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Il bicchiere della staffa
di Ca Benedetti
Il vino non aveva più sapore. Per quanto chiudesse gli occhi, lo facesse passare avanti e indietro sulla
lingua e si sforzasse di ascoltare con attenzione, niente. Avrebbe potuto essere aranciata. Posò il
bicchiere e guardò i figli e i nipoti seduti attorno alla tavola. Li invidiò ferocemente: idioti che avrebbero
potuto ancora ascoltare il bouquet di qualche splendido Les Caillerets Louis Latour del 2003, con la sua
tinta dorata e il sapore di mandorle fresche. E invece bevevano alla svelta, sperando di accorciare quella
serata insolita, vino bianco e pesce, rosso e bistecca. Lo guardavano con quei loro occhi bovini come
fosse un vegliardo saggio e buono. Cretini.
Il figlio maggiore gli ricordava un brunello Podere la Fortuna del 2006 che aveva bevuto con dell'anatra
arrosto: terribilmente onesto, articolato in ogni sapore come un manuale di storia delle medie. La figlia
un Müller-Thurgau Casata Monfort del 2011, nevrotico, sempre sul punto di eccedere e che metteva in
un angolo perfino gli scampi alla bussara. Poi c'erano i nipoti, ventenni rampanti che da piccoli lo
irridevano quando annusava un bicchiere per due, tre minuti: vinelli bianchi da niente, ambrati, troppo
vecchi anche da giovani. Sospirò. Era circondato da idioti. Nessuno sarebbe stato capace di distinguere
una nota di frutta secca da una legnosa nel vino che bevevano.
- Meglio così - disse a bassa voce.
Lui, invece, ricordava benissimo l'odore di quel Barolo Cascina Francia del 2004. Lo rivedeva come un
paesaggio: speziato con noce moscata e ginepro, fruttato con mora a bacche rosse, floreale con note di
violetta. Si ricordava ogni piatto che aveva accompagnato con quel vino: lepre alla cacciatora a Gennaio,
cervo con polenta a fine Febbraio e coda di vitello brasata a Marzo. Se lo ricordava bene perché dopo
aveva perso odori e sapori: 'anosmia acquisita permanente' dissero. Aveva preso l'influenza, come tutti,
ma lui ne era uscito senza più il gusto, la gioia della sua vita.
A essere sinceri fu quel giorno che decise tutto, d'istinto e senza rimorsi.
Uno dei suoi nipoti iniziò a sbadigliare e lo sbadiglio si propagò alla tavola. Guardò quelle bocche piene
a metà di cibo misto vino ed ebbe un attacco di nausea. Per resistere, recitò Omar Khayyam:
- “Vino bevi e di nulla ti cura ché il saggio già disse: la pena del mondo è veleno, e vino l'antidoto
buono” Partì un applauso fiacco di tutti i commensali che erano abituati ad ascoltarlo citare poesie sconosciute.
Li squadrò con brutalità.
- L'abbinamento vino e cibo risale a Galeno: vini forti con alimenti delicati, vini freddi con cibi caldi.
Credevano che l'opposizione reggesse il mondo, lo tenesse in equilibrio. –
Dal fondo della tavola si levarono dei sospiri rochi. I nipoti sudavano freddo.
- Poi abbiamo cercato l'affinità, l'equivalenza fra sapori. Abbiamo creduto che il mondo fosse un posto
buono: armonia fra tutte le cose. Ebbe un altro attacco di nausea mentre sorrideva. Si accorse che anche suo figlio si teneva la mano sullo
stomaco e aveva la faccia pallida. Sua figlia stringeva il tovagliolo fino a farsi male, bianca come un
marmo.
- Invece non esiste niente che non sia arbitrario, instabile. Tutti i miei abbinamenti funzionano solo
perché ci siamo abituati. - una fitta ai bronchi lo fermò.
- E fra cinquant'anni non piaceranno più a nessuno. Sua figlia iniziò ad agitarsi sulla sedia: la sentiva borbottare che aveva un tremendo mal di testa,
insopportabile.
- E quindi a che serve? A voi ora piacciono, ma invecchierete e il vino, questo buon cibo, tutto diventerà
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pappa insapore, omogeneizzato di cenere e latte. Intorno al tavolo si guardavano, qualcuno si era alzato gemendo rumorosamente, gli sembrava, e
barcollava verso la porta. Qualcuno era a terra, sguardo al soffitto.
- “Bevi vino, ché una vita che ha in fondo solo la Morte meglio è che passi nel sonno, meglio è che passi
in ebrezza” - disse sottovoce, incerto d'averlo solo immaginato.
- Vecchio stronzo – aggiunse sottovoce suo figlio.
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