazione, sempre molto contrastato da una società profondamente maschilista. Tant’ è che risulta ancora attuale il concetto esplicitato da Nietzsche (in “
Così parlò Zaratustra”),
secondo cui “due cose vuole
un vero uomo: pericolo e
gioco; perciò vuole la donna, in quanto è il giocattolo
più pericoloso”.
Già in un’ antica commedia
greca un personaggio maschile diceva: “Insegnare ad
una donna le lettere? E’ un
grave errore ! Come fornire
altro veleno ad un pericoloso serpente velenoso”.
Il problema, quindi, sta
proprio in questa lampante
contraddizione : continuare
a considerare pericoloso il
cosiddetto “sesso debole”;
tale convinzione ha indotto
l’ uomo ad imporsi sulla
donna, riducendola a terra
di conquista, ad oggetto da
utilizzare, evitando quindi
aprioristicamente il confronto, nel quale è anche possibile perdere, visto che il
soggetto è “pericoloso”;
tanto pericoloso da doversi
meritare l’ emancipazione,
come è accaduto in Italia,
ad esempio, quando nel
1945 è stato concesso il
diritto di voto alle donne,
d
o
Eleonora Calfus
interpretandolo come un
“riconoscimento alla prova
di capacità di lavoro e sacrificio” (M. Mafai – L’ apprendistato della politica) e
non come un diritto.
Oggi, almeno in Occidente,
sulla carta vengono garantiti
alla donna tutti i diritti,
anche se la strada da percorrere è ancora molto lunga e
troppo spesso ostacolata
dalla stessa donna: sono
purtroppo all’ ordine del
giorno tante situazioni familiari in cui la donna continua ad accettare, rassegnata, evidenti condizioni di
inferiorità,
abbassandosi
spesso a ruoli infimi per
compiacere il compagno
violento e prepotente, senza avere quello scatto di
sano orgoglio che dovrebbe
essere né maschile né femminile ma semplicemente
umano, tale da potersi affrancare da quella condizione di vittima di uomini egoisti, egocentrici ed incapaci di amare, “che amano se
stessi in voi, come un riflesso” (D.Maraini – Donne
mie).
Così come è addirittura più
deprimente verificare la
totale mancanza di amor
proprio da parte di tante
altre donne “emancipate” ,
o che per lo meno potrebbero essere tali, avendo la
(CONTINUA NELLA PAGINE SEGUENTE)
Joe Berti
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c
(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)
Joe Berti
28
fortuna di essere dotate di
strumenti e capacità con cui
poter competere alla pari
con i fratelli uomini.
Anziché solidarizzare con le
altre donne, scendono a
compromessi con la loro
dignità, plasmano la propria
personalità, adattandola all’
e
n
s
atavico modello di “donna
come la pensano gli uomini,
cioè una persona leggermente inferiore” (N.Aspesi –
La donna immobile).
Malgrado tutto, però, il
processo di emancipazione
va avanti, rendendo possibile, oggi, la corsa alla presidenza degli USA da parte di
i
o
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
ogni settore commerciale
disponibile sulla piazza (dai
vestiti
di
marca
fino
all’edilizia e persino lo smaltimento dei rifiuti) e sembra
intenzionato ad allargarsi sul
mercato
internazionale.
Un’intera sezione dedicata a
spiegare i metodi con i quali
la camorra gestisce i suoi
affari: qui non si tratta delle
solite sparatorie e pizzini. Le
realtà più crudele di questa
“impresa su larga scala” , dai
drogati usati come cavie per
testare nuove droghe ai
bambini pusher, raccontate
da persone comuni che hanno lavorato per la criminalità, spinti dalla disperazione
oppure a loro insaputa.
Testimonianze raccolte personalmente dall’autore e
riportate sotto forma di
racconti che narrano storie
di vite spezzate e consumate
dal “sistema”, come viene
chiamato dai napoletani. Un
viaggio che parte dal porto
i
una donna.
Ciò dimostra che, perseverando, è possibile che il
mondo si emancipi e giunga
presto a considerare l’ individuo per le sue qualità,
accettando la diversità dei
sessi come una ricchezza
dell’ umanità.
Gomorra Di roberto Saviano
Avete notato che in televisione non si parla quasi mai
di mafia? Eppure qualche
anno fa i telegiornali ci tartassavano di notizie sulla
cattura di Provenzano, sugli
arresti massicci di camorristi
e n’dranghetani, sulla probabile fine di un’orribile
realtà che ha perseguitato
l’italia fin dalla sua nascita.
Ma cos’è veramente la mafia? Quali sono i meccanismi
che fanno muovere questo
enorme macchinario? Questo libro non potrà di certo
rivelarvi verità sconcertanti,
ma vi potrebbe aiutare a
capire meglio il sistema che
si cela dietro.
Un viaggio che percorre le
terre della Campania dilaniate da questo morbo incurabile
che
si
chiama
“camorra”: da Napoli fino
ai
paesi
più
sperduti
dell’Appennino un potere
che controlla il mercato
locale e si è impossessato di
n
Gabriele Cauda
di Napoli nella notte profonda, quando vengono
scaricati milioni di container
di merce contraffatta che si
dissolvono come fantasmi
nel giro di mezz’ora. Dopo
aver illustrato i giri d’affari,
ecco una sezione dedicata
alla storia di Napoli in questi ultimi otto anni. Una
città terrorizzata dalle guerre dei clan (anche qui una
raccolta di testimonianze su
parenti e amici delle vittime
delle guerre di camorra)
fino ad arrivare al grande
processo anti-mafia più importante di tutti i tempi, del
quale non si è parlato assolutamente in televisione, del
2007.
Lo consiglio a: chi vuole che
gli vengano svelati i segreti
di questo enorme business
Non lo consiglio a: chi
“muto vuole stare” perché
gli “hanno fatto un’offerta
che non poteva rifiutare”
c
e
n
s
Leoni per Agnelli
Con una Francia che fa più
gossip che politica, un’Italia
che di politica, fra la sottile
sofistica di Nino Strano e il
potenziale ritorno alle urne,
forse ne fa troppa, con
guerre in tutta la striscia di
Gaza e non solo, non è
facile accorgersi della falsità
del pacifico stallo statunitense. Si torna da qualche mese
a parlare di Stati Uniti
d’America per le elezioni
imminenti del nuovo presidente: repubblicani contro
democratici, Hillary Clinton
contro McCain, Clinton &
Clinton contro Obama.
Sono passati sette anni da
quel “nine/eleven” che aveva sconvolto il mondo, e i
candidati alla presidenza
parlano ancora di sicurezza
contro il terrorismo, non di
strategie per riportare truppe a casa. Così, nel paese
dove Hillary Rodham, donna che predica pari opportunità, sbandiera il suo essere Clinton, e Barack Obama
prima non era abbastanza
nero e ora lo è troppo,
trecento milioni di americani stanno ad ascoltare la
politica che tutti questi presidenti vogliono applicare
sulle famiglie e sulla sicurezza, dimenticandosi di essere
in guerra.
A ricordarglielo dovrebbe
bastare il cimitero di Arlington appena davanti alla
Casa Bianca, costruito per
onorare i caduti, che ospita
più di trecentomila morti
cancellando interamente la
generazione dell’80 e testimonia che non c’è nulla di
eroico nella guerra.
Eppure il 63% dei giovani,
tra i diciotto e i ventiquattro anni, nello stato a stelle
e strisce non sa dove sia
l’Iraq. A ricordare loro che
in questa guerra a morire
sono i loro vicini di casa, ha
provato anni fa Michael
Moore con il film da prendere con le pinze, ma comunque
da
prendere,
“Fahrenheit 9/11”. Adesso,
dopo sette anni di guerra,
centinaia di morti e troppa
ignoranza, ci riprova Robert
Redford con “Leoni per
Agnelli” , film estremamente intelligente che analizza
la guerra in Iraq-Iran in modo talmente brillante da
non essere strappalacrime,
ma di una splendida lucidità
che regala allo spettatore un
milione di domande, in
cambio di quei sette euro.
Vengono raccontate tre
storie, legate dagli stessi
personaggi ma soprattutto
dall’enorme tema della
guerra:
una
giornalista
(Meryl Streep) a cui viene
rivelato da un senatore repubblicano (Tom Cruise)
un nuovo piano per conquistare l’Iran (il film è ambien-
i
o
n
i
Delia San Martino
tato alla fine degli otto anni
Bush) due studenti alla
University of Columbia,
poveri e brillanti che, per
agire e non assistere passivamente ad una simile America, si arruolano e rimangono uccisi per quella stessa
strategia ideata dal senatore, e infine un studente ricco
e geniale, allievo dello stesso docente (Robert Redford) dei due volontari,
che non ha frequentato le
lezioni durante l’ultimo
trimestre, avendo passato le
giornate a divertirsi, cosciente di star sprecando il
suo talento. Tre drammi
quotidiani: pubblicare una
notizia sapendo di vendersi
e divulgare non informazione ma propaganda, morire
da eroi in una guerra meschina, e scegliere tra vivere
in una felice cecità di lussi, o
mettersi in gioco e rischiare.
E’ un film che suscita discussioni, costringe a pensare e,
oltre ad attori straordinari,
offre una serie di dialoghi
ben scritti e pone davanti
ad una realtà dove non
esiste eroismo e onore, ma
solo morti e coraggiosa
ingenuità dei giovani per
codardia dei potenti.
Leoni per agnelli. La giornalista guarda il senatore repubblicano: - “whatever it
takes”, disse l’uomo con
l’aria condizionata.
Joe Berti
e
29
Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
r
t
e c
n
o
f
l
a
s
h
Le soluzioni ai giochi
matematici dello
scorso numero
Joe Berti
Risposta 1 (casalinga): il trucco sta
nell’andare a ritroso da 1000 fino a 1 dividendo quando possibile per 3, altrimenti
sottraendo di 1. Il numero minimo di passi
con 1 come punto di partenza e 1000 come
arrivo è quindi 9.
Risposta 2:
2 delle tre età Luigi conosce la
somma ed il prodotto, con due dati e tre
incognite non è in generale possibile trovare le soluzioni! Ma.....
Le età sono numeri interi, quindi non saranno poi molti i numeri che moltiplicati danno 72! È sufficiente consiX Y
derare tutte le terne composte dai
fattori primi di 72 o, molto più
semplicemente, partire dal divisore 74 1
più grande di 72 (72 stesso) e vedere quali altri 2 numeri moltipli- 36 2
cati per il divisore scelto danno 72. 24 3
72 per 1 e per 1
36 per 1 e per 2 (osserviamo che 18 4
non è importante l’ordine in cui
considero i tre numeri..quindi il 18 2
caso 36 per 2 e per 1 non ci inte- 12 6
ressa) dopo il 36 il divisore più
grande di 72 è 24 ed ottengo 24 3 12 3
1 Con il 18 ho più possibilità: 18 4 1
e 18 2 2, andando avanti, e ricor- 9 4
dando che il secondo fattore che 9 8
considererò deve essere più piccolo
del primo (altrimenti avrei già con- 8 3
siderato la terna!) ottengo la tabel6 6
la a fianco.
I casi possibili sono quindi 12.
6 4
Luigi, dopo aver visto il numero
civico del palazzo, cioè dopo aver saputo
quanto è il prodotto delle tre età, risponde
’non so le età’. Dalla tabella, dove sono
riportate le somme delle terne che moltiplicate danno 72, si osserva che le somme
sono tutte diverse eccetto che per le terne 8
3 3 e 6 6 2 che danno come somma 14.
30
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Ora anche noi conosciamo la somma delle
età: necessariamente 14! Se Luigi avesse
visto un altro numero, ad esempio il 19,
avrebbe scoperto le tre età 12 6 1, rispondendo ‘non so le età’ ha evidentemente
v i s t o
i l
n u m e r o
1 4 .
Quindi ora sappiamo che le tre età devono
essere 8 3 3 oppure 6 6 2.
2
Mario aggiunge che anche tra un anno,
senza essersi incontrati oggi (quindi senza
sapere i dati che faticosamente abbiamo
dedotto), con le medesime domanSo
de, Luigi non saprebbe rispondere.
Z m
Ma allora, visto che Mario tra un
ma
anno risponderebbe in modo cor1
74 retto, sapendo che la scelta è tra 6
6 2 e 8 3 3, conosciamo le possibili
1
39 risposte che darebbe Mario!
1
28 a) Se oggi i tre figli avessero 6 6 2,
tra un anno avrebbero 7 7 3. Ma1
23 rio direbbe il giusto prodotto, 147,
e Luigi leggerebbe come somma
2 22 d e l l e e t à o v v i a m e n t e 1 7
1
19 (quest’anno la somma è 14..). Costruendo una tabella come nel caso
2 17 precedente si scopre che solo una
terna di numeri tra tutti quelli che
2 15 moltiplicati tra loro danno 147
1
18 andrebbe bene : 7 7 3, quindi Luigi
indovinerebbe le tre età, cosa esclu3 14 sa da Mario.
b) Se oggi i tre figli avessero 8 3 3,
2 14 tra un anno avrebbero 9 4 4. Ma3 13 rio direbbe il giusto prodotto, 144,
e Luigi leggerebbe come somma
delle età 17. In questo caso due terne di
numeri andrebbero bene, 9 4 4 e 8 6 3, e
quindi Luigi non saprebbe rispondere, come
detto da Mario.
Ma Luigi sa (e anche noi sappiamo..) che
oggi le età possono essere solo 6 6 2 e 8 3
3. Quindi le età attuali sono 8 3 3.
t
e c
n
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l
a
s
h
WiFi è l’abbreviazione di Wireless Fidelty,
ed è l’insieme di apparati che possono comunicare mediante connessione senza fili a
specifica IEEE 802.11. La specifica 802.11
riunisce tutti gli apparati di rete WiFi, mentre le specifiche 802.1x riuniscono in generale gli apparati di reti locali.
La WiFi consente la comunicazione tra due
o più dispositivi direttamente o mediante
un access point (punto di accesso) che consente, oltre a garantire più sicurezza e una
maggiore interoperabilità tra apparati (nel
senso che con un collegamento diretto non
è possibile utilizzare Internet, altri apparati
oltre ai due comunicanti e via dicendo). Il
primo metodo è detto ad hoc, che consente
di instaurare un trasferimento dati (con
accesso ai due dispositivi contemporaneamente, esempio: sto trasferendo un file x
dal mio computer al tuo mentre tu stai sfogliando le cartelle sul mio PC) che con gli
Infrarossi non è sempre fattibile, spesso
anche per problemi di software, ovvero per
colpa di programmi che non abilitano determinate funzioni.
La rete WiFi opera ad una frequenza di
circa 2.4 GHz (di poco superiore all’UMTS)
che è soggetta tuttavia a non poche interferenze. La rete WiFi è in grado di operare
intorno a velocità teorica (per velocità teorica si intende il limite teorico a cui un trasferimento dati può andare, senza ostacoli e
a bassissima distanza) che è quantificabile
come 125 Mbps (massimo teorico, che va
diviso per otto per conoscere il massimo
teorico in quantitativo di MB e non Mbps).
Non tutti i dispositivi al momento però
supportano questa velocità. E’ mediamente
diffusa la velocità di 11 Mbps tra i dispositivi
portatili e quella di 54 Mbps nelle reti tra
computer.
Sottospecifiche della 802.11 sono la 802.11
a, b, g, n. Sono specifiche nate con gli anni,
per andare incontro a esigenze di vario tipo
e a costi di produzione e grandezze dei chip
differenti. La 802.11 a è scarsamente utilizzata (circa il 5% delle reti italiane supporta
tale sottospecifica) e ha una velocità di trasferimento dati piuttosto elevata (si arriva ai
128 Mbps). Viene utilizzata soprattutto in
aziende e uffici, in quanto garantisce anche
una copertura maggiore. La 802.11b è la più
diffusa tra i palmari e i dispositivi mobili e
consente di raggiungere la velocità massima
teorica di 11 Mbps. Circa il 20% di tutte le
connessioni wireless in Italia viene fatto con
questo standard e ben il 90% dei palmari
viene collegato alle reti wireless tramite
questo standard. La rete 802.11g invece è la
più utilizzata: consente di utilizzare velocità
variabili dagli 11 Mbps ai 54 ai 128. E’ molto interoperabile: è utilizzata all’incirca dal
65% della gente che utilizza connessioni
wireless di tipo LAN e dal 10% dei dispositivi mobili. La 802.11n, infine, è una tecnologia sviluppata da Cisco System che consente
poca interoperabilità a vantaggio di copertura di territorio maggiore e velocità di
trasferimento che non sono mai inferiori ai
128/200 Mbps. E’ impiegata per il 15% del
totale e non viene impiegata con i palmari.
La sicurezza delle reti Wireless aumenta
man mano che si sale di complessità: le reti
ad hoc sono generalmente molto poco sicure, le reti access point sono sicure allo stesso
modo, a seconda di come l’Amministratore
della rete decide di gestire i protocolli di
(CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE)
31
Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
Alberto Leone
Joe Berti
La Tecnologia
t
e c
n
o
(CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE)
Joe Berti
32
sicurezza. Tra questi ci sono il WEP (che ha
numerose falle di sicurezza ed è molto vulnerabile) nato nel 1999 e ancora utilizzato
per facilità. Evoluzioni del WEP si trovano
nel WPA (Wireless Protected Access), che
utilizza un algoritmo di crittazione più sicuro e meno rintracciabile. Il TKIP e AES fanno parte del PSK (accesso con chiave pre-
f
l
a
s
h
condivisa, il più diffuso) e consentono, soprattutto quest’ultimo, di non preoccuparsi
di intrusione nella propria rete e si è protetti al 99% da ogni wardriver (un wardriver
è una persona munita di computer con sofisticati programmi e antenne wireless che
vaga in giro per la città a “rompere” metaforicamente reti e genera intrusioni).
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
La Mezzana del Gioberti
La tanto attesa posta del cuore del Joe berti. Infilate pure i vostri annunci nella scatola
all’entrata! Se per caso non conosceste il significato del termine “mezzana” vi invitiamo a
consultare i vostri prof di italiano, che vi daranno anche celebri riferimenti letterari.
Al maledetto campanaro più tenero del Gioberti:
Non lasciare che la gobba ti ostacoli, non permettere che lo facciano i giudizi della gente e
neanche i dolori articolari. Sii forte, resisti, ribellati ai pregiudizi perché tu sei la nostra guida, la
nostra luce.
Sei per noi, che sempre ti guardiamo ammirate in
cortile, esempio di virilità e virtù.
Colei che cadde dal maledetto Rino.
Al mio Tamerlano zoppo e nano:
Sì come guidasti i mongoli in battaglia hai condotto il mio cuore all’amore. Buon San Valentino
Tua per sempre
Tamerlana
Al ragazzo muscoloso che fa kung-fu e va in IC:
sei molto bello e affascinante. Ti vedo alla mattina sul tram e questo mi basta a rendere la giornata felice. Spero che ci conosceremo per fare
amicizia o qualcosa di più...
Appello disperato da uno scimpanzé innamorato
che instancabilmente, da sera a mattina, cerca la
sua scimpanzina.
Hai gli occhi azzurri e i capelli biondi, ti guardo
tutte le volte che passi in corridoio. Vorrei conoscerti ma non ho il coraggio. Io ti aspetterò il 29
febbraio al primo intervallo in cortile davanti al
canestro vicino alla palestra. Anonimo
u lt i m p e n s i e r o
...
quando tutto tace e senti il tuo sangue
scorrere nelle vene
i pensieri si affollano dentro di te
sussurri e urla, hanno la stessa forza
perchè questo è il suono del silenzio, le
voci che rimbombano nella tua testa
il passato, il presente, gli echi lontani di
un futuro che puoi solo immaginare
si mischiano dentro di te
e pensi
e magari scrivi
quello che ti passa per la testa, non ha
importanza
solo per far scorrere il fiume dei tuoi
pensieri, che ti sta allagando la mente
sei tu e il silenzio
tu e i tuoi ricordi
ed è bellissimo guardare il cielo e la notte, scrivendo la tua storia
non ha importanza di quanto sia bella la
tua penna
lì nel silenzio tutti possono essere maestri
perchè solo loro conoscono la materia...
sei tu
solo tu
immerso nei tuoi ricordi, ti fermi e ti
ascolti
e cerchi una via
perchè domani sia un giorno migliore
e l'alba che sta per giungere
ti regali uno splendido sole
qui
accerchiato dal suono del silenzio
attendi che ritorni chi ti sta a cuore...
Ad una caterva di persone: se questo numero è così “corposo” lo si deve a loro. A Luca
Mercalli, Maurizo Crosetti, Claudio Marino
Moretti, Pensiero Acutis, che hanno fornito
il materiale per una sezione piuttosto ampia
di questo numero. Ad Alberto Leone che
gestisce sito e forum. Alla signora Raffaella
De Chirico. Alle tre “vicepresidi” (due delle
quali sottolineano che non lo sono e non lo
vogliono essere). E last, but not least alla
Dirigenza Scolastica (per usare un termine
vago).
LA REDAZIONE
COLLABORATE CON NOI
Compilate questo tagliando, staccatelo e
deponetelo
nella scatola posta nell’atrio. Grazie!
Esprimi con un voto compreso tra 0 e 10 il
tuo giudizio sul “Joe Berti”………….
Quali articoli trovi più interessanti?
…………………………………………
…………………………………………
Quali argomenti, non trattati da questo numero, vorresti vedere sul “Joe Berti”?
………………………………………………
………………………………………………
Per suggerimenti, proposte, critiche al Joe
Berti, è a disposizione un’apposita scatola
nell’atrio.
Scriveteci, vi risponderemo!
Joe Berti
Marco Svevi
GRAZIE
33
Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
Il suono
Del silenzio
n
o
i
INDICE
Joe Berti
34
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
Fuga dal Gioberti: realtà?,
realtà? Giulia Trivero,
pag. 4
Senza titolo,
titolo Nim Onào, pag. 6
AHAHAHAH,
AHAHAHAH Andrea Graziadei, pag. 7
Mi sorprendo ogni volta,
volta Stefano Ugliano,
pag. 8
Oui, l’amour,
l’amour Giada Aloi, pag. 9
Valzer elettorale,
elettorale Francesco Delù, pag. 11
Intervista aLuca Mercalli,
Mercalli Adriano Bollani,
pag. 12
Intervista a Maurizio Crosetti,
Crosetti Delia San
Martino ed Eliana Vitolo, pag. 15
Intervista a Claudio Marino Moretti,
Moretti Lucrezia Mele, pag. 17
Due parole con Pensiero Acutis,
Acutis Dario Barbaro, pag. 18
00
9,
-1
9,
30
Il Gioberti che Libera,
Libera Ivan Ieri, pag. 20
Il treno della Memoria,
Memoria Maria Luisa Candellieri, pag.
Ti Voglio Bere,
Bere Francesco Delù, pag. 23
Cinque lunghi interminabili anni,
anni Simone
Cattaneo, pag. 24
Piccole donne crescono,
crescono Eleonora calfus,
pag.
Gomorra di Roberto Saviano,
Saviano Gabriele Cauda, pag. 28
Leoni per agnelli,
agnelli Delia San Martino, pag.
29
La tecnologia WiFi,
WiFi Alberto Leone, pag. 31
Il suono del silenzio,
silenzio Marco Svevi, pag. 33
Editoriale a cura di Adriano Bollani
Impaginazione a cura di Francesco Delù
Giochi matematici a cura di Daniele Cretier
Vignette a cura di Matteo Allasia
Docente referente: Maria Luisa Genta
Potete inviare i vostri articoli o le vostre produzioni
artistiche, ad esempio vignette, all’email del Joe
Berti, oppure metterli nella
scatola che c’è nell’atrio in
sede e succursale.
n
o
i
Francesco Delù
III C sede
[email protected]
Adriano Bollani
II C sede
[email protected]
Redattori
Emma Prosdocimo
IC sede
[email protected]
Dario Barbaro
IC sede
[email protected]
Delia San Martino
VA sede
[email protected]
Eliana Vitolo
VA sede
[email protected]
Giulia Trivero
VD succursale
[email protected]
Giulio De Felice
IV alfa succursale
[email protected]
Giada Aloi
IV beta succursale
[email protected]
Alberto Leone
IE sede
[email protected]
Linda Zaccaria
IH sede
[email protected]
Lucrezia Mele
IH sede
[email protected]
35
Anno 3, n. 3 - febbraio 2008
Coordinatori della Redazione
Joe Berti
LA REDAZIONE
I
N o s t r i
G i o c h i
Le parole Crociate
Joe Berti
36
Anno 3, n. 1 - febbraio 2008
10
Decorazione a forma di colonna
11
Piccola borsa
12
Ebbe una “relazione” con Marco Antonio
13
Quadro che rappresenta una persona
14
Quinto oltre a grano, riso, orzo e avena
15
Se Milii, è la spina di Cristo, se Pulcherrima
è la Stella di Natale
1
Contenitore per il sale
2
Bordo del francobollo
3
Versione moderna del nome Pechino
4
Coperture per scarpe
5
Chiaramente, nessuno l’accende per metterla sotto il moggio
6
Calamita
7
Inventare
8
Lo uccise San Giorgio
9
Nota a margine
16
Tempio di Atena vergine
17
Quella del deserto è un sasso
18
Tipo di pianta grassa
19
Su nelle mappe
20
Nome di un ministro e di un cantante
21
La funzione somma
I giochi Matematici
1
2
In un collegio elettorale “di un paese straniero” si fronteggiano due coalizioni, Il melo fiorito e Il pero al sole. A sorpresa, uno dei peristi
decide di diventare melista. In questo modo
risulta uguale il numero dei peristi e dei melisti.
Dopo poche settimane il nuovo melista decide
di ridiventare perista e la situazione ritorna
quella iniziale. In seguito però un altro melista
decide di passare ai peristi e a questo punto i
peristi sono il doppio dei melisti. Quanti sono,
si chiede, i candidati delle due coalizioni?
In un paese di logici perfetti ci sono
dei mentecatti. Nessuno sa di esserlo,
ma ognuno conosce tutti i mentecatti
del paese (tranne eventualmente se
stesso). Il sindaco un pomeriggio convoca tutti i cittadini e dice "So che ci
sono dei mentecatti in paese. Voglio
che non appena qualcuno sa di esserlo, questi venga la mattina dopo in
municipio". Dopo 15 giorni tutti i
mentecatti si radunano. Quanti erano?
Stampato presso la Copisteria di Devalle Thea Samantha
Definizioni