Anno 3, Numero 3
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Anno 3, Numero 3
Joe Berti Anno 3 - Numero 3 Febbraio 2008 Liceo Classico e Linguistico V. Gioberti Via S. Ottavio 9 - 11 10124 Torino Per nostra grande fortuna, anche se siamo parte di una generazione rinunciataria di adolescenti fragili che alla prima difficoltà gettano la spugna, costretti a vivere in un ambiente scolastico rigido dove vigono metodi retrogradi e dove il lato umano non è in primo piano, in questi due mesi post-natalizi siamo riusciti a produrre il numero più bello della storia di Joe Berti. Chissà, sarà la volontà di reagire. Eppure è proprio qui, di fronte a voi: trentasei pagine con quattro interviste e il racconto del viaggio ad Aushwitz fatto da alcuni studenti trascinandosi dietro le catene cui sono costretti durante il quinquennio di liceo. Ma non un comune liceo classico o linguistico: il Liceo Classico e Linguistico Statale “Vincenzo Gioberti” di Torino, ormai assurto agli onori delle cronache su prestigiosi quotidiani nazionali. Ed è proprio questo, alla fine, l’aspetto di cui non possiamo (CONTINUA A PAGINA 3) Mi sorprendo ogni volta Professori, laureandi, diplomandi non sono casalinghe, sciampiste, lobotomizzati. Eppure lo fanno. Non tutti, ma molti... A PAGINA 8 Il Gioberti che Libera Tutti ascoltavano il suo racconto con indignato silenzio, provando unanime ammirazione per il suo coraggio e disgusto per una società irrimediabilmente corrotta... A PAGINA 20 Gomorra Avete notato che in televisione non si parla quasi mai di mafia? Eppure qualche anno fa i telegiornali ci tartassavano di notizie sulla cattura di Provenzano... A PAGINA 28 che essere felici: per una volta, i giornali parlano del Gioberti! Non il moderno Alfieri, non lo storico D’Azeglio, non il blasonato Cavour, ma il Gioberti! Duro e retrogrado, però. E va beh, non si può mica avere tutto dalla vita! Ed è di qui che miracolosamente, tra un mesetto circa, i redattori del giornalino riusciranno facendo l’autostop a raggiungere Piacenza, dove si terrà un Convegno Nazionale dei giornali scolastici con tema “La Costituzione Italiana”. Pensate un po’. Ancora: Joe Berti aderirà al concorso della stampa scolastica organizzato dalla Provincia di Avellino nel mese di Marzo. Per la partecipazione sono richiesti due numeri dell’anno corrente. Infine, a Maggio, ci sarà un altro convegno, questa volta a Chianciano Terme, in Toscana. Tutte cose che speriamo di affrontare meglio possibile, nonostante la durezza degli insegnanti, che ci inseguiranno ovunque, e la nostra nota psicolabilità. Ma, per passare oltre, ci sono altre importanti novità da mettere in evidenza. A pagina trentatrè troverete (mi si scusi lo scioglilingua) un simpaticissimo tagliandino che potete compilare e inserire nelle celebri scatole poste nell’androne in sede e in succursale. Attraverso il tagliandino potete dare un voto al giornale (da 0 a 10), esprimere preferenze sugli articoli pubblicati o suggerire nuovi argomenti finora non trattati. Tutto questo per farvi capire che vi aspettiamo sempre a braccia aperte. Inoltre, stiamo (soprattutto la parte più giovane della redazione) elaborando alcuni cambiamenti della veste grafica e dell’impostazione interna del giornale, che potrebbero comparire già sul prossimo numero. Infine, su proposta di alcuni, sarà probabilmente creata una nuova rubrica all’interno di Joe Berti che riporterà i risultati di indagini statistiche su argom e n ti v ar i f a t te all’interno della scuola. Per concludere, complimenti a tutti coloro che hanno contribuito a produrre così tanto materiale da portare il giornale da ventiquattro a trentasei pagine. Continuiamo così. Dunque, i giornalisti de La Stampa avranno pur fatto il loro mestiere. E noi, nel nostro piccolo, facciamo il La redazione nostro. rt e e.b jo .it o ho a i@y 3 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 (CONTINUA DALLA PRIMA PAGINA) Joe Berti L ’ e d i t o r i a l e l i b e r o p e n s i e r o - Fuga del Gioberti:: Realta ? Joe Berti 4 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Nel numero del 14 febbraio 2008 de “la Stampa”, sulla rubrica “Specchio dei tempi”, è stata pubblicata una lettera che ha messo in agitazione il nostro liceo. Simonetta Agliotti, pianista, madre di una ragazza ginnasiale al primo anno, ha voluto mettere per iscritto un’ esplicita critica al metodo d’insegnamento e, cosa ancora più grave, alla sensibilità e all’umanità che (a suo parere) non sarebbero presenti all’interno del liceo classico Vincenzo Gioberti. Sette ragazzi della stessa classe, 4°A (sede) hanno dato forfait. Hanno voluto il nullaosta, e in pochi giorni hanno iniziato la frequentazione di altri istituti. Non uno, non due. Sette ragazzi, e della stessa classe. Pare che i primi mesi del ginnasio abbiano significato per loro un’angoscia tale, corredata, come scrive la madre di questa ragazza, da pianti e depressione, da fuggire il più lontano possibile. Ed ecco che un trafiletto di giornale diventa un caso: il giorno dopo, 15 febbraio, troviamo sul medesimo giornale un articolo il cui titolo è “Fuga dal Gioberti”. Figure importanti come Piero Gobetti sono uscite da questo liceo, eppure i tempi sono cambiati. E’ inevitabile ammettere che il fatto che sette ragazzi della stessa classe abbiano deciso di andarsene è un chiaro segno di un problema. Non è cosa Giulia Trivero da prendere alla leggera, sicuramente. Leggendo “La stampa”, oltre che rimanere profondamente colpita, ho avuto un immediato moto di irritazione. Eppure qualche secondo dopo ho ripreso il giornale, e ho riflettuto. “C’era una volta una figlia che voleva fare il liceo classico” scrive Simonetta e poco dopo, parlando della figlia, afferma “mai avrebbe immaginato di ritrovarsi in un luogo così poco adatto ad una sensibilità profonda”. E’ dunque vero? Il liceo classico che, per il pensiero comune dalla riforma Gentile ad oggi, dovrebbe “aprire la mente”, dare una formazione adeguata ma al contempo un carattere, spronarti, costruirti un futuro in un modo che (senza alcuna forma di razzismo) è diverso da quello delle altre scuole è oggi diventato un luogo “poco adatto ad una profonda sensibilità”? Non posso prendere una posizione decisa, sicura, perché la mente è zingara, così come (CONTINUA A FIANCO) l’opinione comune. Eppure, a primo impatto, mi sento di difendere a spada tratta il nostro liceo. Credo che tutti si rendano conto che la vita è un percorso a ostacoli. Sarebbe piacevole frequentare una scuola in cui si viene trattati come pargoli da accudire, almeno inizialmente. Ma non sarebbe giusto. La rigidità, le insufficienze, i rapporti ostici con professori e alunni, fanno parte della scuola. Le botte morali for- mano, stimolano, aiutano a comprendere com’è difficile muoversi nella giungla della vita. E ora cos’è cambiato? I ragazzi hanno troppa paura di affrontare le decisioni prese, perché percorsi in salita? O sono i genitori, talmente apprensivi da sentirsi spaventati dal mostro della crescita? Mi auguro che tutti si interroghino sui motivi delle scelte di questi ragazzi, ma soprattutto sui motivi che hanno spinto a fare accuse così pesanti. In tutti i casi, non vi è il perico- lo di alcuna indagine dall’Ufficio Scolastico Provinciale. Sette ragazzi in fuga smuovono gli animi dei professori, dei genitori, e temo anche degli alunni stessi che ancora (e per fortuna!) frequentano il nostro liceo, ma non abbastanza da gridare al crollo. Forse… E’ quindi solo un problema di metodo di orientamento non adeguato per i ragazzi che decidono di iscriversi ad un istituto superiore, o la “fuga dal Gioberti” è il reale inizio di un fallimento? Di seguito riportiamo la lettera di risposta scritta dai ragazzi di IVA alla lettera citata nell’articolo precedente. Un ragazzino trova sempre il lato comico e divertente delle cose, così quando per la prima volta abbiamo sentito che su La Stampa era stata pubblicata una lettera sul Gioberti, increduli ci siamo messi a ridere. Leggendo ciò che era stato scritto in questa lettera, abbiamo sgranato gli occhi quando, alla quarta riga, abbiamo scoperto che non solo si trattava della nostra scuola, ma proprio della nostra classe. Questa mattina, poi, eravamo tutti sconcertati quando molti sono arrivati dicendo che a noi, “super dotati”, e al nostro istituto, avevano dedicato un’intera pagina della cronaca cittadina. Un ragazzino trova sempre il lato comico delle cose, ma un ragazzino è anche capace di riflettere, di ragionare. Leggendo di “retrograda rigidità”, “insegnanti inflessibili” e “sensibilità offese”, abbiamo deciso di esprimere le nostre opinioni riguardo la nostra situazione di allievi, all’interno dell’ambiente scolastico. La cosiddetta “fuga” è cominciata con due allieve che, fin da prima dell’inizio dell’anno, non desideravano intraprendere questo percorso di studi. Oltre a ciò, in una qualunque classe di liceo classico è abbastanza normale che , nei primi mesi, circa tre studenti si rendano conto di aver scelto un liceo inadatto alle proprio attitudini. Se nella nostra classe gli studenti a ritirarsi sono stati sette, ciò non è dovuto alla rigidità degli insegnanti e dell’ambiente scolastico, bensì ad uno scoraggiamento dei ragazzi di fronte alle prime difficoltà nell’organizzare lo studio, uno scoglio da affrontare piuttosto che da evitare. L’ambiente scolastico è sereno e vitale, niente affatto coercitivo, a meno che si consideri “coercizione” il naturale fatto di dover studiare, che, tuttavia, non è un impedimento alle attività extra-scolastiche (anche impegnative, come uno sport a livello agonistico o lo studio della musica), che molti di noi svolgono regolarmente. La nostra sensibilità, inoltre, non è stata trascurata in alcun modo e non si può pensare che noi, i ventuno allievi “superstiti”, siamo insensibili automi da studio. I consigli e le critiche costruttive aiutano a crescere e maturare e sono quindi doverosi da parte degli insegnanti, con cui si è instaurato un buon rapporto di confronto, non certo basato su un atteggiamento di sufficienza. Un bravo insegnante fa appassionare gli allievi alla propria materia, non può, però, motivarli a studiarla: a quindici anni dovremmo essere abbastanza indipendenti per saperci automotivare! E poi i genitori non dicono sempre ai propri figli che la scuola deve preparare alla vita? E che nella vita non è tutto così facile? LA IV A 5 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 (CONTINUA) Joe Berti l i b e r o p e n s i e r o l i b e r o p e n s i e r o Senza titolo Joe Berti 6 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Io sono Nim Onào, e ho il difetto di trovare sempre e ovunque qualcosa da ridire, di avercela sempre con qualcuno o qualcosa, di essere sempre arrabbiato. E oggi in particolare voglio parlare della SQuola. La SQuola con la S e la Q maiuscole, la SQuola che non insegna, la SQuola come grande complesso di enti e persone che arriva dal ministro dell’istruzione al vostro professore di educazione fisica. Intendiamoci, non ce l’ho con tutti i professori, né coi presidi (né tantomeno col personale ATA). Non ce l’ho con la Scuola Gioberti, e nemmeno con chi ci sta dentro. Però ultimamente mi sono successe un po’ di cose, ho fatto un po’ di riflessioni che mi hanno portato ad avere l’impressione che buona parte di noi liceali, in quelle cinque o sei ore al giorno, non faccia altro che perdere del tempo. Beh, non è che io abbia da esporre argomentazioni complesse e inoppugnabili, è solo che mi sembra che la scuola tralasci l’insegnamento di un paio di cosette fondamentali. Innanzitutto, di frequente non insegna ad imparare. O meglio, ciò che vedo più spesso è che la scuola insegna a studiare quello che dice il professore, o al massimo a fare ricerche. La scuola non sviluppa negli studenti una vera e propria coscienza critica del mondo che li circonda, né insegna loro a barcamenarsi tra politica e attualità, argomenti sui quali gli odierni mezzi di informazione di massa tendono più che altro a creare una confusione e un’ignoranza bestiali. Non siete d’accordo con me? Pace e bene, però provate a vedere quanti, sul totale dei promossi dell’ultimo anno, sono effettivamente in grado di leggere un giornale. Oppure chiedete loro cosa sanno della storia contemporanea (o perché no, dell’arte, della musica e della letteratura degli ultimi cinquant’anni). Non escludo poi che un buon numero di studenti le conosca, queste cose, però dubito fortemente che sia stata la scuola a insegnarle. Poi, e questo lo considero ancora più grave, a scuola non si impara ad amare la cultura che si studia. E a proposito di questo vi racconto un bell’aneddoto: mi trovavo a casa di un amico, con una persona che io reputo assai intelligente, oltre che dotata di una discreta cultura (e che tra l’altro frequenta la nostra stessa scuola), che in questa sede Nim Onào chiameremo P. Stavamo lì, a chiacchierare, quando P. raccolse da un tavolo un libro, “La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo”, di L. Sterne, e lo guardò come se fosse stato un… boh, un pezzo di m***a. “Che hai contro quel libro?” esclamammo più o meno in coro io e il padrone di casa, che quel libro lo adoriamo. E P. rispose “Questa roba l’ho studiata a scuola, che schifo!”. Ora, se non avessi sinceramente ritenuto quella persona davvero saggia e colta, come ho detto (e non lo dico per lusingare P, ma per far capire il senso dell’aneddoto), probabilmente l’avrei defenestrata (si era al settimo piano di un edificio del centro). Il fatto è che secondo me se P. avesse letto quel libro senza averne mai sentito parlare probabilmente l’avrebbe anche apprezzato. Però avendolo conosciuto solo attraverso schede di commento, biografia dell’autore, domande di comprensione, probabilmente lo associa indissolubilmente a un’imposizione, a una valutazione, alla faccia di un professore, e quindi forse non avrà mai voglia di leggerselo, quel libro. E trovo (CONTINUA A FIANCO) che questo non valga solo per la letteratura, ma per tutte le materie. Magari chi è dotato di senso del dovere potrà anche studiare e impegnarsi nelle materie che odia, e forse avrà dei bei voti, ma fuori da scuola questo servirà a qualcosa? Per finire, ho delle perplessità anche sull’opinione che la gente ha della scuola. Alcuni mi dicono “A scuola non impariamo perché abbiamo un atteggiamento sbaglia- AHAHAHAH C’era una volta un agnello, che beveva alla riva di un fiume, in un giardino truffaldino. Era questo agnello un tipino niente male, diciamo un’animale molto spiritoso, che collezionava battutine molto divertenti e giochi di parole. Al fiume incontrò il suo amico elefante e gli canticchiò la seguente canzoncina, molto in voga tra i giovani del momento: “Lero Lero Lillibullero Lillibullero bullen a la Lero Lero Lero Lero Lillibullero bullen a la!” Nell’esatto istante in cui l’agnello finì di pronunciare il celebre ritornello, l’elefante, un vero gra(da)s- to.” E io rispondo: l’atteggiamento dovrebbe darcelo proprio la scuola, dare una formazione vuol dire questo: a scuola ci entriamo da ragazzini, è a scuola che dovremmo impararli, gli atteggiamenti costruttivi. E dove, altrimenti? Concludo con un altro aneddoto, tanto per dare il colpo di grazia: si parlava del fatto di un parlamentare, che, interrogato dalle Iene (già, i comici in questo paese contano molto più che nel resto del mondo), non aveva saputo rispondere alla domanda “Che cos’erano i Gulag?”. E una delle persone che partecipavano alla conversazione disse “Beh, si vede che non aveva una famiglia in cui si parlava di cose del genere…” Questa è la considerazione di cui la scuola gode presso la gente oggi, questa l’importanza che le viene attribuita nella formazione degli individui. 7 “I absolutely LOVE this thing, man!”– Andrea Graziadei so, rispose a gran voce che si sentiva superiore a tali tarrate e che lui ascoltava solo Musica Vera. A sentirsi rispondere con un tono simile, l’agnello, sempre propenso alla risata, disse che la Musica Vera era un po’ come un asino che vola, cioè tutti la indicavano per fregare gli altri. Sul più bello, quando il litigio stava diventando acceso, non successe proprio nulla. L’agnello, sapendo che gli elefanti sono erbivori con una lunga memoria, schernì il suo amico e lo mandò a casa. Ritornato nel suo maniero, e dopo aver ascoltato un buon disco di Musica Vera Distillata, l’elefante (memore dell’offesa) diede un colpo di telefono alla volpe, che si stava divertendo per i fatti suoi. Una volpe è sempre alla ricerca di cose nuove, questo va da sé. La nostra volpe decise di dare una mano all’elefante in un modo ingegnoso, ma di sicura efficacia: avrebbe pubblicato sul giornale del Paese delle Favole articoli di critica sociale noiosissima (vera, per carità), cose del tipo “Jingle Bells - Il Natale è una schifezza”, “Siamo Drogati” e “Non Ci Sono Più Le Mezze Stagioni”; l’agnello leggendole, si sarebbe de(CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE) Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 (CONTINUA) Joe Berti l i b e r o p e n s i e r o l i b e r o p e n s i e r o (CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE) Joe Berti 8 presso e in seguito suicidato. Rispose a lui l’elefante, dicendosi sicuro della riuscita del piano. A questo punto l’agnello, che nonostante tutto era un animale positivo, leggendo articoli di tale attitudine su di un giornale bello e rap- presentativo come quello del Paese delle Favole, un po’ ci rimase male. Ma non si scoraggiò, si fece una bella risata e tirò avanti a fare battute tipo “una duna dice a un’altra duna “hai mica visto qualche Duno?” e cose del genere. L’agnello capì che di fronte a persone che vogliono sempre parlare di cose deprimenti, non restava che pensare con la propria testa su quello che dicono, ridere e prendere la vita con più felicità e amore, per far vedere che a carnevale ogni scherzo vale. Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Mi sorprendo ogni volta Professori, laureandi, diplomandi non sono casalinghe, sciampiste, lobotomizzati. Eppure lo fanno. Non tutti, ma molti. Non si rendono, non vi rendete conto che un gesto così piccolo contribuisce a peggiorare le cose. Che poi non è un gesto. E' un non-gesto, si tratta di non rifiutare, di farsi appioppare qualcosa di ben più che inutile, dannoso. Il danno ambientale è che per stampare dei giornali ci vuole la carta. Per stampare tanti giornali ci vuole tanta carta, e tanta carta significa un grande spreco di risorse, perchè o si abbattono alberi, o si spreca energia per riciclare carta vecchia (e acqua, e sostanze chimiche, ecc ecc). Poi si spreca un sacco d'inchiostro, e la ben- zina che serve per trasportare quelle montagne di carta, prima e dopo la stampa, per tutto il tragitto fino ad arrivare agli angoli delle strade: da chissà dove fino in via Po angolo via S. Ottavio, tanto per dirne una, dove un simpatico signore si trova costretto a rifilare quel ciarpame gratuito a tutti quelli che passano di lì per andare a scuola.. Ma i vari giornali da strada, quelli che non spendi una lira per prendere eppure valgono ancor meno, sono una vera piaga, un morbo in grado di atrofizzare buona parte della materia cerebrale… Metro, Leggo, City… Articoli scritti coi piedi da incompetenti, gente che "professionalità" non sa nemmeno come si sillabi (si prende la notizia ANSA o Stefano Ugliano Reuters che sia e la si sbatte lì, magari si cambiano due parole tanto per non aver troppi sensi di colpa quando si intasca lo stipendio), notizie da due lire, cronaca nera, rosa e del colore che volete, sport che prende due volte lo spazio delle notizie dal mondo, eppure a nessuno dà fastidio nulla di tutto ciò. Il fatto che una pubblicazione riesca a mantenersi gratuitamente, con i soli incassi degli sponsor, significa automaticamente un crollo della qualità. Ma a voi va bene. A me non va bene per niente. E non mi vanno bene le scuse di quelli che allungano la mano per prendere la loro copia. Ti interessa lo sport? Guardatelo in televisione dopo, non ti cambia (CONTINUA A FIANCO) nulla. Ti prendi il giornale per fare il sudoku? Sei un pirla, comprati un qualche coso apposta, ne hai dieci volte tanto. Sei una (femminile, come nella maggioranza dei casi...) di quelle che legge solo l'oroscopo? Probabilmente non meriti neanche che i contribuenti paghino per la tua istruzione. Vai a raccogliere i pomodori direttamente, ti prego. Fatti investire dal 15. Hai afferrato il concetto. A me non è mai andato bene. Non me ne frega nulla del simpatico signore all'angolo di via Sant'Ottavio, non gli prendo il giornale perchè mi fa pena. Piuttosto gli stacco la testa, ma non accetto di diventare complice di questi signori. IL COLMO, PERO', l'han superato ieri. Metro, una pagina centrale. Ho avuto la fortuna di buttare l'occhio sull'"articolo" giusto, mentre lo leggeva un mio amico. NOTIZIONA, nuovi video shock a Londra: in uno, in particolare, un ragazzo si riprende mentre, sdraiato lungo i binari, si fa passare un treno sopra, uscendone illeso. Poi si alza e sorride alla telecamera. Predica, come faremo, queste cose sono scandalose. I ragazzi ormai quasi si uccidono e poi mettono su youtube. Solito articolo retorico, ma ecco il colpo di scena. IL GIORNALE PUBBLICA IL LINK AL VIDEO... Adesso, sinceramente, sono l'unico a sentirmi schifato? Offeso, ferito nella mia decenza? Nessun altro sente quella puzza di ipocrisia (e questa volta non è una parola usata a caso...) soffocante? Ora, io vi ho dato mille ragioni per non prendere più, mai più, nemmeno una copia dei giornali gratis, ma è probabile che non ne condividerete magari neanche una. Chissenefrega dello spreco di risorse. Chissenefrega di gente che pretende di fare il giornalista senza conoscere l'ortografia. Chissenefrega se ancora una volta servo come carne da pubblicità per i guadagni degli altri. Però non è tollerabile una mancanza di gusto simile. E non è tollerabile che voi imbecilli andiate avanti a supportare editori canaglie e giornalisti buffoni. Quindi FINITELA ORA. Da questo momento voglio che capiate quanto è stupido allungare una mano, accettare un giornale, non opporre resistenza all'avanzata dell'ignoranza. Sappiate che, da parte mia, la guerra è già cominciata... , Oui, l’amour Non ne posso più. Di cosa, non lo so. Ho 14 anni, divido il mio tempo tra amici, scuola, ricerca dell’amore, o almeno qualcosa che ci assomigli, libri, computer, tutte le stragi che si sentono al telegiornale, qualche de- pressione, i normali litigi coi miei, i miei meravigliosi voti tra il 6 e il 7 raggiunti con fatica (forse neanche troppa), qualche sogno ad occhi aperti…insomma, una vita del tutto normale e scontata. E allora cos’è che mi dà Giada Aloi noia, che mi opprime, che mi pesa? Non lo so. Forse proprio quel “qualcosa che assomigli all’amore”. In fondo, ognuno di noi ha avuto, sta vivendo o sogna le proprie esperienze con il (CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE) 9 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 (CONTINUA) Joe Berti l i b e r o p e n s i e r o l i b e r o p e n s i e r o (CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE) Joe Berti 10 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 sesso opposto, qualche fidanzamento, serio o anche no. Chi le sta vivendo, aspetta con ansia l’arrivo di San Valentino. Se ne leggono tante su questo Santo. Le versioni più ricorrenti raccontano che il nostro beniamino era un vescovo, il primo che celebrò un matrimonio tra un legionario pagano e una fanciulla cristiana, battezzando il ragazzo. Purtroppo, durante la preparazione dei festeggiamenti, la cristiana si ammala di tisi. Lui viene chiamato al suo capezzale, e prega Valentino di unirlo per sempre all’amata. Così viene battezzato dal Vescovo, e subito dopo muore. Una storia un po’ triste. Devo ammettere che tutte le leggende legate a San Valentino sono abbastanza tragiche, e si concludono sempre con la morte di qualcuno. Un esempio (a me sembra il più realistico), narra che a Roma, dal IV secolo a.C. i pagani erano soliti mischiare in un’urna i nomi di maschi e femmine vergini e accoppiarli a caso, facendo estrarre i due nomi ad un bambino. Questo gesto aveva lo scopo di concludere il rito della fertilità. Ma la Chiesa volle mettere fine a questa cerimonia, proclamando un santo degli innamorati. La carica toccò, appunto, a Valentino, un vescovo martirizzato circa duecento anni prima. Volendo potremmo andare avanti ancora per molto, ma più o meno le leggende si assomigliano, trovando qualche piccola differenza. Ma veniamo ad oggi. Come dicevo, molti aspettano il 14 febbraio con ansia, occasione in cui si dimostra l’amore, l’affetto che si prova nei confronti, solitamente, del partner... Tranne qualche eccezione, questo giorno è particolare perché non si regala ciò che ci consiglia il cuore. Per convenzione sono nati dei doni studiati apposta: le rose rosse, che sono il simbolo della passione e dell’amore, un braccialetto o una collanina con le proprie iniziali, un peluche tenero, e tanto altro… occorre solo un po’ di fantasia e molto romanticismo. Ma sicuramente i gesti più significativi rimangono le follie. Girovagando un po’ su internet, ad esempio, si trova una ragazza che ha scritto a mano l’intero libro preferito del suo fidanzato, completo di rilegatura, disegni e dedica, per poi regalarglielo; oppure di qualcuno che ha cantato una serenata alle due di notte, e poi ha scoperto che lei non era in casa.. E tante altre idee improvvisate, come farsi 25 chilometri di superstrada col motorino sotto il sole delle tre di pomeriggio e 38 di febbre, rientrare in ritardo in caserma rischiando di essere denunciato per diserzione, o ancora rimanere davanti alla sua porta tutta la notte, passando poi una settimana con la febbre, per poi finalmente mettersi insieme, o infine andare ad insegnare l’italiano a Taipei per stare con la persona che si ama. Ovviamente tutto ciò non è stato fatto per San Valentino, ma solo per amore. Infatti la maggior parte della gente sostiene che non occorra proclamare una festa degli innamorati per manifestare i propri sentimenti, perché ogni momento dovrebbe essere buono. Come non dar loro ragione? In effetti, questa è un’occasione come un’altra per far guadagnare fiorai, cartolai, gioiellieri… però credo che alcune persone (mi riferisco più che altro ai maschi) siano un po’ chiuse, ed abbiano difficoltà ad esprimere ciò che provano. Così San Valentino li aiuta, donandogli un po’ di coraggio e la forza di non lasciarsi influenzare dalla timidezza… non vi sembra il caso di ringraziarlo anche solo per questo? l i b e r o p e n s i e r o scola. Il simbolo, usato da due partiti nella scorsa legislatura, è stato sostituito da un arcobaleno, che non può non ricordare quello nel simbolo della fallimentare Unione. La fiamma missina ricompare, goffamente, nel simbolo di un partito guidato da uno che è riuscito a farsi sconfiggere da un presentatore di un programma della sera. Resta lo scudocrociato, simbolo conteso di un grande passato naufragato da tre lustri, nel simbolo di un partito che è riuscito, forse a fatica, a mantenere una linea coerente con i due anni passati, senza confluire in estemporanei contenitori. Curioso vedere come l’accostamento verde–rosso sia tanto diffuso nei partiti. E dire che di bandiere italiane normalmente se ne vedono solo allo stadio, ed il verde si vede col rosso solo sulla pizza. Cinque simboli su sei, di quelli qui rappresentati hanno questo accostamento, come anche aveva la fiammina del M. S. I. Il sesto… beh che dire, sobrio ed elegante! Come si vede in bianco e nro sta che è un bijou. Ma perché mi soffermo a lungo sui simboli? Perché non parlo dei programmi delle formazioni politiche che tra due mesi voteremo, ed io, almeno alla camera, personalmente voterò? Beh, confesso con imbarazzo di non aver molto ben colto i programmi. L’ici, certo. La legge elettorale. Il cambiamento, d’altronde “si può fare”. La politica ambientale non è all’ordine del giorno? Non lo è la giustizia, impossibilitata ad agire da norme bislacche (per usare un termine colorito)? Pare di no, eh? Be’, andiamo a votare, chi può. E magari non fermiamoci ai simboli. Joe Berti Pochi giorni fa si sono aperte le danze e, uno dopo l’altro, i partiti stanno scendendo in pista. C’è chi si muove prima, in pullman, chi ci mette ancora un attimo per carburare, senza sapere bene dove andare, e con chi. C’è chi secede, e chi recede da passate secessioni. C’è poi qualcuno che nessuno vuole. È in effetti un pers on agg io scomodo, in af fi d abi le , ha appena fatto cadere un governo, ed in precedenza aveva fatto parte di un governo di segno opposto. Assistiamo anche alla scomparsa dei simboli: rimane l’ulivo, certo, adeguatamente ridotto, ma scompare la fiammina con la scritta M. S. I. dal simbolo di un partito in effetti scomparso esso stesso e confluito nel grande contenitore nato tra la folla di piazza S. Babila. Non c’è più traccia della falce e del martello, che, ai tempi si trovavano all’ombra della quercia, e furono poi sostituiti da una rosellina altrettanto minu- Francesco Delù 11 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 Valzer elettorale i n t e r v i s a luca mercalli Joe Berti 12 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Definirlo un meteorologo sarebbe estremamente riduttivo. Luca Mercalli, divenuto ormai famoso oltre che per le sue innumerevoli pubblicazioni anche per la regolare partecipazione al programma di Rai Tre Che tempo che fa, condotto da Fabio Fazio, è un fisico, un climatologo, un ambientalista, un opinionista, un anti-TAV sfegatato, un abilissimo oratore. E non si limita certo a esporre con la calma propria di un qualsiasi professore universitario i problemi del cambiamento climatico e del riscaldamento del pianeta. Piuttosto cerca di coinvolgere, convincere, di insegnare quale deve essere oggi il comportamento di chi tiene al proprio pianeta. lazione studentesca molto inerte, che, così, in qualche modo è anche interessata ai problemi, ma che li vive in maniera assolutamente passiva, dicendo “Tanto c’è qualcuno che decide per me, e io, alla fine, mi ritiro nel mio i-pod, sento un po’ di musica, mi guardo t a Adriano Bollani lando proprio con i giovani, con gli studenti, e cercando di fare con loro il punto della situazione. Una situazione che vede il prezzo del petrolio schizzato alle stelle, il rischio sempre più sentito di una crisi energetica globale, un ambiente disastrato da interventi selvaggi e dalle immondizie, e, d’altro lato, un pianeta che continua a riscaldarsi raggiungendo, nel 2007, la temperatura più elevata mai registrata o tra quelle di cui si hanno prove attraverso i carotaggi dei ghiacci che sono stati fatti nelle zone polari, e che ci permettono di avere dati fino a circa 100000 anni fa. E, di fronte a tutto ciò, una quantità colossale di energia sprecata, l’impossibilità, l’incapacità o la non volontà di diminuire se non eliminare l’impiego di materiali non riciclabili, una serie di cattive abitudini nella vita di tutti i giorni che ci trasciniamo dietro da cinquant’anni, dall’epoca dell’abbondanza energetica, dall’età dell’oro. Voi avete in mano la possibilità di condizionare la società, e non mi pare stia avvenendo. Ne è prova l’esordio della conferenza tenuta qualche settimana fa proprio qui al liceo Gioberti. «Voi avete già in mano, se volete, la possibilità di condizionare la società. Cosa che, in questo momento storico italiano, non mi pare che stia avvenendo: cioè, io vedo purtroppo una popo- l’ultimo videogioco, e lascio che il mondo vada dove vuole. Tanto non posso farci nulla”. Questo sentimento, vi dico, prende anche me, certe volte, perché viviamo in un mondo di contraddizioni» Critico dunque nei confronti della società, dei giovani, della politica, ma non certo privo di speranze. Ed è per questo che ha deciso di girare per le scuole d’Italia par- Ma a lui la parola: (CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE) t e (CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE) «Il 30% circa è la valutazione che l’Enea ha fatto a livello italiano: il 30% dell’energia attuale - ed è tanta, parliamo praticamente di un terzo - oggi è spreco puro. Per venire da voi questa mattina io dalla stazione sono passato in via Roma e ho visto ancora una volta tutti i negozi con le porte aperte: la temperatura era di zero gradi questa mattina in centro a Torino. Allora, qui abbiamo aperto la finestra purtroppo per motivi di tipo, chiamiamolo, involontario: l’impianto di riscaldamento funziona così; bisognerà fare un gran lavoro per regolarlo eccetera… I negozi di via Roma, invece, le porte le tengono aperte di proposito, nella speranza che qualcuno entri dentro più facilmente a comprare. Allora il poveraccio che entrerà dentro a comprare pagherà anche il riscaldamento buttato via da parte del negozio. Ma è proprio quello che porta a fare una scelta di questo genere! Ma questa gente che sta lì dentro, ma le commesse che stanno in quel negozio, hanno mai letto un giornale? Hanno mai sentito un titolo di un telegiornale? Sanno cos’è il protocollo di Kyoto? Chiaramente non pagano loro… Non ha senso, ed è questo r v l’invito che io vi faccio ad usare il cervello: ci si rifiuta di entrare in un negozio così, categoricamente! Io non compro da te, non entro nel tuo negozio, perché sei imbecille! Non compro!» Ma, per quanto riguarda più specificamente il cambiamento climatico, c’è anche chi sostiene che in realtà, nonostante la situazione assolutamente inedita, non sia dovuto per nulla al comportamento dell’uomo, ma i s t a Italia un famoso scienziato, Antonino Zichichi è notoriamente grande oppositore dei cambiamenti climatici di origine antropica, però sul clima non ha una sola pubblicazione sul suo curriculum; magari sarà espertissimo di fisica delle particelle: benissimo, studi quella! Quindi io dico: prima di tutto bisogna vedere quali sono le obiezioni e in qualche modo qual è l’ambiente scientifico che le produce; poi va benissimo, l’obiezione furba può anche arrivare da uno che passa per strada, però bisogna poi provarla e avanzare una teoria alternativa. In questo momento c’è molta gente che dice “No non è vero, non dipende dall’uomo” però non dice da cosa dipende il riscaldamento.» Ma questa gente che sta lì, ha mai letto un giornale? Sa cos’è il prot ocollo di Kyoto? che dipenda esclusivamente da un ciclo naturale. «Vorrei vedere le prove: non le ancora sentite, ho solo sentito tante chiacchiere. Gran parte di coloro che avanzano dubbi sui cambiamenti climatici di origine antropica non sono climatologi, appartengono magari alla comunità scientifica, ma non sono climatologi, quindi attenzione, a ognuno il suo mestiere. E vero: in Lei ha espresso, anche pubblicamente, posizioni contro la costruzione della linea ferroviaria Alta Velocità che dovrebbe attraversare una delle nostre valli alpine. «Sì. La realtà è che anche sulla TAV siamo vittime di una propaganda che non da i numeri giusti. In realtà nel sistema TAV, già solo a livello di costruzione, di cantieraggio, il bilancio energetico è negativo. Cioè, vent’anni di cantieraggio di un sistema (CONTINUA A FIANCO) Joe Berti n 13 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 i i n t e (CONTINUA) Joe Berti 14 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 così pesante come una ferrovia Alta Velocità e Alta Capacità con oltre settanta chilometri complessivi di tunnel consuma più energia nella fase di costruzione di tutta quella che farebbe risparmiare durante i primi cinquant’anni di vita utile qualora fosse usata a pieno carico. Quindi già questa è una contraddizione. Secondo, il problema più pratico è che la linea per trasportare merci e passeggeri esiste già e funziona benissimo, ed è l’attuale linea, storica, Torino-Modàne, a doppio binario, utilizzata al venti per cento della sua capacità. E questo è stato, per fortuna, sancito anche dal Governo, nell’ultimo quaderno dell’Osservatorio sulla TAV. Una parte della politica continua a sbraitare che questo è il progresso e che siamo tagliati fuori dall’Europa: queste sono parole vuote di qualsiasi contenuto. Cosa vuol dire tagliati fuori dall’Europa? Io vado a Parigi quando voglio, prendendo il TGV che ferma a Porta Susa e ci mette cinque ore e mezza. Che cosa cambia?» r v Le previsioni del tempo sono adesso molto precise e i s t a tà previsionale attuale arriva sia dalla potenza di calcolo, dall’uso dei supercalcolatori a parallelismo massivo che oggi permettono di fare qualcosa come 200 miliardi di miliardi di operazioni al secondo (siamo attorno ai 230 teraflop, la velocità dei computer più grandi), sia dal graduale affinamento della comprensione dei meccanismi fisici, di ciò che viene messo dentro a questi modelli. Tuttavia senza i supercalcolatori i modelli non potrebbero funzionare. I primi modelli per fare le previsioni del tempo sono stati concepiti nel 1904, da un punto di vista del concetto; però fino al 1950 non si è potuto fare nulla perché mancava la capacità di calcolo: dal primo calcolatore a valvole del 1950 siamo arrivati ad oggi usando gran parte della conoscenza che era già stata maturata prima. Chiaramente si aggiungono ogni giorno un po’ di dettagli.» Il 30% dell’energia attuale - ed è tanta, parliamo di quasi un terzo oggi è spreco puro. tra l’altro sono per tutta la settimana. Quanto ciò è dovuto al calcolo bruto, cioè alla potenza di calcolo che siamo in grado di mettere in atto, e quanto invece è dovuto alla conoscenza scientifica? Cosa vuol dire tagliati fuori dall’Europa? Io vado a Parigi quando voglio! Per concludere, una domanda di carattere più tecnico. «Tutte e due: sono due processi che viaggiano in parallelo. Adesso è difficile mettere dei numeri, però il miglioramento della capaci- La ringraziamo, professor Mercalli, e speriamo che la sua attività di divulgatore ci aiuti a essere consapevoli e a contribuire, seppure in minima parte, a salvare il nostro pianeta, o, come dice lei, a salvare l’uomo. t e r v a maurizio crosetti La nostra classe, 5^A, ha avuto la fortuna di partecipare, per entrambi gli anni del ginnasio, ad un laboratorio di giornalismo tenuto da Maurizio Crosetti, giornalista del quotidiano Repubblica. Al termine di questo progetto abbiamo colto l’occasione per intervistarlo e pubblicare sul Joe Berti le opinioni di un vero giornalista. Incuriosito per l’insolita situazione, si tira su le maniche della camicia e sedendosi, sorride: “Per una volta non sono io a preparare le domande!”. Esitando, gli chiediamo: Ha sempre saputo di voler fare il giornalista? L’ho scoperto molto presto: alle medie avevo partecipato ad un corso di giornalismo tipo il nostro e ci avevano portato a visitare le redazioni dei maggiori quotidiani. In realtà ho sempre saputo di voler lavorare con le parole, con la scrittura. Oggi c’è una facoltà di giornalismo: secondo lei si può insegnare o è frutto dell’esperienza? Non conosco bene il programma… Be’ , fino a poco tempo fa potevano provarci tutti a fare il giornalista, non era importante conoscere le i s t a Delia San Martino ed Eliana Vitolo lingue, né niente. C’erano solo 18 mesi di apprendistato e un esame; il rischio era che ad essere assunti fossero parenti e amici. Adesso almeno è richiesto un minimo di preparazione in sociologia, lingue, economia. Dopodiché è un mestiere artigianale, che si costruisce giorno per giorno, quindi l’esperienza è fondamentale. Infatti lei ha partecipato ad un laboratorio di giornalismo con la nostra classe: perché? E come le è sembrato? Penso che sia importante trasmettere l’esperienza da parte di chi ha il privilegio di appassionarsi al proprio lavoro, soprattutto a chi sta ancora cercando dentro di sé la propria strada. Non spero di creare 30 giornalisti, ma se è successo a me, perché non a voi? Spesso quando chiarisci le cose agli altri, e non sei un insegnante, alla fine le chiarisci anche a te: questo laboratorio è come se l’avessi anch’io. Avendo tre figli, so che spesso si rischia di considerare i ragazzi una categoria, ma sono persone, singoli individui. Tra i ragazzi di oggi, molti sognano di fare il suo lavoro: crede che abbiano un’idea distorta di ciò che è fare il giornalista? Ovviamente c’è il rischio di avere un’idea troppo cinematografica, ma vale per tutti i mestieri. Però non mi stupisce, perché è un bellissimo lavoro. La tv ha cambiato tutto, ma secondo me il giornalista rimane quello che scrive gli articoli, non chi appare, come chi va da Bruno Vespa. Quali sono secondo lei le caratteristiche di un buon giornalista? Curiosità, desiderio di capire, capacità di raccontare. Vengono meglio gli articoli di cui non si sa niente, se il giornalista ha voglia di farsi il mazzo e ha freschezza nello sguardo. Osservare i dettagli per vedere la complessità. E’ un po’ come quando un estraneo passa nella via dove abitate: vede duemila particolari in più rispetto ai vostri occhi abituati. Inoltre non perdersi in moralismi, ma attenersi ai fatti. E’ molto più importante tutto ciò che viene prima della parola: l’umiltà di capire davvero; e soprattutto ciò che precede l’articolo: non c’è nessuno che possa scrivere dignitosamente se non ha letto altrettanto. Qual è la differenza tra lei e (CONTINUA A FIANCO) Joe Berti n 15 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 i i Joe Berti 16 n t e r v (CONTINUA) sull’informazione? un giornalista di settimanali o mensili? Ovviamente quando si aggiunge uno strumento è sempre qualcosa di positivo. Però spero che rimanga la curiosità di saperne di più, il rischio è di accontentarsi. Dipende poi sempre da chi legge. Noi discutiamo di queste differenze, ma molta gente non si pone neanche il problema, vive un po’ peggio, non perché meno felice, ma perché ha meno strumenti. Essere informati serve nel pratico. Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Semplicemente hanno più tempo, ma rischiano di far invecchiare le notizie. Come in cucina: una minestra scaldata è buonissima… ma un sugo appena fatto col pomodoro fresco forse è meglio! Non so, sarà che sono comunque un giornalista di un quotidiano… Lavorano un po’ meno, ma forse si divertono anche un po’ meno. Non mi prendo mai troppo tempo per scrivere. Quando mi chiedono “Cosa fai Lunedì?” “Ma che ne so!” Da qui a Lunedì può cadere dieci volte il governo. (Quasi un oracolo) Si parla da un po’ di sostituire completamente il giornale cartaceo con quello virtuale: cosa ne pensa? Sono due realtà che già convivono parallele, però l’esperienza insegna che è ancora il cartaceo a trainare l’altro e secondo me tutto ciò che ha corpo ha qualcosa in più di ciò che non lo ha. Banalmente quello di carta lo porti in tram, in bagno, ci avvolgi il pesce. Inoltre leggere al computer affatica la vista, almeno per me, sarà perché porto gli occhiali. Comunque secondo me ci sono molte ragioni per cui si può sperare che il giornale di carta non venga sostituito. La possibilità di sapere tutto e subito data dalla rete, che effetti pensa che provocherà sulle nuove generazioni e Per concludere: potrebbe raccontarci l’esperienza che più l’ha segnata nella sua carriera? In generale segnano maggiormente le esperienze in cui devi tenere a freno le emozioni, ogni volta che si ha a che fare con la sofferenza degli altri. E’ talmente forte l’impatto emotivo da persona che è difficile poi dire: “lo tratto con sangue freddo”. Però devi anche farti coinvolgere, perché se no non puoi raccontare bene. Mi ricordo la finale di champions Liverpool-Juve in cui sono morti 39 tifosi. Era la mia prima trasferta e non avevo neanche la “leva d’emergenza”; non avevo mai visto morire nessuno, a parte la morte di qualche vecchio parente, cosa che comunque fa parte della vita di tutti. Lì era più tipo la guerra: medici, tracheotomie, poi sangue, tutti blu… transenne usate come barelle, ma anche bandiere, festoni, striscioni… era i s t a un’atmosfera surreale, una scenografia di festa con avvenimenti da fronte. Ma voi forse siete troppo piccoli per ricordarvelo: era il 1985 all’Heysel di Bruxelles. Dovete immaginarvi tutta la curva degli italiani che viene schiacciata dal muro divisorio… gente morta soffocata, tutti blu… e i sopravvissuti erano scappati in campo, tutti cercavano qualcuno: il figlio che avevi portato alla partita, la fidanzata. I poliziotti hanno perso la testa e hanno cominciato a manganellare la folla. Nell’85 non esistevano i cellulari e noi giornalisti eravamo gli unici ad avere un telefono: la gente veniva da noi perché doveva dire a casa di essere viva. Ci mettevano in mano foglietti con sopra scarabocchiati i numeri di telefono, qualche chiamata l’abbiamo fatta, ma la linea doveva rimanere libera per mandare le notizie, anche se ti rendevi conto che il tuo problema era molto inferiore al loro. All’epoca immagini del genere erano ancora più scioccanti: pensate chi ha acceso Rai1 alle 20:30, aspettandosi una partita e ha trovato una strage. Ho parlato anche troppo, ma il lavoro dell’intervistatore è quello di riassumere, quindi in definitiva sono tutti cavoli vostri. t e r v i s A Claudio Marino Moretti Sono ormai cinque anni che faccio parte del coro di voci bianche del Teatro Regio e, fin dal primo istante, la figura altera e severa del Mae- stro Claudio Marino Moretti mi ha affascinato. Il Maestro è stato per me, come per molti altri ragazzi, una guida e un esempio da cui prendere spunto. In queste poche righe (purtroppo il tempo a disposizione era minimo) si racconta come la musica possa rapire una persona, al punto che questa dedichi tutta la vita ad inseguirla. Ammetto che non ero sicura che il maestro accettasse di essere intervistato, ha sempre tenuto alla sua riservatezza e, spesso, deviava le domande che i bambini facevano a quell’uomo che suonava così bene il pianoforte. Peccato, dal prossimo anno non potremo più vedere la sua espressione orgogliosa quando ci vedeva sul palco...il perché? Be’ leggete l’intervista e lo scoprirete. Quando è nata la sua passione per la musica? “Fin dai primi anni, già dai tempi dell’asilo, ho cominciato con piccoli strumenti come la fisarmonica, l’armonica a bocca o gli organetti, per poi passare al pianoforte - rispondendo t a Lucrezia Mele mo conosciuti e da lì è nato tutto il resto…”Il maestro Moretti racconta che da collaboratore del maestro Bruno Casoni, ex direttore del coro che ora lavora al teatro “Alla Scala” di Milano, è diventato il nuovo maestro del coro del Regio. Come è nato il coro di Voci Bianche? “La nascita del coro di Voci Bianche è stata quasi casuale, perché c’era il centenario de “La Bohème” qui al teatro Regio, dodici anni fa, e serviva un coro di bambini e allora abbiamo preso un gruppo di ragazzi della scuola media del Conservatorio Giuseppe Verdi…” alla mia domanda continua raccontandomi dei suoi studi e della sua carriera - ho cominciato gli studi relativamente tardi: a dieci anni con un insegnante del mio paese che era cieco…” Quando ha cominciato a lavorare al Regio? “Prima di lavorare qui in teatro ho lavorato a Milano e poi mi è stato detto che al maestro Bruno Casoni serviva un collaboratore, ci sia- All’interno del teatro gira voce che Lei abbia ricevuto un’offerta di lavoro dal teatro di Venezia,è vero? “Sì, è vero, a giugno me ne andrò”. Dopo questa risposta secca, sono riuscita però a far ammettere al Maestro che il teatro Regio gli mancherà e nel nominare il coro di Voci Bianche ha fatto un largo sorriso (un tuffo al cuore, per me, pensare alle lezioni del mercole(CONTINUA A FIANCO) Joe Berti n 17 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 i i n t e (CONTINUA) Joe Berti dì e del sabato pomeriggio senza di lui). Ha aggiunto però che un’esperienza nuova significa anche crescere, che arriva sempre il momento di cambiare e che ora è arrivato. Quale sarà il suo “successore”? La risposta del Maestro Moretti è stata un “non si sa ancora”: ci saranno però due maestri distinti per i due r v cori, quello degli adulti e quello dei ragazzi, ma ancora non sono state scelte le persone che ricopriranno questa carica. L’intervista finisce interrotta dal suono del telefono del Maestro ed io, un po’ scontenta del poco tempo ottenuto, me ne vado ringraziando. Restano ancora pochi mesi prima che Claudio Marino Moretti si trasferisca a Venezia, fino ad allo- i s t a ra ci sono ancora molti spettacoli da mettere in scena, tra cui La Cenerentola (Gioachino Rossini) e l’Edgar (Giacomo Puccini), non ci rimane che goderci la presenza del maestro e augurargli buona fortuna per la nuova opportunità che gli si è presentata, siamo tutti sicuri che svolgerà un lavoro ottimo come quello svolto in questi anni al Teatro Regio di Torino. 18 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Due Parole con Pensiero Acutis Dario (il) Barbao Ho avuto, l'altro giorno, la fortuna di parlare con il signor Pensiero, presidente della sezione torinese dell’Associazione Nazionale Ex Internati (A.N.E.I). Abita nel mio stesso condominio, due piani sopra casa mia: avevo letto, l'anno scorso, il suo libro, Stalag-xa. Mi era piaciuto: raccontava della sua prigionia nel campo di lavoro che si chiama, per l'appunto, Stalag-xa, in Germania, durante la Seconda Guerra Mondiale. Eppure, fino a sabato, non avevo mai parlato con Pensiero di quanto aveva vissuto: quando ci incrociavamo in strada ci salutavamo e basta. Ogni tanto salivo a chiedergli delle uova o del limone, nient'altro. Eppure lui era stato in un campo di lavoro, vicino ad Amburgo, lavorando sotto i bombardamenti anglo-americani. Invece io l'avevo sempre conosciuto solo come un mite e gentile anziano. Infine, forse senza averne piena coscienza, decisi di intervistarlo per scrivere di lui qui, sul giornalino. Sono salito di sopra, dopo essermi preparato al mattino qualche domanda e preso un piccolo registratore: l'avevo avvisato il giorno prima e lui era lì, alle tre, che mi stava aspettando. Siamo andati nel salotto, ci siamo seduti e io ho iniziato a fargli le domande. Lui parlava e io ascoltavo, come mai avevo ascoltato fino a quel momento: anche se avevo (CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE) t (CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE) già sentito in diverse conferenze persone che erano state partigiani o prigionieri dei nazisti, non ero mai stato così attento. Stare di fronte ad una persona che ha vissuto quegli eventi per cui rabbrividiamo quando li vediamo in televisione o al cinema era una sensazione strana, bella e commovente allo stesso tempo. Era stato catturato dai tedeschi poco dopo l'armistizio, nel 1943 e spedito in Germania insieme a molti altri suoi commilitoni, a lavorare nel campo di Stalag-xa. Era arrivato lì in treno, su carrozze bestiame, insieme a centinaia di altre persone, come tutti schiacciato a causa dei treni sovraccarichi. Le carrozze si fermavano raramente e per liberarsi dai propri bisogni corporali era stato adibito a bagno un angolo. Il cibo veniva distribuito raramente e si dormiva schiena contro schiena. E alla fine, dopo settimane e r v passate in questo modo, Pensiero, era arrivato ad Amburgo, nel nord della Germania, a 288 chilometri da Berlino, la capitale. Patì sofferenze per il lavoro, la fame, ma soprattutto per il freddo, la prima cosa che aveva ricordato quando gli chiesi quali erano stati i momenti più difficili: non solo in inverno, ma anche in estate il gelo continuava a tormentare i prigionieri. Ora Pensiero ha 84 anni, è nato nel 1924, a Torino: ha scritto Stalag-xa e ci ha omaggiato di una copia. Ha scritto il libro perchè non vuole che si perda la memoria di quello che è avvenuto, perchè le testimonianze scritte saranno imperiture, e sono ancora molto poche: questo perchè non tutti riescono a liberarsi in pubblico da un peso così gravoso. Un libro perchè noi giovani dobbiamo sapere cosa è accaduto: ma questo non basta, dobbiamo cercare di i s t a capire. Figli di deportati hanno ripercorso le tracce dei loro genitori, lungo la Germania, per vedere dove questi hanno sofferto. Anche noi dovremmo fare così, per evitare di far cadere nell'oblio le stragi che hanno causato la morte di oltre 11 milioni di persone, per non confondere le esperienze tragiche dei sopravvissuti con brutte favole, per non rendere il 27 gennaio una tradizione priva di significato. Quest'anno Torino, che pure vanta una medaglia d'oro per la resistenza, ha trascurato rispetto al passato questa commemorazione: Pensiero era infatti molto deluso, triste a causa di quanto poco la sua città natale si fosse impegnata per offrire manifestazioni e conferenze. Sono passati solo 63 anni dalla liberazione di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche, noi non possiamo dimenticare. Per sapere come far parte del presidio di Libera “Renata Fonte” o anche solo per semplici informazioni, contattate Antonella o Ivan della III D in succursale o Francesca della III E in sede, oppure visitate il blog del presidio. http://presidiorenatafonte.spaces.live.com http://gioberti.forumcommunity.net Joe Berti n 19 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 i N o i g i o b e r t i Il Gioberti che Libera Joe Berti 20 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Tutti ascoltavano il suo racconto con indignato silenzio, provando unanime ammirazione per il suo coraggio e disgusto per una società irrimediabilmente corrotta. Quel venerdì di dicembre nella sala riunioni di casa Acmos ad ascoltare Pino Masciari, imprenditore calabrese oggi costretto a una vita di isolamento e rinunce per essersi opposto alle pressioni della ‘Ndrangheta, erano riuniti membri di Libera, Terra del fuoco, Acmos, tra cui il presidente Davide Mattiello, ma soprattutto molti ragazzi e ragazze, studenti di diverse scuole piemontesi. E mentre Pino, tradendo una certa commozione, raccontava forse per l’ennesima volta la sua storia, i suoi occhi umidi per le lacrime, più volte scontratisi contro muri di indifferenza, sembravano cercare segnali di speranza tra i volti giovani che lo circondavano. La risposta a questa velata richiesta di aiuto e di collaborazione non tardò ad arrivare. Alcuni ragazzi del Gioberti, che da qualche settimana stavano maturando l’idea di costituire un presidio, cioè un gruppo autogestito, all’interno di Libera, trovarono nelle parole di Pino il motore scatenante che li spinse finalmente a realizzare le loro intenzioni. Ed ecco che, in quello stesso gelido pomeriggio, quei ragazzi finalmente fondano il presidio, il cui referente diventa lo stesso Pino Masciari, che volentieri suggella la nascita del gruppo con la sua autorevole firma. Un mese più tardi, al coordinamento generale di Libera Piemonte, il presidio è ufficialmente presentato da Mattiello e viene dedicato a Renata Fonte, una delle prime donne vittime della mafia, che, per aver perseguito i suoi ideali fino alla fine in una determinata e strenua lotta contro la criminalità organizzata, ne rimase irrimediabilmente colpita. Renata Fonte fu uccisa il 30 marzo del 1984 a Nardò, un paese in provincia di Lecce, per essersi opposta alla lottizzazione e alla speculazione edilizia del parco naturale di “Porto Selvaggio” e per aver sempre rifiutato apertamente ogni forma di ingiustizia in nome della legalità e dell’amore per la sua terra. Ed è nel ricordo di un grande personaggio come questo che il presidio del Gioberti inaugura il suo ingresso nella rete di Libera. Perché la memoria, innanzitutto, è uno degli impegni fondamentali che ogni presidio si assume, la memoria per un passato costellato di stragi orribili e di vittime eroiche che non Ivan Ieri devono rischiare di cadere nell’oblio. In secondo luogo è indispensabile per i “presidianti” una costante documentazione e continui approfondimenti su temi riguardanti mafia e legalità e infine un impegno più concreto e attivo, che si può risolvere nell’organizzazione di assemblee e riunioni, nella partecipazione alle iniziative promosse da Libera, ma anche in concerti, spettacoli, o qualsiasi altra forma di espressione artistica, in modo che ciascuno possa offrire quanto è nelle sue risorse e capacità per impreziosire il mondo di Libera e per sentirsene parte integrante. Il presidio “Renata Fonte”, che per ora, sia per la sua recente nascita sia per l’età media dei suoi componenti, è tra i più giovani in tutt’Italia, sta ancora muovendo i suoi primi incerti passi, ma una delle sue più convinte speranze è quella di riuscire ad allargarsi all’interno dei muri dello stesso Gioberti, raccogliendo un numero sempre maggiore di adesioni, per poter diventare magari “Il presidio degli studenti” e vantare un’ appartenenza rigorosamente giobertina. g i o b e r t i Il giorno martedì 22 Gennaio settecento studenti di varie scuole di Torino si sono ritrovati al teatro Regio prima di partire per un viaggio che lentamente avrebbe cambiato le loro vite. Dopo il saluto di varie autorità torinesi, svoltosi nel più completo e rispettoso silenzio, divisi in gruppi ci siamo diretti tutti verso la stazione di Porta Nuova per cominciare finalmente il nostro lungo e faticoso viaggio. Ci siamo fermati solo in una stazione prima di arrivare a Cracovia (meta della nostra esperienza): Milano Centrale, luogo da cui molti ebrei furono deportati. Sul fianco destro di questa stazione c’è un luogo (usato originariamente per il trasporto di animali) in cui, nei giorni di festa o nelle domeniche, venivano ammassati circa seicento ebrei alla volta, che poi venivano caricati su carri bestiame dalle SS a forza di manganellate e bastonate. Questi carri bestiame, grazie ad un complesso sistema di spostamento, venivano collocati sul tetto della stazione tra il binario diciannove e venti e in seguito calati, carichi di persone, sul binario ventuno per formare il convoglio che sarebbe partito per Auschwitz. Anche a Milano siamo stati salutati dalle autorità che, in maniera molto commossa, ci hanno di nuovo augurato un buon viaggio e ribadito l’im- portanza di questa esperienza. Durante il cammino verso Cracovia abbiamo iniziato a conoscerci meglio, anche con i ragazzi delle altre scuole, oltre che tra di noi: abbiamo scherzato, giocato a carte, riso, ma anche letto brani tratti da diari e testimonianze di alcuni sopravvissuti per entrare nello spirito del viaggio e parlato tra di noi a proposito di questo per vedere quali erano le nostre impressioni e i nostri pensieri a riguardo. Tutti in fondo ci chiedevamo le stesse cose: chissà come saranno i campi di concentramento, chissà se quest’esperienza ci cambierà, che cosa ci rimarrà, che cosa invece ci lasceremo alle spalle. Il giorno dopo il nostro arrivo a Cracovia (ormai il 24 di Gennaio), siamo andati a visitare Auschwitz e Birkenau. A questo punto terrei a precisare la funzione dei due campi, poiché spesso si tende a considerare Auschwitz il campo dello sterminio: Auschwitz (Auschwitz I) è un campo di concentramento in cui la maggior parte dei deportati erano prigionieri politici (infatti, Elie Wiesel ne “La notte” dice che lì la gente era più serena, genericamente più tranquilla e non si doveva lavorare come a Birkenau), Birkenau (Auschwitz II) è il vero campo di sterminio: i deportati che arrivavano lì dopo essere rimasti rinchiusi Maria Luisa Candellieri nei carri bestiame per a volte anche due settimane venivano divisi in due gruppi dal famoso dottor Mengele, coloro che venivano mandati a destra erano salvi, quelli a cui veniva indicato di andare a sinistra (donne, bambini piccoli, vecchi, malati e coloro che erano visibilmente in condizione di non poter lavorare) erano destinati alle camere a gas e ai crematori. La prima impressione che fa Auschwitz, se non si conoscesse cosa è successo lì dentro e per caso non si fosse letta la scritta ARBEIT MACHT FREI (il lavoro rende liberi), è quella di una caserma, ma con un po’ troppo filo spinato che la circonda. Non appena si entra nei blocchi, che ora hanno la funzione di musei, ci si accorge che la prima impressione era quella sbagliata: i documenti, le foto le sculture, ciò che è rimasto dei prigionieri non sono cose trascurabili. Ci sono vetrine lunghe venti metri e alte tre che contengono parte dei beni dei prigionieri: le scarpe, le valigie, gli oggetti personali, le foto dei loro cari che si portavano dietro per non dimenticarli, i capelli, i tappeti fatti con i capelli, i vestiti dei bambini. Nel blocco undici in particolare vi sono le celle dei prigionieri politici (trattati decisamente meglio degli altri (CONTINUA NELLA PAGINE SEGUENTE) Joe Berti Il treno della memoria 21 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 N o i Joe Berti 22 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 N o i g i o b e r t i (CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE) originale, ve ne erano solo alcuni ricostruiti, ma che rendevano perfettamente l’idea: ottocento deportati per capannone, in cui dormivano stipati su letti a castello di legno il cui “materasso” era formato di paglia. In questi capannoni per un certo periodo i deportati erano anche costretti a fare i propri bisogni dal momento che fino al 1943 l’acqua non c’era. Le latrine erano in capannoni separati da quelli in cui i deportati dormivano ed erano lastroni di pietra bucati, in cui spesso i prigionieri cadevano e da cui non potevano tirarsi più fuori, perché troppo deboli loro e coloro che nel caso avrebbero potuto tirarsi fuori. Questo campo di concentramento è più inquietante di Auschwitz I anche perché è circa cinque volte più grande dell’altro ed è posto in una pianura in cui tirava un vento gelido e fortissimo e tutti noi avevamo freddo, nonostante cinque strati di maglioni, due paia di calzettone i pantaloni da sci. Lascio immaginare lo stato dei poveri deportati, vestiti solo con un pigiama di tela leggerissima. Alla fine dei binari è stato costruito un monumento alla memoria del milione e mezzo di ebrei uccisi a Birkenau, davanti al quale, dopo la visita al campo, sono stati letti dei brani che ricordavano le cose più atroci successe nel campo e sono stati ricordati alcuni dei nomi dei deportati morti. La giornata successiva si è basata su dibattiti fatti sia negli ostelli al mattino, sia nell’Auditorium prigionieri, quasi facessero parte delle SS), e le camere di tortura: delle celle di novanta centimetri per novanta in cui quattro prigionieri, se si “comportavano male”, venivano messi a trascorrere la notte, senza cibo, acqua e addirittura senza aria, infatti queste celle erano murate e l’unico buco da cui poteva passare dell’aria era quello da cui erano entrati di quaranta centimetri per quaranta. Sempre vicino al blocco undici vi era anche il muro in cui venivano fucilati i prigionieri (ora ricostruito) e nello stesso spiazzo dei pali, che nessuno di noi ha notato subito, ma su cui la guida ha focalizzato la nostra attenzione dal momento che a volte alcuni prigionieri venivano legati a questi pali con le mani dietro la schiena, in modo che si rompessero e il giorno dopo venivano mandati al lavoro con le mani rotte e se non riuscivano a fare il proprio lavoro venivano uccisi. Ad Auschwitz il forno crematorio non è stato distrutto e abbiamo potuto visitarlo, mentre ben due dei forni crematori di Birkenau sono stati distrutti prima dell’arrivo dei Sovietici e perciò ne abbiamo osservato solo le macerie. L’arrivo a Birkenau è stato molto più duro che l’entrata ad Auschwitz. Oserei definirlo angosciante: una distesa di camini circondata da filo spinato e da torri di guardia, attraversata al centro dai binari del treno da cui scendevano migliaia di persone alla volta. Non c’era nessun capannone dell’università di Cracovia al pomeriggio. L’argomento centrale, almeno del dibattito pomeridiano, è stata la guerra in Kosovo, ma per la maggior parte di noi, che non conoscevano l’argomento o ne sapevano decisamente poco è stata solo una perdita di tempo, pertanto tralascio i dettagli di quest’ultima giornata passata a Cracovia. Per concludere, trovo che quest’e -sperienza sia decisamente importante e privarne altri studenti significherebbe non avere assolutamente rispetto per loro. Alcune scuole hanno deciso di portare solo studenti del quarto anno: reputo sbagliato anche questo, poiché, nonostante possano già essere maturi, non hanno la preparazione adatta ad un’esperienza simile, ovvero rimangono colpiti dal tutto senza riuscire a dargli un’importanza storica ben definita, che secondo me è uno degli aspetti più di valore per affrontare questa dura “prova”. Aggiungerei solo più un consiglio: se ci sarà una prossima volta, spero che tutte le classi vengano avvisate e non solo quelle della sede e un paio della succursale, poiché sarebbe anche questo un torto per i ragazzi della succursale che non hanno avuto la possibilità di affrontare questo viaggio ora, durante l’anno della maturità, l’anno più importante nella vita di ognuno di noi, il più adatto ad affrontare questo grande passo. g i o b e r t i Ti Voglio Bere Dal nucleo primitivo di scuole che facevano parte del progetto, di cui il gioberti era capofila, si è giunti al buon numero di 25 istituti da tutto il Piemonte, di cui tredici nella provincia di Torino. I primi risultati del progetto si riferiscono al nostro solo liceo: 12% di riduzione del consumo in un anno, 369000 (sì trecentosessantanovemila) litri in meno a persona, 590 litri in meno a testa. Ora, se i giorni di scuola sono duecento all’anno, sono te litri al giorno: due bottiglie da tavola. Si immagini dunque che ognuno di noi accumuli dietro al proprio banco di giorno in giorno due bottiglie: dall’inizio dell’anno sono passati più di cento giorni, dunque ognuno di noi ha risparmiato duecento bottiglie d’acqua. Si sforzi un attimo la capacità immaginativa e ci si rappresenti la scena: un risultato non indifferente. Questa è la soluzione del cruciverba in ultima pagina: chiunque volesse sottoporci giochi enigmistici o matematici li può inviare all’indirizzo email o inserire nella scatola nell’atrio di sede e succursale. Joe Berti Il 30 Gennaio scorso in succursale è stato inaugurato il T.V.B. lab, laboratorio interattivo creato come fase due del progetto T.V.B., ti voglio bere, di cui il nostro istituto è il polo. Si tratta di un progetto per l’uso consapevole delle risorse idriche nelle scuole superiori guidato dalla SMAT, la società che gestisce l’acquedotto torinese e prevede l’installazione nelle scuole di riduttori di flusso e nella scuola polo - il Gioberti, appunto - la realizzazione di un laboratorio per la formazione di studenti ed insegnanti sul tema del risparmio idrico. Verranno infatti formati i Water-manager, studenti incaricati di formare a loro volta i compagni. Francesco Delù 23 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 N o i m o n d o Cinque lunghi interminabili anni Simone Cattaneo Joe Berti 24 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 I fatti che seguono sono contenuti nel prologo del libro di Marco Travaglio, Gianni Barbacetto e Peter Gomez intitolato "Mani Sporche", del cui prologo ho realizzato una sintesi da condividere con tutti i lettori del giornalino: i temi trattati sono inquietanti, recano un sentimento di impotenza nei confronti del potere e suscitano la voglia nel lettore di arrabbiarsi. Tuttavia è tutto vero, nonchè informativo, giusto per capire cosa è successo negli ultimi 5 anni di Storia Italiana a nostra insaputa. Il 5 Luglio 2006, su ordine della Procura di Milano, gli agenti della Digos fanno irruzione in un palazzo di via Nazionale 230, a Roma, raggiungono l'interno 12, nel quale si trova un mega-appartamento di quattordici stanze dove vive e lavora giorno e notte Pio Pompa, nato a L'Aquila il 15 Febbraio 1951, funzionario del Sismi, ovvero il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare, dal 1 Agosto 2007 trasformato in Aise, Agenzia Informazioni Sicurezza Esterna. È assunto da Niccolò Pollari, Generale della Guardia di Finanza capo del Sismi dall'autunno del 2001. Sia Pompa sia Pollari sono coinvolti nelle indagini sul sequestro del'imam egiziano Abu Omar, rapito a Milano il 17 Febbraio 2003 da un commando della Cia: Pollari è indagato per sequestro di persona, Pompa per favoreggiamento. In quegli uffici di via Nazionale, oltre alle miriadi di carte, dossier e report su politici, magistrati, imprenditori, giornalisti, dirigenti delle forze dell'ordine e servizi di sicurezza, c'è di molto peggio. L'attenzione degli investigatori si concentra su un appunto anonimo: 23 pagine, 9 scritte a macchina, datate 24 Agosto 2001, in cui si propone di "disarticolare con mezzi traumatici" l'opposizione al governo che da poco aveva la maggioranza a Palazzo Chigi. A una prima lettura, sembra un piano d'azione redatto per punti; letto col senno di poi, emergono inquietanti analogie con il programma in materia di giustizia, libertà e sicurezza poi messo in atto dal governo Berlusconi. Le prime due pagine sono costituite da 3 elenchi, sotto il titolo "Aree di sensibilità", contenenti nomi di giornalisti, politici, intellettuali e soprattutto magistrati che sartebbero i protagonisti e fautori di "iniziative di aggressione" contro "esponenti dell'attuale maggioranza di governo e di loro familiari": delle sorte di liste di proscrizione. La terza e la quarta pagina trattano invece il piano d'azione in sette punti, sempre sotto il titolo "Aree di Sensibilità" (le parti virgolettate sono il testo originale, le (CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE) (CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE) mie semplificazioni sono esterne alle virgolette): 1. "Disarticolazione, graduale ma costante del dispositivo approntato in sede politico-giudiziaria" da parte, probabilmente, di Luciano Violante. Si parla anche di "un movimento trasversale" caratterizzato da "correnti" all'interno dell'Ordine giudiziario e che i presunti esponenti siano "strutture di supporto, di mantenimento del consenso e di promozione delle iniziative di aggressione". 2. Stessa "disarticolazione" per gli esponenti della passata legislatura, considerati favorevoli o alleati degli esponenti del "progetto aggressivo" del punto 1. 3. "Neutralizzazione di iniziative, politico-giudiziarie, riferite direttamente a esponenti della attuale maggioranza di governo e/o di familiari" (ecco a cosa servivano le liste di cui sopra) 4. "Neutralizzazione" o "ridimensionamento di attività aggressive, politiche, giudiziarie provenienti dall'estero, ma svolte in sinergia con ambiti e soggetti di cui ai precedenti punti. Paesi d'interesse: Spagna e Inghilterra" (Berlusconi aveva a quel tempo problemi giudiziari a Madrid con Telecinco e a Londra con David Mills e il caso AllIberian) 5. "Neutralizzazione" di iniziative aggressive da parte degli enti investigativi n dell'Unione Europea volte alla "delegittimazione" della maggioranza "al fine di promuovere interventi volti a stimolarne le dimissioni" 6. "Esigenza" di un "team" che si occupi preventivamente di ogni "iniziativa aggressiva" al fine di "attuarne misure di neutralizzazione o di deterrenza", oltre alla possibilità di "svolgere attività di dissuasione" mediante "adeguate contromisure in Italia e all'estero". 7a. La tempistica di questo progetto prevede una "fase di avvio e rodaggio che deve essere quanto meno iniziata con effetto immediato". 7b. "In questi termini una iniziale reattività è prefigurabile fin dalla prima quindicina di Settembre, mentre una congrua messa a regime del sistema richiede un periodo temporale minimo di almeno sei mesi". Per quanto riguarda invece il capitolo intitolato "Attività di tutela di eminenti personalità di governo", vi sono due punti atti a proteggere l'esecutivo, sulla falsa riga dei precedenti 7 punti: ricorrono spesso riferimenti alla "valutazione di atteggiamenti impropri", "monitoraggio dei settori notoriamente sensibili", "studio di ipotesi di lavoro volte a neutralizzare iniziative improprie", particolare attenzione alla "credibilità di organi e/o soggetti di governo". d o Delirii di uno o più spioni? Macchè. Progetti che verranno messi in opera dal governo Berlusconi e dalla sua maggioranza - come dice il dossier - "fin dalla prima quindicina di Settembre" e nei mesi successivi. Se i sovversivi da "disarticolare" si muovono sul fronte della corruzione e dei reati finanziari, ecco subito la legge che depenalizza il falso in bilancio. Se il nemico si annida anche nelle magistrature del resto d'Europa, ecco pronta la legge che cestina le rogatorie internazionali. E se il nuovo governo deve guardarsi dagli "organismi investigativi dell'Unione Europea", come l'Olaf (l'Office européen de Lutte Anti-Fraude) e l'Eurojust (la superprocura europea di Bruxelles), ecco il sabotaggio di entrambi gli organismi, seguito dal no del governo italiano al mandato di arresto europeo (per i soli reati di cui Berlusconi è imputato all'estero). Il 23 Novembre 2001 il governo blocca la nomina all'Olaf di Perduca, nominato due volte nelle liste del dossier, e anche Mario Vaudano e Nicola Piacente, che hanno vinto un regolare concorso. Il 13 Marzo 2002 si replica con l'Eurojust: questa volta ad essere estromesso è Giancarlo Caselli, nonostante tutta la procura cerchi di convincere il governo a mantenerlo nell'incarico. (CONTINUA A FIANCO) Joe Berti o 25 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 m m o (CONTINUA) Joe Berti 26 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Caselli poi verrà anche escluso dal concorso per la Procura Antimafia con due leggi "contra personam". Da segnalare anche le persecuzioni con "iniziative traumatiche" (prima fra tutte la la sospensione della scorta per tutte le toghe di prima linea) alla Boccassini, a Colombo, ai fratelli Mancuso, a Natoli e Ingroia (estromessi dall'antimafia di Palermo) e a tutti i magistrati iscritti nelle liste della prima parte del dossier di via Nazionale. Tutto ciò continuerà con n una sequenza impressionante nei primi due anni del governo e anche negli anni a venire, segnato da silenzi inauditi, leggi vergogna, disinformazione, censura e chi più ne ha più ne metta. Basta seguire la scansione cronologica dei fatti per comprendere che un'azione cosi perfettamente funzionante e impeccabile che ha potuto perdurare per tutta una legislatura, necessitava di un'architettura a monte che passasse inosservata, in quanto messa in atto da chi osservava, vale a dire i Servizi Segreti. Un'architettura d o che, finora, continua anche durante l'odierna maggioranza di centrosinistra/ destra, perchè fondamentalmente conviene a chi sta al potere “Disarticolare, spiare, calunniare magistrati, giornalisti e intellettuali scomodi per il governo. Questo si progettava e si faceva negli uffici del Sismi, mentre Berlusconi sedeva a Palazzo Chigi. Per cinque lunghi, interminabili anni.” http://gioberti.forumcommunity.net L’email del Joe Berti [email protected] Il sito del Joe Berti http://www.infojoeberti.altervista.org La pagina del J.B. http://liceogioberti.scuole.piemonte.it/JoeBerti/joeberti.htm sul sito della scuola Il blog degli studenti http://giobertinfo.spaces.live.com n Piccole donne crescono Il termine “emancipazione” (dal latino : affrancamento dalla schiavitù) presuppone che la donna parta da una condizione di inferiorità; in realtà non è esattamente così: è scientificamente provato che, già dalla nascita, a parità di difficoltà , le femmine vanno più avanti e, poiché -per decreto biblico- il dolore è una faccenda soprattutto femminile, esse sono dotate di maggiore resistenza al dolore fisico. Quindi, la condizione di schiavitù è stata indotta dall’ uomo nel corso dei secoli: è infatti noto che, nell’ antica Grecia, la legislazione di Sparta non poneva alcuna discriminazione tra uomini e donne, così come gli antichi Egizi avevano da sempre riconosciuto alla donna capacità e diritti per poter essere regina, sacerdotessa, moglie e madre. Purtroppo però, sparite queste illuminate civiltà, si è sviluppata e radicata nel tempo una profonda discriminazione verso la donna, considerata un essere inferiore e privata dei diritti più elementari. Occorrerà attendere la fine del secolo XIX per intravedere possibili spiragli di democrazia. Concedendo alle donne l’accesso alle università, inizia per loro un lento ma inesorabile processo di emancipazione, sempre molto contrastato da una società profondamente maschilista. Tant’ è che risulta ancora attuale il concetto esplicitato da Nietzsche (in “ Così parlò Zaratustra”), secondo cui “due cose vuole un vero uomo: pericolo e gioco; perciò vuole la donna, in quanto è il giocattolo più pericoloso”. Già in un’ antica commedia greca un personaggio maschile diceva: “Insegnare ad una donna le lettere? E’ un grave errore ! Come fornire altro veleno ad un pericoloso serpente velenoso”. Il problema, quindi, sta proprio in questa lampante contraddizione : continuare a considerare pericoloso il cosiddetto “sesso debole”; tale convinzione ha indotto l’ uomo ad imporsi sulla donna, riducendola a terra di conquista, ad oggetto da utilizzare, evitando quindi aprioristicamente il confronto, nel quale è anche possibile perdere, visto che il soggetto è “pericoloso”; tanto pericoloso da doversi meritare l’ emancipazione, come è accaduto in Italia, ad esempio, quando nel 1945 è stato concesso il diritto di voto alle donne, d o Eleonora Calfus interpretandolo come un “riconoscimento alla prova di capacità di lavoro e sacrificio” (M. Mafai – L’ apprendistato della politica) e non come un diritto. Oggi, almeno in Occidente, sulla carta vengono garantiti alla donna tutti i diritti, anche se la strada da percorrere è ancora molto lunga e troppo spesso ostacolata dalla stessa donna: sono purtroppo all’ ordine del giorno tante situazioni familiari in cui la donna continua ad accettare, rassegnata, evidenti condizioni di inferiorità, abbassandosi spesso a ruoli infimi per compiacere il compagno violento e prepotente, senza avere quello scatto di sano orgoglio che dovrebbe essere né maschile né femminile ma semplicemente umano, tale da potersi affrancare da quella condizione di vittima di uomini egoisti, egocentrici ed incapaci di amare, “che amano se stessi in voi, come un riflesso” (D.Maraini – Donne mie). Così come è addirittura più deprimente verificare la totale mancanza di amor proprio da parte di tante altre donne “emancipate” , o che per lo meno potrebbero essere tali, avendo la (CONTINUA NELLA PAGINE SEGUENTE) Joe Berti o 27 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 m r e c (CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE) Joe Berti 28 fortuna di essere dotate di strumenti e capacità con cui poter competere alla pari con i fratelli uomini. Anziché solidarizzare con le altre donne, scendono a compromessi con la loro dignità, plasmano la propria personalità, adattandola all’ e n s atavico modello di “donna come la pensano gli uomini, cioè una persona leggermente inferiore” (N.Aspesi – La donna immobile). Malgrado tutto, però, il processo di emancipazione va avanti, rendendo possibile, oggi, la corsa alla presidenza degli USA da parte di i o Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 ogni settore commerciale disponibile sulla piazza (dai vestiti di marca fino all’edilizia e persino lo smaltimento dei rifiuti) e sembra intenzionato ad allargarsi sul mercato internazionale. Un’intera sezione dedicata a spiegare i metodi con i quali la camorra gestisce i suoi affari: qui non si tratta delle solite sparatorie e pizzini. Le realtà più crudele di questa “impresa su larga scala” , dai drogati usati come cavie per testare nuove droghe ai bambini pusher, raccontate da persone comuni che hanno lavorato per la criminalità, spinti dalla disperazione oppure a loro insaputa. Testimonianze raccolte personalmente dall’autore e riportate sotto forma di racconti che narrano storie di vite spezzate e consumate dal “sistema”, come viene chiamato dai napoletani. Un viaggio che parte dal porto i una donna. Ciò dimostra che, perseverando, è possibile che il mondo si emancipi e giunga presto a considerare l’ individuo per le sue qualità, accettando la diversità dei sessi come una ricchezza dell’ umanità. Gomorra Di roberto Saviano Avete notato che in televisione non si parla quasi mai di mafia? Eppure qualche anno fa i telegiornali ci tartassavano di notizie sulla cattura di Provenzano, sugli arresti massicci di camorristi e n’dranghetani, sulla probabile fine di un’orribile realtà che ha perseguitato l’italia fin dalla sua nascita. Ma cos’è veramente la mafia? Quali sono i meccanismi che fanno muovere questo enorme macchinario? Questo libro non potrà di certo rivelarvi verità sconcertanti, ma vi potrebbe aiutare a capire meglio il sistema che si cela dietro. Un viaggio che percorre le terre della Campania dilaniate da questo morbo incurabile che si chiama “camorra”: da Napoli fino ai paesi più sperduti dell’Appennino un potere che controlla il mercato locale e si è impossessato di n Gabriele Cauda di Napoli nella notte profonda, quando vengono scaricati milioni di container di merce contraffatta che si dissolvono come fantasmi nel giro di mezz’ora. Dopo aver illustrato i giri d’affari, ecco una sezione dedicata alla storia di Napoli in questi ultimi otto anni. Una città terrorizzata dalle guerre dei clan (anche qui una raccolta di testimonianze su parenti e amici delle vittime delle guerre di camorra) fino ad arrivare al grande processo anti-mafia più importante di tutti i tempi, del quale non si è parlato assolutamente in televisione, del 2007. Lo consiglio a: chi vuole che gli vengano svelati i segreti di questo enorme business Non lo consiglio a: chi “muto vuole stare” perché gli “hanno fatto un’offerta che non poteva rifiutare” c e n s Leoni per Agnelli Con una Francia che fa più gossip che politica, un’Italia che di politica, fra la sottile sofistica di Nino Strano e il potenziale ritorno alle urne, forse ne fa troppa, con guerre in tutta la striscia di Gaza e non solo, non è facile accorgersi della falsità del pacifico stallo statunitense. Si torna da qualche mese a parlare di Stati Uniti d’America per le elezioni imminenti del nuovo presidente: repubblicani contro democratici, Hillary Clinton contro McCain, Clinton & Clinton contro Obama. Sono passati sette anni da quel “nine/eleven” che aveva sconvolto il mondo, e i candidati alla presidenza parlano ancora di sicurezza contro il terrorismo, non di strategie per riportare truppe a casa. Così, nel paese dove Hillary Rodham, donna che predica pari opportunità, sbandiera il suo essere Clinton, e Barack Obama prima non era abbastanza nero e ora lo è troppo, trecento milioni di americani stanno ad ascoltare la politica che tutti questi presidenti vogliono applicare sulle famiglie e sulla sicurezza, dimenticandosi di essere in guerra. A ricordarglielo dovrebbe bastare il cimitero di Arlington appena davanti alla Casa Bianca, costruito per onorare i caduti, che ospita più di trecentomila morti cancellando interamente la generazione dell’80 e testimonia che non c’è nulla di eroico nella guerra. Eppure il 63% dei giovani, tra i diciotto e i ventiquattro anni, nello stato a stelle e strisce non sa dove sia l’Iraq. A ricordare loro che in questa guerra a morire sono i loro vicini di casa, ha provato anni fa Michael Moore con il film da prendere con le pinze, ma comunque da prendere, “Fahrenheit 9/11”. Adesso, dopo sette anni di guerra, centinaia di morti e troppa ignoranza, ci riprova Robert Redford con “Leoni per Agnelli” , film estremamente intelligente che analizza la guerra in Iraq-Iran in modo talmente brillante da non essere strappalacrime, ma di una splendida lucidità che regala allo spettatore un milione di domande, in cambio di quei sette euro. Vengono raccontate tre storie, legate dagli stessi personaggi ma soprattutto dall’enorme tema della guerra: una giornalista (Meryl Streep) a cui viene rivelato da un senatore repubblicano (Tom Cruise) un nuovo piano per conquistare l’Iran (il film è ambien- i o n i Delia San Martino tato alla fine degli otto anni Bush) due studenti alla University of Columbia, poveri e brillanti che, per agire e non assistere passivamente ad una simile America, si arruolano e rimangono uccisi per quella stessa strategia ideata dal senatore, e infine un studente ricco e geniale, allievo dello stesso docente (Robert Redford) dei due volontari, che non ha frequentato le lezioni durante l’ultimo trimestre, avendo passato le giornate a divertirsi, cosciente di star sprecando il suo talento. Tre drammi quotidiani: pubblicare una notizia sapendo di vendersi e divulgare non informazione ma propaganda, morire da eroi in una guerra meschina, e scegliere tra vivere in una felice cecità di lussi, o mettersi in gioco e rischiare. E’ un film che suscita discussioni, costringe a pensare e, oltre ad attori straordinari, offre una serie di dialoghi ben scritti e pone davanti ad una realtà dove non esiste eroismo e onore, ma solo morti e coraggiosa ingenuità dei giovani per codardia dei potenti. Leoni per agnelli. La giornalista guarda il senatore repubblicano: - “whatever it takes”, disse l’uomo con l’aria condizionata. Joe Berti e 29 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 r t e c n o f l a s h Le soluzioni ai giochi matematici dello scorso numero Joe Berti Risposta 1 (casalinga): il trucco sta nell’andare a ritroso da 1000 fino a 1 dividendo quando possibile per 3, altrimenti sottraendo di 1. Il numero minimo di passi con 1 come punto di partenza e 1000 come arrivo è quindi 9. Risposta 2: 2 delle tre età Luigi conosce la somma ed il prodotto, con due dati e tre incognite non è in generale possibile trovare le soluzioni! Ma..... Le età sono numeri interi, quindi non saranno poi molti i numeri che moltiplicati danno 72! È sufficiente consiX Y derare tutte le terne composte dai fattori primi di 72 o, molto più semplicemente, partire dal divisore 74 1 più grande di 72 (72 stesso) e vedere quali altri 2 numeri moltipli- 36 2 cati per il divisore scelto danno 72. 24 3 72 per 1 e per 1 36 per 1 e per 2 (osserviamo che 18 4 non è importante l’ordine in cui considero i tre numeri..quindi il 18 2 caso 36 per 2 e per 1 non ci inte- 12 6 ressa) dopo il 36 il divisore più grande di 72 è 24 ed ottengo 24 3 12 3 1 Con il 18 ho più possibilità: 18 4 1 e 18 2 2, andando avanti, e ricor- 9 4 dando che il secondo fattore che 9 8 considererò deve essere più piccolo del primo (altrimenti avrei già con- 8 3 siderato la terna!) ottengo la tabel6 6 la a fianco. I casi possibili sono quindi 12. 6 4 Luigi, dopo aver visto il numero civico del palazzo, cioè dopo aver saputo quanto è il prodotto delle tre età, risponde ’non so le età’. Dalla tabella, dove sono riportate le somme delle terne che moltiplicate danno 72, si osserva che le somme sono tutte diverse eccetto che per le terne 8 3 3 e 6 6 2 che danno come somma 14. 30 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Ora anche noi conosciamo la somma delle età: necessariamente 14! Se Luigi avesse visto un altro numero, ad esempio il 19, avrebbe scoperto le tre età 12 6 1, rispondendo ‘non so le età’ ha evidentemente v i s t o i l n u m e r o 1 4 . Quindi ora sappiamo che le tre età devono essere 8 3 3 oppure 6 6 2. 2 Mario aggiunge che anche tra un anno, senza essersi incontrati oggi (quindi senza sapere i dati che faticosamente abbiamo dedotto), con le medesime domanSo de, Luigi non saprebbe rispondere. Z m Ma allora, visto che Mario tra un ma anno risponderebbe in modo cor1 74 retto, sapendo che la scelta è tra 6 6 2 e 8 3 3, conosciamo le possibili 1 39 risposte che darebbe Mario! 1 28 a) Se oggi i tre figli avessero 6 6 2, tra un anno avrebbero 7 7 3. Ma1 23 rio direbbe il giusto prodotto, 147, e Luigi leggerebbe come somma 2 22 d e l l e e t à o v v i a m e n t e 1 7 1 19 (quest’anno la somma è 14..). Costruendo una tabella come nel caso 2 17 precedente si scopre che solo una terna di numeri tra tutti quelli che 2 15 moltiplicati tra loro danno 147 1 18 andrebbe bene : 7 7 3, quindi Luigi indovinerebbe le tre età, cosa esclu3 14 sa da Mario. b) Se oggi i tre figli avessero 8 3 3, 2 14 tra un anno avrebbero 9 4 4. Ma3 13 rio direbbe il giusto prodotto, 144, e Luigi leggerebbe come somma delle età 17. In questo caso due terne di numeri andrebbero bene, 9 4 4 e 8 6 3, e quindi Luigi non saprebbe rispondere, come detto da Mario. Ma Luigi sa (e anche noi sappiamo..) che oggi le età possono essere solo 6 6 2 e 8 3 3. Quindi le età attuali sono 8 3 3. t e c n o f l a s h WiFi è l’abbreviazione di Wireless Fidelty, ed è l’insieme di apparati che possono comunicare mediante connessione senza fili a specifica IEEE 802.11. La specifica 802.11 riunisce tutti gli apparati di rete WiFi, mentre le specifiche 802.1x riuniscono in generale gli apparati di reti locali. La WiFi consente la comunicazione tra due o più dispositivi direttamente o mediante un access point (punto di accesso) che consente, oltre a garantire più sicurezza e una maggiore interoperabilità tra apparati (nel senso che con un collegamento diretto non è possibile utilizzare Internet, altri apparati oltre ai due comunicanti e via dicendo). Il primo metodo è detto ad hoc, che consente di instaurare un trasferimento dati (con accesso ai due dispositivi contemporaneamente, esempio: sto trasferendo un file x dal mio computer al tuo mentre tu stai sfogliando le cartelle sul mio PC) che con gli Infrarossi non è sempre fattibile, spesso anche per problemi di software, ovvero per colpa di programmi che non abilitano determinate funzioni. La rete WiFi opera ad una frequenza di circa 2.4 GHz (di poco superiore all’UMTS) che è soggetta tuttavia a non poche interferenze. La rete WiFi è in grado di operare intorno a velocità teorica (per velocità teorica si intende il limite teorico a cui un trasferimento dati può andare, senza ostacoli e a bassissima distanza) che è quantificabile come 125 Mbps (massimo teorico, che va diviso per otto per conoscere il massimo teorico in quantitativo di MB e non Mbps). Non tutti i dispositivi al momento però supportano questa velocità. E’ mediamente diffusa la velocità di 11 Mbps tra i dispositivi portatili e quella di 54 Mbps nelle reti tra computer. Sottospecifiche della 802.11 sono la 802.11 a, b, g, n. Sono specifiche nate con gli anni, per andare incontro a esigenze di vario tipo e a costi di produzione e grandezze dei chip differenti. La 802.11 a è scarsamente utilizzata (circa il 5% delle reti italiane supporta tale sottospecifica) e ha una velocità di trasferimento dati piuttosto elevata (si arriva ai 128 Mbps). Viene utilizzata soprattutto in aziende e uffici, in quanto garantisce anche una copertura maggiore. La 802.11b è la più diffusa tra i palmari e i dispositivi mobili e consente di raggiungere la velocità massima teorica di 11 Mbps. Circa il 20% di tutte le connessioni wireless in Italia viene fatto con questo standard e ben il 90% dei palmari viene collegato alle reti wireless tramite questo standard. La rete 802.11g invece è la più utilizzata: consente di utilizzare velocità variabili dagli 11 Mbps ai 54 ai 128. E’ molto interoperabile: è utilizzata all’incirca dal 65% della gente che utilizza connessioni wireless di tipo LAN e dal 10% dei dispositivi mobili. La 802.11n, infine, è una tecnologia sviluppata da Cisco System che consente poca interoperabilità a vantaggio di copertura di territorio maggiore e velocità di trasferimento che non sono mai inferiori ai 128/200 Mbps. E’ impiegata per il 15% del totale e non viene impiegata con i palmari. La sicurezza delle reti Wireless aumenta man mano che si sale di complessità: le reti ad hoc sono generalmente molto poco sicure, le reti access point sono sicure allo stesso modo, a seconda di come l’Amministratore della rete decide di gestire i protocolli di (CONTINUA NELLA PAGINA SEGUENTE) 31 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 Alberto Leone Joe Berti La Tecnologia t e c n o (CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE) Joe Berti 32 sicurezza. Tra questi ci sono il WEP (che ha numerose falle di sicurezza ed è molto vulnerabile) nato nel 1999 e ancora utilizzato per facilità. Evoluzioni del WEP si trovano nel WPA (Wireless Protected Access), che utilizza un algoritmo di crittazione più sicuro e meno rintracciabile. Il TKIP e AES fanno parte del PSK (accesso con chiave pre- f l a s h condivisa, il più diffuso) e consentono, soprattutto quest’ultimo, di non preoccuparsi di intrusione nella propria rete e si è protetti al 99% da ogni wardriver (un wardriver è una persona munita di computer con sofisticati programmi e antenne wireless che vaga in giro per la città a “rompere” metaforicamente reti e genera intrusioni). Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 La Mezzana del Gioberti La tanto attesa posta del cuore del Joe berti. Infilate pure i vostri annunci nella scatola all’entrata! Se per caso non conosceste il significato del termine “mezzana” vi invitiamo a consultare i vostri prof di italiano, che vi daranno anche celebri riferimenti letterari. Al maledetto campanaro più tenero del Gioberti: Non lasciare che la gobba ti ostacoli, non permettere che lo facciano i giudizi della gente e neanche i dolori articolari. Sii forte, resisti, ribellati ai pregiudizi perché tu sei la nostra guida, la nostra luce. Sei per noi, che sempre ti guardiamo ammirate in cortile, esempio di virilità e virtù. Colei che cadde dal maledetto Rino. Al mio Tamerlano zoppo e nano: Sì come guidasti i mongoli in battaglia hai condotto il mio cuore all’amore. Buon San Valentino Tua per sempre Tamerlana Al ragazzo muscoloso che fa kung-fu e va in IC: sei molto bello e affascinante. Ti vedo alla mattina sul tram e questo mi basta a rendere la giornata felice. Spero che ci conosceremo per fare amicizia o qualcosa di più... Appello disperato da uno scimpanzé innamorato che instancabilmente, da sera a mattina, cerca la sua scimpanzina. Hai gli occhi azzurri e i capelli biondi, ti guardo tutte le volte che passi in corridoio. Vorrei conoscerti ma non ho il coraggio. Io ti aspetterò il 29 febbraio al primo intervallo in cortile davanti al canestro vicino alla palestra. Anonimo u lt i m p e n s i e r o ... quando tutto tace e senti il tuo sangue scorrere nelle vene i pensieri si affollano dentro di te sussurri e urla, hanno la stessa forza perchè questo è il suono del silenzio, le voci che rimbombano nella tua testa il passato, il presente, gli echi lontani di un futuro che puoi solo immaginare si mischiano dentro di te e pensi e magari scrivi quello che ti passa per la testa, non ha importanza solo per far scorrere il fiume dei tuoi pensieri, che ti sta allagando la mente sei tu e il silenzio tu e i tuoi ricordi ed è bellissimo guardare il cielo e la notte, scrivendo la tua storia non ha importanza di quanto sia bella la tua penna lì nel silenzio tutti possono essere maestri perchè solo loro conoscono la materia... sei tu solo tu immerso nei tuoi ricordi, ti fermi e ti ascolti e cerchi una via perchè domani sia un giorno migliore e l'alba che sta per giungere ti regali uno splendido sole qui accerchiato dal suono del silenzio attendi che ritorni chi ti sta a cuore... Ad una caterva di persone: se questo numero è così “corposo” lo si deve a loro. A Luca Mercalli, Maurizo Crosetti, Claudio Marino Moretti, Pensiero Acutis, che hanno fornito il materiale per una sezione piuttosto ampia di questo numero. Ad Alberto Leone che gestisce sito e forum. Alla signora Raffaella De Chirico. Alle tre “vicepresidi” (due delle quali sottolineano che non lo sono e non lo vogliono essere). E last, but not least alla Dirigenza Scolastica (per usare un termine vago). LA REDAZIONE COLLABORATE CON NOI Compilate questo tagliando, staccatelo e deponetelo nella scatola posta nell’atrio. Grazie! Esprimi con un voto compreso tra 0 e 10 il tuo giudizio sul “Joe Berti”…………. Quali articoli trovi più interessanti? ………………………………………… ………………………………………… Quali argomenti, non trattati da questo numero, vorresti vedere sul “Joe Berti”? ……………………………………………… ……………………………………………… Per suggerimenti, proposte, critiche al Joe Berti, è a disposizione un’apposita scatola nell’atrio. Scriveteci, vi risponderemo! Joe Berti Marco Svevi GRAZIE 33 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 Il suono Del silenzio n o i INDICE Joe Berti 34 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 Fuga dal Gioberti: realtà?, realtà? Giulia Trivero, pag. 4 Senza titolo, titolo Nim Onào, pag. 6 AHAHAHAH, AHAHAHAH Andrea Graziadei, pag. 7 Mi sorprendo ogni volta, volta Stefano Ugliano, pag. 8 Oui, l’amour, l’amour Giada Aloi, pag. 9 Valzer elettorale, elettorale Francesco Delù, pag. 11 Intervista aLuca Mercalli, Mercalli Adriano Bollani, pag. 12 Intervista a Maurizio Crosetti, Crosetti Delia San Martino ed Eliana Vitolo, pag. 15 Intervista a Claudio Marino Moretti, Moretti Lucrezia Mele, pag. 17 Due parole con Pensiero Acutis, Acutis Dario Barbaro, pag. 18 00 9, -1 9, 30 Il Gioberti che Libera, Libera Ivan Ieri, pag. 20 Il treno della Memoria, Memoria Maria Luisa Candellieri, pag. Ti Voglio Bere, Bere Francesco Delù, pag. 23 Cinque lunghi interminabili anni, anni Simone Cattaneo, pag. 24 Piccole donne crescono, crescono Eleonora calfus, pag. Gomorra di Roberto Saviano, Saviano Gabriele Cauda, pag. 28 Leoni per agnelli, agnelli Delia San Martino, pag. 29 La tecnologia WiFi, WiFi Alberto Leone, pag. 31 Il suono del silenzio, silenzio Marco Svevi, pag. 33 Editoriale a cura di Adriano Bollani Impaginazione a cura di Francesco Delù Giochi matematici a cura di Daniele Cretier Vignette a cura di Matteo Allasia Docente referente: Maria Luisa Genta Potete inviare i vostri articoli o le vostre produzioni artistiche, ad esempio vignette, all’email del Joe Berti, oppure metterli nella scatola che c’è nell’atrio in sede e succursale. n o i Francesco Delù III C sede [email protected] Adriano Bollani II C sede [email protected] Redattori Emma Prosdocimo IC sede [email protected] Dario Barbaro IC sede [email protected] Delia San Martino VA sede [email protected] Eliana Vitolo VA sede [email protected] Giulia Trivero VD succursale [email protected] Giulio De Felice IV alfa succursale [email protected] Giada Aloi IV beta succursale [email protected] Alberto Leone IE sede [email protected] Linda Zaccaria IH sede [email protected] Lucrezia Mele IH sede [email protected] 35 Anno 3, n. 3 - febbraio 2008 Coordinatori della Redazione Joe Berti LA REDAZIONE I N o s t r i G i o c h i Le parole Crociate Joe Berti 36 Anno 3, n. 1 - febbraio 2008 10 Decorazione a forma di colonna 11 Piccola borsa 12 Ebbe una “relazione” con Marco Antonio 13 Quadro che rappresenta una persona 14 Quinto oltre a grano, riso, orzo e avena 15 Se Milii, è la spina di Cristo, se Pulcherrima è la Stella di Natale 1 Contenitore per il sale 2 Bordo del francobollo 3 Versione moderna del nome Pechino 4 Coperture per scarpe 5 Chiaramente, nessuno l’accende per metterla sotto il moggio 6 Calamita 7 Inventare 8 Lo uccise San Giorgio 9 Nota a margine 16 Tempio di Atena vergine 17 Quella del deserto è un sasso 18 Tipo di pianta grassa 19 Su nelle mappe 20 Nome di un ministro e di un cantante 21 La funzione somma I giochi Matematici 1 2 In un collegio elettorale “di un paese straniero” si fronteggiano due coalizioni, Il melo fiorito e Il pero al sole. A sorpresa, uno dei peristi decide di diventare melista. In questo modo risulta uguale il numero dei peristi e dei melisti. Dopo poche settimane il nuovo melista decide di ridiventare perista e la situazione ritorna quella iniziale. In seguito però un altro melista decide di passare ai peristi e a questo punto i peristi sono il doppio dei melisti. Quanti sono, si chiede, i candidati delle due coalizioni? In un paese di logici perfetti ci sono dei mentecatti. Nessuno sa di esserlo, ma ognuno conosce tutti i mentecatti del paese (tranne eventualmente se stesso). Il sindaco un pomeriggio convoca tutti i cittadini e dice "So che ci sono dei mentecatti in paese. Voglio che non appena qualcuno sa di esserlo, questi venga la mattina dopo in municipio". Dopo 15 giorni tutti i mentecatti si radunano. Quanti erano? Stampato presso la Copisteria di Devalle Thea Samantha Definizioni