il ruolo dell`italia nella costruzione europea

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il ruolo dell`italia nella costruzione europea
IL RUOLO DELL’ITALIA NELLA COSTRUZIONE EUROPEA
L’Italia ha contribuito in modo sostanziale alla costruzione europea conferendovi visione strategica
e abilità di manovra, dando un grande contributo al farsi dell’Europa: si deve soprattutto all’Italia,
presidio della componente sopranazionale, se l’unificazione è avanzata lungo lo spartiacque tra
modello intergovernativo e modello sopranazionale.
Contributo di idee e di azioni
Il principale contributo dell’Italia alla costruzione dell’Europa è nel campo dell’elaborazione e della
propaganda delle idee. Nel ‘900 spiccano tre nomi, quelli di Einaudi, Spinelli e Albertini. Einaudi,
Spinelli e Alberini hanno contribuito all’elaborazione dell’idea federalista e alla realizzazione della
costruzione europea: essi hanno influenzato in momenti e modi diversi la circolazione delle idee che
si sono rivelate centrali per il processo di unificazione europea. Il loro pensiero e il loro consiglio ha
plasmato le scelte politiche di figure di primo piano, come De Gasperi, Andreotti, Craxi, Prodi,
Ciampi, D’Alema, appartenenti a generazioni diverse con un impatto che ha superato i confini
dell’Italia.
Nel 1952 seguendo il consiglio di Spinelli, Alcide De Gasperi ottenne l’inserimento nel Trattato
della CED di una clausola (l’art. 38) che attribuiva all’Assemblea parlamentare della CED il
mandato di formulare lo statuto di una <Comunità politica europea>: il primo ministro italiano
convinse gli altri governi a inserire anche la costituzione di una Comunità politica europea nel piano
Pleven per la Comunità europea di difesa (CED). Dopo il tramonto del progetto di difesa comune,
l’Unione europea si dà un contenuto economico, si fonda più sull’interesse che sulle passioni; non
cerca il bene supremo ma il benessere.
Difesa del federalismo e disponibilità a creare istituzioni sopranazionali
L’Italia ha costantemente fatto riferimento alla creazione di un’Europa politicamente unita, basata
su un potere sopranazionale, prodigandosi per ricordarlo agli altri partners come guida per le
decisioni comuni. La sua disponibilità a soluzioni sovranazionali è stata generalmente condivisa con
la Germania. In Italia la linea della sovranazionalità è stata sempre costante, sia perché il suo
limitato peso politico la preservava dalla tentazione di muoversi in modo autonomo nell’arena
internazionale, sia perché essa agiva senza dover filtrare la sua posizione attraverso lo speciale
rapporto con la Francia.
Coincidenza fra interesse nazionale e progressi in capo europeo
L’Italia ha anche avuto la capacità di fare dell’Europa un potente fattore di cambiamento del
proprio sistema economico, politico e istituzionale. Nel corso degli anni, la strategia europea
dell’Italia ha seguito con coerenza alcune chiare linee guida:
• coincidenza fra interesse italiano e progresso dell’unità europea;
• valutazione realistica della propria azione in Europa.
In primo luogo è stata fondamentale la percezione di una forte coincidenza tra l’interesse italiano e
il progredire dell’unificazione europea. La classi dirigenti italiane sono state sempre consapevoli del
fatto che l’interesse nazionale italiano è fortemente radicato in Europa: non è dunque vero che
il nostro paese abbia difficoltà a individuare il proprio interesse nazionale. L’istruzione impartita
all’ambasciatore italiano in Europa era “Ogni volta che c’è una discussione tra due soluzioni
alternative, il vostro compito è di sostenere quella più favorevole all’Europa”.
Realistica valutazione del peso dell’Italia in Europa
In secondo luogo, la realistica valutazione dei limiti e degli strumenti dell’azione politica italiana in
Europa. Finché il cosiddetto asse franco-tedesco ha operato in modo effettivo in favore dell’Europa
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unita, l’Italia non si è opposta ad esso, ma si è mossa nello spazio interstiziale offerto dalla
dialettica franco-tedesca in quella direzione. Per esempio, nel campo dell’unione monetaria la
diplomazia italiana ha coniugato efficacemente il desiderio francese di porre fine al dominio
monetario tedesco con la determinazione della Germania a muoversi in direzione dell’istituzione di
una banca centrale ben definita e fondata su un trattato.
I politici italiani hanno dimostrato una determinazione che il contesto politico interno non sempre
consentiva. Strumenti e metodi tipicamente italiani si sono rivelati utili nel contesto europeo:
ritardare le decisioni quando è difficile giungere a un accordo, ricercare l’appoggio
dell’opposizione, puntare a soluzioni consensuali accettabili per tutti i partecipanti alla coalizione di
governo. La politica filoeuropea e le sue tecniche sono diventate parte della cultura dei politici, dei
funzionari e degli analisti politici italiani.
Ancora oggi l’Italia continua ad avere difficoltà nel partecipare al quotidiano gioco dell’Unione, un
gioco in cui le mosse vincenti derivano dalla padronanza dei dettagli tecnici, dalla precisione
burocratica, dalla tenacia nella negoziazione, dalla memoria storica, dalla buona conoscenza delle
carte.
Nella costituzione dell’Europa l’Italia è stata un attore di secondo piano che ha operato entro gli
spazi consentiti dalla preminenza del cosiddetto asse franco-tedesco: l’idea di una Europa unita è
nata dalla necessità della riconciliazione franco-tedesca, la Francia e Germania sono stati i due paesi
che hanno maggiormente influito sull’unificazione europea. Nonostante il suo ruolo secondario,
l’azione dell’Italia è stata tuttavia significativa, e in numerose occasioni addirittura decisiva,
spostando l’ago della bilancia nel delicato equilibrio europeo. Attraverso gli anni l’Italia ha saputo
utilizzare il suo peso limitato in modo da non perdere mai il fine ultimo delle iniziative europee.
Contributi italiani alla costruzione europea
L’Italia ha conferito all’Europa una serie di ingredienti che possono ancora contribuire a completare
la sua costruzione e che rimangono essenziali per lo sviluppo di un’Europa unita:
-sconfiggere la paralisi dell’unanimità,
-rafforzare il controllo democratico,
-evitare un ristretto approccio costi-benefici,
-accettare l’allargamento.
Questi quattro contributi italiani hanno avuto profonda influenza sulla costruzione europea: essi
toccano aspetti centrali, che fanno la differenza tra una debole organizzazione regionale e il sistema
pensato dai padri fondatori, del tutto assimilabile a una costruzione di tipo statuale.
L’Italia si è sempre battuta per questi principi, sanciti dai Trattati fin da principio e, sebbene la loro
attuazione abbia sempre incontrato una forte opposizione, nel corso del tempo essi hanno
guadagnato terreno e hanno esteso il loro campo di applicazione. Tutto ciò si deve al fatto che
l’Italia, membro fondatore, secondo per importanza solo alla Germania e alla Francia, ha agito con
coerenza e sagacia in loro sostegno.
Battaglia per la limitazione della regola dell’unanimità
Il più importante contributo strategico dell’Italia al progresso dell’Unione europea è stato quello di
rompere la morsa paralizzante dell’unanimità: la regola dell’unanimità consente a una
minoranza di imporre il proprio voto e impedisce di perseguire l’interesse collettivo; la linea che
separa il principio maggioritario da quello dell’unanimità è quella che divide la semplice
cooperazione intergovernativa dal funzionamento di un’entità sopranazionale.
Nel 1969, dopo la gravissima crisi della “sedia vuota” e del compromesso di Lussemburgo, Pietro
Nenni assunse l’iniziativa per il rilancio dell’unione politica che sfociò nella pratica dei vertici
europei.
Nel 1977, per impulso del presidente del Consiglio Moro, il Consiglio europeo di Roma fissò la
data per la prima elezione diretta del Parlamento europeo superando l’opposizione di due paesi.
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Nel giugno 1985, nel consiglio europeo di Milano, il presidente del Consiglio Craxi e il ministro
degli esteri Andreotti, in modo del tutto inaspettato, applicarono per la prima volta il principio
maggioritario per decidere la convocazione di una Conferenza intergovernativa incaricata di
emendare il Trattato: quella fu poi la Conferenza che stipulò l’Atto unico europeo e aprì la strada
all’attuazione del mercato unico.
Nel 1989 gli italiani approvarono a larghissima maggioranza (l’88 per cento) il referendum
consultivo che chiedeva loro se volevano attribuire poteri costituenti al Parlamento europeo.
Nell’ottobre del 1990, Andreotti nell’ultima ora di Maastricht persuase il Consiglio europeo a
fissare una data vincolante per l’avvio dell’unione monetaria; sotto la presidenza di Andreotti, dopo
una lunga e ripetuta serie di negoziati bilaterali, l’Italia traspose gli elementi essenziali del rapporto
Delors sull’Unione economica e monetaria nelle conclusioni del Consiglio europeo, consentendo
alla Gran Bretagna di dissociarsi esprimendo la propria posizione in un paragrafo separato: quel
passo fondamentale trasformò ciò che fino a quel momento era solo un dettagliato progetto tecnico
in un atto di volontà politica vincolante per la successiva Conferenza intergovernativa.
Battaglia per rafforzare il principio democratico nell’Unione europea
L’Italia ha contribuito a rafforzare il principio democratico nell’Unione europea e ha sostenuto
strenuamente la necessità di una forte legittimazione democratica europea appoggiando l’elezione
diretta del Parlamento europeo. La politica italiana in Europa ha avuto il costante obiettivo di
fondare la legittimità dell’Unione sul principio democratico e non solo sul metodo intergovernativo.
Questo è un aspetto molto innovativo dell’integrazione europea; infatti, inizialmente Trattati
lasciavano ampio spazio alla cooperazione intergovernativa, mentre assegnavano un’influenza
marginale al Parlamento, inizialmente non eletto direttamente. Ma nel corso del tempo la
mancanza di partecipazione democratica è diventato uno dei maggiori ostacoli all’ulteriore
sviluppo dell’Unione europea.
Negli anni ottanta l’Italia dà avvio alla stagione delle riforme istituzionali, appoggiando con
maggior vigore il “Progetto di trattato che istituisce l’Unione europea”, elaborato dal Parlamento
europeo sotto la guida di Spinelli. Nel 1979-84, durante la prima legislatura del Parlamento eletto
direttamente, Spinelli, in qualità di relatore parlamentare, convince il Parlamento a respingere il
bilancio della Comunità, utilizzando così la più forte prerogativa parlamentare conferita a quel
tempo nei Trattati. Nella stessa legislatura egli si fa promotore di un progetto di Trattato
sull’Unione europea. Nel 1985 il governo italiano subordina la propria ratifica dell’Atto unico
europeo a un voto favorevole del Parlamento europeo, conferendo così a quest’ultimo un voto
determinante e rendendolo pienamente partecipe del processo costituente europeo: il Parlamento
approva l’Atto unico europeo e l’Italia poi lo ratifica.
Critica italiana del principio del giusto ritorno
Il terzo contributo al progresso della costruzione europea è stato il rifiuto del giusto ritorno. Nel
gergo dell’Unione con l’espressione giusto ritorno si intende la richiesta, da parte di ciascun
paese e per ogni singola decisione, di un guadagno pari al costo sostenuto. Nel corso degli anni,
l’Italia ha evitato quell’approccio, sostenendo con forza che esso è contrario all’idea stessa di
un’unione e, se applicato sistematicamente, avrebbe finito per distruggerla. Le delegazioni italiane
hanno sempre avuto l’istruzione di favorire il raggiungimento di un accordo europeo anche a costo
di qualche sacrificio nazionale.
Contributo all’allargamento della Comunità europea
Il quarto contributo dell’Italia riguarda l’allargamento della Comunità a nuovi membri: il
principio per cui ogni Stato europeo può fare domanda per diventare membro, fu sancito già nel
Trattato di Parigi del 1950 e venne poi ripreso nel Trattato di Roma.
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La possibilità di adesione all’Unione in condizioni di uguaglianza rispetto a chi già ne fa parte è
senza dubbio una delle caratteristiche fondamentali della costruzione europea, che la differenzia da
qualsiasi altra organizzazione sopranazionale, in cui i fondatori continuano a mantenere privilegi.
Influenza decisiva del fattore europeo sullo sviluppo italiano
Se l’Italia ha svolto una parte positiva in tutti i passaggi cruciali della costruzione europea,
reciprocamente, il fattore europeo ha avuto una influenza decisiva sulla trasformazione economica,
sociale e politica dell’Italia negli ultimi cinquant’anni.
Negli ultimi cinquant’anni l’Europa ha influenzato in modo molto profondo e diffuso l’evoluzione
economica, politica e istituzionale dell’Italia, anche se ha spesso mancato di attuare norme della
Comunità nei tempi previsti e di utilizzarne efficacemente gli strumenti. Nonostante il frequente
ritardo nell’assolvimento degli obblighi imposti dal quotidiano funzionamento dell’Unione, l’Italia
è uno dei paesi membri che più profondamente e diffusamente ha accettato l’influenza del processo
europeo nella sua evoluzione. Nel corso della seconda metà del secolo il paese ha intrapreso
cambiamenti che non aveva compiuto nei secoli precedenti e l’impulso è venuto soprattutto
dall’Europa, che si è rivelata il vero riformatore dell’Italia.
Europa come fattore decisivo della ricostruzione post-bellica
Uno dei principali fattori della ricostruzione dell’Italia come Stato nazionale è stata sin dall’inizio la
partecipazione attiva allo sforzo di unificare l’Europa; lo stesso si può dire per la Germania postbellica. L’Italia doveva riemergere materialmente e moralmente dalla guerra, era uno Stato che
doveva ricostruire la dignità e il rispetto di sé. Il ruolo multiforme e influente che l’Italia ebbe nel
processo di integrazione europea giovò profondamente al paese; quel ruolo non muoveva verso la
limitazione o la soppressione dello Stato nazionale, ma piuttosto verso la sua riedificazione.
Per entrambe le parti si è rivelato fruttuoso l’incontro fra una nazione carente di statualità come
l’Italia e uno Stato in fieri privo di identità nazionale, come l’Unione europea. La costruzione
dell’Europa ha offeto all’Italia l’occasione di svolgere una funzione internazionale strategicamente
importante, secondo modalità che il concerto delle nazioni europee dei secoli precedenti non le
avevano consentito.
Impegno contraddittorio dei governanti italiani nella costruzione europea
Poiché il campo scelto per unificare l’Europa è stato quello economico e l’Italia è economicamente
debole, la sua partecipazione alle tappe del percorso ha dato vita a intensi dibattiti. In numerose
occasioni i leaders politici si sono dimostrati fiduciosi nelle potenzialità del paese e hanno deciso di
impegnarsi nella costruzione europea, consapevoli del fatto che ciò avrebbe obbligato a un
cambiamento che un contesto esclusivamente nazionale non avrebbe consentito. La sfida non si è
mai rivelata superiore alle capacità e alle volontà diffuse nel paese; anzi è stata la sfida stessa ad
attivare energie e qualità che forse non sarebbero altrimenti venute alla luce.
In alcuni momenti le politiche europee e quelle nazionali sono state in aperta contraddizione, si
pensi al periodo 1989-91, quando il governo ha agito come uno dei grandi artefici del Trattato di
Maastricht proprio mentre ha lasciato che il deficit di bilancio aumentasse. Questi comportamenti
contraddittori spiegano la cattiva reputazione dell’Italia, considerata un paese favorevole
all’Europa, ma inadempiente agli obblighi che essa impone.
La costruzione dell’Europa ha trasformato il sistema economico italiano
Dalla fine dell’800 alla fine del ‘900 l’Italia è profondamente cambiata. Nel ventennio a cavallo dei
due secoli otto milioni di italiani, il 20 per cento della popolazione, emigrarono; il flusso migratorio
continuò sino al termine degli anni sessanta; alla fine del ventesimo secolo l’Italia è diventato un
paese di immigrazione, molto dopo tutti gli altri paesi della Comunità.
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Negli anni cinquanta, sul piano economico l’Italia era un paese in grave ritardo rispetto agli altri
cinque membri della Comunità europea, non solo nella diffusione di prodotti quali gli
elettrodomestici, ma anche in beni primari quali la casa, la salute, il saper leggere e scrivere; inoltre,
era priva di gran parte della legislazione sociale che in altri paesi era stata introdotto nella prima
metà del secolo.
La costruzione dell’Europa ha trasformato il sistema economico facendo dell’Italia una moderna
economia di mercato, ha creato un ampio mercato di esportazione che ha premiato l’abilità di una
nuova classe imprenditoriale proprio quando la meccanizzazione dell’agricoltura spingeva milioni
di famiglie ad abbandonare le campagne. Tra il 1950 e il 1990 il reddito italiano pro capite è
aumentato di cinque volte: nello stesso periodo la quota di agricoltura nell’economia è passata dal
20 al 3 per cento; c’è stato un massiccio spostamento della popolazione dalle campagne alle città,
dal Sud al Nord; il Nord-est da povera regione è diventata una delle aree più ricche e dinamiche del
mondo.
“Lo sviluppo dell’economia italiana fu in primo luogo il risultato di un quasi inesauribile fiorire di
talenti imprenditoriali provenienti da uno strato sociale di lavoratori manuali, artigiani e contadini
della provincia italiana, furono gli industriali di prima generazione che crearono imprese capaci di
crescere rapidamente, orientate all’esportazione, innovative nei più diversi settori produttivi:
metalmeccanico, alimentare, dei macchinari, degli elettrodomestici, della moda e del tessile. Molte
giovani imprese, nonostante le loro piccole dimensioni, seppero diventare capofila mondiali per il
loro prodotto. Il segreto del loro straordinario successo è da ricercarsi nelle personalità dei loro
fondatori e padroni: una combinazione di desiderio di auto-realizzazione e di indipendenza, di
specializzazione artigianale ereditata, passione per il lavoro, gusto per la forma educato di
generazione in generazione, avidità, senso della famiglia, prontezza a imbrogliare lo Stato
evadendo le tasse e aggirandone le norme” (p. 114).
Apertura dell’Italia verso la concorrenza
Dagli anni cinquanta in poi l’integrazione europea ha agito come un potente fattore di
cambiamento, spingendo l’Italia verso la modernizzazione e l’apertura alla concorrenza: negli
anni cinquanta la libertà di prendere la residenza in un qualsiasi comune della Penisola era ancora
ostacolata dalla legge, esistevano vincoli che impedivano di investire liberamente il risparmio, il
paese esitava di fronte alla scelta tra una economia pianificata e un’economia di mercato, indugiava
in un misto di corporativismo, statalismo e avido capitalismo.
Aiuti nella correzione dell’arretratezza del Meridione
L’Unione europea ha dato il suo contributo anche alle politiche volte a correggere l’arretratezza
del Mezzogiorno e di altre regioni. L’Italia è stata per molti anni la maggiore beneficiaria dei
prestiti della Banca europea per gli investimenti; la BEI con il Fondo regionale europeo hanno
costituito la principale fonte dei fondi destinati al Mezzogiorno.
Ripristino dell’equilibrio di bilancio e della stabilità dei prezzi
Il fattore europeo è stato determinante per ripristinare la stabilità dei prezzi e l’equilibrio del
bilancio pubblico, andati perduti all’inizio degli anni settanta per l’influenza delle due crisi
petrolifere e della concomitante influenza delle rivendicazioni salariali, nonché della progressiva
introduzione della legislazione sociale nel campo dei rapporti di lavoro, delle pensioni e della
assistenza sanitaria. Lo sforzo per convergere nella moneta unica hanno agito come potenti incentivi
per aumentare il controllo della spesa pubblica.
Costruzione europea a influito profondamente sulle istituzioni italiane
La Costituzione del 1948 aveva consapevolmente lasciata aperta la scelta fra un’economia di
mercato e un’economia pianificata; non esistevano ancora alcune delle istituzioni necessarie al buon
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funzionamento di una moderna economia di mercato; la legislazione riguardante l’attività
economica era vecchia e incompleta.
Il Trattato di Roma ha spinto l’Italia a una profonda riforma della legislazione riguardante tutti i
campi dell’attività economica: sono state riscritte le leggi fondamentali riguardanti l’attività
bancaria e il settore finanziario; la Banca d’Italia ha ottenuto la sua indipendenza; sono state create
nuove istituzioni pubbliche per controllare e regolare i mercati dei valori mobiliari, dell’energia,
delle telecomunicazioni e dell’informazione; sono state introdotte una legge e un’autorità per la
tutela della concorrenza; sono cessati gli aiuti di Stato alle imprese cronicamente in perdita.
Per soddisfare i criteri di convergenza stabiliti a Maastricht l’Italia si è dotata di procedure di
bilancio moderne atte a ripristinare un’accettabile disciplina dell’entrata e della spesa. Lo sviluppo
delle autonomie locali e il superamento dello stato centralistico è stato favorito dal processo di
costruzione europea.
Il sistema europeo ha esercitato uno stimolo al consolidamento dell’area della
democrazia.
Dopo la seconda guerra mondiale, in un mondo bipolare, con una Europea centro-orientale legata al
blocco sovietico, l’Italia aveva una importanza strategica che superava di molto la sua forza
economica e politica: gli Stati Uniti d’America e i loro alleati europei non potevano permettersi il
rischio che il nostro paese, con il più potente partito filosovietico, passasse nell’area orientale.
L’adesione alla Comunità europea ha costituito un elemento di continuità nella politica italiana: il
sostegno alla costruzione europea è stato un elemento permanente della piattaforma politica dei
governi che si sono avvicendati nel corso del tempo.
La Democrazia Cristiana, che ha governato l’Italia fino all’inizio degli anni novanta, ha fatto della
costruzione europea un caposaldo della sua politica: insieme con la NATO, l’Europa ha
rappresentato l’ancora della democrazia e il baluardo contro l’Unione Sovietica e il comunismo.
Per gran parte del periodo post-bellico l’Italia è rimasta una fragile democrazia mono-coalizione.
Per molti anni l’Italia non ha sperimentato quella caratteristica essenziale di un sistema democratico
che è il regime dell’alternanza fra maggioranza e opposizione, ossia la perdita del potere da
parte di chi governa e la salita al potere dell’opposizione. La mancata alternanza fra maggioranza e
opposizione ha favorito lo sviluppo di politiche irresponsabili, il deterioramento dell’etica nella
gestione degli affari pubblici e una endemica lotta intestina nella coalizione di governo, aggravando
l’instabilità governativa.
Il Parlamento europeo ha messo i partiti italiani in contatto con le forze politiche delle altre
democrazie europee, spingendo i partiti di opposizione a cercare una legittimazione democratica e a
rivedere a tal fine i loro programmi e le loro posizioni. Progressivamente il Partito comunista si è
allontanato dalla sua piattaforma politica tradizionale per adottare una posizione europeista: grazie
anche all’influenza di Spinelli, il Partito comunista, che nel 1978 si è opposto fermamente alla
partecipazione dell’Italia al Sistema monetario europeo, ha cambiato atteggiamento nei confronti
della Comunità europea, primo segno tangibile del suo mutamento completato dopo la fine del
sistema sovietico. Anche Alleanza nazionale, partito di destra, è cambiato nella seconda metà degli
anni novanta con la partecipazione al governo Berlusconi e la sua decisione di aderire al gruppo
gollista dell’Europarlamento.
Punti di forza della politica europea dell’Italia
Uno dei punti di forza della politica europea dell’Italia è l’impegno attivo a perseguire il risultato
finale dell’unificazione europea: una federazione di Stati, fondata su principi democratici e
costituzionali, sorretta da un efficiente potere sopranazionale e allo stesso tempo rispettosa di un
ampio ruolo per i livelli di governo nazionale e sub-nazionali. Oggi il dibattito sul futuro
dell’Unione è incentrato soprattutto sulla costruzione di federazione europea di Stati. Ciampi,
Fischer e Chirac hanno aperto un dibattito sulla costituzione europea e sulla configurazione
istituzionale dell’Unione dopo l’adozione della moneta unica e l’allargamento dell’Unione ai paesi
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dell’Europa centrale. L’Italia ha da sempre sostenuto questi due obbiettivi, e in ogni trattativa gode
di un vantaggio in sede negoziale quella parte che ha la più chiara percezione del bene comune.
Un secondo punto di forza è la posizione geopolitica dell’Italia, dovuto alla collocazione
dell’Italia rispetto all’area del Mediterraneo e dell’Europa sud-orientale, le frontiere critiche
dell’Unione europea: per la sua posizione geografica il ruolo dell’Italia nei Balcani e nella regione
mediterranea è non solo italiano, ma europeo.
Un terzo punto di forza è la flessibilità e l’adattabilità che caratterizzano il Paese, non solo come
punto di riferimento all’economia, ma anche come sistema sociale, atteggiamenti della gente,
istituzioni pubbliche e private.
Infine, il forte sostegno dell’opinione pubblica italiana al progetto di un’Europa unita ha
sempre rappresentato un considerevole vantaggio per l’Italia. I funzionari e i politici italiani sono
spesso bonariamente invidiati dai loro colleghi di altri paesi proprio il vantaggio di poter agire sulla
scena europea contando su un forte appoggio popolare all’idea di Europea unita.
Ci sono anche importanti debolezze: inefficienza dell’apparato statale, l’insufficiente concorrenza
interna, la mancanza di ambizioni nazionali.
Materiali di documentazione sull’Unione Europea
a cura di Anna Floris
Bibliografia: T. Padoa-Schioppa, Europa, forza gentile, Il Mulino, Bologna, 2001
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