La disciplina della concorrenza per il settore agricolo

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La disciplina della concorrenza per il settore agricolo
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO ITALIANO E COMPARATO
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO AGRARIO, ALIMENTARE E AMBIENTALE, NAZIONALE E COMUNITARIO
CICLO XXIV
TITOLO DELLA TESI
La disciplina della concorrenza per il settore agricolo
TUTOR
DOTTORANDO
Chiar.mo Prof. ETTORE CASADEI
Dott.ssa CINZIA BENATTI
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. FRANCESCO ADORNATO
ANNO 2013
INDICE-SOMMARIO
INTRODUZIONE
1.
L’importanza della concorrenza per lo sviluppo economico in
generale .................................................................................................. p. 1
2.
Il rilievo assunto dalla concorrenza come fondamentale scelta
politica nei Trattati europei ................................................................... p.11
3.
La concorrenza nei rapporti internazionali, in particolare il
raffronto tra il modello statunitense e il modello europeo .................. p.16
CAPITOLO PRIMO
LE FONTI
1.
Le regole di concorrenza nel mercato europeo: gli articoli 101 e
102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ................. p. 26
2.
Le peculiarità della disciplina della concorrenza per il settore
agrario nell’ordinamento europeo: l’art. 42 TFUE ............................ p. 61
3.
Dal primo provvedimento generale, il Regolamento (CEE) n.
26/1962 al Regolamento (CE) n. 1234/2007 .......................................... p.76
3.1 Applicabilità e procedura di accertamento .............................. p. 80
I
3.2 Gli aiuti di Stato (considerazioni generali) .............................. p.83
4. La disciplina della concorrenza e il sistema delle organizzazioni
dei produttori agricoli............................................................... p.100
5. La disciplina della concorrenza e la ripartizione di competenze tra
Commissione europea e Autorità antitrust nazionali ............ p. 111
6. La concorrenza nell’ordinamento interno: il nuovo art. 117 Cost. e
la competenza esclusiva dello Stato, con particolare riguardo al
settore agricolo ......................................................................... p. 119
CAPITOLO SECONDO
LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA NEL
DIRITTO AGRARIO DERIVATO EUROPEO
1. I profili di deroga alle regole generali: l’organizzazione
nazionale di mercato ................................................................ p.128
2. Segue: gli accordi interprofessionali .................................... p.131
3. Le intese tra produttori agricoli e loro associazioni ............ p. 142
4. Il divieto di abuso di posizione dominante ........................... p. 148
CAPITOLO TERZO
DISCIPLINA ANTITRUST NAZIONALE E
SETTORE AGRICOLO
1. La legge n. 287 del 1990 e i successivi interventi normativi:
carenza di discipline specifiche per il settore agricolo e
competenze dell’Autorità garante della concorrenza .......... p. 152
II
2. Normativa europea e diritto interno antitrust in relazione alle
intese nel settore agricolo: il caso dei Consorzi di tutela dei
prodotti tipici ............................................................................. p.159
3. Gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato nel settore agroalimentare: istruttorie e indagini
conoscitive .................................................................................. p.173
ELENCO DELLE OPERE CONSULTATE ....................................................... p.185
III
INTRODUZIONE
1. L’importanza della concorrenza per lo sviluppo economico in
generale
Premessa fondamentale per una disamina sull’importanza della
disciplina della concorrenza e del suo ruolo centrale nel mercato dei
prodotti agricoli, e, più in generale, nell’intero mercato unico europeo, è il
rimando ai due orientamenti di pensiero sulla natura del mercato 1, che ne
rappresentano il fondamento concettuale.
Da un lato vi è la dottrina che intende il mercato come un ordine
spontaneo di regole proprie2; dall’altro i sostenitori del mercato come un
ordine
edificato
dalla
legge3.
Come
osserva
illustre
dottrina,
1
Così si veda l’interessante introduzione relativa al mercato dei prodotti agricoli
contenuta in GERMANÒ – ROOK BASILE, Diritto agrario, in Trattato di diritto privato dell’Unione
Europea, diretto da AJANI-BENACCHIO,Torino, 2006, p. 189.
2
La paternità dell’orientamento di pensiero del mercato come realtà naturale è attribuita a
ADAM SMITH, Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, trad. it., Torino,
1950. Il riferimento al mercato quale realtà naturale è contenuto anche, con differenti sfumature,
in: IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, che richiama H AYEK, Law, Legislation
and Liberty: a New Statement of the Liberal Principles of Justice and Political Economy, London,
1982 (tradotto in italiano in Legge, legislazione e libertà, Milano, 1994); a quest’ultimo rimanda
anche ROSSI, Intervento, in AA.VV, Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari 1999,
p. 67, il quale rinvia a COASE, Note al problema del costo sociale, in Impresa, mercato, diritto,
Bologna, 1955; LIBONATI, Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 112;
BORTOLOZZI, Forma e mercato. Le regole, le cose, gli atti, Torino, 2000, p. 25; LIBERTINI,
Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 99.
3
È l’altro orientamento di pensiero, secondo il quale il mercato si connoterebbe in senso
politico-giuridico, a motivo del fatto che il diritto dà forma ai regimi di produzione e circolazione
dei beni e i mercati non sono altro che «statuti di norme»; questo indirizzo è ben espresso da: IRTI,
Introduzione, nt. 4, p. XV, in L’ordine giuridico del mercato, cit.; LIPARI, Il mercato: attività
privata e regole giuridiche, in Agricoltura e diritto. Scritti in onore di Emilio Romagnoli, Milano,
2000, p. 37; MERUSI, Le leggi del mercato. Innovazione comunitaria e autarchia nazionale,
Bologna, 2002.
Una rappresentazione semplificata di questi concetti è tratteggiata da I UDICA, Intervento,
in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 51, il quale raffigura il mercato con le regole del gioco
del calcio sostenendo che «se uno prende a calci una palla, costui compie nella sua solitudine l’atto
isolato di prendere a calci una palla: ma se uno prende a calci una palla in un contesto
predeterminato, in un campo di tot metri, con un certo numero di giocatori, secondo determinate
1
«l’orientamento di pensiero a dir così naturalistico, per il quale il mercato è
una realtà naturale governata dalle leggi economiche, realtà che preesiste
alle leggi giuridiche che concorrono semplicemente a modellarne la
funzionalità, in sostanza parte dalla premessa che l’economia sta prima ed il
diritto viene dopo, nel senso che al diritto è dato solo di rispecchiare e
giustificare rapporti economici già dati»4. Questo, tuttavia, non impedisce
che tra economia «naturale» e diritto vi sia una correlazione, in quanto si
rileva che le economie naturali sono popolate di istituti giuridici5.
In altre parole, la legge «naturale» del mercato «non nega affatto che
il mercato sia il risultato di comportamenti giuridicamente regolati,
vincolanti per norma; in quanto una regolazione vincolante di quei
comportamenti – inerenti ai vari rapporti di scambio – in realtà viene
presupposta, atteso che altrimenti un mercato obiettivamente affidabile non
si avrebbe»6; in questo modo si eviterebbe che il mercato sia «un vuoto,
riempito solo dalle azioni dei singoli che sono mossi dal loro tornaconto»7,
oppure un sistema sociale «in cui la quantità e la qualità dei beni prodotti,
nonché il sistema dei prezzi, sono il frutto dell’interazione, indipendente,
degli individui e delle imprese che perseguono il loro privato interesse»8.
L’altra posizione della dottrina in riferimento al mercato, da
intendersi in un’accezione politico-giuridica, si fonda sulla premessa che il
mercato non è un istituto originario e spontaneo, ma prende forma tramite
regole, ecco allora che sta giocando a football. Sono le regole che distinguono, che qualificano il
football dal mero fatto di tirare calci ad una palla […] Allora sono le regole che (non creano, ma)
qualificano il tirare calci alla palla, sono le regole che (non creano il traffico delle merci, ma)
fanno del mero traffico di merci un “mercato”, e in questo senso “creano” formalmente un vero e
proprio mercato».
4
Così IRTI, Introduzione, cit., p. VIII.
5
GERMANÒ – ROOK BASILE, op. cit, p. 190.
6
LIBONATI, Recensione a Irti: L’ordine giuridico del mercato, in Europa e dir. priv., 1998,
p. 1219, riportata in IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 115.
7
SYLOS LABINI, La crisi italiana, Roma-Bari, 1995, p. 21.
8
PADOA-SCHIOPPA, Il governo dell’economia, Bologna, 1977, p. 11.
2
una decisione politica che si traduce in leggi e regolamenti9. In altre parole,
il mercato non è individuato, ma è costituito dal diritto, rappresentato dalla
«mano visibile» della legge10; il diritto ha il ruolo di rappresentare gli eventi
esterni come fatti giuridici, mentre il mercato non si configura più come
locus naturalis, ma diventa locus artificialis, composto dalle leggi che lo
regolano.
Risulta del tutto evidente come in questa seconda accezione il
mercato sia individuato più propriamente secondo l’ottica del diritto, come
luogo di incontro e di intersecazione tra la sfera giuridica e quella
economica, caratterizzato da complesse interconnessioni tra diritto ed
economia; dal nesso così intenso tra le due sfere germina una articolata
istituzione storico-economico-sociale caratterizzata anche da norme di
diritto11.
Gli studiosi affermano convintamente che l’economia di mercato sia
un meccanismo di carattere economico con rilievo giuridico, così come lo è
la libera concorrenza, perché essi non si trovano «in natura» e dipendono
dalle scelte di chi ha il potere di esprimere la «decisione politica di
sistema»12, optando tra una visione dell’economia in un’ottica dirigistica e
un mercato aperto con uno spazio economico senza frontiere. Mercato e
concorrenza si configurano quali istituti giuridici, che designano, di volta in
volta, insiemi di norme, le quali «disciplinano la capacità e la responsabilità
dei soggetti, definiscono la commerciabilità dei beni, reprimono intese e
abusi lesivi della concorrenza, tutelano categorie di consumatori, delineano
o vietano tipi di negozi»13.
Dunque, all’interno del mercato unico europeo, i principi
9
SCHLESINGER, Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 30.
IUDICA, Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 47.
11
FRANCESCHELLI, Il mercato in senso giuridico, in Giur. comm., 1979, p. 501.
12
IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 23.
13
IRTI, idem, p. 26.
10
3
dell’economia di mercato e della libera concorrenza modellano insiemi di
norme14; e come il mercato ha influenzato il legislatore nelle sue
determinazioni, così i processi economici sono stati condizionati da regole
giuridiche conseguenti alle scelte politiche compiute dagli organi di
governo europei. La libertà di iniziativa economica, infatti, che spetta a
chiunque, pretende che l’autorità pubblica sia indifferente al suo
svolgimento, tranne per ciò che concerne l’insieme di regole dirette a
rafforzarla, non come valore indipendente da tutto, ma come valore da
equilibrare nel contesto di altri valori anche non economici, sulla premessa
che l’interesse economico non esaurisce gli interessi umani tutelabili15.
Lo sforzo verso un bilanciamento di valori, finanche notevolmente
eterogenei e distanti tra loro, è stato perseguito anche ad un livello diverso
da quello del mercato europeo, vale a dire nel mercato mondiale: l’art. XX
del General Agreement on Tariffs and Trade16, ad esempio, che richiama da
14
IRTI, op. ult. cit.; LIPARI, Il mercato: attività privata e regole giuridiche, cit., p. 37.
LIBONATI, Intervento, cit., p. 124.
16
Il General Agreement on Tariffs and Trade (meglio conosciuto come GATT) è un
accordo internazionale, firmato il 30 ottobre 1947 a Ginevra (Svizzera), per stabilire le basi di un
sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire la liberalizzazione del
commercio mondiale. L’art. XX del GATT stabilisce:
«Subject to the requirement that such measures are not applied in a manner which would constitute
a means of arbitrary or unjustifiable discrimination between countries where the same conditions
prevail, or a disguised restriction on international trade, nothing in this Agreement shall be
construed to prevent the adoption or enforcement by any contracting party of measures:
15
(a)
necessary to protect public morals;
(b)
necessary to protect human, animal or plant life or health;
(c)
relating to the importations or exportations of gold or silver;
(d)
necessary to secure compliance with laws or regulations which are not
inconsistent with the provisions of this Agreement, including those relating to customs
enforcement, the enforcement of monopolies operated under paragraph 4 of Article II
and Article XVII, the protection of patents, trade marks and copyrights, and the
prevention of deceptive practices;
(e)
relating to the products of prison labour;
(f)
imposed for the protection of national treasures of artistic, historic or
archaeological value;
(g)
relating to the conservation of exhaustible natural resources if such measures are
made effective in conjunction with restrictions on domestic production or consumption;
(h)
undertaken in pursuance of obligations under any intergovernmental commodity
agreement which conforms to criteria submitted to the contracting parties and not
disapproved by them or which is itself so submitted and not so disapproved;
4
vicino la materia qui esaminata, legittima l’adozione di regole aventi effetti
restrittivi sugli scambi dirette, tra gli altri obiettivi, alla protezione degli
essere
umani
e
delle
risorse
naturali
esauribili,
assegnando
all’organizzazione del WTO anche la finalità non economica della tutela
della salute dell’uomo e della protezione dell’ambiente17.
Ebbene, nel mercato retto da meccanismi concorrenziali assumono
risalto considerazioni non solo di carattere economico; un esempio è fornito
dalla Costituzione europea18 che, seppure mai entrata in vigore, ha sancito i
diritti a condizioni eque di lavoro, alla salute, all’ambiente, alla tutela del
consumatore:
si
potrebbe,
allora,
concludere
che
ciò
«conduce
necessariamente ad una conformazione del mercato, in cui l’equità e la
sostenibilità non possono che essere limiti interni della libertà di
concorrenza»19.
Dal momento che la «finalità della concorrenza è quella di assicurare
il trionfo del più degno economicamente», ne deriva che la competizione
fra imprenditori diventa il fulcro attorno a cui ruota l’ordinamento al fine di
promuovere il progresso economico20: presenta queste caratteristiche
(i)
involving restrictions on exports of domestic materials necessary to ensure essential
quantities of such materials to a domestic processing industry during periods when the
domestic price of such materials is held below the world price as part of a governmental
stabilization plan; Provided that such restrictions shall not operate to increase the exports
of or the protection afforded to such domestic industry, and shall not depart from the
provisions of this Agreement relating to non-discrimination;
(j)
essential to the acquisition or distribution of products in general or local short
supply; Provided that any such measures shall be consistent with the principle that all
contracting parties are entitled to an equitable share of the international supply of such
products, and that any such measures, which are inconsistent with the other provisions of
the Agreement shall be discontinued as soon as the conditions giving rise to them have
ceased to exist. The contracting parties shall review the need for this sub-paragraph not
later than 30 June 1960».
17
GERMANÒ - ROOK BASILE, cit., p. 197.
18
La Costituzione europea, formalmente Trattato che adotta una Costituzione per
l’Europa, è stato un progetto di revisione dei trattati fondativi dell’Unione europea, redatto nel
2003 dalla Convenzione Europea e definitivamente abbandonato nel 2009 a seguito delle mancate
ratifiche di alcuni Stati membri.
19
ROOK BASILE, La sicurezza alimentare ed il principio di libera concorrenza, in Riv. dir.
agr., 2003, I, p. 313.
20
ASCARELLI, Teoria della concorrenza e interesse del consumatore, in Saggi di diritto
5
l’economia di mercato, ovvero quel sistema economico in cui la libertà di
concorrenza si eleva a valore fondativo e, quindi, «costituzionale»
dell’ordinamento comunitario21.
D’altro canto, il modello liberista europeo, adottato da tempo, non è
mai entrato in contrasto con i modelli costituzionali di economia mista
propri dei singoli Paesi membri. Anzi, questi hanno infuso nel modello
economico europeo la propria esperienza interventista, facilitando
l’adozione di soluzioni intermedie, ad esempio in materia di intese, laddove
le esenzioni individuali sono state legittimate sulla base del conseguimento
di benefici di carattere sociale.
La Comunità europea, oggi Unione europea, infatti, ha accolto
pienamente il modello liberista, contemperandolo allo stesso tempo con una
politica sociale rivolta a conseguire obiettivi non solamente economici. Un
esempio vibrante di ciò è rappresentato dalle politiche ambientali e di tutela
dei consumatori, sia sotto il profilo della salute sia sotto quello
dell’informazione, che hanno dato luogo ad una serie di interventi di forte
impatto sul regime liberista della concorrenza22.
In materia di agricoltura, invece, che costituisce l’oggetto della
presente
disamina,
l’approccio
delle
istituzioni
europee
è
stato
caratterizzato da numerosi e rilevanti interventi programmatici, che hanno
delineato gli obiettivi da perseguire e adottato misure sia di carattere
commerciale, Milano, 1955, p. 116.
21
La libertà di concorrenza è garantita già nell’art. 3 del Trattato CEE, cui è riconosciuto
il carattere di norma immediatamente applicabile da parte della Corte di giustizia (sentenza della
Corte di giustizia, del 21 febbraio 1973, in causa C-6/72, Continental Can c. Commissione, in
Raccolta della giurisprudenza della Corte di giustizia (in seguito solo Raccolta) 1973, la quale ha
più volte ribadito il divieto per gli Stati membri di porre in essere qualsiasi misura rivolta a privare
le regole di concorrenza del loro effetto utile (sentenza della Corte, del 13 febbraio 1969, in causa
C-13/68, Wilhelm). Sulla concorrenza nell’ordinamento europeo la letteratura è molto vasta; a
titolo esemplificativo si indicano: FRIGNANI-WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella
Comunità europea, Torino, 1996; VAN BAEL-BELLIS, Competition law of the European
Community, The Hague, 2005; VAN BAEL-BELLIS, Il Diritto Comunitario della concorrenza,
Torino, 2009.
22
GERMANÒ - ROOK BASILE, Diritto agrario, in Trattato di diritto privato dell’Unione
Europea, cit., p. 193.
6
incentivante, ma anche di stampo coercitivo, spesso accompagnate da
consistenti sanzioni.
D’altronde, anche la globalizzazione dei mercati, come processo
dinamico tuttora in corso, richiede l’elaborazione e la fissazione di regole
nuove, soprattutto per quanto riguarda la disciplina della concorrenza23. La
dottrina più attenta osserva, così, che nel comparto agricolo «il conflitto tra
una strutturazione del sistema normativo che veda la disciplina della
concorrenza rilevare quale variabile dipendente dagli obiettivi di politica
agricola […] ed uno scenario che tende a porre la concorrenza al centro di
un nuovo ordine internazionale in posizione di autonomia […] non può
certo ritenersi eliminato in considerazione del semplice, per quanto
oltremodo significativo, fatto che nella definizione stessa della nuova PAC,
la tutela della concorrenza»24 è uno dei princìpi che informano di sé il
nuovo assetto della politica agricola comunitaria.
Nel settore agricolo, infatti, se anche la tutela della concorrenza è
subordinata alla realizzazione di altri fini propri della politica agricola
comune, come si ricava dal combinato disposto degli art. 38 (ex art. 32 del
TCE) e art. 42 TFUE25 (ex art. 36 del TCE), è pur vero che le norme
contenute negli artt. 101 e 102 TFUE risultano “immediatamente al servizio
23
Anche il tema della concorrenza nella sua dimensione internazionale è stata oggetto di
autorevoli pubblicazioni, tra cui si richiamano, tra le tante: T IZZANO, Quelques observations sur la
coopération internationale en matière de concurrence, in Revue droit union eur., 2000, p. 75 ss.;
GUZMAN, Is International Antitrust Possible?, in 73 New York Univ. L.R., 1998, p. 1501 ss.
24
JANNARELLI, La concorrenza nel sistema agro-alimentare e la globalizzazione dei
mercati, in Dir. giur. agr. e dell’ambiente, 2000, 7, p. 433.
25
Una volta per tutte è essenziale ricordare che, con la recente entrata in vigore del
Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il
Trattato che istituisce la Comunità europea, ratificato in Italia con L. 8 agosto 2008, n. 130, in
G.U.U.E. n. L 306 del 17 dicembre 2007, il Trattato Ce ha assunto la denominazione di Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea (TFUE) ed è stato in più punti modificato, mentre gli articoli
hanno avuto diversa numerazione (corrispondente del vecchio art. 81 TCE è ora l’art. 101 TFUE).
In questa sede si manterranno, talvolta, i riferimenti normativi anteriori e i riferimenti al contesto
comunitario, anziché a quello europeo, per fedeltà ai contenuti di sentenze o di contributi dottrinali
oggetto di richiamo.
7
dei singoli”26, mentre gli obiettivi indicati nell’art. 38 richiedono
l’attuazione da parte delle istituzioni europee.
Se,
in
generale,
la
rimozione
delle
barriere
doganali
e
protezionistiche ha avuto un ruolo di primaria importanza per la
realizzazione del mercato comune e per l’applicazione di regole antitrust
volte alla tutela della concorrenza, è anche vero che i progressi fatti hanno
segnato un tendenziale spostamento dai comportamenti dei soggetti
economici privati, destinati ad alterare la concorrenza nel mercato, agli
interventi degli Stati emersi sotto forma di aiuti e sussidi alle imprese; sul
piano normativo, significa che le violazioni tendono a spostarsi
progressivamente dal campo di applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE a
quello degli artt. 107 e ss.
Questo rilievo assume, peraltro, valore maggiore nel settore agricolo
europeo, caratterizzato da un’articolazione più complessa, dove la
realizzazione degli obiettivi indicati nell’art. 3 (ex art. 2 del TUE) non è
affidata soltanto alla creazione di un mercato comune, attraverso la
rimozione delle barriere doganali e l’eliminazione di sussidi e aiuti da parte
degli Stati, vale a dire ad una politica di libera concorrenza; essa richiede
anche l’instaurazione di una politica agricola comune. In ambito agricolo,
quindi, l’applicazione della disciplina della concorrenza non opera come
fine, bensì come mezzo per attuare le finalità del Trattato stesso27.
La stretta interconnessione tra concorrenza e politica agricola è
riconoscibile nell’ordinamento europeo se si considera che per la disciplina
della concorrenza i meccanismi scelti vedono come protagonisti tanto la
Corte di giustizia quanto la Commissione europea, connotandosi
l’esperienza giuridica europea in maniera differente rispetto all’esperienza
26
JANNARELLI, op. cit., p. 436.
JANNARELLI, La disciplina sulla concorrenza applicabile all’agricoltura, in Diritto
agrario e società industriale, 1993, II, p. 37.
27
8
nord-americana. Nella prima, infatti, la disciplina della concorrenza
rappresenta una componente della più generale politica agricola delineata
dall’organo politico, la Commissione; nel sistema nord-americano, invece,
la disciplina antitrust vede un ruolo di primo piano di carattere repressivo
nei giudici.
La Commissione è tenuta a dialogare con la Corte di giustizia, ma è
l’organo principalmente competente ad adottare provvedimenti di esenzione
o a promuovere l’adozione di regolamenti tendenti ad agevolare intese
orizzontali o verticali che risulterebbero contrastanti con la disciplina
generale. Sotto questo profilo, dunque, il processo di globalizzazione in atto
di cui si è detto, con la conseguente liberalizzazione dei mercati e
l’affievolimento del protezionismo, incrina il modello europeo, riducendo
gli spazi affidati alla Commissione e, di converso, accentuando il ruolo
decentrato delle autorità antitrust nazionali nell’applicazione della
normativa sulla concorrenza28. Ne deriva che la riduzione degli interventi
pubblici in economia e del protezionismo favorisce l’emanciparsi della
concorrenza dal ruolo ancillare rispetto alle altre politiche economiche,
riducendo così le differenze rispetto al modello nord-americano.
Di più, l’Unione europea non si limita ad assicurare la tutela della
concorrenza, ma pone in essere anche una politica della concorrenza, del
cui indirizzo e della cui attuazione è responsabile la Commissione29; la
concorrenza, finisce, talvolta, per rappresentare un semplice mezzo nel
perseguimento delle complessive finalità previste dal Trattato30: una
28
MAHER, Re-imagining the Story of European Competition Law, in Oxford J. Leg.
Studies, 2000, p. 155 ss.
29
La Corte di giustizia ha espresso questo concetto nella sentenza del 28 febbraio 1991, in
causa 234/89, Delimitis, in Raccolta, p. 991, successivamente ribadito anche dal Tribunale di
primo grado nella sentenza del 18 settembre 1992, in causa 24/90, in Raccolta, II, p. 2223.
30
Sulla disciplina europea della concorrenza che si colloca in una posizione intermedia
tra il modello formalistico della libertà negoziale e il modello che fonde insieme finalità politiche e
sociali, si rinvia alle considerazioni di R ICOLFI, Antitrust, in ABRIANI, COTTINO e RICOLFI, Diritto
industriale, in Tratt. dir. comm., diretto da COTTINO, II, Padova, 2001, p. 546 ss.
9
conferma di questo assunto può ricavarsi dalla stessa disciplina dell’art.
101, par. 3, TFUE che prevede la possibilità di esenzioni dall’applicazione
delle regole sulla concorrenza.
Così, nel settore agricolo, vale a dire in quello in cui più
incisivamente la tutela della libertà di impresa economica convive con il
perseguimento di finalità molto articolate e tra loro non facilmente
coordinabili, può citarsi, paradigmaticamente, la soluzione proposta dalla
Corte di giustizia nella pronuncia Jongeneel Kaas c. Paesi Bassi31.
La questione riguardava norme stringenti introdotte nei Paesi Bassi
per salvaguardare la qualità dei formaggi, in particolare, il divieto per i
produttori di dedicarsi alla produzione di formaggi diversi da quelli stabiliti
dalla legislazione nazionale. La Commissione, coinvolta al riguardo, aveva
sostenuto che il divieto di produrre formaggi di tipo diverso, o aventi
qualità inferiori a quelle fissate legislativamente, sarebbe stato in contrasto
con la politica comunitaria volta ad ampliare il consumo dei formaggi anche
al fine di ridurre le eccedenze presenti nella produzione del latte: tale
politica avrebbe potuto ben esprimersi mediante l’ampliamento della
gamma dei formaggi posti a disposizione dei consumatori. L’avvocato
generale ha sostenuto che era insensato pensare di favorire la vendita del
formaggio mediante la riduzione dei tipi di formaggio a disposizione dei
consumatori.
Ebbene, la Corte di giustizia, discostandosi dalle conclusioni della
Commissione e dell’avvocato generale, ha ritenuto che alla luce della
normativa in vigore, rappresentata dal regolamento CEE n. 804 del 196832,
non è necessario «dare la preferenza all’aumento della domanda di prodotti
31
Sentenza della Corte di giustizia, del 7 febbraio 1984, in causa 237/82, Jongeneel Kaas
B.V. c. Paesi Bassi e Stichting, in GUCE C 279 del 22.10.1982.
32
Regolamento (CEE) n. 804/68 del Consiglio, del 27 giugno 1968, relativo
all’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, in GUCE
L 196 dell’8.8.68, p. 4.
10
caseari mediante l’ampliamento della gamma dei prodotti offerti, piuttosto
che mediante il miglioramento della qualità di un numero limitato di
prodotti, accolto dalla legislazione in esame». La diversa soluzione
prospettata in vista del perseguimento del medesimo obiettivo (agevolare lo
smercio e il consumo dei prodotti caseari) discende dal fatto che mentre la
Commissione punta sull’incremento dell’offerta dei prodotti, la Corte si
schiera dalla parte di chi punta sull’aumento della domanda dei consumatori
verso prodotti qualitativamente selezionati.
Le peculiarità del settore primario, dovute a ritmi di produzione
diversi rispetto alle attività del settore secondario e terziario, vincolati a
fattori biologici e meteorologici, climatici e ambientali, hanno indotto gli
estensori del Trattato di Roma a dettare regole specifiche per l’agricoltura in
materia di concorrenza; la specialità riservata al settore agricolo
nell’ordinamento europeo riposa fondamentalmente sull’art. 42 TFUE (ex
art. 36, ex art. 42 del Trattato di Roma), vale a dire, proprio sulla norma
relativa all’applicabilità delle regole di concorrenza alla produzione e al
commercio dei prodotti agricoli.
2. Il rilievo assunto dalla concorrenza come fondamentale
scelta politica nei Trattati europei
Il sistema giuridico europeo è fondato sulla scelta liberista secondo
la quale il mercato deve essere regolato in primis dall’automatico
meccanismo della concorrenza, per il quale le imprese meno efficienti
spariscono lasciando il posto alle migliori (art. 101 TFUE), ma facendo il
possibile per evitare che questo processo conduca ad una eccessiva
concentrazione dell’offerta, e cioè all’abuso di posizioni dominanti sul
11
mercato (art. 102), per evitare le quali sono stati adottati i provvedimenti
per regolare le concentrazioni fra imprese al fine di impedire la formazione
di imprese dominanti33; fin dall’inizio si vietarono accordi fra imprese,
decisioni di associazioni di imprese e pratiche di imprese che avessero
come finalità o risultato di impedire la concorrenza nel mercato comune
(art. 101 TFUE).
Si tratta di norme provviste di effetto diretto e dunque azionabili dal
singolo dinanzi al giudice nazionale, nonché applicabili cumulativamente.
Alle norme ricordate vanno aggiunte quelle introdotte dal Consiglio in virtù
dell’art. 103 TFUE, in particolare il regolamento n. 1/200334, che contiene
l’insieme delle disposizioni più rilevanti ai fini dell’attuazione dei principi
di cui agli artt. 101 e 102 TFUE.
Termini quali impresa, accordi, intese, adoperati nella normativa
europea, non corrispondono alle nozioni tecniche proprie dei diritti
nazionali. La nozione di impresa tende ad essere più ampia di quella
adoperata dal nostro codice civile; nel diritto europeo si qualifica impresa
ogni «unità economica dal punto di vista dell’oggetto dell’accordo in
considerazione»35, e più precisamente ogni entità esercitante, con regolarità
e continuità, attività economiche sul mercato, indipendentemente dal suo
statuto giuridico, dalle modalità del suo funzionamento, dagli elementi
organizzativi o aziendali, e perfino dallo scopo di lucro36.
33
Regolamento (CEE) n. 4064/89 relativo al controllo delle operazioni di concentrazione
tra imprese, poi sostituito dal Reg. (CE) n. 139/2004 del Consiglio del 20 gennaio 2004
(«Regolamento comunitario sulle concentrazioni»).
34
Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, concernente
l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, in GUUE L 1 del
4 gennaio 2003. Tale regolamento ha sostituito il reg. n. 17/62 del Consiglio, del 6 febbraio 1962
(in GUCE n. 13 del 21 febbraio 1962), più volte modificato.
35
Sentenze della Corte di giustizia, del 31 ottobre 1974, in causa C-15/74, Sterling e della
Corte di giustizia, del 16 marzo 2004, in causa C-264/01, AOK Bundesverband, commentata da DI
COMITE, La nozione d’impresa nell’applicazione del diritto comunitario della concorrenza, in
Giur. it., 2004, c. 2028.
36
Sentenza della Corte di giustizia, del 22 gennaio 2002, in causa C-218/00, Soc. Cisal, e
sentenza del Tribunale di primo grado, del 4 marzo 2003, in causa T-319/99, Federación Nacional
12
Una conferma può rinvenirsi nel settore dell’agricoltura, dove, per
espressa previsione regolamentare37, viene definito imprenditore «il singolo
produttore agricolo, persona fisica o giuridica o associazione di persone
fisiche o giuridiche, indipendentemente dallo statuto giuridico conferito
secondo il diritto nazionale all’associazione e ai suoi membri»; allo stesso
modo, viene definito agricoltore «una persona fisica o giuridica o
associazione di persone fisiche o giuridiche, indipendentemente dalla
personalità giuridica conferita dal diritto nazionale all’associazione e ai suoi
membri38, la cui azienda si trova nel territorio della Comunità, ai sensi
dall’art. 299 del Trattato [ora, art. 349 TFUE] e che esercita un’attività
agricola»39.
Va messo, quindi, in evidenza come il soggetto rilevi, ai fini della
disciplina europea della concorrenza, con riguardo alla attività, la quale è
“economica” non per elementi intrinseci, ma per la sua capacità di incidere
sul mercato. Dunque l’impresa non è un’entità giuridica, ma un’entità
de Empresas, commentate da CERBO, Il principio di economicità nella nozione di impresa e nella
pubblica amministrazione, in Foro it., 2003, IV, p. 331. Sulla nozione di impresa i contributi
dottrinali sono numerosi, tra essi si segnalano: SCUDIERO, La nozione di impresa nella
giurisprudenza della Corte di giustizia, in Foro it., 1994, IV, c. 113; MUNARI, Le regole di
concorrenza nel sistema del Trattato, in Il diritto privato dell’Unione europea, diretto da Tizzano,
Torino, 2000, II, p. 1149; D I VIA, Ancora sul principio di solidarietà e la nozione di impresa
rilevante per il diritto comunitario della concorrenza, in Foro it., 1996, IV, c. 72.
37
Il riferimento è all’art. 1, par. 4, del Regolamento (CEE) n. 3508/92 del Consiglio del
27 novembre 1992, che istituisce un sistema integrato di gestione e di controllo di taluni regimi di
aiuti comunitari, in GU L 355 del 5.12.1992.
38
Tra le sentenze che si sono pronunciate sull’argomento figura quella del Tribunale di
primo grado, del 2 luglio 1992, in causa T-61/89, Dansk Pelsdyravlerforening, con riferimento ad
una cooperativa agricola. Già nella sentenza del 28 febbraio 1978, in causa C-85/77, Società
agricola S. Anna, la Corte di giustizia aveva affermato che non solo non era rintracciabile
(all’epoca) nella normativa europea, ma nemmeno era utile, una nozione di azienda agricola
«universalmente valida per l’intero settore delle disposizioni legislative e regolamentari
concernenti la produzione agricola», sicché occorreva fare riferimento alle diverse nozioni
contenute nelle legislazioni degli Stati membri.
39
Art. 2 del regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio del 29 settembre 2003, che
stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola
comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, in GU L 270 del
21.10.2003, p. 1. Il regolamento è stato abrogato dal Regolamento (CE) n. 72/2009 del Consiglio
del 19 gennaio 2009, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito
della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, in
GUUE L 30 del 31.1.2009, p. 16, che ne ha ripreso le stesse definizioni.
13
economica40, data la diversità di formule nelle diverse legislazioni
nazionali41.
A voler limitare i richiami al settore agricolo, si considerino alcune
decisioni della Commissione che hanno ritenuto accordi in violazione della
concorrenza ai sensi dell’art. 85 TCE (ora art. 101 TFUE) lo statuto e i
regolamenti di alcune associazioni autonome sorte in Inghilterra quali
mercati a termine di materie prime (si pensi al London Grain Futures
Market, al London Potato Futures Association Limited, al London Meat
Future Exchange Limited)42. Ancora, nella sentenza Clair43 la Corte di
Giustizia ha ritenuto che un accordo intervenuto nell’ambito di una
organizzazione
interprofessionale,
ente
di
diritto
pubblico,
tra
rappresentanti di viticultori da una parte e di commercianti dall’altra,
nominati dalle pubbliche autorità su designazione delle organizzazioni di
categoria, costituisse un accordo tra imprese ai sensi dell’art. 85 del
Trattato, a nulla rilevando che esso avesse in seguito acquisito rilevanza
erga omnes, diventando obbligatorio per tutti gli operatori economici, per
effetto di una omologazione mediante decreto ministeriale.
Alle regole dettate dall’art. 101 TFUE possono essere legittimamente
sottratti la produzione e il commercio dei prodotti agricoli come individuati
40
Sentenze della Corte del 23 aprile 1991, in causa C-41/90, Höfner; del 17 febbraio
1993, in causa C-159-160/91, Poucet; del 19 gennaio 1994, in causa C-364/92, Sat
Fluggesellscaft; del 16 novembre 1995, in causa C-244/94, Fédération française des sociétés
d’assurance, contenute in MENGOZZI (a cura di), Casi e materiali di diritto comunitario e
dell’Unione europea, Padova, 2003, pp. 508-514. Le sentenze sono commentate anche in
CASSOTTANA-NUZZO, Lezioni di diritto commerciale comunitario, Torino, 2002, pp. 181-194.
41
Nel codice civile italiano si hanno, ad esempio, due distinte nozioni giuridiche, una
contenuta nell’ art. 2082 c.c., che definisce l’impresa, l’altra nell’art. 2555 c.c., riferito all’azienda.
Invece, nel diritto tedesco manca una definizione unitaria di impresa (Unternehmen); il diritto
francese dà alla parola entreprise un significato prevalentemente economico, per l’impostazione
tradizionale del sistema fondato sull’atto di commercio, mentre con riguardo all’attività agricola
usa il termine exploitation per indicare sia l’impresa sia l’azienda; nel diritto inglese vengono
utilizzati, con diverse sfumature, i termini enterprise, activity, business, firm e farm per il solo
settore agricolo.
42
Decisioni della Commissione del 10 dicembre 1986, in GUCE L 19/22 del 21 gennaio
1987.
43
Sentenza della Corte di giustizia del 30 gennaio 1985, in causa 123/83, Bureau national
interprofessional du cognac c. Clair, in Raccolta, 1985, p. 391.
14
nell’Allegato I del Trattato Ce44, a seguito di adozione di una specifica
deliberazione del Parlamento europeo e del Consiglio (art. 42, ex articolo
36, ex art. 42, 1° comma, TCE)45, secondo cui «Le disposizioni del capo
relativo alle regole di concorrenza sono applicabili alla produzione e al
commercio dei prodotti agricoli soltanto nella misura determinata dal
Parlamento europeo e dal Consiglio, nel quadro delle disposizioni e
conformemente alla procedura di cui all’articolo 43, paragrafo 2, avuto
riguardo agli obiettivi enunciati nell’articolo 39» (seguendo così la
procedura legislativa ordinaria, “rinforzata” dall’obbligo di consultazione
del Comitato economico e sociale). Inoltre, «il Consiglio, su proposta della
Commissione, può autorizzare la concessione di aiuti: a) per la protezione
delle aziende sfavorite da condizioni strutturali o naturali; b) nel quadro di
programmi di sviluppo economico».
Il richiamo, ripetuto rispetto a quanto già previsto all’art. 39 TFUE,
agli svantaggi strutturali e naturali, cui si sono aggiunti i programmi di
sviluppo economico, non deve sorprendere, viste le peculiarità del settore
agrario, che si differenzia nelle varie zone in relazione alle caratteristiche
dei terreni, al loro più o meno accentuato frazionamento, alle condizioni
climatiche e ad altri ulteriori fattori.
D’altra parte, le stesse regole della concorrenza, che vietano in via
generale gli aiuti di Stato erogati alle imprese (art. 107 TFUE, ex articolo 87
TCE), considerano compatibili con il mercato comune alcuni aiuti
giustificati da ragioni eccezionali o di carattere sociale. Dunque,
44
Sentenze della Corte di giustizia del 29 febbraio 1984, in causa 77/83, Srl Cilfit c.
Ministero della Sanità (avente per oggetto la lana); del 25 novembre 1981, in causa 61/80,
Cooperative Stremsel c. Commissione (riguardante il presame per l’elaborazione dei formaggi); del
30 gennaio 1985, in causa 123/83, BNIC c. Clair (relativa alle acquaviti).
45
L’art. 42 TFUE, a seguito del Trattato di Lisbona, prevede la partecipazione del
Parlamento europeo ai poteri legislativi prima attribuiti solo al Consiglio nella materia della
concorrenza applicabile al mercato dei prodotti agricoli (paragrafo 1) e la previsione della proposta
della Commissione per l’autorizzazione alla concessione di aiuti da parte del Consiglio (paragrafo
2).
15
l’eccezionalità delle regola dettata dall’art. 42 si inquadra nel più generale
riconoscimento che gli aiuti alle imprese possono essere consentiti in certe
specifiche circostanze, che per il settore agrario si presumono, in via
generale, sempre presenti.
Dall’art. 42 TFUE si evince che nel comparto dell’agricoltura la
disciplina della concorrenza comprende non solo la disciplina degli accordi
e delle pratiche antitrust (artt. 101-106 TFUE, già artt. 81-86 del Trattato di
Roma), ma anche quella degli aiuti di Stato (artt. 107-109 TFUE, già artt.
87-89 del Trattato di Roma), con riguardo ai quali il riferimento a favore del
settore agricolo, risultava comunque il regolamento 4 aprile 1962, n. 26,
con cui allora il Consiglio aveva dato attuazione all’art. 36 del Trattato46.
Peraltro, come sopra detto, l’art. 36, comma 2, del Trattato di Roma
(ora art. 42 TFUE) prevedeva la possibilità che il Consiglio autorizzasse
aiuti per la protezione delle aziende sfavorite da condizioni strutturali o
naturali [lett. a)], o nel quadro di programmi di sviluppo economico [lett.
b)]47.
3. La concorrenza nei rapporti internazionali, in particolare il
raffronto tra il modello statunitense e il modello europeo
Le norme antitrust, come dianzi illustrato, sono un sistema di norme
destinate a proteggere il funzionamento del mercato concorrenziale,
introdotte per la prima volta in Canada, con l'approvazione nel 1889 della
legge contro gli accordi restrittivi della concorrenza, e l'anno successivo
negli Stati Uniti con l'approvazione del più importante Sherman Act. A
46
Sugli aiuti di Stato vedi infra.
Secondo alcuni autori, la disposizione dell’art. 42 TFUE ha un’importanza limitata,
poiché non aggiunge nulla alle possibilità che già il Consiglio dispone ai sensi delle norme
generali contenute negli articoli 107-109 TFUE, da applicarsi anche al settore agricolo.
47
16
partire, poi, dal periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale simili
normative si affermano e si sviluppano considerevolmente anche in Europa.
Le norme a tutela della concorrenza presentano un carattere peculiare
per il modo in cui sono formulate e per le finalità che perseguono48.
In primo luogo, esse non possono essere viste come meri criteri
tecnici che assicurano un migliore funzionamento del mercato. La loro
introduzione e i modi in cui sono interpretate riflettono più profonde
convinzioni circa il ruolo del mercato, nei confronti sia dell'ordinamento
economico sia di quello sociale. L'introduzione dello Sherman Act negli
Stati Uniti, alla fine del XIX secolo, riflette l'idea, già presente nella
Costituzione americana, del ruolo cardine dell'iniziativa economica privata
come motore del sistema economico e sociale, e quindi la diffidenza per le
azioni, private o pubbliche, che possono limitarla.
In secondo luogo, gli obiettivi della normativa, il mercato e la
concorrenza, sono fenomeni economici49: nell'applicazione delle norme,
quindi, diritto ed economia si intersecano costantemente e influenzano
l’interpretazione
delle
norme
stesse,
quali
concetti
fluidi
che
inevitabilmente mutano nel tempo, in relazione all'atteggiamento degli
interpreti riguardo ai meccanismi di funzionamento del mercato
concorrenziale.
Negli Stati Uniti la tutela dell'iniziativa economica individuale
rappresenta un valore su cui è basata l'intera costruzione dello Stato
federale e che ha rilievo non solo da un punto di vista economico, ma anche
politico.
48
PERA, Concorrenza e antitrust, Il Mulino, IV ed., 2009.
Nel mercato concorrenziale possono, tuttavia, come già ribadito nel testo, rinvenirsi
anche considerazioni di ordine non solamente economico: la Costituzione europea, infatti, seppure
mai entrata in vigore, ha conferito rango costituzionale ai diritti a condizioni eque di lavoro, alla
salute, all’ambiente, alla tutela del consumatore, inducendo gli interpreti a concludere che questa
impostazione «conduce necessariamente ad una conformazione del mercato, in cui l’equità e la
sostenibilità non possono che essere limiti interni della libertà di concorrenza», così R OOK BASILE,
La sicurezza alimentare, cit, p. 313.
49
17
Secondo un filone di pensiero che ha le radici proprio in alcuni padri
della Costituzione americana, e in particolare in James Madison, l'esistenza
di una pluralità di interessi economici rappresenta, infatti, una garanzia
della democrazia politica, poiché impedisce che uno specifico gruppo riesca
a influenzare in maniera determinante il meccanismo decisionale. Le
ragioni della preferenza verso il modello di mercato concorrenziale rispetto
a sistemi diversamente strutturati50, risiedono nell’ordinamento statunitense
nella corrispondenza dei valori della concorrenza con quelli della
democrazia politica e del pluralismo. Da questo punto di vista, il mercato
concorrenziale, in quanto rappresenta l'ambiente in cui più liberamente può
esprimersi l'iniziativa individuale ed è maggiormente garantita la possibilità
dei soggetti di affermarsi, costituisce uno degli elementi di base dello Stato
americano.
L'introduzione della disciplina della concorrenza in Europa avviene
nel secondo dopoguerra, sulla base delle concezioni dei padri fondatori
delle Comunità europee, per i quali un ordinamento economico e sociale
democratico si fonda su un sistema economico di mercato e concorrenziale.
In realtà, in Europa, i rapporti tra Stato e mercato si sono a lungo
articolati in maniera assai diversa da quella degli Stati Uniti. Nel secondo
dopoguerra, tuttavia, il rilievo politico del mercato concorrenziale fu
riproposto in particolare dagli economisti e giuristi tedeschi.
Il modello economico-sociale adottato alla base dell’edificazione
europea è quello del mercato concorrenziale che garantisca un sistema di
libera iniziativa economica: questo principio fu esplicitamente previsto
dall'originario art. 3 del Trattato di Roma del 1957 e negli articoli 81 e 82
(ora articoli 101 e 102 TFUE) che vietano restrizioni alla concorrenza, ma è
50
Le dispute sulle scelte tra l’economia di mercato dei Paesi occidentali e l’economia
dirigistica dei Paesi sovietici sono ormai datate. Per una panoramica storica confronta L IBERTINI, Il
mercato: i modelli di organizzazione, in Trattato di diritto commerciale e del diritto pubblico
dell’economia, diretto da GALGANO, vol. III, Padova, 1979.
18
altresì rinvenibile in tutta l'impostazione liberale e favorevole al libero
scambio e all'iniziativa economica individuale propria dell’architettura
europea, dal Trattato di Roma a quello di Maastricht al più recente Trattato
di Lisbona.
Infine, nell'esaminare la normativa antitrust occorre tenere presente
che essa non è né l'unica né, forse, la più importante determinante della
situazione concorrenziale di un Paese. Questa dipende, soprattutto,
dall'esistenza di condizioni, in genere determinate da comportamenti
pubblici, affinché il mercato possa funzionare efficientemente in maniera
concorrenziale. Il mercato può, quindi, essere visto come un'istituzione la
cui caratteristica è di dar luogo a regole di organizzazione che sono
largamente autogenerate dalla mutua interazione dei soggetti.
Perché, tra l’altro, un sistema di mercato funzioni correttamente, già i
primi economisti classici avevano rilevato come ciò dipenda dall'esistenza
di libertà di contratto e di diritti di proprietà sui beni e servizi scambiati; ciò
suggerisce l'esistenza di una stretta relazione tra sistema di mercato e un
sistema giuridico che li garantisca.
La certezza di un sistema di scambio richiede l'eseguibilità dei
contratti e la presenza di un sistema giurisdizionale che giudichi
efficacemente e in tempi certi sulle controversie. Persino i primi pensatori
dell’economia che avevano studiato lo scambio, e Adam Smith in
particolare, avevano chiara sia la complementarità tra un funzionamento
appropriato del mercato e l'esistenza di istituzioni volte a garantire
l'ambiente sociale in cui lo scambio si svolge, sia il rapporto tra lo sviluppo
di queste istituzioni e lo sviluppo dell'economia di mercato.
Invero, illustre dottrina osserva che il mercato si configura come
«una realtà esterna, dotata di vita propria, di spontaneità […] come se il
mercato fosse una porzione della natura, che avrebbe, senza l’intervento
dell’uomo, una sua vita propria, frutto delle forze spontanee che si
19
scontrano, che si mediano, che si placano, raggiungendo equilibri,
comunque evolventesi secondo proprie logiche, o proprie leggi, che
avrebbero il loro corso naturale»51.
La sopra illustrata immunità del mercato dall’incidenza di scelte
normative capaci di regolarne il corso risulta, tuttavia, messa in discussione,
in quanto il mercato implica regole di buon funzionamento, per via degli
inevitabili conflitti che discendono dalle relazioni in cui sono coinvolti i
suoi protagonisti
- che non sono soltanto coloro che partecipano alla
produzione e distribuzione di beni e servizi, ma anche coloro che ne
risultano gli acquirenti finali – la cui protezione degli interessi non finisce
con il limitarsi alla lealtà dei comportamenti, bensì a coinvolgere la sfera
della salute e della sicurezza e a dare tutela a valori giuridicamente
garantiti52.
Ciò vuol dire che la politica di tutela della concorrenza non rimane
isolata rispetto ad altri principi dell’ordinamento europeo complessivamente
considerato53, tanto che, talvolta, talune restrizioni della concorrenza sono
tollerabili, purché finalizzate al raggiungimento di altri obiettivi del
Trattato. In questo risiede una delle diversità principali tra ordinamento
europeo e nord-americano; come messo in rilievo in riferimento alla
sentenza Jongeneel Kaas c. Paesi Bassi54, da questo punto di vista la
esenzione (parziale) circa l’applicazione della disciplina antitrust nel settore
51
ALPA, La c.d. giuridificazione delle logiche dell’economia di mercato, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 1999, p. 729.
52
Per una valutazione del mercato secondo parametri giuridici, si confrontino: I RTI,
Persona e mercato, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 289; LIPARI, Il mercato: attività privata e regole
giuridiche, cit.; IRTI, Diritto e mercato, ivi, p. 30, il quale osserva:«Il mercato non è in rerum
oeconomicarum natura, qualcosa di esterno ed oggettivo, sicché al diritto non rimanga che il
compito di riconoscerlo e di adeguarvisi. Esso è il proprio e determinato contenuto di norme, le
quali, di volta in volta, lo prevedono e disciplinano con riguardo a un certo bene o ad una certa
categoria di beni».
53
Sentenza della Corte di giustizia del 25 ottobre 1977, in causa 26/76, Metro c.
Commissione, punto 45; sentenza Tribunale di primo grado del 27 aprile 1995, nelle cause T-96/92
e T-12/93, Nestlé-Perrier, punti 30-31; sentenza della Corte di giustizia del 30 settembre 1988, in
causa 302/86, Commissione c. Danimarca, punto 21.
54
Sentenza Corte di giustizia del 7 febbraio 1984, Jongeneel Kaas c. Paesi Bassi, cit.
20
agricolo prevista negli Stati Uniti (si pensi al Capper-Volstead Act del 1926
e all’Agricultural Adjustement Act del 1937) risulta più ampia di quella
presente nella disciplina europea.
Fin dagli esordi, la politica della concorrenza in Europa è stata
guidata dall'obiettivo di accelerare l'integrazione del Mercato unico.
L'intenso sforzo della Commissione in tal senso ha profondamente
influenzato l'ordine delle priorità stabilite nel programma iniziale di
applicazione del diritto della concorrenza, poiché la Commissione, piuttosto
che concentrarsi sulla repressione degli accordi orizzontali per la fissazione
dei prezzi, considerati la violazione più grave e dannosa da coloro che
individuano nei vantaggi per i consumatori l'obiettivo principale delle
norme antitrust, ha rivolto la propria attenzione agli accordi che avevano
l'effetto di suddividere i mercati nazionali, oppure ha utilizzato il diritto
della concorrenza anche per altri scopi estranei, in principio, agli obiettivi
naturali del diritto antitrust.
Tuttavia, ora che l'obiettivo del mercato interno è stato in gran parte
raggiunto, la lotta contro i cartelli e, anche se in minor misura, contro gli
abusi di posizione dominante, è divenuta la priorità della politica di
concorrenza della Commissione europea. La stessa abrogazione del regime
delle notifiche ex art. 101, comma 3, TFUE, come si vedrà meglio oltre, è
stata, almeno in parte, determinata dalla necessità di disporre di più tempo e
risorse da dedicare agli obiettivi considerati ora di maggior rilievo, quali la
lotta ai cartelli.
Per quanto riguarda le istituzioni europee coinvolte nell’applicazione
della normativa a tutela della concorrenza, un ruolo di primo piano è
affidato alla Commissione, l'organo esecutivo del sistema istituzionale
europeo, che opera a stretto contatto con il Comitato consultivo in materia
di intese e posizioni dominanti e con il Comitato consultivo in materia di
concentrazioni, entrambi composti da rappresentanti degli Stati membri. Un
21
ruolo consultivo per lo sviluppo del diritto europeo della concorrenza è
attribuito anche al Comitato economico e sociale europeo.
L'attività della Commissione si svolge nell'alveo del quadro giuridico
definito dal Consiglio, l'organo legislativo dell’Unione, il quale condivide il
potere legislativo con il Parlamento per quasi i tre quarti delle competenze
dell’Unione (si parla di “procedura di codecisione”). Nel Parlamento
europeo vi sono due commissioni specificamente competenti per le
questioni relative alla politica di concorrenza (e alla protezione dei
consumatori). La condivisione della potestà legislativa, però, non si applica
alla politica di concorrenza.
Il Tribunale di primo grado e la Corte di giustizia, inoltre, ricoprono
una funzione fondamentale nell'applicazione ed interpretazione delle norme
di questa branca del diritto. Infine, nel quadro di un processo di riforma
della politica di concorrenza impostato dal regolamento n. 1/2003, alcuni
dei poteri di esecuzione sono stati affidati agli Stati membri, dove le
rispettive autorità nazionali garanti della concorrenza e i tribunali nazionali
hanno anch’essi il potere di far applicare gli articoli 101 e 102 TFUE (già
articoli 81 e 82 del Trattato CE).
La Commissione svolge un ruolo di primaria importanza, operando
secondo le regole di procedura stabilite dal proprio Regolamento interno 55:
ha il potere di perseguire le violazioni e di adottare decisioni che
impongano la cessazione dei comportamenti contrari alle norme a tutela
della concorrenza; può comminare ammende e ordinare determinati
comportamenti, anche in via interinale, nel corso del procedimento, quando
ricorrano motivi di urgenza. Essa è anche responsabile dell'attività di
coordinamento e cooperazione internazionale per l'applicazione del diritto
55
Regolamento interno della Commissione 8 dicembre 2000, n. 3614, in GUCE 2000
L308/26, e successive modifiche.
22
della concorrenza; a questo scopo, essa coopera regolarmente con autorità
straniere preposte alla tutela della concorrenza, anche di Paesi non
appartenenti all'Unione europea, come gli Stati Uniti, il Canada e il
Giappone, con i quali l'Unione europea ha stipulato accordi di
cooperazione.
Inoltre, la Commissione può porre in essere misure di natura non
legislativa o sviluppare una determinata pratica mediante l'adozione di
comunicazioni o linee direttrici relative all'applicazione di norme e
regolamenti.
Sebbene
non
abbiano
efficacia
normativa,
tali
atti
costituiscono un utile strumento di informazione e di guida per le imprese e
i privati in merito all'interpretazione e alla prassi da seguire in determinati
settori. Alcune di queste comunicazioni e linee direttrici stanno
progressivamente diventando di rilevante importanza anche per le autorità
nazionali garanti della concorrenza e per le giurisdizioni dei singoli Stati
membri: alla luce della loro minore esperienza nell'applicazione del diritto
della concorrenza, infatti, le comunicazioni e le linee direttrici costituiscono
per essi un importante punto di riferimento.
Il rapporto dialettico tra le varie istituzioni è riconoscibile se si
considera che in ambito concorrenziale i meccanismi scelti vedono come
protagonisti tanto la Corte di giustizia quanto la Commissione europea,
connotandosi l’esperienza giuridica europea in maniera differente rispetto
all’esperienza nord-americana. Nella prima, infatti, per ciò che concerne
l’ambito agricolo, che qui interessa, e come chiarito dianzi, la disciplina
della concorrenza rappresenta una componente della più generale politica
agricola e l’istituzione primieramente competente è un organo politico
quale la Commissione, diversamente dal sistema nord-americano dove la
disciplina antitrust vede un ruolo di primo piano di carattere repressivo nei
giudici.
La Commissione è tenuta a dialogare con la Corte di giustizia, ma è
23
l’organo principalmente competente ad adottare provvedimenti di esenzione
o a promuovere l’adozione di regolamenti tendenti ad agevolare intese
orizzontali o verticali che risulterebbero contrastanti con la disciplina
generale. Sotto questo profilo il processo di globalizzazione in atto di cui si
è detto, con la conseguente liberalizzazione dei mercati e affievolimento del
protezionismo, incrina il modello europeo, riducendo gli spazi affidati alla
Commissione e, di converso, accentuando il ruolo decentrato delle autorità
antitrust nazionali nell’applicazione della normativa sulla concorrenza56.
Ne deriva che la riduzione degli interventi pubblici in economia e del
protezionismo favorisce l’emanciparsi della concorrenza dal ruolo ancillare
rispetto alle altre politiche economiche, riducendo così le differenze rispetto
al modello nord-americano.
Il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 interviene incisivamente
su quelli esistenti, il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce
la Comunità europea, che non vengono abrogati ma modificati sotto molti
profili. Fra i profili di maggior rilievo, uno è rappresentato dalla
disposizione che era contenuta nella Costituzione europea, mai entrata in
vigore, e riguardava un obiettivo dell'Unione europea: la politica di
concorrenza, oggetto di questa ricerca, non più menzionata nel Trattato di
Lisbona: nel Trattato, in effetti, vi è un preciso riferimento al mercato
interno, ma non alla politica di concorrenza che non figura fra gli obiettivi
che l'Unione europea deve perseguire.
Tuttavia, da un più attento esame del Trattato, emerge che in un atto
allegato, quale il Protocollo n. 27, dedicato al mercato interno e alla
concorrenza, si prevede che il riferimento al mercato interno, contenuto
nell'art. 3 del Trattato UE, comprenda un sistema che assicuri che la
concorrenza non sia falsata nell'Unione. Questa, a tal fine, adotta, se
56
MAHER, op. cit., p. 155 ss.
24
necessario, misure in base alle disposizioni dei Trattati, incluso l'art. 352 del
TFUE. Siccome i Protocolli hanno lo stesso valore, la stessa efficacia
giuridica, dei Trattati, anche in mancanza di un riferimento esplicito alla
politica di concorrenza nell'art. 3 TUE, non cambia la rilevanza di tale
politica nell'ambito del sistema giuridico dell'Unione.
Il primo settore di intervento delle istituzioni europee per la
realizzazione di una politica integrata nella prospettiva della creazione di un
mercato unico è stato quello agricolo e la specialità del Diritto agrario
europeo si è manifestata con particolare rilievo proprio con riguardo alla
disciplina della concorrenza in funzione della debolezza strutturale del
comparto57.
A prescindere dal valutare il livello di specialità che attualmente la
disciplina in materia agricola presenta e conserva, alla luce del progressivo
smantellamento del sistema protezionistico relativo ai prezzi agricoli
adottato a partire dagli anni ottanta del secolo scorso58, è indubbio che la
specialità della materia agraria ha trovato ab origine un suo preciso
fondamento nell'art. 42 del Trattato CE (poi art. 36, ora di nuovo art. 42
TFUE), secondo le disposizioni in esso contenute, come dianzi riportato59.
57
TOMMASINI, Libertà di concorrenza, promozione del mercato dei prodotti agricoli e
tutela dei consumatori, in Dalla riforma del 2003 alla PAC dopo Lisbona. I riflessi sul diritto
agrario alimentare e ambientale, a cura di COSTATO, BORGHI, RUSSO, MANSERVISI, Napoli, 2011.
58
COSTATO, La PAC come filo conduttore del travaglio europeo, in Il Governo della PAC
dopo Lisbona, Giornata di studio sul processo di codecisione del Parlamento Europeo in materia di
Politica Agricola e Sviluppo Rurale, Roma, 3 dicembre 2009, secondo cui l’ordinamento
comunitario, con l’introduzione del sostegno disaccoppiato dalle produzioni, ha affievolito le
attività di programmazione della produzione, con inevitabile modifica delle modalità di intervento
della Comunità stessa.
59
Sull’argomento si vedano le considerazioni contenute in J ANNARELLI, Il regime della
concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico europeo e globalizzazione dell’economia, in
Riv. dir. agr., 1997, I, p. 416; ID., La concorrenza nel sistema agro-alimentare e la globalizzazione
dei mercati, in Il diritto dell’agricoltura nell’era della globalizzazione, Bari, 2001; ID., Le regole
sulla concorrenza nella PAC (art. 36 del Trattato), in Trattato breve di diritto agrario italiano e
comunitario, diretto da Costato, Padova, 2003, p. 79; GERMANÒ, Il principio della libertà di
concorrenza e la disciplina comunitaria dell’agricoltura, in Dir. giur. agr. e ambiente,1996, p. 77;
ROOK BASILE, La concorrenza con riguardo ai prodotti agroalimentari tra la disciplina della
produzione e quella del mercato, in Dir. dell’agricoltura, 1997, p. 1; BIANCHI, La politica agricola
comune (PAC). Tutta la PAC, niente altro che la PAC! Compendio di diritto agrario comunitario,
25
Nel prosieguo del presente lavoro verranno analizzati compiutamente
la portata e il significato delle normative a tutela della concorrenza nel
settore agricolo, partendo dall’analisi dell’art. 42 TFUE e procedendo con
la disamina del diritto europeo derivato.
CAPITOLO PRIMO
LE FONTI
1. Le regole di concorrenza nel mercato europeo: gli articoli 101 e
102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
Nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in prosieguo,
TFUE) è inserito il capo I del titolo VII della parte III dal titolo «Regole di
concorrenza», articolato in due distinte sezioni, la prima, sui comportamenti
delle imprese; la seconda, sugli aiuti di Stato, esso risulta caratterizzato da
una visione economica unitaria e da una valutazione coerente degli interessi
coinvolti.
La disciplina della concorrenza è contenuta negli articoli 101 e 102
TFUE.
L'art. 101 (ex art. 81 TCE) proibisce gli accordi e gli altri
comportamenti collusivi fra imprese restrittivi della concorrenza e idonei a
pregiudicare il commercio tra Stati membri. Il divieto sancito dall'art. 101
TFUE è formulato in termini molto ampi, in modo da farvi rientrare non
solo gli accordi, ma qualsiasi forma di collusione tra imprese idonea a
restringere o eliminare la concorrenza, perché, secondo le teorie del
Pisa, 2007, p. 346.
26
mercato concorrenziale, le imprese sono tenute a competere fra loro e a non
cooperare allo scopo di influenzare le condizioni di mercato a danno della
concorrenza e, in ultima istanza, dei consumatori60.
Nel divieto dell’art. 101 ricadono non solo gli accordi tra
concorrenti, ma anche determinati accordi verticali, cioè fra imprese che
operano a un livello diverso della catena produttiva o distributiva (come ad
esempio gli accordi di fornitura).
L'art. 101 TFUE, infatti, espressamente stabilisce che sono incompatibili
con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni
di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano
pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per
effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza
all'interno del mercato interno, e individua, inoltre, un elenco, non tassativo,
di accordi considerati restrittivi della concorrenza61.
60
Sull’argomento si rinvia, per un primo approccio, a T ESAURO, Diritto dell’Unione
europea, VI ed., Padova, 2010, p. 629 ss., ove anche ampia bibliografia e abbondanti richiami
giurisprudenziali.
61
L'art. 101 TFUE stabilisce che:
« 1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte
le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il
commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o
falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti
nel:
a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di
transazione;
b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni
equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni
supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con
l'oggetto dei contratti stessi.
2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto.
3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili:
- a qualsiasi accordo o categoria di accordi tra imprese;
- a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e
- a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate,
che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il
progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne
deriva ed evitando di
27
Come risulta evidente dalla lettura della norma, il primo paragrafo
stabilisce il divieto di porre in essere determinate condotte idonee a
restringere la concorrenza, il secondo prevede la nullità degli accordi quale
sanzione per la violazione del divieto e il terzo stabilisce i criteri per
beneficiare di un'esenzione dal divieto stesso.
La disposizione in esame si applica soltanto ad accordi o pratiche
concordate fra due o più imprese indipendenti e alle decisioni adottate da
associazioni di imprese. La definizione di impresa è, pertanto, di
importanza fondamentale, dato che da essa dipende la determinazione
dell'ambito di applicazione delle norme. Proprio per il fatto che il Trattato
non fornisce indicazioni specifiche in merito, la nozione di impresa ha
costituito oggetto di approfondita riflessione da parte della Corte di
giustizia e del Tribunale di Primo grado, da un lato, e della Commissione,
dall’altro.
La Corte di giustizia ha stabilito che «la nozione di impresa
abbraccia qualsiasi entità che esercita un'attività economica, a prescindere
dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di
finanziamento»62.
Come già sopra accennato, dunque, il divieto di cui all'art. 101, 1°
paragrafo, si applica a tutti i soggetti che svolgono un'attività economica,
indipendentemente dal loro status. Ad esempio, non è necessario che un
soggetto abbia la forma di una società secondo la normativa del diritto
civile o la personalità giuridica affinché possa considerarsi impresa ai sensi
a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali
obiettivi;
b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei
prodotti di cui trattasi».
62
Sulla nozione di impresa si vedano le sentenze della Corte di giustizia: del 23 aprile
1991, in causa C-41/90, Klaus Höfner e Fritz Elser c. Macrotron GmbH, (punto 21); del 17
febbraio 1993, in cause C-159-160/91, Poucet; del 19 gennaio 1994, in causa C-364/92, Sat
Fluggesellschaft; del 16 novembre 1995, in causa C-244/94, Fédération Française des Sociétés
d'Assurance et al. c. Ministère de l'Agriculture et de la Pêche, (punto 14).
28
dell'articolo63.
La nozione di accordo o di pratica concordata presuppone il
coinvolgimento di almeno due parti che agiscano in base ad un comune
consenso. Il termine “accordo” deve essere interpretato in maniera molto
ampia, che ricomprenda qualsiasi tipo di consenso tra le parti in merito alle
loro future condotte. Perché vi sia un accordo ai sensi dell'art. 101,
paragrafo 1, è sufficiente che due o più imprese abbiano in qualche modo
espresso la comune volontà di intraprendere una certa condotta sul mercato,
a prescindere dalle modalità con cui tale intento sia stato manifestato (ad
esempio, in forma scritta o orale).
Un effetto che deriva da questa interpretazione volutamente ampia
della norma è che il compito di repressione dei cartelli da parte delle
autorità preposte alla tutela della concorrenza diviene più agevole per due
ordini di motivi: in primo luogo, i partecipanti ad un cartello raramente si
servono di accordi scritti con cui regolare gli aspetti della cooperazione
limitandosi, nella maggior parte dei casi, a prevedere linee guida o
semplicemente a concludere accordi in forma orale.
In secondo luogo, il contributo individuale al funzionamento del
cartello può di fatto variare da impresa a impresa, ad esempio, nel tempo,
alcune imprese potrebbero ritirarsi da un cartello, per rientrarvi
eventualmente in un momento successivo, mentre altre imprese potrebbero
tenere un comportamento più attivo: difatti molti cartelli hanno durata
prolungata si presentano con una struttura complessa. Per risolvere questa
complicazione, la Commissione ha elaborato il concetto di “accordo unico
globale” in base al quale tutti i componenti di un cartello sono ritenuti
responsabili, indipendentemente dal fatto che essi abbiano partecipato o
meno attivamente all'attuazione di ogni singola fase del cartello, mentre
63
FAULL e NICKPAY, The EC Law of Competition, Oxford, 1999, p. 67.
29
l'intensità della partecipazione può essere presa in considerazione ai fini
della quantificazione dell'ammenda.
Siccome il campo di applicazione dell'art. 101 non è limitato agli
accordi tra imprese, ma si estende anche ai casi in cui l'azione delle imprese
venga coordinata per il tramite di un'associazione, in tali fattispecie, sia
l'associazione in sé, sia ogni suo singolo membro possono risultare
responsabili della violazione del divieto.
Come il termine «impresa», anche il termine «associazione» va
interpretato in senso ampio, così come pure il sostantivo «decisione»: la
nozione di «associazione» non si riferisce esclusivamente alle associazioni
di categoria, essendo stata applicata anche ad enti incaricati di svolgere
funzioni istituzionali, alle cooperative agricole, ai consigli dell'ordine degli
avvocati64.
Analogamente, il termine «decisione» è interpretato in maniera
estesa, in modo da ricomprendervi anche raccomandazioni non vincolanti,
ogniqualvolta l'adesione tacita da parte dei membri dell'associazione
produca, di fatto, un apprezzabile effetto sulla concorrenza.
Con il termine «pratica concordata» si intende una forma di
coordinamento tra imprese che, pur non raggiungendo il livello di un
accordo completo in tutti i suoi aspetti, consente, tuttavia, alle imprese di
prevedere con un discreto margine di sicurezza la condotta che i concorrenti
attueranno nel mercato e, di conseguenza, elimina o riduce quella naturale
incertezza inerente al processo concorrenziale. Siccome le regole europee
del diritto della concorrenza richiedono che ogni operatore nel mercato
determini la propria politica commerciale in modo del tutto indipendente
64
Si tratta, rispettivamente, della decisione della Commissione, del 30 gennaio 1995,
Coapi, in GUCE 1995 L122/37; della decisione della Commissione, del 26 novembre 1986,
Meldoc, in GUCE 1986 L348/50; della sentenza della Corte di giustizia, del 19 febbraio 2002, in
causa C-309/99, Wouters c. Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten, in Racc. I1577/2002.
30
dagli altri operatori concorrenti65, le imprese non devono mettere in atto
alcuna forma di coordinamento che sia in grado di eliminare l'incertezza
sulle loro future linee di condotta, poiché ciò ridurrebbe il rischio intrinseco
alle scelte commerciali, proprio di ogni scenario competitivo.
La ragione dell'inclusione delle pratiche concordate nella fattispecie
di cui all'art. 101, paragrafo 1, TFUE si ricollega all'intento del legislatore
di evitare che le imprese riescano ad aggirare il divieto di cooperazione
tramite mezzi più informali di un accordo propriamente detto, soprattutto
nel caso di cartelli in cui è spesso difficile provare la sussistenza di un
accordo tra concorrenti: in molti casi, infatti, i membri di un cartello sono
molto abili nel lasciare il minor numero possibile di tracce relative alla loro
cooperazione. In questi casi, le autorità preposte alla tutela della
concorrenza sono costrette ad avvalersi di prove indirette, come le condotte
parallele sul mercato, al fine di provare l'esistenza di un cartello realizzato
per mezzo di una pratica concordata.
La Corte di giustizia ha definito la «pratica concordata» come «una
forma di coordinamento dell'attività delle imprese che, senza esser stata
spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica
una consapevole collaborazione fra le imprese stesse, a danno della
concorrenza»66.
In seguito la Corte ha affinato la definizione spiegando che i termini
«coordinamento» e «collaborazione» non necessitano dell’«elaborazione di
un vero e proprio piano». In particolare, la Corte ha chiarito che «ogni
operatore economico deve autonomamente determinare la condotta ch'egli
65
Sentenza della Corte di giustizia, del 16 dicembre 1975, cause riunite 40 a 48, 50, 54 a
56, 111, 113 e 114/73, Coöperatieve vereniging Suiker Unie UA et altri c. Commissione, [1975], in
Racc. 1663 (punto 288); sentenza Tribunale di primo grado, del 24 ottobre 1991, in causa T-1/89,
Rhône-Poulenc c. Commissione, [1991], in Racc. II-867 (punto 121).
66
Sentenza della Corte di giustizia, del 14 luglio 1972, in causa 48/69, ICI c.
Commissione, [1972], in Racc. 619 (punto 64). Sul concetto di “pratica concordata” si veda
BLACK, Concerted practices, joint actions and reliance, in ECLR, 2003, p. 219.
31
intende seguire sul mercato comune» senza preordinare «contatti diretti o
indiretti aventi lo scopo o l'effetto d'influire sul comportamento tenuto sul
mercato da un concorrente attuale o potenziale, ovvero di rivelare ad un
concorrente il comportamento che l'interessato ha deciso, o prevede, di
tenere egli stesso sul mercato»67.
Perché possa trattarsi di pratica concordata è, quindi, necessaria la
presenza di requisiti, tra i quali, una forma di coordinamento o
collaborazione pratica fra le imprese; il coordinamento raggiunto attraverso
un contatto diretto o indiretto fra le imprese in esame; e l'oggetto o l'effetto
di tale contatto deve consistere nell'influenzare la condotta delle imprese sul
mercato di riferimento.
L'art. 101, paragrafo 1, TFUE si applica ad accordi, decisioni di
associazioni e pratiche concordate, tutte fattispecie che implicitamente
presuppongono un certo grado di libertà o autonomia decisionale. Ne
consegue che, se le determinazioni delle imprese sono influenzate da
interventi di enti pubblici, esse non possono essere ritenute direttamente
responsabili delle violazioni commesse.
Si possono individuare due forme di interferenza da parte di soggetti
pubblici nell’autonomia decisionale delle imprese, che possono sia
riguardare misure che impongono comportamenti anticoncorrenziali, sia
riguardare provvedimenti che restringono essi stessi il libero gioco della
concorrenza. In questi casi viene meno la libertà di autodeterminarsi
dell’impresa e allora non si applicano le disposizioni dell’art. 101,
paragrafo 1, TFUE, in quanto la restrizione della concorrenza non deriva da
una condotta autonomamente posta in essere da parte dell'impresa.
Per determinare se le norme in questione debbano in concreto
applicarsi, bisogna distinguere le misure pubbliche vincolanti che
67
Pronuncia Suiker Unie, citata nella nt. 65, punti 173-174.
32
impongono una condotta anticoncorrenziale da quelle non vincolanti. Se ne
ricava che le imprese non possono giustificare le pratiche anticompetitive
attuate sulla base di provvedimenti pubblici che non contengono veri e
propri obblighi giuridicamente vincolanti. Sulla base di questi principi, la
Corte di giustizia si è costantemente rifiutata di accettare come
giustificazione di un accordo collusivo il fatto che misure statali non
obbligassero le imprese a tenere un comportamento anticoncorrenziale, ma
semplicemente
richiedessero,
facilitassero
o
approvassero
un
comportamento simile68.
In particolari circostanze, persino misure nazionali a carattere
vincolante, che impongano condotte anticompetitive, potrebbero non essere
sufficienti ad escludere l'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 1. Difatti,
qualora le misure obbligatorie si riferiscano ad accordi o pratiche restrittive
della concorrenza già in essere, i comportamenti conformi a tali misure,
anche se siano obbligatorie, potrebbero integrare una violazione come
quelle vietate dalle disposizioni oggetto di analisi.
Ad esempio, la Commissione ha censurato accordi interprofessionali
che fissavano prezzi minimi per la vendita di acquaviti di cognac,
nonostante il fatto che tali accordi fossero stati estesi e resi obbligatori per
gli
operatori
nella
regione
del
Cognac
attraverso
un
decreto
interministeriale69. La difesa basata sulla giustificabilità di violazioni
conseguenti ad imposizione di misure da parte dello Stato è stata respinta
sul presupposto che le imprese godevano di sufficiente autonomia al
68
Decisione della Commissione, del 6 agosto 1984, Zinc producer group, in GUCE,
1984, L 220/27, in cui essa ha ritenuto che il fatto che le autorità degli Stati membri fossero a
conoscenza di accordi di fissazione dei prezzi o avessero preso parte o approvato gli stessi non
escludeva l'applicazione del diritto della concorrenza nei confronti delle imprese in questione. Il
concetto è espresso anche nella sentenza della Corte di giustizia, del 3 dicembre 1987, in causa
136/86, BNIC c. Aubert, [1987], in Racc. 4789 (punto 13).
69
Decisione della Commissione, del 15 dicembre 1982/896/CEE, UGAL/BNIC, in GUCE
1982 L379/1, confermata nelle successive sentenze della Corte di giustizia BNIC c. Clair, citata
alla nt. 44, e BNIC c. Aubert, nt. precedente.
33
momento della conclusione degli accordi, divenuti obbligatori solo in un
secondo momento70.
In altra pronuncia, la Corte di giustizia ha stabilito che, qualora la
normativa nazionale elimini di per sé ogni possibile attività concorrenziale
delle imprese, l'articolo 81, paragrafo 1 [ora art. 101, paragrafo 1, TFUE]
non si applica, dal momento che la distorsione della concorrenza non
sarebbe attribuibile alla condotta autonoma delle imprese interessate71. Per
poter invocare con successo questo precedente, è necessario dimostrare che
il quadro regolatorio non lascia alcuno spazio di concorrenza suscettibile di
essere eliminato o ridotto.
La Corte di giustizia ha adottato un approccio simile nella causa
relativa a presunte pratiche anticoncorrenziali riguardanti il mercato dello
zucchero in Italia72. Nel caso di specie, le parti avevano sostenuto che
l'articolo 81, paragrafo 1 [ora art. 101, paragrafo 1, TFUE] non poteva
ritenersi applicabile dal momento che la legislazione italiana, in combinato
disposto con quella comunitaria, relativa a prezzi, quote di vendita e
incontro tra domanda e offerta, eliminava di per sé qualsiasi possibilità di
concorrenza sul mercato. La Corte ha accolto le argomentazioni delle parti
rilevando che il margine di concorrenza nel mercato italiano dello zucchero
era sostanzialmente limitato dalle misure regolamentari e che, in questo
senso, l'art. 81, paragrafo 1 non avrebbe potuto applicarsi, dato che le parti
non potevano con le loro azioni influire in modo sensibile sul gioco della
concorrenza73.
70
La Commissione ha stabilito che le funzioni di controllo della qualità che le autorità
avevano conferito al BNIC non richiedevano alcun accordo per la fissazione di prezzi minimi di
vendita, come quello che era stato concluso dai membri del BNIC a beneficio delle loro politiche
di vendita piuttosto che della qualità delle acquaviti.
71
Sentenza della Corte di giustizia, del 11 novembre 1997, cause riunite C-359/95P e C379/95P, Commissione e Francia c. Ladbroke Racing Ltd., [1997], in Racc. I-6265.
72
Sentenza della Corte di giustizia, del 30 ottobre 1975, in causa 23/75, Ray Soda c.
Cassa conguaglio zucchero, in Raccolta 1975/01279.
73
Vedi sentenza della nt supra (punto 72).
34
Gli accordi e le pratiche concordate violano l'art. 101, paragrafo 1,
TFUE solo nella misura in cui abbiano per oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato
comune.
L’effetto restrittivo della concorrenza ha carattere oggettivo e non già
soggettivo, avendo scarso rilievo sia l’intenzione delle parti, sia le
conseguenze riferibili ai singoli accordi74. Ne deriva la necessità di
considerare anche la misura degli effetti delle intese sul mercato, con la
conseguenza di dover procedere ad un’analisi del mercato per dimostrare
che un accordo abbia l’effetto di produrre una restrizione della concorrenza.
Perciò, secondo un'interpretazione giurisprudenziale consolidata,
l'impedimento, la restrizione o la distorsione devono essere “sensibili”: per
la Corte di giustizia, infatti, non raggiungono la soglia di sensibilità le
intese c.d. de minimis, ovvero quelle tra imprese detentrici di una modesta
quota di mercato, per la scarsa apprezzabilità degli effetti di tali intese sulla
concorrenza75.
Per comprendere la distinzione tra restrizione per oggetto e per
effetto risulta di particolare utilità l’analisi del caso Beef Industry76, sul
74
Ad esempio, nella sentenza della Corte di giustizia, 1° febbraio 1977, in causa C-47/76,
De Norte e De Clercq sono ritenuti vietati i contratti di acquisto esclusivo di una birra di una certa
marca da parte di titolari di locali affiliati, perché – anche se i singoli accordi, di per sé, avrebbero
avuto effetti anticoncorrenziali di scarso rilievo – tutti insieme e nel loro complesso venivano ad
avere un impatto non trascurabile sul mercato.
75
La Comunicazione della Commissione relativa agli accordi di importanza minore che
non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, del
trattato che istituisce la Comunità europea (de minimis), in GU C368 del 22.12.2001, che
sostituisce la Comunicazione relativa agli accordi di importanza minore pubblicata nella GU C
372 del 9.12.1997, stabilisce, con l’ausilio di soglie basate sulle quote di mercato, ciò che non
costituisce una restrizione sensibile ai sensi dell’art. 101 TFUE. Comunicazioni della
Commissione sono state pubblicate più recentemente per gli aiuti de minimis nel settore degli aiuti
di Stato.
76
Sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (Terza Sezione) 20 novembre
2008 in causa Competition Authority contro Beef Industry Development Society Ltd e Barry
Brothers (Carrigmore) Meats Ltd
35
quale, pertanto, giova soffermarsi con una certa attenzione77.
Ai sensi del deliberato della Corte, «Ai fini dell'applicazione del
divieto di cui all'art. 81, n.1, Trattato Ce è superfluo prendere in
considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che quest'ultimo
mira a impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno
del mercato comune. Nel caso in cui, invece, l'analisi delle clausole
dell'accordo non rivelasse un pregiudizio alla concorrenza di sufficiente
entità, occorrerebbe prendere in esame i suoi effetti e, per vietarlo,
dovrebbero sussistere tutti gli elementi che comprovano che il gioco della
concorrenza è stato di fatto sensibilmente impedito, ristretto o falsato
(Trattato Ce, art. 81, n. 1).
Perché un accordo rientri nel divieto dell’art. 81, n. 1, Trattato Ce,
rilevano il contenuto e gli scopi oggettivi del medesimo e non le intenzioni
soggettive dei contraenti, volte a finalità ulteriori, distinte da quelle della
disciplina della concorrenza (nella specie: razionalizzazione di un’attività
produttiva mediante la riduzione delle sue sovraccapacità strutturali), salvo
che tali finalità integrino una delle ipotesi di deroga del successivo n. 3
(Trattato Ce, art. 81, nn. 1 e 3).
I tipi di accordo menzionati all'art. 81, n. 1, lett. a)-e), Trattato Ce
non esauriscono le possibili ipotesi di collusioni vietate (Trattato Ce, art. 81,
n. 1)».
La sentenza della Corte di giustizia in commento78 verte
77
Su tale sentenza sia consentito, inoltre, rinviare alla più ampia analisi contenuta in
BENATTI, “Infrazioni per oggetto e infrazioni per effetto in materia di concorrenza”, Nota a Corte
di Giustizia delle Comunità Europee del 20 novembre 2008, Competition Authority v. Beef
Industry Development Society Ltd and Barry Brothers (Carrigmore) Meats Ltd, in Riv. dir. agr.,
IV, 2009, p. 325.
78
La sentenza qui richiamata è stata citata dalla successiva della Corte di giustizia del 4
giugno 2009, in causa C-8/08, T-Mobile Netherlands BV e altri c. Raad van bestuur, in Raccolta,
2009, p. I-04529, laddove ribadisce che, per quanto concerne la valutazione del carattere
anticoncorrenziale di una pratica concordata, occorre considerare, in particolare, gli scopi oggettivi
che essa persegue e anche il contesto economico e giuridico nel quale essa si inserisce. La sentenza
Beef Industry viene citata anche con riguardo alla distinzione in essa analizzata tra «infrazioni per
36
sull’interpretazione della nozione di accordo restrittivo della concorrenza
contenuta nell’art. 81, n. 1, del Trattato Ce, traendo origine da una domanda
di pronuncia pregiudiziale sollevata dalla Supreme Court irlandese,
nell’ambito di una controversia tra la Competition Authority irlandese, da
un lato, e la Beef Industry Development Society Ltd e un’impresa ad essa
facente parte, di seguito BIDS, dall’altro, in merito ad alcune decisioni della
Beef Industry per la razionalizzazione del settore delle carni bovine in
Irlanda; a tal fine viene elaborato un accordo, di tipo orizzontale, ossia un
accordo fra concorrenti che si trovano sul medesimo livello di mercato,
volto a ridurre del 25% la capacità di trasformazione del settore in un anno
a determinate condizioni, mediante la stipulazione di contratti standards.
Il giudice del rinvio chiede se accordi come quelli stipulati dalla Beef
Industry debbano essere considerati restrittivi della concorrenza e vietati ai
sensi dell’art. 81, n. 1, del Trattato Ce per il loro solo oggetto,
indipendentemente dall’effetto, o se, invece, per pervenire a tale
conclusione, sia prima necessario dimostrare che essi sortiscono effetti
anticoncorrenziali.
Il contesto normativo preso in considerazione si riferisce all’art. 81,
n. 1, del Trattato Ce [ora art. 101 n. 1 del TFUE]. Come detto, il divieto
sancito dall’art. 81 è formulato in termini molto ampi, in modo da farvi
rientrare non solo gli accordi ma qualsiasi forma di collusione tra imprese
idonea a restringere o eliminare la concorrenza.
Le valutazioni della Corte si fondano sul rilievo che l’art. 81, n. 1,
del Trattato Ce distingue fra restrizioni della concorrenza per oggetto e
restrizioni della concorrenza per effetto, per poi basare la riflessione sul
oggetto» e «infrazioni per effetto», secondo cui l’oggetto e l’effetto anticoncorrenziale non sono
condizioni cumulative, bensì alternative ed è necessario, innanzitutto, considerare l’oggetto della
pratica concordata; solo se l’analisi del tenore della pratica concordata non rivelasse un pregiudizio
alla concorrenza di sufficiente entità, occorrerebbe prendere in esame i suoi effetti.
37
significato della nozione di restrizione della concorrenza per oggetto, su cui
emergono opinioni discordi.
Come detto, ai sensi dell’art. 81, n. 1, sono vietati tutti gli accordi tra
imprese che abbiano per oggetto o per effetto una restrizione significativa
della concorrenza79. Restrizioni della concorrenza per oggetto sono «quelle
che per loro stessa natura possono restringere la concorrenza»80. La
valutazione della presenza o meno in un accordo di restrizioni della
concorrenza per oggetto è basata su una serie di fattori, tra cui, in
particolare, i termini dell’accordo. Inoltre, si deve tener conto del contesto
in cui l’accordo è applicato e del comportamento concreto delle parti sul
mercato. In questo senso, l’intento soggettivo delle parti è uno degli
elementi ma non una precondizione necessaria perché sussista una
restrizione per oggetto.
Pur non avendo un oggetto anticoncorrenziale, un accordo può
nondimeno violare l’art. 81, n. 1, del Trattato Ce se ha l’effetto di
restringere la concorrenza. Secondo la Commissione, per avere un tale
effetto, un accordo deve essere in grado di restringere la concorrenza in
modo tale da produrre, con un ragionevole grado di probabilità, effetti
negativi sui prezzi, sulla quantità o sulla varietà o qualità dei prodotti e
servizi presenti sul mercato. Per stabilire se un accordo abbia o meno un
tale effetto restrittivo è necessario esaminarlo nel contesto in cui esso deve
essere applicato. A questo riguardo, occorre «tener conto dell’ambito
concreto nel quale esso produce i suoi effetti, in particolare del contesto
economico e giuridico nel quale operano le imprese interessate, della natura
79
Fra i testi di riferimento generali e di recente pubblicazione sul punto si segnalano: V AN
BAEL e BELLIS, Il Diritto Comunitario della Concorrenza, Torino, 2009; PAPPALARDO, Il Diritto
comunitario della concorrenza. Profili sostanziali, Torino, 2007; STROZZI, Diritto dell’Unione
Europea, Parte speciale, Torino, 2006; FRIGNANI - PARDOLESI (a cura di), La concorrenza, Torino,
2006; DE VITA, TESAURO, Diritto Comunitario, Padova, 2005.
80
Comunicazione della Commissione - Linee direttrici sull’applicazione dell’articolo 81,
paragrafo 3, del Trattato in GU C 101 del 27.4.2004, p. 97, al par. 21 ss.
38
dei servizi considerati dall’accordo, nonché delle effettive condizioni del
funzionamento della struttura del mercato interessato»81 .
I due tipi di infrazione «per oggetto» o «per effetto» hanno carattere
alternativo. Secondo una giurisprudenza costante a far data dalla sentenza
LTM82, l’alternatività di tali condizioni, espressa dalla disgiunzione «o»,
rende necessario innanzitutto considerare l’oggetto stesso dell’accordo,
tenuto conto del contesto economico nel quale quest’ultimo deve trovare
applicazione. Nel caso in cui, invece, l’analisi delle clausole dell’accordo
non rivelasse un pregiudizio alla concorrenza di sufficiente entità,
occorrerebbe prendere in esame i suoi effetti e il divieto opererebbe se
sussistessero tutti gli elementi che comprovano che il gioco della
concorrenza è stato di fatto sensibilmente impedito, ristretto o falsato.
Ai fini dell’applicazione del divieto di cui all’art. 81, n. 1 del Trattato
Ce è, dunque, superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un
accordo, ove risulti che quest’ultimo mira a impedire, restringere o falsare il
gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, come già
affermato dalla Corte di giustizia in precedenti sentenze 83. Il divieto sancito
dall’art. 81, n. 1, può eventualmente essere dichiarato non applicabile ai
sensi del n. 3 dello stesso articolo, purché siano rispettate le condizioni in
esso indicate.
L’art. 81 prevede, pertanto, una verifica articolata su due livelli: un
81
Sentenze del Tribunale di primo grado, del 15 settembre 1998, cause riunite T-374/94,
T-375/94, T-384/94 e T-388/94, European Night Services c. Commissione, [1998] Racc. II-3141
(punto 136); della Corte di giustizia, del 28 febbraio 1991, in causa C-234/89, Delimitis c.
Henninger Bräu, [1991] Racc. I-935 (punto 20); della Corte di giustizia, del 12 dicembre 1995, in
causa C-399/93, Oude Luttikhuis et al. c. Verenigde Coöperatieve Melkindustrie Coberco BA,
[1995] Racc. I-4515 (punto 10); del Tribunale di primo grado, del 14 maggio 1997, cause riunite
T-70/92 e T-71/92, Florimex BV et al. c. Commissione, [1997] Racc. II-759 (punto 140).
82
Sentenza della Corte di giustizia, del 30 giugno 1966, in causa 56/65, LTM, in Racc. p.
262.
83
Sentenze della Corte di giustizia, del 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64,
Consten e Grundig c. Commissione, Racc. p. 458, e del 21 settembre 2006, causa C-105/04 P,
Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied c.
Commissione (Racc. I-8725).
39
accordo è compatibile con il mercato interno se non ricade nel divieto
fondamentale sancito dall’art. 81, n. 1, del Trattato Ce, ma anche se, pur
compreso in tale ipotesi, soddisfa i requisiti previsti dall’art. 81, n. 3. Una
volta, infatti, che sia stato accertato che un accordo ha per oggetto una
restrizione della concorrenza e ricade nel divieto di cui all’art. 81, n. 1, non
è detto che sia incompatibile con il mercato comune, se, data la distinzione
tra l’art. 81, n. 1, e l’art. 81, n. 3, la verifica rilevi la sussistenza delle
condizioni previste ai sensi del n. 3 dello stesso articolo.
Per stabilire se sussiste una restrizione della concorrenza per oggetto,
secondo la giurisprudenza comunitaria si deve tener conto non solo del
contenuto dell’accordo, ma anche del contesto giuridico ed economico84.
Tale elemento non va inteso in maniera eccessivamente ampia, tale da
consentire l’ingresso di tutte le circostanze che possano giocare a favore
della compatibilità di un accordo con il mercato comune. Dalla struttura
dell’art. 81, infatti, si ricava che gli elementi del contesto giuridico ed
economico rilevanti sono solo quelli atti a mettere in dubbio l’esistenza di
una restrizione della concorrenza85, come, ad esempio, le fattispecie in cui
una limitazione della libertà delle imprese di determinare autonomamente la
propria politica di mercato non presenti effetti rimarchevoli sotto il profilo
della concorrenza, o quando è incerto se le imprese partecipanti all’accordo
si trovino in una effettiva situazione di concorrenza86; o ancora, quando è
dubbio se sussista una concorrenza sufficiente che possa subire restrizioni a
causa dell’accordo87, come nel caso di effetti della concorrenza sui prezzi,
84
Sentenze della Corte di giustizia del 30 giugno 1966, in causa 56/65, LTM; del 28
marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink c.
Commissione (Racc. p. 1679); del 6 aprile 2006, in causa C-551/03 P, General Motors c.
Commissione (Racc. I- 3173); del 27 settembre 2006, causa T-168/01, GlaxoSmithKline Services c.
Commissione, Racc. II-2969.
85
Sentenza della Corte di giustizia del 8 luglio 1999, in causa C-235/92 P, Montecatini c.
Commissione (Racc. I-4539) .
86
Sentenza del Tribunale di primo grado, European Night Services, nt. 81.
87
Sentenza GlaxoSmithKline Services c. Commissione, cit.
40
quando i prezzi per i consumatori finali sono sottratti al gioco della
domanda e dell’offerta in forza di disposizioni di legge.
Gli elementi del contesto giuridico ed economico sono, altresì, da
prendere in considerazione quando un accordo risulta, quanto ai suoi effetti
sulla concorrenza, ambivalente, come nella fattispecie in cui un accordo
cerchi di promuovere la concorrenza, rafforzandola su un mercato o
aprendo un mercato nuovo o permettendovi l’ingresso di un nuovo
concorrente, laddove la limitazione dell’autonomia delle imprese che
necessariamente ne consegue può, in una visione globale, essere sacrificata
a uno scopo maggiormente meritevole di tutela.
Altri possibili elementi del contesto da prendere in considerazione
sono le restrizioni accessorie necessarie per il conseguimento di uno scopo
principale, come, ad esempio: i divieti di concorrenza senza i quali una
cessione di imprese non sarebbe possibile88; i divieti di partecipazione o le
restrizioni dell’attività, laddove siano necessari per il funzionamento di una
società che persegue uno scopo certamente compatibile con il diritto
comunitario della concorrenza89; le restrizioni di attività necessarie per la
determinazione della deontologia delle libere professioni90; le normative
antidoping91. L’analisi del contesto accessorio fa sì che se lo scopo
principale perseguito non ricade nel divieto di cui all’art. 81, n. 1, del
Trattato Ce (ora art. 101, n. 1, TFUE), in quanto neutrale o favorevole alla
concorrenza, anche le restrizioni accessorie necessarie al conseguimento di
tale scopo non ricadono nel divieto previsto dalla norma; se, al contrario, lo
scopo principale rientra nel divieto, sussiste una inammissibile restrizione
88
Sentenza della Corte di giustizia, del 11 luglio 1985, in causa 42/84, Remia e a. c.
Commissione (Racc. p. 2545).
89
Sentenza della Corte, del 15 dicembre 1994, in causa C-250/92, DLG (Racc. I-5641).
90
Sentenza della Corte, del 19 febbraio 2002, in causa C-309/99, Wouters e a (Racc. I1577).
91
Sentenza della Corte, del 18 luglio 2006, in causa C-519/04, Meca-Medina e Majcen c.
Commissione (Racc. I-6991).
41
della concorrenza92.
Le circostanze, invece, come il miglioramento della produzione dei
beni attraverso economie di scala, che fanno presupporre una restrizione
della concorrenza, possono essere considerate compatibili con le
disposizioni dell’art. 81, esclusivamente ai sensi del n. 3 dello stesso.
Questa distinzione risulta già dalla lettera dell’art. 81, n. 3, del
Trattato Ce (ora art. 101, n. 3, TFUE), che ammette che di questi effetti si
debba tener conto nel suo ambito, sulla base della considerazione generale
secondo cui la norma in oggetto è intesa nel suo insieme al soddisfacimento
ottimale dei consumatori, e che i suoi nn. 1 e 3 prendano in considerazione
aspetti diversi di questo benessere. Ai sensi del n. 1, gli accordi restrittivi
della concorrenza sono in linea di principio vietati, pregiudicando in modo
diretto il benessere dei consumatori; d’altro lato, però, il n. 3 riconosce che
gli accordi che limitano la concorrenza possono apportare una riduzione dei
costi di produzione, così contribuendo in via indiretta al benessere dei
consumatori93, che ne beneficiano laddove partecipino alle economie
realizzate.
La Corte di Giustizia sostiene che ai fini dell’applicazione dell’art.
81, n. 1, TCE (ora art. 101, n. 1, TFUE), si deve vagliare il tenore delle
disposizioni dell’accordo e gli scopi oggettivi che esso persegue, a nulla
rilevando che le parti abbiano agito senza intenzione soggettiva di
restringere la concorrenza, bensì allo scopo di rimediare agli effetti di una
crisi del settore. Infatti, si deve ritenere che un accordo abbia un oggetto
restrittivo anche se non ha come unico obiettivo una restrizione della
concorrenza, ma persegue anche il conseguimento di altri obiettivi
92
BELLAMY & CHILD, European Community Law of Competition, Oxford, 6ª ed., 2008,
punto 2.112.
93 ODUDU, «Art. 81 (3), Discretion and Direct Effect», in European Competition Law
Review, 2002, p. 20.
42
legittimi94.
Ciò non significa che la volontà delle parti, che si può evincere dalla
genesi dell’accordo, non possa essere presa in considerazione; per il vero,
dal rapporto di alternanza fra l’oggetto e l’effetto delle restrizioni della
concorrenza previsto dall’art. 81, n. 1, nonché dalla circostanza che esso
sembrerebbe configurato come un reato di pericolo astratto, deriva che non
si deve fare riferimento solo alle conseguenze che un accordo comporta
necessariamente. Semmai, elementi quali gli effetti concreti di una pratica o
di un accordo possono essere presi in considerazione nel contesto dell’art.
81, n. 3, del Trattato Ce, per derogare al divieto sancito dal n. 1 dello stesso
articolo, essendo previsto che le disposizioni del paragrafo 1 possono essere
dichiarate inapplicabili agli accordi, decisioni, pratiche «che contribuiscano
a migliorare la produzione e la distribuzione dei prodotti o a promuovere il
progresso tecnico o economico».
Il secondo aspetto di grande rilievo della sentenza è l’interpretazione
della nozione di infrazione per oggetto. Secondo una prima tesi essa
dovrebbe intendersi quale restrizione qualificata e quale accordo che
limitano in quanto tali la concorrenza, da determinarsi in maniera restrittiva
così da includervi un numero limitato di gravi restrizioni della concorrenza,
quali gli accordi sui prezzi, le limitazioni della produzione e le ripartizioni
del mercato o dei clienti, individuate dall’art. 81, n. 1, lett. a)-c) (ora art.
101, n.1, TFUE); solo accordi a tal punto manifesti e dannosi
realizzerebbero una restrizione della concorrenza per oggetto.
La Corte, rigettando tali argomentazioni, ha chiarito le condizioni per
l’applicazione dell’art. 81 del Trattato. Ai sensi e per gli effetti di esso,
l’obiettivo degli accordi deve essere una restrizione della concorrenza, ma il
criterio in sé risulta difficile da definire. L’art. 81, infatti, tutela la
94
Vedi sentenza General Motors, nt. 84.
43
concorrenza per la sua funzione di creare un mercato unico che offra
condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e di permettere un
soddisfacimento ottimale dei consumatori95. Per stabilire se un accordo lede
questo interesse giuridicamente protetto, i giudici comunitari verificano se
esso limiti la libertà di una o più imprese di determinare autonomamente la
propria politica di mercato e se tale limitazione conduca ad un’alterazione
sostanziale delle condizioni stesse del mercato.
In primo luogo, la nozione di restrizione della concorrenza per
oggetto non può essere ridotta ad un elenco tassativo e completo di
fattispecie, né ad accordi che restringono la concorrenza in maniera
manifesta. Visto che non solo il contenuto di un accordo, ma anche il suo
contesto giuridico ed economico devono essere presi in considerazione, la
qualificazione come restrizione della concorrenza per oggetto non può
dipendere dal fatto che tale oggetto risulti già a prima vista o si riveli solo a
seguito di una verifica più approfondita delle circostanze.
Per quanto concerne la supposta tassatività delle fattispecie
contenute nell’art. 81, n. 1, anche se la giurisprudenza comunitaria sulla
nozione di restrizione della concorrenza per oggetto ha considerato
inizialmente casi aventi ad oggetto restrizioni qualificate, i giudici
comunitari hanno poi considerato restrizioni della concorrenza per oggetto
anche accordi intesi a realizzare scopi legittimi. Di conseguenza, l’art. 81,
n. 1, del Trattato Ce risulterebbe applicabile anche ad accordi finalizzati al
superamento di una crisi; un’interpretazione difforme non sarebbe
compatibile con la struttura dell’art. 81.
Secondo la Corte, quindi, la nozione di restrizione della concorrenza
per oggetto non può essere ridotta ad un elenco completo, comprendente la
95
Sentenza Metro, nt. 53; sentenza della Corte di giustizia, del 23 novembre 2006, causa
C- 238/05, Asnef-Equifax e Administración del Estado (Racc. I-11125).
44
casistica più rilevante e grave. Già la locuzione «in particolare» contenuta
nell’art. 81, n. 1 indica con chiarezza che le restrizioni della concorrenza
menzionate non esauriscono le possibili ipotesi da ricomprendersi nel
divieto.
Di
conseguenza,
la
nozione
non
può
essere
limitata
all’esemplificazione contenuta nell’art. 81, n. 1, comprendente la fissazione
di prezzi, la ripartizione dei mercati o il controllo del volume delle vendite.
Illustre dottrina, pur propugnando un’interpretazione molto rigorosa della
nozione de qua, ritiene che l’elenco esemplificato nell’art. 81, n. 1 non sia
esaustivo96.
A favore di questa tesi depone il rapporto fra l’art. 81, n. 1 e l’art. 81,
n. 3. Ai fini, infatti, dell’art. 81, n. 1, rileva solo che sussista una restrizione
della concorrenza per oggetto o per effetto; ove ciò si realizzi, l’accordo
può essere, comunque, compatibile con il mercato comune ai sensi dell’art.
81, n. 3. Pur essendo vero che gli accordi che hanno per oggetto la
fissazione di prezzi, la ripartizione dei mercati o il controllo del volume
delle vendite si distinguono per il carattere particolarmente lesivo, motivo
per il quale non sono di regola compatibili con il mercato, una limitazione
della nozione di restrizione della concorrenza per oggetto a queste
fattispecie oltremodo dannose, mal si concilia con la struttura dell’art. 81, il
quale prevede, al n. 3, la possibilità che sussistano ipotesi restrittive della
concorrenza compatibili con il mercato comune, e, per ciò stesso,
consentite.
Nel caso di specie, gli accordi conclusi dalla Beef Industry vengono
valutati dalla Corte come anticoncorrenziali, in quanto implicano una
limitazione della libertà delle imprese, sia di quelle che si ritirano, sia di
quelle che rimangono, nelle scelta delle proprie strategie economiche,
96
WHISH, Competition Law, Londra, 5ª ed., 2003; BELLAMY & CHILD, op. cit.; FAULL e
NIKPAY, cit.
45
alterando così le condizioni di mercato, in particolare per la forte riduzione
del 25% della capacità produttiva dell’intero settore della trasformazione a
seguito dell’uscita dal mercato di singole imprese trasformatrici, che senza
dubbio incide sulla concorrenza.
Attraverso un ragionamento a contrario, la Corte osserva che, in
assenza dei contratti della BIDS, per la funzione selettiva della concorrenza
rimarrebbero sul mercato le imprese più efficienti, mentre gli accordi
elaborati dalla Beef Industry, prevedendo l’uscita concordata di alcune
imprese a condizioni definite, alterano i meccanismi tipici del mercato,
restringendo la libertà di autodeterminazione delle imprese nella scelta delle
proprie politiche.
Emerge così, come metodo di valutazione di grande interesse, che,
per stabilire se determinati accordi alterino le condizioni di mercato,
bisogna procedere ad un paragone fra due possibili situazioni: quella
configurabile in assenza di tali accordi e quella configurabile dando
applicazione agli stessi, considerato che l’art. 81, n. 1, del Trattato Ce tutela
anche la concorrenza potenziale97. Come la lettura stessa della disposizione
suggerisce, viene in rilievo, infatti, sia l’alterazione attuale sia quella solo
potenziale della concorrenza. Per l’applicazione della disciplina antitrust
non è necessario che una alterazione della concorrenza si sia prodotta; è
sufficiente anche una valutazione prognostica, che consideri la capacità di
un certo comportamento a determinare, per un futuro più o meno
immediato, una falsificazione della concorrenza nel mercato98.
In conclusione del suo ragionamento, la Corte ritiene che gli accordi
del tipo di quelli conclusi dalla Beef Industry siano da considerarsi vietati ai
sensi dell’art. 81, n. 1, del Trattato Ce, dal momento che contrastano con la
97
Sentenza Delimitis, nt. 29.
98 Sul concetto di concorrenza potenziale si veda la decisione della Commissione del 14
luglio 1986, Fibre Ottiche, in GUCE, L 236/1986.
46
concezione intrinseca alle norme del Trattato Ce in materia di concorrenza,
in base alla quale ogni operatore economico deve determinare
autonomamente la politica che si propone di praticare sul mercato. «L’art.
81, n. 1, Ce intende infatti evitare ogni forma di coordinamento che
sostituisca scientemente una cooperazione pratica tra imprese ai rischi della
concorrenza».
In un sistema di concorrenza non alterato, le imprese non hanno
«altro modo di migliorare la propria redditività che intensificare la loro
rivalità commerciale o ricorrere ad operazioni di concentrazione».
Attraverso accordi del tipo di quelli conclusi dalla Beef Industry, invece, le
imprese «possono risparmiarsi tale processo e condividere una parte
importante dei costi necessari per accrescere il livello di concentrazione del
mercato».
Secondo alcuni commentatori il ragionamento della Corte, che
rievoca l’antica questione dell’Industria europea dello zucchero in merito
alla nozione di «pratica concertata», condurrebbe all’estremo di considerare
tutti gli accordi tra imprese in competizione come aventi un oggetto
anticoncorrenziale, ponendo l’accento sull’oggetto in sé di un accordo,
anziché sugli effetti, contrariamente all’impostazione dominante in diritto
della concorrenza, che insiste sull’importanza di una analisi degli effetti99.
Il caso di specie dimostra che utilizzare per l’analisi dell’accordo o
dell’intesa le fattispecie tipizzate di restrizioni alla concorrenza potrebbe
risultare inappropriato; inoltre, per un accertamento scrupoloso di accordi e
intese, come l’esame delle condizioni dei contratti BIDS svolto dalla Corte,
è necessario considerare attentamente anche gli elementi del contesto
giuridico ed economico rilevanti in cui si realizzano gli accordi e le
pratiche, contesto che assume rilevanza decisiva solo nella misura in cui
99
IDOT, Prise de position de la Cour de justice des Communautés européennes sur la
notion d’«accord ayant un objet anticoncurrentiel», in Revue des contrats, n. 1, 2009.
47
metta in dubbio o giustifichi una restrizione della concorrenza altrimenti
vietata. Altri elementi possono essere valutati solo nell’ambito dell’art. 81,
n. 3, del Trattato Ce e la compatibilità di pratiche ed accordi con la
normativa antitrust deve essere valutata dagli stessi operatori che li
pongono in essere, soprattutto in virtù della nuova disciplina antitrust
introdotta nell’ordinamento comunitario con i regolamenti applicativi.
La Commissione europea, che nella controversia in esame ha
presentato le proprie osservazioni scritte, pare avere colto la rilevanza della
decisione della Corte nell’aver sostenuto che l’oggetto degli accordi BIDS
era con tutta evidenza anticoncorrenziale, così che non era necessario
analizzare il loro effetto. A seguito della pubblicazione della sentenza, la
Commissione ha reso noto che «la decisione della Corte è importante in
quanto ribadisce che gli accordi tra concorrenti restrittivi della capacità
produttiva o della produzione rappresentano limitazioni significative della
concorrenza, che frequentemente danneggiano i consumatori»100. La
Commissione sembrerebbe, però, sottostimare l’importanza della decisione
della Corte sulla nozione di restrizione per oggetto, in connessione con il
contesto economico-giuridico di riferimento, così come sembrerebbe non
considerare adeguatamente la statuizione secondo cui l’art. 81, n. 1, del
Trattato Ce non va inteso come un elenco finito e completo di restrizioni
della concorrenza per oggetto.
Infine, in termini più generali, l’applicazione dell’art. 81, n. 1, del
Trattato Ce, secondo la Corte, deve avere luogo a prescindere dalla
situazione economica esistente in un particolare mercato; infatti, l’intento di
un fine legittimo di un accordo non preclude l’esistenza di una restrizione
della concorrenza per oggetto e l’attuazione della normativa a tutela della
concorrenza non è esclusa per gli accordi che sono animati dalla finalità di
100
Antitrust: la Commissione accoglie con favore la decisione della Corte nel caso Irish
Beef, Bruxelles, 20 novembre 2008, MEMO 08/728.
48
arginare o superare gli effetti di una crisi economica e finanziaria in tempi
di recessione, come quelli attuali; oltre a ciò, le legittime finalità di
regolazione della produzione devono essere perseguite con strumenti
appropriati che non mettano in pericolo i principi basilari della concorrenza
nel libero mercato di cui sono intrise le norme del Trattato comunitario.
Rimane l’interrogativo se sia utile e opportuna una stretta
applicazione delle norme del Trattato, che affidi solo al mercato la funzione
selettiva degli operatori interessati, piuttosto che assecondare accordi
finalizzati a raggiungere i medesimi risultati coinvolgendo e impegnando
gli stessi protagonisti della competizione economica.
La tutela della libertà di concorrenza assume un valore sicuramente
essenziale per lo sviluppo dell’economia. Ma una sua applicazione in
termini assolutamente rigorosi, può comportare sacrifici eccessivi di beni e
di risorse, con risultati discutibili sul piano della stessa razionalità
economica.
Per tornare all’analisi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, gli
accordi non rientrano nel divieto di cui allo stesso articolo se non
producono un effetto sensibile sulla concorrenza. Sebbene la formulazione
della norma suggerisca che è vietata qualsiasi restrizione della concorrenza,
a prescindere dalla sua intensità, la Corte di giustizia, come già ricordato, ha
sancito il principio della regola de minimis, secondo il quale, affinché un
accordo sia contrario all'art. 101, paragrafo 1, l'effetto restrittivo deve essere
sensibile. In Völk c. Vervaecke, la Corte ha stabilito che «l'accordo non
ricade sotto il divieto dell'articolo 81, paragrafo 1 [ora art. 101, paragrafo 1,
TFUE] qualora, tenuto conto della debole posizione dei partecipanti sul
mercato dei prodotti di cui trattasi, esso pregiudichi il mercato in misura
irrilevante»101.
101
Sentenza della Corte di giustizia, del 9 luglio 1969, in causa 5/69, Völk c. Vervaecke,
[1969], in Racc. 295 (punti 5-7).
49
La Commissione ha fornito degli orientamenti in materia di
applicazione della regola de minimis in una serie di successive
comunicazioni, l'ultima delle quali è stata emanata nel 2001102.
Lo scopo della Comunicazione de minimis è di determinare, sulla
base delle soglie di quota di mercato, i casi in cui la restrizione della
concorrenza ai sensi dell'articolo 101, paragrafo 1, TFUE non sia sensibile.
Nella Comunicazione de minimis la Commissione ha stabilito il principio
secondo cui, allorché le quote di mercato delle parti di un accordo non
superino determinate soglie prestabilite, l'accordo, in linea di principio, non
è in grado di restringere in modo sensibile la concorrenza. La
Comunicazione de minimis, infatti, ha il solo obiettivo di individuare delle
soglie al di sotto delle quali possa essere esclusa la violazione dell'articolo
101, paragrafo 1, TFUE.
Per i più svariati motivi può accadere che accordi tra imprese, che
eccedono le soglie di quota di mercato individuate dalla Comunicazione de
minimis, possano ciononostante avere effetti trascurabili sulla concorrenza
e, di conseguenza, non ricadere nel divieto di cui all'art. 101, paragrafo 1,
TFUE.
Tradizionalmente la finalità della concorrenza viene individuata
innanzitutto in quella di assicurare l’affermazione sul mercato degli
imprenditori più meritevoli, ma vi è anche il fine di salvaguardare gli
interessi dei consumatori. Tuttavia, altre finalità appaiono perseguite dal
diritto comunitario, come l’integrazione del mercato, la massimizzazione
del numero dei concorrenti, la promozione della libertà di ingresso nel
mercato, la competitività internazionale.
Per realizzare questi obiettivi è necessario che la preferenza sia data
all’economia di mercato, ovvero a quel sistema economico in cui la libertà
102
Vedi nt. 75.
50
di concorrenza assurge a valore fondativo dell’ordinamento comunitario.
Questo implica che le decisioni sulla domanda e sull’offerta devono essere
adottate liberamente dai consumatori e dai produttori; quindi le scelte degli
acquirenti e le strategie delle imprese dovrebbero risultare guidate dalle
dinamiche del mercato e dalla competizione, e non già dalle istituzioni
comunitarie o dagli Stati membri.
Ma se il settore della disciplina della concorrenza è il campo delle
relazioni tra imprese, cioè il campo di regolazione di libertà “orizzontali”,
mentre la libertà di iniziativa economica esprime una dimensione
“verticale”, si avverte la necessità di regole che impediscano alle imprese
comportamenti incompatibili con un sistema di gara leale, efficace e non
distorta; e altresì si avverte la necessità di altre regole dirette a rendere
compatibili con i principi della concorrenza gli interventi che gli Stati
volessero effettuare sui mercati o nei confronti delle imprese nazionali.
Sotto questo duplice profilo vengono in evidenza le norme che vietano gli
accordi tra imprese (art. 101 del TFUE, già art. 81 del Trattato di Roma) e
l’abuso di posizioni dominanti (art. 102 TFUE, già art. 82), da un lato, e le
norme in tema di aiuti di Stato (art. 107 TFUE, già art. 87).
In forza dell’applicazione attenta e rigida di queste norme, la libertà di
concorrenza ha svolto e continua a svolgere un ruolo essenziale per
l’integrazione comunitaria, avendo concorso all’abolizione delle barriere
all’interno dell’Unione, anche e soprattutto per l’azione della Corte di
giustizia che ha più volte ribadito il divieto per gli Stati membri di porre in
essere qualsiasi misura atta a privare le regole di concorrenza del loro
effetto utile103.
Ne deriva la necessità di considerare anche la misura degli effetti delle
intese sul mercato, con la conseguenza di dover procedere ad un’analisi del
103
Sentenza della Corte di giustizia, del 13 febbraio 1969, in causa C-13/68, Wilhelm.
51
mercato se si vuole dimostrare che un accordo abbia l’effetto di produrre
una restrizione della concorrenza.
Nella valutazione dell’impatto che le intese devono avere sul mercato,
acquista importanza la nozione di “mercato rilevante”, cioè occorre tenere
conto dell’estensione materiale del mercato dei prodotti, ovvero del mercato
come «l’insieme dei prodotti che in funzione delle loro caratteristiche sono
particolarmente
atti
a
soddisfare
bisogni
costanti
e
sono
poco
intercambiabili con altri prodotti»104, e ciò al fine di potere valutare in
concreto se la vittima del preteso comportamento abusivo possa sottrarvisi
rivolgendosi a fornitori di beni o servizi equivalenti.
Ne è conseguita la prassi della Corte di giustizia, secondo cui non
raggiungono la soglia di “sensibilità”, pretesa per l’applicazione della
normativa anticoncorrenziale, le intese c.d. de minimis, ovvero quelle intese
tra imprese detentrici di una modesta quota di mercato, e ciò per la scarsa
apprezzabilità dei loro effetti sulla concorrenza105.
Con riguardo a tale aspetto, va aggiunto che la giurisprudenza della
Corte ha enucleato anche il principio c.d. di ragionevolezza o rule of
reason, per il quale è necessario valutare in modo comparativo gli elementi
delle varie intese, salvando le restrizioni alla libertà di azione delle imprese
che sono, nel concreto, compensate o superate da altri effetti incentivanti la
concorrenza, e ciò mediante un approccio di tipo economico diretto a
valutare l’effettiva ripercussione degli accordi sul mercato e tenendo conto
sia della struttura del mercato interessato, sia del reale potere delle parti su
tale mercato106.
104
Decisione della Commissione del 7 marzo 2003, Michelin.
Sentenza Völk, nt. 101.
106
Sono stati, ad esempio, ritenuti legittimi i patti temporanei di non concorrenza
“ancillari” ad accordi di cessione di azienda (sentenza della Corte di giustizia, dell’11 luglio 1985,
in causa C-42/84, Remia), i contratti di licenza esclusiva di vendita (sentenza della Corte, dell’8
giugno 1982, in causa C-258/78, Nungesser), i contratti di franchising per alcuni prodotti
(sentenza della Corte, del 28 gennaio 1985, in causa C-161/84, Pronuptia), i contratti di
105
52
Allo stesso modo va aggiunto che la dottrina sovente ha sollevato la
questione se la regola di ragionevolezza – che comporta la necessità di
bilanciare gli effetti favorevoli alla concorrenza con quelli sfavorevoli di un
determinato accordo allo scopo di determinare se esso sia o meno contrario
all’art. 101 (1) – dovesse trovare riconoscimento nell’ordinamento
comunitario107.
L'articolo 101, paragrafo 2, TFUE stabilisce che gli accordi o
decisioni vietati ai sensi del paragrafo 1 «sono nulli di pieno diritto», senza
che sia necessaria una previa decisione in tal senso. La regola della nullità
di pieno diritto riflette i principi stabiliti dall'art. 3 (1) (b) TFUE, il quale
prevede che l'art. 101 TFUE è essenziale per lo svolgimento delle
competenze affidate all'Unione europea e, in particolare, per il
funzionamento del mercato interno108.
Un accordo o una pratica che violi l'art. 101, paragrafo 1, è, tuttavia,
esentato dal divieto, qualora risultino soddisfatte le quattro condizioni
previste dall'articolo 101, paragrafo 3. La sussistenza dei requisiti di cui al
paragrafo 3 è, peraltro, presunta nel caso in cui l'intesa rientri in
un'esenzione per categoria.
Essendo il primo paragrafo dell’art. 101 TFUE norma direttamente
applicabile, le autorità preposte alla tutela della concorrenza e i giudici
nazionali hanno il potere di dichiarare un'intesa nulla ai sensi del paragrafo
2. La Corte di giustizia ha chiarito al riguardo che la sanzione di nullità si
estende solo alle clausole dell'accordo o della pratica che violino l'art. 101,
distribuzione quando la rete di accordi non vincola un numero considerevole di punti vendita e per
un periodo prolungato (sentenza Delimitis, cit.).
107
Dopo avere negato l’esistenza della regola di ragionevolezza, la Corte di giustizia con
la sentenza Wouters, citata a nt. 63, ha riacceso il dibattito. Per una discussione più approfondita
della sentenza si veda WHISH, Competition Law, Oxford University Press, 2003, pp. 120-123.
108
Sentenza della Corte di giustizia, del 1 giugno 1999, in causa C-126/97, Eco Swiss
China Time Ltd. c. Benetton, [1999], in Racc. I-3055 (punto 36).
53
paragrafo 1, TFUE109. Le conseguenze della nullità delle clausole
anticoncorrenziali rispetto all'intero accordo, cioè rispetto alle clausole
dell'accordo non colpite dalla sanzione di nullità, non dipendono, peraltro,
dal diritto europeo, bensì sono determinate dai tribunali nazionali
conformemente ai principi stabiliti dalle rispettive legislazioni110. Le altre
parti dell'accordo possono, pertanto, conservare validità ed efficacia nella
misura in cui ciò sia possibile in base al diritto nazionale.
L'articolo 101, paragrafo 3, TFUE disciplina le condizioni da
soddisfare perché un'intesa, che violi il paragrafo 1, possa godere di
un'esenzione dal divieto e, quindi, evitare la sanzione di nullità di cui al
paragrafo 2. Il paragrafo 3 esclude dal divieto le intese che «contribuiscono
a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il
progresso tecnico o economico», purché riservino agli utenti una congrua
parte dell’utile che ne deriva e non diano alle imprese la possibilità di
eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui si
tratta, e purché le intese non contengano restrizioni non indispensabili per
raggiungere i detti obiettivi. Con tale ipotesi si è al di là della valutazione
dei soli profili concorrenziali, per la quale è sufficiente la rule of reason:
qui la Commissione fa un vero e proprio bilancio economico delle intese
nel contesto giuridico in cui si collocano111.
La Commissione originariamente aveva la competenza esclusiva
sull'applicazione dell'art. 101, paragrafo 3, TFUE; il nuovo Regolamento di
procedura ha profondamente cambiato le modalità di applicazione della
109
Sentenza della Corte di giustizia, del 30 giugno 1966, in causa 56/65, Société
Technique Minière c. Maschinenbau Ulm, in [1966] Racc., 262.
110
Sentenza della Corte di giustizia, del 14 dicembre 1983, in causa 319/82, Société de
Vente de Ciments et Bétons de l'Est c. Kerpen & Kerpen, [1983], in Racc. 4173 (punti 11-12).
111
Sono state così dichiarate ammissibili intese giustificate con esigenze di tutela
dell’ambiente (Decisione della Commissione dell’8 dicembre 1983, Carbon Gas Technologie), di
politica sociale (sentenze Corte di giustizia, del 25 ottobre 1977, in causa C-26/76, Metro I, e 22
ottobre 1986, in causa C-75/84, Metro II) e di politica energetica (Decisione della Commissione
del 30 aprile 1991 in Scottish Nuclear).
54
norma, sancendone la diretta applicabilità da parte dei giudici e delle
autorità nazionali garanti della concorrenza: la disposizione è stata così
trasformata in una vera e propria eccezione legale, opponibile dalle imprese
nell'ambito dei procedimenti per violazione dell'art. 101, paragrafo 1,
TFUE, senza il bisogno di alcuna preventiva decisione di esenzione al
riguardo. La Commissione ha adottato Linee direttrici sull'art. 101,
paragrafo 3, TFUE112, allo scopo di fornire alle autorità sulla concorrenza e
ai tribunali nazionali un'utile guida in materia.
Lo scopo del paragrafo 3 è quello di consentire alle intese che
violino il paragrafo 1 di non essere vietate qualora siano in grado di
generare guadagni di efficienza che prevalgano rispetto alle restrizioni della
concorrenza.
La valutazione degli accordi restrittivi ai sensi del paragrafo 3 in
questione è effettuata con riferimento al contesto effettivo in cui tali accordi
sono conclusi e sulla base degli elementi di fatto esistenti in un dato
momento. Il rispetto delle condizioni in esso previste deve permanere per
tutta la durata dell'accordo. Nel caso in cui, dopo la conclusione di un
accordo, una o più di queste condizioni vengano meno, l'esenzione non sarà
più efficace.
Ai fini della valutazione di tutte le circostanze rilevanti per la
qualifica di accordi e pratiche e la eventuale comminazione delle sanzioni
risulta utile l’analisi della sentenza del Tribunale di Primo grado Cetarsa c.
Commissione113, in cui si è dibattuto della gravità e durata delle infrazioni
accertate e l’applicazione del principio di proporzionalità nel comminare le
sanzioni da parte della Commissione114.
112
Vedi nt. 80.
Sentenza Trib. primo grado, del 3 febbraio 2011, in causa T-33/05, Cetarsa c.
Commissione, in GU C 82 del 2.4.2005.
114
La pronuncia prende avvio dal ricorso proposto contro la Commissione, per chiedere
l’annullamento della decisione di quest’ultima del 20 ottobre 2004, relativa ad un procedimento di
applicazione dell’art. 81, n. 1, del Trattato CE [ora art. 101, n. 1, TFUE]. A sostegno dei suoi
113
55
L’antecedente vede la ricorrente, SA Cetarsa, una delle quattro
imprese di prima trasformazione di tabacco greggio in Spagna, coinvolta
nella procedura volta ad accertare la violazione dell’art. 81 Trattato CE,
manifestare la propria volontà di cooperare, fornendo le informazioni
richieste dalla Commissione.
Al termine degli accertamenti la Commissione ha adottato la
decisione di violazione dell’art. 81 da parte di due accordi orizzontali
conclusi e attuati sul mercato spagnolo del tabacco greggio, aventi ad
oggetto la fissazione dei prezzi di vendita e la ripartizione delle quote
assegnate a ciascuna società di trasformazione, valutati come un’infrazione
unica e continuativa dell’art. 81, determinando le ammende da comminare a
ciascuna impresa partecipante agli accordi. L’ammontare delle ammende è
stato determinato in funzione della gravità e della durata delle infrazioni
commesse, applicando il metodo individuato dalle Linee Guida.
Nella valutazione sulla gravità delle intese, la Commissione ha
tenuto conto della natura delle infrazioni, del loro impatto concreto sul
mercato, dell’estensione geografica del mercato e delle dimensioni dello
stesso.
Secondo giurisprudenza consolidata l'applicazione dell'articolo 101,
paragrafo 3, TFUE non pregiudica l'applicazione dell'articolo 102 TFUE (ex
art. 82 TCE)115, che sanziona l’abuso di posizione dominante sul
argomenti la ricorrente adduce motivi tra i quali l’imposizione di una sanzione troppo elevata e
sproporzionata, l’erronea valutazione delle circostanze del caso di specie che hanno portato
all’inquadramento della fattispecie quale violazione della normativa a tutela della concorrenza,
l’errata valutazione della durata delle pratiche contestate e l’errata valutazione della partecipazione
della ricorrente alle pratiche anticoncorrenziali.
115
L’art. 102 TFUE stabilisce:
«È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere
pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più
imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.
Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:
a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre
condizioni di transazione non eque;
b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei
56
mercato116; sull’argomento si veda più approfonditamente in seguito.
L'articolo 101, paragrafo 3, TFUE prevede che un accordo o una
pratica che vìola il paragrafo 1 possa godere di un'esenzione, e pertanto
essere valido ed efficace, se sono contemporaneamente soddisfatte quattro
condizioni.
Secondo il Regolamento di procedura l'onere della prova della
sussistenza delle condizioni sostanziali di cui all'articolo 101, paragrafo 3,
TFUE incombe sulla parte che chiede di poter beneficiare dell'esenzione.
Specificamente, ai sensi dell'articolo, l'intesa:

deve contribuire a migliorare la produzione o la distribuzione dei
prodotti o dei servizi o a promuovere il progresso tecnico o economico;

deve riservare agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne
deriva;

non deve imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano
indispensabili per raggiungere tali obiettivi; e

non deve dare alle imprese la possibilità di eliminare la concorrenza
per una parte sostanziale dei prodotti (o servizi) di cui trattasi.
Essendo tali condizioni cumulative, qualora si accerti la mancanza di
una sola di esse, l'esenzione non può essere applicabile e quindi viene meno
il bisogno di procedere ad ulteriori valutazioni dell'accordo o della pratica
in relazione alle altre condizioni.
Le esenzioni per categoria, invece, riguardano intere categorie di
intese che, sulla base di una valutazione preventiva condotta in astratto,
risultano soddisfare ciascuna delle condizioni poste dal paragrafo 3
consumatori;
nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili
per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la
concorrenza;
d) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri
contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi
commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi».
116
Si vedano le Linee direttrici sull'articolo 81 (3) [ora 101 (3)], par. 106.
c)
57
dell'articolo 101 TFUE. La normativa in vigore ad oggi comprende le
seguenti
esenzioni
per
categoria:
accordi
verticali117,
accordi
di
cooperazione orizzontale118, accordi di trasferimento di tecnologia119,
accordi raggiunti nel settore delle assicurazioni120, accordi e pratiche nel
settore automobilistico121, accordi e pratiche settore dei trasporti122.
Un’attenzione particolare è stabilita, inoltre, dalla Commissione nel settore
dei servizi postali, nel settore delle professioni e nel settore delle
telecomunicazioni, senza, peraltro, siano previste, al momento attuale,
esenzioni specifiche.
Se un accordo vìola l'articolo 101, paragrafo 1, TFUE ma rientra in
117
Regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, relativo all'applicazione
dell'articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di
accordi verticali e pratiche concordate, in GU L 102 del 23.4.2010.
118
Regolamento n. 1218/2010 della Commissione del 14 dicembre 2010, relativo
all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
a categorie di accordi di specializzazione, in GU L335/43 del 18.12.2010 (“Regolamento di
esenzione degli accordi di specializzazione”). Regolamento n. 1217/2010 della Commissione del
14 dicembre 2010, relativo all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi in materia di ricerca e sviluppo, in GU
L335/36 del 18.12.2010 (“Regolamento di esenzione degli accordi in materia di ricerca e
sviluppo”).
119
Regolamento n. 772/2004 della Commissione del 27 aprile 2004, relativo
all'applicazione dell'articolo 81, par. 3, del Trattato a categorie di accordi di trasferimento di
tecnologia, in GUCE, 2004 L123/11 (“Regolamento di esenzione sugli accordi di trasferimento di
tecnologia”). Attualmente è in corso di revisione la normativa disciplinante gli accordi di
trasferimento di tecnologia, in quanto l’attuale regolamento cesserà di essere vigente il 27 aprile
2014.
120
Regolamento n. 267/2010 della Commissione del 24 marzo 2010, relativo
all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato a talune categorie di accordi, decisioni e
pratiche concordate nel settore delle assicurazioni, in GU 2010 L83/1 del 30.3.2010
(“Regolamento di esenzione nel settore delle assicurazioni”).
121
Regolamento n. 461/2010 della Commissione del 27 maggio 2010, relativo
all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a
categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico, in GU L 129/52 del
28.5.2010 (“Regolamento di esenzione nel settore automobilistico”).
122
Regolamento n. 906/2009 della Commissione del 28 settembre 2009, relativo
all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a talune categorie di accordi, di decisioni
e di pratiche concordate tra compagnie di trasporto marittimo di linea (consorzi), in GU L256/31
del 29.9.2009, che avrà efficacia sino al 25 aprile 2015; Regolamento n. 1459/2006 della
Commissione del 28 settembre 2006, sull'applicazione dell'articolo 81, par. 3, del Trattato a talune
categorie di accordi e pratiche concordate concernenti le consultazioni sulle tariffe per i passeggeri
nell'ambito dei servizi aerei di linea e sull'assegnazione di bande orarie negli aeroporti, in GUUE
2006 L272/3 (“Regolamento di esenzione per categoria del trasporto aereo”), tale esenzione per
categoria è stata adottata per un breve periodo di tempo, ora scaduto.
58
una delle sopraddette esenzioni per categoria, le parti sono dispensate
dall'onere di dimostrare che l'accordo soddisfa le condizioni di cui
all'articolo 101, paragrafo 3.
Per concludere, occorre precisare che, inizialmente, le esenzioni non
erano automatiche, ma dovevano essere oggetto di una specifica decisione
da parte della Commissione, la cui pronuncia assume, così, natura
costitutiva.
Con l’entrata in vigore del regolamento n. 1/2003 del Consiglio del
16 dicembre 2002 la regola generale viene capovolta ed ora vige il sistema
della non necessità di una preventiva decisione di autorizzazione delle
intese123, dal momento che d’ora in poi gli accordi che non soddisfano le
condizioni dell’art. 101, paragrafo 3 TFUE «sono vietati senza che occorra
una previa decisione in tal senso», mentre quelli che le soddisfano non sono
vietati negli stessi termini (art. 1 del regolamento n. 1/2003)124.
Inoltre, per l’art. 5 del Regolamento, è attribuito alle autorità
nazionali di tutela della concorrenza e del mercato il potere di valutare,
anche ai sensi del diritto comunitario, gli accordi, le decisioni, le pratiche
concordate e gli sfruttamenti abusivi, attribuendo loro la possibilità di
123
Tuttavia, ai sensi del considerando n. 14 del Reg. n. 1/2003, non è esclusa la
possibilità di avere in futuro regolamenti di esenzione per categorie, in quanto «può essere utile, in
casi eccezionali dettati da ragioni di interesse pubblico comunitario, che la Commissione adotti
decisioni di natura dichiarativa in ordine all’inapplicabilità del divieto di cui agli artt. 81 e 82 del
Trattato, al fine di rendere chiara la legislazione e di garantirne un’applicazione coerente nella
Comunità, in particolare per quanto riguarda nuovi tipi di accordi o di pratiche non consolidati
nella giurisprudenza e prassi amministrativa esistenti».
124
La letteratura sul Regolamento n. 1/2003 è molto ampia; tra i tanti si rimanda a P ACE,
La politica di decentramento del diritto antitrust CE come principio organizzatore del
Regolamento n, 1/2003: luci ed ombre del nuovo Regolamento di applicazione degli artt. 81 e 82
TE, in Riv. it. dir. pubb. comun., 2004, p. 147; PIGNATARO, Le misure di esecuzione del
Regolamento n. 1/2003 concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81
e 82 del Trattato, in Contratto e impresa/Europa, 2004, p. 1031; NYSSEN-PECCHIOLI, Il
Regolamento n. 1/2003 CE: verso una decentralizzazione ed una privatizzazione del diritto della
concorrenza, in Diritto dell’Unione europea, 2003, p. 357; TOFFOLETTI, Riforma del diritto
antitrust comunitario: giudizio di esenzione e diritti dei singoli, in Governo dell’impresa e mercato
delle regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, t. II, p. 995; TOSATO, Il processo di
modernizzazione, in TOSATO-BELLODI, Il nuovo diritto europeo della concorrenza. Aspetti
procedurali; Milano, 2004, p. 25.
59
ordinare la cessazione delle infrazioni e di comminare sanzioni125.
Addirittura viene decretato che l’art. 81 (3) [ora art. 101(3)] possa
essere invocato dai privati dinanzi ai giudici nazionali senza il preventivo
consenso della Commissione; per cui anche le Autorità garanti della
concorrenza nazionali e i giudici nazionali sono legittimati ad applicare la
normativa europea prevista dal Trattato (ora TFUE) e l’onere della prova,
secondo quanto previsto dal medesimo regolamento, è posto a carico di chi
(Autorità garante o parte interessata) deduce la violazione della normativa
europea sul divieto delle intese, mentre resta a carico dell’impresa, che
invoca la deroga, dimostrarne la fondatezza126.
125
PERA-CASSINIS, Applicazione decentrata del diritto comunitario della concorrenza: la
recente esperienza italiana e le prospettive di modernizzazione, in Dir. comm. internaz., 1999, p.
700; FRIGNANI-GENTILE-ROSSI, Prime riflessioni intorno al «Libro bianco» della Commissione
sulla «modernizzazione», in Mercato, concorrenza e regole, 2000, p. 171; GHEZZI, Il libro bianco
della Commissione sulla modernizzazione del diritto della concorrenza comunitario, in
Concorrenza e mercato, 2000, p. 175; MAGGIOLINO, Il progetto di Regolamento comunitario in
materia di procedure di applicazione degli artt. 81 e 82, in Concorrenza e mercato, 2001, p. 281.
126
I giudici e le Autorità nazionali, quando si pronunciano su accordi, decisioni o pratiche
già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in
contrasto con quella della Commissione, come decretato dall’art. 16 del Reg. n. 1/2003. Prima che
intervenisse quest’ultimo provvedimento, la questione è stato oggetto della sentenza della Corte di
giustizia 14 dicembre 2000, in causa C-344/98, Masterfoods, la quale traeva origine da una
clausola di esclusiva contenuta nei contratti stipulati da dettaglianti irlandesi con la società
fornitrice del prodotto alimentare, clausola che secondo quest’ultima era illecita così come ritenuto
dalla Commissione, mentre era pendente il giudizio davanti alla Corte di Cassazione irlandese. La
Corte di giustizia ha stabilito che il giudice nazionale non può adottare decisioni in contrasto con
quelle della Commissione e deve sospendere il suo giudizio, fin tanto che la Corte di giustizia non
si è pronunciata sul ricorso di annullamento della decisione della Commissione. Ne deriva che,
sulla base dell’architettura giuridica disegnata dal Trattato, la Corte ha attribuito alla Commissione
un ruolo preminente per quanto riguarda l’applicazione della disciplina della concorrenza,
rimanendo quest’ultima assoggettata solo al controllo della Corte di giustizia.
Sull’orientamento espresso dai giudici di Lussemburgo si sono basate successive
pronunce, come, ad esempio, la sentenza della Corte di giustizia 13 gennaio 2004, in causa C453/00, Kühne & Heitz, dove l’organo giudicante si è spinto ad affermare che «in presenza di una
successiva giurisprudenza comunitaria difforme, il principio di cooperazione rende “doveroso” per
l’amministrazione nazionale il riesame, su istanza di parte, dei provvedimenti adottati anche se
divenuti definitivi in seguito al passaggio in giudicato di una sentenza interna di ultima istanza».
Per un commento di questa pronuncia si rinvia a R INALDI, Miracoli dei polli olandesi: la primauté
del diritto comunitario va “oltre” il giudicato nazionale “anticomunitario”. E
all’Amministrazione spetta il compito di rimediare…, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2005, p. 651.
Anticipando in questa sede quanto sarà riportato nel testo nel capitolo apposito in
riferimento al ruolo e ai compiti della Commissione, da una parte, e delle Autorità garanti e dei
giudici nazionali, dall’altra, sia consentito ricordare che il Reg. n. 1/2003 prevede la possibilità di
collaborazione tra la Commissione e gli organi nazionali competenti in materia di concorrenza, in
ordine alla possibilità che i giudici hanno di rivolgersi alla Commissione per ottenere informazioni
60
2. Le peculiarità della disciplina della concorrenza per il
settore agrario nell’ordinamento europeo: l’art. 42 TFUE
La disciplina della concorrenza ha trovato sin dall’origine una sua
precisa collocazione nel diritto europeo dell’agricoltura. I pochi articoli
dedicati all’agricoltura e alla pesca nel Trattato (originariamente artt. 38-46
del Trattato che istituisce la CEE, poi 32-38 a seguito dell’entrata in vigore
del Trattato di Maastricht sull’Unione europea, ora artt. 38-44 TFUE),
delineano gli obiettivi a cui mirare nell’attuazione della politica agricola
comune e gli strumenti adeguati a realizzarla: tra di essi, l’attuale articolo
42 TFUE tratteggia i limiti che le regole generali sulla concorrenza
incontrano per il settore agricolo, in considerazione della strutturale
differenza della sua economia rispetto agli altri comparti, che ha portato gli
estensori a destinarne una normativa a sé stante127.
La specialità dell’agricoltura risiede, in particolare, nella sua struttura
sociale e nelle disparità naturali delle zone agricole, ma nel contempo essa
si presenta in stretta connessione con il resto dell’economia (art. 39 TFUE,
ex art. 33 TCE): ne consegue la necessità di adattare gli strumenti
individuati per la costruzione del mercato comune alla peculiarità del
settore.
Contrariamente a quanto sostenuto da autorevole dottrina128, l’originario
art. 42 del Trattato CEE (poi art. 36, ora art. 42 TFUE) segnala il singolare
o pareri sull’applicazione del diritto europeo della concorrenza (art. 15, paragrafo 1), e in ordine
alla facoltà della Commissione e delle Autorità garanti di indirizzare osservazioni scritte o orali
non vincolanti agli organi giudicanti quando questi si trovino a fare applicare la normativa
sovranazionale (art. 15, paragrafo 3).
127
SNYDER, Diritto agrario della Comunità Europea, trad. it., Milano, 1989, p. 26;
GERMANÒ e ROOK BASILE, Diritto agrario, in Trattato di diritto privato dell’Unione europea,
diretto da AJANI e BENACCHIO, Torino, 2006, p. 189 ss.
128
VENTURA, La politica agricola, in Manuale di diritto comunitario, a cura di
PENNACCHINI-MONACO-FERRARI BRAVO, II, Torino, 1984, p. 274, riteneva che il Regolamento n.
26/62 di attuazione delle norme del Trattato riservate all’agricoltura costituisse «un testo di portata
generale», perché doveva applicarsi «a tutti i prodotti agricoli indipendentemente dal fatto che essi
[fossero] o meno sottoposti ai meccanismi specifici di un’organizzazione comune dei mercati».
61
trattamento riservato all’agricoltura rispetto agli altri settori economici con
particolare riguardo alla disciplina in materia di concorrenza. Invero, come
ha osservato la Corte di giustizia129, con tale disposizione «sono stati
riconosciuti nel contempo sia la priorità della politica agricola rispetto agli
obiettivi del Trattato nel settore della concorrenza, sia il potere del
Consiglio di decidere in quale misura le regole della concorrenza vengono
ad applicarsi nel settore agricolo»130. Il che significa che la concorrenza è
solo uno strumento per il perseguimento della politica agricola comune e,
dunque, ben può essere legittimamente sacrificata al fine di perseguire gli
obiettivi di cui all’art. 33 TCE (ora art. 39 TFUE). L’applicazione delle
norme antitrust, infatti, secondo la giurisprudenza di Lussemburgo, non può
valere come giustificazione per derogare alle norme della PAC131. L’unica
“concessione” ammessa è quando il Consiglio considera ad esempio un
aiuto pubblico compatibile con il mercato comune (art. 107, par. 3, TFUE,
ex art. 87, par. 3, TCE). Questa mancanza di coordinamento nella normativa
è risultata in alcuni casi significativa, come nel settore viti-vinicolo,
caratterizzato da sempre da strutturali problemi di sovrapproduzione132.
Questa considerazione risulta corretta anche in riferimento agli aiuti
eventualmente destinati dai singoli Stati e che potrebbero essere distorsivi
della concorrenza, come contenuto nel paragrafo 2 dell’art. 36 TCE (ora
129
Sentenza Corte di giustizia UE del 5 ottobre 1994, in causa 280/93, Repubblica
federale di Germania c. Consiglio CEE, in Giur. it., 1995, I, c. 1145 con nota di VELLANO, e in
Dir. e giur. agr., 1996, p. 95 ss. (con il saggio di GERMANÓ, Il principio della libertà di
concorrenza e la disciplina comunitaria dell’agricoltura, ivi, p. 77 ss.). Negli stessi termini si era
già espressa la sentenza Maizena c. Consiglio, in causa 139/79.
130
La tesi secondo la quale il Trattato riserverebbe condizioni di favore in materia di
concorrenza al settore agricolo, e riconoscerebbe la preminenza degli obiettivi indicati nell’art. 39
TFUE rispetto alle esigenze generali della concorrenza, posta, così, in posizione ancillare, ha
rilievo anche nel nostro ordinamento, laddove l’art. 1, comma 4°, legge n. 287 del 1990, come
meglio si vedrà infra, in ordine all’interpretazione delle norme rinvia esplicitamente «ai principi
dell’ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza».
131
Sentenza della Corte di giustizia, del 12 dicembre 2002, in causa C-456/00, Francia c.
Commissione, in Raccolta 2002, p. I-11949.
132
Sentenze della Corte di giustizia, del 29 febbraio 1996, in causa C-122/94,
Commissione c. Consiglio; del 19 febbraio 1998, in causa C-309/95, Commissione c. Consiglio, in
Raccolta, I-655.
62
art. 42 TFUE), il quale prevede che il Consiglio possa autorizzare la
concessione di aiuti da parte dei singoli Paesi membri nei limiti ivi indicati.
Sotto questo profilo, il modello giuridico europeo relativo alla
disciplina della concorrenza in agricoltura differisce da quello nordamericano in cui la materia della concorrenza è autonoma rispetto alla
elaborazione della politica agricola133.
In principio, in assenza di tale disciplina determinata dal Consiglio la
normativa sulla concorrenza contenuta negli artt. 85 e 86 del Trattato è
rimasta sospesa134, sino all’emanazione, comunque tempestiva, del reg.
26/62, anche se, in taluni casi, all’interno di alcune organizzazioni comuni
di mercato le norme generali sulla concorrenza sono state dichiarate
applicabili, in riferimento agli aiuti statali135.
Nel determinare, però, la misura di applicazione delle regole della
concorrenza al settore agricolo, il Consiglio, con un primo provvedimento
di portata generale, quale il reg. 26/62, ha adottato una soluzione che in
apparenza sembrerebbe avere ridimensionato in maniera sensibile l’opzione
di fondo contenuta nell’art. 36 del Trattato CE (l’attuale art. 42 TFUE).
Infatti, l’art. 1 del reg. 26/62, capovolgendo il contenuto dell’art. 42 Trattato
CEE prevedeva, in linea di principio, l’applicabilità degli articoli da 85 a 90
del Trattato (poi artt. 81-86 TCE, ora artt. 101-106 TFUE), nonché le
disposizioni attuative dei medesimi, fatte salve le specifiche eccezioni
disposte nel successivo art. 2.
L’area di applicazione del reg. 26/62 va circoscritta, secondo un
indirizzo costante della Corte di giustizia, che non appare meritevole di
133
JANNARELLI, La concorrenza nel sistema agroalimentare e la globalizzazione dei
mercati, cit., p. 435.
134
Sentenza della Corte di giustizia, del 21 febbraio 1984, in causa 337/82, St. Nikolaus
Brennerei und Likorfabrik, in Raccolta, p. 01051.
135
Contra, sentenza della Corte di giustizia, del 25 maggio 1977, in causa 105/76,
Interzuccheri S.p.A. c. Società Rezzano e Cavassa, in Raccolta, p. 01029.
63
censure136, e della stessa Commissione, ai soli prodotti ritenuti agricoli ai
sensi dell’allegato II (ora all. I) del Trattato137: il criterio principale per
definire l’ambito di operatività del reg. 26/62 resta quello merceologico, per
cui la distinzione tra operatori agricoli in senso stretto e imprese agroindustriali è destinata a rilevare solo nel quadro delle esenzioni previste
nell’art. 2 del medesimo regolamento, che, secondo l’interpretazione
prevalente in dottrina, si riferisce si soli produttori agricoli, pur non
mancando opinioni differenti. A giudizio di insigni studiosi, infatti, sotto
questo profilo nel sistema comunitario, a differenza di quello nordamericano, il favor in materia di esenzione dall’applicazione della
disciplina della concorrenza non si riferisce solo agli imprenditori agricoli
in quanto tali, ma riguarda tutti gli operatori della filiera, dalla produzione
sino alla commercializzazione finale. Del resto, ai fini di questa esenzione,
l’accordo o l’intesa possono essere promossi non solamente da agricoltori
in senso stretto, ma anche da commercianti e da industriali. E allora, «il
favor delineato nel reg. 26 del 1962 per l’”agricoltura” non solo si riferisce
136
Contra, però, LORVELLEC, L’applicazione del diritto della concorrenza al settore
agricolo. Aspetti di diritto francese e comunitario, in Riv. dir. agr., 1995, I, p. 297. L’orientamento
della Corte di giustizia sembrerebbe valido per il fatto che il reg. 26/62, in particolare l’art. 2,
introduce delle deroghe al divieto generale di accordi previsto dall’art. 101 TFUE, e, quindi,
plausibilmente deve essere interpretato in senso letterale. Semmai di un atteggiamento oltremodo
rigoroso della Corte e, dunque, per certi versi non condivisibile, si può parlare a proposito della
conclusione che si legge nella decisione 15 dicembre 1994, in causa 250/92, in Raccolta, I, p.
5671, secondo la quale l’art. 42 del Trattato rappresenterebbe una disposizione derogatoria «il cui
campo d’applicazione, analogamente a quello del regolamento n. 26, non può venire esteso
implicitamente mediante l’adozione di provvedimenti fondati sull’articolo 43 del trattato, norma
che attribuisce al Consiglio il potere di adottare gli atti necessari per la realizzazione della politica
agricola comune». D’altro canto, non può condividersi il suggerito richiamo analogico al reg.
26/62 per interpretare l’art. 42 del Trattato: quest’ultima disposizione non solo è di rango superiore
rispetto al regolamento, ma ne costituisce il fondamento giuridico.
137
Sentenza Tribunale di primo grado CE, 2 luglio 1992, in causa T-61/89, Dansk
Pelchpavleforeing, che esclude l’applicazione del reg. 26/62 a un accordo relativo alla produzione
di pellicce, in quanto prodotti non compresi nell’allegato I del Trattato, con commento di
GERMANÒ, La nozione comunitaria di agricoltura e di prodotto agricolo, in GERMANÒ e ROOK
BASILE, La disciplina comunitaria e internazionale del mercato dei prodotti agricoli, Torino,
2002, p. 52 ss. Anche la sentenza della Corte di giustizia CE, 25 agosto 1981, in causa C-61/80
Coöperatieve Stremsel en Kleurselfabriek, ha escluso l’applicazione del reg. 26/62 a prodotti di
origine animale non compresi nell’All. I del Trattato, anche se utilizzati per l’ottenimento di
prodotti agricoli.
64
al sistema agro-alimentare in quanto tale, ma, per certi versi, si rivela
oltremodo garantista per la parte strettamente industriale dello stesso»138.
Ulteriormente, in ambito nazionale, sulla modello europeo ma, alla fine,
in violazione dello stesso, sono state emanate normative al fine di
legittimare, ben oltre gli stessi limiti di cui al reg. 26/62, organizzazioni
interprofessionali, di cui possono far parte anche soggetti economici diversi
dai produttori agricoli.
A titolo esemplificativo, e sul punto l’analisi sarà più esauriente nel
prosieguo, è sufficiente prendere in considerazione l’art. 11 del d.lgs. 30
aprile 1998, n. 173, avente ad oggetto accordi del sistema agroalimentare.
Tale norma prevede la stipula di accordi che, da un lato, possono avere
come protagonisti solo produttori agricoli oppure anche altre imprese,
sempre che beneficino di una stessa DOP o IGP o AS, dall’altro, si
riferiscono ad «una programmazione previsionale della produzione»,
ovvero ad «un piano di miglioramento della qualità, avente come
conseguenza diretta una limitazione del volume dell’offerta» o «una
concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati della produzione
degli aderenti».
Si noti che la disposizione in esame pone sullo stesso piano, senza
alcuna consapevolezza della differenza che pur esiste nel reg. 26/62, accordi
promossi solo da produttori agricoli e accordi (anche interprofessionali) che
intervengono tra produttori agricoli ed altri soggetti, che presentano profili
evidentemente anticoncorrenziali. Essi, infatti, integrano intese che, come si
vedrà tra breve, possono rientrare solo nella prima ipotesi indicata dall’art.
2 del reg. 26/62, per cui possono godere dell’esenzione solo se risultano
strettamente necessarie al raggiungimento delle finalità della PAC. Ma è di
tutta evidenza che gran parte di questi accordi previsti dalla disciplina
138
JANNARELLI, La concorrenza nel sistema agroalimentare e la globalizzazione dei
mercati, in Dir. giur. agr. e dell’amb., 2000, p. 438.
65
nazionale non presentano i requisiti richiesti dalla disciplina europea al fine
della loro esenzione dalle regole di concorrenza, risultando, quindi, del tutto
illegittimi.
L’art. 42 TFUE (ex art. 36 TCE, ex art. 42 Trattato di Roma) è
strettamente collegato all’art. 40 (ex art. 34 TCE); quest’ultima norma
delinea il modo in cui l’Unione può incidere sulla concorrenza nel mercato
comune attraverso la sua azione regolatrice per il raggiungimento delle
finalità indicate nell’art. 33 del Trattato CE (ora 39 TFUE)139, prevedendo
la possibilità di creare un’organizzazione comune dei mercati agricoli che
determini regole comuni in materia di concorrenza140.
Nella giurisprudenza della Corte di giustizia è stato espressamente
affermato che la PAC ha la priorità su un sistema di concorrenza perfetta141.
Seppure sia vero, infatti, che uno degli strumenti più rilevanti per realizzare
gli obiettivi tracciati dall'art. 3 (ex art. 2) TUE è senza dubbio l'azione
dell'Unione rivolta alla creazione di un regime concorrenziale, dal momento
che la sana concorrenza rappresenta uno degli obiettivi primari dell'Unione
e al tempo stesso uno degli strumenti più efficaci per mantenere e
consolidare l'assetto del mercato, ma anche, e soprattutto, lo sviluppo
economico. Che poi la concorrenza sia più uno strumento del mercato e
vada utilizzata principalmente in funzione di quest'ultimo o sia piuttosto un
obiettivo autonomo è una questione che talvolta si pone rispetto al caso
concreto, ma che in definitiva non richiede una risposta astratta e di
139
McDONNELL, KAPTEYN, MORTELMANS, TIMMERMANS, The Law of the European
Union and the European Communities, November 2008, p. 1156.
140
L’art. 40 TFUE (ex art. 34 TCE) dispone al paragrafo 1: « Per raggiungere gli obiettivi
previsti dall’articolo 39 è creata un’organizzazione comune dei mercati agricoli. A seconda dei
prodotti, tale organizzazione assume una delle forme qui sotto specificate:
a) regole comuni in materia di concorrenza;
b) un coordinamento obbligatorio delle diverse organizzazioni nazionali del mercato;
c) un’organizzazione europea del mercato».
141
Sentenze della Corte di giustizia, del 12 dicembre 1972, cause riunite 21A-24/72, International
Fruit Company et al. c. Commissione; del 29 ottobre 1980, in causa 139/79, Maizena c. Consiglio,
in Raccolta 1980, p. 03393.
66
principio.
Seppure, poi, più volte è stato ribadito che la sana concorrenza «implica
l'esistenza sul mercato di una concorrenza efficace (workable competition),
cioè di un'attività concorrenziale sufficiente a far ritenere che siano
rispettate le esigenze fondamentali e conseguite le finalità del Trattato e – in
particolare – la creazione di un mercato unico che offra condizioni analoghe
a quelle di un mercato interno»142.
Nonostante ciò, la Corte ha anche affermato che la concorrenza è solo
uno degli interessi che la Comunità prende in considerazione nello
svolgimento del suo potere discrezionale143. A seconda del modello adottato
dalla PAC, le misure restrittive della concorrenza, sia messe in atto da
imprese sia dagli Stati membri attraverso gli aiuti, possono ricoprire un
ruolo utile nel contesto normativo generale della Comunità: proprio per
questo il Trattato ha previsto una disciplina derogatoria in materia di
concorrenza per il settore agricolo144.
Se l’art. 42 TFUE (ex art. 36 TCE), va letto in combinato disposto con le
norme contenute nel regolamento di applicazione n. 26/62, allo stesso modo
va esaminato in connessione con gli artt. 175 e 176 del reg. n. 1234/2007145,
dove attualmente trovano sede le norme sulla concorrenza applicabili al
settore agricolo, come si vedrà alla luce della disamina che segue. Si deve,
allora, prendere atto che gli artt. 101-106 TFUE si applicano a tutti gli
accordi, decisioni e pratiche riguardanti la produzione o il commercio anche
dei prodotti agricoli elencati nell’art. 1 del reg. n. 1234/2007, come
142
Sentenze Metro, cit., punto 20; Continental Can, citata alla nt. 21, punti 25-26;
sentenza della Corte di giustizia, del 13 febbraio 1979, in causa 85/76, Hoffmann-La Roche, punto
38, in Raccolta p. 461.
143
Sentenza della Corte di giustizia, del 23 febbraio 1988, in causa 68/86, Regno Unito c.
Consiglio.
144
Sentenza della Corte di giustizia, del 12 dicembre 2002, in causa C-456/00, Francia c.
Commissione.
145
Per un utile approfondimento sul reg. n. 1234/2007 si vedano i commenti alle norme in
Il regolamento unico sull’organizzazione comune dei mercati agricoli (reg. CE 22 ottobre 2007, n.
1234), a cura di Costato, in Leggi civ. comm,, 2009, 1 ss.
67
affermato dall’art. 175 del regolamento da ultimo citato, che, ugualmente,
espressamente fa salve le eccezioni disposte dal successivo art. 176.
Il tema della concorrenza, pur diffusamente esplorato, per l’evolversi del
Diritto agrario, nato come disciplina della produzione agricola, che ne
rappresenta l’aspetto tuttora preponderante, sempre più in direzione dei
mercati dei prodotti agricoli e alimentari, in relazione a tale evoluzione
presenta angolazioni nuove di grande interesse.
Autorevole dottrina suggerisce che la regolamentazione giuridica dei
rapporti fra produzione agroalimentare e concorrenza può essere suddivisa
temporalmente in almeno tre fasi146, la prima delle quali può essere fatta
risalire al codice civile italiano e alla sua chiara qualificazione
dell’agricoltore come imprenditore.
Il cosiddetto “statuto” dell’imprenditore agricolo (che prevedeva
inizialmente l’esenzione dalla tenuta delle scritture contabili, l’assenza
dell’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, l’esenzione dal
fallimento ecc.) consentì non solo di adeguare la disciplina giuridica alla
realtà sociologica delle campagne, ma rappresentò anche una sorta di
condizione di favore nei confronti delle imprese agricole per metterle su un
piano di sostanziale parità con gli altri imprenditori.
La dottrina in questione ritiene che la seconda fase temporale sia
rappresentata dalle disposizioni contenute nel Trattato CE, secondo cui
l’applicazione delle regole sulla concorrenza incontra una deroga
importante per la produzione e il commercio dei prodotti agricoli, quali
quelli contenuti nell’Allegato II (ora Allegato I), seppure tra essi vi siano
moltissimi
prodotti
alimentari,
oppure
prodotti
che
costituiscono
componenti fondamentali di prodotti alimentari.
146
BORGHI, Mercato agroalimentare e concorrenza: regole e deroghe, in AA.VV., La
regolazione e la promozione del mercato alimentare nell’Unione Europea. Esperienze giuridiche
comunitarie e nazionali, Atti del Convegno di Udine 24-25 novembre 2006, Milano, 2007, p. 31.
68
Il secondo periodo si perfeziona, poi, con l’adozione del regolamento n.
26/62, alla luce delle osservazioni che si sono illustrate in merito alla
cosiddetta deroga agraria alle norme sulla concorrenza. Qui cambia, rispetto
alla prospettiva del codice civile italiano, il punto di partenza: l’approccio
del legislatore comincia ora dai prodotti, dal mercato e non più dai
produttori, il cui statuto normativo in materia di concorrenza presenta
caratteri di specialità proprio per assicurare la realizzazione degli obiettivi
della PAC. Essa, tra l’altro, comprende un primo pilastro costituito dal
mercato dei prodotti, secondo l’impostazione tipica del diritto europeo, il
quale nasce e si sviluppa anzitutto come un diritto del mercato.
La dottrina citata individua la terza fase della regolamentazione del
mercato agroalimentare in quella attuale, che si presenta in rapida
evoluzione, composita per i fenomeni storici ed economici che la
caratterizzano147 e per la globalizzazione in atto da tempo148.
Giova qui ricordare che la sempre più marcata internazionalizzazione,
esplosa come fenomeno dinamico e tutt’ora in corso, a seguito degli accordi
istitutivi del WTO, incide non poco sul regime della concorrenza a cui sono
sottoposte le imprese europee, per quanto qui interessa.
L’Accordo agricolo di Marrakech rappresenta il primo dato giuridico di
cui tener conto149. I produttori europei sono più esposti alla concorrenza di
quelli stranieri, la quale si combina con la generale riduzione del sostegno
interno che l’Accordo impone agli Stati, in un’ottica spiccatamente
liberista: sia come diminuzione degli aiuti alla produzione e alle
esportazioni, sia con le norme che ne impongono il disaccoppiamento (nella
riforma della PAC del 2003 successiva all’Accordo agricolo tale strumento
147
BORGHI, cit., p. 35.
Sullo stretto legame tra mercati e sistemi economici si veda REGMI, Changing
Structure of Global Food Consumption and Trade, Washington DC, ERS, 2001, p. 15.
149
BORGHI, L’agricoltura nel Trattato di Marrakech. Prodotti agricoli e alimentari nel
diritto del commercio internazionale, Milano, 2004.
148
69
prende il nome di decoupling).
Il Trattato di Marrakech comprende, inoltre, altri accordi che hanno
incidenza sulla concorrenza, per esempio l’Accordo sulle misure sanitarie e
fitosanitarie (SPS). Il divieto di misure protettive non tariffarie –
contemplato dall’Accordo agricolo, e che qui trova forse la sua più
importante specificazione – può comportare una maggiore esposizione dei
produttori agricoli e alimentari alla concorrenza internazionale. Infatti, le
misure non tariffarie comprendono le barriere di tipo SPS, le quali, se non
armonizzate rispetto agli standards del Codex Alimentarius150, e se non
oltretutto giustificate da una valutazione del rischio scientificamente
condivisa
a
livello
internazionale,
portano
alla
illegittimità
del
comportamento degli Stati, il quale viene letto automaticamente come
protezionismo contrario agli accordi151.
Da ciò nasce un ulteriore problema rappresentato dai prodotti
concorrenti di altre parti del mondo al di fuori dei confini europei, ottenuti
con metodi inammissibili per i loro forti impatti negativi di carattere
ambientale, sociale, etico. Si tratta di un problema enorme, che certamente
trascende i limiti del mercato agroalimentare, ma che in questo settore
presenta una peculiare e marcata emergenza, solo a considerare il ruolo e
l’importanza che rivestono le attività agricole nella loro interazione con il
territorio, oltre che come le maggiori attività dei Paesi in via di sviluppo e
150
Il Codex Alimentarius è un insieme di regole e di normative elaborate dalla
Commissione istituita nel 1963 dalla FAO e dall’OMS, con lo scopo di proteggere la salute dei
consumatori e assicurare la correttezza degli scambi internazionali.
151
BORGHI, Mercato agroalimentare e concorrenza: regole e deroghe, cit., p. 40, che
analizza la questione rinviando alle pronunce dei Panel del WTO, ad esempio in riferimento al
concetto di “like product”, per il quale l’autore rinvia a G OCO, Non-Discrimination, “Likeness”,
and Market Definition in World Trade Organization Jurisprudence, in Journal of World Trade,
2006, 40(2), 315-340. Su queste tematiche si possono considerare anche le opere di autori quali:
DAVEY-PAUWELYN, MFN Unconditionality: A Legal Analysis of the Concept in View of its
Evolution in the GATT/WTO Jurisprudence with Particular Reference to the Issue of “Like
Product”, in COTTIER-MAVROIDIS, Regulatory Barriers and the Principle of Non-Discrimination
in World Trade Law, University of Michigan Press, 2000, p. 13 ss; R EGAN, Regulatory Purpose
and “Like Product” in Article III:4 of the GATT (with Additional Remarks on Article III:2), in
Journal of World Trade, 2002, p. 443.
70
sottosviluppati.
Anche per questi motivi la problematica presenta forti implicazioni
proprio in tema di concorrenza, dato che i metodi più criticati e disprezzati
dalla coscienza comune in Europa vengono maggiormente utilizzati altrove
perché garantiscono maggiore competitività.
Non a caso, taluno parla di “dumping sociale” e di “dumping
ambientale”: il dumping, termine mutuato dalla dottrina economica per
definire le vendite realizzate sottocosto per motivi o per scopi scorretti, è un
problema di concorrenza. I produttori agricoli europei lamentano di dover
subire la concorrenza dei produttori dei Paesi ai cui prodotti è assicurata
competitività proprio attraverso risparmi di costi a scapito delle esternalità
sociali e ambientali152.
Nonostante il forte protezionismo pubblico che fin dall’inizio il
comparto agricolo ha vissuto, le debolezze strutturali del sistema
agroalimentare dimostrano che il mercato, se lasciato ad una dimensione
senza idonee regole, non è in grado di funzionare e di assicurare efficienza
ai rapporti di filiera.
Ne consegue che in agricoltura il processo di liberalizzazione deve
essere sottoposto ancora una volta a dei correttivi, che da sempre la PAC ha
previsto e dovrà continuare a prevedere anche dopo la riforma a partire dal
2014153, con la finalità di migliorare la competitività delle imprese del
settore,
come
indicato
anche
in
recenti
Comunicazioni
della
Commissione154.
152
Il rapporto conflittuale della tutela ambientale nelle norme sul commercio
internazionale è ampiamente trattato in SCHOENBAUM, International Trade and Protection of the
Environment: the Continuing Search for Reconciliation, in The American Journal of Int’l Law,
vol. 91, 1997, p. 268 ss.
153
Vedi sul punto le considerazioni espresse da COSTATO, La controriforma della PAC, in
Riv. dir. agr., 2010, II, p. 376.
154
Con la Comunicazione della Commissione del 18 novembre 2010, COM(2010) 672
def., sono stati individuati tra gli obiettivi strategici della Pac verso il 2020 quello di migliorare la
competitività del settore agricolo e rafforzarne il ruolo all’interno delle filiere alimentari, tenuti in
71
Come ben messo in evidenza dalla più autorevole dottrina, sarà
necessario rivedere in prospettiva la relazione tra la politica agricola e la
disciplina della concorrenza, ad esempio sul divieto di adottare decisioni sui
prezzi o sulle quantità da produrre imposto alle associazioni di produttori
nella filiera155. Un esempio in tal senso si è avuto molto di recente con
l’introduzione in tema di consorzi di tutela di prodotti tipici e loro poteri del
Regolamento (Ue) n. 261/2012156, che presenta un “nuovo” modello di
interprofessione per il settore lattiero-caseario.
In vista della riforma della PAC per il periodo successivo al 2013,
sono state avanzate molteplici proposte157, nell’ottica di un miglioramento
della competitività del comparto agricolo, proposte che fanno leva sulla
valorizzazione dell’origine territoriale dei prodotti. La dottrina e gli esperti
del settore evidenziano, infatti, come siano proprio gli strumenti legati alla
valorizzazione dei rapporti tra territori e prodotti agroalimentari a costituire
dei correttivi indispensabili nel quadro di una libera competizione che
travalica i confini nazionali, incentivando al contempo le organizzazioni di
produttori agricoli con nuovi strumenti aggregativi e coinvolgendo gli
operatori delle filiere per farne delle vere e proprie organizzazioni di
prodotto158.
La libera concorrenza in ambito agroalimentare non può, oltre al
resto, non tener conto degli interessi dei consumatori, non solo a prezzi
debito conto la concorrenza dei mercati mondiali e gli obblighi che i produttori agricoli hanno in
materia di ambiente, sicurezza alimentare, qualità e benessere degli animali.
155
JANNARELLI, La concorrenza e l'agricoltura nell'attuale esperienza europea: una
relazione «speciale», in Riv. dir. agr., 2009, IV, p. 552.
156
Reg. 261/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, che
modifica il Regolamento (Ce) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore
del latte e dei prodotti lattiero-caseari, in GUUE l 94/38 del 30.3.2012.
157
TOMMASINI, cit., p. 330.
158
Un strumento di recente introduzione, che valorizza l’attività di produzione agricola, è
rappresentato da quelle forme di vendita diretta, quali i cd. Farmers’ markets (mercati contadini),
disciplinati dal decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del 20
novembre 2007, pubblicato nella G.U. n. 301 del 29 dicembre 2007, e istituiti dalle
amministrazioni pubbliche su aree pubbliche o private, ove gli agricoltori possono vendere
direttamente i prodotti alimentari.
72
ragionevoli ma anche alla circolazione di prodotti sani e sicuri destinati
all'alimentazione umana159.
La tutela del consumatore «medio, normalmente informato e
ragionevolmente attento ed avveduto»160, è un valore che va bilanciato con
la
libertà
di
concorrenza
ogniqualvolta
si
verifichino
situazioni
sufficientemente gravi da giustificare una restrizione alla circolazione dei
beni sul mercato161. In tal senso, i diritti e gli interessi dei consumatori sono
stati sinora protetti non tout court, ma solo al fine di garantire il libero gioco
della concorrenza162.
Parte della dottrina sostiene che gli interessi generali dei consumatori
debbano trovare diretta tutela nella disciplina sulla repressione della
concorrenza sleale, o comunque rilevare quali valori in gioco da bilanciare.
Nel nostro ordinamento, pur volendo operare una rilettura dell’art. 2598 c.c.
alla luce dei principi costituzionali di cui all’art. 41, comma 2°, Cost. 163, nel
senso che la concorrenza deve attuarsi senza ledere non più solo gli
interessi dell’economia nazionale ma anche gli interessi sociali; e
nonostante il ruolo sempre più centrale assunto nel mercato dal
consumatore (da ultimo, si pensi all’art. 2, lett. c-bis del Codice del
consumo164, come modificato dal d.lgs. 221/2007, che ha riconosciuto
espressamente tra i diritti fondamentali del consumatore anche quello
159
LUCIFERO, La sicurezza alimentare e la tutela degli interessi del consumatore di
alimenti, in Riv. dir. agr., 2008, p. 82.
160
Sentenza della Corte di giustizia, del 16 luglio 1998, causa C-210/96, in Racc., I, p.
4657; Corte di giustizia 10 settembre 2009, causa C-446/07, in Foro it., 2010, IV, p. 71.
161
Corte di giustizia 26 novembre 1996, causa C-313/94, in Giur. dir. ind., 1996, p. 1277,
affermava come il divieto da parte di uno Stato di importare prodotti provenienti da un altro Paese
membro fosse legittimo solo se necessario per assicurare la tutela dei consumatori e se
proporzionato a tale finalità.
162
CARMIGNANI, La tutela del consumatore nel Trattato di Lisbona, in Riv. dir. agr.,
2010, II, p. 295, la quale specifica che il consumatore è un soggetto senza volto che non rileva in
assoluto nella sua specifica individualità, ma come una categoria funzionale alla libertà di
concorrenza.
163
In tal senso, ROOK BASILE, La concorrenza con riguardo ai prodotti agro-alimentari
tra la disciplina della produzione e quella del mercato, in Dir. dell’agricoltura, 1997, p. 34.
164
Il Codice del Consumo è stato emanato con il D.Lgs. 206/2005 del 6 settembre 2005.
73
all’esercizio delle pratiche commerciali secondo i principi di buona fede,
correttezza e lealtà), resta il fondato dubbio che la normativa sulla
concorrenza sleale possa essere diretta a tutelare in maniera efficace
interessi diversi da quelli delle sole imprese concorrenti.
Non vi è dubbio che la tutela del consumatore sia stata rafforzata nel
tempo; lo stesso Trattato di Lisbona165, nel proporre una nuova visione
solidaristica del mercato, ha posto il consumatore in una diversa prospettiva
in cui lo stesso deve essere tutelato in quanto persona166, portatore di
esigenze specifiche e variabili in ragione del contesto territoriale in cui si
trova e dei fattori culturali, sociali ed economici del medesimo.
La volontà di valorizzare la persona, ponendola al centro dell’azione
istituzionale, emerge inequivocabilmente proprio dall’art. 6 TUE, che, al
paragrafo 1, stabilisce il riconoscimento da parte dell’Unione europea dei
diritti, delle libertà e dei principi (quali la dignità umana, la libertà,
l’uguaglianza e la solidarietà) sanciti nella Carta adottata a Strasburgo nel
2007, prevedendo al paragrafo 2 l’adesione alla CEDU167 che garantisce i
diritti fondamentali dell’uomo risultanti dalle tradizioni costituzionali
comuni agli Stati membri e considerati principi generali del diritto
dell’Unione stessa. In questo contesto, il consumatore medio e normalmente
informato «senza volto» deve essere garantito, non perché appartenente ad
una categoria astratta, seppure fondamentale nelle dinamiche di mercato,
165
L’art. 169 TFUE, nel ripetere l’art. 153 del Trattato CE, assegna all’Unione europea il
compito di contribuire a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori,
nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la
salvaguardia dei propri interessi. Le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori devono
essere prese in considerazione anche nella definizione ed attuazione di altre politiche o attività
dell’Unione (art. 12 TFUE).
166
ROOK BASILE, L’informazione dei prodotti alimentari, il consumatore e il contratto, in
GERMANÒ – ROOK BASILE (a cura di), Il diritto alimentare tra comunicazione e sicurezza dei
prodotti, Torino, 2005, p. 5, dove l’autrice afferma che il concetto di persona è più ampio di quello
di consumatore, dal momento che il primo si esplica nella sfera della società mentre il secondo in
quella del mercato.
167
È un acronimo che indica la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950, la quale ha istituito la Corte
europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo.
74
ma in quanto persona portatrice di tutti quei diritti fondamentali non
negoziabili, quali il diritto alla salute ed alla qualità della vita, alla sicurezza
degli alimenti ed all’informazione168.
La concorrenza, come detto, deve confrontarsi con il mercato
agroalimentare internazionale e con una sempre maggiore diversificazione
della domanda a fronte di una altrettanto diversificata offerta di prodotti di
qualità169. Le problematiche derivanti dalla concorrenza internazionale
possono riguardare, ad esempio, l'ingresso sul mercato di un prodotto
extraeuropeo più competitivo per il minor costo dei fattori produttivi o
recante segni distintivi di qualità (di processo o di prodotto), la cui
corrispondenza ad una effettiva qualità è, però, interamente da verificare170.
L’analisi del ruolo della concorrenza per il settore agrario, infine,
richiede di considerare il decentramento - ormai da tempo avviato legislativo e applicativo anche in questo materia, per cui il diritto europeo e
nazionale si intersecano e devono essere applicati parallelamente171,
risolvendosi il problema del coordinamento tra competenze 172 attraverso il
cd. principio di esclusione reciproca. Su questo punto e sul ruolo, oggi
rafforzato, delle Autorità antitrust nazionali173 si rinvia a quanto verrà
illustrato nel capitolo dedicato.
A conclusione della disamina sulle regole di concorrenza
nell’ordinamento
europeo
giova
menzionare
la
Relazione
della
168
CARMIGNANI, cit., p. 298.
BORGHI, Mercato agroalimentare e concorrenza, op. cit., p. 32.
170
Produce effetti distorsivi della concorrenza la situazione che si viene a creare quando
un prodotto DOP europeo si trovi a competere sul mercato con prodotti DOP di altri Paesi con
legislazioni in materia meno rigorose di quelle vigenti in Europa.
171
Corte di giustizia 9 settembre 2003, causa C-137/00, in Racc., 2003, I, p. 7975.
172
MEROLA, Norme comunitarie sulla concorrenza e poteri dei giudici nazionali, in Foro
it., 1993, IV, p. 30; ID. La cooperazione tra giudici nazionali e Commissione nell'applicazione
delle norme comunitarie antitrust, in Foro it., 1993, IV, p. 418; JANNARELLI, Il regime della
concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico europeo e globalizzazione dell'economia, in
Riv. dir. agr., 1997, I, p. 467.
173
SESTINI, Nuovi poteri dell'AGCM e primi provvedimenti inibitori in tema di prodotti
alimentari, in Riv. dir. alim., anno III, n. 1, 2009, p. 59.
169
75
Commissione europea pubblicata nel maggio 2012, seconda la quale
l’applicazione delle norme de qua nel settore alimentare, in particolare a
livello della produzione e della trasformazione, ha esercitato un effetto
benefico su agricoltori, fornitori e consumatori. La relazione fornisce
informazioni dettagliate sul funzionamento della concorrenza nel settore
alimentare sulla base delle attività svolte di recente dalla Commissione
europea e dalle Autorità nazionali garanti della concorrenza in questo
settore174.
3. Dal primo provvedimento generale, il Regolamento (CE) n.
26/1962 al Regolamento (CE) n. 1234/2007
In applicazione di quanto disposto dall’art. 42 Trattato di Roma (poi
art. 36 TCE, ora art. 42 TFUE), il Consiglio approvò il primo
provvedimento generale per il comparto agricolo, il regolamento CEE n.
26/62175, relativo all’applicazione di alcune regole di concorrenza alla
174
Nella Relazione si illustra che dal 2004 al 2011 le Autorità garanti della concorrenza
hanno svolto indagini su oltre 180 casi di antitrust, preso circa 1.300 decisioni su concentrazioni e
realizzato oltre 100 azioni di monitoraggio. Il maggior numero di casi ha riguardato la
trasformazione e la produzione e, in misura minore, la vendita al dettaglio. Sono stati vietati oltre
50 cartelli per la fissazione dei prezzi, la ripartizione dei mercati e dei clienti e lo scambio di
informazioni commerciali sensibili e sono state messe al bando pratiche di esclusione nei riguardi
di agricoltori e fornitori concorrenti.
175
Reg. del 4 aprile 1962, in GUCE del 20 aprile 1962, n. 30, modificato dal reg. n. 49 del
29 giugno 1962, in GUCE n. 53 del 1° luglio 1962. Nella fase precedente l’adozione di tale
regolamento, una protezione simile alla concorrenza era offerta, nella cornice delle organizzazioni
nazionali di mercato, dall’art. 46 del Trattato CE. Questa disposizione ha perso di valore fin
dall’instaurazione delle OCM e fin dall’entrata in vigore del reg. n. 26/62. Si vedano la decisione
RFT, GUCE 1961, p. 595; la decisione RFT, GUCE 1961, p. 825; per un’applicazione più recente
v. Regolamento (CEE) n. 2541/84 della Commissione del 4 settembre 1984 sulla fissazione di una
tassa compensatoria sulle importazioni negli altri Stati membri di alcol etilico di origine agricola
ottenuto in Francia (GUCE n. L238 del 06/09/1984, p. 16). Sulla concorrenza in agricoltura si
veda, per tutti, JANNARELLI, in Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, diretto da
COSTATO, III ed., Padova, 2003, p. 79. Sul reg. 26/62 vedi J ANNARELLI, La disciplina della
concorrenza applicabile all’agricoltura: la normativa CEE, in ID., Diritto agrario e società
industriale, II, Bari, 1993, p. 37 ss; I D., Il regime della concorrenza nel settore agricolo, p. 416;
GERMANÒ, Il principio della libertà di concorrenza e la disciplina comunitaria dell’agricoltura, in
Dir. e giur. agr. amb., 1996, p. 77.
76
produzione e al commercio dei prodotti agricoli, modificato una sola volta,
sostituito dal reg. n. 1184/2006176, a sua volta modificato dall’art. 200, reg.
n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007177.
Il reg. n. 26/62 è stato abrogato dal reg. n. 1184/2006, ma già l’art. 2
di quest’ultimo e poi l’art. 176 del vigente reg. n. 1234/2007 hanno ripetuto
pedissequamente il contenuto dell’art. 2 del reg. 26/62, sicché in sostanza le
cose non sono cambiate178.
Da ultimo, le disposizioni sulla concorrenza hanno trovato
collocazione organica all’interno del reg. 1234/2007 istitutivo dell’OCM
unica, senza, peraltro, che il reg. 1184/2006 sia stato abrogato, ma è limitato
in via residuale a quei settori della produzione agricola non disciplinati da
un’organizzazione comune di mercato e, pertanto, non soggetti al reg.
1234/2007179.
176
Regolamento del Consiglio n. 1184/06 del 24 luglio 2006, in GUUE L 214 del 4
agosto 2006. Ai sensi dell’art. 4, reg. 1184/06, i riferimenti al reg. n. 26/62 si intendono fatti al
nuovo regolamento, secondo la tavola di concordanza contenuta nell’allegato II.
177
In GUUE L 299 del 16 febbraio 2007, recante organizzazione comune dei mercati
agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM). A seguito
delle modifiche, il reg. n. 1184/06 ha assunto una nuova titolazione («relativo all’applicazione di
alcune regole di concorrenza alla produzione e al commercio di taluni prodotti agricoli»); il testo
dell’art. 1 è confluito in un nuovo art. 1-bis, mentre l’art. 1 prevede ora che «il presente
regolamento stabilisce le norme sull’applicabilità degli articoli da 81 a 86 e di alcune disposizioni
dell’articolo 88 del trattato relative alla produzione e al commercio dei prodotti di cui all’allegato I
del trattato, ad eccezione» dei settori relativi ai cereali, riso, zucchero, foraggi essiccati, sementi,
luppolo, olio di oliva e olive da tavola, lino e canapa, banane, piante vive e prodotti della
floricoltura, tabacco greggio, carni bovine, latte e prodotti lattiero-caseari, carni suine, ovine e
caprine, uova, pollame, altri prodotti di cui alla parte XXI dell’allegato I al reg. n. 1234/07, alcole
etilico di origine agricola, prodotti dell’apicoltura e bachi da seta. Tutti questi prodotti sono, infatti,
oggetto di disciplina specifica in materia di concorrenza contenuta negli artt. 175 ss. del reg. n.
1234/07.
178
Il reg. n. 26/62, pur dichiarando l’applicabilità delle disposizioni contenute negli
articoli 81 e 82 del Trattato alla materia agricola, prevede la possibilità di intese tra i produttori
agricoli per la concentrazione della loro offerta e per l’emanazione di regole comuni di
produzione. Parte della dottrina riteneva che il reg. n. 26/62 costituisse «un testo di portata
generale», in quanto si dovesse applicare «a tutti i prodotti agricoli indipendentemente dal fatto
[ancora possibile al tempo di queste osservazioni] che essi [fossero] o meno sottoposti ai
meccanismi specifici di un’organizzazione comune dei mercati», V ENTURA, La politica agricola,
in PENNACCHINI-MONACO-FERRARI BRAVO (a cura di), Manuale di diritto comunitario, vol. II,
Torino, 1984, p. 274.
179
Per una ricostruzione del rapporto tra i diversi regolamenti, si veda J ANNARELLI,
Norme sulla concorrenza. Norme applicabili alle imprese, in Il regolamento unico
sull’organizzazione comune dei mercati agricoli, a cura di Costato, cit., p. 181 ss.
77
L’accorpamento delle disposizioni sulla concorrenza nel quadro del
reg. 1234/07 trova una sua logica collocazione all’interno del testo che
realizza la codificazione delle regole sulle organizzazioni di mercato, in
quanto le disposizioni sulla concorrenza costituiscono il necessario
completamento della regolamentazione di mercato prevista dall’OCM. Del
resto, anche in passato, eccezioni rispetto al regime generale della
concorrenza in agricoltura come delineato dal reg. 26/62, già trovavano
spazio all’interno delle singole OCM.
Secondo la dottrina180, la Corte riconosce che il mantenimento di una
concorrenza effettiva sui mercati dei prodotti agricoli fa parte degli obiettivi
della politica agricola comune e dell’organizzazione comune dei mercati181.
Questa constatazione sembrerebbe confermata tanto dal primo considerando
del reg. 26/62, che dalla giurisprudenza della Corte secondo la quale le
organizzazioni comuni di mercato sono fondate sul principio di un mercato
aperto, al quale qualunque produttore ha liberamente accesso in condizioni
di concorrenza effettive. Le organizzazioni comuni dei mercati dei prodotti
agricoli, secondo la Corte, non costituiscono dunque “uno spazio senza
concorrenza”.
I tre testi normativi sopra richiamati in materia di concorrenza in
agricoltura ripropongono a distanza di tempo il medesimo schema e
contenuto, consistente nel dichiarare applicabili le disposizioni generali
sulla concorrenza al settore agricolo, salve le eccezioni specificamente
previste.
Così, nei regolamenti di attuazione, la speciale disposizione del
Trattato sull’applicazione delle regole di concorrenza al settore agricolo
sembrerebbe in apparenza invertita. Nonostante l’art. 36 TCE (ora art. 42
180
BIANCHI, La politica agricola comune, op. cit., p. 348.
Sentenza Corte di giustizia del 9 settembre 2003, in causa C-137/00, Milk Marque e
National Farmers’ Union, in Racc., 2003.
181
78
TFUE), nel lasciare autonomia decisionale al Consiglio (oggi unitamente al
Parlamento), affermi che le disposizioni in materia di concorrenza debbano
trovare applicazione nel settore agricolo soltanto nella misura determinata
dall’organo politico, facendo presumere una disapplicazione generalizzata
delle norme sulla concorrenza, fatte salve le eccezioni specificamente
individuate, i regolamenti successivi hanno enunciato il principio opposto,
dichiarando applicabili alla materia agricola gli articoli del Trattato relativi
alla concorrenza e individuando poi tre deroghe specifiche per il settore.
D’altro canto, l’impostazione seguita a partire dal reg. 26/62 si spiega in
considerazione della concezione di agricoltura ai sensi del Trattato CE,
comprendente non solo l’attività di produzione primaria, ma anche la
trasformazione dei prodotti agricoli, ad opera di imprese che non rientrano
nel novero delle aziende agricole, la cui definizione unitaria esula dalla
normativa europea, proprio in considerazione della individuazione di un
concetto di agricoltura, legato alla regolamentazione dei mercati dei
prodotti182. Da questo presupposto, che è alla base della disciplina
dell’agricoltura nell’ordinamento europeo, consegue, come ha affermato la
Corte di giustizia, che «il mantenimento di una effettiva concorrenza sui
mercati dei prodotti agricoli fa parte degli obiettivi della politica agricola
comune e dell’organizzazione comune dei mercati»183.
182
Sul concetto di azienda agricola nel diritto comunitario si veda G ERMANÒ, Strutture
agricole, in Digesto civ., XIX, Torino, 1999, p. 60 ss. Per una analisi del concetto di strutture
agricole nel diritto europeo, si veda GERMANÒ e ROOK BASILE, La disciplina comunitaria e
internazionale del mercato dei prodotti agricoli, cit., p. 94. Sul concetto di agricoltura
nell’ordinamento dell’Ue si veda JANNARELLI, Il pluralismo definitorio dell’attività agricola alla
luce della recente disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato: prime considerazioni critiche, in Riv.
dir. agr., 2007, I, p. 3.
183
Sentenza Corte di giustizia 9 settembre 2003, in causa C-137/00, Milk Marque
National Farmers union, punto 57.
79
3.1 Applicabilità e procedura di accertamento
Prima di analizzarle partitamente è bene precisare che tutti i casi di
deroghe erano sempre (prima del reg. 1/2003) di esclusiva competenza
preventiva della Commissione, alla quale spettava il compito di accertare
mediante decisioni, e salvo il controllo della Corte di giustizia184, se
ricorressero le condizioni per l’esenzione. Ciò significava, come sostenuto
dall’organo giurisdizionale, che i giudici, anche nazionali, potessero
direttamente intervenire in materia di concorrenza avente ad oggetto
prodotti agricoli, ma solo ai fini di applicare il divieto di cui all’art. 81 TCE
(oggi art. 101 TFUE) e di escludere, così, l’applicazione del reg. 26/62,
laddove
nei
casi
dubbi
dovevano
investire
della
questione
la
Commissione185. Come si legge nel par. 3 dello stesso art. 2 reg. 26 la
Commissione procede all’accertamento d’ufficio, o su richiesta di
un’autorità competente di uno Stato membro oppure di un’impresa o
associazione di imprese interessate. La norma del reg. 26 prevede una
singolarità rispetto al tipo di intervento della Commissione di cui all’art. 85,
par. 3, TCE, all’epoca in vigore. Infatti, mentre in questa ultima
disposizione l’esenzione dalle norme antitrust trovava fondamento
costitutivo nella decisione della Commissione, nel caso dell’art. 2 del reg.
26/62 la deroga trova il suo fondamento nella norma: la decisione della
Commissione ha natura soltanto di accertamento in ordine alla conformità
dell’accordo alle ipotesi di cui al par. 1 dell’art. 2 del reg. 26/62.
Se parte della dottrina ha osservato che la soluzione adottata nel reg.
26/62 apparisse simile a quella prevista per le esenzioni per categoria
184
Nel senso che la Commissione debba motivare in modo esauriente la sua decisione,
trattandosi nel caso dell’art. 2 del reg. 26 di una deroga al disposto generale dell’art. 8i5, par. 1, da
interpretarsi restrittivamente, si veda Tribunale di primo grado, 14 maggio, 1997, nelle cause
riunite T-70/92 e T-71/92, relative all’applicazione dell’art. 2 par. 1 prima frase reg. 26/62, in
Raccolta, II, p. 693 ss.
185
Sentenza 12 dicembre 1995, causa 399/93, in Raccolta, I, p. 4515.
80
adottate con regolamento ex art. 85 par. 3, TCE, dove la decisione della
Commissione verificava la conformità del singolo accordo alla fattispecie
oggetto di deroga186, si può, tuttavia, osservare che in realtà le due ipotesi si
presentano in maniera dissimile, non solo perché le esenzioni per categorie
di accordi sono fissate in presenza di dettagliate indicazioni circa il
contenuto degli stessi, ma anche perché il par. 2 dell’art. 2 del reg. 26
attribuisce una competenza esclusiva alla Commissione in ordine alle
decisioni da adottare ai sensi del par. 1 dello stesso articolo, laddove per i
casi di esenzioni per categorie la dichiarazione di conformità del singolo
accordo alla fattispecie beneficiaria dell’esenzione spetta legittimamente
anche al giudice nazionale187.
Occorre, infatti, evidenziare che, se le disposizioni degli articoli 85 e 86
Trattato di Roma (poi artt. 81 e 82 TCE, poi artt. 101 e 102 TFUE)
colpiscono di nullità ipso iure i negozi e i comportamenti delle imprese
posti in essere in violazione delle regole di concorrenza188, e le esenzioni
(prima del reg. n.1/2003) venivano dichiarate ex ante dalla Commissione,
nelle ipotesi di intese tra agricoltori ricorreva una sorta di “presunzione” di
liceità. Invero, per le intese tra gli «exploitants agricoles» era rimesso alla
Commissione – ed oggi anche alle Autorità nazionali garanti della
concorrenza e del mercato – il potere di accertare e quindi contestare
soltanto ex post il profilo anticoncorrenziale del comportamento, con
l’ulteriore e rilevantissima conseguenza che l’accertamento del vizio non
aveva efficacia retroattiva.
Come detto poc’anzi, i casi di deroga erano di esclusiva competenza
186
JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico
europeo e globalizzazione dell’economia, in Riv. dir. agr., 1997, p. 416.
187
Si veda la sentenza della Corte di giustizia 3 febbraio 1976 in causa 63/75, in Raccolta,
p. 111.
188
Che si tratti di nullità in tutte le ipotesi di intese vietate e che la nullità operi
retroattivamente è ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia, 6 febbraio 1973, in causa C48/72, Brasserie de Haecht II.
81
della Commissione alla quale spettava il compito di accertare mediante
decisioni, e salvo il controllo della Corte di giustizia, se ricorressero le
condizioni della esenzione. Conseguentemente, i giudici nazionali non
potevano intervenire che al fine di applicare il divieto, senza potere
escludere l’applicazione del reg. 26/62, cosicché nei casi dubbi dovevano
investire della questione la Commissione.
Nella decisione Luttikhuis189 la Corte di giustizia afferma che il giudice
nazionale può proseguire il procedimento e statuire sulla controversia ogni
volta che non ricorrano i presupposti per l’applicazione delle norme del
Trattato CE, oppure può dichiarare la nullità della clausola [oggetto della
controversia] qualora abbia acquisito la certezza che essa non soddisfa i
requisiti per fruire della deroga, mentre «in caso di dubbio può richiedere
ulteriori ragguagli alla Commissione».
Oggi, in virtù del reg. 1/2003, la verifica delle condizioni dettate
dall’art. 81, par. 3, TCE [il discorso vale anche per l’attuale art. 101, par. 3,
TFUE] avviene per tutte le intese a posteriori, a seguito di una costatazione
di ufficio o su denuncia, con una sostanziale parificazione delle situazioni;
tuttavia, la dottrina, all’indomani dell’emanazione del regolamento n.
1/2003, ha continuato a ritenere ancora sussistere la presunzione di liceità
delle intese tra agricoltori con conseguente efficacia ex nunc del
provvedimento accertativo dell’infrazione, dato che il reg. 26/62 non è stato
abrogato dal reg. 1/2003 nella parte relativa all’agricoltura 190, salvo essere
stato poi sostituito dal regolamento n. 1234/2007.
L’attenuazione della “specialità” disposta dall’art.42 TFUE (ex art. 36
TCE) non è priva di conseguenze. Anche a fronte di numerose incertezze
che sono emerse circa l’applicazione dell’art. 2 del reg. 26, le parti
189
Sentenza Corte di giustizia Luttikhuis, cit. alla nt. 81, in cui si dibatte del sistema c.d.
di «indennità di uscita» di un socio da una cooperativa di trasformazione e vendita di prodotti
lattiero-caseari.
190
GERMANÒ-ROOK BASILE, La disciplina comunitaria e internazionale, cit., p. 211.
82
interessate ad accordi o intese relative a prodotti agricoli hanno spesso
preferito ricorrere al consenso preventivo della Commissione ai sensi
dell’attuale art. 101 TFUE (già 81, par. 3, già art. 85, par. 3, TCE)191,
piuttosto che avvalersi dell’esenzione contenuta nell’originario regolamento
attuativo n. 26/62, e provvedimenti successivi.
3.2 Gli aiuti di Stato (considerazioni generali)
Il Capo I del Titolo VII del Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea, contenente la disciplina delle regole di concorrenza, comprende
l’art. 107, par. 3, (ex art. 87, par. 1, TCE), il quale statuisce che «sono
incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli
scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante
risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune
produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza»192.
191
Si fa riferimento alle seguenti decisioni della Commissione: 2 dicembre 1977, in
materia di cavolfiori; 21 settembre 1978, per le sementi di mais; 26 novembre 1986, riguardante il
settore lattiero-caseario; 18 dicembre 1987, patate primaticce; 26 luglio 1988, settore
ortofrutticolo; 19 dicembre 1989, barbabietole da zucchero.
192
La letteratura sugli aiuti di Stato è davvero vastissima; per un iniziale approccio si
rinvia a: AA.VV., Il finanziamento agevolato alle imprese, Milano, 1988; TRIGGIANI, Gli aiuti
statali alle imprese nel diritto internazionale e comunitario, Bari, 1989; PALMERI, Gli aiuti di
Stato alle attività produttive ed il loro regime comunitario, Rimini, 1992; ORLANDI, Gli aiuti di
Stato nel diritto comunitario, Napoli, 1995; BALLARINO e BELLODI, Gli aiuti di Stato nel diritto,
Napoli, 1997; ROBERTI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario, Padova, 1997; BARIATTI (a cura
di), Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto comunitario, Milano, 1998; PINOTTI, Gli aiuti di Stato
alle imprese nel diritto comunitario della concorrenza, Padova, 2000; DANIELE, AMADEO e
SCHEPISI, Aiuti pubblici alle imprese e competenze regionali. Controllo comunitario e prassi
interne, Milano, 2003; STROZZI, Gli aiuti di Stato, in Diritto dell’Unione europea. Parte speciale,
a cura di Strozzi, II, Torino, 2005, p. 361; ORLANDI, La disciplina degli aiuti di Stato, in Il diritto
privato dell’Unione europea, a cura di Tizzano, II, Torino, 2006, p. 1668; B IONDI, Gli aiuti di
Stato, in La concorrenza, a cura di Frignani e Pardolesi, in Tratt. dir. priv. UE, diretto da Ajani e
Benacchio, VII, Torino, 2006, p. 447; DE CATERINI (a cura di), Quattro studi in materia di aiuti di
Stato, Bari, 2008. V. anche CAPUTI JAMBRENGHI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario vivente,
in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1998, p. 1259; DE SENA PLUNKETT, Il sindacato di legittimità
degli aiuti di Stato, in Riv. dir. europeo, 1995, p. 65; DORIGO, L’efficacia delle decisioni della
Commissione in materia di Aiuti di Stato secondo la Corte di Cassazione: nuovi orizzonti nei
rapporti tra ordinamento comunitario e nazionale, in Rass. Trib., 2003, p. 1099; LEANZA, Gli aiuti
degli Stati alle imprese nell’art. 92 del Trattato CEE, in Rass. Dir. pubbl, 1962, p. 44; LIBERTINI,
Aiuti pubblici alle imprese e il diritto comunitario della concorrenza, in Problemi giuridici delle
83
Sulla nozione di impresa si fa riferimento all’illustrazione precedente in
riferimento alle regole generali della concorrenza. L’approfondimento della
materia degli aiuti di Stato, per la sua ampiezza e l’importanza che riveste,
anche per il settore agricolo, oltre che per la complessità delle tematiche,
meriterebbe una trattazione a sé stante; qui ci limiteremo ad alcune
considerazioni, in relazione alla collocazione delle specifiche norme nel
Capo del Trattato relativo alle regole di concorrenza e al loro collegamento
con la disciplina generale antitrust.
La definizione di aiuto di Stato ha natura giurisprudenziale, dal
momento che l’art. 107 TFUE si limita a sancire che sono incompatibili con
il mercato comune «gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse
statali»; è stata allora la Corte di giustizia, anche sulla base di
agevolazioni finanziarie all’industria, a cura di Costi e Libertini, Milano, 1982; MALINCONICO,
Aiuti di Stato, in Tratt. dir. amm. europeo, a cura di Chiti e Greco, Parte Speciale, I, Milano, 1995,
p. 55; MANZINI, Aiuti di Stato prestati mediante conferimento alle imprese di diritti speciali o
esclusivi, in Riv. dir. europeo, 1995, p. 27; PERASSO, Procedure e controlli in tema di aiuti di
Stato, in Dir. commercio internaz., 1995, p. 671; PORCHIA, Aiuti di Stato in materia ambientale e
competenze regionali, in Dir. Unione europea, 2009, p. 857; ROBERTI, Aiuti di Stato e controlli
comunitari, in Foro it., 1992, IV, c. 469; SOTTILI, Revoca di aiuti di Stato e tutela
dell’affidamento, in Dir. Unione europea, 1998, p. 169; TARAMASSO, Il processo di
privatizzazione e di liberalizzazione e il diritto comunitario in materia di aiuti di Stato e di
concorrenza, in Dir. commercio internaz., 1995, p. 933; TESAURO, Disciplina comunitaria degli
aiuti di Stato e imprese bancarie, ivi, 1991, p. 405; SQUARATTI, Gli aiuti pubblici alle imprese:
ricognizione della giurisprudenza comunitaria, in Dir. pubbl. comp. ed europeo, 2007, p. 761.
Anche sugli aiuti di Stato in ambito agricolo sono state pubblicate molte opere; tra esse:
BARTHELEMY, La politique communautaire en matière d’aides d’Etat dans le secteur agricole,
in Revue de droit rural, 1988, p. 201; DE CATERINI, Gli incentivi nella politica agricola comune,
in Incentivi CEE per la riforma delle strutture economiche, a cura di Forlati Picchio, Padova,
1985, p. 201; GENCARELLI, Gli aiuti di Stato in agricoltura, in Riv. dir. agr., 2009, I, p. 23 e in
DE CATERINI, (a cura di), Quattro studi in materia di aiuti di Stato, cit., p. 13; GERMANÒ,
Sostegni all’agricoltura, in Riv. dir. agr., 2000, II, p. 243; JANNARELLI, Aiuti comunitari e aiuti
di Stato, in Dir. e giur. agr. alim. amb., 2009, p. 375; ERHART, State Aid in the Field of
Agriculture, in The EC State Aid regime-distortive effects of State Aid on Competition and Trade, a
cura di Sanchez Rydelski, London, 2006, p. 477.
Anche il Trattato di Marrakech del 14 aprile 1994 prevede la possibilità di sovvenzioni da
parte degli Stati firmatari, ma tende a vietarli per garantire la liberalizzazione del commercio
internazionale. In argomento vedi, ROOK BASILE, Dal General Agreement on Tariffs and Trade
alla World Trade Organization, in GERMANÒ e ROOK BASILE, La disciplina comunitaria e
internazionale del mercato dei prodotti agricoli, Torino, 2002, p. 211; DE CHERUBINI, Il
requisito del costo per lo Stato tra aiuti nella CE e sovvenzioni nell’Omc, in DE CATERINI (a
cura di), Quattro studi in materia di aiuti di Stato, cit., p. 69.
84
considerazioni espresse dalla Commissione193, a dare significato al concetto
di aiuto, affermando che è «più comprensivo di quello di sovvenzione dato
che esso vale a designare non soltanto le prestazioni positive del genere
delle sovvenzioni stesse, ma anche degli interventi i quali, in varie forme,
allevino gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa»194.
L’aiuto, per definizione, è un vantaggio di cui un’impresa beneficia e a
causa del quale la concorrenza tra gli operatori dello stesso mercato viene
distorta
o
falsata195,
che
sia
concesso
con
risorse
pubbliche,
indifferentemente dal soggetto, pubblico o privato, che nello specifico le
eroghi196, compresi i sostegni che tecnicamente non figurerebbero come
sussidi in senso stretto197.
193
Il riferimento è alle Linee indicate dalla Commissione, ad esempio nella Commission
Note on the Enforcement of State Aid Law by National Courts del 25 febbraio 2009, in cui si
afferma che: «The notion of State aids is not limited to subsidies. It also comprises, inter alia, tax
concessions and investments from public funds made in circumstances in which a private investor
would have withheld his support», in Riv. dir. agr., 2009, II, p. 37, con prefazione di JANNARELLI,
La governance comunitaria degli aiuti di Stato tra interventi congiunturali e interventi strategici.
(A proposito della “nota” della Commissione sull’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato
da parte delle Corti nazionali).
Negli ultimi anni, per fare fronte al negativo stato congiunturale dell’economia, la
Commissione ha emanato nuove disposizioni in tema di aiuti di Stato con Comunicazioni
sull’accesso al credito da parte delle imprese, che rendano meno restrittive le regole per la
concessione di aiuti sotto forma di garanzie o di prestiti agevolati o di capitali di rischio. Più in
particolare, è prevista la possibilità di concedere aiuti al “funzionamento” nel rispetto di
determinate condizioni e nell’ambito dei regimi da notificare, con esclusione dei settori della
produzione agricola primaria e della pesca, ma con inclusione dei settori della trasformazione e
commercializzazione dei prodotti agricoli.
194
Sentenza Corte di giustizia, 23 febbraio 1961, in causa 30/59, De Gezamenlijke.
195
Sulle varie forme di aiuto si vedano le sentenze della Corte di giustizia CE, 22 marzo
1977, in causa 78/76, Steinike; 27 marzo 1980, in causa 61/79, Denkavit italiana; 2 febbraio 1988,
in cause 67-68/85 e 70/85, Van der Kooy; 2 luglio 1974, in causa 173/73, Italia c. Commissione;
24 febbraio 1987, in causa 310/85, Deufil GmbH; 14 novembre 1994, in cause C-278/92 e C280/92, Spagna c. Commissione.
196
Per i giudici europei, la norma dell’art. 107 TFUE, all’opposto di quanto sostenuto da
alcuni commentatori, il sostegno concesso deve essere costituito da risorse statali erogate
direttamente dallo Stato, oppure per il tramite di altri enti, pubblici o privati (sentenze Corte di
giustizia Ce, 17 marzo 1993, in causa C-72/91, Sloman Neptun; 21 marzo 1991, in causa 303/88,
Italia c. Commissione; 16 maggio 2002, in causa C-482/99, Francia c. Commissione; 13 ottobre
1982, in cause 213-215/81, Will, che ha escluso dal contenuto dell’art. 107 TFUE i sostegni erogati
mediante risorse dell’Ue, dato che, nella vicenda specifica dell’errata spartizione delle quote
nazionali del contingente doganale comunitario di carne bovina, il «vantaggio economico (era
stato) concesso non mediante risorse statali ma risorse comunitarie».
197
Sentenza Corte di giustizia CE, 13 giugno 2002, in causa C-382/99, Olanda c.
Commissione; sentenza Tribunale di primo grado CE, 23 ottobre 2002, in causa T-269-272/99,
85
Un esempio delle questioni sollevate sulla nozione di aiuto di Stato può
essere utile per la comprensione della presente trattazione. La Corte di
Cassazione italiana ha, con ricorso pregiudiziale198, chiesto alla Corte di
giustizia se le agevolazioni fiscali previste dal nostro diritto a favore delle
cooperative, per il loro carattere mutualistico, siano da considerarsi aiuto di
Stato secondo il diritto europeo e, conseguentemente, da notificarsi alla
Commissione per ottenerne l’autorizzazione.
La Corte ha statuito che le esenzioni fiscali come quelle riconosciute
alle cooperative nella controversia de qua, costituiscono un aiuto di Stato
«solamente nel caso in cui tutte le condizioni di applicazione di tale
disposizione (art. 87, par. 1, TCE, ora art. 107, par. 1, TFUE) siano
soddisfatte»199. Spetta, quindi, al giudice nazionale valutare nel caso
concreto se le esenzioni fiscali previste per le cooperative costituiscano
Teritorio Histórico de Guipúzcoa; sentenza Corte di giustizia CE, 29 aprile 2004, in causa C278/00, Grecia c. Commissione, in cui si trattava del consolidamento dei debiti di cooperative
agricole da parte di una società pubblica; sentenza Corte di giustizia CE, 22 maggio 2003, in causa
C-355/00, Freskot, nella quale la Corte ha ritenuto compatibile con la regolamentazione della
relativa OCM l’imposizione di una tassa statale che finanzi un ente pubblico incaricato della
prevenzione e dell’indennizzo dei danni causati dai rischi naturali alle imprese agricole dello Stato,
quale la ricorrente, che aveva come oggetto sociale l’allevamento e la commercializzazione di
pollame; sentenza Corte di giustizia CE , 17 luglio 2008, in causa C-206/06, Essent Netwerk
Noord BV; sentenza Corte di giustizia CE, 29 aprile 1999, in causa C-342/96, Spagna c.
Commissione; Sentenza Trib. primo grado CE, 17 ottobre 2002, in causa T-98/00, Linde AG.
198
Si tratta di tre distinte ordinanze dell’8 febbraio 2008 aventi sostanzialmente identico
contenuto. L’ord. n. 3033 relativa ad una cooperativa avente ad oggetto l’allevamento di
molluschi, cooperativa da qualificarsi “agricola” in virtù del d.lgs. n. 228/2001, è riportata in Dir.
giur. agr. alim. amb., 2008, p. 409, con nota di GERMANÒ, Le agevolazioni fiscali alle
cooperative sono aiuti di Stato oggetto di autorizzazione della Commissione? V. anche G.
FERRARA, Cooperative agricole, divieto di aiuti di Stato e abuso del diritto, ivi, 2009, p. 114.
199
Sentenza Corte di giustizia 8 settembre 2011, cause riunite C-78/08 e C-80/08,
Ministero dell’economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate c. Paint Graphos Soc. coop. Arl e
Adige Carni Soc. coop. Arl e Ministero dell’economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate c.
Franchetto, non ancora pubblicata. Il caso di specie richiama all’attenzione il divieto dell’abuso
del diritto, ritenuto un principio generale dell’ordinamento europeo (sentenze Corte di giustizia
CE, 12 maggio 1998, causa C-367/96, Kefalas; Corte giustizia CE, 23 marzo 2000, causa C373/97, Diamantis; Corte giustizia CE, 3 marzo 2005, causa C-32/03, Fini). Sull’argomento vedi
GERMANÒ, Manuale di diritto agrario,Torino, 2010, p. 98; ALPINI, L’abuso del diritto
nell’esercizio dell’impresa agricola, in Dir. agricoltura, 1997, p. 277; PATTI, Abuso del diritto, in
Digesto civ., I, Torino, 1991, 1; LEVI, L’abuso del diritto, Milano, 1993; P. RESCIGNO, L’abuso
del diritto, Bologna, 1998; RESTIVO, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano,
2007.
86
aiuti ai sensi dell’art. 87, par. 1, del Trattato CE (ora art. 107, par. 1, TFUE),
nonché la loro eventuale giustificazione alla luce del sistema tributario
nazionale, stabilendo se le società cooperative si trovino di fatto in una
situazione analoga a quella delle altre società aventi forma giuridica
differente.
Tornando all’analisi principale, secondo la giurisprudenza europea
rientrano nella nozione di aiuto di Stato le agevolazioni concesse
direttamente dallo Stato, ma anche quelle erogate da enti pubblici territoriali
come Regioni, Province o Comuni, da enti pubblici, economici e non
economici, da imprese statali o da enti privati che amministrano risorse
pubbliche200 sulla base di disposizioni statali201.
Per essere qualificata aiuto di Stato la misura di sostegno non può avere
carattere generale ed essere rivolta a tutte le imprese operanti nel settore di
riferimento, ma deve essere a favore soltanto di alcune imprese o di alcune
produzioni per determinare effetti distorsivi della concorrenza e può
200
Sentenza C. giust. CE, 30 gennaio 1985, in causa 290/83, Commissione c. Francia;
sentenza C. giust. CE, 14 ottobre 1987, in causa 284/84, Germania c. Commissione; sentenza C.
giust. CE, 8 marzo 1988, cause 62/87 e 72/87, Regione Vallona c. Commissione; sentenza C. giust.
CE, 22 marzo 1977, in causa 78/76, Steinike (l’argomento, qui, potrebbe essere maggiormente
attinente alla nostra materia, in quanto la controversia era relativa a contributi erogati da un ente di
gestione di un Fondo nazionale per la promozione delle vendite di prodotti alimentari, agricoli e
forestali); sentenza C. giust. CE, 5 novembre 2002, in causa C-325/00, Commissione c. Germania,
in cui si discuteva del marchio di qualità «Markenqualität aus deutschen Landen» (marchio di
qualità della campagna tedesca) concesso agli imprenditori tedeschi dalla Centrale MarketingGesellschaft der deutschen Agrarwirtschaft (CMA) creata, come suo organo operativo, da un
Fondo tedesco creato nel 1993 per la promozione dell’agricoltura e dell’industria alimentare
tedesca. Esso è stato ritenuto illegittimo dalla Corte perché il Fondo è un ente di diritto pubblico e
il finanziamento delle attività della CMA è garantito dalle risorse concesse dal fondo. Dunque, la
misura di cui si discuteva – la concessione del marchio dei prodotti della campagna tedesca - è da
considerarsi, da un lato, oggetto di aiuti di Stato, dall’altro, misura pubblica diretta a preferire i
prodotti nazionali e, come tale, rientrante nel divieto delle misure equivalenti alle restrizioni
quantitative alle importazioni.
201
Così Corte giustizia CE, 30 gennaio 1985, in causa 290/83, Commissione c. Francia,
in cui si discuteva di un aiuto concesso agli agricoltori francesi che si aggiungeva al surplus del
Fondo di credito agricolo nazionale. Benché il Fondo fosse generato dalla gestione di fondi privati
e non da risorse statali e benché la componente governativa rappresentasse la minoranza del
Consiglio di amministrazione del Fondo, la Corte ha affermato la natura di aiuto di Stato
incompatibile con il diritto comunitario, perché «la misura era decisa e finanziata da un ente
pubblico e la cui esecuzione era stata condizionata all’approvazione delle autorità pubbliche ed era
stata introdotta dal Governo come facente parte di una serie di misure a sostegno degli
agricoltori».
87
presentarsi nelle più svariate forme202.
Secondo il regolamento che disciplina la procedura di erogazione degli
aiuti di Stato, ogni progetto nazionale di aiuto deve essere notificato alla
Commissione onde essa possa accertare, con efficacia costitutiva, se la
misura del sostegno sia un aiuto di Stato e se tale aiuto sia compatibile con
le disposizioni relative alla tutela della concorrenza203.
In altre parole, la Commissione può concedere deroghe «soltanto se ha
potuto accertare che, in mancanza degli aiuti, la dinamica del mercato non
possa costituire un sufficiente incentivo per gli eventuali beneficiari ad
agire per il raggiungimento degli obiettivi prefissi»204.
L’elevato
numero
degli
interventi
di
controllo
richiesti
alla
Commissione ha indotto le istituzioni europee ad introdurre la regola c.d. de
minimis, per la quale, quando è al di sotto di una certa soglia, l’aiuto non va
notificato, né incorre nel divieto stabilito dall’art. 107 TFUE.
Inizialmente, la Comunicazione de minimis205 escludeva gli aiuti statali
alle imprese agricole, in quanto ritenuti sempre capaci di alterare la
concorrenza, anche se di importi ridotti e, d’altronde, la realizzazione della
politica agricola comune e la disciplina delle organizzazioni comuni di
202
Sentenza Corte di giustizia CE, 2 febbraio 1988, in cause 67-68/85 e 70/85, Van der
Kooy, in cui l’aiuto assume la forma di una tariffa preferenziale: la vertenza aveva per oggetto la
concessione, da parte di una società controllata dallo Stato, di tariffe agevolate per la fornitura del
gas per il riscaldamento delle serre a favore di orticoltori olandesi. Stessa questione è stata oggetto
della sentenza della Corte, 2 febbraio 1988, in causa 213/85, Commissione c. Olanda.
203
Si tratta del reg. 22 marzo 1999, n. 659, su cui vedi BESTAGNO, Il controllo
comunitario sugli aiuti di Stato nel recente regolamento di procedura (659/99 del 22 marzo 1999),
in Dir. commercio internaz., 1999, p. 339; PAGLIARETTA, Il regolamento (CE) n. 659/99 del
Consiglio sulle modalità di applicazione dell’art. 88 del Trattato, in Dir. Unione europea, 1999, p.
395; R. SCIAUDONE, Il regolamento (CE) n. 659/99 sulle procedure in materia di aiuti di Stato,
in Contratto e impresa Europa, 2000, p. 275. Il regolamento in esame, nel confermare l’obbligo
della notifica degli aiuti alla Commissione e nel dettare le norme sulle procedure relative agli aiuti
notificati e agli aiuti “illegali” (è tale quando la misura non è stata notificata o l’aiuto è stato
erogato in pendenza della decisione della Commissione), stabilisce anche l’obbligo per gli Stati
membri di presentare alla Commissione relazioni annuali su tutti i regimi di aiuti esistenti e non
assoggettati a decisioni condizionali.
204
Così la decisione della Commissione 4 novembre 1992, n. 93/133, in Gazzetta Uff. CE,
6 marzo 1993, n. L. 55, sugli aiuti concessi dalla Spagna ad imprese del settore agroalimentare.
205
Comunicazione del 6 marzo 1996 è stata superata dal reg. 12 gennaio 2001, n. 69, a
sua volta sostituito dal reg. 6 agosto 2008 n. 800.
88
mercato avevano creato un sistema completo ed esaustivo di finanziamento,
che escludeva qualsiasi facoltà degli Stati membri di adottare misure
complementari, anche qualora il provvedimento nazionale venisse adottato
in attuazione della legislazione europea206.
La conferma dell’esclusione del settore agricolo dalle regole de minimis
è stata ribadita nella Comunicazione sugli Orientamenti comunitari per gli
aiuti di Stato in agricoltura del 2000207, con la quale è imposto agli Stati
l’obbligo della notifica alla Commissione anche per gli aiuti di importo
modesto, e viene introdotto un complesso di regole applicabili a tutte le
imprese agricole, indipendentemente dalla loro ubicazione geografica, con
la puntualizzazione che non erano ammessi i c.d aiuti di funzionamento,
ossia gli aiuti intesi a migliorare la situazione finanziaria dei produttori
senza alcuna incisività sullo sviluppo del settore, mentre potevano essere
autorizzati gli aiuti notificati che avessero la finalità di aumentare la
competitività delle imprese agricole sul mercato europeo e mondiale.
La materia degli aiuti di Stato in agricoltura è disciplinata, oltre che
dalle Comunicazioni della Commissione, anche dai regolamenti 23
dicembre 2003, n. 1/2004208 e 6 ottobre 2004, n. 1860209.
Con il primo vengono determinate le condizioni che rendono
compatibili con il mercato comune gli aiuti nazionali alle piccole e medie
imprese attive nel settore della produzione primaria e, in origine, anche in
206
Sentenza Corte giust. CE, 23 gennaio 1975, in causa 51/74, Van der Hulst’ Zonen;
Sentenza Corte giust. CE, 6 novembre 1990, in causa C-86/89, Italia c. Commissione, in tema di
aiuti italiani al settore vitivinicolo.
207
Comunicazione sugli Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore
agricolo, nel settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e nel settore
della pesca e dell’acquacoltura del 1° febbraio 2000. Esclusione di nuovo ribadita dal reg. 12
gennaio 2001, n. 69 che, assieme al contemporaneo reg. n. 70/2001 rendeva applicabili gli aiuti de
minimis alle piccole e medie imprese dei settori non agricoli.
208
Il reg. n. 1/2004 è ora sostituito dal reg. 15 dicembre 2006, n. 1857.
209
Il reg. n. 1860/2004 era stato emanato dalla Commissione con riferimento agli aiuti de
minimis nei settori dell’acquacoltura e della pesca. Esso è stato poi abrogato dal reg. 20 dicembre
2007, n. 1535, che attualmente contiene la disciplina degli aiuti de minimis e che ha elevato a 7500
euro l’importo complessivo destinabile ad una medesima impresa nell’arco di tre anni.
89
quelli della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli210. Il
reg. n. 1/2004 ripeteva, così come il reg. 15 dicembre 2006, n. 1857, che per
varie
disposizioni
l’ha
sostituito211,
l’esclusione
degli
aiuti
di
funzionamento e dei sostegni a produzioni agricole senza normali sbocchi
di mercato212, e ribadisce la condizione di applicabilità, secondo cui l’aiuto
deve essere necessario e costituire un incentivo allo sviluppo del settore,
richiamando, in sostanza, le disposizioni della Comunicazione sugli
Orientamenti agricoli del 2000. Il regolamento prevede, inoltre, l’esenzione
dall’obbligo di notifica preventiva alla Commissione per tutta una serie di
interventi nel settore agricolo, che ricalcano le categorie di aiuti nazionali
che i predetti Orientamenti definivano ammissibili purché notificati, ma il
regolamento in questione escludeva dalla notifica gli interventi che il reg.
210
Il reg. n. 1/2004 è stato sostituito dal reg. 15 dicembre 2006, n. 1857. Quest’ultimo
regolamento si applica unicamente agli aiuti accordati alle imprese attive nella produzione agricola
primaria e non più, come era previsto dal precedente reg. n. 1/2004, anche a quelle dedite alla
trasformazione e alla commercializzazione di prodotti agricoli: per queste ultime ora si applica il
reg. n. 800/2008 [art. 1, § 3, lett. c)]. Si ricordi, però, che già erano comunque esclusi
dall’applicazione del reg. n. 1/2004 gli aiuti alla trasformazione dei prodotti agricoli in prodotti
che non sono compresi nell’All. I del Trattato.
211
Con il reg. n. 1857/2006 si è operata una netta separazione tra l’agricoltura e
l’agroindustria, in particolare il 6° considerando, dopo avere costatato la significativa presenza di
PMI nel settore della produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli,
continua: «Esistono tuttavia notevoli differenze tra la struttura della produzione primaria, da un
lato, e la trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, dall’altro. La trasformazione e
commercializzazione di prodotti agricoli risulta spesso simile a quella dei prodotti industriali»;
sicché – conclude - «appare pertanto più appropriato adottare un approccio differente per la
trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli, applicando a tali attività le norme
relative ai prodotti industriali». Per un’approfondita analisi del regolamento si veda J ANNARELLI, Il
pluralismo definitorio dell’attività agricola alla luce della recente disciplina comunitaria sugli
aiuti di Stato: prime considerazioni critiche, in Riv. dir. agr., 2007, I, p. 3.
Alle disposizioni del reg. n. 1857/2006 (che ha apportato modifiche anche al reg. n.
70/2001 riguardante l’applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE agli aiuti di Stato) si collegano gli
Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo-forestale 2007-2013, pubblicati
in Gazzetta Uff. CE, 27 dicembre 2006, n. C-319/1, su cui v. BRUNETTI, La disciplina degli
“aiuti regionali” nel diritto comunitario: nuovi Orientamenti della Commissione europea,
Regolamento (CE) n. 1628/2006 e “carte regionali”, in Regioni, 2008, p. 493.
A questa comunicazione si è aggiunta poi la Comunicazione sulla disciplina comunitaria
in materia di aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione, pubblicata in Gazzetta Uff.
CE, 30 dicembre 2006, n. C-323/01. Si tenga presente che i nuovi Orientamenti comunitari del
2006 sugli aiuti al settore agricolo prevedono anche la possibilità di aiuti connessi allo sviluppo
rurale, all’attuazione delle direttive uccelli e flora e fauna selvatiche, alla tutela dell’ambiente e al
settore forestale.
212
Sentenza Tribunale di primo grado 4 marzo 2009, nella causa T-424/05, Italia c.
Commissione.
90
17 maggio 1999, n. 1257213 aveva previsto quali misure di sviluppo rurale
che gli Stati membri erano autorizzati a finanziare senza alcun contributo
dell’Unione, oltre ad esentare dall’obbligo di notifica anche altri tipi di
aiuti.
Con il secondo provvedimento, il reg. 6 ottobre 2004, n. 1860,
successivamente abrogato dal reg. 20 dicembre 2007, n. 1535, è stata estesa
all’agricoltura la regola de minimis, che per i settori non agricoli era già
stata introdotta dal reg. 7 maggio 1998, n. 994214, e che prevede le
213
Il reg. n. 1257/99 sullo sviluppo rurale è stato sostituito dal reg. 20 settembre 2005, n.
1698, sul sostegno dello sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale
(Feasr), regolamento modificato dal reg. 16 gennaio 2009, n. 74. Il reg. n. 1698/2005, come già il
reg. n. 1257/1999, costituisce la base giuridica unica per l’applicazione delle regole sugli aiuti di
Stato nel settore dello sviluppo rurale, tanto al livello della produzione primaria, quanto a quello
della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli. In particolare, l’art. 88 reg. n.
1698/2005 dichiara che gli artt. 87-89 del Trattato di Roma (ora artt. 107-109 TFUE) sono
applicabili a tutti gli aiuti di Stato per le misure di sostegno allo sviluppo rurale (§ 1), ma aggiunge
che i contributi nazionali ai programmi di sviluppo rurale erogati dagli Stati membri in cofinanziamento del sostegno comunitario allo sviluppo rurale non sono assoggettati ai detti artt.
107-109 (§1, 2° co.) e, quindi, non devono essere notificati: tali misure nazionali sono, infatti,
“controllate” dalla Commissione nel momento dell’approvazione del programma nazionale sullo
sviluppo rurale. Una disamina esaustiva del reg. è contenuta in G ENCARELLI, Gli aiuti di Stato in
agricoltura, in Riv. dir. agr., 2009, I, 35.
214
Il reg. considera di entità modesta e in quanto tali incapaci di incidere sul commercio
comunitario gli aiuti che non eccedevano, nell’arco di tre esercizi fiscali, l’importo di 3000 euro
(ora 7500 euro, ex art. 3 reg. n. 1535/2007) per l’impresa del settore agricolo e quando l’importo
globale degli aiuti concessi all’insieme delle imprese nell’arco dei tre anni fosse inferiore al
massimale dell’0,3% (ora 0,75%) del valore complessivo della produzione agricola del settore. Per
l’Italia, il tetto massimo, per il reg. n. 1860/2004, era di circa 130 milioni di euro; ora è di
320.505.000 euro. Si tenga presente che tale importo è stato regionalizzato per l’80%.
Se l’importo totale massimo degli aiuti de minimis ottenuti da una impresa non può
superare, nell’arco di tre anni, i 7.500 euro, ciò significa che per stabilire se un’impresa possa
ottenere una agevolazione in regime de minimis e l’ammontare della stessa, occorrerà sommare
tutti gli aiuti ottenuti da quella impresa, a qualsiasi titolo (per investimenti, attività di ricerca,
promozione estero, ecc.) in regime de minimis, nell’arco di tre esercizi finanziari (l’esercizio
finanziario in cui l’aiuto è concesso più i due precedenti). L’impresa che richiede un aiuto di
questo tipo dovrà, quindi, dichiarare quali altri aiuti ha ottenuto in base a quel regime e
l’amministrazione concedente verificare la disponibilità residua sul massimale individuale
dell’impresa. Nel caso un’agevolazione concessa in de minimis superi il massimale individuale a
disposizione in quel momento dell’impresa beneficiaria, l’aiuto non potrà essere concesso
nemmeno per la parte non eccedente tale tetto.
Dal computo dei 7.500 euro vanno esclusi gli aiuti che un’impresa possa avere ottenuto o
potrà ottenere in base ad un regime autorizzato dalla Commissione o esentato ai sensi di uno
specifico regolamento di esenzione. Tuttavia, il cumulo (vale a dire la concentrazione sulle stesse
spese ammissibili) di un’agevolazione de minimis con altri aiuti di Stato esentati o autorizzati è
consentito solo se non si superano le intensità di aiuto previste per quell’intervento dalle regole
europee. Ogni Stato membro ha a disposizione un plafond nazionale che costituisce l’importo
cumulativo che può essere corrisposto alle imprese del settore della produzione agricola nell’arco
91
condizioni per cui gli aiuti agricoli non debbano essere notificati, e le regole
per il loro stanziamento da parte dello Stato.
Dalla generale disamina sin qui esposta, si ricava che il settore agricolo
sempre più ha manifestato affinità, nella disciplina degli aiuti di Stato, con i
comparti non agricoli; tuttavia, è necessario, per avere un quadro il più
accurato possibile della materia, ricordare anche il reg. 29 settembre 2003,
n. 1783, che, con il coevo reg. n. 1782/2003, costituisce la riforma di medio
termine della Pac, e che ha fissato uno specifico divieto di aiuti di Stato agli
agricoltori.
In virtù del reg. 1783/2003, sono vietati gli aiuti di Stato diretti a indurre
gli agricoltori ad adeguarsi alle nuove rigorose norme europee in materia di
ambiente, sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere
degli animali e sicurezza sul lavoro, qualora non soddisfino le condizioni
prescritte dagli artt. 21 bis-21 quater reg. n. 1257/99, come aggiunti
dall’art. 1.9 reg. n. 1783/2003, la c.d. condizionalità, la quale prevede un
sostegno temporaneo e a copertura parziale dei costi contenuti e delle
perdite di reddito in cui gli agricoltori incorrano per adeguarsi alle nuove
norme. La disposizione risulta confermata dall’art. 88, par. 5, reg. 20
settembre 2005, n. 1698, che esplicitamente dichiara che «sono vietati gli
aiuti di Stato a favore degli agricoltori che si adeguano ai rigorosi requisiti
prescritti dalla normativa comunitaria in materia di tutela dell’ambiente,
sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere degli animali e
di tre esercizi finanziari. Per l’Italia il plafond di 320.505.000 euro è stato ripartito tra le Regioni,
le Province autonome e lo Stato a titolo di riserva. Gli altri enti presenti sul territorio nazionale che
concedono aiuti de minimis dovranno accordarsi preventivamente con le Regioni di appartenenza
ai fini del controllo del rispetto dei massimali assegnati.
Per imprese del settore agricolo l’art. 2.1 reg. n. 1860/2004 intendeva «le imprese dedite
alla produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti elencati nell’Allegato I del
Trattato». Ora, invece, come anche per il reg. n. 1535/2007, gli Orientamenti comunitari del 2006
per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007-2013, ribadiscono la separazione del
settore della produzione primaria agricola da quello della trasformazione e commercializzazione
dei prodotti agricoli per il quale l’erogazione degli aiuti pubblici è disciplinata dalle norme
generali applicabili al settore industriale.
92
sicurezza sul lavoro, se non soddisfano le condizioni» di cui al precedente
art. 31 che detta l’obbligo del rispetto delle norme basate sulla legislazione
europea sostenibile.
Quando gli aiuti erogati non potevano essere tali perché non ammessi
dalla Commissione, la sanzione imposta è quella del loro rimborso, perché
si tratta di aiuti indebitamente percepiti. Non c’è solo l’obbligo per lo Stato
di sopprimere o modificare il regime della concessione dell’aiuto, occorre
che vengano ripristinate le condizioni di libera concorrenza esistenti prima
dell’introduzione dell’aiuto; pertanto gli aiuti illegittimi vanno rimborsati e
lo Stato membro che li ha concessi deve attivarsi per recuperarli215.
Il recupero degli aiuti incompatibili con il mercato comune, tuttavia, è
escluso nelle ipotesi in cui siano trascorsi dieci anni dalla loro concessione,
qualora il recupero sia in contrasto con un principio generale
dell’ordinamento europeo o qualora esso non sia possibile nonostante
vengano utilizzati tutti i mezzi di cui lo Stato dispone. La prima ipotesi è, in
sostanza, l’applicazione della regola della prescrizione, essendo un cardine
della certezza del diritto la determinazione di un termine oltre il quale non
sono più ammesse contestazioni o controversie.
La seconda ipotesi non è di facile comprensione: per questo la Corte di
giustizia ha identificato quali valori fondamentali del diritto europeo i
principi di non discriminazione, della certezza del diritto, dell’uguaglianza,
del legittimo affidamento, della proporzionalità, dell’effetto utile, della leale
cooperazione e della sussidiarietà.
Ad esempio, in materia di quote latte, si sono presentate ingenti
problematiche nelle azioni di recupero degli aiuti erogati, per possibili
contrasti con principi dell’ordinamento europeo: si possono, a tal fine,
215
Sentenza Corte di giustizia Ce, 12 luglio 1973, in causa 70/72, Commissione c.
Germania. Sul recupero degli aiuti di Stato indebitamente percepiti v. O RZAN, Il recupero degli
aiuti illegali e incompatibili alla prova dei fatti: problemi e prospettive di sviluppo, in DE
CATERINI (a cura di), Quattro studi in materia di aiuti di Stato, cit., p. 33.
93
citare due sentenze216 che vertevano, una, sulla violazione del legittimo
affidamento ad opera di interventi nazionali di “correzione” delle
assegnazioni delle quote agli allevatori di vacche lattifere, l’altra, sulla
presunta violazione del principio della certezza del diritto, poiché la
comunicazione della rispettiva quota non era stata fornita agli allevatori in
modo adeguato.
Tralasciando di esaminare a fondo le specifiche vicende dell’esecuzione
della normativa europea sulle quote latte nel nostro Paese, osserviamo che
entrambe le sentenze avevano per oggetto il recupero del superprelievo non
pagato dai produttori italiani di latte oltre la rispettiva quota di
assegnazione: pronunciandosi sui fatti di causa, la Corte di giustizia ha
dichiarato che i produttori italiani di latte non potevano legittimamente
aspettarsi, undici anni dopo l’istituzione del regime delle quote, di poter
continuare a produrre latte senza limiti e senza obblighi. In altre parole, il
legittimo affidamento nel provvedimento (legislativo o amministrativo) di
concessione dell’aiuto o nella successiva avvenuta erogazione dell’aiuto
incompatibile con il diritto comunitario, non può garantire che, accertata
l’illegittimità dell’aiuto, la Commissione non ne imponga il recupero,
soprattutto quando il beneficiario possa avere, nelle circostanze nelle quali
l’aiuto gli è stato concesso, il dubbio del suo contrasto con le regole di una
leale concorrenza. D’altronde, un operatore economico diligente deve
essere in grado di rendersi conto se la procedura prevista dall’art. 108
TFUE per la concessione dell’aiuto sia stata rispettata.
Da quanto illustrato, si ricava che il divieto di aiuti pubblici alle imprese
non ha carattere generale, visto che lo stesso Trattato contempla la
216
Sentenza Corte di giustizia CE, 25 marzo 2004, cause C-231/00, C-303/00 e C-451/00,
Lattepiù ed altri e sentenza della stessa data in cause C-480-482/00, C-484/00, C-489-491/00 e C497-499/00, Ribaldi ed altri, con commento di GERMANÒ, Le quote-latte tra riallineamento e
affidamento e tra comunicazione e certezza del diritto, in Dir. giur. agr. amb., 2004, p. 398.
94
possibilità di aiuti ope legis (ai sensi dell’art. 107, par. 2, TFUE, ex art. 87,
par. 2, TCE), di aiuti autorizzati dalla Commissione (art. 107, par. 3,
TFUE), e di aiuti ammissibili in seguito a decisione unanime del Consiglio
(art. 108, par. 2, 3° capoverso, TFUE)217.
Negli aiuti autorizzati dalla Commissione rientrano gli aiuti a finalità
regionale (in cui prevalgono esigenze di equità che impongono che non
sussistano differenze notevoli di sviluppo tra le varie regioni di uno stesso
Paese), gli aiuti a finalità settoriale218 (per agevolare talune attività
imprenditoriali onde determinati obiettivi economici e sociali vengano
raggiunti) e altri tipi di sostegno.
Tra gli aiuti ammessi su decisione del Consiglio, l’art. 108, par. 2, 3°
capoverso, TFUE (ex art. 88, par. 2, 3° capoverso, TCE) dispone che «A
richiesta di uno Stato membro, il Consiglio, deliberando all’unanimità, può
decidere che un aiuto, istituito o da istituirsi da parte di questo Stato, deve
considerarsi compatibile con il mercato interno, in deroga delle disposizioni
dell’art. 107 o ai regolamenti di cui all’art. 109, quando circostanze
eccezionali giustifichino tale decisione». Il Consiglio, sulla base di questa
norma, ha alcune volte ammesso degli aiuti, ma senza fornire una
spiegazione esaustiva delle condizioni eccezionali che possano dare luogo
217
Nella materia agricola la Commissione ha autorizzato aiuti ai sensi delle norme citate,
in particolare con varie disposizioni del reg. 1782/2003 (di seguito abrogato dal reg. 19 gennaio
2009, n. 73, che ne ha riprodotto le disposizioni): a titolo esemplificativo, si richiamano le
autorizzazioni ad accordare un aiuto nazionale complementare all’aiuto comunitario per la frutta
con guscio (art. 87 reg. n. 1782/2003), un aiuto nazionale non superiore al 50% delle spese di
avviamento di colture pluriennali destinate alla produzione di biomassa su terreni messi a riposo
(art. 107, § 3, 2° co., reg. n. 1782/2003) e un premio nazionale supplementare all’aiuto
comunitario alle vacche nutrici (art. 125, § 5, reg. n. 1782/2003). Il reg. 1234/2007 (OCM unica)
ha concesso, all’art. 182.4, alla Germania di continuare ad accordare aiuti all’alcole etilico di
origine agricola, già autorizzati con normativa precedente (l’art. 10, § 2, reg. 8 aprile 2003, n. 670
del Consiglio).
218
Per l’agricoltura la Commissione ha emanato la Comunicazione sugli Orientamenti
comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo (in Gazzetta Uff. CE, 1° febbraio 2000, n. C
28) e la comunicazione in merito agli aiuti di Stato per prestiti agevolati a breve termine nel settore
agricolo (ivi, 16 febbraio 1996, n. C 44), nonché la comunicazione sugli Orientamenti per l’esame
degli aiuti di Stato nel settore della pesca e dell’acquacoltura (ivi, 14 settembre 2004, n. C 229).
95
alla loro concessione219, spesso limitandosi ad affermare che «esistono
circostanze eccezionali tali da giustificare la concessione di questo
aiuto»220, o a richiamare la situazione fortemente eccedentaria del mercato
comunitario221, o a prospettare la grave crisi di mercato di uno specifico
settore economico con un esagerato ribasso dei prezzi 222, o a invocare la
drammatica situazione finanziaria di una particolare categoria di
imprenditori223, o a risolvere la particolarissima situazione dei produttori
italiani di latte con riguardo al pagamento del prelievo supplementare per il
superamento delle quote che aveva dato luogo a un vasto numero di cause
pendenti che avrebbero potuto ritardare, ancora per molto tempo, gli
effettivi pagamenti224.
Il tema degli aiuti di Stato al settore agricolo annovera, oltre alle
219
Decisione del Consiglio 24 luglio 1973, n. 209, sul regime inglese di aiuto a favore
della raffinazione dello zucchero greggio, con cui è stato autorizzato l’aiuto nonostante che «con
lettera 16 luglio 1973, la Commissione (avesse) deciso, sulla base dell’art. 93.2 (ora 87.2) del
Trattato, che il Governo del Regno Unito doveva sopprimerlo».
220
Così, ad esempio, la decisione 27 febbraio 1975, n. 142 del Consiglio con riguardo
all’aiuto concesso dal Regno Unito a favore della macellazione di taluni bovini adulti. V. anche la
decisione 30 giugno 1984, n. 361, sull’aiuto tedesco ai produttori agricoli, per le difficoltà
particolari incontrate dall’agricoltura tedesca. Sulla presente e le seguenti decisioni v. ORLANDI,
Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario, Napoli, 1995, p. 610, nt. 17 ss.
221
Decisione 22 giugno 1976, n. 75/556, relativa all’aiuto danese alla macellazione delle
galline, data la grave crisi di sovrapproduzione di uova. V. anche la decisione 22 giugno 1976, n.
306, relativa all’aiuto francese a taluni viticoltori, dato che l’abbondanza del raccolto di uva aveva
creato disponibilità che superavano il fabbisogno normale di una campagna vinicola.
222
Decisioni n. 2002/193 e n. 2002/194 relative agli aiuti, rispettivamente, francesi e
italiani per la distillazione del vino.
223
Decisione 16 marzo 1987, n. 197, relativa all’aiuto francese di parziale assunzione dei
contributi sociali di taluni produttori di latte. V. anche la decisione 13 luglio 1970, n. 355, relativa
all’applicazione delle misure di compensazione a favore dei produttori di cereali da parte della
Repubblica federale tedesca.
224
Decisione del Consiglio 16 luglio 2003, n. 530, sull’aiuto italiano ai produttori
eccedentari di latte in merito al pagamento dilazionato e senza interessi dei prelievi da essi dovuti.
V. ora art. 40 bis del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122, che ha
prorogato al 31 dicembre 2010 il pagamento della rata di giugno 2010 delle multe da parte dei
produttori eccedentari di latte, già disposta dal d.l. 28 marzo 2003, n. 49, nonché l’art. 2, co. 12duodecies, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in l. 26 febbraio 2011, n. 10, che ha
ulteriormente prorogato al 30 giugno 2011 il pagamento della rata di dicembre 2010 delle multe.
La Commissione europea ha avviato una procedura d’indagine formale contro l’Italia sulla proroga
del pagamento delle multe latte, preceduta da una richiesta di chiarimenti che non è stata ritenuta
soddisfacente. Viene, così, contestata la proroga di sei mesi concessa dalla legge n. 10/2011, che
ha posticipato al 30 giugno il pagamento della rata dei prelievi sul latte in scadenza a fine 2010,
dopo che la rateizzazione dei pagamenti era stata accordata all’Italia nel 2003, configurando n tal
modo una violazione delle norme europee sugli aiuti di Stato.
96
disposizioni normative sin qui richiamate, anche le prescrizioni contenute
nel reg. generale n. 26/62 del Consiglio, che all’art. 4 afferma che «Le
disposizioni del paragrafo 1 e del primo periodo del paragrafo 3
dell’articolo 93 del Trattato si applicano agli aiuti concessi alla produzione
o al commercio dei prodotti elencati nell’allegato II del Trattato»225.
Se l’esame della disciplina degli aiuti di Stato al settore agricolo si
limitasse
alla
lettera di questa
norma, si evincerebbero
queste
considerazioni: alla Commissione, per il richiamo al paragrafo 1 dell’art. 93
(ora art. 108 TFUE, ex art. 88 TCE), spetterebbe il compito di procedere,
con gli Stati membri, all’esame permanente del regime degli aiuti agricoli
esistenti negli Stati, e, per il richiamo alla prima frase del paragrafo 3 del
medesimo articolo, ad essa devono essere notificate le misura di aiuto che
gli Stati volessero concedere.
La Commissione, quindi, per il mancato richiamo al paragrafo 2 dell’art.
93 (ora art. 108 TFUE), dopo avere costatato che un aiuto non è compatibile
con il mercato interno, oppure che è stato attuato abusivamente, non
potrebbe chiedere agli Stati di sopprimere gli aiuti illegittimi.
In tal modo si avrebbe, in linea di principio, che per gli aiuti di Stato
relativi ai prodotti agricoli sarebbe esclusa non solo l’operatività degli artt.
107 e 109 TFUE (già artt. 87 e 89 TCE), ma anche quella relativa al
paragrafo 2 dell’art. 108 TFUE (ex art. 88 TCE), che disciplina l’intervento
sanzionatorio della Commissione in caso di aiuti non ritenuti compatibili226.
Il vigente art. 180 del Capo II del regolamento n. 1234/2007, riguardo
agli aiuti di Stato, ha dettato una nuova formula, che ha riunificato le
disposizioni contenute nei vari regolamenti di settore, e ciò ha permesso ad
autorevole dottrina di asserire che i «pacchetti disciplinari che, di volta in
225
Come noto, il reg. 26/62 è stato abrogato dal reg. 24 luglio 2006, n. 1184, il quale
all’art. 3, ribadisce la vecchia disposizione dell’art. 4 reg. n. 26/62.
226
Così JANNARELLI, Aiuti comunitari e aiuti di Stato, cit., p. 377.
97
volta, nel delineare specifici aiuti comunitari, hanno ridisegnato l’ambito
operativo degli aiuti di Stato per ciascun comparto produttivo», hanno fatto
riferimento al complesso delle disposizioni del Trattato in materia di aiuti di
Stato, e non solamente all’art. 108, paragrafi 1 e 3, TFUE. In tale maniera,
«in materia di aiuti di Stato, la centralità disciplinare si è (…) spostata dal
Reg. 1184/2006 al Reg. 1234/2007»227 che, nell’istituire un’unica
organizzazione comune di mercato, ha dedicato il capo II della parte IV alla
normativa sugli aiuti di Stato nel settore agricolo.
L’art. 180 del reg. n. 1234/2007 su tali aiuti, infatti, nel ribaltare le
precedenti disposizioni dell’art. 4 reg. n. 26/62, riprese dall’art. 3 reg. n.
1184/2006, ha previsto «l’applicazione degli artt. 87, 88 e 89 del Trattato»
(ora artt. 107, 108 e 109 TFUE)228.
A conclusione della disamina giova ricordare, comunque, che la politica
agricola comune in modo sistematico e continuativo prevede un’imponente
concessione di aiuti finanziari agli imprenditori agricoli229.
Da ultimo, si osserva che, per la divisione delle competenze tra Stato e
Regioni prevista dal nostro ordinamento costituzionale, in materia di
agricoltura gli aiuti sono previsti nei Programmi di sviluppo rurale (PSR),
227
JANNARELLI, supra, p. 378, dove l’A. richiama la sentenza della Corte di giustizia CE,
23 febbraio 2006, in cause C-346/03 e C-529/03, Atzeri e altri c. Regione Sardegna, per la quale la
regola più favorevole già contenuta nel reg. n. 26/1962 e ora nel reg. n. 1184/2006 opera in
definitiva soltanto per i prodotti agricoli di cui all’all. I del Trattato non soggetti a OCM.
228
L’art. 180 reg. n. 1234/2007 è stato modificato dal reg. 19 gennaio 2009, n. 72, che ha
introdotto alcune precisazioni in relazione all’esistenza di una OCM unica: l’art. 4.34, precisa che
«tuttavia, gli artt. 87, 88 e 89 del Trattato non si applicano ai pagamenti erogati dagli stati membri
a norma degli artt. 44, 45, 46, 47, 48, 102, 102 bis, 103, 103 bis, 103 ter, 103 sexies, 103 octies bis,
104, 105 e 182» del reg. n. 1234/2007. In tal modo si è riconosciuto il primato al reg. n. 1234/2007
sul reg. n. 1184/2006, con un’operazione di inversione del rapporto tra regola ed eccezione, e si è
riconosciuto il quadro disciplinare in materia di aiuti di Stato in base ad entrambi i detti
regolamenti che vengono, così, ad integrarsi tra loro. V. J ANNARELLI, Aiuti comunitari e aiuti di
Stato, cit., p. 378.
229
Sull’argomento si faccia riferimento all’analisi contenuta in J ANNARELLI, Aiuti
comunitari e aiuti di Stato, cit., p. 375 ss, il quale evidenzia come nell’epoca attuale la legislazione
europea delinei puntualmente gli strumenti a disposizione degli Stati nella concessione di aiuti, un
tempo osteggiati in quanto potenzialmente distorsivi della concorrenza, mentre oggi sono visti
come una parte rilevante degli sforzi finanziari dell’Unione europea.
98
in applicazione del reg. 17 maggio 1999, n. 1257, e nei programmi regionali
nel quadro del Piano strategico nazionale, in applicazione del reg. 20
settembre 2005, n. 1698.
Allora, anche il tema degli aiuti di Stato agricoli, coordinato con la
disciplina in materia di concorrenza, ha sollevato problemi complessi sul
riparto delle competenze, su cui si rimanda al capitolo specificamente
dedicato.
Siano consentite, al termine di questa disamina, alcune rapide
valutazioni; emerge, così, con tutta evidenza la differenza di trattamento tra
agricoltura e altri settori economici in relazione all’applicazione degli aiuti
di Stato. Inoltre, è di tutto rilievo l’incidenza che i sostegni pubblici hanno
sulla disciplina della concorrenza, attenuandone il rigore e introducendo
delle deroghe ai principi generali antitrust in relazione ad esigenze
particolari del comparto agricolo.
Tra l’altro gli aiuti di Stato in agricoltura continuano a svolgere,
all'opposto di altri settori, un ruolo rilevante sia sotto il profilo normativo
sia finanziario. In un settore fortemente regolamentato, come quello
agricolo, la disciplina degli aiuti di Stato dovrebbe essere più semplificata.
Come abbiamo visto gli Orientamenti non hanno fornito un impulso in tal
senso e anche la normativa introdotta recentemente sugli aiuti de minimis
non ha di fatto sostanzialmente creato un’occasione di semplificazione
adeguata,dal momento che la soglia proposta per gli interventi appare
troppo bassa.
Un’altra rilevante considerazione riguarda l’esigenza di armonizzare le
regole e gli strumenti adottati dalla politica agricola: sostegno delle singole
produzioni, politica strutturale e politica degli aiuti nazionali. La necessità
sempre più pressante è che vi sia un coordinamento maggiore tra le diverse
componenti della politica agricola in modo tale che tutte confluiscano in
una strategia comune.
99
4.
La
disciplina
della
concorrenza
e
il
sistema delle
organizzazioni dei produttori agricoli
La Comunità europea, successivamente divenuta Unione europea, come
già esplicitato, fin dalle origini della politica agricola comune, ha
individuato strumenti di incentivo alla costituzione di associazioni tra
agricoltori al fine di potenziare la loro posizione sul mercato e rafforzarne il
potere contrattuale nei confronti delle controparti industriale e commerciale.
Si è, in sostanza, data via libera alla concentrazione dell’offerta dei
produttori agricoli, al fine di equilibrare la loro posizione rispetto a quella
degli acquirenti, purché non si spingessero sino a fissare i prezzi dei
prodotti.
L’ordinamento facilita, quindi, la costituzione di associazioni di
produttori agricoli: si pensi al Regolamento n. 2200/96 del 28 ottobre 1996,
modificato dai Regolamenti nn. 1432 e 1433/2003230, relativo alla
costituzione delle organizzazioni di produttori ortofrutticoli; nonché al
Regolamento n. 1360/78 del 19 giugno 1978, ora superato 231, disciplinante
le associazioni di produttori agricoli, le quali sono titolari di funzioni
operative, ma anche di funzioni normative nei confronti degli associati (e in
taluni casi addirittura nei confronti di tutti i produttori del comparto),
riguardanti ad esempio la determinazione ed applicazione di norme di
produzione e immissione dei prodotti sul mercato.
La legislazione richiede che le intese riguardino solo imprenditori
agricoli e loro associazioni, indipendentemente dalla loro forma giuridica.
230
Si tratta del Regolamento n. 1432/2003 della Commissione dell’11 agosto 2003
recante modalità di applicazione del Regolamento n. 2200/96 del Consiglio per quanto riguarda il
riconoscimento delle organizzazioni di produttori e il prericonoscimento delle associazioni di
produttori, in GUUE del 12.8.2003 e del Regolamento n. 1433/2003 della Commissione dell’11
agosto 2003 recante modalità di applicazione del Regolamento n. 2200/96 del Consiglio riguardo
ai fondi di esercizio ai programmi operativi e all’aiuto finanziario.
231
Il Regolamento n. 1360/78 è stato sostituito dal Reg. 952/97 del 20 maggio 1997, di
seguito abrogato dal Reg. 1257/99 del 17 maggio 1999.
100
Inoltre, le decisioni possono riguardare ciascuna delle fasi di lavorazione
del prodotto, che
all’immissione
sul
vanno dalla
mercato
produzione alla
previo
deposito,
vendita,
ovvero
manipolazione
o
trasformazione, in impianti comuni, ivi compresa la fissazione di limiti
quantitativi di produzione, con la sola eccezione rappresentata dalla diretta
fissazione di un prezzo di vendita vincolante per i produttori agricoli
aderenti all’accordo ovvero all’associazione.
In sostanza, si è ritenuto che le intese tra produttori agricoli fruissero di
una presunzione di conformità agli obiettivi dell’art. 39 TFUE (ex art.33
TCE), nel senso che spetta alla Commissione, ove intenda far valere il
divieto di cui all’art. art. 101 TFUE (ex art. 81 TCE), accertare che tale
intesa od associazione escluda la concorrenza, ovvero che siano
compromessi gli obiettivi dell’art. 39 TFUE.
Tuttavia, una pronuncia della Corte di giustizia232 ha eroso
sensibilmente la portata della deroga, in quanto, secondo la soluzione
(discutibile per taluni233) accolta dalla Corte, non si sarebbe di fronte
all’operatività di una presunzione sostanziale circa la conformità
dell’accordo alla normativa antitrust sino al contrario accertamento
effettuato dalla Commissione, ma più semplicemente solo a una inversione
probatoria rilevante sul piano procedurale: di conseguenza, il principio
relativo alla nullità ipso iure, con efficacia retroattiva, di tutte le intese o gli
accordi che violano l’art. 101, par. 1, TFUE, dovrebbe valere in tutti i casi.
Il reg. n. 1234/07, regolamento unico OCM, come anche gli altri residui
regolamenti di base dei settori produttivi non interessati dalla sua
applicazione, contiene numerose norme di carattere anticoncorrenziale:
basti pensare ai regimi di contenimento della produzione (quote produttive)
232
Sentenza della Corte di giustizia, del 12 dicembre 1995, nei procedimenti riuniti C319/93, C-40/94, C-224/94, Dijkstra, in Raccolta, p. 4497.
233
JANNARELLI, Le regole della concorrenza nella PAC, cit., p. 81.
101
e agli aiuti concessi per determinate produzioni; detto regolamento, inoltre,
dedica la sua Parte IV (artt. da 175 a 182) alle “norme sulla concorrenza”,
riproducendo sostanzialmente il contenuto degli artt. 1-bis e 2 del reg. n.
1184/06 (il cui ambito di applicazione è rappresentato oramai dai prodotti
agricoli non disciplinati dal reg. 1234/07). Non a caso, lo stesso reg. n.
1234/07 si premura di indicare, quale propria base giuridica, anche l’art. 36
TCE (ora art. 42 TFUE), a riprova del fatto che si tratta di deliberazione del
Consiglio che trova la propria legittimazione, quanto ai profili
anticoncorrenziali, nell’art. 36 del Trattato.
Come dianzi illustrato, l’ordinamento dell’UE ha previsto delle
esenzioni specifiche alle regole della concorrenza per la stipula di accordi
tra imprese, non solo agricole, che abbiano finalità specifiche previamente
individuate
dalla
stessa
normativa
all’interno
della
regolazione
dell’organizzazione comune di mercato.
In tal modo è stata riconosciuta come legittima la stipulazione di accordi
di filiera ritenuti strumentali alla stessa regolazione del settore di mercato
tra imprese, al pari di quanto previsto per gli accordi tra associazioni di
produttori agricoli ai sensi del reg. 26/62. Ciò si verifica in settori nei quali
la presenza di accordi interprofessionali tra agricoltori e imprese industriali
che
operano
all’interno
della
filiera
(trasformatori,
imprese
di
commercializzazione) è considerata opportuna per la strutturazione del
mercato234: nel settore ortofrutticolo, in cui si è in presenza di una forte
frammentazione dell’offerta; così nel settore del tabacco dove la
commercializzazione del prodotto passa inevitabilmente attraverso la
trasformazione del prodotto grezzo e, quindi, la negoziazione tra produttori
agricoli e imprese di trasformazione.
234
Sugli accordi interprofessionali, v. P AOLONI, Gli accordi interprofessionali in
agricoltura, Padova, 2000; sulle deroghe in materia di concorrenza all’interno delle OCM, v.
JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo, cit. p. 450 ss.
102
Di più, il Reg. n. 2200/96 sulle associazioni di produttori ortofrutticoli,
in precedenza disciplinate dal reg. 1035/72, prevede per la prima volta la
costituzione, accanto alle tradizionali organizzazioni di produttori
ortofrutticoli, costituite da soli produttori agricoli le quali ricalcano il
modello preso in considerazione dalla terza ipotesi di cui all’art. 2 del reg.
26/62, la costituzione di organizzazioni interprofessionali, che raggruppino
«rappresentanti delle attività economiche connesse con la produzione e/o il
commercio e/o la trasformazione dei prodotti ortofrutticoli», e attribuisce
loro il potere di dettare norme e di elaborare contratti-tipo capaci di
autolimitare la concorrenza tra i diversi operatori della stessa filiera, e
stabilisce che detti accordi e pratiche sono sottratti all’applicazione dell’art.
81, par. 1, del Trattato, in esplicita deroga allo stesso art. 1 del reg. 26/62
(art. 20), allorché mirino a realizzare determinati fini, introducendo una
disciplina di favore superiore a quella delineata nel reg. 26/62.
La dottrina più avveduta ritiene che si delinei, in questo modo, un confine
che è «pressappoco quello delle esenzioni delle intese verticali per
categoria»235.
La norma in esame predispone pur sempre alcune cautele, anche di
ordine preventivo: gli accordi, le decisioni e le pratiche adottate
dall’organizzazione interprofessionale debbono essere notificate alla
Commissione e possono essere attuate soltanto alla scadenza dei due mesi
successivi nel caso in cui la Commissione non abbia sollevato obiezioni e
ritenuto tali decisioni incompatibili con la normativa comunitaria; d’altra
parte anche successivamente alla scadenza dei due mesi, la Commissione
può sempre adottare una decisione di contrarietà all’art. 81, par. 1, in
presenza di precise circostanze. Inoltre, l’art. 20, comma 3 del reg. 2200/96
si è preoccupato di individuare ipotesi evidenti di contrarietà alla disciplina
235
Così ROOK BASILE, La sicurezza alimentare ed il principio di concorrenza, cit., p. 315.
103
comunitaria.
Nello stesso tempo, il reg. 2200/96 ha confermato, ma estendendone
l’applicazione anche alle nuove organizzazioni interprofessionali, la
possibilità che a decisioni adottate da organizzazioni dotate di particolare
rappresentatività sia attribuita efficacia vincolante rispettivamente per tutti i
produttori ortofrutticoli, stabiliti nella circoscrizione e non aderenti a tale
organizzazione, ovvero a tutti gli operatori attivi nella regione interessata e
non aderenti all’organizzazione interprofessionale. In ordine, poi, alla
possibilità che gli Stati attribuiscano efficacia erga omnes a decisioni di
organizzazioni di produttori ortofrutticoli ovvero di organizzazioni
interprofessionali, sempre che rispondano ai requisiti di cui agli artt. 18 e 21
del reg. 2200/96, la Commissione può sempre decidere che lo Stato revochi
l’estensione delle regole sia quando dall’estensione derivi l’eliminazione
della concorrenza in una parte sostanziale del mercato interno, ovvero la
lesione della libertà degli scambi, o il pregiudizio per gli obiettivi di cui
all’art. 33 del Trattato, sia quando le delibere, come tali, vale a dire
indipendentemente dall’estensione della loro efficacia, siano in contrasto
con l’art. 81, par. 1.
Da ciò si ricava una regola specifica per l’agricoltura europea: tra gli
strumenti da utilizzarsi per il conseguimento degli obiettivi di cui all’art. 33
del Trattato, quello della garanzia della libertà di concorrenza trovasi in
posizione subordinata. Tanto è vero che la stessa Comunità si è servita di
strumenti che, traducendosi in vantaggi o protezioni giuridiche per alcuni
imprenditori, si colorano di privilegio e di aspetti anticoncorrenziali, come
nel caso della guerra delle banane, che la Corte di giustizia ha giudicato
legittimi perché coerenti con gli obiettivi che il Trattato ha assegnato
all’agricoltura236; inoltre, da questi provvedimenti non risulta inciso il
236
Il riferimento è al reg. 13 febbraio 1993, n. 404 sull’OCM banane, dichiarato legittimo
dalla Corte di giustizia con la sentenza 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania c. Consiglio, in
104
rapporto ancillare della concorrenza rispetto alla PAC, soprattutto laddove
si prendono in considerazione «distorsioni della concorrenza indispensabili
per raggiungere gli obiettivi della politica agricola comune (pac) perseguiti
dall’azione interprofessionale».
Il reg. 2200/96 prevede che gli accordi, le decisioni e le pratiche
debbano essere preventivamente sottoposti al vaglio della Commissione,
per un giudizio di compatibilità con la normativa comunitaria; pertanto essi
non possono essere attuati prima della valutazione della Commissione che
deve intervenire nel termine di due mesi (nel caso di accordi tra
organizzazioni interprofessionali dell’ortofrutta) o tre mesi (nel caso del
tabacco) a partire dalla comunicazione degli elementi necessari per la
decisione. La decisione può infatti avere effetto successivamente al giorno
della sua notifica all’organizzazione interprofessionale interessata: solo a
partire da questo momento l’accordo sarà applicabile.
Quanto al loro contenuto, poi, il reg. 2200/96237, senza con ciò limitare
il potere di valutazione della Commissione, stabilisce espressamente in
quali casi accordi, decisioni e pratiche siano da considerare in ogni caso
contrari alla concorrenza, vale a dire quando: «a) possono causare una
qualsiasi forma di compartimentazione dei mercati all’interno della
Comunità; b) possono nuocere al buon funzionamento dell’organizzazione
comune dei mercati; c) possono creare distorsioni di concorrenza non
indispensabili per conseguire gli obiettivi della politica agricola comune
perseguiti
dall’attività
dell’organizzazione
interprofessionale;
d)
comportano la fissazione dei prezzi, indipendentemente dalle attività svolte
Raccolta p. I-4973. A seguito delle modifiche introdotte dalla Comunità al reg. 404/93, la Corte di
giustizia, con sentenza 1° marzo 2005, C-377/02, Van Parys, ha riconfermato l’impossibilità di
invocare dinanzi ad un giudice nazionale l’incompatibilità di una normativa comunitaria con gli
obblighi derivanti dal Trattato di Marrakech, incompatibilità già accertata dall’organo di
risoluzione delle controversie della WTO.
In argomento, si veda anche la sentenza Maizena c. Consiglio, cit., punto 23 e seguenti.
237
Vedi anche art. 176 bis, § 4, reg. n. 1234/2007. Analogo il testo dell’art. 177 relativo ad
accordi e pratiche nel settore del tabacco.
105
dalle organizzazioni interprofessionali in applicazione della normativa
comunitaria specifica; e) possono creare discriminazioni o eliminare la
concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti in questione».
Nell’ipotesi in cui l’accordo sia considerato non rientrante nelle
eccezioni stabilite per l’agricoltura, si torna ad applicare la disciplina
generale prevista dall’art. 81, par. 2, del Trattato CE che sanziona con la
nullità di pieno diritto gli accordi o decisioni vietati ai sensi della stessa
disposizione.
La Corte di giustizia ha, infatti, stabilito che in questo caso la nullità può
essere dichiarata dallo stesso giudice nazionale ove accerti che l’accordo
esclude la concorrenza238. Infatti, come detto, l’art. 81 TCE (ora art. 101
TFUE) è stato ritenuto dalla Corte di giustizia direttamente applicabile, con
la conseguenza che la nullità degli accordi può essere dichiarata dai giudici
nazionali239.
Diverso approccio è stato seguito, invece, per gli accordi concordati nei
settori ortofrutticolo e del tabacco dalle organizzazioni interprofessionali ai
sensi degli artt. 176 bis e 177, reg. 1234/2007. In questo caso la norma
impone alle organizzazioni interprofessionali di sottoporre preliminarmente
al vaglio della Commissione la compatibilità degli accordi al fine di
valutarne eventuali distorsioni della concorrenza: pertanto gli accordi non
possono avere effetto fino alla decisione della Commissione. È, altresì,
previsto che la Commissione possa in qualunque momento accertare
l’incompatibilità dell’accordo perché ostacola la concorrenza, tuttavia in
questo caso la dichiarazione di incompatibilità vale a partire dalla decisione
della Commissione e fa salvi gli effetti precedentemente esplicati
dall’accordo. L’unica ipotesi in cui si può verificare una nullità ex ante di
tali accordi è quella in cui l’organizzazione interprofessionale abbia fornito
238
239
Sentenza Dijkstra, punto 32 ss.
Sentenza Corte di giustizia CE 6 aprile 1962, in causa C-13/61, Bosch.
106
alla Commissione informazioni errate o abbia abusato della deroga: in
questo caso, si deve dimostrare che la decisione positiva della Commissione
è stata viziata dalla omissione delle informazioni necessarie alla valutazione
dell’accordo, ovvero che si è verificato un abuso da parte delle
organizzazioni interprofessionali interessate nell’attuazione dell’accordo
stesso.
La previsione della nullità di pieno diritto, quale sanzione per le intese
in violazione delle norme sulla concorrenza, comporta d’altro canto la
possibilità, anche per gli accordi del settore agricolo per i quali ciò non è
espressamente previsto dalla normativa (tabacco e ortofrutta), di notificare
alla Commissione l’accordo al fine di ottenere una esenzione individuale,
per effetto della quale la decisione della Commissione certifica la
compatibilità dell’accordo con le regole della concorrenza, evitando le
conseguenze di una eventuale successiva dichiarazione di nullità.
La disciplina delle organizzazioni interprofessionali su questo punto
merita una riflessione più compiuta. L’art. 19 del reg. 2200/96, infatti,
prevedeva il potere di tali organizzazioni di «elaborare contratti tipo
compatibili con la normativa comunitaria». Senonchè problemi erano sorti
in relazione alla legge italiana n. 88/1988, per la quale gli accordi
interprofessionali venivano stipulati dalle categorie degli agricoltori da una
parte e dagli industriali o commercianti dall’altra, quando secondo il diritto
comunitario il loro contenuto viene determinato all’interno della stessa
organizzazione. Il successivo d.lgs. 27 maggio 2005, n. 102, che ha
abrogato la legge n. 88/1988, prevede «intese di filiera» stipulate
nell’ambito del Tavolo agroalimentare istituito presso il MIPAF (art. 9.2),
quindi nel corso di discussioni “interne” ma al di fuori della organizzazione,
quantunque sia previsto che «le intese possono, inoltre, essere stipulate
dalle organizzazioni interprofessionali» (art. 9.3).
Il d.lgs. n. 102/2005 contiene un’altra disposizione particolare. L’art.
107
15.1, prevede che accordi realizzati tra imprenditori agricoli ed imprese, che
beneficino di dop, igp o stg o che siano integrati nella stessa filiera di
agricoltura biologica, devono essere approvati dal MIPAF quando, redatti
per iscritto e per un periodo di validità non superiore a tre anni, riguardino
«una programmazione previsionale e coordinata della produzione in
funzione del mercato», o «un piano di miglioramento della qualità dei
prodotti, avente come conseguenza diretta una limitazione del volume di
offerta», o «una concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati
della produzione degli aderenti». Il secondo comma prevede in aggiunta che
«in caso di grave squilibrio del mercato, gli accordi realizzati fra produttori
agricoli, o fra produttori agricoli ed imprese di approvvigionamento o di
trasformazione
e
le
disposizioni
organizzazioni
di
produttori
autolimitatrici,
agricoli
[…]
e
le
adottate
dalle
organizzazioni
interprofessionali […], destinati a riassorbire una temporanea sovracapacità
produttiva per ristabilire l’equilibrio del mercato, devono essere autorizzati
dal MIPAF».
Se ne ricavò, all’indomani delle norme in esame, che anche le intese fra
i produttori agricoli, lecite a priori per il reg. comunitario n. 26/62,
dovevano essere preventivamente approvate o autorizzate dal Ministero,
laddove, invece, le intese tra produttori agricoli da un lato e gli industriali e
commercianti dall’altro, nonché all’interno delle stesse organizzazioni
interprofessionali, quando hanno una valenza autolimitatrice e siano
finalizzate a ristabilire l’equilibrio del mercato in un momento di instabilità,
sono dispensate dall’esame dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato, e così affidate al solo vaglio del Ministero.
Dunque, il reg. n. 26/62 operava una netta distinzione, nella materia
della produzione e del commercio dei prodotti agricoli, tra i produttori e
tutti coloro che in modo diverso operano nel settore. La ratio dell’esenzione
consiste nel fatto che gli agricoltori sono milioni nella Ue e quindi sono
108
assolutamente deboli sul mercato, sicché è del tutto improbabile che essi
possano realizzare comportamenti anticoncorrenziali. Tutti coloro che in
modo
diverso
operano
nel
settore
(industriali
agro-alimentari
e
commercianti) sono soggetti al rigore dell’art. 81 del Trattato, mentre i
produttori agricoli ne sono esentati240.
In questa logica si colloca in primo luogo la necessità di individuare
strumenti di governo specifici in relazione ai settori di produzione, che si
realizza mediante le organizzazioni comuni di mercato (ora unificate dal
reg. n. 1234/2007, ma pur sempre differenziate per quanto concerne gli
strumenti normativi che disciplinano ciascuna filiera produttiva241).
In secondo luogo, quale misura complementare rispetto alla
regolamentazione per filiera delle organizzazioni comuni di mercato, il
Trattato prevede un alleggerimento delle regole di concorrenza, la cui
applicazione troppo stringente potrebbe rivelarsi dannosa rispetto alle
esigenze di rafforzamento del settore agricolo: in esso i soggetti economici
sono caratterizzati da una ridotta capacità di contrattazione sul mercato, non
solo per le dimensioni delle imprese e per le disparità strutturali, ma anche
perché i produttori agricoli si collocano, quali fornitori di materie prime, a
monte della catena di produzione, controllata in realtà dalle imprese
agroindustriali e dalle imprese di distribuzione.
Pertanto, l’aggregazione tra le imprese operanti nel settore agricolo,
vietata per principio dalle disposizioni sulla concorrenza, non è di per sé
incompatibile con un mercato comune nell’ambito della politica agricola: in
questo le linee programmatiche enunciate nel Trattato rimandano ad altre
esperienze legislative, come quella statunitense, che hanno previsto
240
Così COSTATO, Agricoltura, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da
Chiti e Greco, Milano, 1997, Parte speciale, t. I, p. 17, dove distingue i prodotti ottenuti
nell’azienda agricola dai prodotti trasformati normalmente fuori di essa, qualificati come
«agroindustriali» e che sono assoggettati alle stesse regole dei prodotti industriali.
241
Cfr. Il regolamento unico sull’organizzazione comune dei mercati agricoli (reg. CE 22
ottobre 2007, n. 1234), a cura di Costato, in Leggi civ. comm,, 2009, 1 ss.
109
specifiche esenzioni dalla legislazione antitrust per i produttori agricoli242.
In questa ipotesi, come del resto appare evidente dalla stessa normativa
nord-americana, il favor nei confronti delle associazioni, sempre che
costituite da soli produttori agricoli, riflette l’esigenza di favorire
l’associazionismo economico tra gli agricoltori, quale elemento di
razionalizzazione a fronte dello squilibrio di potere contrattuale che
strutturalmente i produttori agricoli incontrano sul mercato. Per queste
intese l’art. 85, par. 1 può operare, come dichiara appunto l’art. 2 del reg.
26/62, soltanto se la Commissione provi che la concorrenza sia esclusa o
che gli obiettivi di cui all’art. 39 risultino essere messi in pericolo. Il chiaro
favor per le associazioni si manifesta nell’inversione dell’onere della prova;
spetta, infatti, alla Commissione provare che le associazioni e le intese
costituiscono un pericolo.
Sono, quindi, considerati in ogni caso contrari all’art. 81 gli accordi
interprofessionali che portano alla ripartizione dei mercati e alla fissazione
dei prezzi oppure, più in generale, che producono effetti distorsivi della
concorrenza in una misura che va oltre quanto necessario per il
raggiungimento degli obiettivi della PAC o, infine, che eliminano la
concorrenza rispetto ad una percentuale sostanziale dei prodotti in
questione.
Per quanto riguarda gli accordi tra singoli operatori, quelli conclusi cioè
da un’impresa agricola o da una associazione di produttori o da una
cooperativa, da un lato, e un distributore, dall’altro, essi assumono
certamente rilievo antitrust in virtù della loro idoneità a limitare l’accesso al
mercato e la concorrenza tra gli operatori. Del pari, accordi di partnership
tra produttori e distributori, che possono a volte costituire strumenti
242
LIZZI, La politica agricola, Bologna, 2002. Per un confronto con la disciplina antitrust
statunitense vedi JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico
europeo e globalizzazione dell’economia, in Riv. dir. agr., 1997, I, p. 416.
110
importanti per migliorare la competitività del settore agricolo, in quanto
permettono di orientare alle esigenze del mercato la produzione e di
assicurare una maggiore efficienza e stabilità delle consegne, sono da
considerare restrittivi della concorrenza se e quando si trasformano in
accordi commerciali esclusivi rispetto a prodotti specifici.
Peraltro, in virtù del regolamento sulle intese verticali del 1999243, gran
parte delle restrizioni della concorrenza determinate dai suddetti accordi
sono esentate dall’applicazione delle norme antitrust relative alle intese,
dato il permanere di un livello di frammentazione del settore tale da rendere
improbabile il raggiungimento della soglia del 30% della quota di mercato
da parte dei fornitori, vale a dire i produttori agricoli.
5. La disciplina della concorrenza e la ripartizione di competenze tra
Commissione europea e Autorità antitrust nazionali
Il rapporto tra il raggiungimento degli obiettivi della Pac e
l’applicazione delle regole della concorrenza nel settore agricolo, che ha
trovato una sua definizione attraverso l’interpretazione della giurisprudenza
della Corte, si intreccia anche con la questione della definizione delle
competenze degli Stati membri nell’applicazione della disciplina della
concorrenza.
Il percorso giurisprudenziale, che risale agli anni ’70, prende avvio dalla
necessità di affermare la competenza comunitaria in materia di agricoltura
e, conseguentemente, di limitare gli interventi che possono, sia sul piano
dell’adattamento della politica agricola comunitaria alle regole della
243
Regolamento (CE) n. 2790/99 della Commissione del 22 dicembre 1999, relativo
all’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del trattato Ce a categorie di accordi verticali e pratiche
concordate (GUCE del 29 dicembre 1999, n. L 336, p. 21). Il regolamento è entrato in vigore il 1°
gennaio 2000 ed è applicabile dal 1° giugno 2000.
111
concorrenza, sia sul piano degli interventi degli Stati membri, inficiare gli
obiettivi della strutturazione dei mercati agricoli.
In questa prima fase, si inseriscono le decisioni della Corte in cui si
afferma la centralità del ruolo svolto dalle organizzazioni comuni di
mercato, dove emerge nel contempo la necessità di concentrare il controllo
dei mercati agricoli nell’ambito del diritto comunitario, attraverso la
regolamentazione delle OCM.
Questo principio è stato affermato dalla giurisprudenza della Corte nella
decisione Pigs Marketing Board concernente la normativa dell’Irlanda del
Nord istitutiva di un ente costituito da produttori e rappresentanti del
Ministro dell’agricoltura e avente come scopo la concentrazione della
vendita di prodotti e la formazione dei prezzi244: la Corte ha ritenuto
incompatibile con una organizzazione comune di mercato fondata sul
principio del mercato aperto una disposizione nazionale atta a modificare le
correnti di importazione o di esportazione o a influire sulla formazione dei
prezzi sul mercato attraverso l’attività di un ente con il potere di
controllarlo. Il funzionamento delle organizzazioni comuni di mercato,
fondate sul principio del libero accesso dei produttori del settore, è
disciplinato unicamente dagli strumenti giuridici contemplati dalla
organizzazione, con la conseguenza che sono incompatibili con
quest’ultima disposizioni nazionali che influiscono sul funzionamento di
tali strumenti comunitari, modificandone i contenuti.
L’affermazione della preminenza degli obiettivi della Pac rispetto alle
regole
della concorrenza
trova
una sua espressione esplicita
e
particolarmente incisiva nella decisione della Corte presa nella sentenza
Germania c. Consiglio relativa all’OCM nel settore delle banane: la Corte
affermando che nel perseguire gli obiettivi della politica agricola comune,
244
Sentenza Corte di giustizia CE, 29 novembre 1978, in causa C-83/78, Pigs Marketing
Board.
112
le istituzioni comunitarie devono garantire la conciliazione permanente tra i
vari obiettivi enunciati nel Trattato, ha sottolineato che l’art. 42 del Trattato
riconosce la priorità della politica agricola rispetto agli obiettivi perseguiti
nel settore della concorrenza e di conseguenza individua il potere del
Consiglio di decidere in quale misura le regole della concorrenza vengono
ad applicarsi in questo ambito245.
La decisione sancisce la preminenza delle politiche agricole rispetto alla
disciplina della concorrenza, che resterebbe compressa e limitata dalle
decisioni del Consiglio: va considerato, tuttavia, che questa affermazione
trova giustificazione nella circostanza che è considerata necessaria
nell’ambito dell’importazione delle banane una strutturazione del mercato,
nel quale la disciplina della concorrenza appare sacrificata dagli obiettivi
preminenti del raggiungimento di un equilibrio tra gli operatori del settore,
caratterizzato da una situazione differente rispetto ad altri mercati, anche in
considerazione della localizzazione della produzione in un contesto
extraeuropeo che coinvolge principalmente gli importatori.
Diverso atteggiamento segue la Corte quando le misure all’esame
presuppongono una regolamentazione dell’OCM già consolidata, nel quale
la soluzione in merito all’applicabilità delle regole della concorrenza non va
a rompere l’equilibrio tra gli operatori, ma si inserisce in una realtà già
regolamentata; in tal senso è agevole individuare all’interno del mercato
comunitario il rapporto tra le competenze riservate alle autorità comunitarie
e quelle delle autorità nazionali nell’applicazione del diritto comunitario,
ferme restando le misure regolamentari consolidate all’interno della OCM.
Siccome la presenza delle organizzazioni comuni di mercato non
costituisce uno spazio senza concorrenza, bensì la libertà di accesso degli
245
Sentenza Corte di giustizia CE, 5 ottobre 1994, in causa C-280/93, Germania c.
Consiglio. Su questo aspetto della sentenza vedi il commento di G ERMANÒ, Il principio della
libertà di concorrenza e la disciplina comunitaria dell’agricoltura, cit., p. 77.
113
operatori economici ne è il presupposto fondamentale, le regole della
concorrenza vengono adattate alle peculiarità del settore agricolo all’interno
del quadro normativo delineato nell’ambito dell’OCM, al fine di realizzare
una concorrenza effettiva sui mercati agricoli246.
Di conseguenza, da un lato si individua uno spazio di intervento delle
autorità nazionali in materia di concorrenza rispetto alle competenze della
Commissione; in secondo luogo, la Corte ribadisce la necessità che
l’applicazione delle regole della concorrenza sia fatta entro il perimetro
della disciplina stabilita attraverso le regole che delineano la strutturazione
delle OCM.
Ai sensi della normativa comunitaria, come già detto, la Commissione
rappresenta l’organo deputato a decidere in materia di concorrenza. La
competenza della Commissione in materia di concorrenza definita ex art. 85
del Trattato, viene ribadita per quanto concerne il settore agricolo dal
secondo paragrafo dell’art. 2 reg. 26/62 e dal corrispondente art. 175 reg.
1234/2007, secondo cui «la Commissione, salvo il controllo della Corte di
giustizia, è la sola competente per accertare, mediante decisione da
pubblicarsi, per quali accordi, decisioni e pratiche ricorrano le condizioni
previste dal par. 1».
La competenza della Commissione riguarda gli accordi, decisioni o
pratiche che hanno una portata tale da incidere sulla concorrenza tra le
imprese che operano sul mercato comunitario. Per quanto concerne invece
gli accordi che possono produrre effetti solo sul mercato nazionale, la Corte
di giustizia si è pronunciata più volte nel senso di attribuire alle autorità
nazionali competenti in materia di concorrenza il compito di valutare tali
accordi.
In questo senso, una giurisprudenza costante della Corte di giustizia
246
Sentenza Milk marque, cit., punti 57 e 61.
114
afferma che il diritto nazionale e il diritto comunitario in materia di
concorrenza si applicano parallelamente, in relazione all’incidenza sui
diversi mercati, nazionale o comunitario delle pratiche anticoncorrenziali.
L’applicazione del diritto nazionale non è infatti esclusa per il solo fatto che
un determinato settore sia soggetto ad una organizzazione comune di
mercato. Tuttavia, la presenza di una OCM comunitaria impone dei limiti
all’applicazione del diritto nazionale della concorrenza. Infatti, in presenza
di una organizzazione comune di mercato le autorità nazionali «sono tenute
ad astenersi da ogni provvedimento che sia atto a derogare alla detta
organizzazione comune o a violarla247».
Per quanto concerne l’applicazione delle regole nazionali della
concorrenza, la Corte ha ritenuto che uno Stato membro può, pur in
presenza di una organizzazione comune di mercato, legittimamente
applicare il diritto nazionale sulla concorrenza per limitare il potere di una
cooperativa che occupa una posizione dominante sul mercato.
Il principio è stato affermato nella sentenza Milk Marque, su una
questione pregiudiziale sollevata dalla High Court concernente un
provvedimento dell’autorità antitrust britannica che aveva applicato le
disposizioni nazionali in materia di concorrenza (Competition Act 1998)
imponendo a una cooperativa operante nel settore lattiero che deteneva una
posizione dominante sul mercato nazionale e andava ad incidere sul prezzo
del latte, la ristrutturazione dell’ente attraverso una suddivisione in più enti
detentori di quote indipendenti e competitivi248.
La Corte di giustizia ha affermato al riguardo che lo stesso Trattato
247
Sentenza Corte di giustizia CE, 1° ottobre 2009, in causa C-505/07, Compañia
Española de Comercialización de Aceite, punto 55. Nella fattispecie una società per azioni avente
per oggetto la produzione di olio di oliva era stata ritenuta svolgere pratiche anticoncorrenziali,
perché interveniva attraverso contratti di ammasso al fine di regolamentare la commercializzazione
dell’olio sul mercato nazionale. Vedi, inoltre, la sentenza Corte di giustizia, 9 settembre 2003, Milk
marque, cit. punto 94.
248
Sentenza Corte di giustizia, 9 settembre 2003, Milk marque, cit.
115
stabilisce il principio dell’applicabilità delle regole comunitarie della
concorrenza al settore agricolo e che in particolare «le organizzazioni
comuni di mercato sono basate sul principio di un mercato aperto, al quale
qualsiasi produttore ha liberamente accesso in condizioni di concorrenza
effettiva»249.
Nel settore lattiero caseario, del resto, è lo stesso regolamento istitutivo
dell’organizzazione comune di mercato che, nel prevedere la possibilità per
lo Stato di affidare ad un’organizzazione rappresentativa dell’80% dei
produttori della regione il diritto esclusivo di commercializzazione del latte,
deve, nel contempo, vigilare affinché l’esercizio di questo diritto sia
compatibile con i principi generali del Trattato, infirmi «solo nella misura
strettamente necessaria la concorrenza nel settore agricolo» e non
comprometta il funzionamento dell’OCM250.
Ne consegue che, in presenza di OCM, il diritto comunitario e nazionale
si applicano parallelamente, prendendo in considerazione i diversi ambiti.
Nell’applicare il diritto nazionale della concorrenza, d’altro canto, gli Stati
membri sono tenuti ad astenersi dall’adottare misure che possano derogare
all’OCM o costituirne una violazione, poiché non possono compromettere
gli obiettivi della politica agricola comunitaria, che in linea di principio
prevale sulla applicazione della disciplina interna della concorrenza251.
249
Punto 59 della sentenza Milk marque, cit.
Art. 25 reg. n. 804/1968, come modificato dal reg. n. 1421/1978.
251
Lo stesso principio è affermato dalla giurisprudenza comunitaria in relazione agli aiuti
di Stato, secondo cui «il ricorso da parte di uno Stato membro agli artt. 92-94 (poi, artt. 87-89 e,
ora, artt. 107-109 TFUE) sugli aiuti non può prevalere sulle disposizioni del regolamento relativo
all’organizzazione di mercato di quel settore». In altre parole, un aiuto, concesso da uno Stato in
un settore disciplinato da un’Organizzazione comune di mercato deve essere valutato innanzitutto
alla luce delle regole specifiche dell’OCM stessa che, quindi, sono preminenti: con la conseguenza
che la Commissione mai potrebbe autorizzare un aiuto incompatibile con le disposizioni di
un’OCM (sentenza Corte di giustizia CE, 26 giugno 1979, in causa 177/78, Pigs and Bacon
Commission, in cui si discuteva del rapporto tra gli artt. 87-89 (al tempo della pronuncia, gli artt.
92-94) del Trattato e le specifiche disposizioni del reg. n. 2579/1975 istitutivo dell’OCM delle
carni suine). Si v. anche il 12° considerando del reg. 6 agosto 2008, n. 800, sul regolamento
generale di esenzione per categoria in materia di aiuti di Stato, in cui è richiamata la
giurisprudenza della Corte di giustizia che «ha stabilito che, una volta che la Comunità ha istituito
250
116
Secondo i medesimi criteri interpretativi è stata risolta dalla Corte una
questione relativa al rifiuto delle autorità spagnole di autorizzare una
società costituita da produttori di olio, frantoi e in parte da istituti di credito,
a costituire una impresa di commercializzazione dell’olio di oliva. La
società operava sul mercato attraverso la conclusione di contratti di
ammasso con i produttori, al fine di evitare il crollo dei prezzi dell’olio di
oliva.
In questo caso la Corte ha preso in considerazione l’importanza del
ruolo svolto dai soggetti privati interessati dal provvedimento dell’autorità
nazionale antitrust nel quadro della regolazione del mercato comunitario e,
alla luce di questa considerazione, ha invitato i giudici a valutare
l’applicazione del diritto nazionale della concorrenza.
Infatti la Corte afferma innanzitutto che una società per azioni può
rientrare nella nozione di organismo autorizzato a concludere contratti di
ammasso privato di olio di oliva, inquadrando tale soggetto tra quegli
organismi che sono compatibili con l’organizzazione comune di mercato,
tanto da essere ammessi al sostegno finanziario della Comunità, che ne
riconosce il ruolo per il funzionamento del mercato dell’olio di oliva: e ciò,
indipendentemente dal fatto che si attribuisca una preferenza alle
associazioni dei produttori e alle loro unioni. In secondo luogo, si afferma
che il meccanismo dell’ammasso privato costituisce uno strumento
legittimo di regolazione del mercato dell’olio di oliva, sicché esso non si
pone di per sé in contrasto con i meccanismi di mercato previsti all’interno
dell’OCM.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte può allora riaffermare il
principio dell’applicazione parallela del diritto nazionale e comunitario in
una Ocm in un dato settore dell’agricoltura, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi dall’adottare
qualsiasi provvedimento che deroghi o rechi pregiudizio a siffatta organizzazione».
Sugli aiuti di Stato si veda più appronditamente il capitolo ad essi dedicato.
117
materia di concorrenza, ma con la precisazione che le autorità nazionali
possono applicare il diritto nazionale della concorrenza ad un accordo
idoneo ad influenzare il mercato dell’olio di oliva a livello comunitario
«purché si astengano dall’adottare da un lato qualsiasi misura tale da
derogare all’organizzazione comune di mercato dell’olio di oliva o da
violarla, e dall’altro, dall’adottare decisioni in contrasto con quelle della
Commissione o dal creare il rischio di un tale contrasto»252.
In sostanza, il primato degli obiettivi della politica agricola si esplica
nella necessità che la disciplina della concorrenza nel settore agricolo sia
subordinata al rispetto delle misure adottate per la regolamentazione dei
mercati; queste ultime non costituiscono di per sé una barriera destinata ad
escludere le regole della concorrenza, ma rappresentano uno strumento
finalizzato a garantire che all’interno del settore produttivo il mercato sia
liberamente accessibile a tutti gli operatori economici e quindi assicuri la
libertà di concorrenza; pertanto, nel quadro della regolamentazione di
mercato così definita, va calibrata anche l’applicazione del diritto nazionale
della concorrenza.
252
Sentenza Corte di giustizia CE, 1° ottobre 2009, in causa C-505/07, cit., punto 56;
sentenza Corte di giustizia CE, 14 dicembre 2000, in causa C-344/98, Masterfoods.
118
6. La concorrenza nell’ordinamento interno: il nuovo art. 117 Cost.
e la competenza esclusiva dello Stato, con particolare riguardo al
settore agricolo
Sulla relazione tra il diritto comunitario ed il diritto nazionale in
materia di concorrenza, conformemente ad una giurisprudenza consolidata,
essi si applicano parallelamente, considerato che essi considerano le
pratiche restrittive sotto aspetti diversi. Mentre la disciplina comunitaria
mira a prevenire gli ostacoli che possono risultare dal commercio tra gli
Stati membri, le legislazioni interne, ispirate da considerazioni proprie di
ciascuna di esse, considerano le pratiche restrittive in questo unico
quadro253.
Occorre, per analizzare l’oggetto del presente capitolo, considerare la
modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione, introdotta
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3254, di cui lo snodo
fondamentale è costituito dalla diversa dislocazione della potestà
legislativa255, posto che, attraverso il rovesciamento del criterio di riparto,
lo Stato assume una competenza definita, mentre le Regioni diventano enti
a competenza generale, ad esclusione dei settori espressamente riservati256.
253
In materia di incompatibilità di aiuti di Stato per l’acquisizione di quote latte e l’OCM
di base, si veda la sentenza della Corte di giustizia 14 ottobre 2004, in causa C-173/02, Regno
Unito e Spagna c. Commissione, in Racc., 2004, I, p. 9735. Si veda anche la sentenza del
Tribunale di Primo grado del 14 dicembre 2005 in causa T-200/04, Regione autonoma della
Sardegna c. Commissione.
254
L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, in Gazz. Uff 24 ottobre 2001, n. 248. .
255
MASINI, Agricoltura e Regioni. Appunti sulla riforma costituzionale, Roma, 2002;
GERMANÒ, a cura di, Il governo dell’agricoltura nel nuovo titolo V della Costituzione, Atti
dell’incontro di Studio dell’IDAIC (Firenze, 13 aprile 2002), Milano, 2003; Dopo la modifica
dell’art. 117 cost.: problemi ed esperienze sulla competenza della materia agricoltura, Atti del
Convegno (Siena, 25-26 novembre 2005) a cura di ROOK BASILE, Milano, 2006.
256
Tra la numerosa dottrina si vedano, in particolare, JANNARELLI, «Agricoltura» e
«Tutela della concorrenza» nel nuovo art. 117 Cost., in Riv. dir. agr., 2006, p. 31; dello stesso
autore, L’agricoltura tra materia e funzione: contributo all’analisi del nuovo art. 117 Cost., in
GERMANÒ (a cura di), Il governo dell’agricoltura nel nuovo tiolo V della Costituzione, Atti
dell’incontro di studio di Firenze 13 aprile 2002, Milano, 2003, p. 67; GERMANÒ, La ‘materia’
agricoltura nel sistema definito dal nuovo art. 117 Cost., ivi, p. 209; CORSO, La tutela della
119
Invero, il modo alquanto approssimativo con cui gli artefici della
riforma hanno proceduto nell’allocazione delle competenze tra Stato e
Regioni ha generato profonde incertezze, soprattutto con riferimento alle
materie non materie257, ovvero a quelle competenze che, soltanto attraverso
il proprio esercizio, definiscono l’ambito in cui incidono.
Tra le competenze statali esclusive, individuate in termini finalistici,
l’art. 117, comma 2, lett. e) Cost., annovera quella relativa alla «tutela della
concorrenza». Pertanto, in tale settore, il legislatore centrale può esercitare
la propria competenza modulandone l’ampiezza, in quanto la norma non
regola rigidamente i termini del rapporto tra la legislazione statale e quella
regionale, ma affida alla prima il compito di fissare i principi e i limiti entro
cui possono muoversi le Regioni, ma non esclude la possibilità che possa
spingersi nei dettagli, limitando sensibilmente la potestà regolamentare
locale.
Gli orientamenti ermeneutici emersi in dottrina in seguito alla
concorrenza come limite della potestà legislativa (delle Regioni e dello Stato), in Dir. pubbl.,
2002, p. 982; ARNAUDO, Costituzione e concorrenza: note a margine della recente
giurisprudenza costituzionale, in Riv. ital. Dir. pubbl. comunitario, 2005, p. 377; CANIZZARO, La
riforma «Federalista della Costituzione e gli obblighi internazionali, in Riv. dir. int., 2001, p. 921;
PINELLI, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con
l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento comunitario, in Foro it., 2001, V, p. 194;
SORACE, la disciplina generale dell’azione amministrativa dopo la riforma del Titolo V della
Costituzione. Prime considerazioni, in Le Regioni, 2002, p. 757;TORCHIA, «Concorrenza» fra
Stato e Regioni dopo la riforma del Titolo V: dalla collaborazione unilaterale alla collaborazione
paritaria, in Le Regioni, 2002, p. 647; CANNIZZARO, Convenzione europea e Titolo V della
Costituzione italiana: spunti critici, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2003, p. 3; FALCON,
Inattuazione e attuazione del nuovo Titolo V, in Le Regioni, 2003, p. 3; DE PASQUALE, La tutela
della concorrenza tra Unione europea, Stato e Regioni nella giurisprudenza costituzionale, in Il
Diritto dell’Unione Europea, 2005, p. 99; LEANZA, Le Regioni nei rapporti internazionali e con
l’Unione Europea a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, in Comunità Internaz.,
2003, p. 211; PAJNO, Il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario come limite
alla potestà legislativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Istituzioni del federalismo, 2003,
p. 813; ADINOLFI, Nuove procedure per l’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di
competenza regionale: verso le «leggi comunitarie regionali»?, in Riv. dir. int., 2004, p. 759;
D’ATENA, La difficile transizione. In tema di attuazione della riforma del Titolo V, in Le Regioni,
2002, p. 305; dello stesso autore, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quaderni
costituzionali, 2003, p. 15;
257
L’espressione è utilizzata da D’ATENA, Materie legislative, cit.p. 22, laddove l’autore
afferma che tali materie «si presentano come competenze senza oggetto: chiamate a definire se
stesse, mediante il proprio esercizio».
120
riforma costituzionale sono riconducibili a due indirizzi: il primo alquanto
restrittivo, che assegna alla materia un oggetto limitato, da identificarsi con
la disciplina antitrust di cui alla legge n. 287 del 1990; l’altro che ne
specifica il carattere trasversale rispetto ad altre materie, motivo per cui si
ritiene debba essere affidata alla potestà legislativa nazionale la
determinazione della disciplina antitrust in generale, ma anche delle
discipline specifiche dei diversi settori, che fissino i principi generali per
assicurare l’attuazione e il rispetto della concorrenza258.
L’obiettivo della riforma è salvaguardare l’assetto unitario del
mercato, evitando che distorsioni siano introdotte a livello locale, e soltanto
il legislatore nazionale è in grado di garantirlo, nel rispetto della Carta
costituzionale e dei vincoli europei. Certamente dalle scelte operate dallo
Stato, la normativa sulla concorrenza può incidere su settori diversi (ad
esempio, industria, artigianato, commercio, ecc.) soggetti alla potestà
legislativa concorrente delle Regioni. Da ciò deriva che le probabilità di
interferenze e conflitti tra Stato e Regioni siano molte elevate, come già è
avvenuto nella prassi.
Analogamente si presenta la ripartizione delle competenze in materia
di concorrenza tra Unione europea e Stati membri, laddove al livello
superiore è riconosciuta piena potestà a garantire il libero gioco della
concorrenza nel mercato comune, mentre al livello inferiore sono decentrate
competenze attuative e/o amministrative259.
258
Al secondo orientamento appartengono D’ATENA, Materie legislative e tipologia
delle competenze, cit.,; AMMANNATI, Tutela della concorrenza e regolazione proconcorrenziale
(tra Stato e Regioni), in AMMANNATI-GROPPI (a cura di), La potestà legislativa tra Stato e
Regioni, Milano, 2003, p. 121; BUFFONI, La «tutela della concorrenza» dopo la riforma del
titolo: il fondamento costituzionale ed il riparto di competenze legislative, in Le Istituzioni del
federalismo, 2003, p. 345.
259
Sul punto si veda TIZZANO, L’applicazione decentrata degli art. 85 e 86 CE in Italia,
in Foro it., 1997, IV, p. 33 ss; DE PASQUALE, Il principio di sussidiarietà nella Comunità
europea, Napoli, 2000, p. 125 ss., in cui l’autore ritiene che il decentramento dell’applicazione
delle disposizioni europee sulla concorrenza sia una conseguenza logica della crescente
importanza del principio di sussidiarietà.
121
Si viene, in tal modo, a delineare un collegamento stretto tra la
regolamentazione adottata a livello europeo e l’applicazione efficace delle
regole a livello nazionale, così come si intensifica il collegamento tra i
provvedimenti statali volti a vietare ingiustificate restrizioni della
concorrenza e le deliberazioni regionali che, sia pure in modo indiretto,
potrebbero autorizzare comportamenti anticompetitivi tali da frammentare e
segmentare il mercato. Inoltre, si delinea una fitta trama di cooperazione tra
tutte le autorità amministrative e giurisdizionali, sia europee che italiane,
coinvolte nella salvaguardia del libero gioco della concorrenza. Laddove
sussistano livelli gerarchici sono tracciati percorsi di coordinamento tra gli
organi e di bilanciamento degli interessi coinvolti, nel rispetto delle
rispettive sfere di competenza. D’altra parte, essendo le regole sulla
concorrenza vincolanti, un atto posto in essere in violazione di una
ripartizione di competenza non può considerarsi esente da vizi di
legittimità.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte sul ruolo del diritto
europeo della concorrenza e le sue relazioni con i diritti nazionali, per
dirimere i conflitti sorti sul riparto delle competenze interne, la Corte
costituzionale ha attribuito grande risalto all’ordinamento europeo al fine di
ricostruire la nozione di «tutela della concorrenza»260.
Il diritto comunitario degli aiuti di Stato fa da premessa alla sentenza
13 gennaio 2004, n. 14 della Corte costituzionale che ha riconosciuto la
competenza statale in materia di sovvenzioni (tra l’altro) all’agricoltura, pur
dovendosi ammettere che le Regioni possano essere soggetti erogatori di
misure qualificabili come aiuti pubblici261.
260
Contra vedi CARANTA, La tutela della concorrenza, le competenze legislative e la
difficile applicazione del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2004, p. 990; PIZZETTI,
Guardare a Bruxelles per ritrovarsi a Roma? Osservazione a Corte cost. sent. N. 14 del 2004, in
Le Regioni, 2004, p. 1014 ss.
261
Sentenza pubblicata in Giur. it., 2004, p. 853. Sulla sentenza in questione sono
intervenuti numerosi commenti, tra cui, oltre a quelli citati in altri punti, PACE, Gli aiuti di Stato
122
La questione di legittimità costituzionale traeva origine dai ricorsi
delle Regioni Marche, Toscana, Campania, Emilia Romagna e Umbria
avverso numerose disposizioni della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Legge
finanziaria 2002)262, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 Cost., nonché
al principio di leale collaborazione. Nello specifico, le ricorrenti
lamentavano l’invasione da parte dello Stato di ambiti rientranti nella
propria
competenza
legislativa
residuale
(industria
e
formazione
professionale), ovvero concorrente (sostegno all’innovazione dei settori
produttivi), nonché la lesione dello schema di ripartizione delle funzioni
amministrative e dell’autonomia finanziaria di cui agli artt. 118 e 119 Cost.
In sostanza le impugnazioni riguardavano il difficile rapporto tra
politiche statali di sostegno del mercato e competenze legislative delle
Regioni, quindi si ripercuotevano, in via indiretta, sulla definizione della
potestà statale in relazione alla disciplina antitrust. La Corte costituzionale,
sull’assioma che la tutela della concorrenza sia inclusa tra le materie di
competenza esclusiva dello Stato, ha dichiarato non fondate le questioni
sottopostole. La Consulta ha, così, adottato una concezione della
concorrenza e delle politiche che la integrano di stampo europeo,
riconoscendo allo Stato un ruolo attivo nella gestione della politica
economica diretto a ridurre gli squilibri, favorire le condizioni per uno
sviluppo del mercato ed instaurare assetti concorrenziali attraverso
l’adozione di misure pubbliche di sostegno.
La pronuncia della Corte ha sollevato numerose critiche e perplessità
da parte di coloro che ritengono che le argomentazioni concettuali accolte
dai giudici, fondate sull’assimilazione tra tutela della concorrenza e
sono forme di «tutela» della concorrenza?, in Giur. cost., 2004, p. 259; DOLSO, Tutela
dell’interesse nazionale sub specie di tutela della concorrenza?, ivi, p. 265; BUZZACCHI,
Principio della concorrenza e aiuti di Stato tra diritto interno e diritto comunitario, ivi, p. 277.
262
Legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale delle Stato – legge finanziaria 2002).
123
politiche statali attive di incentivazione263, lascino troppo ampio spazio di
azione normativa al livello centrale264.
Sulla base del ragionamento svolto, da un lato si colgono le difficoltà
derivanti dall’esigenza di salvaguardare la libera competizione tra gli attori
economici con l’equivalente necessità di garantire la coesione economica e
sociale; dall’altro si ricava come solamente il contemperamento di tutti gli
interessi coinvolti, come del resto confermato dai più recenti orientamenti
dei giudici europei, è in grado di assicurare il funzionamento del mercato.
In caso contrario, verrebbe trascurato paradossalmente proprio uno degli
obiettivi principali delle normative antitrust.
Ne deriva che, sulla base di questi assunti, lo Stato abbia ampie
facoltà di intervento su scala nazionale per correggere distorsioni della
crescita interna, ad esempio attraverso misure di politica economica
generale nel rispetto delle norme fondamentali dei Trattati europei.
Nel rispetto di queste coordinate, alle autorità statali e a quelle
regionali sono ascrivibili competenze distinte, anche se correlate. Così
come ha affermato la Corte, l’intervento statale si giustifica qualora incida
sull’equilibrio
economico
generale;
analogamente
la
competenza
concorrente o residuale delle Regioni è consentita in riferimento alle azioni
promozionali della produttività locale che, tuttavia, non pregiudichino la
stabilità e lo sviluppo nazionale. Ad ogni modo, il limite intrinseco
all’operatività della competenza legislativa statale e alla sua legittimità è
rapportato alla ragionevolezza e alla proporzionalità delle azioni rispetto
agli obiettivi prefissati. Alla luce di tali criteri, il giudice deve verificare se i
mezzi statali individuati per raggiungere lo scopo di rilevanza nazionale
263
CARATA, La tutela della concorrenza, cit., p. 990 ss; P IZZETTI, Guardare e Bruxelles,
cit., p. 1014 ss.
264
Vedi JANNARELLI, «Agricoltura» e «Tutela della concorrenza», cit., p. 31; L.F. PACE,
Il concetto di tutela della concorrenza, l’art. 117 Cost. e il diritto comunitario: la
«costituzionalizzazione» della figura dell’imprenditore sovvenzionato, in Giur. cost., 2004, p.
4678.
124
siano idonei e non eccedano quanto è necessario per raggiungerlo.
La sentenza n. 14/2004 è stata seguita dalla successiva pronuncia n.
272 del 27 luglio 2004265, in cui la ricorrente lamenta l’invasione da parte
statale di sfere di competenza regionale; più analiticamente, secondo la
ricorrente la disciplina dei servizi pubblici locali, sia di “rilevanza
economica” sia “privi di rilevanza economica”, non sarebbe riconducibile
ad alcuna delle competenze esclusive dello Stato. Anzi, proprio in quanto si
tratti di normativa dettagliata ed autoapplicativa, non sarebbe possibile
ipotizzare alcun intervento sussidiario dell’autorità statale o alcuna forma di
collaborazione tra tale autorità e quella locale.
Anche in quest’occasione la Consulta ha ribadito quanto già
affermato nella precedente pronuncia confermando l’inclusione delle
attività promozionali dello Stato nelle azioni che, contribuendo a migliorare
l’ambiente delle imprese e a stimolare l’innovazione, rafforzano la
competitività; inoltre, ha ribadito l’accoglimento di una nozione non statica
di tutela della concorrenza. Nel caso di specie la Corte ha circoscritto
l’ambito di competenza statale ai servizi pubblici locali “di rilevanza
economica”, escludendo quelli “privi di rilevanza economica”, in quanto in
riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale.
Dalle importanti sentenze sopra richiamate si possono comprendere
le perplessità dei giuristi costituzionalisti in ordine alla sfera di intervento
normativo regionale, fortemente circoscritta dai vincoli costituzionali,
statali ed europei; d’altro canto, le incertezze sfumano laddove si consideri
che la potestà normativa regionale indirettamente incide sulla politica
antitrust nazionale, e allora il legislatore statale ha dovuto necessariamente
avocare a sé la competenza a regolare in modo coerente e unitario i settori
265
La relativa questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dalla Regione
Toscana avverso l’art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni
urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito
con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.
125
rilevanti per evitare distorsioni e frammentazioni.
Il postulato sul quale la Consulta fonda la sua dimostrazione è quello
dell’integrazione
tra
l’ordinamento
nazionale
e
l’ordinamento
sovranazionale europeo, superando il binomio separazione/coordinamento
sul quale si è tradizionalmente basata l’analisi del rapporto tra i due sistemi,
per collocarli, più propriamente, in una dimensione integrata.
Seguendo un percorso originale266, seppur lento e faticoso, già da
tempo la Corte costituzionale aveva configurato le norme europee come
integratrici del parametro di costituzionalità267, ma ora i giudici vanno oltre,
superando l’impostazione di due sistemi giuridici separati “ancorché
coordinati”, ed accolgono il principio dell’integrazione crescente fra
ordinamenti e fra strumenti adottati, che richiede una progressiva
interazione dei mezzi e un coordinamento, per il perseguimento di obiettivi
comuni predeterminati. Su questi presupposti si fonda il quadro tracciato
dalla Corte costituzionale, che accoglie il modello europeo e disegna le
relazioni tra Stato e Regioni in materia di concorrenza, rimarcando la forte
integrazione che esiste in questo settore di interesse generale.
L’attribuzione della competenza allo Stato, benché l’agricoltura sia
materia “residuale” (art. 117.4 Cost.), deriva dal fatto che allo Stato è
riconosciuta, in via esclusiva, la materia della tutela della concorrenza, nella
cui disciplina la Corte costituzionale fa rientrare gli aiuti di Stato. Per la
Corte, infatti, la tutela della concorrenza deve essere considerata, accanto
alla moneta, alla tutela del risparmio e dei mercati finanziari, alla
perequazione delle risorse finanziarie, «una delle leve della politica
economica statale e non può essere intesa soltanto in senso statico, come
266
TIZZANO, Prime note sulla Costituzione europea, in Il Diritto dell’Unione Europea,
2003, p. 249.
267
In proposito rilevano le sentenze della Corte cost. 7 marzo 1964, n. 14, Costa c. Enel;
27 dicembre 1965, n. 98, Acciaierie S. Michele; 27 dicembre 1973, n. 183, Frontini; 30 ottobre
1975, n. 232, ICIC; 8 giugno 1984, n. 170, Granital.
126
garanzia di interventi di regolazione e ripristino dell’equilibrio perduto, ma
anche in quella accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che
giustifica misure pubbliche, volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni
di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali»
(punto 4)268.
Tuttavia, non si può passare sotto silenzio la sentenza 14 marzo
2008, n. 63, con cui la Corte costituzionale ha, invece, dichiarato
l’illegittimità dell’art. 1, 853° co., l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge
finanziaria per il 2007), che stabiliva la disciplina delle modalità di
erogazione e gestione del Fondo per il finanziamento degli interventi
consentiti dagli Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il
salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà. La Corte ne ha
dichiarato l’illegittimità per violazione del principio di leale collaborazione
fra Stato e Regioni, in quanto la disposizione non prevedeva che i poteri del
Cipe fossero esercitati d’intesa con la Conferenza permanente fra Stato e
Regioni.
Essa ha rilevato che i settori nei quali operano le imprese in
difficoltà, in favore delle quali possono essere erogati i finanziamenti, sono
quelli dell’agricoltura, del commercio, dell’industria, della pesca e del
turismo e ad essi corrispondono altrettante materie, tutte essenzialmente di
competenza regionale. Nella stessa sentenza si è precisato che la tutela della
concorrenza, quale materia di competenza statale esclusiva, non può
giustificare l’intervento dello Stato in relazione ad aiuti di Stato, i quali,
quando consentiti, lo sono normalmente in deroga alla tutela della
268
Un commento critico all’impostazione data dalla Corte costituzionale sul rapporto fra
aiuti di Stato e tutela della concorrenza lo fornisce PACE, Gli aiuti di Stato sono dorme di “tutela”
della concorrenza?, DOLSO, Tutela dell’interesse nazionale sub specie di tutela della
concorrenza? e BUZZACCHI, Principio della concorrenza e aiuti di Stato tra diritto interno e
diritto comunitario, in Giur. cost., 2004, rispettivamente alle pagine 259, 265 e 277, nonché
CALZOLAIO, Tutela della concorrenza o concorrenza sotto tutela?, in Giur. it., 2005, p. 460.
127
concorrenza269.
CAPITOLO SECONDO
La disciplina della concorrenza nel diritto agrario
derivato europeo
1. I profili di deroga alle regole generali: l’organizzazione
nazionale di mercato
L’art. 2, par. 1, prima frase, del reg. 26/62 (successivamente sostituito
dall’art. 2, parag. 1, del regolamento 1184/06 e dall’art. 176, paragrafo 1,
del reg. n. 1234/07) stabilisce che le regole di concorrenza non si applicano
agli accordi, decisioni e pratiche che «formano parte integrante di una
organizzazione nazionale di mercato o sono necessari per la realizzazione
degli obiettivi fissati all’art. 33 del trattato»270.
269
Conseguentemente la Corte, ricordando la propria giurisprudenza – la sentenza 10
dicembre 2007, n. 430, secondo cui la materia della tutela della concorrenza comprende «le misure
legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese
che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di
controllo, eventualmente anche di sanzione» e quelle «di promozione, che mirano ad aprire un
mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando
vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, in
generale i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche» - ha affermato che nella
specie la materia di competenza esclusiva dello Stato non poteva estendersi fino a comprendere
quelle specifiche misure statali ex l. n. 296/2006, perché non incidenti sull’assetto concorrenziale
dei mercati. Si consideri, infine, che la Corte costituzionale, con la sentenza 23 luglio 2010, n. 281,
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, 3° co., d.l. n. 59/2008 («Disposizioni urgenti
per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia delle
Comunità europee») convertito in l. n. 101/2008 che, sulla disciplina per il recupero degli aiuti di
Stato, collegava al mero decorso di un breve arco di tempo (complessivi 150 giorni) la perdita di
efficacia del provvedimento giudiziario di sospensione della cartella di pagamento.
270
BLUMANN, Les groupements de producteurs et la PAC, in Rev. Droit Rural, 1984, p.
426. L’art. 34.1 (ora 40.1) Trattato considera quale forma di organizzazione comune dei mercati
quella che abbia «regole comuni in materia di concorrenza». Secondo la dottrina (OLMI, Politica
128
La prima ipotesi di deroga si riferisce, come esplicitato nella norma, a
quegli accordi decisioni o pratiche che costituiscono parte integrante di una
organizzazione nazionale di mercato. Si tratta di una eccezione che si
presentava di difficile applicazione già nella vigenza del reg. n. 26/62, in
quanto le organizzazioni nazionali di mercato sono state quasi
completamente sostituite da organizzazioni comuni di mercato (OCM).
Poco comprensibile è la riproposizione di questa eccezione nel quadro del
regolamento unico sull’OCM, n. 1234/2007, dato che gli art. 175 ss. di tale
regolamento si riferiscono ad accordi, intese e pratiche relativi
all’organizzazione comune di mercato, incompatibile con le organizzazioni
nazionali di mercato; al contrario, la deroga può conservare un significato
nel reg. 1184/2006, che si applica de residuo a quei prodotti agricoli non
disciplinati dal reg. 1234/2007 e quindi non regolamentati da una
organizzazione comune di mercato.
La prima eccezione risulta, quindi, oggi, sostanzialmente inapplicabile,
essendo venute meno le organizzazioni nazionali di mercato271 ed ha avuto,
agricola comune, Commentario Mégret, vol. 2, Bruxelles, 2 ed., 1991), questa espressione designa
le disposizioni o la disciplina professionale riguardo la concentrazione dell’offerta, i ritiri del
mercato, le norme di qualità, ecc. Essa è stata utilizzata, ad esempio, nel reg. n. 2200/96 (reg.
OCM ortofrutticoli, del Consiglio del 28 ottobre 1996 in GUCE L297 del 21.11.1996, p. 1) per
designare come elementi dell’organizzazione comune della frutta e verdura le organizzazioni di
produttori e le norme di qualità. Le organizzazioni di produttori e le loro associazioni possono
prevedere che i loro membri siano sottoposti a norme sulla produzione e sul collocamento sul
mercato dei prodotti allo scopo di migliorare la qualità, di adattare il volume dell’offerta alle
esigenze del mercato, di concentrare la produzione vendendola tramite l’organizzazione e
regolarizzandone i prezzi. Il reg. 2200/96 e il reg. n. 104/2000 del Consiglio del 17 dicembre 1999
sull’OCM pesca (in GUCE L17 del 21.1.2000, p. 22) autorizzano, inoltre, a certe condizioni e
sotto il controllo della Commissione, gli Stati membri interessati a prevedere l’estensione delle
discipline convenute in seno all’organizzazione di produttori anche ai non membri.
271
La prima deroga è apparsa sin da subito di portata molto limitata (restano solo le
patate, si v. la decisione 88/109 in materia di patate primaticce del 18 dicembre 1987 in GUCE L
59 del 1988, p. 25), sia perché sono state create per la maggior parte dei prodotti delle
organizzazioni comuni di mercato, che hanno sostituito quelle esistenti a livello nazionale, sia
perché, dopo la fine del periodo transitorio, le organizzazioni nazionali di mercato devono essere
comunque conformi alle disposizioni del Trattato relative alle libera circolazione delle merci
(Charmasson, in causa 48/74, sentenza 10 dicembre 1974, in Raccolta, p. 1383; Commissione c.
Francia (carne ovina), causa 232/78, sentenza 25 settembre 1979, in Raccolta, p. 208).
Nella decisione Patate primaticce la Commissione ha stabilito che le condizioni richieste dall’art.
2, par. 1 del reg. 26/62 erano rispettate, constatata l’inapplicabilità dell’art. 85 [oggi 101] ad un
129
in sostanza, limitatissima importanza272.
Il presupposto, perciò, per l’operatività della prima ipotesi è da
escludersi, in linea di principio, dopo la decisione della Corte di giustizia
nel caso Charmasson e successivamente ribadita in altre pronunce273. In
quella occasione la Corte ha, innanzitutto, offerto una definizione di
organizzazione di mercato, che «consiste in un insieme di mezzi di diritto
che pongono sotto il controllo dell’autorità pubblica la regolamentazione
del mercato dei prodotti agricoli», non essendo, peraltro, sufficiente il
mantenimento di un semplice sistema di contingentamento della
produzione. Ma, soprattutto, la Corte ha sottolineato che dopo la scadenza
del periodo transitorio (dicembre 1969), è incompatibile con la disciplina
comunitaria la presenza di una organizzazione di mercato a carattere
nazionale accanto alle organizzazioni di stampo europeo274.
insieme di accordi di raggruppamenti di produttori che prevedono la concentrazione dell’offerta, la
riduzione dell’offerta per la modulazione del calibro minimo dei prodotti, l’applicazione di un
prezzo minimale giornaliero e di un prezzo di ritiro. La disciplina del mercato delle patate
primaticce francesi era affidata a gruppi di produttori riconosciuti dal Ministero dell’agricoltura e a
specifiche commissioni; questi enti privati hanno inglobato la regolamentazione del mercato in
questione attraverso decisioni ed accordi. Anche se la regolamentazione del mercato delle patate
primaticce in Francia era assicurata dalle organizzazioni professionali, la Commissione ha
verificato che l’intera organizzazione assumeva le forme di una organizzazione nazionale di
mercato nel senso dell’art. 2, par. 1 reg. 26/62, in quanto sia la costituzione delle organizzazioni
professionali in questione e dei loro accordi e decisioni erano posti sotto il controllo dell’autorità
pubblica francese. La Commissione ha, inoltre, considerato che, nonostante vi fossero restrizioni
alla libertà di produrre, ciò non è stato di impedimento all’attuazione dei principi fondamentali del
Trattato e non escludeva la concorrenza. Per approfondimenti si veda JANNARELLI,
L’organizzazione nazionale di mercato, in Trattato breve, cit., p. 82.
272
Pronunce Cavolfiori 1978; barbabietole da zucchero 1990, punto 89; Salmone
scozzese 1992 al punto 22; Sicasov 1999, punto 67; British sugar 1999, punto 186.
273
Charmasson, in causa 48/74, sentenza 10 dicembre 1974, in Raccolta, p. 1383.
274
Analoghe, sul punto, le conclusioni dell’avvocato generale nel caso Zucchero del 16
dicembre 1975. Tra le pronunce che ribadiscono la necessità di verificare la compatibilità in
concreto degli interventi statuali con quelli comunitari si veda non solo il caso Kaas c. Paesi Bassi
citato, ma anche la decisione del 28 marzo 1984 nelle cause 47 e 48/83. In questa causa, vertente
su norme di qualità relative alla carne di pollame adottate in Olanda, la Corte ha affermato che in
presenza di situazioni in cui il legislatore comunitario ha mancato di provvedere all’emanazione
delle norme necessarie per il funzionamento dell’organizzazione di mercato, i provvedimenti
adottati dal singolo Stato membro, più che riflettere una competenza propria vanno visti come
l’adempimento di un obbligo di collaborazione; di conseguenza essi sono compatibili con la
normativa regolamentare, purché in linea con lo scopo perseguito dall’organizzazione comune di
mercato.
130
2. Segue: gli accordi interprofessionali
La seconda eccezione, enunciata nella medesima norma, concerne
accordi decisioni e pratiche necessari per il conseguimento degli obiettivi
espressi nell’art. 33 del Trattato.
Tale ipotesi riguarda le fattispecie più interessanti e delicate di cui si è
occupata la giurisprudenza della Corte di giustizia. La disposizione è stata
assoggettata progressivamente da parte della Corte a una interpretazione
restrittiva, che ha ridotto notevolmente i margini di distinzione rispetto
all’applicazione pura e semplice dell’art. 101 TFUE (già art. 81, già art. 85
TCE).
La seconda eccezione ha ad oggetto accordi concernenti prodotti
elencati nell’allegato II (ora allegato I) del Trattato275, indipendentemente
dalla veste giuridica (produttori agricoli o meno) di chi li pone in essere276;
con riferimento ad essa, la Corte di Giustizia ha assunto un atteggiamento
alquanto restrittivo, richiedendo la dimostrazione, da parte dei soggetti
interessati a fruire dell’esenzione, della indispensabilità dell’accordo per il
perseguimento di tutti gli obiettivi della PAC di cui all’art. 33 e non solo di
alcuni di essi277.
Dunque, il reg. n. 26/62 operava una netta distinzione, nella materia
della produzione e del commercio dei prodotti agricoli, tra i produttori e
275
Hanno escluso l’applicabilità del reg. 26/62 ad un prodotto non compreso nell’allegato,
anche se si tratta di prodotto ausiliario per la fabbricazione di altro presente nell’allegato, le
pronunce 15 dicembre 1994 in causa 250/92, in Raccolta, I, p. 5671, avente ad oggetto fertilizzanti
e pesticidi; 30 gennaio 1985, causa 123/83, in Raccolta, p. 391, relativa al cognac; 25 marzo 1981,
in causa 61/80 che riguardava il «presame», sostanza utilizzata per la produzione di formaggio, in
Raccolta, p. 851. L’orientamento della Corte è stato fatto proprio dalla Commissione nella
decisione 30 luglio 1992 sul salmone scozzese, in GUCE L 264/37 del 27 agosto 1992.
276
La seconda fattispecie non specifica quali siano gli imprenditori tra i quali si svolgono
gli accordi e le intese, i quali perciò possono ben essere quelli che operano nel settore della
distribuzione o della commercializzazione dei prodotti agricoli, diversamente dalle intese della
terza fattispecie, di cui sono invece individuati i soggetti.
277
Sentenze in causa 71/74 del 15 maggio 1975, Frubo, in Raccolta, p. 563 ss, e in causa
40/73 del 16 dicembre 1975, Suiker Unie ed a., in Raccolta, p. 1663 ss.
131
tutti coloro che in modo diverso operano nel settore. La ratio dell’esenzione
consiste nel fatto che gli agricoltori sono milioni nella Ue e quindi sono
assolutamente deboli sul mercato, sicché è del tutto improbabile che essi
possano realizzare comportamenti anticoncorrenziali. Tutti coloro che in
modo
diverso
operano
nel
settore
(industriali
agro-alimentari
e
commercianti) sono soggetti al rigore dell’art. 101 TFUE (già art. 81, già
art. 85 TCE), mentre i produttori agricoli ne sono esentati278. Il Trattato
prevede un alleggerimento delle regole di concorrenza, la cui applicazione
troppo stringente potrebbe rivelarsi dannosa rispetto alle esigenze di
rafforzamento del settore agricolo: in esso i soggetti economici sono
caratterizzati da una ridotta capacità di contrattazione sul mercato, non solo
per le dimensioni delle imprese e per le disparità strutturali, ma anche
perché i produttori agricoli si collocano, quali fornitori di materie prime, a
monte della catena di produzione, controllata in realtà dalle imprese
agroindustriali e dalle imprese di distribuzione.
Pertanto, l’aggregazione tra le imprese operanti nel settore agricolo,
vietata per principio dalle disposizioni sulla concorrenza, non è di per sé
incompatibile con un mercato comune nell’ambito della politica agricola: in
questo le linee programmatiche enunciate nel Trattato rimandano ad altre
esperienze legislative, come quella statunitense, che hanno previsto
specifiche esenzioni dalla legislazione antitrust per i produttori agricoli279.
In questa ipotesi, come del resto appare evidente dalla stessa normativa
nord-americana, il favor nei confronti delle associazioni, sempre che
costituite da soli produttori agricoli, riflette l’esigenza di favorire
278
Così COSTATO, Agricoltura, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da
Chiti e Greco, Milano, 1997, Parte speciale, t. I, p. 17, dove distingue i prodotti ottenuti
nell’azienda agricola dai prodotti trasformati normalmente fuori di essa, qualificati come
«agroindustriali» e che sono assoggettati alle stesse regole dei prodotti industriali.
279
LIZZI, La politica agricola, Bologna, 2002. Per un confronto con la disciplina antitrust
statunitense vedi JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico
europeo e globalizzazione dell’economia, in Riv. dir. agr., 1997, I, p. 416.
132
l’associazionismo economico tra gli agricoltori, quale elemento di
razionalizzazione a fronte dello squilibrio di potere contrattuale che
strutturalmente i produttori agricoli incontrano sul mercato. Per queste
intese l’art. 85, par. 1 (successivamente art. 81 TCE, poi art. 101 TFUE) del
Trattato può operare, come dichiara appunto l’art. 2 del reg. 26/62, soltanto
se la Commissione provi che la concorrenza sia esclusa o che gli obiettivi di
cui all’art. 39 risultino essere messi in pericolo. Il chiaro favor per le
associazioni si manifesta nell’inversione dell’onere della prova; spetta,
infatti, alla Commissione provare che le associazioni e le intese
costituiscono un pericolo.
Per quanto riguarda gli accordi tra singoli operatori, quelli conclusi cioè
da un’impresa agricola o da una associazione di produttori o da una
cooperativa, da un lato, e un distributore, dall’altro, essi assumono
certamente rilievo antitrust in virtù della loro idoneità a limitare l’accesso al
mercato e la concorrenza tra gli operatori. Del pari, accordi di partnership
tra produttori e distributori, che possono a volte costituire strumenti
importanti per migliorare la competitività del settore agricolo, in quanto
permettono di orientare alle esigenze del mercato la produzione e di
assicurare una maggiore efficienza e stabilità delle consegne, sono da
considerare restrittivi della concorrenza se e quando si trasformano in
accordi commerciali esclusivi rispetto a prodotti specifici.
La previsione dell’art. 2, par. 1, del reg. 26/62, in quanto eccezione ad
una norma generale, è stata peraltro interpretata in maniera restrittiva sia
nella prassi decisionale della Commissione, sia nella giurisprudenza della
Corte e del Tribunale di primo grado, secondo i quali, per rientrare in tale
categoria, non è sufficiente che un determinato accordo tenda a realizzare
gli obiettivi dell’art. 39 del Trattato (ora art. 39 TFUE, già art. 33 TCE), ma
133
occorre che risulti indispensabile a tali fini280 e rappresenti l’unico e
migliore strumento adatto allo scopo. Solo in questa eventualità, un tale
accordo può essere considerato necessario ai sensi della suddetta
disposizione281, accogliendosi così una lettura autonoma dell’art. 2, par. 1,
seconda frase, del reg. 26/62.
Poiché la norma in esame è stata interpretata costantemente dalla Corte
di giustizia nel senso che gli accordi, per accedere alla deroga, devono
perseguire simultaneamente tutte le finalità della politica agricola comune
enunciate nell’art. 39 del Trattato (ora art. 39 TFUE, ex art. 33 TCE), anche
se taluni sono tra loro di difficile conciliabilità, e che si deve nel contempo
dimostrare che l’accordo in questione costituisce l’unico mezzo per
raggiungere tali obiettivi, essa non ha trovato applicazione pratica. Il rigore
richiesto dalla Corte nella lettura della norma è, d'altra parte, giustificato, se
si considera che tali accordi,
se lasciati all’autonomia
privata,
introdurrebbero regole in un settore, quello agrario, per il quale il Trattato
affida l’organizzazione alla legislazione europea.
La compatibilità di tali accordi con gli obiettivi della Pac finisce di fatto
per essere ancora più difficile da dimostrare rispetto a quanto previsto in
generale per accordi e pratiche che possono ostacolare la libera concorrenza
280
Tribunale di primo grado, 14 maggio 1997, cause T-70-71/92, Florimex, in Raccolta,
p. II-693, confermata dalla Corte in appello: causa C-265/97 P, sentenza 30 marzo 2000, in
Raccolta, p. I-2061, punti 94-95.
281
Frubo, causa 71/74, sentenza 15 maggio 1975, in Raccolta, p. 563; Oude Luttikhuis,
causa C-399/93, sentenza 12 dicembre 1995, in Raccolta, p. I-4515. A ciò si aggiunga che nel
determinare l’esatta portata delle deroghe, di cui al reg. n. 26/62, non si può prescindere dai
radicali cambiamenti del contesto normativo intervenuti dopo la sua adozione, a seguito della
progressiva attuazione della PAC. L’orientamento interpretativo delle competenti istituzioni
comunitarie tiene conto di una siffatta evoluzione: v. ad esempio, in relazione alla c.d. «eccezione
cooperativa» (seconda frase dell’art. 2, n. 1, del reg. 26/62) all’applicabilità delle norme di
concorrenza, Dijkstra, cause C-319/93, C-40 e 224/94, sentenza 12 dicembre 1995, in Raccolta, p.
I-4471; Oude Luttikhuis, sopra citata. La circostanza che la cooperazione e l’associazionismo tra
agricoltori siano visti con favore sia dal legislatore nazionale, sia dalle autorità comunitarie, si
spiega in quanto essi facilitano il raggiungimento degli obiettivi della PAC, costituendo un fattore
importante di ammodernamento e razionalizzazione del settore agricolo e di miglioramento
dell’efficienza delle imprese. Ciò non impedisce una verifica della loro compatibilità con l’art. 81,
n. 1. Non sono, infatti, rare le occasioni in cui la Commissione ha vietato accordi di tale tipo, a
motivo degli effetti anticoncorrenziali prodotti dagli stessi.
134
ai sensi degli artt. 101 e ss. TFUE (già artt. 81 ss., già artt. 85 ss., TCE).
Infatti, per la complessa strutturazione della politica agricola comune e in
relazione agli obiettivi da realizzare, si richiede, nell’interpretazione
costante della Corte di giustizia, la dimostrazione che gli accordi privati
conclusi tra gli operatori della filiera siano l’unico strumento per il
raggiungimento dell’insieme degli obiettivi di politica economica per il
settore agricolo.
Così, già in decisioni risalenti, si era espressa la Corte, a proposito di un
accordo tra una associazione di importatori di agrumi freschi, mele, pere di
origine extraeuropea importati nei Paesi Bassi, e una associazione di
grossisti nella veste di cooperative, circa l’organizzazione di aste pubbliche
per la vendita di tali derrate: la Corte ha ritenuto insufficiente la prova della
rispondenza dell’accordo al perseguimento della stabilità di mercato, della
regolarità dei rifornimenti, nonché di prezzi equi, dovendo le parti ricorrenti
provare
anche
l’indispensabilità
dell’accordo
per
incrementare
la
produttività dell’agricoltura e per assicurare un tenore di vita equo alla
popolazione agricola282. La Corte, nel considerare l’accordo incompatibile
con le regole della concorrenza, aveva affermato in quella occasione che
occorreva dimostrare che l’accordo fosse indispensabile per realizzare tutti
gli obiettivi elencati tra le finalità della Pac, condizione che non viene posta
neppure al legislatore europeo.
Nella specie, l’accordo concluso tra importatori di agrumi da Paesi
extraeuropei obbligava i grossisti ad acquistare i prodotti attraverso un
sistema di aste pubbliche e di rifornirsi presso importatori residenti in altri
Stati membri solo se essi fossero stati in possesso della merce e se avessero
già espletato le formalità doganali di importazione: la Corte, pur
282
Sentenza Corte di giustizia CE 15 maggio 1975, in causa C-71/74 Frubo punti 22 ss.,
in Raccolta, p. 563 ss.
135
ammettendo che l’accordo presentasse il vantaggio di concentrare i prodotti
ortofrutticoli esteri sul mercato comune e quindi realizzasse l’obiettivo di
garantire la stabilità dei mercati, tuttavia riteneva che esso non risultasse
utile a incrementare la produttività dell’agricoltura e ad assicurare un tenore
di vita equo alla popolazione agricola, considerate come «le due finalità
principali della politica agricola comune»283.
In più recenti occasioni, allo scopo di ottenere dal Tribunale di primo
grado l’annullamento della decisione della Commissione che aveva
dichiarato un accordo non compreso nelle eccezioni del reg. 26/62, si era
sostenuto da parte delle imprese coinvolte che le misure ivi previste fossero
necessarie al perseguimento di alcuni obiettivi della Pac e neutre rispetto ad
altri, come è avvenuto in relazione ad un accordo tra allevatori di carni
bovine e macelli nel periodo di crisi della filiera della carne bovina
conseguente all’accertamento dei casi di BSE (c.d. “mucca pazza”)284.
L’accordo in questione prevedeva un impegno provvisorio alla
sospensione delle esportazioni e l’applicazione di una tabella dei prezzi di
acquisto degli animali da macellare. Le parti in causa sostenevano che
l’accordo fosse necessario alla realizzazione degli obiettivi consistenti
nell’assicurare un equo tenore di vita alla popolazione agricola e nella
stabilizzazione dei mercati, mentre non avrebbe recato pregiudizio agli altri
obiettivi della politica agricola enunciati dal Trattato. Il Tribunale di primo
grado, al contrario, ha ritenuto che l’accordo fosse necessario solo al
perseguimento del primo obiettivo, mentre era suscettibile di recare
pregiudizio ai prezzi al consumo, non risultando affatto indifferente rispetto
agli altri obiettivi enunciati nell’art. 33 del Trattato285 (ora art. 39 TFUE).
283
Ivi, punto 26.
Sentenza Tribunale I grado CE 13 dicembre 2006, cause T-217/03 e T-245/03,
Fédération nationale de la coopération bétail et viande.
285
Sentenza Tribunale I grado CE 13 dicembre 2006, cause T-217/03 e T-245/03,
Fédération nationale de la coopération bétail et viande, punti 197 ss.
284
136
Pertanto, il rigore interpretativo evidente nella sentenza Frubo si è
oltremodo inasprito nel momento in cui la Corte ha preteso qualcosa di più
rispetto alla già difficile dimostrazione circa la indispensabilità dell’accordo
in vista dell’attuazione degli obiettivi di cui all’art. 39 del Trattato. Infatti,
nella ciclopica decisione Suiker Unie286, la Corte ha ritenuto necessaria
anche la prova che tale pratica o accordo sia il solo mezzo per perseguire gli
obiettivi fissati nell’art. 39.
Utile a chiarire la portata di questi principi espressi dalla Corte di
giustizia risulta una pronuncia in cui i giudici di Lussemburgo si sono
trovati ad analizzare il tema della concorrenza ed eventuali sue limitazioni
in combinazione con altre esigenze di tutela da considerare, ad esempio la
tutela della salute dei cittadini ai sensi dell’art. 36 TFUE (ex art. 30
TCE)287.
La Corte afferma che gli articoli 28 e 30 TCE (oggi artt. 34 e 36 TFUE)
non ostano ad un divieto di annunci pubblicitari per le bevande alcoliche,
come quello prescritto dalla legge svedese, a meno che, tenuto conto delle
circostanze di diritto e di fatto che caratterizzano la situazione dello Stato
membro interessato, non risulti che la tutela della sanità pubblica contro i
danni causati dall’alcool possa essere garantita mediante provvedimenti che
incidano in minor misura sul commercio intracomunitario288. Nella
questione de qua una società svedese pubblicava una rivista alimentare che,
in un suo numero dell’edizione destinata agli abbonati, conteneva tre pagine
di pubblicità di bevande alcoliche, che, viceversa, non comparivano
nell’edizione della rivista venduta nelle edicole. Il giudice del rinvio
segnalava che gli abbonati erano per il 90% operatori commerciali e
professionisti
del
settore
del
commercio
di
alcolici.
Il
286
In causa 40/73 del 16 dicembre 1975, Suiker Unie ed a., in Raccolta, p. 1663 ss.
Sentenza 8 marzo 2001, in causa C-405/98, Konsumentombusmannen, con commento
di L. COSTATO, in Dir. giur. agr. amb. 2001.
288
L’esempio è tratto da AA.VV, Compendio di diritto alimentare, V ed., Milano, 2011.
287
137
Konsumentombusmannen (Garante dei consumatori) chiedeva alle autorità
svedesi di vietare tale comportamento all’impresa, che ha eccepito che la
normativa svedese violerebbe il diritto comunitario.
La Corte ha osservato che non si può escludere che un divieto totale di
pubblicità di un prodotto legalmente venduto possa incidere in misura
maggiore sulle merci di provenienza da altri Stati membri. In effetti i
produttori di alcolici svedesi sono già noti ai consumatori, mentre quelli
stranieri avrebbero bisogno di rendere conosciuto il loro marchio e le
caratteristiche del prodotto offerto per provare a penetrare nel mercato di
quello Stato. Dunque occorre riconoscere che un ostacolo all’importazione
esiste, ma si deve valutare se esso sia legittimo ai sensi dell’art. 30 TCE
(oggi art. 36 TFUE), senza dovere dimostrare che il divieto di pubblicità
delle bevande alcoliche ha come obiettivo la lotta all’alcolismo. Mentre il
governo svedese ritiene che il divieto di pubblicità sia un elemento
essenziale della sua azione per combattere l’alcolismo, la Commissione
europea ha osservato che è necessario esaminare la normativa svedese alla
luce del criterio di proporzionalità, per verificare se gli stessi obiettivi
prefigurati nell’azione di lotta all’alcolismo possano essere realizzati con
misure meno gravose delle restrizioni alla concorrenza tra imprese.
Questa soluzione è stata accolta anche dalla Corte di giustizia la quale,
pur ammettendo la rilevanza, a fini di salute pubblica, della lotta
all’alcolismo e del divieto di pubblicità per le bevande alcoliche presso i
consumatori, ha segnalato al giudice nazionale l’opportunità di fondare il
proprio giudizio di legittimità della normativa interna sul criterio di
proporzionalità, verificando se sia possibile perseguire le finalità che la
legislazione nazionale si propone con strumenti meno incisivi.
La Commissione europea ha mostrato una risolutezza simile già in
138
alcune decisioni risalenti289: in un caso, si discuteva di un accordo
intercorso tra associazioni di produttori di cavolfiori e organizzazioni di
spedizionieri che imponeva alle seconde l’obbligo di acquisto esclusivo del
prodotto fornito dalle prime; in un altro, si verteva in materia di licenza
esclusiva territoriale di produzione e distribuzione per la Germania di
sementi selezionate prevista in un contratto intercorso tra un istituto
francese di ricerca e un commerciante di sementi tedesco.
Ebbene, in entrambe le controversie, nel valutare la necessità
dell’accordo in vista della realizzazione degli obiettivi fissati nell’art. 39 del
Trattato ai sensi dell’art. 2 del reg. 26/62, la Commissione ha ritenuto
grandemente rilevante la presenza nel settore
specifico di una
organizzazione comune, presenza che, a suo giudizio, assicura la
realizzazione delle finalità indicate nell’art. 39 del Trattato, senza che vi sia
la necessità di utilizzare strumenti diversi da quelli introdotti dalla
legislazione europea. In particolare, nel primo caso, la Commissione,
basandosi sul fatto che nel comparto dell’ortofrutta l’allora vigente
regolamento 1035/72 prevedeva i mezzi da utilizzarsi per realizzare gli
obiettivi della politica comune e che solo in alcuni casi il regolamento
ammetteva l’imposizione di regole da parte delle associazioni ai soli
produttori e non invece alle controparti, ha escluso che accordi di quel tipo
fossero da considerarsi necessari per le finalità di cui all’art. 39 del Trattato.
Nella seconda decisione, riformata in seguito dalla Corte di giustizia290,
la Commissione ha ritenuto contrario all’art. 85, par. 1 (ora art. 101, par. 1,
TFUE), il contratto di esclusiva relativo alla produzione e distribuzione
delle sementi di mais con una motivazione ancor più sintetica e rigorosa.
Invero, sul presupposto secondo il quale i mezzi necessari per attuare l’art.
289
Decisioni del 2 dicembre 1977 (in materia di cavolfiori bretoni) e del 21 dicembre
1978 (in materia di sementi di mais).
290
Sentenza della Corte di giustizia, dell’8 giugno 1982, in causa 258/78, in Raccolta
1982, p. 02015.
139
39 sarebbero solo quelli determinati nel regolamento di settore, essa ha
concluso che il contratto tra l’ente di ricerca e il distributore tedesco non
avrebbe potuto «in alcun modo inserirsi nel quadro delle disposizioni di
detto regolamento».
Come si può evincere dai casi illustrati, è pressoché impossibile che un
accordo tra imprese possa da solo garantire il raggiungimento degli obiettivi
indicati nel Trattato; tale compito, al contrario, è affidato alle istituzioni
europee, che, secondo la Corte, «devono garantire il contemperamento
permanente che può essere richiesto da eventuali contraddizioni fra detti
scopi,
considerati
separatamente. Anche
se,
nell’ambito
di
tale
contemperamento, non è consentito alle istituzioni comunitarie di isolare
uno degli scopi in modo da rendere impossibile l’equilibrata considerazione
anche degli altri, esse possono tuttavia dare all’uno o all’altro di essi la
preminenza temporanea resa necessaria dai fatti o dalle circostanze
economiche in vista delle quali esse adottano le loro decisioni»291.
La strutturazione del mercato agricolo intorno ad obiettivi che non
coinvolgono unicamente i rapporti tra imprese o tra imprese e consumatori,
ma anche aspetti relativi all’equo tenore di vita degli operatori del settore,
nonché alle differenze strutturali e naturali dell’agricoltura, da un lato,
richiede un controllo istituzionale delle misure di mercato da adottare, che
trova la sua naturale collocazione all’interno delle OCM; dall’altro, non
ammette perturbazioni dei mercati attraverso interventi dei privati, salvo la
dimostrazione della loro conformità con la visione di insieme attuata dalle
istituzioni comunitarie.
La dottrina ha ricollegato l’orientamento della Corte emerso nelle
pronunce
dianzi
menzionate
con
il
tema
relativo
agli
accordi
interprofessionali (del tipo di quelli stipulati presso gli uffici dei prodotti
291
Sentenza Corte di giustizia CE 9 settembre 2003, in causa C-137/00, Milk marque
National farmers’ union, punto 91.
140
presenti in Francia di cui ad una legge del 1982 o i Marketing Boards
dell’esperienza anglosassone), che ricadrebbero nella ipotesi presa ora in
considerazione292. A questo riguardo, se si considerano gli accordi e le
intese in cui sia parte stipulante una associazione di produttori agricoli, è
possibile cogliere la distanza tra la disciplina europea e quella nordamericana.
Infatti, nella seconda, salvo che non si vengano a concretizzare pratiche
discriminatorie nei confronti sia di farmers, sia di dealers, ovvero situazioni
di monopolio, gli accordi interprofessionali e più in generale i contratti
posti in essere da associazioni di produttori con terzi, e il discorso vale
anche per i Marketing Orders, rientrano nella prevista esenzione parziale
dalla applicazione della normativa antitrust ai sensi del Capper-Volstead
Act del 1926.
Nella prima, invece, per beneficiare di un’applicazione meno restrittiva
delle norme poste a tutela della concorrenza, gli accordi interprofessionali
devono rientrare in una ipotesi di esenzione stabilita per regolamento (si
pensi al reg. CEE n. 1422/1978 riguardante i Marketing Boards inglesi nel
settore del latte, ossia quegli enti i cui produttori conferiscono il latte e che
monopolizza l’offerta, ripartendo il prodotto tra il consumo fresco e la
trasformazione in formaggi), oppure richiedere l’esenzione ex art. 101, par.
3, TFUE (già art. 81, par. 3, e art. 85, par. 3, TCE) alla Commissione.
In conclusione, si osserva che, ad opera dell’art. 2, par. 1, seconda frase,
del reg. 26/62, le regole generali sulla concorrenza trovano un’applicazione
meno intensa nel settore agrario, e in determinate occasioni sia la
Commissione sia la Corte di giustizia hanno consentito anche agli
imprenditori non agricoli di beneficiare delle misure meno restrittive.
292
JANNARELLI, La disciplina sulla concorrenza applicabile all’agricoltura, in Diritto
agrario e società industriale, 1993,II, p. 47.
141
3. Le intese tra produttori agricoli e loro associazioni
La terza ipotesi – in aggiunta293 a quelle precedenti – contenuta nella
seconda frase del par. 1, dell’art. 2, reg. 26/62 (in seguito 2° co del § 1
dell’art. 2, reg. 1184/2006, ora art. 176, reg. 1234/2007), rimane l’unica a
trovare effettiva applicazione.
Si riferisce a quegli accordi, decisioni e pratiche «di imprenditori
agricoli, di associazioni di imprenditori agricoli o di associazioni di dette
associazioni appartenenti ad un unico Stato membro, nella misura in cui,
senza che ne derivi l’obbligo di praticare un prezzo determinato, riguardino
la produzione o la vendita di prodotti agricoli o l’utilizzazione di impianti
comuni per il deposito, la manipolazione o la trasformazione di prodotti
agricoli, a meno che la Commissione non accerti che in tal modo la
concorrenza sia esclusa o che siano compromessi gli obiettivi dell’art. 39
del Trattato», ovverosia tutte le fasi che vanno dalla produzione
all’immissione del prodotto sul mercato, nonché tutte le determinazioni
possibili dalla fissazione di tetti quantitativi di produzione alla
regolarizzazione dello stoccaggio dei prodotti.
Il riconoscimento che sussistono tre fattispecie di deroga e non solo
due294, poggia sulla formulazione letterale della norma, strutturata in due
frasi distinte, nonostante l’inciso «in particolare» contenuto nella seconda
frase dell’art. 2, n. 1, come si desume sia dalla genesi del regolamento, sia
dalla sua ratio. Tale conclusione ha trovato conferma nella giurisprudenza
della Corte di giustizia295 sulla autonomia della terza fattispecie, con
293
In questo senso si esprime la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-319/93, 40 e
224/94 del 12 dicembre 1995, Dijkstra, in Raccolta, p. 4471ss.
294
Sostiene che siano solo due le fattispecie DE COCKBORNE, Les régles communautaires
de concurrence applicables aux entreprises dans le domaine agricole, in Revue trim. droit eur.,
1998, p. 293. Diversamente B ÜTTNER, Le droit des cartels agricoles dans la CEE, in Riv. dir. agr.,
1968, I, p. 39.
295
Sentenze Dijkstra e van Roessel e De Bie, con conclusioni difformi dell’avvocato
142
l’osservazione che, se questa fosse negata, si tradirebbe la volontà del
legislatore comunitario come esplicitata nei considerando del reg. 26/62, e
si verrebbe a delineare, anziché un regime più flessibile per le associazioni
di produttori agricoli, un sistema più rigoroso, ai fini della disapplicazione
dell’art. 85 del Trattato (ora art. 101 TFUE), in quanto occorrerebbe
aggiungere alle condizioni previste nella prima frase dell’art. 2 del
regolamento, anche quelle indicate nella seconda frase.
La disposizione venne espressamente inserita, ad integrazione del testo
proposto dalla Commissione, su richiesta del Parlamento europeo,
nell’intento di stabilire un’eccezione a favore degli accordi decisioni e
pratiche degli imprenditori agricoli, a condizione che fossero soddisfatti i
presupposti ivi indicati. Secondo la Corte, infatti, «tale intento di proteggere
le cooperative agricole si rinviene inoltre nella motivazione del reg. 26, in
particolare nel quarto considerando, ai cui termini è opportuno riservare
una particolare attenzione alle associazioni di imprenditori agricoli»296. Una
generale. Secondo la Corte, ove si escludesse la portata autonoma della fattispecie, non solo
sarebbe tradita la volontà del legislatore, evidente nella stessa motivazione del reg. 26/62, volta a
fissare un regime più flessibile per l’associazionismo economico dei produttori agricoli, ma si
delineerebbe, paradossalmente, una soluzione ancora più rigorosa, in quanto, ai fini della
disapplicazione dell’art. 85, par. 1, alle condizioni previste nella prima frase dell’art. 2 del reg.
26/62, si dovrebbero aggiungere quelle menzionate nella seconda.
Tuttavia, con queste pronunce la Corte ha ritenuto che con la terza ipotesi non si sarebbe di
fronte all’operatività di una presunzione sostanziale della conformità dell’intesa alla normativa
antitrust fino al contrario accertamento compiuto dalla Commissione, ma più semplicemente ad
una inversione probatoria rilevante sul piano procedurale, con conseguente validità del principio
della nullità ipso iure e con efficacia retroattiva di tutte le intese che violano le norme del Trattato
in materia di concorrenza.
Nelle sue conclusioni, l’avv. generale Tesauro ha invocato un indirizzo che sarebbe stato fatto
proprio dalla Commissione in alcune sue decisioni (quella del 7 dicembre 1984
Milchförderungsfonds, in GUCE, 1985, L35/35; 26 novembre 1986 Meldoc, in GUCE, L348/50;
26 luglio 1988 Bloemenveilingen Aalsmeer, in GUCE, L 262/27). In realtà, se da una parte
l’interpretazione dell’ultimo inciso dell’art. 2 del reg. 26 rilevava in termini di obiter, alla luce
delle specifiche ipotesi sottoposte al suo vaglio, dall’altra la Commissione era oltremodo
consapevole della possibile diversa lettura della medesima frase in termini di lex specialis in grado
di individuare una autonoma e distinta fattispecie. In questo senso, pur se in quelle decisioni la
Commissione sembra prediligere la prima soluzione, è difficile negare la presenza di una
incertezza interpretativa che in seguito la Commissione ha risolto in senso favorevole alla seconda
soluzione, ossia quella poi accolta dalla Corte di giustizia nella pronuncia del 1995: si v. in
proposito la decisione del 30 luglio 1992 Scottish Salmon Board, in GUCE, L246/37.
296
Punto 19 della sentenza.
143
diversa interpretazione, spiega la Corte, impedirebbe di applicare un regime
più flessibile proprio alle associazioni dei produttori agricoli, come è invece
nelle intenzioni del legislatore.
La conseguenza è che «la fattispecie in questione, a ben vedere, segna la
più significativa ed ampia deroga all’applicazione della normativa antitrust
al settore agricolo»297, laddove nella terza fattispecie è riconosciuta
specifica rilevanza ai protagonisti delle intese, ossia agli imprenditori
agricoli, alle loro associazioni e alle associazioni delle loro associazioni.
Quanto agli effetti della eccezione, la Corte di giustizia ha dato una
interpretazione restrittiva del favor riservato a questa categoria di accordi:
infatti, la Corte ha ritenuto che tali accordi siano presuntivamente ritenuti
compatibili con la disciplina della concorrenza, salvo prova contraria della
Commissione. Nella sostanza, questa interpretazione ha ricondotto
l’eccezione alla previsione di una inversione dell’onere della prova in
ordine alla conformità rispetto alle regole della concorrenza: spetta, infatti,
alla Commissione provare che, per effetto di tali accordi, la concorrenza sia
esclusa o che siano compromessi gli obiettivi dell’art. 39 del Trattato298.
A differenza delle ipotesi precedentemente esaminate, la norma in
questione circoscrive innanzitutto i soggetti che possono sottoscrivere gli
accordi, ai quali non trova applicazione la normativa generale sulla
concorrenza, che sono gli operatori appartenenti alla sola produzione
primaria (agricoltori, associazioni di produttori agricoli, associazioni di
secondo livello che riuniscono più associazioni).
297
JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico
europeo e globalizzazione dell’economia, in Riv. dir. agr., 1997, I, p. 416.
298
La Corte di giustizia sempre nella sentenza Dijkstra ha interpretato l’ultimo inciso del
comma dedicato a questa categoria di accordi, dandone un’interpretazione restrittiva della
disposizione limitata esclusivamente al profilo probatorio, e respingendo una più favorevole
interpretazione proposta in dottrina che aveva ritenuto la presunzione sostanziale; con la
conseguenza che gli effetti retroattivi della nullità si realizzano anche per quegli accordi per il
quali la Commissione ha provato la contrarietà agli obiettivi del Trattato: sul punto v. J ANNARELLI,
Il regime della concorrena nel settore agricolo, cit. p. 457 ss; ID., Le regole della concorrenza
nella PAC in Tratt. breve dir. agr. it. e comunitario, diretto da COSTATO, Padova, 2003, p. 81.
144
Tale ipotesi, caratterizzata dalla presenza di accordi riconducibili a
forme di associazionismo agricolo “puro”, rispetto alle quali gli unici
soggetti che partecipano all’accordo, alla decisione o alla pratica sono le
associazioni che riuniscono i produttori agricoli o le unioni (associazioni di
secondo livello), è destinataria di un particolare favor da parte del
legislatore. La fattispecie rispecchia il modello adottato nella legislazione
statunitense, che nel prevedere una eccezione alla disciplina antitrust per gli
accordi tra agricoltori, include nella deroga gli accordi che intervengono tra
soli produttori agricoli, sul presupposto che un’eccezione al sistema
generale sia ammissibile solo in questa maniera299.
Per quanto concerne la forma giuridica delle associazioni cui si riferisce
la norma, essa è materia di competenza delle legislazioni nazionali, che
rispecchino il requisito obbligatorio secondo le organizzazioni devono
vedere la presenza di soli produttori agricoli: è irrilevante, pertanto, la
forma giuridica assunta dalle associazioni dei produttori, che possono, ad
esempio, essere cooperative agricole o società commerciali300.
Il favor nei confronti dell’associazionismo presente nella fattispecie in
esame si coglie facilmente nel fatto che sia le intese tra produttori agricoli,
sia soprattutto le loro associazioni, sono, in linea di principio, considerate
conformi alla realizzazione degli obiettivi di cui all’art. 39 (poi art. 33 TCE,
ora art. 39 TFUE) e al riparo dal divieto di cui all’art. 85 par. 1 (poi art. 81,
par. 1, TCE, ora art. 101, par. 1, TFUE). Pertanto, a differenza della seconda
ipotesi di deroga, in cui le intese e gli accordi possono superare il divieto di
cui all’art. 85 par. 1 (l’attuale art. 101, par. 1, TFUE), soltanto se si prova
che sono indispensabili per il perseguimento delle finalità della politica
agricola indicate nel Trattato, in questa terza ipotesi di deroga opera una
299
Cfr. JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo, cit., p. 416 ss.
Sulla forma giuridica delle associazioni di produttori vedi J ANNARELLI,
L’associazionismo economico nel sistema agroalimentare, in ID., Il diritto dell’agricoltura
nell’era della globalizzazione, Bari, 2003, p. 25 ss.
300
145
presunzione di conformità delle intese agli obiettivi dell’art. 39301.
L’ordinamento
europeo,
d’altronde,
ha
sempre
considerato
l’associazionismo agricolo come uno strumento della politica agricola
comune, per la sua funzione di indirizzo rispetto alle attività produttive
degli associati, e per il ruolo svolto nella concentrazione dell’offerta dei
prodotti degli aderenti: di questa funzione “operativa” finalizzata alla
commercializzazione, le associazioni dei produttori sono state investite
direttamente dalla legislazione sovranazionale nel settore ortofrutticolo,
dove il ricorso a tale strumento si rivela essenziale ai fini del funzionamento
del mercato.
Infatti, anche in seguito all’abrogazione dei regolamenti che
prevedevano misure di sostegno all’associazionismo, nell’ambito dello
sviluppo rurale, avvenuta con il reg. n. 1782/2003302, le discipline di settore
hanno previsto l’esistenza di organizzazioni di produttori, considerandole
vitali per il funzionamento del rispettivo comparto
D’altro canto, la stessa Corte di giustizia ne ha riconosciuto la rilevanza
quale strumento di governo nei vari settori produttivi agricoli, considerando
non superato, seppure abrogato, il contenuto normativo del reg. 952/2007,
che ha continuato a fungere da riferimento per la legislazione posteriore in
merito ai requisiti che le associazioni dovevano possedere303.
Gli accordi che intervengono tra gruppi di produttori agricoli, ai sensi
dell’art. 2 del reg. 26/62, possono riguardare diversi aspetti che incidono
301
Anche la dottrina che ha negato autonomia a questa ipotesi ha pur sempre rinvenuto
nella stessa una esemplificazione di accordi che beneficiano di una presunzione di conformità con
l’eccezione prevista nella prima frase del medesimo paragrafo nel senso che per questi «un
examen de leur conformité aux dispositions spécifiques de l’article 39 n’est pas nécessaire», DE
COCKBORNE, Les régles communautaires de concurrence applicables aux entreprises dans le
domaine agricole, in Revue trim. droit eur., 1998, p. 306.
302
Il reg. n. 1782/2003 ha abrogato il reg. n. 952/1997, che aveva a sua volta sostituito il
reg. n. 1360/78 sul sostegno alle associazioni dei produttori agricoli. Per una sintesi della
disciplina relativa all’associazionismo, vedi CANFORA, Il quadro normativo nazionale e
comunitario sulle organizzazioni dei produttori, in Riv. dir. agr., 2008, I, p. 374.
303
Sentenza Corte di giustizia 1° ottobre 2009, in causa C-505/07, Compañia Española de
Comercialización de Aceite.
146
sulla regolamentazione dell’attività (produzione o vendita di prodotti
agricoli, utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione
o la trasformazione dei prodotti agricoli), ma non possono includere anche
gli obblighi di praticare un prezzo determinato per i prodotti: un accordo sui
prezzi deve ritenersi illegittimo in quanto contrario alle regole di
concorrenza anche se concluso da organizzazioni di produttori agricoli.
La circostanza che l’accordo non abbia per oggetto il prezzo costituisce
uno degli elementi che devono essere verificati al fine di valutare
l’applicabilità della deroga304. La determinazione dei prezzi è, infatti,
considerata competenza esclusiva delle istituzioni europee, come ha
ribadito più volte la Corte di giustizia: nei settori coperti da organizzazioni
comuni di mercato, gli Stati non possono intervenire con disposizioni
nazionali nel meccanismo di formazione dei prezzi e non possono
nemmeno favorire la stipula di accordi interprofessionali che determinano
in anticipo il prezzo alla produzione, come avvenuto con la legge italiana n.
88/1988 sugli accordi interprofessionali, che è stata censurata dalla Corte305.
304
Sentenza Corte di giustizia 12 dicembre 1995, in causa C-399/93, Oude Luttikhuis, che
individua tre condizioni che si devono ritenere soddisfatte al fine di ammettere la terza deroga
prevista dal reg. 26: «se gli accordi in causa riguardino cooperative appartenenti ad un solo Stato
membro, se tali accordi non abbiano per oggetto il prezzo, ma piuttosto la produzione o la vendita
di prodotti agricoli o l’utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione o la
trasformazione di tali prodotti e infine se essi non escludano la concorrenza né compromettano gli
obiettivi della politica agricola comune» (punto 27). V precisato, peraltro, che nella decisione della
stessa data (in causa Dijkstra C-319/93, C-40/94 e C-224/94), la Corte ha precisato che non si
debba anche dimostrare che tutti gli obiettivi della politica agricola devono essere soddisfatti in
caso di accordo tra produttori agricoli.
305
Vedi sul punto sentenza Corte di giustizia 26 settembre 2000, in causa C-22/99,
Bertinetto, su cui BIANCHI, Sulla competenza in tema di fissazione dei prezzi tra OCM e autorità
nazionali, in Dir. e giur. agr. amb., 2002, p. 234; nello stesso senso, riguardo a una disposizione di
legge italiana, sentenza Corte di giustizia CE, 6 novembre 1979, in causa C-10/79, Toffoli: in
quella occasione la Corte aveva sancito che «una legislazione nazionale intesa a favorire la
formazione con qualsivoglia modo di un prezzo uniforme del latte alla produzione,
consensualmente o di autorità, a livello nazionale o regionale, si situa di per se stessa al di fuori
dell’ambito delle competenze riservate agli Stati membri e contrasta con il principio della
realizzazione di un prezzo indicativo alla produzione».
147
4. Il divieto di abuso di posizione dominante
Secondo una giurisprudenza consolidata l'applicazione dell'articolo
101 (3) TFUE (ex art. 81 TCE) non pregiudica l'applicazione dell'articolo
102 TFUE (ex art. 82 TCE)306, che sanziona l’abuso di posizione dominante
sul mercato307. In termini concreti, però, deve essere distinto il caso in cui
l'articolo 102 TFUE sia applicato ad un'intesa che, a seguito di una
valutazione di tipo individuale, soddisfi le condizioni di cui all'articolo 101
(3) TFUE, in particolare i requisiti della “indispensabilità” e della
“eliminazione della concorrenza”, da quello in cui riguardi, invece,
un'intesa che ricada, pacificamente, nell'ambito di un'esenzione per
categoria. Nel primo caso, infatti, è ipotizzabile che l'articolo 102 TFUE
trovi applicazione solo in ipotesi eccezionali.
Il Tribunale di primo grado ha, al riguardo, stabilito che «la
Commissione deve, in occasione di una procedura di applicazione
dell'articolo 82 [ora 102 TFUE], tener conto, se le circostanze di fatto e di
diritto non sono mutate, di precedenti constatazioni effettuate quando ha
concesso l'esenzione ai sensi dell'articolo 81(3) [ora 101(3) TFUE]»308.
A parere nostro, sebbene, dopo l'abbandono del sistema delle
306
L’art. 102 TFUE stabilisce:
«È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere
pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più
imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.
Tali pratiche abusive possono consistere in particolare:
e) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre
condizioni di transazione non eque;
f) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei
consumatori;
g) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili
per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la
concorrenza;
h) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri
contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi
commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi».
307
Si vedano le Linee direttrici sull'articolo 81 (3) [ora 101 (3)], par. 106 (che cita
Compagnie Maritime Belge c. Commissione, [2000], in Racc. I-1365 (punto 130).
308
Tetra Pak Rausing SA c. Commissione (Tetra Pak I), [1990], in Racc. II-309 (punto 28).
148
notifiche preventive avvenuto con il reg. 1/2003, il riferimento alla
concessione dell'esenzione da parte della Commissione non sia più attuale,
si può sostenere che il principio stabilito dal Tribunale di primo grado
rimanga tuttora valido. Pertanto, se la Commissione, a seguito di
un'indagine ex articolo 101 TFUE, concludesse che un'intesa sia meritevole
di esenzione, dovrebbe di norma tenerne conto nell'ambito di una
successiva indagine che dovesse essere iniziata a seguito di presentazione di
un esposto da parte di un concorrente ai sensi dell'articolo 102 TFUE.
Qualora un'intesa restrittiva costituisca anche un abuso di posizione
dominante ai sensi dell'articolo 102 TFUE (ad esempio, nel caso in cui
un'impresa in posizione dominante imponga accordi restrittivi ad
un'impresa concorrente in posizione non dominante), secondo la
Commissione «si deve per coerenza [fra gli articoli 81 e 82 TCE, ora 101 e
102 TFUE] ritenere che l'articolo 81, paragrafo 3, precluda l'applicazione di
tale disposizione agli accordi restrittivi che costituiscono un abuso di
posizione dominante»309.
Non tutti gli accordi restrittivi conclusi da un'impresa in posizione
dominante costituiscono, peraltro, un abuso della sua posizione.
Il reg. n. 1184/06 non contiene, invece, alcuna deroga all’applicabilità
dell’art. 82 del Trattato CE (ora art. 102 TFUE), che vieta l’abuso di
posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di
questo, ovvero lo sfruttamento della potenza economica posseduta da una o
da talune imprese, e grazie alla quale esse sono in grado di conservare la
309
Linee direttrici sull'articolo 81(3), par. 106. Alla nota 92 delle Linee direttrici
sull'articolo 81(3), la Commissione chiarisce che in tal senso devono essere interpretati anche il
punto 135 delle Linee direttrici sulle restrizioni verticali e i punti 36, 71, 105, 134 e 135 delle
Linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale, nella parte in cui stabiliscono che in
linea di massima gli accordi restrittivi conclusi dalle imprese dominanti non possono essere
esentati. Se le due norme del Trattato non fossero interpretate coerentemente in questa maniera,
un'esenzione ai sensi dell'articolo 81 (3) per un'intesa che costituisce un abuso sarebbe di scarsa
utilità per l'impresa che la ottiene. Tale interpretazione comporta, peraltro, che l'impresa non
dominante che conclude un accordo con un'impresa dominante condivide con quest'ultima il
rischio che l'accordo costituisca un abuso.
149
propria posizione, ostacolando in tal modo l’accesso al mercato di
potenziali concorrenti: appare, peraltro, difficilmente immaginabile che una
azienda agricola possa qualificarsi in posizione dominante, così che la
mancata deroga non sembra avere, in concreto, rilevanti effetti per il settore
agrario310.
La fattispecie dell’abuso di posizione dominante, seppure nel settore
agricolo, alla luce delle disposizioni generali ma anche di quelle proprie del
comparto, sia perseguibile negli stessi termini in cui ciò avviene in tutti gli
altri settori economici, è, in astratto, configurabile, ma risulta, comunque, in
concreto, di difficile realizzazione. Le aziende agricole di estese dimensioni
sono normalmente dedite alla coltivazione delle cosiddette commodities,
ossia materie prime agricole prodotte in grandi quantitativi, quali, ad
esempio, cereali, cacao, caffè, zucchero e ubicate in zone geografiche adatte
a queste coltivazioni. Diversamente, le aziende di dimensioni ridotte sono,
soprattutto in determinate aree geografiche, votate a produzioni
ortofrutticole.
Pertanto, per quanto un’azienda agricola sia di grandi dimensioni e
produca quantitativi ingenti di commodities, essendo queste ultime di
diffusione planetaria, è pressoché impossibile che sia in grado di detenere
una posizione dominante sul mercato e sia indotta ad abusare della stessa
limitando la concorrenza, motivo per il quale la fattispecie vietata dall’art.
102 TFUE (ex art. 82 TCE) non è stata espressamente prevista nei
provvedimenti normativi contenenti la disciplina della concorrenza per il
settore agricolo e nemmeno è facilmente ipotizzabile per le aziende della
310
L’abuso di posizione dominante è, dunque, perseguibile nel settore agricolo negli stessi
termini in cui ciò avviene in tutti gli altri settori economici: Suiker Unie, cause 40-48, 50, 54-56,
111, 113-114/73, sentenza 16 dicembre 1975, in Raccolta, p. 1663; United Brands/Chiquita, causa
27/76, sentenza 14 febbraio 1978, in Raccolta, p. 207. Del pari, il reg. n. 4064/89, sostituito dal
reg. n. 139/2004, relativo al controllo delle concentrazioni, come precisato dallo stesso, si applica
senza eccezioni alle concentrazioni che riguardano i mercati dei prodotti agricoli; le differenze
sono ascrivibili soltanto alle condizioni di fatto dei vari settori economici e non ai medesimi
astrattametne considerati.
150
produzione primaria.
Se l’art. 101 TFUE si applica rispetto ad una pluralità di imprese che
pongono in essere forme di concertazione nel loro operare sul mercato, il
successivo art. 102 considera l’uso distorsivo del predominio di una o
poche imprese in grado di neutralizzare qualsiasi tipo di concorrenza
potenziale. Perciò sono vietate l’applicazione di condizioni commerciali
inique, le pratiche discriminatorie, le restrizioni della produzione o della
distribuzione di beni o servizi, ovvero tutte le forme di sfruttamento di
fornitori e clienti a cui, per la riduzione o per l’assenza di competizione,
potrebbero essere indotte le imprese che già detengono un rilevante potere
sul mercato. Invero, perché l’art. 102 TFUE possa operare, è necessario che
ricorra non solo un pregiudizio al commercio tra gli Stati membri, ma anche
che il predominio dell’impresa si svolga su una parte rilevante del mercato
del prodotto, da intendersi non solo in senso geografico, ma come quello
specifico mercato del prodotto, individuato tenendo presente la concorrenza
effettiva tra i prodotti analoghi che ne fanno parte.
151
CAPITOLO TERZO
DISCIPLINA ANTITRUST NAZIONALE E SETTORE
AGRICOLO
1. La legge n. 287 del 1990 e i successivi interventi normativi:
carenza di discipline specifiche per il settore agricolo e competenze
dell’Autorità garante della concorrenza
La legge italiana 10 ottobre 1990, n. 287, che disciplina la concorrenza,
e istituisce l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, non contiene
alcuna norma specifica sul commercio dei prodotti agricoli nel territorio
nazionale, limitandosi a riprendere pedestremente sul punto le norme
contenute
nel Trattato CE e trascurando l’eccezione ivi prevista per i
prodotti agricoli; nessuna norma specifica è stata poi introdotta dalla legge
14 novembre 1995, n. 481311, che ha integrato le competenze in materia di
concorrenza.
Ad una prima osservazione, si poteva pensare che eventuali unioni tra
produttori agricoli, con lo scopo di favorirne un rafforzamento sul mercato,
se non erano di competenza degli organi europei, finivano per essere
considerati contrari alla legge nazionale.
Analizzando, invece, a fondo le norme, in particolare l’art. 2 del reg.
26/62 e da ultimo l’art. 176 del reg. 1234/2007, che, come detto,
individuano due delle tre ipotesi di deroga previste per il settore agricolo, la
dottrina più esperta in materia giustifica l’anomalia italiana: si osserva,
311
Legge 14 novembre 1995, n. 481, contenente «Norme per la concorrenza e la
regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di
pubblica utilità», in GU italiana n. 270 del 18/11/1995.
152
infatti, che il primato del diritto europeo e la regola per la quale l’Autorità
garante è tenuta ad interpretare e ad applicare la normativa italiana antitrust
secondo i principi del diritto comunitario (art. 1, comma 2, legge 287/90),
fanno sì che le intese tra agricoltori, anche se non influiscono sugli scambi
intracomunitari, vanno valutate e considerate sulla base dell’art. 176 del
reg. 1234/2007, laddove, appunto, il principio generale della libertà di
concorrenza è armonizzato nella materia agricola alle esigenze specifiche
del settore. Così il richiamo alla normativa europea assume, secondo tale
impostazione dottrinale, un ruolo fondamentale anche per la riflessione
culturale sul nostro sistema giuridico che sia in grado di fornire risposte ai
problemi del mercato312.
Viene, tra l’altro, in soccorso di questa interpretazione la stessa legge n.
287/1990, la quale ha tracciato il proprio ambito di applicabilità in misura
complementare rispetto al diritto sovranazionale: se ne ricava che per un
comportamento
anticoncorrenziale
rilevante
in
una
dimensione
intracomunitaria la competenza è della Commissione europea, mentre
l’intervento dell’Authority italiana è limitato a quelle violazioni che rilevino
solo per il mercato interno. Per stabilire se la materia riguardi l’ambito
europeo o quello nazionale, occorre determinare il mercato interessato
dall’azione dell’impresa o delle imprese in questione.
Per quanto concerne il comparto agricolo, i provvedimenti più
significativi dell’Autorità garante della concorrenza hanno interessato
l’agroalimentare, sul quale, peraltro, si sono concentrate le maggiori
complessità inerenti al ruolo e alle competenze dell’autorità regolatrice del
312
JANNARELLI, Relazione di sintesi, in SALARIS (a cura di), I “messaggi” nel mercato
dei prodotti agro-alimentari, Atti dell’Incontro di studio, Sassari 13-14 ottobre 1995, Torino, 1997,
p. 134 ss. Sull’AGCM vedi, da ultimo, M INERVINI, L’autorità garante della concorrenza e del
mercato quale autorità di tutela del consumatore: verso una nuova forma di regolazione dei
mercati, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 2010, p. 1141. introdotte in Italia con i dd.lgg. 2 agosto
2007, nn. 145 e 146, in recepimento della direttiva 2005/29/CE 312 sulle pratiche commerciali
sleali; il decreto n. 145 concerne la pubblicità ingannevole, il decreto n. 146 ha modificato il
codice del consumo.
153
settore. Una rassegna dettagliata di questioni e interventi in proposito sarà
illustrata di seguito.
Oltre a quanto verrà detto, qui giova sottolineare che tra i poteri
dell’Autorità garante nel settore alimentare figurano le competenze sulle
pratiche commerciali sleali313, introdotte in Italia in recepimento della
inerente direttiva CE314.
La direttiva rappresenta il primo intervento di armonizzazione in materia
e si caratterizza come una disciplina orizzontale volta a disciplinare le
pratiche commerciali sleali poste in essere dalle imprese e lesive degli
interessi economici dei consumatori. Il provvedimento attrae a sé la
disciplina sulla pubblicità ingannevole, con conseguente limitazione
dell’ambito di applicazione della direttiva 84/450/CEE alla pubblicità che
reca pregiudizio alle imprese concorrenti ma non ai consumatori. Essa
lascia, inoltre, impregiudicate le normative nazionali sulle pratiche
commerciali sleali che ledano unicamente gli interessi economici dei
concorrenti.
Il contratto di compravendita di prodotti alimentari rientra tra i contratti
del consumatore ai fini dell’applicazione delle regole contenute nel codice
del consumo, qualora siano rispettati due necessari presupposti, ovvero che
la parte venditrice stipuli il contratto nell’esercizio della propria attività
imprenditoriale e che l’acquirente del prodotto alimentare sia una persona
fisica che acquisti il bene per scopi estranei alla propria attività
imprenditoriale o professionale315. Allo stesso modo, le regole contenute
313
Introdotte in Italia con i dd.lgg. 2 agosto 2007, nn. 145 e 146, in recepimento della
direttiva 2005/29/CE313 sulle pratiche commerciali sleali; il decreto n. 145 concerne la pubblicità
ingannevole, il decreto n. 146 ha modificato il codice del consumo.
314
La bibliografia sulla direttiva 2005/29/CE è molto vasta. In questa sede si rimanda per
tutti a DE CRISTOFARO, Le “pratiche commerciali sleali” tra imprese e consumatori. La direttiva
2005/29/CE e il diritto italiano, Torino, 2007; MINERVINI e ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche
commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, Torino, 2007.
315
Sull’applicazione delle regole contenute nel codice del consumo ai contratti del
consumo alimentare si rinvia al contributo di DE CRISTOFARO, I contratti del consumo alimentare,
154
nella direttiva 2005/29/CE, e le normative nazionali di recepimento della
stessa, si applicano senza eccezioni ai contratti del consumo agroalimentare.
Pertanto, il divieto di porre in essere pratiche commerciali sleali grava
anche sulle imprese alimentari.
L’art. 27 c. cons. disciplina il ruolo dell’Autorità garante che, d’ufficio o
su istanza di ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse,
inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina
gli effetti316. Il potere dell’AGCM di attivarsi d’ufficio rappresenta
sicuramente la garanzia di una maggiore effettività dei diritti dei
consumatori. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, inoltre,
con proprio regolamento, disciplina la procedura istruttoria, in modo da
garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la
verbalizzazione317.
L’art. 27, 15° co., afferma che è in ogni caso fatta salva la giurisdizione
del giudice ordinario in materia di concorrenza sleale nonché, per quanto
concerne la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione
della disciplina sul diritto d’autore, dei marchi d’impresa e delle
denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni
distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti.
Il sistema prescelto dal legislatore italiano, dunque, si regge su un
doppio binario di tutela, che affianca alla tutela di carattere giurisdizionale
una protezione pubblicistica incentrata sull’azione dell’Autorità garante,
attraverso il rafforzamento dei suoi poteri, tra i quali l’avvio d’ufficio dei
procedimenti, il potere ispettivo e la possibilità di ottenere dalle imprese
impegni vincolanti.
in Riv. dir. alimentare, aprile-giugno 2008, n. 2.
316
Sui nuovi poteri dell’Autorità garante, SESTINI, Nuovi poteri dell’AGCM e primi
provvedimenti inibitori in tema di prodotti alimentari, in Riv. dir. alimentare, gennaio-marzo 2009,
n. 1.
317
L’Autorità garante ha emanato il regolamento sulle pratiche commerciali sleali il 5
dicembre 2007.
155
Giova ricordare, con finalità di consolidamento, a nostro avviso, del
ruolo dell’Autorità garante, che la legge 23 luglio 2009, n. 99, contiene una
norma che impegna il Governo a presentare, ogni anno, il disegno di legge
annuale per il mercato e la concorrenza «al fine di rimuovere gli ostacoli
regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura dei mercati,
di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei
consumatori», tenendo conto anche delle segnalazioni eventualmente
trasmesse dall’Autorità garante per la concorrenza e delle indicazioni
contenute nelle relazioni delle altre Autorità indipendenti.
Il provvedimento è concepito come strumento per una più efficace
attuazione delle politiche concorrenziali da parte dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato. L’articolo 47 della legge n. 99/2009 prevede,
infatti, che il governo presenti il disegno di legge entro 60 giorni dalla
trasmissione della relazione annuale dell’Antitrust che, assieme a quelle
delle altre Autorità di settore, deve concorrere alla identificazione dei
provvedimenti da emanare. L’articolo in questione prescrive che la
relazione di accompagnamento debba includere l’elenco di tutte le
segnalazioni e pareri di Agcm «indicando gli ambiti in cui non si è ritenuto
opportuno darvi seguito». Nell’impianto normativo, i rilievi dell’Antitrust
non costituiscono solo un termine di riferimento, ma indirizzano le misure
di governo e quest’ultimo è chiamato a giustificare eventuali scostamenti.
In Italia, in seguito all’istituzione dell’Autorità garante della
concorrenza e del mercato si è reso necessario coordinare le competenze tra
quest’ultima e la Commissione europea in materia di concorrenza e di
stabilire i criteri di applicazione del diritto antitrust nazionale e europeo.
L’esigenza di coordinamento si inserisce in una generale politica di
decentramento che la Commissione ha portato avanti già dagli anni ’90 al
fine di snellire il proprio carico di lavoro; inoltre, la Commissione ha
previsto l’applicazione diretta degli artt. 81 e 82 del Trattato CE (oggi
156
articoli 101 e 102 TFUE) da parte delle autorità nazionali318.
Nel nostro Paese, l’attribuzione della competenza ad applicare i divieti
stabiliti dal Trattato in materia di tutela della concorrenza a favore
dell’Autorità garante è avvenuta per mezzo della l. comunitaria 6 febbraio
1996, n. 52, che all’art. 54, 5° co, stabilisce l’applicazione diretta degli artt.
85, § 1, e 86 del Trattato Ce (ora articoli 101 e 102 TFUE) da parte
dell’Autorità, salvo che la Commissione non abbia già iniziato un
procedimento con riguardo alla medesima fattispecie; in tal caso,
l’Authority sospende lo svolgimento del procedimento. Nel nostro
ordinamento giuridico vige, dunque, il principio della c.d. esclusione
reciproca, che risolve il problema di coordinamento tra competenze.
La legge n. 287/90, inoltre, all’art. 1, 4° co., stabilisce che
l’interpretazione delle norme contenute nel titolo I della medesima è
effettuata in base ai principi dell’ordinamento comunitario in materia di
disciplina della concorrenza.
I principi del diritto comunitario, dunque, vengono assunti quali “canone
ermeneutico” per la legislazione nazionale319, rappresentando lo strumento
interpretativo delle norme nazionali antitrust.
Inoltre, dopo il primo regolamento di applicazione delle disposizioni
sulla concorrenza del Trattato (il reg. CEE 6 febbraio 1962, n. 17), il
Consiglio ha emanato il reg. CE n. 1/2003 che sostituisce il precedente e
introduce una novità: l’art. 81, paragrafo 3, del Trattato CE (ora art. 101,
paragrafo 3, TFUE), che prevede la possibilità di ottenere una esenzione dal
divieto di cui all’art. 81, paragrafo 1 TCE (ora art. 101, paragrafo 1 TFUE),
318
Si legge, infatti, nella comunicazione della Commissione concernente la cooperazione
tra la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri per l’esame dei casi
disciplinati dagli artt. 85 e 86 del Trattato CE, pubblicata sulla Gazzetta Uff., 15 ottobre 1997, n. C
313, che le autorità nazionali sono competenti ad applicare i divieti di cui agli artt. 85, § 1, e 86, a
condizione che la legislazione nazionale conferisca loro i poteri necessari a tal fine.
319
JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo, in Riv. dir. agr., 1997, I,
p. 416.
157
acquista efficacia diretta ed è, dunque, direttamente applicabile da parte
delle Autorità nazionali garanti della concorrenza, oltre che dai giudici
nazionali. In tal modo, si suddivide di fatto l’applicazione del diritto
antitrust tra gli organi nazionali competenti e la Commissione, creando un
vero e proprio sistema di rete fondato sulla stretta cooperazione tra la
Commissione e le singole Autorità nazionali, all’interno della rete delle
Autorità di concorrenza dell’EU (European competition network)320. Le
Autorità antitrust nazionali sono, dunque, inserite all’interno di un sistema
di
tipo
verticale
nei
rapporti
con
la
Commissione
(consistenti
prevalentemente in un obbligo di informazione e di consultazione
preventiva della Commissione) e di tipo orizzontale, attraverso il dialogo
con le altre autorità nazionali (al fine di consentire lo scambio di
informazioni e la comunicazione degli elementi di prova)321.
320
Su tali aspetti si rinvia a VAN BAEL e BELLIS, Il diritto comunitario della concorrenza,
Torino, 2009, p. 18 ss.
321
La dottrina osserva come la costituzione di un sistema di rete abbia particolare rilievo
per il settore alimentare. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi, riferita da C OSTANTINO, Il ruolo
dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel settore agroalimentare, in Trattato di
diritto agrario, diretto da COSTATO, GERMANÒ e ROOK BASILE, Vol. III, p. 231, al mercato dei
prodotti dimagranti particolarmente caratterizzato dalla presenza di pratiche commerciali scorrette
poste in essere sul territorio italiano ma da parte di imprese aventi sede all’estero, con evidente
difficoltà di reperimento delle informazioni da parte dell’Autorità garante nazionale (ASTAZI,
Pratiche commerciali scorrette nell’ambito dei contratti del consumo alimentare e tutela dei
consumatori. I nuovi poteri dell’AGCM, in Riv. dir. alimentare, aprile-giugno 2008, n. 2).
158
2. Normativa europea e diritto interno antitrust in relazione alle
intese nel settore agricolo: il caso dei Consorzi di tutela dei
prodotti tipici
Significativi per chiarire il ruolo e le competenze dell’Autorità garante
della concorrenza e del mercato nel settore agroalimentare sono gli
interventi in riferimento alle attività dei consorzi di tutela della qualità di
determinati prodotti alimentari. In particolare, l’Autorità si è incaricata di
chiarire i limiti del potere di restrizione della concorrenza nei confronti dei
produttori associati da parte dei consorzi, ossia organismi associativi ai
quali gli imprenditori agricoli fanno riferimento per rappresentare i propri
interessi e per poter gestire al meglio il proprio ruolo all’interno della filiera
agroalimentare322. I consorzi hanno natura volontaria e riuniscono le
imprese ubicate nelle zone di produzione tipica; essi svolgono funzioni di
promozione, monitoraggio e controllo della produzione e del commercio
dei prodotti tutelati.
L’Autorità garante si è occupata di verificare in primo luogo
l’applicabilità della l. n. 287/1990 ai consorzi tra produttori e,
successivamente, è intervenuta a verificare la compatibilità della normativa
antitrust con i piani di programmazione della produzione posti in essere dai
consorzi.
L’attenzione dell’Authority si è concentrata nei confronti dei Consorzi
del prosciutto di San Daniele e del prosciutto di Parma 323 e del Consorzio
del formaggio Parmigiano Reggiano e del Consorzio per la tutela del
formaggio Grana Padano324, verso i quali sono state avviate nel 1995 due
322
PAOLONI, Consorzi fra produttori agricoli, in Digesto civ., Agg., I, Torino, 2000, p.
215; ID., I consorzi fra produttori agricoli tra passato e presente, in AA.VV., Agricoltura e diritto.
Scritti in onore di Emilio Romagnoli, II, Milano, 2000, p. 895 ss.
323
A seguito di tali istruttorie è stata adottata la decisione del 19 giugno 1996, n. 3999.
324
A seguito di tali istruttorie è stata adottata la decisione del 24 ottobre 1996, n. 4352.
159
istruttorie; in entrambe si è preliminarmente affrontata la questione relativa
all’applicabilità della disciplina sulla concorrenza anche ai consorzi di
tutela della qualità, risolvendola nel senso della piena applicabilità della
legge n. 287/1990 anche ad essi.
Nel caso dei consorzi di salumi, poi, l’Autorità ha proceduto con
l’esame dell’attività di programmazione svolta dai consorzi sull’attività
produttiva delle imprese che deve essere compatibile con le regole a tutela
della concorrenza.
I piani di programmazione, infatti, sono atti negoziali frutto di una
volontà liberamente e autonomamente formata nell’ambito dell’attività dei
consorzi stessi. Essi sono disciplinati dalla legge 13 febbraio 1990, n. 26, e
dalla legge 14 febbraio 1990, n. 30, istitutive dei sistemi di tutela della
denominazione di origine del prosciutto di Parma e del prosciutto San
Daniele e sono soggetti all’approvazione da parte dell’allora Ministero
dell’Industria, di intesa con gli allora Ministeri dell’agricoltura e della
sanità.
Secondo il parere dell’Autorità, l’approvazione ministeriale dei piani di
programmazione è un formale atto di controllo che non ne modifica la
natura di atto negoziale volontario e che, pertanto, non esonera l’attività dei
consorzi dal rispetto delle regole a tutela della concorrenza. Nel caso di
specie, l’istruttoria ha analizzato le misure di contingentamento degli
acquisti di cosce di suino destinate alle produzioni tutelate325, i mercati
rilevanti dell’allevamento, della macellazione e della commercializzazione
di cosce di suino e della produzione e commercializzazione di prosciutto
crudo finale. Siccome i piani di programmazione si riferivano sia al
325
Per un’analisi ricostruttiva dei provvedimenti in questione, P AOLONI, Programmazione
della produzione e lesione delle regole antimonopolistiche nei consorzi di tutela dei prodotti agroalimentari tipici, in Dir. e giur. agr. amb., 1998, p. 197; SCHIANO, L’applicazione del diritto
antitrust nel settore agricolo. Alcune considerazioni in margine al caso del consorzio per la tutela
dei prosciutti di Parma e San Daniele, in Riv. dir. agr., 2000, I, p. 613.
160
quantitativo totale di cosce di suino da avviare alla trasformazione per
ottenere i prodotti a denominazione tutelata, sia alle quote di produzione
assegnate alle singole imprese, queste misure si configuravano, secondo
l’Autorità, come intese restrittive della concorrenza.
L’Authority ha anche verificato la possibilità di abuso di posizione
dominante da parte dei Consorzi, procedendo ad individuare il mercato
rilevante per tali prodotti che operano in un mercato caratterizzato da molti
alimenti alternativi o succedanei, ottenuti sia in Italia sia all’estero, di modo
che un controllo della produzione poteva essere considerato un legittimo
strumento di programmazione. Il mercato rilevante nel caso di specie è stato
circoscritto al territorio italiano, mentre il paradigma da considerare per i
prosciutti ricomprende aree del territorio europeo, perciò la competenza ad
analizzare la situazione sarebbe spettata alla Commissione europea, come a
breve verrà evidenziato.
Con il riconoscimento della denominazione di origine protetta ottenuto
attraverso l’iscrizione nel registro europeo dei prosciutti di Parma e San
Daniele326, la tutela dei prodotti, il loro sistema di produzione e i relativi
controlli di qualità sono stati disciplinati dal regolamento n. 2081/1992327,
successivamente sostituito dal regolamento n. 510/2006328: in virtù
dell’applicabilità delle norme contenute nel regolamento, le funzioni di
controllo sulla produzione dei prodotti tutelati dalla denominazione Dop
sono svolte ora da organismi di controllo indipendenti, terzi e imparziali.
Ne consegue che i piani di programmazione non siano più necessari al fine
di tutelare il mercato dei prodotti di qualità, e, tra l’altro, non ottemperano
nemmeno la disciplina europea in materia che assicura, tramite gli
326
Reg. CE n. 1107/1996 che ha registrato come Dop i prosciutti di Parma e San Daniele
Regolamento del Consiglio del 14 luglio 1992 relativo alla protezione delle indicazioni
geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari.
328
Regolamento del Consiglio del 20 marzo 2006 relativo alla protezione delle
indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari.
327
161
organismi di controllo, il rispetto delle regole stabilite nei disciplinari di
produzione.
In seguito l’Autorità garante è intervenuta di nuovo sul settore della
produzione dei prosciutti Dop, con una segnalazione ex art. 21 legge n.
287/1990 al Mipaf, riguardante alcune misure adottate dagli organismi di
controllo circa la conformità al disciplinare di produzione della Dop
prosciutto San Daniele. L’Autorità ha riscontrato, infatti, la violazione delle
regole nazionali a tutela della concorrenza e la violazione della normativa
europea a tutela delle denominazioni di origine, in particolare per questo
motivo: l’organismo certificatore della produzione della Dop prosciutto San
Daniele non consentiva l’accesso ai controlli di qualità e al rispetto del
disciplinare ai nuovi produttori, se non per quantitativi pari o inferiori ad
una soglia prefissata, mettendo in atto una pratica anticoncorrenziale e in
violazione delle norme europee, che prevedono che sia permesso l’utilizzo
della denominazione a tutti i produttori in grado di rispettare il disciplinare
di produzione.
L’altra istruttoria avviata dall’Autorità garante è rivolta nei confronti
del Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano e del Consorzio per la
tutela del Grana Padano, in merito ad un protocollo di intesa sottoscritto dai
due consorzi sui quantitativi di produzione, che, analogamente al settore dei
prosciutti, fissava una quota di produzione per ciascuna impresa socia e
determinava i quantitativi massimi di produzione al fine di stabilire un
equilibrio tra produzione e consumo in un mercato di prodotti di qualità.
L’Autorità garante ha valutato come violazione delle norme sulla
concorrenza la predisposizione dei piani di programmazione da parte del
Consorzio Grana Padano. Il Consorzio del Parmigiano Reggiano, invece,
nel corso del 1995, aveva attribuito obiettivi produttivi ai caseifici sulla
base della quantità di latte disponibile risultante da autocertificazioni da essi
presentate, senza ulteriori limitazioni, non mettendo in atto una pratica
162
anticoncorrenziale.
I consorzi di tutela, a seguito dell’intervento da parte dell’Autorità
garante, hanno deciso di modificare i propri regolamenti di autodisciplina,
trasformando il meccanismo di programmazione quantitativa in una
semplice verifica delle richieste di produzione presentate dai singoli
consorziati che rimangono non vincolanti in quanto i singoli produttori
associati possono superare il quantitativo segnalato se sono in grado di
attenersi al disciplinare di produzione.
Allo stesso modo, nel 1998 l’Autorità ha valutato quali intese restrittive
della concorrenza, in violazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990, i piani
di programmazione della produzione posti in essere dal Consorzio per la
tutela del formaggio gorgonzola, nei quali si predeterminava annualmente il
quantitativo da produrre con l’assegnazione delle relative quote ai singoli
associati, limitando in tal modo la competizione tra imprese e la crescita
degli operatori più efficienti329.
Ebbene, di fronte ai problemi sollevati dal Garante a proposito di alcuni
Consorzi di tutela dei prodotti tipici, di cui si è detto, il legislatore è
intervenuto con il d.lgs. n. 173 del 1998 recante disposizioni in materia di
contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle
imprese agricole. L’art. 11 del decreto citato (ora abrogato dall’art. 16 d.
lgs. 102/2005) si occupa specificamente degli accordi del sistema
agroalimentare330.
329
Decisione del 12 novembre 1998, n. 6549.
L’art. 11 d.lgs. 173/1998 stabiliva: «1. Gli accordi realizzati tra produttori agricoli o fra
produttori agricoli ed imprese, che beneficino di una stessa denominazione di origine protetta
(DOP), indicazione geografica protetta (IGP) e attestazione di specificità (AS) riconosciuta ai sensi
dei regolamenti (CEE) n. 2081/92 e n. 2082/92 del Consiglio del 14 luglio 1992, o che siano
integrati nella stessa filiera di produzione avente la dicitura di “agricoltura biologica” ai sensi del
regolamento (CE) n. 2092/91, del Consiglio del 24 giugno 1991, sono approvati dal Ministero per
le politiche agricole. Tali accordi devono essere stipulati per iscritto, per un periodo determinato
che non può essere superiore a tre anni e possono riguardare soltanto: a) una programmazione
previsionale e coordinata della produzione in funzione del mercato; b) un piano di miglioramento
della qualità dei prodotti, avente come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta;
330
163
L’Autorità garante, nell’esercizio dell’attività consultiva prevista
dall’art. 22 legge n. 287/1990, ha formulato una segnalazione avente ad
oggetto lo schema di decreto legislativo poi approvato, esprimendo gravi
preoccupazioni con riguardo proprio all’art. 11331. In particolare, a parere
dell’Autorità garante, tale previsione normativa si poneva in palese conflitto
con le regole comunitarie in materia di concorrenza applicabili al settore
agricolo, ed in particolare con l’art. 42 Trattato CE e con il reg. 26/62. Le
deroghe alla disciplina a tutela della concorrenza previste dalla normativa
comunitaria per il settore agricolo rappresentano, ad opinione dell’Autorità
garante, una «limitata eccezione alla regola» sottoposta, in ogni caso, al
controllo della Commissione che deve verificare l’eventuale inapplicabilità
delle regole di concorrenza a comportamenti posti in essere da imprese
agricole in base a rigorosi criteri di necessità e proporzionalità rispetto alla
realizzazione degli obiettivi previsti dall’art. 39 Trattato CE. La normativa
in questione, invece, sempre ad opinione dell’Autorità, introduce una
deroga generale e tendenzialmente incondizionata, sottraendo alla stessa
Autorità la potestà di esplicare i propri poteri di controllo in materia di
concorrenza nel settore in questione.
Sembra opportuno chiarire, come evidenziato dalla più attenta dottrina,
che le ipotesi considerate nell’art. 11 del d.lgs. n. 173/1998, sono
riconducibili alla seconda ipotesi di deroga prevista dal reg. 26/62, ove si
c) una concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati della produzione degli aderenti. 2.
In caso di grave squilibrio del mercato, gli accordi realizzati fra produttori agricoli, o fra produttori
agricoli ed imprese di approvvigionamento o di trasformazione e le disposizioni autolimitatrici,
adottate dalle organizzazioni di produttori agricoli riconosciute ai sensi del regolamento (CE) n.
952/97 del Consiglio del 20 maggio 1997, e le organizzazioni interprofessionali di cui all’articolo
12, destinati a riassorbire una temporanea sovracapacità produttiva per ristabilire l’equilibrio del
mercato, devono essere autorizzati dal Ministero per le politiche agricole. Tali misure devono
essere adeguate a superare gli squilibri e non possono in alcun caso riguardare la materia dei
prezzi. La durata degli accordi non può eccedere un anno. 3. Gli accordi di cui ai commi 1 e 2 non
possono in ogni caso prevedere restrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento degli
scopi indicati nei medesimi commi, né possono eliminare la concorrenza da una parte sostanziale
del mercato. 4. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non costituiscono deroghe a quanto previsto
dall’articolo 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287».
331
Parere AS132 del 2 aprile 1998, pubblicato sul bollettino AGCM n. 12/1998.
164
stabilisce che l’art. 85, paragrafo 1, Trattato CE (ora art. 101, paragrafo 1,
TFUE) non si applica agli accordi, decisioni e pratiche necessari per il
conseguimento degli obiettivi enunciati nell’art. 39 Trattato CE. Infatti, tale
norma sembra riguardare non solo gli imprenditori agricoli, ipotesi
contemplata invece nella terza ed ultima ipotesi di deroga prevista dal reg.
26/62, ma anche accordi tra imprese agricole ed imprese di trasformazione,
non agricole in senso stretto.
Si segnala, a riguardo, un dibattito dottrinale in ordine alla compatibilità
dell’art. 11 d.lg. n. 173/98 con la normativa comunitaria. Si sostiene da un
lato che i contenuti degli accordi previsti dalla normativa italiana, che
possono avere ad oggetto la programmazione della produzione in funzione
del mercato, un piano di miglioramento della qualità dei prodotti avente
come conseguenza diretta una limitazione del volume dell’offerta o una
concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati della produzione
degli aderenti, «possono benissimo intendersi come strumenti necessari per
perseguire le finalità dell’art. 39 del trattato»332.
D’altro canto, si sostiene che le preoccupazioni evidenziate dall’Autorità
garante in ordine alla compatibilità della normativa italiana con quella
comunitaria sono più che serie se si considera che la fissazione di tetti
quantitativi di produzione si traduce in una inevitabile barriera all’entrata
nei confronti di altri produttori agricoli interessati a far parte del consorzio
di tutela. In questo modo, si violerebbe il principio della porta aperta di
modo che la violazione della concorrenza non ha ad oggetto il rapporto tra
produttori di prodotti di qualità ed altri produttori, ma incide su qualunque
altro produttore di prodotti di qualità che verrebbe escluso dal mercato. La
presenza sul territorio di un consorzio di tutela della qualità si giustifica,
infatti, solo se i soggetti interessati e aventi i requisiti necessari abbiano il
332
COSTATO, Commento al decreto legislativo n. 173 del 1998, in Riv. dir. agr., 1998, I, p.
503.
165
diritto di accedere all’utilizzazione del marchio collettivo o della
denominazione protetta. Solo così i consorzi rispettano i principi del libero
mercato che si basa sulla libertà di accesso333.
L’art. 11 d. lg. n. 173/1998 è stato abrogato dal d.lg. n. 102/2005 che
all’art. 15 ripropone il contenuto della previgente normativa in materia di
accordi del sistema agroalimentare. L’Autorità garante ha ribadito la
contrarietà alla normativa comunitaria delle previsioni normative nazionali
che consentono ai consorzi di tutela la fissazione di limiti quantitativi alla
produzione334.
L’art. 11, stabilisce che devono essere approvati dal MIPAAF gli
accordi stipulati «tra produttori agricoli o fra produttori agricoli ed
imprese» che beneficino di una stessa DOP, IGP o attestazione di specificità
(oggi specialità tradizionale garantita), ovvero del marchio biologico. Tali
accordi, di durata al massimo triennale, che secondo quanto sembra potersi
dedurre dalla norma debbono rivestire la forma scritta ad substantiam,
possono prevedere una programmazione della produzione in funzione del
mercato, un piano di miglioramento qualitativo che può avere come
conseguenza diretta una limitazione del volume dell’offerta, e una
concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati della produzione
degli aderenti335.
Anche nel settore degli ortofrutticoli l’art. 11 del d.lgs. n. 173/98
prevede che il MIPAAF possa intervenire autorizzando gli accordi realizzati
«fra produttori agricoli, o fra produttori agricoli ed imprese di
333
JANNARELLI, Relazione di sintesi, cit., p. 143, conclude, a tal riguardo, che i “soggetti
collettivi”, qualora abbiano il potere di fissare limiti quantitativi, divengono da soggetti coinvolti
nella strutturazione del mercato, protagonisti diretti della produzione operanti in senso contrario al
mercato.
334
Parere AS293 del 6 aprile 2005, pubblicato sul bollettino AGCM n. 14/2005.
335
COSTATO, Commento all’art. 11, in Commento al decreto legislativo n. 173 del 1998, a
cura di CRISTIANI, RUSSO, FONTANA, BORGHI, COSTATO, GOLDONI, BALDI LAZZARI, in Riv. dir.
agr., 1998, I, p. 499.
166
approvvigionamento o di trasformazione», e le disposizioni adottate con lo
scopo di «riassorbire una temporanea sovracapacità produttiva per
ristabilire l’equilibrio del mercato», dalle organizzazioni di produttori
agricoli, o con accordi fra dette organizzazioni e le imprese di
trasformazione, in sede di organizzazioni interprofessionali e «tali misure
devono essere adeguate a superare gli squilibri e non possono in alcun caso
riguardare la materia dei prezzi. La durata degli accordi non può eccedere
un anno»336.
La norma in questione richiama da vicino le disposizioni del legislatore
europeo che consente, attraverso l’art. 2 del reg. 1184/2006, la stipula di
accordi, decisioni e pratiche fra imprese agricole e loro associazioni. Si
noti, tuttavia, come i produttori di prosciutto di Parma e S. Daniele non
siano imprenditori agricoli ai sensi del reg. 1184/2006, mentre lo sono i
produttori dei formaggi Grana e Parmigiano reggiano, dal momento che i
primi commerciano prosciutti acquistandoli freschi e vendendoli stagionati,
mentre i formaggi Grana e Parmigiano sono ottenuti da imprese agricole
che trasformano il loro latte, oppure da cooperative di agricoltori, ormai
equiparate all’imprenditore agricolo e aventi la qualifica di imprenditori ai
sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 228/2001.
Infine, il comma 4 dell’art. 11 d.lgs. 173/98 stabilisce che le disposizioni
precedenti non costituiscono deroghe «a quanto previsto dall’articolo 2
della legge 10 ottobre 1990, n. 287»; mentre è di tutta evidenza che i commi
1 e 2 dell’art. 11 sono delle deroghe all’art. 2, mitigate solo dal disposto del
comma 3, il quale stabilisce che gli accordi suddetti «non possono in ogni
caso prevedere restrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento
336
L’OCM del settore ortofrutticolo trova oggi la propria disciplina generale nel reg. (CE)
1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007 e norme più specifiche nel reg. (CE) n. 1182/2007 del
Consiglio del 26 settembre 2007, che ha tra l’altro abrogato il precedente regolamento di base del
settore (n. 2202/1996).
167
degli scopi indicati (…) né possono eliminare la concorrenza da una parte
sostanziale del mercato».
In riferimento a questi aspetti, illustre dottrina rileva come nelle DOP e
nelle IGP cui fanno riferimento le disposizioni nazionali sopra richiamate,
interessate da accordi fra«produttori agricoli» o da quelli fra «produttori
agricoli e imprese», rientrino i consorzi dei formaggi e dei prosciutti 337. Ne
deriverebbe che la produzione programmata degli imprenditori riuniti sotto
un marchio collettivo è simile a quella del produttore che utilizza un
marchio individuale, anche se in precedenza l’Autorità garante della
concorrenza e del mercato ha distinto le due attività di programmazione
della produzione, che appaiono peraltro non dissimili, negando ai Consorzi
del Parmigiano reggiano e del prosciutto la legittimità di un comportamento
consentito, invece, ai produttori individuali.
L’Authority, come detto poc’anzi, ha anche verificato la configurazione
della fattispecie di abuso di posizione dominante da parte dei Consorzi,
circoscrivendo il mercato rilevante nelle fattispecie de qua al territorio
italiano, mentre si sarebbe più propriamente dovuto prendere in
considerazione un raggio più ampio che ricomprendesse ulteriori aree in
Europa, attribuendo in tal modo la competenza alla Commissione europea.
Bisogna sottolineare come le norme nazionali sopra richiamate violino
la normativa europea, dal momento che consentono accordi di filiera tra
produttori agricoli e industriali alimentari o commercianti, mentre il reg.
1184/2006 ammette solo accordi «fra imprenditori agricoli» o loro
associazioni, talché se l’esito dell’accordo avesse riflessi sul mercato
comunitario la Commissione potrebbe intervenire (come è avvenuto, ad
esempio, per un accordo fra produttori di latte e industriali).
La legislazione nazionale degli anni 2000 ha introdotto importanti
337
BORGHI, in AA.VV., Compendio di diritto alimentare, V ed., 2011, pag. 169.
168
modifiche ai poteri del ministro per il comparto agricolo in riferimento alla
disciplina della concorrenza, ma si deve rilevare che ben modesto è lo
spazio che poteva essere riservato ai poteri nazionali, specie in materia di
aiuti pubblici, poiché essi sono disciplinati esaustivamente dal diritto
europeo.
Infine, la stessa legislazione nazionale appare difficilmente conciliabile
anche con le competenze regionali, in particolare in riferimento agli accordi
interprofessionali338.
Giova richiamare, in tema di consorzi di tutela di prodotti tipici e loro
poteri, il Regolamento (Ue) n. 261/2012339, che introduce un “nuovo”
modello di interprofessione per il settore lattiero-caseario, prima misura
varata con la procedura di codecisione, che prevede quali strumenti a
disposizione contratti scritti, rafforzamento del potere contrattuale delle
organizzazioni di produttori e la possibilità di programmare la produzione
per i formaggi di qualità. La riforma varata, che trae spunto dalla situazione
di crisi dei mercati, senza aiuti finanziari, punta, con l’introduzione di
nuove regole contrattuali, a migliorare la rappresentatività dei produttori e a
una gestione attenta dell’offerta che consenta di mantenere prezzi
remunerativi per alcune produzioni chiave del made in Italy, come
Parmigiano Reggiano e Grana padano.
Al regolamento n. 1234/2007 è aggiunto l’art. 126 quater che
prevede la possibilità per le Organizzazioni di produttori, in deroga alle
regole europee sulla concorrenza, di contrattare il prezzo per conto dei
propri soci, fino ad un massimo del 33% del mercato nazionale, o il 3,5%
338
Ad esempio la L.reg. Emilia Romagna n. 24 del 7 aprile 2000, incompatibile con la l. 9
maggio 2001, n. 14. Sull’argomento RUSSO, Commento all’art. 25, in I tre «decreti orientamento»
della pesca e acquacoltura, forestale e agricolo (a cura di COSTATO), in Le nuove leggi civili
commentate, 2001, p. 857.
339
Reg. 261/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, che
modifica il Regolamento (Ce) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore
del latte e dei prodotti lattiero-caseari, in GUUE l 94/38 del 30.3.2012.
169
della produzione totale europea.
Per migliorare il funzionamento del mercato e garantire la qualità dei
formaggi Dop e Igp i consorzi di tutela potranno regolare i volumi di
produzione.
Un altro aspetto chiave della riforma è rappresentato dalla nuove regole
in materia di contrattazione obbligatoria. Il regolamento introduce l’obbligo
di stipulare contratti scritti per fissare in anticipo prezzo, quantità e durata
delle forniture. Un sistema simile a quello già in vigore in Francia, dove
però non sono mancate le difficoltà di attuazione. I Paesi membri potranno
decidere se imporre o meno contratti obbligatori per le forniture di latte sul
territorio nazionale. Se il singolo Stato membro deciderà di introdurli, i
contratti obbligatori dovranno essere stipulati prima della fornitura e
indicare prezzo, scadenze dei pagamenti e accordi sulla raccolta e la
fornitura del latte. I singoli partners potranno anche decidere di introdurre
una durata minima di almeno sei mesi.
Le nuove regole sui contratti e sulla programmazione dell’offerta sono
in vigore sei mesi dopo la pubblicazione del regolamento sulla Gazzetta
Ufficiale della Ue. La parte, invece, relativa al riconoscimento delle
Organizzazioni di produttori è immediatamente applicabile.
Un altro recente provvedimento, questa volta nazionale, su cui vale
la pena soffermarsi prima di continuare la presente analisi, e che incide
sulle transazioni commerciali aventi ad oggetto prodotti alimentari
deteriorabili; è il Dl n. 1/2012, che dal 24 ottobre 2012 che ha introdotto
nuove regole relative alla commercializzazione dei prodotti agricoli e
alimentari340.
Sotto il profilo dell’applicabilità territoriale, le nuove regole si
applicano per le cessioni di prodotti agricoli e alimentari la cui consegna
340
Art. 62 del Dl n. 1/2012, convertito nella legge n. 27/2012.
170
avviene nel territorio della Repubblica italiana. Quindi i nuovi obblighi
devono essere rispettati anche per i prodotti agroalimentari provenienti da
altri Paesi Ue, oppure importati. Nella fattispecie occorre procedere anche
alla stesura del contratto scritto, che sulla base di quanto stabilito dal
decreto ministeriale attuativo, è sostituibile con l’annotazione degli
elementi minimi stabiliti dall’art. 62 nei documenti di trasporto (ad esempio
Cmr che viene compilato al momento del carico delle merci).
L’ambito oggettivo riguarda i prodotti agricoli e alimentari. Questa
individuazione non presenta difficoltà particolari in quanto l’ordinamento
fornisce dei riferimenti precisi. Per quanto riguarda i prodotti agricoli, si
deve fare riferimento all’Allegato I, di cui all’art. 38, par. 3, TFUE.
Altrettanto facile è la individuazione dei prodotti alimentari di cui all’art. 2,
del regolamento CE n. 178/2002 e cioè quelli che possono essere ingeriti da
un essere umano, salvo le esclusioni specificamente indicate.
Invece è più complicata la classificazione tra prodotto deteriorabile e
non deteriorabile; questa distinzione determina il termine di pagamento che
per i prodotti deteriorabili deve essere eseguito entro trenta giorni a
decorrere dalla fine del mese di ricevimento della fattura, mentre per gli
altri il pagamento è di sessanta giorni.
Il decreto ministeriale al riguardo fornisce queste indicazioni: si
tratta dei prodotti indicati nell’articolo 62, comma 4, e la durabilità del
prodotto si riferisce alla durata complessiva stabilita dal produttore.
Il comma 4 del citato articolo 62 prevede le seguenti quattro
categorie di prodotti alimentari deteriorabili:
1) prodotti preconfezionati che riportano una durata di scadenza non
superiore a sessanta giorni;
2) prodotti agricoli, ittici e alimentari sfusi non sottoposti a
trattamenti atti a prolungare la durabilità;
3) prodotti a base di carne che presentino le seguenti caratteristiche
171
fisico-chimiche: attività dell’acqua superiore a 0,95 ed una acidità
superiore a 5,2, oppure aW superiore a 0,91 o pH uguale o
superiore a 4,5;
4) tutti i tipi di latte.
I prodotti agricoli, ittici ed alimentari sfusi non possono essere considerati
genericamente deteriorabili in modo automatico.
Il problema si pone per i prodotti agricoli che provengono dalla campagna o
dall’allevamento, che secondo il dato letterale contenuto nel numero 2)
dell’articolo 62, se ceduti sfusi sarebbero comunque deteriorabili. Invece il
decreto ministeriale sembra affermare che anche per i prodotti
agroalimentari ceduti sfusi si debba fare riferimento alla natura
organolettica del bene per stabilire se esso abbia o meno una durabilità
inferiore a sessanta giorni. Non sarà sempre facile per il produttore agricolo
attestare se il prodotto ceduto sia o meno deteriorabile. A nostro parere
possono avere una durabilità superiore a sessanta giorni gli animali vivi,
anche se destinati al macello, le piante, i cereali, i foraggi, mentre sono
deteriorabili la frutta e gli ortaggi. Risulterebbe, però, più facile riferirsi ad
indicazioni ministeriali in quanto la natura di bene deteriorabile anticipa a
trenta giorni i termini di pagamento ed in caso di ritardo è prevista una
sanzione da 500 a 500.000 euro. A questo punto è anche consigliabile
indicare nel contratto, o nelle annotazioni sostitutive nei documenti di
trasporto o fattura immediata, fra le caratteristiche del prodotto, se si tratta o
meno di prodotto deteriorabile.
172
3. Gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del
mercato nel settore agroalimentare: istruttorie e indagini
conoscitive
L’Autorità garante ha adottato alcuni provvedimenti in materia di
agricoltura, tutti pubblicati nelle relazioni annuali di ciascun anno di
riferimento nella sezione specificamente dedicata al settore agricolo,
particolarmente significativi per evidenziare le distorsioni della concorrenza
sul mercato italiano nel comparto.
Degli interventi del Garante nei confronti dei piani di programmazione
della produzione posti in essere da consorzi di produttori agricoli si è
appena riferito.
Delle altre decisioni adottate che hanno riguardato, ad esempio, accordi
sui prezzi, concordati tra imprese agroindustriali, o accordi, sempre tra
imprese agroindustriali, relativi allo stoccaggio e alla conservazione dei
prodotti, che si è ritenuto influire negativamente sulla concorrenza, si
soffermerà l’attenzione soprattutto sui primi.
La questione relativa al controllo sui prezzi nel settore agroalimentare
che ha riguardato un accordo tra panificatori, infatti, è di particolare rilievo
anche in una prospettiva di diritto europeo. L’aumento del prezzo delle
commodities e, quindi, del prodotto al consumatore finale, rappresenta un
fenomeno che negli ultimi anni ha caratterizzato la filiera agroalimentare in
Europa, tanto da costituire una preoccupazione per le istituzioni europee
tale da indurre la Commissione ad emanare una Comunicazione sul
funzionamento delle filiere agroalimentari.
Essendosi registrato anche in Italia un consistente aumento dei prezzi
dei prodotti quali pane e pasta, l’Authority ha aperto un’istruttoria volta a
verificare la presenza di intese restrittive della concorrenza da parte di
173
alcune imprese produttrici. A conclusione dell’indagine è, così, emerso un
accordo tra produttori per attuare un incremento contestuale dei prezzi al
consumo, conclusosi con l’inflizione di una sanzione alle imprese coinvolte
nel 1999.
A distanza di alcuni anni (2008) si è conclusa una seconda istruttoria ai
sensi dell’art. 2, l. n. 287/1990, che ha accertato un’intesa restrittiva della
concorrenza da parte delle associazioni di categoria dei panificatori avente
ad oggetto la predisposizione e divulgazione ai panifici di indicazioni di
prezzo per i prodotti a base di pane. Anche in questo caso l’Autorità ha
irrogato una sanzione amministrativa, stavolta molto elevata, tenuto conto
dell’essenzialità del bene in questione e del ruolo delle associazioni di
categoria in un settore caratterizzato da una elevata frammentazione
produttiva.
Recentemente un’altra istruttoria ha permesso di accertare l’esistenza di
intese restrittive della concorrenza nel settore della produzione della pasta,
caratterizzato da una politica comune di aumento del prezzo della pasta in
risposta all’aumento del prezzo del grano.
Giova ricordare che il Consiglio di Stato ha, in seguito, confermato le
sanzioni per la fissazione dei prezzi di listino della pasta imposte
dall’Autorità, dopo avere rilevato l’esistenza di intese hardcore, restrittive
della concorrenza finalizzate a concertare gli aumenti del prezzo di vendita
della pasta di semola341.
Un altro settore che ha interessato l’Autorità è quello della vendita e
distribuzione del gelato. Nel 1996 l’Autorità ha avviato un’istruttoria avente
ad oggetto i contratti di distribuzione del gelato contenenti clausole di
acquisto esclusivo, conclusi tra le principali imprese produttrici e numerosi
341
Sentenza Consiglio di Stato del 9 febbraio 2011, di conferma della decisione
dell’Autorità del 26 febbraio 2009, che comminava una sanzione per un totale di 12,5 milioni di
Euro.
174
esercizi commerciali pubblici. Le peculiarità del prodotto in questione, che
deve essere distribuito e posto in vendita seguendo la catena del freddo,
comporta dei costi per i rivenditori ai quali fanno fronte le stesse imprese
produttrici che cedono ai venditori in comodato o deposito gratuito i
congelatori da utilizzare, però, esclusivamente per la conservazione dei
prodotti dell’impresa concedente (c.d. freezer exclusivity). L’Autorità ha
concluso che le reti di vendita in esclusiva poste in essere dalle imprese
interessate dall’istruttoria costituivano una violazione dell’art. 2, 2° co., l. n.
287/1990.
Tra i poteri a disposizione dell’Autorità garante è ricompresa la
possibilità di effettuare indagini conoscitive, ai sensi dell’art. 12, 2° co.,
legge n. 287/90, procedendo d’ufficio o su richiesta di organi pubblici, nei
settori economici in cui le dinamiche facciano presumere che la
concorrenza sia falsata.
Per quanto qui ci interessa, si segnalano tre indagini conoscitive
condotte dal Garante della concorrenza nel settore agroalimentare, indagini
che hanno interessato i comparti del latte e quello bieticolo-saccarifero e la
distribuzione agroalimentare. In tutti e tre i settori si sono manifestate
ipotesi di violazione delle regole antitrust, per le caratteristiche delle filiere,
dell’andamento dei prezzi dei prodotti, delle possibilità di concentrazione
tra imprese.
L’Autorità garante ha pubblicato, per prima, un’indagine conoscitiva nel
settore del latte342, con particolare riguardo alla fase della trasformazione e
distribuzione del latte fresco e del latte a lunga conservazione, mercati che
presentano caratteristiche estremamente diverse. Nel mercato del latte
fresco hanno operato per molti anni le centrali pubbliche in regime di
monopolio ed oggi mantengono ancora una posizione dominante su molti
342
IC/2, provvedimento 10 gennaio 1994, n. 1699.
175
mercati locali. Il mercato del latte a lunga conservazione, invece, presenta
un grado di concentrazione elevato e una maggiore differenziazione delle
politiche di vendita, riguardo al prezzo, alla pubblicità, ai rapporti con la
grande distribuzione, alla differenziazione del marchio.
La concorrenza risulta limitata soprattutto nel mercato del latte fresco, a
causa di una serie di fattori legati sia alla specificità del prodotto,
sostanzialmente omogeneo, sia alle barriere in entrata, dovute, tra gli altri
fattori, alle difficoltà di accesso alla rete distributiva per i produttori
geograficamente lontani dall’area di vendita, data l’elevata deperibilità del
prodotto.
Da ultimo, si è assistito ad alcune significative modifiche nel mercato di
produzione del latte fresco. In primo luogo, le centrali municipalizzate
hanno subito un progressivo deterioramento delle condizioni economiche,
con conseguente guadagno di quote di mercato da parte di privati. In
secondo luogo, il mercato nazionale deve ormai fare i conti con la
concorrenza proveniente dall’estero. Forti sono stati, dunque, negli ultimi
anni, i fenomeni di acquisizione da parte delle maggiori imprese operanti
nel settore del latte, sia di aziende operanti nel settore del latte fresco, che di
quello UHT, con conseguente tendenza all’aumento della concentrazione in
entrambi i mercati.
L’Autorità garante giudica positivamente la ristrutturazione del settore
in oggetto, a seguito del processo di privatizzazione e deregolamentazione
in atto. La riduzione della frammentazione produttiva può senza dubbio
rappresentare un elemento positivo per lo sviluppo di un mercato efficiente,
purché sia mantenuto un effettivo pluralismo dei soggetti economici
coinvolti.
Gli interventi dell’Autorità garante nel settore del latte fresco sono stati
rivolti per lo più alla verifica della liceità delle operazioni di
concentrazione.
176
Tra gli altri interventi dell’Autorità nel settore del latte, si segnalano due
istruttorie (1999 e 2005) relative al settore del latte artificiale per l’infanzia.
La prima, avviata nel 1999, traeva origine da una denuncia effettuata da
un’associazione di tutela dei consumatori, nella quale si segnalava la
presenza di una presunta intesa tra alcuni produttori di latte artificiale per
neonati, volta ad impedire l’accesso al mercato da parte di altri concorrenti,
a limitare l’utilizzo del canale distributivo diverso da quello farmaceutico e
a mantenere un elevato livello dei prezzi sul mercato nazionale.
L’Autorità ha comminato una sanzione elevata alle imprese coinvolte in
tale intesa, avendo verificato la limitazione del canale distributivo alle sole
farmacie, le quali vendevano il prodotto al prezzo “consigliato” dal
produttore, con conseguente lesione degli interessi dei consumatori costretti
ad acquistare il prodotto ad un prezzo molto alto.
Nel 2005 l’Autorità ha concluso una seconda istruttoria nei confronti di
alcune imprese di produzione e commercializzazione del latte per
l’infanzia, accertando una violazione dell’art. 81 Trattato CE. L’istruttoria
era stata avviata a seguito di una forte persistenza di differenza di prezzo
del prodotto in questione sul mercato italiano rispetto agli altri Paesi
europei, del livello estremamente limitato di vendite attraverso il canale
della grande distribuzione, e della totale assenza di importazioni parallele
dall’estero.
L’Autorità ha verificato la presenza di una prolungata concentrazione tra
imprese che ha comportato una uniformità di comportamento sia nella
fissazione del prezzo, mantenuto più alto rispetto ai livelli di prezzo negli
altri Paesi europei, che nella scelta del canale distributivo unico,
comminando, pertanto, una sanzione per violazione dell’art. 81 Trattato CE.
L’indagine conoscitiva nel settore bieticolo-saccarifero343 ha messo in
343
Provvedimento n. 7432 (IC 16), pubblicato sul bollettino AGCM nn. 29-30/1999.
177
luce le specificità di tale filiera, regolata da norme europee e nazionali
articolate e stringenti e caratterizzata da un forte coordinamento delle
attività sia in orizzontale sia in verticale.
In particolare, l’Autorità ha ricevuto una serie di denunce da parte degli
agricoltori e da parte delle industrie sementiere. I primi lamentavano una
violazione del diritto del coltivatore ad effettuare autonomamente la scelta
varietale oltre alla limitazione della libertà dello stesso di contrattare
direttamente con le industrie sementiere l’acquisto dei propri mezzi di
produzione. A loro volta le industrie sementiere denunciavano all’Autorità
una forte restrizione della libertà di accesso al mercato, a seguito
dell’impossibilità di distribuire i propri prodotti direttamente agli
utilizzatori.
La filiera dello zucchero, infatti, è caratterizzata da un robusto
coordinamento di tipo orizzontale, per il ruolo svolto dalle associazioni
agricole di categoria, che raccolgono la totalità dei coltivatori di
barbabietola. Queste stipulano accordi interprofessionali con le società di
trasformazione, aventi ad oggetto le condizioni di consegna e di vendita
delle barbabietole, i criteri di vendita e distribuzione delle sementi (prezzo
del seme, vincolo per i coltivatori ad approvvigionarsi esclusivamente
presso punti vendita individuati dalle società saccarifere).
Al coordinamento di carattere orizzontale, si aggiunge il fenomeno
dell’integrazione verticale, che coinvolge l’industria saccarifera, l’industria
delle sementi e l’attività di coltivazione della barbabietola.
L’indagine conoscitiva ha messo in luce una forte contrazione delle
dinamiche concorrenziali nel settore dovuta, in primis, ai diversi ordini di
norme, europee e nazionali, che la regolano e lasciano margini molto ridotti
all’autonomia imprenditoriale.
Per il settore dello zucchero è istituita una OCM strutturata in modo tale
da tutelare il comparto dalla concorrenza esterna, attraverso la fissazione di
178
un prezzo di sostegno garantito e un sistema di tasse all’importazione e
premi all’esportazione. Questo settore ha visto, tra i primi, l’introduzione
di un sistema di quote di produzione, per far fronte alle eccedenze
quantitative che lo caratterizzavano.
Una strutturazione di questo tipo lascia limitati spazi di applicazione
della normativa antitrust; non per questo, però, l’Autorità non individua
ancora dei possibili margini di intervento. In primo luogo, l’Autorità
analizza il modello di integrazione verticale tra gli operatori del settore, che
può strutturarsi in un modello di integrazione di tipo societario tra imprese
agricole e imprese di trasformazione che realizzi una perfetta identità di
interessi dei due soggetti economici, oppure può limitarsi ad una
integrazione di tipo contrattuale, che lasci inalterata l’autonomia
imprenditoriale delle due parti344.
L’esperienza nazionale nella filiera bieticolo-saccarifera è basata
sull’utilizzo di sedi stabili di contrattazione e coordinamento tra l’insieme
delle imprese saccarifere e l’insieme delle organizzazioni rappresentative
degli agricoltori di barbabietola, determinando una completa uniformità
delle condizioni di acquisto per le imprese di trasformazione, a tutto
svantaggio della competitività. L’Autorità garante propone, invece, un
modello di integrazione verticale alternativo, caratterizzato dalla stipula di
accordi interprofessionali singoli, ovvero tra ciascuna impresa di
trasformazione e ciascuna impresa agricola o con le organizzazioni
rappresentative delle stesse, in modo da favorire la competitività nelle
condizioni di acquisto e nell’organizzazione della consegna della materia
prima tra gli zuccherifici.
L’Autorità esprime, allo stesso modo, forti perplessità anche sul sistema
344
Sulla distinzione tra il fenomeno dell’integrazione verticale e della c.d. quasi
integrazione, che dà luogo al fenomeno dei contratti di integrazione verticale, si rinvia ad uno degli
ultimi saggi in materia di J ANNARELLI, Cooperazione e conflitto nel sistema agroalimentare, in
Riv. dir. agr., 2008, I, p. 328 ss.
179
di distribuzione del seme, confermando le preoccupazioni espresse sia dalle
imprese agricole che dalle industrie sementiere.
L’analisi svolta dall’Autorità permette di svolgere qualche breve
considerazione sul ruolo che in un’economia moderna ricoprono i contratti
di integrazione verticale in agricoltura e sulla quasi totale mancanza di
attenzione su tale fenomeno da parte del legislatore italiano. L’integrazione
verticale per contratto consente in primo luogo ai produttori agricoli di
assicurarsi la vendita del prodotto a stagione conclusa; agli acquirenti della
materia prima di assicurarsi l’approvvigionamento della stessa, secondo le
qualità predeterminate nel contratto e nei tempi e nei modi di consegna
stabiliti dalle parti contrattuali; assicura al consumatore elevati standards
qualitativi ad un prezzo ridotto; e, in ultima analisi, rappresenta uno
strumento di razionalizzazione dell’intera filiera agroalimentare.
I principali problemi riscontrati dalla dottrina che si è occupata di
analizzare nello specifico i contratti di integrazione in agricoltura attengono
alla mancanza di chiarezza delle clausole contrattuali, spesso complesse e
contraddittorie; allo squilibrio del potere contrattuale delle parti che
comporta l’impossibilità per il produttore agricolo di intervenire sul
contenuto dei contratti già predisposti dall’altra parte; alla previsione
unilaterale del metodo di calcolo del prezzo da corrispondere al produttore;
all’allocazione dei rischi e delle responsabilità in capo al solo produttore
agricolo345.
Da tempo viene auspicato uno specifico intervento legislativo in
materia, proprio per far fronte ai problemi attinenti alla formazione del
345
I contributi più numerosi in materia si riscontrano nella letteratura statunitense, da
tempo attenta alle problematiche contrattuali legate all’integrazione verticale in agricoltura. Tra gli
altri, MILLER, Contracting in agricolture: potential problems, in Drake Journal of Agricultural
Law, 2003, p. 57; HAMILTON, Broiler contracting in the United States – A current contract
analysis addressing legal issues and grower concerns, ivi, 2002, p. 43; O’BRIEN, Policy
approaches to address problems associated with consolidation and vertical integration in
agriculture, ivi, 2004, p. 33 ss; ID., Development in horizontal consolidation and vertical
integration, in www.nationalaglawcenter.org, 2005.
180
contratto, in modo da favorire la chiarezza e l’equilibrio nelle relazioni
contrattuali346.
La terza indagine conoscitiva si è concentrata sulla verifica della
corretta trasmissione dei prezzi lungo la catena distributiva alimentare347,
prendendo come archetipo la filiera distributiva dell’ortofrutta. Essa è
caratterizzata dalla presenza di numerosi “micro mercati” per ogni tipo di
prodotto, spesso molto differenti sia per varietà che per numero degli
operatori presenti nelle varie fasi della filiera. Ad ogni modo, l’eccessiva
lunghezza della catena distributiva accomuna i vari mercati di produzione;
dunque l’Autorità rileva che, al fine di accorciare la filiera, è necessaria una
concentrazione degli operatori posti a monte e a valle della stessa, e la
riduzione degli intermediari, laddove la specificità del prodotto lo consenta,
a vantaggio della grande distribuzione organizzata348.
Proprio per fronteggiare tali problematiche, la normativa europea, dagli
inizi della politica agricola comune, e successivamente quella nazionale,
hanno previsto lo strumento delle organizzazioni dei produttori per
incentivare la concentrazione dell’offerta e potenziare il ruolo dei
produttori349. L’Autorità rileva, però, che la normativa nazionale relativa
346
JANNARELLI, Cooperazione e conflitto nel sistema agro-alimentare, cit., con
particolare attenzione al raffronto con altre esperienze legislative più attente al fenomeno
dell’integrazione verticale in agricoltura; ID., I contratti dall’impresa agricola all’industria di
trasformazione. Problemi e prospettive dell’esperienza italiana, in Riv. dir. alimentare, aprilegiugno 2008, n. 2.
347
IC/28, provvedimento di apertura 14327, pubblicato sul sito internet dell’AGCM, nel
bollettino n. 23/2005.
348
In un recente saggio sulle relazioni tra industria alimentare e GDO, si analizzano una
serie di interventi da parte di autorità nazionali che sono intervenute sul processo di
concentrazione delle catene della GDO, verificando in concreto la reale efficienza della GDO per
il consumatore finale (DI VIA e MARCIANO, Le relazioni tra industria alimentare e GDO tra tutela
della concorrenza e contemperamento di interessi economici, in Riv. dir. alimentare, lugliosettembre 2008, n. 3).
349
In un recente contributo sulle organizzazioni di produttori ortofrutticoli, J ANNARELLI,
Organizzazioni di produttori ortofrutticoli e loro associazioni dopo la recente riforma comunitaria
del 2007: prime riflessioni, in Riv. dir. agr., 2008, I, p. 25, ricorda che le peculiarità della specifica
esperienza nazionale, caratterizzata da una soglia di aggregazione minima tra produttori ancora
troppo bassa, non permettono alle strutture associative agricole di tenere il passo con l’apertura dei
mercati e, dunque, con un efficiente sistema concorrenziale.
181
alle
organizzazioni
di
produttori
concede
ampio
spazio
alla
programmazione della produzione sia quantitativa che qualitativa, al fine di
adeguarla alla domanda, ma ciò conduce, ad opinione dell’Autorità, ad una
ingiustificata restrizione della concorrenza.
A conclusione della disamina sugli interventi dell’Autorità Garante della
Concorrenza
nell’industria
alimentare,
si
segnala
il
recentissimo
provvedimento di autorizzazione condizionato all’acquisizione del ramo di
azienda Simmenthal (Gruppo Kraft) da parte del Gruppo Bolton (marchio
Manzotin).
Ai sensi della delibera dell’Agcm a conclusione dell’adunanza del 23
ottobre 2012 «l’operazione comunicata, in quanto comporta l’acquisizione
del controllo esclusivo di un’impresa, costituisce una concentrazione ai
sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera b), della legge n. 287/90» e rientra
nell’ambito di competenza dell’Autorità italiana350.
Il provvedimento segue l’avvio dell’istruttoria per determinate se
l’operazione comportasse una riduzione sostanziale e durevole della
concorrenza,
in
particolare
nel
mercato
della
produzione
e
commercializzazione delle conserve di carne di bovino. Secondo l’Antitrust
l’operazione, che si configura come l’acquisizione dell’operatore leader di
mercato, da parte di uno degli unici due operatori a marchio noto attivi nel
settore e dotati di capacità produttiva, è suscettibile di produrre un impatto
diretto sul contesto competitivo nei mercati. Si verificherebbe, infatti, una
significativa sovrapposizione orizzontale tra le parti (con una quota non
inferiore all’80% del valore delle vendite), al quale si aggiungerebbe un
350
Punto 4 della delibera, che prevede che l’operazioni rientri «nell’ambito di
applicazione della legge n. 287/90, non ricorrendo le condizioni di cui all’articolo 1 del
Regolamento CE n. 139/04, ed è soggetta all’obbligo di comunicazione preventiva disposto
dall’articolo 16, comma 1, della medesima legge, in quanto sia il fatturato totale realizzato
nell’ultimo esercizio a livello nazionale dall’insieme delle imprese interessate è stato superiore a
474 milioni di euro, sia il fatturato totale realizzato nell’ultimo esercizio a livello nazionale
dall’impresa di cui è prevista l’acquisizione è stato superiore a 47 milioni di euro».
182
aumento del potere negoziale sia nei confronti della grande distribuzione
(lato domanda) sia nella fase di approvvigionamento della materia prima
con un concreto vantaggio competitivo rispetto agli altri concorrenti, oltre
al rischio di un innalzamento dei prezzi non solo dei due marchi, ma di tutte
le conserve a base di carne di bovino.
L’Antitrust, nella riunione del 5 dicembre 2012, ha autorizzato
l’operazione, a condizione che Bolton ceda il ramo d’azienda Manzotin ad
un soggetto terzo che sia in grado di disporre di idonea capacità produttiva
autonoma all’atto della vendita. L’asset da cedere sarà composto dai diritti
di proprietà intellettuale
sul marchio, dal contratto di produzione
attualmente esistente con INALCA (marchio Montana), dall’eventuale
magazzino e da tutte le altre informazioni commerciali relative al marchio.
Bolton dovrà, inoltre, condurre, per un periodo, una negoziazione separata
del marchio Simmenthal rispetto agli altri marchi di Bolton in settori
contigui (tonno), così da ridimensionare il potere negoziale nei confronti
della grande distribuzione.
Secondo l’Authority, queste misure, presentate da Bolton e rese
vincolanti dalla delibera del Collegio, sono in grado di eliminare gli effetti
pregiudizievoli della concorrenza che sarebbero altrimenti derivati
dall’operazione, in particolare nel mercato delle conserve di carne bovina,
fortemente concentrato e asimmetrico, con la presenza di un marchio leader
storico Simmenthal percepito dai consumatori come il prodotto di qualità
superiore, e con una scarsa concorrenza effettiva e significative barriere
all’ingresso di nuovi competitori economici.
L’operazione originaria avrebbe creato un soggetto che, per quote di
mercato (con i marchi Simmenthal e Manzotin avrebbe detenuto una quota
di mercato tra il 60% e l’80%, a seconda dei canali di distribuzione) e
differenza rispetto ai concorrenti, sarebbe stato in grado di porre in essere
politiche di prezzo indipendenti da questi ultimi, dai clienti e in ultima
183
analisi dai consumatori finali in presenza di scarsi vincoli all’esercizio del
potere di mercato.
184
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