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Contratti di lavoro a termine e mutuo consenso.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte è tornata ad occuparsi dell’applicazione
del mutuo consenso nelle controversie di diritto del lavoro.
Come è a tutti noto l’art. 1372 del c.c. stabilisce il contratto ha forza di legge tra le parti.
Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge.
Di conseguenza ogni negozio giuridico può essere sciolto volontariamente con il
consenso delle parti che hanno dato origine al contratto.
Bisogna dunque chiedersi se questo principio può essere applicato anche alle
controversie di lavoro ed in particolare a tutti quei rapporti a tempo, impugnati dai
lavoratori che ne hanno chiesto la disapplicazione della clausola temporale e la loro
trasformazione in contratti a tempo indeterminato.
Il primo dato da cui partire è il contratto di lavoro che per poter contenere un termine
di durata del rapporto deve essere sottoscritto dalla partici e quindi necessariamente
rivestire la forma scritta.
Di conseguenza, ad avviso di una parte della dottrina e della giurisprudenza anche il
mutuo dissenso, in omaggio al principio della simmetria dei negozi giuridici dovrebbe
rivestire la stessa forma scritta prevista per il negozio presupposto.
La ragione di questa motivazione si ritrae, dal punto di vista normativo, dall’art. 1351
c.c. in tema di contratto preliminare, paradigma per eccellenza di contratto
presupposto, che prescrive: il contratto preliminare è nullo, se non è fatto nella stessa forma
che la legge prescrive per il contratto definitivo e dal punto di vista della certezza dei
rapporti giuridici dall’esigenza di realizzare nei confronti di situazioni negoziali di un
certo rilievo una certezza di serietà e di ponderazione.
A questa corrente di pensiero, più rispettosa della certezza dei rapporti, si sovrappone
l’altra tesi che partendo dal principio della libertà di forma ritiene che anche nei negozi
solutori non è necessaria alcuna forma particolare anche se vi è un legame profondo tra
i due contratti.
Portando poi alle estreme conseguenze questa ultima teoria si è arrivati a sostenere che
qualsiasi rapporto, anche quello di lavoro, possa essere sciolto con mutuo consenso,
rimandando così all’interprete la facoltà di interpretare non solo la volontà dei
contraenti (operazione logica), ma addirittura cercando di rinvenire la risoluzione del
rapporto anche in altri elementi di dubbia validità.
E’ evidente che lasciare all’interprete una tale libertà, in assenza di un dato normativo,
ingenera confusioni ed incertezze, le stesse che la giurisprudenza che ha esteso
l’applicazione dell’istituto del mutuo consenso ai rapporti di lavoro non riesce ad
arginare con un’interpretazione univoca.
La sensazione è che, in assenza di un dato normativo certo in ordine alle conseguenze
dell’apposizione illegittima del termine al rapporto di lavoro, e nel cercare di arginare
un fenomeno molto diffuso, la giurisprudenza utilizza in modo anomalo uno strumento
previsto per i contratti in generale.
Questa sensazione emerge anche dalla sentenza in commento dove la Suprema Corte
afferma che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico
rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al
contratto di un termine finale ormai scaduto, per la configurabilità di una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata…una chiara e certa volontà delle
parti medesime di porre fine ad ogni rapporto lavorativo non essendo da solo sufficiente il
tempo trascorso dalla conclusione del contratto all’azione giudiziaria, dovendosi anche
tener conto di altre situazioni significative e del comportamento delle parti prima della
proposizione del ricorso.
Avv. Gerardo Russillo