Intervento di S.E. Mons. Claudio Giuliodori

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Intervento di S.E. Mons. Claudio Giuliodori
“CUSTODIRE LA VITA”
L’HOSPICE PERINATALE COME RISPOSTA SCIENTIFICA,
ETICA E UMANA ALLA DIAGNOSI PRENATALE
Roma, 25 maggio 2016
“La custodia della vita e la Misericordia di Dio”
Intervento di S. E.
MONS. CLAUDIO GIULIODORI
Assistente Ecclesiastico Generale
Prendo spunto per questo mio intervento dal Salmo 139 in cui viene
espressa la meraviglia di fronte al mistero della vita e la gratitudine a Dio
che è artefice del suo formarsi e del suo sviluppo nel grembo materno. Mi
sembra il punto di vista più appropriato per introdurci alla riflessione sul
rapporto tra la custodia della vita e la misericordia di Dio:
«Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia
madre.
Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda;
meravigliose sono le tue opere, le riconosce pienamente l’anima mia.
Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto,
ricamato nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro
i giorni che furono fissati quando ancora non ne esisteva uno.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o
Dio!» (Salmo 139 vv. 13-17)
Il salmista esprime in maniera forte e chiara, con accenti di intima e
profonda commozione, la consapevolezza che la generazione della vita
umana sia opera di Dio, visto come un raffinato artista che sa “tessere” e
“ricamare” nel grembo materno un’opera meravigliosa. Sono gli stessi
sentimenti di stupore e di gratitudine che sgorgano dal cuore dei genitori
alla scoperta del concepimento e durante i mesi di gravidanza nell’attesa
trepidante della nascita del figlio. È questa una delle prime e fondamentali
esperienze della Misericordia di Dio che continua ad effondere la sua
benedizione sulla vita degli uomini e delle donne fatti a sua immagine e
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somiglianza: «Dio li benedisse e Dio disse loro: “Siate fecondi e
moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela”» (Gn 1,28).
La percezione di trovarsi di fronte ad un fatto che eccede
infinitamente il desiderio e l’agire dei genitori è alla base di questi
sentimenti che accompagnano il concepimento e la nascita di un figlio.
Nella paternità e maternità umana si riflette, in un modo quanto mai
evidente e immediato, la stessa paternità e maternità di un Dio che ha
esteso all’essere umano la possibilità di collaborare, attraverso il
reciproco dono d’amore dell’uomo e della donna, alla sua opera creatrice.
Pro-creare è pertanto il termine che maggiormente esprime il significato
profondo e originario del sorgere di una nuova vita. Perché il venire al
mondo di una nuova creatura non è solo, né primariamente, l’opera dei
genitori ma di Dio stesso che ci dona un nuovo, originale e irripetibile
riflesso del suo amore su cui è impresso, attraverso i caratteri e quindi
l’evidente collaborazione dei genitori, il sigillo della sua immagine. Se è
evidente che il figlio porta il patrimonio dei genitori e da essi deriva è
altrettanto evidente che è altro rispetto ad essi ed è titolare di una identità
non riducibile a quella dei genitori. Scaturisce dal loro amore ed è affidato
ad essi, ma non è un loro possesso. Così i genitori accogliendo il dono
della vita fanno esperienza della Misericordia di Dio che si fa presente in
modo straordinario nella loro vita e li chiama a farsi interpreti verso il figlio
dello stesso infinito amore divino.
Ritornando alle espressioni del salmista sorprende che in un’epoca
in cui non si avevano certo strumenti diagnostici per conoscere che cosa
accadeva nel corso della gravidanza fosse comunque così concreta la
percezione di un’opera stupenda che si compie nel grembo della madre.
Che avrebbero scritto se fossero stati in possesso di strumenti come
l’ecografo o altre modalità di indagine che ai nostri giorni ci offrono analisi
sempre più dettagliate dello sviluppo del feto fin dalle prime settimane?
Oggi che la scienza ha fatto così tanti progressi ed è in grado di
scandagliare ogni aspetto della generazione umana, la Misericordia
divina prende la forma di una cura sempre più puntuale e di un
accompagnamento sempre più efficace della possibilità di concepire,
rimuovendo le cause di infertilità, della gravidanza, accompagnandola
passo passo, e della nascita, offrendo le migliori condizioni di sviluppo e
di crescita. Il calo, in gran parte dei paesi sviluppati, della mortalità
infantile, e in particolare di quella legata alla gestazione e al parto, ci
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consentono di meglio apprezzare la collaborazione dell’uomo con Dio. È
come se con le nostre conoscenze scientifiche e con le nostre capacità
tecniche fossimo diventati degli esperti collaboratori alla “tessitura” e al
“ricamo” che Dio realizza quando prende forma una nuova vita umana.
Questa è la coscienza che dovrebbe accompagnare ogni operatore
sanitario di fronte al mistero insondabile di quella vita che è chiamato a
custodire in tutte le sue fasi e in tutte le sue necessità.
A scanso di ogni equivoco e per non offrire alibi di alcun genere,
devo anche ricordare che per avere questo sguardo sulla dignità e sulla
bellezza della vita umana nascente non è necessaria la fede, basta
l’onestà di fronte ai dati scientifici e il rispetto dei diritti inviolabili di ogni
essere umano; diritti che gli sono propri fin dal concepimento e non
perché qualcuno glieli concede, genitori o stato che siano. Ogni tanto
dovremmo rileggere la pagine stupende e lapidarie che ci ha lasciato San
Giovanni Paolo II nella Evangelium vitae: «al frutto della generazione
umana, dal primo momento della sua esistenza, va garantito il rispetto
incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano nella sua
totalità e unità corporale e spirituale […] gli si devono riconoscere i diritti
della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano
innocente alla vita» (n. 60). La fede non contraddice i dati della scienza e
della ragione quando sono rispettosi della verità e della natura delle cose,
quando non manipolano e non stravolgono la realtà dei fatti. La fede
contribuisce a rendere ancor più chiaro ed evidente ciò che gli uomini
possono cogliere con l’esercizio dell’intelligenza e con il contributo di una
scienza non fine a se stessa, ma posta con sapienza a servizio del vero
bene delle persone.
Ma, paradossalmente, proprio oggi che abbiamo più strumenti di
conoscenza rischiamo di avere meno la percezione del mistero o come
dice il salmista non comprendiamo più la “profondità dei pensieri di Dio”.
La scienza accrescendo le sue conoscenze non sembra contribuire alla
comprensione delle verità più profonde e dei significati ultimi della vita,
piuttosto si sovrappone ad essi arrogandosi il diritto di dominare i
processi della generazione della vita, invece di servirli, accompagnarli e
averne cura. Assistiamo così al progressivo svanire del valore e del
senso della vita a cui consegue l’affermarsi di un atteggiamento di
dominio e di padronanza privo di criteri etici e di giustizia. Se non è più
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evidente e condiviso il riconoscimento della dignità inviolabile della vita
umana, di cui neppure i genitori possono disporre, tutto diventa possibile.
Così sotto la pressione di nuove e maggiori conoscenze scientifiche
e soprattutto di tecnologie riproduttive sempre più raffinate, si assiste da
una parte alla ricerca ossessiva della generazione della vita,
producendola ad ogni costo e in ogni modo senza alcuna considerazione
per la dignità della donna e, soprattutto, per i diritti del nascituro, ridotto a
prodotto biologico da sottoporre a tutte le selezioni di qualità che si
applicano alla produzione dei beni di consumo. Dall’altra parte, proprio
perché equiparato ad un prodotto, si ritiene di poterne fare ciò che si
vuole in modo indiscriminato. L’incalzante ritornello che esalta e
assolutizza l’affermazione dei diritti individuali viene spesso usato come
grimaldello culturale e legislativo per autorizzare ogni forma di pratica
medica che trasforma il desiderio di paternità e maternità in diritto da
assecondare senza alcuna remora. Vengono giustificate così la
fecondazione in vitro, la creazione di embrioni in laboratorio e il loro
congelamento, la riduzione selettiva dopo l’impianto, l’interruzione di
gravidanza per qualsiasi ragione e al minimo sospetto, spesso anche
infondato, che ci possano essere complicazioni.
La vita umana dissociata dai suoi diritti originari e inviolabili viene
posta, soprattutto nelle condizioni di fragilità, e nulla è più fragile della vita
nascente e di quella terminale, in balia della potenza della scienza e della
prepotenza esercitata appellandosi a presunti diritti di altri che in realtà
sono del tutto privi di fondamento. Dentro questa logica di potere e di
dominio sulla vita si afferma e produce i suoi effetti devastanti la cultura
dello scarto, spesso evocata e giustamente condannata da Papa
Francesco. Di fronte a questo scenario diventa sempre più flebile la
percezione dell’amore di Dio e della sua Misericordia che si manifesta
nella vita concreta delle sue creature e, in particolare, nel processo di
generazione, accoglienza e cura della vita umana. L’uomo si è sostituito a
Dio facendosi signore e padrone della vita e decidendo secondo le
istanze del momento chi ha diritto a vivere e chi no, senza interrogarsi più
su ciò che sia bene e ciò che sia male, giusto o ingiusto, vero o falso.
Ma proprio in questo contesto diventa più forte e urgente riscoprire e
dare forme concrete al vero senso della Misericordia che nella sua
accezione etimologica significa “miseri cor dare” ossia dare il cuore al
misero, cioè prendersi cura di chi è più fragile. E quale vita è più fragile di
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quella che si manifesta portatrice fin dal suo sorgere di problemi genetici
o di malformazioni? Una situazione che rende fragile il nascituro ma
anche i genitori, soprattutto quando vengono a trovarsi di fronte ad un
sistema sanitario che ha imboccato decisamente la strada della selezione
eugenetica e che propone, come “soluzione terapeutica” (e non possiamo
non sottolineare l’ipocrisia e l’intrinseca contraddittorietà di una tale
espressione) la soppressione dell’incolpevole creatura, rea solo di aver
ancor più bisogno della cura e dell’amore dei genitori e della dedizione
scientifica e assistenziale dei sanitari. Lo stupore e la meraviglia di fronte
alla vita nascente non può venir meno davanti all’insorgere di qualche
problema.
Forse pensiamo che nel corso complessivo della vita non si possano
presentare difficoltà e imprevisti, situazioni di malattia grave e di morte?
Ma nessuno si arroga il diritto di sopprimere l’altro perché ha dei
problemi, piuttosto si cerca di aiutarlo come meglio possibile ad affrontare
le difficoltà. Se poi davanti agli uomini la vita assume valore anche per la
sua durata, davanti a Dio un giorno o mille anni sono la stessa cosa,
come ricorda San Pietro: «Una cosa però non dovete perdere di vista,
carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni
come un giorno solo» (2Pt 3,8). Chi può dire che sia inutile e senza senso
la vita di un bambino di cui si sa bene che non potrà sopravvivere a lungo
fuori del grembo materno? Che ne sappiamo di quanto sia intenso, bello
e significativo quel rapporto, se pur breve e travagliato? Spesso hanno
generato più bene e trasmesso più senso della vita storie consumatesi in
pochi mesi nel grembo della madre che vite trascinate senza significato
per decenni e decenni.
La vita di ogni essere umano ha sempre lo stesso valore dal primo
momento del suo concepimento al suo termine naturale, qualunque sia il
suo stato e la sua condizione di salute. Quale madre può affermare che
l’attaccamento al figlio sia minore il giorno in cui scopre di essere incinta
rispetto agli anni successivi? Certo può essere diverso il modo di
rapportarsi, ma non la forza del legame. Il Signore ama in modo
incondizionato ogni sua creatura, e questo le madri e i padri lo
sperimentano nell’intimo del loro cuore e lo vivono concretamente nel
prendersi cura dei figli. Spesso però, in presenza di problematiche
durante il tempo della gestazione, si trovano da soli ad affrontare il
dilemma di come farsi carico di eventuali criticità o annunciate
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malformazioni. La tentazione di scartare quella vita che ha delle maggiori
fragilità o risulta incompatibile con la sopravvivenza dopo il parto, può
essere forte e diventa quasi insuperabile quando viene presentata come
“soluzione terapeutica” avvallata e, spesso, consigliata dai medici stessi.
Ma così si aggiunge sofferenza a sofferenza e non si risolve affatto il
problema perché ogni vita soppressa volontariamente lascia sempre un
vuoto e una ferita.
Su questo punto è ritornato Papa Francesco anche nella recente
Esortazione Apostolica Amoris laetitia: «se la famiglia è il santuario della
vita, il luogo dove la vita è generata e curata, costituisce una lacerante
contraddizione il fatto che diventi il luogo dove la vita viene negata e
distrutta. È così grande il valore di una vita umana, ed è così inalienabile
il diritto alla vita del bambino innocente che cresce nel seno di sua madre,
che in nessun modo è possibile presentare come un diritto sul proprio
corpo la possibilità di prendere decisioni nei confronti di tale vita, che è un
fine in sé stessa e che non può mai essere oggetto di dominio da parte di
un altro essere umano» (n. 83).
Per questo è davvero importante il Convegno a cui partecipiamo
quest’oggi. Esso esprime la determinazione e l’impegno concreto
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con la sua Facoltà di Medicina e
chirurgia attraverso il Policlinico Gemelli e in particolare il servizio offerto
dall’Hospice perinatale per dare una risposta scientifica, etica e umana
alla diagnosi prenatale, quando sorgano complicazioni e problemi. Di
fronte ad una cultura e ad una prassi sanitaria che hanno imboccato le
scorciatoie dell’abbandono delle persone più fragili e dei loro familiari,
l’Hospice perinatale vuole essere una presenza forte e coraggiosa, di alto
profilo scientifico e con un chiaro approccio etico e umano alle
problematiche dei nascituri e delle loro famiglie. Fedele alla sua
ispirazione e alla sua missione di essere sempre a servizio della vita e
mai contro di essa, il Policlinico Gemelli si fa carico di un servizio urgente
e doveroso, che dovrebbe essere riconosciuto e sostenuto dal sistema
sanitario, quale espressione qualificata di una medicina e di una scienza
davvero capaci di servire con amore la vita e ogni vita, soprattutto quelle
con maggiori difficoltà.
Ci conforta e ci incoraggia vedere come questa sensibilità sia
condivisa da tanti scienziati e centri, alcuni oggi qui presenti con noi, che
in varie parti del mondo si adoperano affinché anche in presenza di
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diagnosi di gravi patologie del concepito, non si abdichi alla responsabilità
umana ma si mettano le migliori e più aggiornate competenze scientifiche
e sanitarie a servizio delle persone più fragili e indifese.
Siamo certi che l’Hospice sia un segno davvero importante per
diverse ragioni. In primo luogo per tutti quei genitori che vogliono vivere in
pienezza il loro dono d’amore e accogliere il figlio sempre e comunque
rispettandone il diritto alla vita e sostenendolo nel modo più appropriato
nelle sue esigenze di cura con la collaborazione di un centro davvero
specializzato. È il modo migliore per accompagnare e sostenere le
famiglie ma anche per contrastare la cultura dello scarto.
In secondo luogo è fondamentale che questa esperienza sia
maturata e si sviluppi in un contesto universitario che forma i nuovi medici
e gli operatori sanitari nelle loro diverse professioni e discipline. Oggi si
tende a fare dell’operatore sanitario un prestatore d’opera e un esecutore
dei desiderata dei pazienti o familiari, anche quando vanno contro la
deontologia professionale. Nell’Hospice si impara ad amare e servire la
vita per il suo valore intrinseco senza prevaricazioni e discriminazioni. Si
impara e si pratica il vero significato della scienza e si sperimenta la
bellezza di prendersi cura del nascituro e dei suoi genitori. Tutti gli
studenti di medicina e delle professioni sanitarie dovrebbero fare uno
stage nell’Hospice perinatale, perché se imparano a prendersi cura del
più piccolo e del più fragile possiamo essere certi che lo faranno anche
con tutti i pazienti che saranno affidati alle loro cure senza cedere alla
tentazione di lasciarsi guidare da altri interessi, di diventare selettivi o di
sottomettersi alla logica eugenetica.
Un terzo aspetto, di non minor rilevanza, è il sostegno umano offerto
alle famiglie e l’incoraggiamento che ne ricevono per guardare alla vita
con fiducia e speranza, cogliendo il valore preziosissimo di ogni vita
anche se segnata dalla malattia e da forti criticità. Sono ammirevoli le
singole famiglie, le Fondazioni e le Associazioni di famiglie che
garantiscono un concreto sostegno a coloro che si trovano ad affrontare
questa prova, non semplice ma non per questo meno ricca e foriera di
grandi valori umani, sociali e spirituali. Per molti genitori queste situazioni,
se affrontate e vissute con serena consapevolezza e fiducioso
abbandono in Dio, sostenute da un contesto sanitario e sociale adeguato,
sono occasioni di conversione e di grande crescita nella via della santità.
E quale dono più grande possiamo ricevere da un figlio che con le sue
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fragilità ci spinge a vivere in modo più intenso la carità e a diventare
strumenti della Misericordia di Dio?
Del resto, e concludo, nella stagione di Papa Francesco che ha fatto
della Misericordia la via maestra della Chiesa, come potremmo fare della
Chiesa un “ospedale da campo” come lui ama dire, se gli ospedali della
Chiesa non fossero capaci di farsi carico delle situazioni di maggiore
fragilità. Noi impariamo dalla Chiesa ad essere “ospedale da campo”, ma
anche la Chiesa impara ed ha bisogno degli ospedali da campo, oggi
diremmo dell’Hospice perinatale, per essere più se stessa (cfr n. AL n.
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