Rapporto di lavoro: risoluzione per mutuo consenso tacito Renzo La

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Rapporto di lavoro: risoluzione per mutuo consenso tacito Renzo La
Rapporto di lavoro: risoluzione per mutuo consenso tacito
Renzo La Costa
In ogni caso di risoluzione per mutuo consenso tacito del rapporto di lavoro, grava sul
datore di lavoro", che eccepisca tale risoluzione, l'onere di provare le circostanze dalle quali
possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porvi definitivamente fine . Il
concetto – già radicato nella giurisprudenza di legittimità è stato ribadito dalla Corte di
Cassazione in sentenza nr. 13535 del 1 luglio 2015. L’originaria domanda era proposta da
una lavoratrice nei confronti di Poste Italiane spa diretta ad ottenere la declaratoria di
nullità del termine finale apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti. La domanda
veniva respinta dal tribunale trovando stessa sorte in sede di appello. Stante il lungo tempo
trascorso dal termine del rapporto di lavoro, la società aveva eccepito la risoluzione del
rapporto per mutuo consenso tacito. A tale decisione si opponeva la lavoratrice per
Cassazione, lamentando che la Corte di merito aveva disatteso il consolidato indirizzo della
giurisprudenza di legittimità per il quale, per la risoluzione per mutuo consenso tacito,
richiede la presenza di comportamenti che denotino "una chiara e certa comune volontà
delle parti medesime di volere, d'accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni
rapporto di lavoro", con onere della allegazione e della prova in capo alla parte che
prospetti lo scioglimento del rapporto, di talché la mera circostanza oggettiva del decorso
del tempo di per sé non assumeva alcuna rilevanza. Lamentava inoltre che la Corte
territoriale, mentre nella premessa ha negato al solo trascorrere del tempo valore
sintomatico al fine di dichiarare la risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito, ha
poi concluso, senza motivare tale illogica soluzione, ritenendo che la inerzia del lavoratore
protratta per quattro anni, unitamente alla breve durata del contratto di lavoro, fosse
idonea a determinare la detta risoluzione del rapporto. Ma come la suprema Corte ha più
volte affermato "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima
apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi
una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla
base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative — una
chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni
rapporto lavorativo.
La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sé
insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso,
mentre grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l'onere di provare le
circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro. Va pertanto ulteriormente confermato tale
indirizzo consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e
delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita
di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all'uopo sufficiente il
semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di
operatività del rapporto. D'altra parte, il mero decorso del tempo e la mera inerzia del
lavoratore costituiscono un semplice fatto che, al di fuori delle ipotesi tipiche fissate dalla
legge, di per sé è irrilevante. Né può essere sufficiente al fine della risoluzione del rapporto
per mutuo consenso tacito la mera cessazione della funzionalità di fatto del rapporto
stesso, tanto più che nel rapporto di lavoro possono anche intervenire numerose ipotesi di
sospensione, previste dalla legge o derivanti dalla volontà delle parti. Orbene nella
fattispecie la Corte di merito, in sostanza, pur avendo richiamato l'indirizzo consolidato
della suprema Corte, ha poi, in contrasto con lo stesso, ritenuto configurabile la risoluzione
per mutuo consenso tacito in considerazione soltanto della "notevolissima fase di non
attuazione del rapporto (oltre 4 anni)" con (id est) "la mancanza di qualsiasi
manifestazione di interesse da parte del lavoratore alla funzionalità di fatto di esso nel
tempo antecedente la proposizione dell'azione giudiziaria" e della "breve durata
dell'esecuzione del contratto (3 mesi)". Il ricorso è stato, pertanto, accolto e cassata
l'impugnata sentenza.