Cap 8 LEADERSHIP

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Cap 8 LEADERSHIP
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Cap 8 – La leadership
(Dal libro “Leadership e gestione del cambiamento” della collana Change S.p.A.)
“Leadership appears to be the art of getting others to want to do something
that you are convinced should be done.
Vance Packard - The Pyramid Climbers
“La leadership - rileva Packard - sembra essere l’arte di far si che gli altri vogliano fare qualcosa che noi
siamo convinti debba essere fatto.
La parola chiave della leadership è la volontà degli altri ad agire, ben diversa dall’imposizione all’azione.
In questa ottica comandare e imporre sono due verbi che poco hanno a che fare con la leadership. La
leadership richiede infatti ispirazione, unica condizione per stimolare la volontà altrui all’azione”.
Possiamo imporre orari di lavoro prolungati, carichi di lavoro assurdi, costringere a fare lavori poco graditi,
ma non significa che esercitiamo la leadership, bensì il comando. Si possono comandare azioni, ma non si
può comandare alla mente e al cuore.
Vi sono una serie di miti da sfatare sulla leadership1, quali:
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•
“La leadership è solo al vertice delle organizzazioni!
“Leader si nasce”, non si diventa!”
“La Leadership è una dote rara!”
“I Leader sono dotati di carisma!”
Oggi sappiamo, bontà il contributo di numerosi studiosi e analisti della leadership, che tutti i Leader hanno
caratteristiche comuni. Esamineremo queste caratteristiche attraverso l’esame di un caso.
1 Vedi Bennis e Nanus, “Anatomia della Leadership”
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UN ATTERRAGGIO DI FORTUNA SU UN ALTOPIANO
Un aereo Charter sta sorvolando una catena montuosa in pieno inverno con 64 passeggeri a bordo diretti in America
Centrale per passare l’ultimo dell’anno.
Il pilota si rende conto che i motori non funzionano e comincia a perdere quota. Cerca di comunicare con la torre di
controllo, ma il collegamento è interrotto. A questo punto cerca disperatamente uno spazio per un atterraggio di
fortuna, tra la neve delle montagne, e scopre in lontananza un vasto altopiano.
Dopo avere preavvisato tutti i passeggeri, per prepararli all’inevitabile urto, si esibisce con successo in un atterraggio
sulla neve alta.
Tutti i passeggeri escono indenni dall’atterraggio di fortuna anche se l’aereo subisce danni perdendo un’ala e parte
della coda.
Per molte ore i 60 passeggeri e le quattro persone dell’equipaggio sono in balia di se stessi, vivendo una fase caotica
nel tentativo di riorganizzarsi e prendere le decisioni più importanti. In questa fase sia il pilota che l’equipaggio
cercano di tenere le redini, affrontando le situazioni più difficili e dandosi alcune regole elementari di sopravvivenza.
Dopo circa sei ore di caos, si fa avanti un passeggero e chiede di essere ascoltato:
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“Il mio nome è Jerry Burton, credo che dobbiamo tutti rallegrarci per essere sopravvissuti, ma ora dobbiamo
reagire. Sono convinto che le ricerche dell’aereo siano già partite ma non sono certo che il ritrovamento sia
altrettanto rapido, infatti mi ha detto il pilota che gli apparecchi radio sono inutilizzabili. Da qui l’assoluta
necessità di darci una solida organizzazione di sopravvivenza. Io sono un Ingegnere meccanico, Direttore Generale
di una società con 1200 dipendenti, se volete posso mettervi a disposizione la mia esperienza organizzativa!”
Dal gruppo dei passeggeri arriva una risposta di consenso unanime.
“Grazie!”, prosegue Jerry, “inizierei col nominare dei singoli responsabili delle attività chiave: un responsabile per
la distribuzione dei generi alimentari, uno per la sistemazione logistica degli spazi per ciascun passeggero, un
responsabile di un regolamento interno, perché dobbiamo immediatamente disciplinare la nostra convivenza.
Credo che una delle prime regole di sopravvivenza che dobbiamo darci sia di stare tutti uniti senza avventurarci
per queste montagne pericolose!”
Si inserisce a questo punto un altro passeggero: “Io mi chiamo Alan Foster, e vorrei ringraziare Jerry per il suo
impegno nel darci presto un’organizzazione. Desidero tuttavia darvi la mia opinione. Io faccio di mestiere la guida
in alta montagna, credo pertanto di sapere come muovermi sui monti innevati e come riconoscerne le insidie. A
giudicare dalla vegetazione intorno questo altopiano è a circa 900 m. di altezza e questo può significare una
temperatura notturna di meno trenta gradi. L’idea di Jerry di attendere i soccorsi è saggia, ma solo se basata sulla
fortuna di essere ritrovati, entro 5 giorni, perché i nostri viveri fra 5 giorni saranno esauriti. Io ho osservato questo
altopiano e mi sembra caratterizzato da un pendio scosceso e inaccessibile nel versante nord, mentre il versante
sud sembra dolce e percorribile. Il problema è che per andare in direzione sud dobbiamo risalire quella montagna
che si vede in lontananza, il cui dislivello è sicuramente superiore ai 1000-1200 m. Sono certo che al di la di quel
monte, proseguendo in direzione sud verso valle, troveremo case e centri abitati. (Alan esprimeva una grande
forza comunicativa e un grande entusiasmo mentre comunicava la sua visione). Dobbiamo pertanto creare un
team composto da me e altre 3-4 volontari che tenti questa avventura. Dobbiamo equipaggiarci per sopravvivere
a una o due nottate all’aperto con temperature intorno ai meno trenta gradi.
Poniamoci ora una domanda: chi assumerà la leadership dei 64 sopravvissuti? l’Ing. Jerry Burton o la guida
di montagna Alan Foster?
La risposta è scontata, Alan Foster! Ma perché una semplice guida di montagna ha il sopravvento su un
titolato e sperimentato timoniere d’azienda a capo di una struttura di 1200 dipendenti?
L’Ing. Burton ha promosso una classica riorganizzazione di stile manageriale, proponendo la nomina di
responsabili delle aree chiave per disciplinare la vita in comunità. Il suo programma era orientato alla
protezione dello status quo, senza prospettare una sfida alla ricerca di soluzioni. Proclama sicuramente
importante e necessario, ma non determinante per assumere un ruolo di forte leadership sul gruppo.
Alan Foster, forse non ha mai gestito persone in vita sua, forse non è una persona carismatica, forse non si
è mai posto domande sulla propria capacità di leadership, ma è diventato leader dei sopravvissuti
semplicemente per avere risposto ai quattro principi di base da cui nasce la leadership, vale a dire:
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1. la credibilità: Alan si è reso subito credibile per il fatto di essere la persona più esperta nel vivere e
muoversi tra le montagne. Una credibilità situazionale, legata a quel contesto, ma che lo rendono
un punto di riferimento per gli altri.
2. La volontà di sfidare lo status quo: la leadership comporta la ricerca di sfide, di assunzione di rischi
per proiettarsi verso cambiamenti. I Leader sono pionieri, amano l’avventura verso l’ignoto.
3. La capacità di avere una Vision e ispirare gli altri, Alan ha disegnato nella sua mente un sogno
realistico, quello di intravedere la salvezza nelle vallate a sud della montagna. Questa Vision non
offre certezze, perché è dominata da una componente intuitiva ed emotiva, ma la determinazione
e sicurezza con cui viene comunicata da Alan, la fa percepire come sogno concreto, in grado di
ispirare la partecipazione degli altri. Un vecchio proverbio texano dice: “Non puoi accendere il
fuoco con un fiammifero bagnato!”. I Leader non possono alimentare la passione dei loro
“followers” (seguaci), se loro stessi non esprimono entusiasmo e convinzione. 2
4. La disponibilità di un piano d’azione dettagliato con coinvolgimento del Leader: il sogno deve
prendere consistenza con azioni concrete, dove il Leader offre esempi di coinvolgimento diretto per
essere percepito come un esempio. Rileva Tom Peters: “I Leader agiscono coerentemente con il loro
credo, persistenti nel perseguire la loro visione e attenti ai piccoli dettagli che fanno la differenza.” 3
Alan si è proposto come coordinatore del Team di volontari per avviare l’avventura.
La guerra di trincea, sperimentata dai nostri nonni o bisnonni, ha permesso di distinguere due
tipologie di Comandanti: quelli che andavano all’assalto da veri Leader trascinando le truppe con sé
e quelli che mandavano le truppe all’assalto restando nascosti in trincea.
I primi erano in grado di infiammare gli animi con l’esempio. I secondi avevano quale unico
strumento motivazionale la fucilazione in caso di disobbedienza.
2 J.M. Kouzes & B.Z. Posner,
“The leadership challenge”, Ed. Jossey-Bass Publishers, S. Francisco 1987
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"Alla Ricerca dell'eccellenza" - Ed. Sperling & Kupfer.
T.J. Peters & R.H. Waterman
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8.1. La credibilità del Leader
Come abbiamo osservato nell’atterraggio di fortuna, la credibilità del Leader è alla base della sua leadership
nel gestire i collaboratori. La credibilità non nasce in modo estemporaneo o casuale ma risponde ad
aspettative molto precise da parte dei collaboratori. E’ opportuno pertanto valutare la credibilità con
l’occhio dei “followers”.
Le caratteristiche del Leader attese dai “followers” sono state oggetto di indagine da parte del Prof. Warren
Schmidt, il quale sviluppò una ricerca, sponsorizzata dall’American Management Association (AMA), su
circa 1500 Manager. I Manager dovevano rispondere alla domanda, quali valori e qualità apprezzate nei
vostri Capi?
Le risposte portarono ad identificare 225 differenti valori e qualità. Ci limiteremo in queste pagine a
sottolineare le prime quattro qualità, per frequenza di risposte:
1. Onestà,
2. Competenza,
3. Visione del futuro,
4. Motivazione.
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L’onestà, è la qualità più attesa da un Capo. Del resto come può essere credibile un capo di cui non ci
fidiamo? L’onestà si esprime ed apprezza in tante manifestazioni, ma la più comune a livello aziendale è
l’onestà intesa come coerenza tra parole e azioni. Ricordiamo il vecchio proverbio “predicare bene e
razzolare male”, quale attestato di incoerenza.
In inglese si usa una bellissima frase che dice: “People watch your feet and not your lips!”,
sottolineando che i collaboratori osservano le azioni (feet) e non le parole (lips).
o
La competenza, è la seconda qualità attesa, in ordine di importanza. Non è difficile intuire che se
abbiamo dei dubbi sulle capacità del Leader, difficilmente ci avventureremo con lui in un percorso di
cambiamento. La domanda che ci poniamo spesso è “quali competenze deve avere il Leader?”
Certamente non gli sono richieste competenze tecniche specifiche, bensì quelle skills necessarie a
guidare un team con successo. In altre parole le skills manageriali sostengono la leadership molto più
delle skills tecniche, tanto più elevato è il livello gerarchico del Leader.
A tal proposito rinviamo alla figura, cha abbiamo visto nel capitolo sulle capacità manageriali, che
evidenzia la relazione tra competenza e gerarchia.
o
La visione del futuro: i collaboratori si aspettano da un Leader che abbia il senso della direzione, una
percezione del futuro e dei cambiamenti ambientali e sia pronto a modificare la propria organizzazione
in funzione di questi cambiamenti. La credibilità non è legata all’immobilismo a difesa dello status quo,
in particolare in tempi di turbolenza. Non si può avere Leadership ed essere dei conservatori,
spaventati dalle sfide del cambiamento.
o
La motivazione: i “followers” si aspettano un leader energico ed energizzante, dotato di attitudine
positiva, in grado di dimostrare entusiasmo e saperlo trasmettere. Avere una Vision è importante, ma
saperla trasmettere generando condivisione e motivazione è ancora più importante. Il genio
incompreso può avere mille qualità, ma mai il dono della leadership.
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8.2. Lo stile di leadership
Abbiamo esaminato i presupposti necessari a costruirsi una leadership, senza ancora affrontare le modalità
comunicative della leadership stessa. La leadership può infatti essere esercitata con stile direttivo o con
stile partecipativo, a seconda della situazione che deve essere affrontata. L’esempio che segue ci aiuterà a
capire meglio i due stili.
Decisione su rimborso spese viaggio
La Società Dalton S.r.l. ha chiuso il bilancio con un drastico declino della profittabilità. Tra le tante cause, oltre ad una
riduzione dei ricavi causata dalla concorrenza, è stato osservato un evidente elevarsi delle spese. Tra questi costi una
voce che incide più delle altre è rappresentata dalle spese di viaggio e trasferta, sia per le numerose trasferte dei suoi
funzionari, sia per il fatto che la società non si è mai posta l’obiettivo di contenere le spese, riconoscendo
indistintamente a tutti il “piè di lista”, vale a dire il rimborso integrale di tutte le spese presentate.
Il Direttore Amministrativo decide di sensibilizzare i Manager aziendali al problema e li convoca in una riunione.
o Dir. Amministrativo: “Signori buongiorno, grazie di essere intervenuti a questa importante riunione! Come voi
sapete il bilancio………..(bla, bla)……, da qui la necessità di modificare il nostro sistema di rimborso a piè di lista che
rischia di crearci una situazione incontrollata delle spese. Io a questo punto vorrei farvi una proposta, quella di
definire un tetto di spesa per i pernottamenti e per i pranzi, escludendo tutte le spese di bar e personali dalla
rimborsabilità. Infine disincentivare l’uso dell’auto nelle trasferte, fatti salvi i casi di forza maggiore.
o Un Manager: (il primo Manager si alza trovando uno spazio nella confusione di disapprovazione dei presenti) “Io
ho già sperimentato il sistema del tetto di spesa, nell’azienda da cui provengo, ed era una continua lamentela
causata dal fatto che spesso il tetto non copre le spese effettive, alla fine chi andava in trasferta ci rimetteva i
soldi. Basti pensare quando siamo costretti a portare un cliente al ristorante. Non gli possiamo dire di non
prendere il dolce perché la mia società non lo paga!” (Il Manager trova ampio consenso da parte di tutti).
o Altro Manager: “Sono d’accordo al 100% col mio collega, ma volevo affrontare anche l’idea di disincentivare l’uso
dell’auto. Io sarei felicissimo di poter viaggiare comodamente in treno e leggermi il giornale, la scelta dell’auto è
legata al senso di urgenza dei nostri trasferimenti……..”
Continuano gli attacchi alla proposta del Direttore Amministrativo, il quale chiede ai presenti di fare le loro proposte.
Gli unici suggerimenti che arrivano sono quelli di verificare con maggiore attenzione la necessità delle trasferte,
utilizzando ove possibile il telefono. In realtà era solo una finta proposta in quanto ogni Manager e ogni collaboratore
era già stato educato ad evitare i viaggi non assolutamente necessari, sostituendoli col telefono.
Perché questa riunione non ha funzionato? Forse il Direttore amministrativo, non era riconosciuto come un
Leader? Non lo sappiamo, ma siamo certi che lo stile di leadership utilizzato era clamorosamente sbagliato.
Il Direttore Amministrativo ha usato uno stile di leadership partecipativa, invece che una leadership
direttiva.
Vediamo come avrebbe dovuto svolgere una comunicazione direttiva:
o
o
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Dir. Amministrativo: “Signori buongiorno, grazie di essere intervenuti a questa importante riunione! Come voi
sapete il bilancio………..(bla, bla)……, da qui la necessità di modificare il nostro sistema di rimborso a piè di lista che
rischia di crearci una situazione incontrollata delle spese. Abbiamo a tal proposito preso una decisione, quella di
definire un tetto di spesa per i pernottamenti e per i pranzi, escludendo tutte le spese di bar e personali dalla
rimborsabilità. Infine disincentivare l’uso dell’auto nelle trasferte, fatti salvi i casi di forza maggiore. So che questa
decisione non incontrerà i vostri favori, ma era assolutamente necessario intervenire”
Un Manager: (fa alcune obiezioni sulla validità della decisione).
Dir. Amministrativo: “Sapevamo che la decisione non vi avrebbe entusiasmato, ma nella vita aziendale bisogna
anche saper prendere decisioni impopolari e soprattutto portarle avanti. Mi aspetto da parte vostra, non critiche
ma la vostra collaborazione nel comunicarla al vostro personale, spiegando le ragioni.
Il Direttore Amministrativo ha utilizzato in questo caso uno stile di leadership direttivo, comunicando con
fermezza che la decisione era già stata presa, dall’Alta Direzione, di cui lui stesso fa parte, e che il compito
dei Manager era solo di favorirne la comunicazione e l’applicazione.
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o Stile di Leadership direttivo
E’ imperniato sull’autorità: il Capo o la Direzione prendono una decisione e impongono la volontà
nell’interesse aziendale.
Lo stile direttivo deve essere applicato in due situazioni specifiche:
• quando le decisioni da prendere sono di livello gerarchico superiore alle persone interessate. Ad
esempio quando vengono definiti gli obiettivi aziendali o quando vengono prese decisioni
strategiche importanti per la vita aziendale. (riduzione di personale, sviluppo nuovi prodotti, nuovi
investimenti, cambiamenti organizzativi, ecc.).
• quando l’interesse personale del collaboratore è potenzialmente in contrasto con gli interessi
aziendali, come ad esempio nella decisione sul rimborso spese.
Le modalità di comunicazione dello stile direttivo fanno perno su una forte autorevolezza, caratterizzata
dalla frase: “Ho deciso”, oppure “Abbiamo deciso” e dalla fermezza nell’affermare l’irrevocabilità della
decisione presa.
Ricordo con molto piacere l’autorevolezza di un mio Superiore che quando un collaboratore criticava una
decisone direttiva rispondeva con assoluta pacatezza: “Mi spiace di non essere stato chiaro nella mia
comunicazione, non intendevo chiedervi un parere su una decisione già presa, ma solo sapere come
intendete metterla in atto!”.
Una sana autorevolezza conferma la solidità della persona che abbiamo di fronte e aumenta il rispetto per
le sue decisioni, anche quelle impopolari.
Ovviamente lo stile direttivo non deve essere abusato, bensì applicato con parsimonia in tutte quelle
situazioni dove Direzione e Capi devono affermare il proprio potere gerarchico a difesa degli interessi
aziendali.
o Stile di Leadership partecipativo
E’ imperniato sul diritto e dovere del collaboratore di partecipare al processo decisionale nelle aree di sua
competenza.
Vediamo attraverso un esempio l’esatta applicazione dello stile partecipativo.
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Un caso di riorganizzazione aziendale
La Direzione della Società Dalton S.r.l. , nel suo programma di taglio dei costi, ha deciso di snellire il personale
all’interno dei Reparti. Il personale recuperato sarà destinato all’apertura di un Call Center per avviare rapporti
sistematici con la clientela.
Ogni Reparto dovrà mettere a disposizione del Call Center il proprio personale segretariale, mantenendo una sola
segretaria a disposizione di tutto il Reparto.
Penso che non esistano dubbi nel giudicare questa decisione squisitamente direttiva. Poniamoci ora la domanda: “Chi
dovrà prendere la decisione sulla scelta delle segretarie da trasferire al Call Center, il Capo Reparto o l’Alta Direzione?
Cosa accadrebbe se anche questa decisione fosse presa dall’Alta Direzione?
Avremmo in questo caso uno scavalcamento del Capo, e non potremmo avvalerci della sua competenza
sull’organizzazione del reparto. Per assioma il diretto superiore (Capo Reparto) è il massimo esperto nell’area di sua
competenza, vale a dire nella selezione del personale, nell’assegnazione dei lavori e nelle decisioni sul personale
all’interno del reparto.
Non a caso abbiamo preso questo esempio di azioni sul personale, perché l’esperienza dimostra che questi
tipi di decisione sono quasi sempre prese a livello centrale, da parte della direzione del Personale o dai
vertici. Una comune prassi che, almeno nella mia esperienza, ha sempre causato gravi problemi, perché
tende ad ignorare l’importanza delle responsabilità gerarchiche.
Lo stile partecipativo vuole garantire che ogni collaboratore sia coinvolto nelle decisioni che cadono nel
suo orticello professionale. Infatti il collaboratore è la persona più informata su ciò che accade nella
propria area di responsabilità e pertanto deve esercitare il diritto ad affrontare e risolvere i problemi che
lo riguardano.
Quando il Leader si trova di fronte ad un collaboratore competente e motivato che gestisce con efficacia il
proprio orticello (responsabilità professionale), deve porre molta attenzione a non calpestarlo, come rileva
la bella vignetta dell’amico Carlo Hendel che mostra il collaboratore competente che protegge col filo
spinato il suo orto dicendo al Capo che si avvicina: “Dimmi cosa vuoi coltivare, ma non entrare nel mio
orto!”
Rispettare l’orticello del collaboratore
Figura 11
Questa vignetta divenne talmente popolare, nella società per cui lavoravo, che la parola “Invasore di
orticelli”, evidenziava quei capi che tendevano a prevaricare i collaboratori, incapaci di una leadership
partecipativa.
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Le modalità di comunicazione dello stile partecipativo, fanno perno su un’efficace capacità di
coinvolgimento del collaboratore, caratterizzata dalla frase: “Cosa proponi? Sei tu l’esperto!”.
Che cosa accade se il collaboratore declina le proprie responsabilità?
Immaginiamo che nel caso Dalton S.r.l. si assista a questo colloquio:
o Capo reparto: “Mi spiace signor Direttore, ma io non me la sento di prendere una decisione! Nel nostro Reparto
ci sono tre segretarie, tutte molto brave, con quale coraggio ne trasferisco due al Call Center!”
Con questa affermazione il Capo Reparto non si vuole assumere la responsabilità di una decisione che
potrebbe sembrargli impopolare, forse per il timore di risentimenti da parte delle segretarie trasferite.
In questo caso, come si dice in gergo aziendale “molla una scimmia (una decisione o un lavoro di sua
competenza) al proprio Superiore. Questo comporta un duplice problema:
o
o
da una parte il Superiore che deve impegnarsi in un lavoro non suo,
dall’altra si assiste ad una deresponsabilizzazione del collaboratore, il quale di fronte a possibili
rimostranze del personale, potrà sempre dire che la decisione non è sua.
Dov'è la scimmia?
Immaginiamo che un manager camminando nel corridoio incontri uno dei suoi collaboratori, Mr. A.
Incrociando il manager, Mr. A. lo saluta e gli dice: "Buon giorno. Sa, abbiamo un problema...".
Dal discorso di Mr. A, il manager riconosce in questo problema le stesse due caratteristiche comuni a tutti i problemi
che i suoi collaboratori portano gratuitamente alla sua attenzione.
Il manager sa:
abbastanza per interessarsene, ma
non abbastanza per risolvere il problema istantaneamente.
Allora il manager risponde: "Sono contento che lei mi abbia sottoposto questo problema. Tuttavia adesso ho fretta. Mi
lasci pensare e poi le farò sapere." Quindi si salutano.
Analizziamo cosa è accaduto. Prima del loro incontro, sulle spalle di chi si trovava la "scimmia"? Su quelle del
collaboratore. Dopo il loro congedo, dov'era? Su quelle del manager. Il tempo imposto da un collaboratore inizia nel
momento in cui una scimmia riesce a saltare dalle spalle del collaboratore su quelle del supervisore e non termina
finchè la scimmia non ritorna dal proprio padrone a farsi curare e nutrire.
Accettando la scimmia, il manager ha volontariamente assunto una posizione subordinata verso il suo collaboratore. Si
è cioè subordinato a Mr. A facendo due cose tipiche del collaboratore: il manager ha accettato una responsabilità dal
suo collaboratore ed ha promesso di tenerlo al corrente.
Il collaboratore, per assicurarsi che il manager non se lo dimentichi, si affaccerà nell'ufficio del manager per
domandargli ingenuamente "Come sta andando?"
Questo è quello che si chiama supervisione.
William Onken, Jr and Donald L. Wass - "Who's got the Monkey" - Harvard Business Review
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8.3. Il coraggio nella leadership
Una delle maggiori difficoltà nell’esercizio della leadership consiste nel sapere bilanciare opportunamente il
coraggio e l’empatia.
Il ruolo di Capo richiede spesso azioni di coraggio: nel prendere decisioni difficili, nel riconoscere i propri
errori, nel sapere dire NO ai collaboratori, nel comunicare positivamente scelte aziendali non condivise.
Queste azioni di coraggio alimentano giorno per giorno l’immagine di Leadership del Capo.
Esaminiamo un caso di scarso coraggio e proviamo a valutare la leadership del soggetto.
Siamo sempre nella società Dalton:
o
Capo reparto: (ha convocato i propri collaboratori) “Buongiorno a tutti, Vi ho convocato per comunicarvi una
decisione della Direzione. Desidero subito anticiparvi che è una decisione che non condivido e che ho contrastato
anche se mi sono accorto che non c’è nulla da fare. Dal primo del prossimo mese due delle nostre segretarie,
Grilli e Stefanini, saranno trasferite ad un nuovo Call Center, a seguito di un programma di riorganizzazione per il
contenimento dei costi di personale nei Reparti. Desidero sottolineare che la scelta di Grilli e Stefanini, viene
dalla Direzione del Personale, in quanto io non me la sarei mai sentita di decidere un trasferimento che non
condivido! Credo che il mio dispiacere e disappunto siano visibili……..”
Come valuteranno il proprio Capo quei collaboratori? Forse come un buon collega, forse un fratello
maggiore, ma mai come Leader.
Non si può essere percepiti come Leader senza sapersi assumere il coraggio dell’impopolarità.
Senza dubbio una delle maggiori espressioni di coraggio è rappresentata dal saper riconoscere i propri
errori, come rileva McCormack.
Il coraggio di dire “ho sbagliato io”
(Mark H. McCormack: “Tutto quello che non vi insegnano alla Harvard Business School”
Vi è una filosofia aziendale…secondo cui non sbaglia mai solo chi non fa niente: io credo che per fare
carriera negli affari bisogna sempre spingere al massimo: ciò significa essere vicini ai propri limiti e sbagliare
spesso. I bravi dirigenti hanno sovente ragione, ma sanno anche quando hanno sbagliato e non hanno
paura di ammetterlo.
Coloro che sono meno sicuri di sé faticano parecchio ad ammettere i propri errori.
La capacità di dire ho sbagliato è essenziale per avere successo, perché è catartica. Permette al buon
dirigente di accettare i propri errori, gettarseli alle spalle e procedere verso la fortuna.
Anche sapere dire No è un atto di coraggio, tant’è che molti capi, temendo l’impopolarità del No, tendono a
procrastinare la risposta, spesso senza comprendere che allungano l’agonia della risposta e si creano
un’immagine di insicurezza.
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Sapere dire No
Mark H. McCormack 4
“Il trucco più immediato per risparmiare tempo che conosco è dire di No. La gente fa fatica a dirlo anche
quando è la risposta ovvia. Ha paura che qualcuno si offenda, teme che sia una decisione sbagliata, oppure
semplicemente non desidera prenderla in quel momento.
È molto facile dire di no senza risultare sgarbati. Un no espresso con riluttanza o dispiacere, o con una
buona scusa (“Se non fossi così assillato dal tempo……”, “Se l'avessi saputo sei mesi fa…..”), può essere
altrettanto netto e definitivo di “Non mi interessa“.
Il maggior problema è una certa riluttanza a decidere, la sensazione che ci sia una possibilità, per quanto
remota, di perdere una buona occasione. Ci sono stati molti casi in cui mi sono trovato in questa situazione
e mi sono imposto di dire di no anche se faceva male………..
Il problema di gran lunga maggiore a dire di no è la convinzione che, rimandando, si risparmia tempo. Se vi
sentite sopraffatti, o imbarazzati, è molto più facile dire “Mi lasci pensare un po’ “ o “Mi metterò in contatto
con lei” che affrontare la faccenda e togliersela decisamente dai piedi. E’ una grossa tentazione, soprattutto
quando sapete già che la vostra risposta sarà negativa.
8.4. L’empatia nella leadership
Definiamo empatia la capacità del Capo di sapersi mettere nei panni dei propri collaboratori e vedere le
situazioni anche con i loro occhi. Qualora il Capo esprima troppo coraggio, senza un’adeguata dose di
empatia rischia di essere vissuto come un capo robotizzato privo della necessaria sensibilità umana che un
Leader deve assolutamente possedere.
Mentre il coraggio denota un forte orientamento al risultato, l’empatia rileva un interesse anche verso gli
altri, una sensibilità per i loro bisogni e i loro stati d’animo.
Vediamo due esempi contrapposti in cui un capo comunica con coraggio una decisione impopolare, quale la
necessità di dover svolgere per un mese consecutivo giornate di straordinario di sabato e di domenica.
Comunicazione priva di empatia
Capo: “Signori buongiorno! Vi ho convocato per una comunicazione importante, abbiamo l’assoluta necessità di
aumentare la nostra produzione, prima delle ferie, pertanto abbiamo preso la decisione di svolgere otto giornate
di straordinario che si svolgeranno di sabato e domenica. Il programma partirà dal prossimo sabato!”
o
Comunicazione priva di coraggio
Capo: “Signori buongiorno! Vi ho convocato per una comunicazione importante, la Direzione ha deciso di
svolgere otto giornate di straordinario che si svolgeranno nelle giornate di sabato e domenica. Il programma
partirà dal prossimo sabato! Ovviamente sono il primo ad essere sorpreso e amareggiato da questa decisione
improvvisa. Ma non posso farci nulla, purtroppo siamo tutti nella stessa barca!”
o
Comunicazione coraggiosa ed empatica
Capo: “Signori buongiorno! Vi ho convocato per una comunicazione importante, che certamente non vi esalterà,
abbiamo l’assoluta necessità di aumentare la nostra produzione, prima delle ferie, pertanto abbiamo preso la
decisione di svolgere otto giornate di straordinario che si svolgeranno di sabato e domenica. Il programma partirà
dal prossimo sabato! Capisco cosa significa per voi e per le Vs. famiglie rinunciare ad un meritato fine settimana di
riposo o vacanza e pertanto vi ringrazio a nome della società, confermando il grande apprezzamento per il vostro
impegno!”
o
Ovviamente l’empatia non può essere intesa come un gioco comunicativo di finta sensibilità alle emozioni
altrui, è qualcosa di più profondo che nasce dalla possibilità di sapersi veramente mettere nei panni altrui.
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Mark H. McCormack: "Tutto quello che non vi insegnano alla Harvard Business School" - - Ed. Sperling & Kupfer.
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La domanda che il Leader si deve porre, prima di comunicare la decisione è la seguente: “Se io fossi nei
panni dei miei collaboratori, come vivrei questa comunicazione? Cosa vorrei sentirmi dire per attenuare
l’impatto della decisione?”
Questo difficile bilanciamento tra coraggio ed empatia rafforza ulteriormente l’efficacia della leadership. I
“followers” (seguaci del Leader) sono disposti a seguire un capo credibile e autorevole, ma lo faranno con
maggiore motivazione se questo Capo riesce a capire i loro problemi, le loro sensazioni e sa apprezzare i
loro sacrifici.
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