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Cibo, credenze, superstizioni.pmd
Cibo, credenze, superstizioni popolari
nel territorio marchigiano
I
l folklore marchigiano è ricco di usanze, credenze e superstizioni popolari legate al cibo,
che sono sopravvissute nei secoli e che ancora oggi si rinnovano quasi immutate nel territorio, in modo
particolare in alcune zone dell’entroterra.
Il pane. Alimento fondamentale nei pasti
quotidiani il pane, nelle Marche, è stato
sempre oggetto di immenso rispetto,
scaturito da un profondo senso religioso;
esso, infatti, rappresenta la Provvidenza, la
Grazia, l’Eucarestia.
Ma numerose sono anche le forme di
superstizione ad esso legate.
Il pane caduto a terra, per esempio, va
raccolto e baciato; se non è possibile
mangiarlo perché sporco, non si getta via, ma
si lascia come cibo per gli animali.
Un’altra credenza proibisce di appoggiare il
pane sulla tavola “dalla parte rigonfia”
perché, così facendo, si compiono tre
peccati: si volta la faccia a Gesù, si fa
cadere la Madonna dalla sedia, si fa
soffrire in Purgatorio l’anima di un parente
defunto.
Addosso ai bambini, un tempo, si faceva
portare un minuscolo sacchetto contenete
lievito e sale, che li avrebbe aiutati nella
crescita e protetti dalle streghe.
Olivo. Anche per l’olivo troviamo diffuse nella regione
svariate consuetudini.
Per esempio, il primo dell’anno e la sera dell’Epifania,
ancora oggi, in campagna, le ragazze usano gettare sul
fuoco una foglia di ulivo per sapere, dal movimento che
assume bruciando, il sentimento del proprio fidanzato:
“Se me vo’ bene salta e salticchia, se me vo’ male, sta
fissa fissa”.
La domenica delle palme si usa bruciare i rami d’ulivo
dell’anno precedente e spargerne subito la cenere nei
campi per tenere lontano i bruchi mentre, durante i
temporali, i contadini sono soliti bruciare ramoscelli di
ulivo, benedetti nell’ultima domenica delle palme, per
scongiurare la grandine.
Fagioli- ceci. Ai fagioli, in passato, venivano attribuiti
poteri miracolosi, ed erano considerati dei portafortuna
capaci di tenere lontano ogni maleficio.
Il fagiolo veniva addirittura ritenuto simbolo di
immortalità, forse per la prerogativa di riacquistare
freschezza con l’immersione in acqua.
Di buon augurio sono anche i ceci: un’antica usanza
campagnola vuole che il primo giorno in cui si semina il
grano, il pasto dei contadini sia a base di ceci.
Tale consuetudine ha un simbolico significato augurale,
poiché si spera che i chicchi del grano crescano grossi
come ceci.
Uova. Un altro cibo legato a molte usanze è
l’uovo.
Ancora oggi in certe zone, a Pasqua, si usa
portare a benedire in chiesa le uova da
regalare poi a parenti ed amici.
Si ricollega a costumanze e riti medievali di
carattere propiziatorio la consuetudine
della questua effettuata prima delle
festività pasquali.
Retaggio medievale è anche l’uso di tingere
o decorare le uova sode.
Le uova, inoltre, hanno avuto un punto di
rilievo anche nel campo delle superstizioni:
dispari doveva essere il numero delle uova
da portare in regalo e sempre dispari il
numero delle uova da mettere sotto la
chioccia; inoltre se una donna dopo il parto
non avesse preso per nove giorni un uovo
ogni mattina, non avrebbe avuto
abbondanza di latte.
Fave. Secondo un’ antica consuetudine, ormai in via di estinzione, a Camerino le ragazze, la sera del 31
dicembre, mettevano sotto il cuscino tre semi di fava secca: uno con la buccia, un altro sbucciato a
metà, il terzo senza buccia.
Il primo dell’anno, appena sveglie, prendevano a caso uno dei semi: se era spoglio, il futuro marito
sarebbe stato povero; se aveva metà buccia, di media condizione economica; se invece aveva tutta la
buccia l’uomo che avrebbero sposato sarebbe stato un ottimo partito.
La medicina tradizionale, inoltre, riteneva le fave un efficace rimedio contro le verruche e le emorragie
dell’occhio.
Aglio. Uno dei cibi più ricchi di significati e superstizioni
è senz’altro l’aglio.
Ancora oggi si rinnovano riti in uso fin dal seicento come
quelli della notte di S.Giovanni, quando si espongono fuori
delle porte di casa trecce d’aglio e una scopa di saggina
per tenere lontano i malefici delle streghe.
Contro il malocchio, in alcune località del Montefeltro, il
23 giugno ( vigilia di S.Giovanni), si raccolgono foglie di
alcune particolari piante, erbe e fiori, si mettono a
macerare in un recipiente, aggiungendo poi molliche di
pane ed alcuni spicchi d’aglio. Il contenuto si versa in una
bottiglia che nella notte, dopo averci fatto tanti segni
croce, si espone al “ lume di luna”.
L’aglio è molto presente anche nella medicina popolare
marchigiana: uno spicchio d’aglio crudo, per esempio,
strofinato sulla parte esterna degli occhi, era
considerato efficace contro le malattie.
Ai bambini, come vermifugo, veniva fatto mangiare un
soffritto di aglio e ruta.
Questo bulbo è ritenuto un rimedio insostituibile nella
cura dei geloni e un buon antidoto contro punture
d’insetti.
Nella cucina marchigiana l’aglio domina sovrano,
utilizzato come il prezzemolo, un po’ dappertutto.
Secondo la tradizione va piantato il 25 dicembre: “chi
vole ll’aju grossu, de Natà scia ‘rpostu”.
Formaggio. Anche al formaggio, cibo
molto importante nell’alimentazione
dell’entroterra marchigiano, sono legate
diverse usanze, leggende, superstizioni.
Nel Vissano per la “festa della cagliata”
è tradizione scambiarsi doni, in
particolare formaggi freschi.Una
superstizione pastorale vuole che,
quando si porta a regalare una ricotta, il
piatto debba essere restituito non
lavato, altrimenti le pecore
perderebbero il latte.
Al formaggio pecorino è legata la
leggenda del “ponte del diavolo”.
In essa si racconta che un certo Mastro
Bentivegna, pur di edificare un ponte in
un luogo dove era impossibile costruirlo,
servendosi del libro del Comando avuto
da una strega, baratta col diavolo la
realizzazione del ponte con l’anima di chi
per primo lo avrebbe attraversato.
Il diavolo costruisce il ponte in una notte
ed ecco subito arrivare S.Nicola con un
cagnolino a benedirlo.
Estratta dalla tonaca una forma di
formaggio, la fa ruzzolare sul ponte: il
cane la insegue ed il diavolo, beffato,
sparisce urlando in una fiammata.
Da questa leggenda nasce, secondo la
tradizione, il gioco della “ruzzola”, un
tempo molto diffusa anche nel
fabrianese.
Esso consisteva nell’avvolgere una corda
attorno ad una forma di pecorino ben
stagionato e di lanciarla e farla rotolare
sulla strada; vinceva chi arrivava più
lontano.
Cipolla. Anche la cipolla trova posto nella tradizione folkloristica
marchigiana.
Ad essa sono legate varie forme di superstizione: sognarla è
preannuncio di notizie e fatti piccanti; quando si trova una
cipolla coperta da otto veli, si prevede un’ invernata freddissima.
Ad Urbania, tra il 24 e il 25 gennaio, chiamata “notte di S.Paolo
dei segni”, si rinnova un rituale che trae auspici dalla cipolla.
Si taglia una cipolla in 12 spicchi ( ciascuno rappresenta un mese
dell’anno) che, cosparsi di sale, si espongono all’aria per l’ intera
notte.
Al mattino, a seconda del sale sciolto in ciascuno spicchio, si
potevano conoscere le condizioni meteorologiche dei rispettivi
mesi.
Sale sciolto del tutto: pioggia o neve; sciolto in parte: alternanza
di tempo bello e brutto; sale integro: tempo bello, sole o anche
siccità.
Secondo la medicina popolare, le cipolle erano efficaci per
curare tosse, raffreddori e reumatismi.
Dal progetto “Cibo e alimentazione” classe II H