La disciplina della concorrenza per il settore agricolo
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La disciplina della concorrenza per il settore agricolo
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO ITALIANO E COMPARATO CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO AGRARIO, ALIMENTARE E AMBIENTALE, NAZIONALE E COMUNITARIO CICLO XXIV TITOLO DELLA TESI La disciplina della concorrenza per il settore agricolo TUTOR DOTTORANDO Chiar.mo Prof. ETTORE CASADEI Dott.ssa CINZIA BENATTI COORDINATORE Chiar.mo Prof. FRANCESCO ADORNATO ANNO 2013 INDICE-SOMMARIO INTRODUZIONE 1. L’importanza della concorrenza per lo sviluppo economico in generale .................................................................................................. p. 1 2. Il rilievo assunto dalla concorrenza come fondamentale scelta politica nei Trattati europei ................................................................... p.11 3. La concorrenza nei rapporti internazionali, in particolare il raffronto tra il modello statunitense e il modello europeo .................. p.16 CAPITOLO PRIMO LE FONTI 1. Le regole di concorrenza nel mercato europeo: gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea ................. p. 26 2. Le peculiarità della disciplina della concorrenza per il settore agrario nell’ordinamento europeo: l’art. 42 TFUE ............................ p. 61 3. Dal primo provvedimento generale, il Regolamento (CEE) n. 26/1962 al Regolamento (CE) n. 1234/2007 .......................................... p.76 3.1 Applicabilità e procedura di accertamento .............................. p. 80 I 3.2 Gli aiuti di Stato (considerazioni generali) .............................. p.83 4. La disciplina della concorrenza e il sistema delle organizzazioni dei produttori agricoli............................................................... p.100 5. La disciplina della concorrenza e la ripartizione di competenze tra Commissione europea e Autorità antitrust nazionali ............ p. 111 6. La concorrenza nell’ordinamento interno: il nuovo art. 117 Cost. e la competenza esclusiva dello Stato, con particolare riguardo al settore agricolo ......................................................................... p. 119 CAPITOLO SECONDO LA DISCIPLINA DELLA CONCORRENZA NEL DIRITTO AGRARIO DERIVATO EUROPEO 1. I profili di deroga alle regole generali: l’organizzazione nazionale di mercato ................................................................ p.128 2. Segue: gli accordi interprofessionali .................................... p.131 3. Le intese tra produttori agricoli e loro associazioni ............ p. 142 4. Il divieto di abuso di posizione dominante ........................... p. 148 CAPITOLO TERZO DISCIPLINA ANTITRUST NAZIONALE E SETTORE AGRICOLO 1. La legge n. 287 del 1990 e i successivi interventi normativi: carenza di discipline specifiche per il settore agricolo e competenze dell’Autorità garante della concorrenza .......... p. 152 II 2. Normativa europea e diritto interno antitrust in relazione alle intese nel settore agricolo: il caso dei Consorzi di tutela dei prodotti tipici ............................................................................. p.159 3. Gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel settore agroalimentare: istruttorie e indagini conoscitive .................................................................................. p.173 ELENCO DELLE OPERE CONSULTATE ....................................................... p.185 III INTRODUZIONE 1. L’importanza della concorrenza per lo sviluppo economico in generale Premessa fondamentale per una disamina sull’importanza della disciplina della concorrenza e del suo ruolo centrale nel mercato dei prodotti agricoli, e, più in generale, nell’intero mercato unico europeo, è il rimando ai due orientamenti di pensiero sulla natura del mercato 1, che ne rappresentano il fondamento concettuale. Da un lato vi è la dottrina che intende il mercato come un ordine spontaneo di regole proprie2; dall’altro i sostenitori del mercato come un ordine edificato dalla legge3. Come osserva illustre dottrina, 1 Così si veda l’interessante introduzione relativa al mercato dei prodotti agricoli contenuta in GERMANÒ – ROOK BASILE, Diritto agrario, in Trattato di diritto privato dell’Unione Europea, diretto da AJANI-BENACCHIO,Torino, 2006, p. 189. 2 La paternità dell’orientamento di pensiero del mercato come realtà naturale è attribuita a ADAM SMITH, Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, trad. it., Torino, 1950. Il riferimento al mercato quale realtà naturale è contenuto anche, con differenti sfumature, in: IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, che richiama H AYEK, Law, Legislation and Liberty: a New Statement of the Liberal Principles of Justice and Political Economy, London, 1982 (tradotto in italiano in Legge, legislazione e libertà, Milano, 1994); a quest’ultimo rimanda anche ROSSI, Intervento, in AA.VV, Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari 1999, p. 67, il quale rinvia a COASE, Note al problema del costo sociale, in Impresa, mercato, diritto, Bologna, 1955; LIBONATI, Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 112; BORTOLOZZI, Forma e mercato. Le regole, le cose, gli atti, Torino, 2000, p. 25; LIBERTINI, Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 99. 3 È l’altro orientamento di pensiero, secondo il quale il mercato si connoterebbe in senso politico-giuridico, a motivo del fatto che il diritto dà forma ai regimi di produzione e circolazione dei beni e i mercati non sono altro che «statuti di norme»; questo indirizzo è ben espresso da: IRTI, Introduzione, nt. 4, p. XV, in L’ordine giuridico del mercato, cit.; LIPARI, Il mercato: attività privata e regole giuridiche, in Agricoltura e diritto. Scritti in onore di Emilio Romagnoli, Milano, 2000, p. 37; MERUSI, Le leggi del mercato. Innovazione comunitaria e autarchia nazionale, Bologna, 2002. Una rappresentazione semplificata di questi concetti è tratteggiata da I UDICA, Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 51, il quale raffigura il mercato con le regole del gioco del calcio sostenendo che «se uno prende a calci una palla, costui compie nella sua solitudine l’atto isolato di prendere a calci una palla: ma se uno prende a calci una palla in un contesto predeterminato, in un campo di tot metri, con un certo numero di giocatori, secondo determinate 1 «l’orientamento di pensiero a dir così naturalistico, per il quale il mercato è una realtà naturale governata dalle leggi economiche, realtà che preesiste alle leggi giuridiche che concorrono semplicemente a modellarne la funzionalità, in sostanza parte dalla premessa che l’economia sta prima ed il diritto viene dopo, nel senso che al diritto è dato solo di rispecchiare e giustificare rapporti economici già dati»4. Questo, tuttavia, non impedisce che tra economia «naturale» e diritto vi sia una correlazione, in quanto si rileva che le economie naturali sono popolate di istituti giuridici5. In altre parole, la legge «naturale» del mercato «non nega affatto che il mercato sia il risultato di comportamenti giuridicamente regolati, vincolanti per norma; in quanto una regolazione vincolante di quei comportamenti – inerenti ai vari rapporti di scambio – in realtà viene presupposta, atteso che altrimenti un mercato obiettivamente affidabile non si avrebbe»6; in questo modo si eviterebbe che il mercato sia «un vuoto, riempito solo dalle azioni dei singoli che sono mossi dal loro tornaconto»7, oppure un sistema sociale «in cui la quantità e la qualità dei beni prodotti, nonché il sistema dei prezzi, sono il frutto dell’interazione, indipendente, degli individui e delle imprese che perseguono il loro privato interesse»8. L’altra posizione della dottrina in riferimento al mercato, da intendersi in un’accezione politico-giuridica, si fonda sulla premessa che il mercato non è un istituto originario e spontaneo, ma prende forma tramite regole, ecco allora che sta giocando a football. Sono le regole che distinguono, che qualificano il football dal mero fatto di tirare calci ad una palla […] Allora sono le regole che (non creano, ma) qualificano il tirare calci alla palla, sono le regole che (non creano il traffico delle merci, ma) fanno del mero traffico di merci un “mercato”, e in questo senso “creano” formalmente un vero e proprio mercato». 4 Così IRTI, Introduzione, cit., p. VIII. 5 GERMANÒ – ROOK BASILE, op. cit, p. 190. 6 LIBONATI, Recensione a Irti: L’ordine giuridico del mercato, in Europa e dir. priv., 1998, p. 1219, riportata in IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 115. 7 SYLOS LABINI, La crisi italiana, Roma-Bari, 1995, p. 21. 8 PADOA-SCHIOPPA, Il governo dell’economia, Bologna, 1977, p. 11. 2 una decisione politica che si traduce in leggi e regolamenti9. In altre parole, il mercato non è individuato, ma è costituito dal diritto, rappresentato dalla «mano visibile» della legge10; il diritto ha il ruolo di rappresentare gli eventi esterni come fatti giuridici, mentre il mercato non si configura più come locus naturalis, ma diventa locus artificialis, composto dalle leggi che lo regolano. Risulta del tutto evidente come in questa seconda accezione il mercato sia individuato più propriamente secondo l’ottica del diritto, come luogo di incontro e di intersecazione tra la sfera giuridica e quella economica, caratterizzato da complesse interconnessioni tra diritto ed economia; dal nesso così intenso tra le due sfere germina una articolata istituzione storico-economico-sociale caratterizzata anche da norme di diritto11. Gli studiosi affermano convintamente che l’economia di mercato sia un meccanismo di carattere economico con rilievo giuridico, così come lo è la libera concorrenza, perché essi non si trovano «in natura» e dipendono dalle scelte di chi ha il potere di esprimere la «decisione politica di sistema»12, optando tra una visione dell’economia in un’ottica dirigistica e un mercato aperto con uno spazio economico senza frontiere. Mercato e concorrenza si configurano quali istituti giuridici, che designano, di volta in volta, insiemi di norme, le quali «disciplinano la capacità e la responsabilità dei soggetti, definiscono la commerciabilità dei beni, reprimono intese e abusi lesivi della concorrenza, tutelano categorie di consumatori, delineano o vietano tipi di negozi»13. Dunque, all’interno del mercato unico europeo, i principi 9 SCHLESINGER, Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 30. IUDICA, Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico, cit., p. 47. 11 FRANCESCHELLI, Il mercato in senso giuridico, in Giur. comm., 1979, p. 501. 12 IRTI, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 23. 13 IRTI, idem, p. 26. 10 3 dell’economia di mercato e della libera concorrenza modellano insiemi di norme14; e come il mercato ha influenzato il legislatore nelle sue determinazioni, così i processi economici sono stati condizionati da regole giuridiche conseguenti alle scelte politiche compiute dagli organi di governo europei. La libertà di iniziativa economica, infatti, che spetta a chiunque, pretende che l’autorità pubblica sia indifferente al suo svolgimento, tranne per ciò che concerne l’insieme di regole dirette a rafforzarla, non come valore indipendente da tutto, ma come valore da equilibrare nel contesto di altri valori anche non economici, sulla premessa che l’interesse economico non esaurisce gli interessi umani tutelabili15. Lo sforzo verso un bilanciamento di valori, finanche notevolmente eterogenei e distanti tra loro, è stato perseguito anche ad un livello diverso da quello del mercato europeo, vale a dire nel mercato mondiale: l’art. XX del General Agreement on Tariffs and Trade16, ad esempio, che richiama da 14 IRTI, op. ult. cit.; LIPARI, Il mercato: attività privata e regole giuridiche, cit., p. 37. LIBONATI, Intervento, cit., p. 124. 16 Il General Agreement on Tariffs and Trade (meglio conosciuto come GATT) è un accordo internazionale, firmato il 30 ottobre 1947 a Ginevra (Svizzera), per stabilire le basi di un sistema multilaterale di relazioni commerciali con lo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale. L’art. XX del GATT stabilisce: «Subject to the requirement that such measures are not applied in a manner which would constitute a means of arbitrary or unjustifiable discrimination between countries where the same conditions prevail, or a disguised restriction on international trade, nothing in this Agreement shall be construed to prevent the adoption or enforcement by any contracting party of measures: 15 (a) necessary to protect public morals; (b) necessary to protect human, animal or plant life or health; (c) relating to the importations or exportations of gold or silver; (d) necessary to secure compliance with laws or regulations which are not inconsistent with the provisions of this Agreement, including those relating to customs enforcement, the enforcement of monopolies operated under paragraph 4 of Article II and Article XVII, the protection of patents, trade marks and copyrights, and the prevention of deceptive practices; (e) relating to the products of prison labour; (f) imposed for the protection of national treasures of artistic, historic or archaeological value; (g) relating to the conservation of exhaustible natural resources if such measures are made effective in conjunction with restrictions on domestic production or consumption; (h) undertaken in pursuance of obligations under any intergovernmental commodity agreement which conforms to criteria submitted to the contracting parties and not disapproved by them or which is itself so submitted and not so disapproved; 4 vicino la materia qui esaminata, legittima l’adozione di regole aventi effetti restrittivi sugli scambi dirette, tra gli altri obiettivi, alla protezione degli essere umani e delle risorse naturali esauribili, assegnando all’organizzazione del WTO anche la finalità non economica della tutela della salute dell’uomo e della protezione dell’ambiente17. Ebbene, nel mercato retto da meccanismi concorrenziali assumono risalto considerazioni non solo di carattere economico; un esempio è fornito dalla Costituzione europea18 che, seppure mai entrata in vigore, ha sancito i diritti a condizioni eque di lavoro, alla salute, all’ambiente, alla tutela del consumatore: si potrebbe, allora, concludere che ciò «conduce necessariamente ad una conformazione del mercato, in cui l’equità e la sostenibilità non possono che essere limiti interni della libertà di concorrenza»19. Dal momento che la «finalità della concorrenza è quella di assicurare il trionfo del più degno economicamente», ne deriva che la competizione fra imprenditori diventa il fulcro attorno a cui ruota l’ordinamento al fine di promuovere il progresso economico20: presenta queste caratteristiche (i) involving restrictions on exports of domestic materials necessary to ensure essential quantities of such materials to a domestic processing industry during periods when the domestic price of such materials is held below the world price as part of a governmental stabilization plan; Provided that such restrictions shall not operate to increase the exports of or the protection afforded to such domestic industry, and shall not depart from the provisions of this Agreement relating to non-discrimination; (j) essential to the acquisition or distribution of products in general or local short supply; Provided that any such measures shall be consistent with the principle that all contracting parties are entitled to an equitable share of the international supply of such products, and that any such measures, which are inconsistent with the other provisions of the Agreement shall be discontinued as soon as the conditions giving rise to them have ceased to exist. The contracting parties shall review the need for this sub-paragraph not later than 30 June 1960». 17 GERMANÒ - ROOK BASILE, cit., p. 197. 18 La Costituzione europea, formalmente Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, è stato un progetto di revisione dei trattati fondativi dell’Unione europea, redatto nel 2003 dalla Convenzione Europea e definitivamente abbandonato nel 2009 a seguito delle mancate ratifiche di alcuni Stati membri. 19 ROOK BASILE, La sicurezza alimentare ed il principio di libera concorrenza, in Riv. dir. agr., 2003, I, p. 313. 20 ASCARELLI, Teoria della concorrenza e interesse del consumatore, in Saggi di diritto 5 l’economia di mercato, ovvero quel sistema economico in cui la libertà di concorrenza si eleva a valore fondativo e, quindi, «costituzionale» dell’ordinamento comunitario21. D’altro canto, il modello liberista europeo, adottato da tempo, non è mai entrato in contrasto con i modelli costituzionali di economia mista propri dei singoli Paesi membri. Anzi, questi hanno infuso nel modello economico europeo la propria esperienza interventista, facilitando l’adozione di soluzioni intermedie, ad esempio in materia di intese, laddove le esenzioni individuali sono state legittimate sulla base del conseguimento di benefici di carattere sociale. La Comunità europea, oggi Unione europea, infatti, ha accolto pienamente il modello liberista, contemperandolo allo stesso tempo con una politica sociale rivolta a conseguire obiettivi non solamente economici. Un esempio vibrante di ciò è rappresentato dalle politiche ambientali e di tutela dei consumatori, sia sotto il profilo della salute sia sotto quello dell’informazione, che hanno dato luogo ad una serie di interventi di forte impatto sul regime liberista della concorrenza22. In materia di agricoltura, invece, che costituisce l’oggetto della presente disamina, l’approccio delle istituzioni europee è stato caratterizzato da numerosi e rilevanti interventi programmatici, che hanno delineato gli obiettivi da perseguire e adottato misure sia di carattere commerciale, Milano, 1955, p. 116. 21 La libertà di concorrenza è garantita già nell’art. 3 del Trattato CEE, cui è riconosciuto il carattere di norma immediatamente applicabile da parte della Corte di giustizia (sentenza della Corte di giustizia, del 21 febbraio 1973, in causa C-6/72, Continental Can c. Commissione, in Raccolta della giurisprudenza della Corte di giustizia (in seguito solo Raccolta) 1973, la quale ha più volte ribadito il divieto per gli Stati membri di porre in essere qualsiasi misura rivolta a privare le regole di concorrenza del loro effetto utile (sentenza della Corte, del 13 febbraio 1969, in causa C-13/68, Wilhelm). Sulla concorrenza nell’ordinamento europeo la letteratura è molto vasta; a titolo esemplificativo si indicano: FRIGNANI-WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella Comunità europea, Torino, 1996; VAN BAEL-BELLIS, Competition law of the European Community, The Hague, 2005; VAN BAEL-BELLIS, Il Diritto Comunitario della concorrenza, Torino, 2009. 22 GERMANÒ - ROOK BASILE, Diritto agrario, in Trattato di diritto privato dell’Unione Europea, cit., p. 193. 6 incentivante, ma anche di stampo coercitivo, spesso accompagnate da consistenti sanzioni. D’altronde, anche la globalizzazione dei mercati, come processo dinamico tuttora in corso, richiede l’elaborazione e la fissazione di regole nuove, soprattutto per quanto riguarda la disciplina della concorrenza23. La dottrina più attenta osserva, così, che nel comparto agricolo «il conflitto tra una strutturazione del sistema normativo che veda la disciplina della concorrenza rilevare quale variabile dipendente dagli obiettivi di politica agricola […] ed uno scenario che tende a porre la concorrenza al centro di un nuovo ordine internazionale in posizione di autonomia […] non può certo ritenersi eliminato in considerazione del semplice, per quanto oltremodo significativo, fatto che nella definizione stessa della nuova PAC, la tutela della concorrenza»24 è uno dei princìpi che informano di sé il nuovo assetto della politica agricola comunitaria. Nel settore agricolo, infatti, se anche la tutela della concorrenza è subordinata alla realizzazione di altri fini propri della politica agricola comune, come si ricava dal combinato disposto degli art. 38 (ex art. 32 del TCE) e art. 42 TFUE25 (ex art. 36 del TCE), è pur vero che le norme contenute negli artt. 101 e 102 TFUE risultano “immediatamente al servizio 23 Anche il tema della concorrenza nella sua dimensione internazionale è stata oggetto di autorevoli pubblicazioni, tra cui si richiamano, tra le tante: T IZZANO, Quelques observations sur la coopération internationale en matière de concurrence, in Revue droit union eur., 2000, p. 75 ss.; GUZMAN, Is International Antitrust Possible?, in 73 New York Univ. L.R., 1998, p. 1501 ss. 24 JANNARELLI, La concorrenza nel sistema agro-alimentare e la globalizzazione dei mercati, in Dir. giur. agr. e dell’ambiente, 2000, 7, p. 433. 25 Una volta per tutte è essenziale ricordare che, con la recente entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, che modifica il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, ratificato in Italia con L. 8 agosto 2008, n. 130, in G.U.U.E. n. L 306 del 17 dicembre 2007, il Trattato Ce ha assunto la denominazione di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) ed è stato in più punti modificato, mentre gli articoli hanno avuto diversa numerazione (corrispondente del vecchio art. 81 TCE è ora l’art. 101 TFUE). In questa sede si manterranno, talvolta, i riferimenti normativi anteriori e i riferimenti al contesto comunitario, anziché a quello europeo, per fedeltà ai contenuti di sentenze o di contributi dottrinali oggetto di richiamo. 7 dei singoli”26, mentre gli obiettivi indicati nell’art. 38 richiedono l’attuazione da parte delle istituzioni europee. Se, in generale, la rimozione delle barriere doganali e protezionistiche ha avuto un ruolo di primaria importanza per la realizzazione del mercato comune e per l’applicazione di regole antitrust volte alla tutela della concorrenza, è anche vero che i progressi fatti hanno segnato un tendenziale spostamento dai comportamenti dei soggetti economici privati, destinati ad alterare la concorrenza nel mercato, agli interventi degli Stati emersi sotto forma di aiuti e sussidi alle imprese; sul piano normativo, significa che le violazioni tendono a spostarsi progressivamente dal campo di applicazione degli artt. 101 e 102 TFUE a quello degli artt. 107 e ss. Questo rilievo assume, peraltro, valore maggiore nel settore agricolo europeo, caratterizzato da un’articolazione più complessa, dove la realizzazione degli obiettivi indicati nell’art. 3 (ex art. 2 del TUE) non è affidata soltanto alla creazione di un mercato comune, attraverso la rimozione delle barriere doganali e l’eliminazione di sussidi e aiuti da parte degli Stati, vale a dire ad una politica di libera concorrenza; essa richiede anche l’instaurazione di una politica agricola comune. In ambito agricolo, quindi, l’applicazione della disciplina della concorrenza non opera come fine, bensì come mezzo per attuare le finalità del Trattato stesso27. La stretta interconnessione tra concorrenza e politica agricola è riconoscibile nell’ordinamento europeo se si considera che per la disciplina della concorrenza i meccanismi scelti vedono come protagonisti tanto la Corte di giustizia quanto la Commissione europea, connotandosi l’esperienza giuridica europea in maniera differente rispetto all’esperienza 26 JANNARELLI, op. cit., p. 436. JANNARELLI, La disciplina sulla concorrenza applicabile all’agricoltura, in Diritto agrario e società industriale, 1993, II, p. 37. 27 8 nord-americana. Nella prima, infatti, la disciplina della concorrenza rappresenta una componente della più generale politica agricola delineata dall’organo politico, la Commissione; nel sistema nord-americano, invece, la disciplina antitrust vede un ruolo di primo piano di carattere repressivo nei giudici. La Commissione è tenuta a dialogare con la Corte di giustizia, ma è l’organo principalmente competente ad adottare provvedimenti di esenzione o a promuovere l’adozione di regolamenti tendenti ad agevolare intese orizzontali o verticali che risulterebbero contrastanti con la disciplina generale. Sotto questo profilo, dunque, il processo di globalizzazione in atto di cui si è detto, con la conseguente liberalizzazione dei mercati e l’affievolimento del protezionismo, incrina il modello europeo, riducendo gli spazi affidati alla Commissione e, di converso, accentuando il ruolo decentrato delle autorità antitrust nazionali nell’applicazione della normativa sulla concorrenza28. Ne deriva che la riduzione degli interventi pubblici in economia e del protezionismo favorisce l’emanciparsi della concorrenza dal ruolo ancillare rispetto alle altre politiche economiche, riducendo così le differenze rispetto al modello nord-americano. Di più, l’Unione europea non si limita ad assicurare la tutela della concorrenza, ma pone in essere anche una politica della concorrenza, del cui indirizzo e della cui attuazione è responsabile la Commissione29; la concorrenza, finisce, talvolta, per rappresentare un semplice mezzo nel perseguimento delle complessive finalità previste dal Trattato30: una 28 MAHER, Re-imagining the Story of European Competition Law, in Oxford J. Leg. Studies, 2000, p. 155 ss. 29 La Corte di giustizia ha espresso questo concetto nella sentenza del 28 febbraio 1991, in causa 234/89, Delimitis, in Raccolta, p. 991, successivamente ribadito anche dal Tribunale di primo grado nella sentenza del 18 settembre 1992, in causa 24/90, in Raccolta, II, p. 2223. 30 Sulla disciplina europea della concorrenza che si colloca in una posizione intermedia tra il modello formalistico della libertà negoziale e il modello che fonde insieme finalità politiche e sociali, si rinvia alle considerazioni di R ICOLFI, Antitrust, in ABRIANI, COTTINO e RICOLFI, Diritto industriale, in Tratt. dir. comm., diretto da COTTINO, II, Padova, 2001, p. 546 ss. 9 conferma di questo assunto può ricavarsi dalla stessa disciplina dell’art. 101, par. 3, TFUE che prevede la possibilità di esenzioni dall’applicazione delle regole sulla concorrenza. Così, nel settore agricolo, vale a dire in quello in cui più incisivamente la tutela della libertà di impresa economica convive con il perseguimento di finalità molto articolate e tra loro non facilmente coordinabili, può citarsi, paradigmaticamente, la soluzione proposta dalla Corte di giustizia nella pronuncia Jongeneel Kaas c. Paesi Bassi31. La questione riguardava norme stringenti introdotte nei Paesi Bassi per salvaguardare la qualità dei formaggi, in particolare, il divieto per i produttori di dedicarsi alla produzione di formaggi diversi da quelli stabiliti dalla legislazione nazionale. La Commissione, coinvolta al riguardo, aveva sostenuto che il divieto di produrre formaggi di tipo diverso, o aventi qualità inferiori a quelle fissate legislativamente, sarebbe stato in contrasto con la politica comunitaria volta ad ampliare il consumo dei formaggi anche al fine di ridurre le eccedenze presenti nella produzione del latte: tale politica avrebbe potuto ben esprimersi mediante l’ampliamento della gamma dei formaggi posti a disposizione dei consumatori. L’avvocato generale ha sostenuto che era insensato pensare di favorire la vendita del formaggio mediante la riduzione dei tipi di formaggio a disposizione dei consumatori. Ebbene, la Corte di giustizia, discostandosi dalle conclusioni della Commissione e dell’avvocato generale, ha ritenuto che alla luce della normativa in vigore, rappresentata dal regolamento CEE n. 804 del 196832, non è necessario «dare la preferenza all’aumento della domanda di prodotti 31 Sentenza della Corte di giustizia, del 7 febbraio 1984, in causa 237/82, Jongeneel Kaas B.V. c. Paesi Bassi e Stichting, in GUCE C 279 del 22.10.1982. 32 Regolamento (CEE) n. 804/68 del Consiglio, del 27 giugno 1968, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, in GUCE L 196 dell’8.8.68, p. 4. 10 caseari mediante l’ampliamento della gamma dei prodotti offerti, piuttosto che mediante il miglioramento della qualità di un numero limitato di prodotti, accolto dalla legislazione in esame». La diversa soluzione prospettata in vista del perseguimento del medesimo obiettivo (agevolare lo smercio e il consumo dei prodotti caseari) discende dal fatto che mentre la Commissione punta sull’incremento dell’offerta dei prodotti, la Corte si schiera dalla parte di chi punta sull’aumento della domanda dei consumatori verso prodotti qualitativamente selezionati. Le peculiarità del settore primario, dovute a ritmi di produzione diversi rispetto alle attività del settore secondario e terziario, vincolati a fattori biologici e meteorologici, climatici e ambientali, hanno indotto gli estensori del Trattato di Roma a dettare regole specifiche per l’agricoltura in materia di concorrenza; la specialità riservata al settore agricolo nell’ordinamento europeo riposa fondamentalmente sull’art. 42 TFUE (ex art. 36, ex art. 42 del Trattato di Roma), vale a dire, proprio sulla norma relativa all’applicabilità delle regole di concorrenza alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli. 2. Il rilievo assunto dalla concorrenza come fondamentale scelta politica nei Trattati europei Il sistema giuridico europeo è fondato sulla scelta liberista secondo la quale il mercato deve essere regolato in primis dall’automatico meccanismo della concorrenza, per il quale le imprese meno efficienti spariscono lasciando il posto alle migliori (art. 101 TFUE), ma facendo il possibile per evitare che questo processo conduca ad una eccessiva concentrazione dell’offerta, e cioè all’abuso di posizioni dominanti sul 11 mercato (art. 102), per evitare le quali sono stati adottati i provvedimenti per regolare le concentrazioni fra imprese al fine di impedire la formazione di imprese dominanti33; fin dall’inizio si vietarono accordi fra imprese, decisioni di associazioni di imprese e pratiche di imprese che avessero come finalità o risultato di impedire la concorrenza nel mercato comune (art. 101 TFUE). Si tratta di norme provviste di effetto diretto e dunque azionabili dal singolo dinanzi al giudice nazionale, nonché applicabili cumulativamente. Alle norme ricordate vanno aggiunte quelle introdotte dal Consiglio in virtù dell’art. 103 TFUE, in particolare il regolamento n. 1/200334, che contiene l’insieme delle disposizioni più rilevanti ai fini dell’attuazione dei principi di cui agli artt. 101 e 102 TFUE. Termini quali impresa, accordi, intese, adoperati nella normativa europea, non corrispondono alle nozioni tecniche proprie dei diritti nazionali. La nozione di impresa tende ad essere più ampia di quella adoperata dal nostro codice civile; nel diritto europeo si qualifica impresa ogni «unità economica dal punto di vista dell’oggetto dell’accordo in considerazione»35, e più precisamente ogni entità esercitante, con regolarità e continuità, attività economiche sul mercato, indipendentemente dal suo statuto giuridico, dalle modalità del suo funzionamento, dagli elementi organizzativi o aziendali, e perfino dallo scopo di lucro36. 33 Regolamento (CEE) n. 4064/89 relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese, poi sostituito dal Reg. (CE) n. 139/2004 del Consiglio del 20 gennaio 2004 («Regolamento comunitario sulle concentrazioni»). 34 Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato, in GUUE L 1 del 4 gennaio 2003. Tale regolamento ha sostituito il reg. n. 17/62 del Consiglio, del 6 febbraio 1962 (in GUCE n. 13 del 21 febbraio 1962), più volte modificato. 35 Sentenze della Corte di giustizia, del 31 ottobre 1974, in causa C-15/74, Sterling e della Corte di giustizia, del 16 marzo 2004, in causa C-264/01, AOK Bundesverband, commentata da DI COMITE, La nozione d’impresa nell’applicazione del diritto comunitario della concorrenza, in Giur. it., 2004, c. 2028. 36 Sentenza della Corte di giustizia, del 22 gennaio 2002, in causa C-218/00, Soc. Cisal, e sentenza del Tribunale di primo grado, del 4 marzo 2003, in causa T-319/99, Federación Nacional 12 Una conferma può rinvenirsi nel settore dell’agricoltura, dove, per espressa previsione regolamentare37, viene definito imprenditore «il singolo produttore agricolo, persona fisica o giuridica o associazione di persone fisiche o giuridiche, indipendentemente dallo statuto giuridico conferito secondo il diritto nazionale all’associazione e ai suoi membri»; allo stesso modo, viene definito agricoltore «una persona fisica o giuridica o associazione di persone fisiche o giuridiche, indipendentemente dalla personalità giuridica conferita dal diritto nazionale all’associazione e ai suoi membri38, la cui azienda si trova nel territorio della Comunità, ai sensi dall’art. 299 del Trattato [ora, art. 349 TFUE] e che esercita un’attività agricola»39. Va messo, quindi, in evidenza come il soggetto rilevi, ai fini della disciplina europea della concorrenza, con riguardo alla attività, la quale è “economica” non per elementi intrinseci, ma per la sua capacità di incidere sul mercato. Dunque l’impresa non è un’entità giuridica, ma un’entità de Empresas, commentate da CERBO, Il principio di economicità nella nozione di impresa e nella pubblica amministrazione, in Foro it., 2003, IV, p. 331. Sulla nozione di impresa i contributi dottrinali sono numerosi, tra essi si segnalano: SCUDIERO, La nozione di impresa nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Foro it., 1994, IV, c. 113; MUNARI, Le regole di concorrenza nel sistema del Trattato, in Il diritto privato dell’Unione europea, diretto da Tizzano, Torino, 2000, II, p. 1149; D I VIA, Ancora sul principio di solidarietà e la nozione di impresa rilevante per il diritto comunitario della concorrenza, in Foro it., 1996, IV, c. 72. 37 Il riferimento è all’art. 1, par. 4, del Regolamento (CEE) n. 3508/92 del Consiglio del 27 novembre 1992, che istituisce un sistema integrato di gestione e di controllo di taluni regimi di aiuti comunitari, in GU L 355 del 5.12.1992. 38 Tra le sentenze che si sono pronunciate sull’argomento figura quella del Tribunale di primo grado, del 2 luglio 1992, in causa T-61/89, Dansk Pelsdyravlerforening, con riferimento ad una cooperativa agricola. Già nella sentenza del 28 febbraio 1978, in causa C-85/77, Società agricola S. Anna, la Corte di giustizia aveva affermato che non solo non era rintracciabile (all’epoca) nella normativa europea, ma nemmeno era utile, una nozione di azienda agricola «universalmente valida per l’intero settore delle disposizioni legislative e regolamentari concernenti la produzione agricola», sicché occorreva fare riferimento alle diverse nozioni contenute nelle legislazioni degli Stati membri. 39 Art. 2 del regolamento (CE) n. 1782/2003 del Consiglio del 29 settembre 2003, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, in GU L 270 del 21.10.2003, p. 1. Il regolamento è stato abrogato dal Regolamento (CE) n. 72/2009 del Consiglio del 19 gennaio 2009, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, in GUUE L 30 del 31.1.2009, p. 16, che ne ha ripreso le stesse definizioni. 13 economica40, data la diversità di formule nelle diverse legislazioni nazionali41. A voler limitare i richiami al settore agricolo, si considerino alcune decisioni della Commissione che hanno ritenuto accordi in violazione della concorrenza ai sensi dell’art. 85 TCE (ora art. 101 TFUE) lo statuto e i regolamenti di alcune associazioni autonome sorte in Inghilterra quali mercati a termine di materie prime (si pensi al London Grain Futures Market, al London Potato Futures Association Limited, al London Meat Future Exchange Limited)42. Ancora, nella sentenza Clair43 la Corte di Giustizia ha ritenuto che un accordo intervenuto nell’ambito di una organizzazione interprofessionale, ente di diritto pubblico, tra rappresentanti di viticultori da una parte e di commercianti dall’altra, nominati dalle pubbliche autorità su designazione delle organizzazioni di categoria, costituisse un accordo tra imprese ai sensi dell’art. 85 del Trattato, a nulla rilevando che esso avesse in seguito acquisito rilevanza erga omnes, diventando obbligatorio per tutti gli operatori economici, per effetto di una omologazione mediante decreto ministeriale. Alle regole dettate dall’art. 101 TFUE possono essere legittimamente sottratti la produzione e il commercio dei prodotti agricoli come individuati 40 Sentenze della Corte del 23 aprile 1991, in causa C-41/90, Höfner; del 17 febbraio 1993, in causa C-159-160/91, Poucet; del 19 gennaio 1994, in causa C-364/92, Sat Fluggesellscaft; del 16 novembre 1995, in causa C-244/94, Fédération française des sociétés d’assurance, contenute in MENGOZZI (a cura di), Casi e materiali di diritto comunitario e dell’Unione europea, Padova, 2003, pp. 508-514. Le sentenze sono commentate anche in CASSOTTANA-NUZZO, Lezioni di diritto commerciale comunitario, Torino, 2002, pp. 181-194. 41 Nel codice civile italiano si hanno, ad esempio, due distinte nozioni giuridiche, una contenuta nell’ art. 2082 c.c., che definisce l’impresa, l’altra nell’art. 2555 c.c., riferito all’azienda. Invece, nel diritto tedesco manca una definizione unitaria di impresa (Unternehmen); il diritto francese dà alla parola entreprise un significato prevalentemente economico, per l’impostazione tradizionale del sistema fondato sull’atto di commercio, mentre con riguardo all’attività agricola usa il termine exploitation per indicare sia l’impresa sia l’azienda; nel diritto inglese vengono utilizzati, con diverse sfumature, i termini enterprise, activity, business, firm e farm per il solo settore agricolo. 42 Decisioni della Commissione del 10 dicembre 1986, in GUCE L 19/22 del 21 gennaio 1987. 43 Sentenza della Corte di giustizia del 30 gennaio 1985, in causa 123/83, Bureau national interprofessional du cognac c. Clair, in Raccolta, 1985, p. 391. 14 nell’Allegato I del Trattato Ce44, a seguito di adozione di una specifica deliberazione del Parlamento europeo e del Consiglio (art. 42, ex articolo 36, ex art. 42, 1° comma, TCE)45, secondo cui «Le disposizioni del capo relativo alle regole di concorrenza sono applicabili alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli soltanto nella misura determinata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, nel quadro delle disposizioni e conformemente alla procedura di cui all’articolo 43, paragrafo 2, avuto riguardo agli obiettivi enunciati nell’articolo 39» (seguendo così la procedura legislativa ordinaria, “rinforzata” dall’obbligo di consultazione del Comitato economico e sociale). Inoltre, «il Consiglio, su proposta della Commissione, può autorizzare la concessione di aiuti: a) per la protezione delle aziende sfavorite da condizioni strutturali o naturali; b) nel quadro di programmi di sviluppo economico». Il richiamo, ripetuto rispetto a quanto già previsto all’art. 39 TFUE, agli svantaggi strutturali e naturali, cui si sono aggiunti i programmi di sviluppo economico, non deve sorprendere, viste le peculiarità del settore agrario, che si differenzia nelle varie zone in relazione alle caratteristiche dei terreni, al loro più o meno accentuato frazionamento, alle condizioni climatiche e ad altri ulteriori fattori. D’altra parte, le stesse regole della concorrenza, che vietano in via generale gli aiuti di Stato erogati alle imprese (art. 107 TFUE, ex articolo 87 TCE), considerano compatibili con il mercato comune alcuni aiuti giustificati da ragioni eccezionali o di carattere sociale. Dunque, 44 Sentenze della Corte di giustizia del 29 febbraio 1984, in causa 77/83, Srl Cilfit c. Ministero della Sanità (avente per oggetto la lana); del 25 novembre 1981, in causa 61/80, Cooperative Stremsel c. Commissione (riguardante il presame per l’elaborazione dei formaggi); del 30 gennaio 1985, in causa 123/83, BNIC c. Clair (relativa alle acquaviti). 45 L’art. 42 TFUE, a seguito del Trattato di Lisbona, prevede la partecipazione del Parlamento europeo ai poteri legislativi prima attribuiti solo al Consiglio nella materia della concorrenza applicabile al mercato dei prodotti agricoli (paragrafo 1) e la previsione della proposta della Commissione per l’autorizzazione alla concessione di aiuti da parte del Consiglio (paragrafo 2). 15 l’eccezionalità delle regola dettata dall’art. 42 si inquadra nel più generale riconoscimento che gli aiuti alle imprese possono essere consentiti in certe specifiche circostanze, che per il settore agrario si presumono, in via generale, sempre presenti. Dall’art. 42 TFUE si evince che nel comparto dell’agricoltura la disciplina della concorrenza comprende non solo la disciplina degli accordi e delle pratiche antitrust (artt. 101-106 TFUE, già artt. 81-86 del Trattato di Roma), ma anche quella degli aiuti di Stato (artt. 107-109 TFUE, già artt. 87-89 del Trattato di Roma), con riguardo ai quali il riferimento a favore del settore agricolo, risultava comunque il regolamento 4 aprile 1962, n. 26, con cui allora il Consiglio aveva dato attuazione all’art. 36 del Trattato46. Peraltro, come sopra detto, l’art. 36, comma 2, del Trattato di Roma (ora art. 42 TFUE) prevedeva la possibilità che il Consiglio autorizzasse aiuti per la protezione delle aziende sfavorite da condizioni strutturali o naturali [lett. a)], o nel quadro di programmi di sviluppo economico [lett. b)]47. 3. La concorrenza nei rapporti internazionali, in particolare il raffronto tra il modello statunitense e il modello europeo Le norme antitrust, come dianzi illustrato, sono un sistema di norme destinate a proteggere il funzionamento del mercato concorrenziale, introdotte per la prima volta in Canada, con l'approvazione nel 1889 della legge contro gli accordi restrittivi della concorrenza, e l'anno successivo negli Stati Uniti con l'approvazione del più importante Sherman Act. A 46 Sugli aiuti di Stato vedi infra. Secondo alcuni autori, la disposizione dell’art. 42 TFUE ha un’importanza limitata, poiché non aggiunge nulla alle possibilità che già il Consiglio dispone ai sensi delle norme generali contenute negli articoli 107-109 TFUE, da applicarsi anche al settore agricolo. 47 16 partire, poi, dal periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale simili normative si affermano e si sviluppano considerevolmente anche in Europa. Le norme a tutela della concorrenza presentano un carattere peculiare per il modo in cui sono formulate e per le finalità che perseguono48. In primo luogo, esse non possono essere viste come meri criteri tecnici che assicurano un migliore funzionamento del mercato. La loro introduzione e i modi in cui sono interpretate riflettono più profonde convinzioni circa il ruolo del mercato, nei confronti sia dell'ordinamento economico sia di quello sociale. L'introduzione dello Sherman Act negli Stati Uniti, alla fine del XIX secolo, riflette l'idea, già presente nella Costituzione americana, del ruolo cardine dell'iniziativa economica privata come motore del sistema economico e sociale, e quindi la diffidenza per le azioni, private o pubbliche, che possono limitarla. In secondo luogo, gli obiettivi della normativa, il mercato e la concorrenza, sono fenomeni economici49: nell'applicazione delle norme, quindi, diritto ed economia si intersecano costantemente e influenzano l’interpretazione delle norme stesse, quali concetti fluidi che inevitabilmente mutano nel tempo, in relazione all'atteggiamento degli interpreti riguardo ai meccanismi di funzionamento del mercato concorrenziale. Negli Stati Uniti la tutela dell'iniziativa economica individuale rappresenta un valore su cui è basata l'intera costruzione dello Stato federale e che ha rilievo non solo da un punto di vista economico, ma anche politico. 48 PERA, Concorrenza e antitrust, Il Mulino, IV ed., 2009. Nel mercato concorrenziale possono, tuttavia, come già ribadito nel testo, rinvenirsi anche considerazioni di ordine non solamente economico: la Costituzione europea, infatti, seppure mai entrata in vigore, ha conferito rango costituzionale ai diritti a condizioni eque di lavoro, alla salute, all’ambiente, alla tutela del consumatore, inducendo gli interpreti a concludere che questa impostazione «conduce necessariamente ad una conformazione del mercato, in cui l’equità e la sostenibilità non possono che essere limiti interni della libertà di concorrenza», così R OOK BASILE, La sicurezza alimentare, cit, p. 313. 49 17 Secondo un filone di pensiero che ha le radici proprio in alcuni padri della Costituzione americana, e in particolare in James Madison, l'esistenza di una pluralità di interessi economici rappresenta, infatti, una garanzia della democrazia politica, poiché impedisce che uno specifico gruppo riesca a influenzare in maniera determinante il meccanismo decisionale. Le ragioni della preferenza verso il modello di mercato concorrenziale rispetto a sistemi diversamente strutturati50, risiedono nell’ordinamento statunitense nella corrispondenza dei valori della concorrenza con quelli della democrazia politica e del pluralismo. Da questo punto di vista, il mercato concorrenziale, in quanto rappresenta l'ambiente in cui più liberamente può esprimersi l'iniziativa individuale ed è maggiormente garantita la possibilità dei soggetti di affermarsi, costituisce uno degli elementi di base dello Stato americano. L'introduzione della disciplina della concorrenza in Europa avviene nel secondo dopoguerra, sulla base delle concezioni dei padri fondatori delle Comunità europee, per i quali un ordinamento economico e sociale democratico si fonda su un sistema economico di mercato e concorrenziale. In realtà, in Europa, i rapporti tra Stato e mercato si sono a lungo articolati in maniera assai diversa da quella degli Stati Uniti. Nel secondo dopoguerra, tuttavia, il rilievo politico del mercato concorrenziale fu riproposto in particolare dagli economisti e giuristi tedeschi. Il modello economico-sociale adottato alla base dell’edificazione europea è quello del mercato concorrenziale che garantisca un sistema di libera iniziativa economica: questo principio fu esplicitamente previsto dall'originario art. 3 del Trattato di Roma del 1957 e negli articoli 81 e 82 (ora articoli 101 e 102 TFUE) che vietano restrizioni alla concorrenza, ma è 50 Le dispute sulle scelte tra l’economia di mercato dei Paesi occidentali e l’economia dirigistica dei Paesi sovietici sono ormai datate. Per una panoramica storica confronta L IBERTINI, Il mercato: i modelli di organizzazione, in Trattato di diritto commerciale e del diritto pubblico dell’economia, diretto da GALGANO, vol. III, Padova, 1979. 18 altresì rinvenibile in tutta l'impostazione liberale e favorevole al libero scambio e all'iniziativa economica individuale propria dell’architettura europea, dal Trattato di Roma a quello di Maastricht al più recente Trattato di Lisbona. Infine, nell'esaminare la normativa antitrust occorre tenere presente che essa non è né l'unica né, forse, la più importante determinante della situazione concorrenziale di un Paese. Questa dipende, soprattutto, dall'esistenza di condizioni, in genere determinate da comportamenti pubblici, affinché il mercato possa funzionare efficientemente in maniera concorrenziale. Il mercato può, quindi, essere visto come un'istituzione la cui caratteristica è di dar luogo a regole di organizzazione che sono largamente autogenerate dalla mutua interazione dei soggetti. Perché, tra l’altro, un sistema di mercato funzioni correttamente, già i primi economisti classici avevano rilevato come ciò dipenda dall'esistenza di libertà di contratto e di diritti di proprietà sui beni e servizi scambiati; ciò suggerisce l'esistenza di una stretta relazione tra sistema di mercato e un sistema giuridico che li garantisca. La certezza di un sistema di scambio richiede l'eseguibilità dei contratti e la presenza di un sistema giurisdizionale che giudichi efficacemente e in tempi certi sulle controversie. Persino i primi pensatori dell’economia che avevano studiato lo scambio, e Adam Smith in particolare, avevano chiara sia la complementarità tra un funzionamento appropriato del mercato e l'esistenza di istituzioni volte a garantire l'ambiente sociale in cui lo scambio si svolge, sia il rapporto tra lo sviluppo di queste istituzioni e lo sviluppo dell'economia di mercato. Invero, illustre dottrina osserva che il mercato si configura come «una realtà esterna, dotata di vita propria, di spontaneità […] come se il mercato fosse una porzione della natura, che avrebbe, senza l’intervento dell’uomo, una sua vita propria, frutto delle forze spontanee che si 19 scontrano, che si mediano, che si placano, raggiungendo equilibri, comunque evolventesi secondo proprie logiche, o proprie leggi, che avrebbero il loro corso naturale»51. La sopra illustrata immunità del mercato dall’incidenza di scelte normative capaci di regolarne il corso risulta, tuttavia, messa in discussione, in quanto il mercato implica regole di buon funzionamento, per via degli inevitabili conflitti che discendono dalle relazioni in cui sono coinvolti i suoi protagonisti - che non sono soltanto coloro che partecipano alla produzione e distribuzione di beni e servizi, ma anche coloro che ne risultano gli acquirenti finali – la cui protezione degli interessi non finisce con il limitarsi alla lealtà dei comportamenti, bensì a coinvolgere la sfera della salute e della sicurezza e a dare tutela a valori giuridicamente garantiti52. Ciò vuol dire che la politica di tutela della concorrenza non rimane isolata rispetto ad altri principi dell’ordinamento europeo complessivamente considerato53, tanto che, talvolta, talune restrizioni della concorrenza sono tollerabili, purché finalizzate al raggiungimento di altri obiettivi del Trattato. In questo risiede una delle diversità principali tra ordinamento europeo e nord-americano; come messo in rilievo in riferimento alla sentenza Jongeneel Kaas c. Paesi Bassi54, da questo punto di vista la esenzione (parziale) circa l’applicazione della disciplina antitrust nel settore 51 ALPA, La c.d. giuridificazione delle logiche dell’economia di mercato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 729. 52 Per una valutazione del mercato secondo parametri giuridici, si confrontino: I RTI, Persona e mercato, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 289; LIPARI, Il mercato: attività privata e regole giuridiche, cit.; IRTI, Diritto e mercato, ivi, p. 30, il quale osserva:«Il mercato non è in rerum oeconomicarum natura, qualcosa di esterno ed oggettivo, sicché al diritto non rimanga che il compito di riconoscerlo e di adeguarvisi. Esso è il proprio e determinato contenuto di norme, le quali, di volta in volta, lo prevedono e disciplinano con riguardo a un certo bene o ad una certa categoria di beni». 53 Sentenza della Corte di giustizia del 25 ottobre 1977, in causa 26/76, Metro c. Commissione, punto 45; sentenza Tribunale di primo grado del 27 aprile 1995, nelle cause T-96/92 e T-12/93, Nestlé-Perrier, punti 30-31; sentenza della Corte di giustizia del 30 settembre 1988, in causa 302/86, Commissione c. Danimarca, punto 21. 54 Sentenza Corte di giustizia del 7 febbraio 1984, Jongeneel Kaas c. Paesi Bassi, cit. 20 agricolo prevista negli Stati Uniti (si pensi al Capper-Volstead Act del 1926 e all’Agricultural Adjustement Act del 1937) risulta più ampia di quella presente nella disciplina europea. Fin dagli esordi, la politica della concorrenza in Europa è stata guidata dall'obiettivo di accelerare l'integrazione del Mercato unico. L'intenso sforzo della Commissione in tal senso ha profondamente influenzato l'ordine delle priorità stabilite nel programma iniziale di applicazione del diritto della concorrenza, poiché la Commissione, piuttosto che concentrarsi sulla repressione degli accordi orizzontali per la fissazione dei prezzi, considerati la violazione più grave e dannosa da coloro che individuano nei vantaggi per i consumatori l'obiettivo principale delle norme antitrust, ha rivolto la propria attenzione agli accordi che avevano l'effetto di suddividere i mercati nazionali, oppure ha utilizzato il diritto della concorrenza anche per altri scopi estranei, in principio, agli obiettivi naturali del diritto antitrust. Tuttavia, ora che l'obiettivo del mercato interno è stato in gran parte raggiunto, la lotta contro i cartelli e, anche se in minor misura, contro gli abusi di posizione dominante, è divenuta la priorità della politica di concorrenza della Commissione europea. La stessa abrogazione del regime delle notifiche ex art. 101, comma 3, TFUE, come si vedrà meglio oltre, è stata, almeno in parte, determinata dalla necessità di disporre di più tempo e risorse da dedicare agli obiettivi considerati ora di maggior rilievo, quali la lotta ai cartelli. Per quanto riguarda le istituzioni europee coinvolte nell’applicazione della normativa a tutela della concorrenza, un ruolo di primo piano è affidato alla Commissione, l'organo esecutivo del sistema istituzionale europeo, che opera a stretto contatto con il Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti e con il Comitato consultivo in materia di concentrazioni, entrambi composti da rappresentanti degli Stati membri. Un 21 ruolo consultivo per lo sviluppo del diritto europeo della concorrenza è attribuito anche al Comitato economico e sociale europeo. L'attività della Commissione si svolge nell'alveo del quadro giuridico definito dal Consiglio, l'organo legislativo dell’Unione, il quale condivide il potere legislativo con il Parlamento per quasi i tre quarti delle competenze dell’Unione (si parla di “procedura di codecisione”). Nel Parlamento europeo vi sono due commissioni specificamente competenti per le questioni relative alla politica di concorrenza (e alla protezione dei consumatori). La condivisione della potestà legislativa, però, non si applica alla politica di concorrenza. Il Tribunale di primo grado e la Corte di giustizia, inoltre, ricoprono una funzione fondamentale nell'applicazione ed interpretazione delle norme di questa branca del diritto. Infine, nel quadro di un processo di riforma della politica di concorrenza impostato dal regolamento n. 1/2003, alcuni dei poteri di esecuzione sono stati affidati agli Stati membri, dove le rispettive autorità nazionali garanti della concorrenza e i tribunali nazionali hanno anch’essi il potere di far applicare gli articoli 101 e 102 TFUE (già articoli 81 e 82 del Trattato CE). La Commissione svolge un ruolo di primaria importanza, operando secondo le regole di procedura stabilite dal proprio Regolamento interno 55: ha il potere di perseguire le violazioni e di adottare decisioni che impongano la cessazione dei comportamenti contrari alle norme a tutela della concorrenza; può comminare ammende e ordinare determinati comportamenti, anche in via interinale, nel corso del procedimento, quando ricorrano motivi di urgenza. Essa è anche responsabile dell'attività di coordinamento e cooperazione internazionale per l'applicazione del diritto 55 Regolamento interno della Commissione 8 dicembre 2000, n. 3614, in GUCE 2000 L308/26, e successive modifiche. 22 della concorrenza; a questo scopo, essa coopera regolarmente con autorità straniere preposte alla tutela della concorrenza, anche di Paesi non appartenenti all'Unione europea, come gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone, con i quali l'Unione europea ha stipulato accordi di cooperazione. Inoltre, la Commissione può porre in essere misure di natura non legislativa o sviluppare una determinata pratica mediante l'adozione di comunicazioni o linee direttrici relative all'applicazione di norme e regolamenti. Sebbene non abbiano efficacia normativa, tali atti costituiscono un utile strumento di informazione e di guida per le imprese e i privati in merito all'interpretazione e alla prassi da seguire in determinati settori. Alcune di queste comunicazioni e linee direttrici stanno progressivamente diventando di rilevante importanza anche per le autorità nazionali garanti della concorrenza e per le giurisdizioni dei singoli Stati membri: alla luce della loro minore esperienza nell'applicazione del diritto della concorrenza, infatti, le comunicazioni e le linee direttrici costituiscono per essi un importante punto di riferimento. Il rapporto dialettico tra le varie istituzioni è riconoscibile se si considera che in ambito concorrenziale i meccanismi scelti vedono come protagonisti tanto la Corte di giustizia quanto la Commissione europea, connotandosi l’esperienza giuridica europea in maniera differente rispetto all’esperienza nord-americana. Nella prima, infatti, per ciò che concerne l’ambito agricolo, che qui interessa, e come chiarito dianzi, la disciplina della concorrenza rappresenta una componente della più generale politica agricola e l’istituzione primieramente competente è un organo politico quale la Commissione, diversamente dal sistema nord-americano dove la disciplina antitrust vede un ruolo di primo piano di carattere repressivo nei giudici. La Commissione è tenuta a dialogare con la Corte di giustizia, ma è 23 l’organo principalmente competente ad adottare provvedimenti di esenzione o a promuovere l’adozione di regolamenti tendenti ad agevolare intese orizzontali o verticali che risulterebbero contrastanti con la disciplina generale. Sotto questo profilo il processo di globalizzazione in atto di cui si è detto, con la conseguente liberalizzazione dei mercati e affievolimento del protezionismo, incrina il modello europeo, riducendo gli spazi affidati alla Commissione e, di converso, accentuando il ruolo decentrato delle autorità antitrust nazionali nell’applicazione della normativa sulla concorrenza56. Ne deriva che la riduzione degli interventi pubblici in economia e del protezionismo favorisce l’emanciparsi della concorrenza dal ruolo ancillare rispetto alle altre politiche economiche, riducendo così le differenze rispetto al modello nord-americano. Il Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 interviene incisivamente su quelli esistenti, il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, che non vengono abrogati ma modificati sotto molti profili. Fra i profili di maggior rilievo, uno è rappresentato dalla disposizione che era contenuta nella Costituzione europea, mai entrata in vigore, e riguardava un obiettivo dell'Unione europea: la politica di concorrenza, oggetto di questa ricerca, non più menzionata nel Trattato di Lisbona: nel Trattato, in effetti, vi è un preciso riferimento al mercato interno, ma non alla politica di concorrenza che non figura fra gli obiettivi che l'Unione europea deve perseguire. Tuttavia, da un più attento esame del Trattato, emerge che in un atto allegato, quale il Protocollo n. 27, dedicato al mercato interno e alla concorrenza, si prevede che il riferimento al mercato interno, contenuto nell'art. 3 del Trattato UE, comprenda un sistema che assicuri che la concorrenza non sia falsata nell'Unione. Questa, a tal fine, adotta, se 56 MAHER, op. cit., p. 155 ss. 24 necessario, misure in base alle disposizioni dei Trattati, incluso l'art. 352 del TFUE. Siccome i Protocolli hanno lo stesso valore, la stessa efficacia giuridica, dei Trattati, anche in mancanza di un riferimento esplicito alla politica di concorrenza nell'art. 3 TUE, non cambia la rilevanza di tale politica nell'ambito del sistema giuridico dell'Unione. Il primo settore di intervento delle istituzioni europee per la realizzazione di una politica integrata nella prospettiva della creazione di un mercato unico è stato quello agricolo e la specialità del Diritto agrario europeo si è manifestata con particolare rilievo proprio con riguardo alla disciplina della concorrenza in funzione della debolezza strutturale del comparto57. A prescindere dal valutare il livello di specialità che attualmente la disciplina in materia agricola presenta e conserva, alla luce del progressivo smantellamento del sistema protezionistico relativo ai prezzi agricoli adottato a partire dagli anni ottanta del secolo scorso58, è indubbio che la specialità della materia agraria ha trovato ab origine un suo preciso fondamento nell'art. 42 del Trattato CE (poi art. 36, ora di nuovo art. 42 TFUE), secondo le disposizioni in esso contenute, come dianzi riportato59. 57 TOMMASINI, Libertà di concorrenza, promozione del mercato dei prodotti agricoli e tutela dei consumatori, in Dalla riforma del 2003 alla PAC dopo Lisbona. I riflessi sul diritto agrario alimentare e ambientale, a cura di COSTATO, BORGHI, RUSSO, MANSERVISI, Napoli, 2011. 58 COSTATO, La PAC come filo conduttore del travaglio europeo, in Il Governo della PAC dopo Lisbona, Giornata di studio sul processo di codecisione del Parlamento Europeo in materia di Politica Agricola e Sviluppo Rurale, Roma, 3 dicembre 2009, secondo cui l’ordinamento comunitario, con l’introduzione del sostegno disaccoppiato dalle produzioni, ha affievolito le attività di programmazione della produzione, con inevitabile modifica delle modalità di intervento della Comunità stessa. 59 Sull’argomento si vedano le considerazioni contenute in J ANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico europeo e globalizzazione dell’economia, in Riv. dir. agr., 1997, I, p. 416; ID., La concorrenza nel sistema agro-alimentare e la globalizzazione dei mercati, in Il diritto dell’agricoltura nell’era della globalizzazione, Bari, 2001; ID., Le regole sulla concorrenza nella PAC (art. 36 del Trattato), in Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, diretto da Costato, Padova, 2003, p. 79; GERMANÒ, Il principio della libertà di concorrenza e la disciplina comunitaria dell’agricoltura, in Dir. giur. agr. e ambiente,1996, p. 77; ROOK BASILE, La concorrenza con riguardo ai prodotti agroalimentari tra la disciplina della produzione e quella del mercato, in Dir. dell’agricoltura, 1997, p. 1; BIANCHI, La politica agricola comune (PAC). Tutta la PAC, niente altro che la PAC! Compendio di diritto agrario comunitario, 25 Nel prosieguo del presente lavoro verranno analizzati compiutamente la portata e il significato delle normative a tutela della concorrenza nel settore agricolo, partendo dall’analisi dell’art. 42 TFUE e procedendo con la disamina del diritto europeo derivato. CAPITOLO PRIMO LE FONTI 1. Le regole di concorrenza nel mercato europeo: gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea Nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in prosieguo, TFUE) è inserito il capo I del titolo VII della parte III dal titolo «Regole di concorrenza», articolato in due distinte sezioni, la prima, sui comportamenti delle imprese; la seconda, sugli aiuti di Stato, esso risulta caratterizzato da una visione economica unitaria e da una valutazione coerente degli interessi coinvolti. La disciplina della concorrenza è contenuta negli articoli 101 e 102 TFUE. L'art. 101 (ex art. 81 TCE) proibisce gli accordi e gli altri comportamenti collusivi fra imprese restrittivi della concorrenza e idonei a pregiudicare il commercio tra Stati membri. Il divieto sancito dall'art. 101 TFUE è formulato in termini molto ampi, in modo da farvi rientrare non solo gli accordi, ma qualsiasi forma di collusione tra imprese idonea a restringere o eliminare la concorrenza, perché, secondo le teorie del Pisa, 2007, p. 346. 26 mercato concorrenziale, le imprese sono tenute a competere fra loro e a non cooperare allo scopo di influenzare le condizioni di mercato a danno della concorrenza e, in ultima istanza, dei consumatori60. Nel divieto dell’art. 101 ricadono non solo gli accordi tra concorrenti, ma anche determinati accordi verticali, cioè fra imprese che operano a un livello diverso della catena produttiva o distributiva (come ad esempio gli accordi di fornitura). L'art. 101 TFUE, infatti, espressamente stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno, e individua, inoltre, un elenco, non tassativo, di accordi considerati restrittivi della concorrenza61. 60 Sull’argomento si rinvia, per un primo approccio, a T ESAURO, Diritto dell’Unione europea, VI ed., Padova, 2010, p. 629 ss., ove anche ampia bibliografia e abbondanti richiami giurisprudenziali. 61 L'art. 101 TFUE stabilisce che: « 1. Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione; b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti; c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento; d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza; e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi. 2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto. 3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili: - a qualsiasi accordo o categoria di accordi tra imprese; - a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e - a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate, che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva ed evitando di 27 Come risulta evidente dalla lettura della norma, il primo paragrafo stabilisce il divieto di porre in essere determinate condotte idonee a restringere la concorrenza, il secondo prevede la nullità degli accordi quale sanzione per la violazione del divieto e il terzo stabilisce i criteri per beneficiare di un'esenzione dal divieto stesso. La disposizione in esame si applica soltanto ad accordi o pratiche concordate fra due o più imprese indipendenti e alle decisioni adottate da associazioni di imprese. La definizione di impresa è, pertanto, di importanza fondamentale, dato che da essa dipende la determinazione dell'ambito di applicazione delle norme. Proprio per il fatto che il Trattato non fornisce indicazioni specifiche in merito, la nozione di impresa ha costituito oggetto di approfondita riflessione da parte della Corte di giustizia e del Tribunale di Primo grado, da un lato, e della Commissione, dall’altro. La Corte di giustizia ha stabilito che «la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un'attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento»62. Come già sopra accennato, dunque, il divieto di cui all'art. 101, 1° paragrafo, si applica a tutti i soggetti che svolgono un'attività economica, indipendentemente dal loro status. Ad esempio, non è necessario che un soggetto abbia la forma di una società secondo la normativa del diritto civile o la personalità giuridica affinché possa considerarsi impresa ai sensi a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi; b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi». 62 Sulla nozione di impresa si vedano le sentenze della Corte di giustizia: del 23 aprile 1991, in causa C-41/90, Klaus Höfner e Fritz Elser c. Macrotron GmbH, (punto 21); del 17 febbraio 1993, in cause C-159-160/91, Poucet; del 19 gennaio 1994, in causa C-364/92, Sat Fluggesellschaft; del 16 novembre 1995, in causa C-244/94, Fédération Française des Sociétés d'Assurance et al. c. Ministère de l'Agriculture et de la Pêche, (punto 14). 28 dell'articolo63. La nozione di accordo o di pratica concordata presuppone il coinvolgimento di almeno due parti che agiscano in base ad un comune consenso. Il termine “accordo” deve essere interpretato in maniera molto ampia, che ricomprenda qualsiasi tipo di consenso tra le parti in merito alle loro future condotte. Perché vi sia un accordo ai sensi dell'art. 101, paragrafo 1, è sufficiente che due o più imprese abbiano in qualche modo espresso la comune volontà di intraprendere una certa condotta sul mercato, a prescindere dalle modalità con cui tale intento sia stato manifestato (ad esempio, in forma scritta o orale). Un effetto che deriva da questa interpretazione volutamente ampia della norma è che il compito di repressione dei cartelli da parte delle autorità preposte alla tutela della concorrenza diviene più agevole per due ordini di motivi: in primo luogo, i partecipanti ad un cartello raramente si servono di accordi scritti con cui regolare gli aspetti della cooperazione limitandosi, nella maggior parte dei casi, a prevedere linee guida o semplicemente a concludere accordi in forma orale. In secondo luogo, il contributo individuale al funzionamento del cartello può di fatto variare da impresa a impresa, ad esempio, nel tempo, alcune imprese potrebbero ritirarsi da un cartello, per rientrarvi eventualmente in un momento successivo, mentre altre imprese potrebbero tenere un comportamento più attivo: difatti molti cartelli hanno durata prolungata si presentano con una struttura complessa. Per risolvere questa complicazione, la Commissione ha elaborato il concetto di “accordo unico globale” in base al quale tutti i componenti di un cartello sono ritenuti responsabili, indipendentemente dal fatto che essi abbiano partecipato o meno attivamente all'attuazione di ogni singola fase del cartello, mentre 63 FAULL e NICKPAY, The EC Law of Competition, Oxford, 1999, p. 67. 29 l'intensità della partecipazione può essere presa in considerazione ai fini della quantificazione dell'ammenda. Siccome il campo di applicazione dell'art. 101 non è limitato agli accordi tra imprese, ma si estende anche ai casi in cui l'azione delle imprese venga coordinata per il tramite di un'associazione, in tali fattispecie, sia l'associazione in sé, sia ogni suo singolo membro possono risultare responsabili della violazione del divieto. Come il termine «impresa», anche il termine «associazione» va interpretato in senso ampio, così come pure il sostantivo «decisione»: la nozione di «associazione» non si riferisce esclusivamente alle associazioni di categoria, essendo stata applicata anche ad enti incaricati di svolgere funzioni istituzionali, alle cooperative agricole, ai consigli dell'ordine degli avvocati64. Analogamente, il termine «decisione» è interpretato in maniera estesa, in modo da ricomprendervi anche raccomandazioni non vincolanti, ogniqualvolta l'adesione tacita da parte dei membri dell'associazione produca, di fatto, un apprezzabile effetto sulla concorrenza. Con il termine «pratica concordata» si intende una forma di coordinamento tra imprese che, pur non raggiungendo il livello di un accordo completo in tutti i suoi aspetti, consente, tuttavia, alle imprese di prevedere con un discreto margine di sicurezza la condotta che i concorrenti attueranno nel mercato e, di conseguenza, elimina o riduce quella naturale incertezza inerente al processo concorrenziale. Siccome le regole europee del diritto della concorrenza richiedono che ogni operatore nel mercato determini la propria politica commerciale in modo del tutto indipendente 64 Si tratta, rispettivamente, della decisione della Commissione, del 30 gennaio 1995, Coapi, in GUCE 1995 L122/37; della decisione della Commissione, del 26 novembre 1986, Meldoc, in GUCE 1986 L348/50; della sentenza della Corte di giustizia, del 19 febbraio 2002, in causa C-309/99, Wouters c. Algemene Raad van de Nederlandse Orde van Advocaten, in Racc. I1577/2002. 30 dagli altri operatori concorrenti65, le imprese non devono mettere in atto alcuna forma di coordinamento che sia in grado di eliminare l'incertezza sulle loro future linee di condotta, poiché ciò ridurrebbe il rischio intrinseco alle scelte commerciali, proprio di ogni scenario competitivo. La ragione dell'inclusione delle pratiche concordate nella fattispecie di cui all'art. 101, paragrafo 1, TFUE si ricollega all'intento del legislatore di evitare che le imprese riescano ad aggirare il divieto di cooperazione tramite mezzi più informali di un accordo propriamente detto, soprattutto nel caso di cartelli in cui è spesso difficile provare la sussistenza di un accordo tra concorrenti: in molti casi, infatti, i membri di un cartello sono molto abili nel lasciare il minor numero possibile di tracce relative alla loro cooperazione. In questi casi, le autorità preposte alla tutela della concorrenza sono costrette ad avvalersi di prove indirette, come le condotte parallele sul mercato, al fine di provare l'esistenza di un cartello realizzato per mezzo di una pratica concordata. La Corte di giustizia ha definito la «pratica concordata» come «una forma di coordinamento dell'attività delle imprese che, senza esser stata spinta fino all'attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese stesse, a danno della concorrenza»66. In seguito la Corte ha affinato la definizione spiegando che i termini «coordinamento» e «collaborazione» non necessitano dell’«elaborazione di un vero e proprio piano». In particolare, la Corte ha chiarito che «ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta ch'egli 65 Sentenza della Corte di giustizia, del 16 dicembre 1975, cause riunite 40 a 48, 50, 54 a 56, 111, 113 e 114/73, Coöperatieve vereniging Suiker Unie UA et altri c. Commissione, [1975], in Racc. 1663 (punto 288); sentenza Tribunale di primo grado, del 24 ottobre 1991, in causa T-1/89, Rhône-Poulenc c. Commissione, [1991], in Racc. II-867 (punto 121). 66 Sentenza della Corte di giustizia, del 14 luglio 1972, in causa 48/69, ICI c. Commissione, [1972], in Racc. 619 (punto 64). Sul concetto di “pratica concordata” si veda BLACK, Concerted practices, joint actions and reliance, in ECLR, 2003, p. 219. 31 intende seguire sul mercato comune» senza preordinare «contatti diretti o indiretti aventi lo scopo o l'effetto d'influire sul comportamento tenuto sul mercato da un concorrente attuale o potenziale, ovvero di rivelare ad un concorrente il comportamento che l'interessato ha deciso, o prevede, di tenere egli stesso sul mercato»67. Perché possa trattarsi di pratica concordata è, quindi, necessaria la presenza di requisiti, tra i quali, una forma di coordinamento o collaborazione pratica fra le imprese; il coordinamento raggiunto attraverso un contatto diretto o indiretto fra le imprese in esame; e l'oggetto o l'effetto di tale contatto deve consistere nell'influenzare la condotta delle imprese sul mercato di riferimento. L'art. 101, paragrafo 1, TFUE si applica ad accordi, decisioni di associazioni e pratiche concordate, tutte fattispecie che implicitamente presuppongono un certo grado di libertà o autonomia decisionale. Ne consegue che, se le determinazioni delle imprese sono influenzate da interventi di enti pubblici, esse non possono essere ritenute direttamente responsabili delle violazioni commesse. Si possono individuare due forme di interferenza da parte di soggetti pubblici nell’autonomia decisionale delle imprese, che possono sia riguardare misure che impongono comportamenti anticoncorrenziali, sia riguardare provvedimenti che restringono essi stessi il libero gioco della concorrenza. In questi casi viene meno la libertà di autodeterminarsi dell’impresa e allora non si applicano le disposizioni dell’art. 101, paragrafo 1, TFUE, in quanto la restrizione della concorrenza non deriva da una condotta autonomamente posta in essere da parte dell'impresa. Per determinare se le norme in questione debbano in concreto applicarsi, bisogna distinguere le misure pubbliche vincolanti che 67 Pronuncia Suiker Unie, citata nella nt. 65, punti 173-174. 32 impongono una condotta anticoncorrenziale da quelle non vincolanti. Se ne ricava che le imprese non possono giustificare le pratiche anticompetitive attuate sulla base di provvedimenti pubblici che non contengono veri e propri obblighi giuridicamente vincolanti. Sulla base di questi principi, la Corte di giustizia si è costantemente rifiutata di accettare come giustificazione di un accordo collusivo il fatto che misure statali non obbligassero le imprese a tenere un comportamento anticoncorrenziale, ma semplicemente richiedessero, facilitassero o approvassero un comportamento simile68. In particolari circostanze, persino misure nazionali a carattere vincolante, che impongano condotte anticompetitive, potrebbero non essere sufficienti ad escludere l'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 1. Difatti, qualora le misure obbligatorie si riferiscano ad accordi o pratiche restrittive della concorrenza già in essere, i comportamenti conformi a tali misure, anche se siano obbligatorie, potrebbero integrare una violazione come quelle vietate dalle disposizioni oggetto di analisi. Ad esempio, la Commissione ha censurato accordi interprofessionali che fissavano prezzi minimi per la vendita di acquaviti di cognac, nonostante il fatto che tali accordi fossero stati estesi e resi obbligatori per gli operatori nella regione del Cognac attraverso un decreto interministeriale69. La difesa basata sulla giustificabilità di violazioni conseguenti ad imposizione di misure da parte dello Stato è stata respinta sul presupposto che le imprese godevano di sufficiente autonomia al 68 Decisione della Commissione, del 6 agosto 1984, Zinc producer group, in GUCE, 1984, L 220/27, in cui essa ha ritenuto che il fatto che le autorità degli Stati membri fossero a conoscenza di accordi di fissazione dei prezzi o avessero preso parte o approvato gli stessi non escludeva l'applicazione del diritto della concorrenza nei confronti delle imprese in questione. Il concetto è espresso anche nella sentenza della Corte di giustizia, del 3 dicembre 1987, in causa 136/86, BNIC c. Aubert, [1987], in Racc. 4789 (punto 13). 69 Decisione della Commissione, del 15 dicembre 1982/896/CEE, UGAL/BNIC, in GUCE 1982 L379/1, confermata nelle successive sentenze della Corte di giustizia BNIC c. Clair, citata alla nt. 44, e BNIC c. Aubert, nt. precedente. 33 momento della conclusione degli accordi, divenuti obbligatori solo in un secondo momento70. In altra pronuncia, la Corte di giustizia ha stabilito che, qualora la normativa nazionale elimini di per sé ogni possibile attività concorrenziale delle imprese, l'articolo 81, paragrafo 1 [ora art. 101, paragrafo 1, TFUE] non si applica, dal momento che la distorsione della concorrenza non sarebbe attribuibile alla condotta autonoma delle imprese interessate71. Per poter invocare con successo questo precedente, è necessario dimostrare che il quadro regolatorio non lascia alcuno spazio di concorrenza suscettibile di essere eliminato o ridotto. La Corte di giustizia ha adottato un approccio simile nella causa relativa a presunte pratiche anticoncorrenziali riguardanti il mercato dello zucchero in Italia72. Nel caso di specie, le parti avevano sostenuto che l'articolo 81, paragrafo 1 [ora art. 101, paragrafo 1, TFUE] non poteva ritenersi applicabile dal momento che la legislazione italiana, in combinato disposto con quella comunitaria, relativa a prezzi, quote di vendita e incontro tra domanda e offerta, eliminava di per sé qualsiasi possibilità di concorrenza sul mercato. La Corte ha accolto le argomentazioni delle parti rilevando che il margine di concorrenza nel mercato italiano dello zucchero era sostanzialmente limitato dalle misure regolamentari e che, in questo senso, l'art. 81, paragrafo 1 non avrebbe potuto applicarsi, dato che le parti non potevano con le loro azioni influire in modo sensibile sul gioco della concorrenza73. 70 La Commissione ha stabilito che le funzioni di controllo della qualità che le autorità avevano conferito al BNIC non richiedevano alcun accordo per la fissazione di prezzi minimi di vendita, come quello che era stato concluso dai membri del BNIC a beneficio delle loro politiche di vendita piuttosto che della qualità delle acquaviti. 71 Sentenza della Corte di giustizia, del 11 novembre 1997, cause riunite C-359/95P e C379/95P, Commissione e Francia c. Ladbroke Racing Ltd., [1997], in Racc. I-6265. 72 Sentenza della Corte di giustizia, del 30 ottobre 1975, in causa 23/75, Ray Soda c. Cassa conguaglio zucchero, in Raccolta 1975/01279. 73 Vedi sentenza della nt supra (punto 72). 34 Gli accordi e le pratiche concordate violano l'art. 101, paragrafo 1, TFUE solo nella misura in cui abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune. L’effetto restrittivo della concorrenza ha carattere oggettivo e non già soggettivo, avendo scarso rilievo sia l’intenzione delle parti, sia le conseguenze riferibili ai singoli accordi74. Ne deriva la necessità di considerare anche la misura degli effetti delle intese sul mercato, con la conseguenza di dover procedere ad un’analisi del mercato per dimostrare che un accordo abbia l’effetto di produrre una restrizione della concorrenza. Perciò, secondo un'interpretazione giurisprudenziale consolidata, l'impedimento, la restrizione o la distorsione devono essere “sensibili”: per la Corte di giustizia, infatti, non raggiungono la soglia di sensibilità le intese c.d. de minimis, ovvero quelle tra imprese detentrici di una modesta quota di mercato, per la scarsa apprezzabilità degli effetti di tali intese sulla concorrenza75. Per comprendere la distinzione tra restrizione per oggetto e per effetto risulta di particolare utilità l’analisi del caso Beef Industry76, sul 74 Ad esempio, nella sentenza della Corte di giustizia, 1° febbraio 1977, in causa C-47/76, De Norte e De Clercq sono ritenuti vietati i contratti di acquisto esclusivo di una birra di una certa marca da parte di titolari di locali affiliati, perché – anche se i singoli accordi, di per sé, avrebbero avuto effetti anticoncorrenziali di scarso rilievo – tutti insieme e nel loro complesso venivano ad avere un impatto non trascurabile sul mercato. 75 La Comunicazione della Commissione relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, del trattato che istituisce la Comunità europea (de minimis), in GU C368 del 22.12.2001, che sostituisce la Comunicazione relativa agli accordi di importanza minore pubblicata nella GU C 372 del 9.12.1997, stabilisce, con l’ausilio di soglie basate sulle quote di mercato, ciò che non costituisce una restrizione sensibile ai sensi dell’art. 101 TFUE. Comunicazioni della Commissione sono state pubblicate più recentemente per gli aiuti de minimis nel settore degli aiuti di Stato. 76 Sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (Terza Sezione) 20 novembre 2008 in causa Competition Authority contro Beef Industry Development Society Ltd e Barry Brothers (Carrigmore) Meats Ltd 35 quale, pertanto, giova soffermarsi con una certa attenzione77. Ai sensi del deliberato della Corte, «Ai fini dell'applicazione del divieto di cui all'art. 81, n.1, Trattato Ce è superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che quest'ultimo mira a impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune. Nel caso in cui, invece, l'analisi delle clausole dell'accordo non rivelasse un pregiudizio alla concorrenza di sufficiente entità, occorrerebbe prendere in esame i suoi effetti e, per vietarlo, dovrebbero sussistere tutti gli elementi che comprovano che il gioco della concorrenza è stato di fatto sensibilmente impedito, ristretto o falsato (Trattato Ce, art. 81, n. 1). Perché un accordo rientri nel divieto dell’art. 81, n. 1, Trattato Ce, rilevano il contenuto e gli scopi oggettivi del medesimo e non le intenzioni soggettive dei contraenti, volte a finalità ulteriori, distinte da quelle della disciplina della concorrenza (nella specie: razionalizzazione di un’attività produttiva mediante la riduzione delle sue sovraccapacità strutturali), salvo che tali finalità integrino una delle ipotesi di deroga del successivo n. 3 (Trattato Ce, art. 81, nn. 1 e 3). I tipi di accordo menzionati all'art. 81, n. 1, lett. a)-e), Trattato Ce non esauriscono le possibili ipotesi di collusioni vietate (Trattato Ce, art. 81, n. 1)». La sentenza della Corte di giustizia in commento78 verte 77 Su tale sentenza sia consentito, inoltre, rinviare alla più ampia analisi contenuta in BENATTI, “Infrazioni per oggetto e infrazioni per effetto in materia di concorrenza”, Nota a Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 20 novembre 2008, Competition Authority v. Beef Industry Development Society Ltd and Barry Brothers (Carrigmore) Meats Ltd, in Riv. dir. agr., IV, 2009, p. 325. 78 La sentenza qui richiamata è stata citata dalla successiva della Corte di giustizia del 4 giugno 2009, in causa C-8/08, T-Mobile Netherlands BV e altri c. Raad van bestuur, in Raccolta, 2009, p. I-04529, laddove ribadisce che, per quanto concerne la valutazione del carattere anticoncorrenziale di una pratica concordata, occorre considerare, in particolare, gli scopi oggettivi che essa persegue e anche il contesto economico e giuridico nel quale essa si inserisce. La sentenza Beef Industry viene citata anche con riguardo alla distinzione in essa analizzata tra «infrazioni per 36 sull’interpretazione della nozione di accordo restrittivo della concorrenza contenuta nell’art. 81, n. 1, del Trattato Ce, traendo origine da una domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dalla Supreme Court irlandese, nell’ambito di una controversia tra la Competition Authority irlandese, da un lato, e la Beef Industry Development Society Ltd e un’impresa ad essa facente parte, di seguito BIDS, dall’altro, in merito ad alcune decisioni della Beef Industry per la razionalizzazione del settore delle carni bovine in Irlanda; a tal fine viene elaborato un accordo, di tipo orizzontale, ossia un accordo fra concorrenti che si trovano sul medesimo livello di mercato, volto a ridurre del 25% la capacità di trasformazione del settore in un anno a determinate condizioni, mediante la stipulazione di contratti standards. Il giudice del rinvio chiede se accordi come quelli stipulati dalla Beef Industry debbano essere considerati restrittivi della concorrenza e vietati ai sensi dell’art. 81, n. 1, del Trattato Ce per il loro solo oggetto, indipendentemente dall’effetto, o se, invece, per pervenire a tale conclusione, sia prima necessario dimostrare che essi sortiscono effetti anticoncorrenziali. Il contesto normativo preso in considerazione si riferisce all’art. 81, n. 1, del Trattato Ce [ora art. 101 n. 1 del TFUE]. Come detto, il divieto sancito dall’art. 81 è formulato in termini molto ampi, in modo da farvi rientrare non solo gli accordi ma qualsiasi forma di collusione tra imprese idonea a restringere o eliminare la concorrenza. Le valutazioni della Corte si fondano sul rilievo che l’art. 81, n. 1, del Trattato Ce distingue fra restrizioni della concorrenza per oggetto e restrizioni della concorrenza per effetto, per poi basare la riflessione sul oggetto» e «infrazioni per effetto», secondo cui l’oggetto e l’effetto anticoncorrenziale non sono condizioni cumulative, bensì alternative ed è necessario, innanzitutto, considerare l’oggetto della pratica concordata; solo se l’analisi del tenore della pratica concordata non rivelasse un pregiudizio alla concorrenza di sufficiente entità, occorrerebbe prendere in esame i suoi effetti. 37 significato della nozione di restrizione della concorrenza per oggetto, su cui emergono opinioni discordi. Come detto, ai sensi dell’art. 81, n. 1, sono vietati tutti gli accordi tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto una restrizione significativa della concorrenza79. Restrizioni della concorrenza per oggetto sono «quelle che per loro stessa natura possono restringere la concorrenza»80. La valutazione della presenza o meno in un accordo di restrizioni della concorrenza per oggetto è basata su una serie di fattori, tra cui, in particolare, i termini dell’accordo. Inoltre, si deve tener conto del contesto in cui l’accordo è applicato e del comportamento concreto delle parti sul mercato. In questo senso, l’intento soggettivo delle parti è uno degli elementi ma non una precondizione necessaria perché sussista una restrizione per oggetto. Pur non avendo un oggetto anticoncorrenziale, un accordo può nondimeno violare l’art. 81, n. 1, del Trattato Ce se ha l’effetto di restringere la concorrenza. Secondo la Commissione, per avere un tale effetto, un accordo deve essere in grado di restringere la concorrenza in modo tale da produrre, con un ragionevole grado di probabilità, effetti negativi sui prezzi, sulla quantità o sulla varietà o qualità dei prodotti e servizi presenti sul mercato. Per stabilire se un accordo abbia o meno un tale effetto restrittivo è necessario esaminarlo nel contesto in cui esso deve essere applicato. A questo riguardo, occorre «tener conto dell’ambito concreto nel quale esso produce i suoi effetti, in particolare del contesto economico e giuridico nel quale operano le imprese interessate, della natura 79 Fra i testi di riferimento generali e di recente pubblicazione sul punto si segnalano: V AN BAEL e BELLIS, Il Diritto Comunitario della Concorrenza, Torino, 2009; PAPPALARDO, Il Diritto comunitario della concorrenza. Profili sostanziali, Torino, 2007; STROZZI, Diritto dell’Unione Europea, Parte speciale, Torino, 2006; FRIGNANI - PARDOLESI (a cura di), La concorrenza, Torino, 2006; DE VITA, TESAURO, Diritto Comunitario, Padova, 2005. 80 Comunicazione della Commissione - Linee direttrici sull’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato in GU C 101 del 27.4.2004, p. 97, al par. 21 ss. 38 dei servizi considerati dall’accordo, nonché delle effettive condizioni del funzionamento della struttura del mercato interessato»81 . I due tipi di infrazione «per oggetto» o «per effetto» hanno carattere alternativo. Secondo una giurisprudenza costante a far data dalla sentenza LTM82, l’alternatività di tali condizioni, espressa dalla disgiunzione «o», rende necessario innanzitutto considerare l’oggetto stesso dell’accordo, tenuto conto del contesto economico nel quale quest’ultimo deve trovare applicazione. Nel caso in cui, invece, l’analisi delle clausole dell’accordo non rivelasse un pregiudizio alla concorrenza di sufficiente entità, occorrerebbe prendere in esame i suoi effetti e il divieto opererebbe se sussistessero tutti gli elementi che comprovano che il gioco della concorrenza è stato di fatto sensibilmente impedito, ristretto o falsato. Ai fini dell’applicazione del divieto di cui all’art. 81, n. 1 del Trattato Ce è, dunque, superfluo prendere in considerazione gli effetti concreti di un accordo, ove risulti che quest’ultimo mira a impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, come già affermato dalla Corte di giustizia in precedenti sentenze 83. Il divieto sancito dall’art. 81, n. 1, può eventualmente essere dichiarato non applicabile ai sensi del n. 3 dello stesso articolo, purché siano rispettate le condizioni in esso indicate. L’art. 81 prevede, pertanto, una verifica articolata su due livelli: un 81 Sentenze del Tribunale di primo grado, del 15 settembre 1998, cause riunite T-374/94, T-375/94, T-384/94 e T-388/94, European Night Services c. Commissione, [1998] Racc. II-3141 (punto 136); della Corte di giustizia, del 28 febbraio 1991, in causa C-234/89, Delimitis c. Henninger Bräu, [1991] Racc. I-935 (punto 20); della Corte di giustizia, del 12 dicembre 1995, in causa C-399/93, Oude Luttikhuis et al. c. Verenigde Coöperatieve Melkindustrie Coberco BA, [1995] Racc. I-4515 (punto 10); del Tribunale di primo grado, del 14 maggio 1997, cause riunite T-70/92 e T-71/92, Florimex BV et al. c. Commissione, [1997] Racc. II-759 (punto 140). 82 Sentenza della Corte di giustizia, del 30 giugno 1966, in causa 56/65, LTM, in Racc. p. 262. 83 Sentenze della Corte di giustizia, del 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64, Consten e Grundig c. Commissione, Racc. p. 458, e del 21 settembre 2006, causa C-105/04 P, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied c. Commissione (Racc. I-8725). 39 accordo è compatibile con il mercato interno se non ricade nel divieto fondamentale sancito dall’art. 81, n. 1, del Trattato Ce, ma anche se, pur compreso in tale ipotesi, soddisfa i requisiti previsti dall’art. 81, n. 3. Una volta, infatti, che sia stato accertato che un accordo ha per oggetto una restrizione della concorrenza e ricade nel divieto di cui all’art. 81, n. 1, non è detto che sia incompatibile con il mercato comune, se, data la distinzione tra l’art. 81, n. 1, e l’art. 81, n. 3, la verifica rilevi la sussistenza delle condizioni previste ai sensi del n. 3 dello stesso articolo. Per stabilire se sussiste una restrizione della concorrenza per oggetto, secondo la giurisprudenza comunitaria si deve tener conto non solo del contenuto dell’accordo, ma anche del contesto giuridico ed economico84. Tale elemento non va inteso in maniera eccessivamente ampia, tale da consentire l’ingresso di tutte le circostanze che possano giocare a favore della compatibilità di un accordo con il mercato comune. Dalla struttura dell’art. 81, infatti, si ricava che gli elementi del contesto giuridico ed economico rilevanti sono solo quelli atti a mettere in dubbio l’esistenza di una restrizione della concorrenza85, come, ad esempio, le fattispecie in cui una limitazione della libertà delle imprese di determinare autonomamente la propria politica di mercato non presenti effetti rimarchevoli sotto il profilo della concorrenza, o quando è incerto se le imprese partecipanti all’accordo si trovino in una effettiva situazione di concorrenza86; o ancora, quando è dubbio se sussista una concorrenza sufficiente che possa subire restrizioni a causa dell’accordo87, come nel caso di effetti della concorrenza sui prezzi, 84 Sentenze della Corte di giustizia del 30 giugno 1966, in causa 56/65, LTM; del 28 marzo 1984, cause riunite 29/83 e 30/83, Compagnie royale asturienne des mines e Rheinzink c. Commissione (Racc. p. 1679); del 6 aprile 2006, in causa C-551/03 P, General Motors c. Commissione (Racc. I- 3173); del 27 settembre 2006, causa T-168/01, GlaxoSmithKline Services c. Commissione, Racc. II-2969. 85 Sentenza della Corte di giustizia del 8 luglio 1999, in causa C-235/92 P, Montecatini c. Commissione (Racc. I-4539) . 86 Sentenza del Tribunale di primo grado, European Night Services, nt. 81. 87 Sentenza GlaxoSmithKline Services c. Commissione, cit. 40 quando i prezzi per i consumatori finali sono sottratti al gioco della domanda e dell’offerta in forza di disposizioni di legge. Gli elementi del contesto giuridico ed economico sono, altresì, da prendere in considerazione quando un accordo risulta, quanto ai suoi effetti sulla concorrenza, ambivalente, come nella fattispecie in cui un accordo cerchi di promuovere la concorrenza, rafforzandola su un mercato o aprendo un mercato nuovo o permettendovi l’ingresso di un nuovo concorrente, laddove la limitazione dell’autonomia delle imprese che necessariamente ne consegue può, in una visione globale, essere sacrificata a uno scopo maggiormente meritevole di tutela. Altri possibili elementi del contesto da prendere in considerazione sono le restrizioni accessorie necessarie per il conseguimento di uno scopo principale, come, ad esempio: i divieti di concorrenza senza i quali una cessione di imprese non sarebbe possibile88; i divieti di partecipazione o le restrizioni dell’attività, laddove siano necessari per il funzionamento di una società che persegue uno scopo certamente compatibile con il diritto comunitario della concorrenza89; le restrizioni di attività necessarie per la determinazione della deontologia delle libere professioni90; le normative antidoping91. L’analisi del contesto accessorio fa sì che se lo scopo principale perseguito non ricade nel divieto di cui all’art. 81, n. 1, del Trattato Ce (ora art. 101, n. 1, TFUE), in quanto neutrale o favorevole alla concorrenza, anche le restrizioni accessorie necessarie al conseguimento di tale scopo non ricadono nel divieto previsto dalla norma; se, al contrario, lo scopo principale rientra nel divieto, sussiste una inammissibile restrizione 88 Sentenza della Corte di giustizia, del 11 luglio 1985, in causa 42/84, Remia e a. c. Commissione (Racc. p. 2545). 89 Sentenza della Corte, del 15 dicembre 1994, in causa C-250/92, DLG (Racc. I-5641). 90 Sentenza della Corte, del 19 febbraio 2002, in causa C-309/99, Wouters e a (Racc. I1577). 91 Sentenza della Corte, del 18 luglio 2006, in causa C-519/04, Meca-Medina e Majcen c. Commissione (Racc. I-6991). 41 della concorrenza92. Le circostanze, invece, come il miglioramento della produzione dei beni attraverso economie di scala, che fanno presupporre una restrizione della concorrenza, possono essere considerate compatibili con le disposizioni dell’art. 81, esclusivamente ai sensi del n. 3 dello stesso. Questa distinzione risulta già dalla lettera dell’art. 81, n. 3, del Trattato Ce (ora art. 101, n. 3, TFUE), che ammette che di questi effetti si debba tener conto nel suo ambito, sulla base della considerazione generale secondo cui la norma in oggetto è intesa nel suo insieme al soddisfacimento ottimale dei consumatori, e che i suoi nn. 1 e 3 prendano in considerazione aspetti diversi di questo benessere. Ai sensi del n. 1, gli accordi restrittivi della concorrenza sono in linea di principio vietati, pregiudicando in modo diretto il benessere dei consumatori; d’altro lato, però, il n. 3 riconosce che gli accordi che limitano la concorrenza possono apportare una riduzione dei costi di produzione, così contribuendo in via indiretta al benessere dei consumatori93, che ne beneficiano laddove partecipino alle economie realizzate. La Corte di Giustizia sostiene che ai fini dell’applicazione dell’art. 81, n. 1, TCE (ora art. 101, n. 1, TFUE), si deve vagliare il tenore delle disposizioni dell’accordo e gli scopi oggettivi che esso persegue, a nulla rilevando che le parti abbiano agito senza intenzione soggettiva di restringere la concorrenza, bensì allo scopo di rimediare agli effetti di una crisi del settore. Infatti, si deve ritenere che un accordo abbia un oggetto restrittivo anche se non ha come unico obiettivo una restrizione della concorrenza, ma persegue anche il conseguimento di altri obiettivi 92 BELLAMY & CHILD, European Community Law of Competition, Oxford, 6ª ed., 2008, punto 2.112. 93 ODUDU, «Art. 81 (3), Discretion and Direct Effect», in European Competition Law Review, 2002, p. 20. 42 legittimi94. Ciò non significa che la volontà delle parti, che si può evincere dalla genesi dell’accordo, non possa essere presa in considerazione; per il vero, dal rapporto di alternanza fra l’oggetto e l’effetto delle restrizioni della concorrenza previsto dall’art. 81, n. 1, nonché dalla circostanza che esso sembrerebbe configurato come un reato di pericolo astratto, deriva che non si deve fare riferimento solo alle conseguenze che un accordo comporta necessariamente. Semmai, elementi quali gli effetti concreti di una pratica o di un accordo possono essere presi in considerazione nel contesto dell’art. 81, n. 3, del Trattato Ce, per derogare al divieto sancito dal n. 1 dello stesso articolo, essendo previsto che le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili agli accordi, decisioni, pratiche «che contribuiscano a migliorare la produzione e la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico». Il secondo aspetto di grande rilievo della sentenza è l’interpretazione della nozione di infrazione per oggetto. Secondo una prima tesi essa dovrebbe intendersi quale restrizione qualificata e quale accordo che limitano in quanto tali la concorrenza, da determinarsi in maniera restrittiva così da includervi un numero limitato di gravi restrizioni della concorrenza, quali gli accordi sui prezzi, le limitazioni della produzione e le ripartizioni del mercato o dei clienti, individuate dall’art. 81, n. 1, lett. a)-c) (ora art. 101, n.1, TFUE); solo accordi a tal punto manifesti e dannosi realizzerebbero una restrizione della concorrenza per oggetto. La Corte, rigettando tali argomentazioni, ha chiarito le condizioni per l’applicazione dell’art. 81 del Trattato. Ai sensi e per gli effetti di esso, l’obiettivo degli accordi deve essere una restrizione della concorrenza, ma il criterio in sé risulta difficile da definire. L’art. 81, infatti, tutela la 94 Vedi sentenza General Motors, nt. 84. 43 concorrenza per la sua funzione di creare un mercato unico che offra condizioni analoghe a quelle di un mercato interno e di permettere un soddisfacimento ottimale dei consumatori95. Per stabilire se un accordo lede questo interesse giuridicamente protetto, i giudici comunitari verificano se esso limiti la libertà di una o più imprese di determinare autonomamente la propria politica di mercato e se tale limitazione conduca ad un’alterazione sostanziale delle condizioni stesse del mercato. In primo luogo, la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto non può essere ridotta ad un elenco tassativo e completo di fattispecie, né ad accordi che restringono la concorrenza in maniera manifesta. Visto che non solo il contenuto di un accordo, ma anche il suo contesto giuridico ed economico devono essere presi in considerazione, la qualificazione come restrizione della concorrenza per oggetto non può dipendere dal fatto che tale oggetto risulti già a prima vista o si riveli solo a seguito di una verifica più approfondita delle circostanze. Per quanto concerne la supposta tassatività delle fattispecie contenute nell’art. 81, n. 1, anche se la giurisprudenza comunitaria sulla nozione di restrizione della concorrenza per oggetto ha considerato inizialmente casi aventi ad oggetto restrizioni qualificate, i giudici comunitari hanno poi considerato restrizioni della concorrenza per oggetto anche accordi intesi a realizzare scopi legittimi. Di conseguenza, l’art. 81, n. 1, del Trattato Ce risulterebbe applicabile anche ad accordi finalizzati al superamento di una crisi; un’interpretazione difforme non sarebbe compatibile con la struttura dell’art. 81. Secondo la Corte, quindi, la nozione di restrizione della concorrenza per oggetto non può essere ridotta ad un elenco completo, comprendente la 95 Sentenza Metro, nt. 53; sentenza della Corte di giustizia, del 23 novembre 2006, causa C- 238/05, Asnef-Equifax e Administración del Estado (Racc. I-11125). 44 casistica più rilevante e grave. Già la locuzione «in particolare» contenuta nell’art. 81, n. 1 indica con chiarezza che le restrizioni della concorrenza menzionate non esauriscono le possibili ipotesi da ricomprendersi nel divieto. Di conseguenza, la nozione non può essere limitata all’esemplificazione contenuta nell’art. 81, n. 1, comprendente la fissazione di prezzi, la ripartizione dei mercati o il controllo del volume delle vendite. Illustre dottrina, pur propugnando un’interpretazione molto rigorosa della nozione de qua, ritiene che l’elenco esemplificato nell’art. 81, n. 1 non sia esaustivo96. A favore di questa tesi depone il rapporto fra l’art. 81, n. 1 e l’art. 81, n. 3. Ai fini, infatti, dell’art. 81, n. 1, rileva solo che sussista una restrizione della concorrenza per oggetto o per effetto; ove ciò si realizzi, l’accordo può essere, comunque, compatibile con il mercato comune ai sensi dell’art. 81, n. 3. Pur essendo vero che gli accordi che hanno per oggetto la fissazione di prezzi, la ripartizione dei mercati o il controllo del volume delle vendite si distinguono per il carattere particolarmente lesivo, motivo per il quale non sono di regola compatibili con il mercato, una limitazione della nozione di restrizione della concorrenza per oggetto a queste fattispecie oltremodo dannose, mal si concilia con la struttura dell’art. 81, il quale prevede, al n. 3, la possibilità che sussistano ipotesi restrittive della concorrenza compatibili con il mercato comune, e, per ciò stesso, consentite. Nel caso di specie, gli accordi conclusi dalla Beef Industry vengono valutati dalla Corte come anticoncorrenziali, in quanto implicano una limitazione della libertà delle imprese, sia di quelle che si ritirano, sia di quelle che rimangono, nelle scelta delle proprie strategie economiche, 96 WHISH, Competition Law, Londra, 5ª ed., 2003; BELLAMY & CHILD, op. cit.; FAULL e NIKPAY, cit. 45 alterando così le condizioni di mercato, in particolare per la forte riduzione del 25% della capacità produttiva dell’intero settore della trasformazione a seguito dell’uscita dal mercato di singole imprese trasformatrici, che senza dubbio incide sulla concorrenza. Attraverso un ragionamento a contrario, la Corte osserva che, in assenza dei contratti della BIDS, per la funzione selettiva della concorrenza rimarrebbero sul mercato le imprese più efficienti, mentre gli accordi elaborati dalla Beef Industry, prevedendo l’uscita concordata di alcune imprese a condizioni definite, alterano i meccanismi tipici del mercato, restringendo la libertà di autodeterminazione delle imprese nella scelta delle proprie politiche. Emerge così, come metodo di valutazione di grande interesse, che, per stabilire se determinati accordi alterino le condizioni di mercato, bisogna procedere ad un paragone fra due possibili situazioni: quella configurabile in assenza di tali accordi e quella configurabile dando applicazione agli stessi, considerato che l’art. 81, n. 1, del Trattato Ce tutela anche la concorrenza potenziale97. Come la lettura stessa della disposizione suggerisce, viene in rilievo, infatti, sia l’alterazione attuale sia quella solo potenziale della concorrenza. Per l’applicazione della disciplina antitrust non è necessario che una alterazione della concorrenza si sia prodotta; è sufficiente anche una valutazione prognostica, che consideri la capacità di un certo comportamento a determinare, per un futuro più o meno immediato, una falsificazione della concorrenza nel mercato98. In conclusione del suo ragionamento, la Corte ritiene che gli accordi del tipo di quelli conclusi dalla Beef Industry siano da considerarsi vietati ai sensi dell’art. 81, n. 1, del Trattato Ce, dal momento che contrastano con la 97 Sentenza Delimitis, nt. 29. 98 Sul concetto di concorrenza potenziale si veda la decisione della Commissione del 14 luglio 1986, Fibre Ottiche, in GUCE, L 236/1986. 46 concezione intrinseca alle norme del Trattato Ce in materia di concorrenza, in base alla quale ogni operatore economico deve determinare autonomamente la politica che si propone di praticare sul mercato. «L’art. 81, n. 1, Ce intende infatti evitare ogni forma di coordinamento che sostituisca scientemente una cooperazione pratica tra imprese ai rischi della concorrenza». In un sistema di concorrenza non alterato, le imprese non hanno «altro modo di migliorare la propria redditività che intensificare la loro rivalità commerciale o ricorrere ad operazioni di concentrazione». Attraverso accordi del tipo di quelli conclusi dalla Beef Industry, invece, le imprese «possono risparmiarsi tale processo e condividere una parte importante dei costi necessari per accrescere il livello di concentrazione del mercato». Secondo alcuni commentatori il ragionamento della Corte, che rievoca l’antica questione dell’Industria europea dello zucchero in merito alla nozione di «pratica concertata», condurrebbe all’estremo di considerare tutti gli accordi tra imprese in competizione come aventi un oggetto anticoncorrenziale, ponendo l’accento sull’oggetto in sé di un accordo, anziché sugli effetti, contrariamente all’impostazione dominante in diritto della concorrenza, che insiste sull’importanza di una analisi degli effetti99. Il caso di specie dimostra che utilizzare per l’analisi dell’accordo o dell’intesa le fattispecie tipizzate di restrizioni alla concorrenza potrebbe risultare inappropriato; inoltre, per un accertamento scrupoloso di accordi e intese, come l’esame delle condizioni dei contratti BIDS svolto dalla Corte, è necessario considerare attentamente anche gli elementi del contesto giuridico ed economico rilevanti in cui si realizzano gli accordi e le pratiche, contesto che assume rilevanza decisiva solo nella misura in cui 99 IDOT, Prise de position de la Cour de justice des Communautés européennes sur la notion d’«accord ayant un objet anticoncurrentiel», in Revue des contrats, n. 1, 2009. 47 metta in dubbio o giustifichi una restrizione della concorrenza altrimenti vietata. Altri elementi possono essere valutati solo nell’ambito dell’art. 81, n. 3, del Trattato Ce e la compatibilità di pratiche ed accordi con la normativa antitrust deve essere valutata dagli stessi operatori che li pongono in essere, soprattutto in virtù della nuova disciplina antitrust introdotta nell’ordinamento comunitario con i regolamenti applicativi. La Commissione europea, che nella controversia in esame ha presentato le proprie osservazioni scritte, pare avere colto la rilevanza della decisione della Corte nell’aver sostenuto che l’oggetto degli accordi BIDS era con tutta evidenza anticoncorrenziale, così che non era necessario analizzare il loro effetto. A seguito della pubblicazione della sentenza, la Commissione ha reso noto che «la decisione della Corte è importante in quanto ribadisce che gli accordi tra concorrenti restrittivi della capacità produttiva o della produzione rappresentano limitazioni significative della concorrenza, che frequentemente danneggiano i consumatori»100. La Commissione sembrerebbe, però, sottostimare l’importanza della decisione della Corte sulla nozione di restrizione per oggetto, in connessione con il contesto economico-giuridico di riferimento, così come sembrerebbe non considerare adeguatamente la statuizione secondo cui l’art. 81, n. 1, del Trattato Ce non va inteso come un elenco finito e completo di restrizioni della concorrenza per oggetto. Infine, in termini più generali, l’applicazione dell’art. 81, n. 1, del Trattato Ce, secondo la Corte, deve avere luogo a prescindere dalla situazione economica esistente in un particolare mercato; infatti, l’intento di un fine legittimo di un accordo non preclude l’esistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto e l’attuazione della normativa a tutela della concorrenza non è esclusa per gli accordi che sono animati dalla finalità di 100 Antitrust: la Commissione accoglie con favore la decisione della Corte nel caso Irish Beef, Bruxelles, 20 novembre 2008, MEMO 08/728. 48 arginare o superare gli effetti di una crisi economica e finanziaria in tempi di recessione, come quelli attuali; oltre a ciò, le legittime finalità di regolazione della produzione devono essere perseguite con strumenti appropriati che non mettano in pericolo i principi basilari della concorrenza nel libero mercato di cui sono intrise le norme del Trattato comunitario. Rimane l’interrogativo se sia utile e opportuna una stretta applicazione delle norme del Trattato, che affidi solo al mercato la funzione selettiva degli operatori interessati, piuttosto che assecondare accordi finalizzati a raggiungere i medesimi risultati coinvolgendo e impegnando gli stessi protagonisti della competizione economica. La tutela della libertà di concorrenza assume un valore sicuramente essenziale per lo sviluppo dell’economia. Ma una sua applicazione in termini assolutamente rigorosi, può comportare sacrifici eccessivi di beni e di risorse, con risultati discutibili sul piano della stessa razionalità economica. Per tornare all’analisi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, gli accordi non rientrano nel divieto di cui allo stesso articolo se non producono un effetto sensibile sulla concorrenza. Sebbene la formulazione della norma suggerisca che è vietata qualsiasi restrizione della concorrenza, a prescindere dalla sua intensità, la Corte di giustizia, come già ricordato, ha sancito il principio della regola de minimis, secondo il quale, affinché un accordo sia contrario all'art. 101, paragrafo 1, l'effetto restrittivo deve essere sensibile. In Völk c. Vervaecke, la Corte ha stabilito che «l'accordo non ricade sotto il divieto dell'articolo 81, paragrafo 1 [ora art. 101, paragrafo 1, TFUE] qualora, tenuto conto della debole posizione dei partecipanti sul mercato dei prodotti di cui trattasi, esso pregiudichi il mercato in misura irrilevante»101. 101 Sentenza della Corte di giustizia, del 9 luglio 1969, in causa 5/69, Völk c. Vervaecke, [1969], in Racc. 295 (punti 5-7). 49 La Commissione ha fornito degli orientamenti in materia di applicazione della regola de minimis in una serie di successive comunicazioni, l'ultima delle quali è stata emanata nel 2001102. Lo scopo della Comunicazione de minimis è di determinare, sulla base delle soglie di quota di mercato, i casi in cui la restrizione della concorrenza ai sensi dell'articolo 101, paragrafo 1, TFUE non sia sensibile. Nella Comunicazione de minimis la Commissione ha stabilito il principio secondo cui, allorché le quote di mercato delle parti di un accordo non superino determinate soglie prestabilite, l'accordo, in linea di principio, non è in grado di restringere in modo sensibile la concorrenza. La Comunicazione de minimis, infatti, ha il solo obiettivo di individuare delle soglie al di sotto delle quali possa essere esclusa la violazione dell'articolo 101, paragrafo 1, TFUE. Per i più svariati motivi può accadere che accordi tra imprese, che eccedono le soglie di quota di mercato individuate dalla Comunicazione de minimis, possano ciononostante avere effetti trascurabili sulla concorrenza e, di conseguenza, non ricadere nel divieto di cui all'art. 101, paragrafo 1, TFUE. Tradizionalmente la finalità della concorrenza viene individuata innanzitutto in quella di assicurare l’affermazione sul mercato degli imprenditori più meritevoli, ma vi è anche il fine di salvaguardare gli interessi dei consumatori. Tuttavia, altre finalità appaiono perseguite dal diritto comunitario, come l’integrazione del mercato, la massimizzazione del numero dei concorrenti, la promozione della libertà di ingresso nel mercato, la competitività internazionale. Per realizzare questi obiettivi è necessario che la preferenza sia data all’economia di mercato, ovvero a quel sistema economico in cui la libertà 102 Vedi nt. 75. 50 di concorrenza assurge a valore fondativo dell’ordinamento comunitario. Questo implica che le decisioni sulla domanda e sull’offerta devono essere adottate liberamente dai consumatori e dai produttori; quindi le scelte degli acquirenti e le strategie delle imprese dovrebbero risultare guidate dalle dinamiche del mercato e dalla competizione, e non già dalle istituzioni comunitarie o dagli Stati membri. Ma se il settore della disciplina della concorrenza è il campo delle relazioni tra imprese, cioè il campo di regolazione di libertà “orizzontali”, mentre la libertà di iniziativa economica esprime una dimensione “verticale”, si avverte la necessità di regole che impediscano alle imprese comportamenti incompatibili con un sistema di gara leale, efficace e non distorta; e altresì si avverte la necessità di altre regole dirette a rendere compatibili con i principi della concorrenza gli interventi che gli Stati volessero effettuare sui mercati o nei confronti delle imprese nazionali. Sotto questo duplice profilo vengono in evidenza le norme che vietano gli accordi tra imprese (art. 101 del TFUE, già art. 81 del Trattato di Roma) e l’abuso di posizioni dominanti (art. 102 TFUE, già art. 82), da un lato, e le norme in tema di aiuti di Stato (art. 107 TFUE, già art. 87). In forza dell’applicazione attenta e rigida di queste norme, la libertà di concorrenza ha svolto e continua a svolgere un ruolo essenziale per l’integrazione comunitaria, avendo concorso all’abolizione delle barriere all’interno dell’Unione, anche e soprattutto per l’azione della Corte di giustizia che ha più volte ribadito il divieto per gli Stati membri di porre in essere qualsiasi misura atta a privare le regole di concorrenza del loro effetto utile103. Ne deriva la necessità di considerare anche la misura degli effetti delle intese sul mercato, con la conseguenza di dover procedere ad un’analisi del 103 Sentenza della Corte di giustizia, del 13 febbraio 1969, in causa C-13/68, Wilhelm. 51 mercato se si vuole dimostrare che un accordo abbia l’effetto di produrre una restrizione della concorrenza. Nella valutazione dell’impatto che le intese devono avere sul mercato, acquista importanza la nozione di “mercato rilevante”, cioè occorre tenere conto dell’estensione materiale del mercato dei prodotti, ovvero del mercato come «l’insieme dei prodotti che in funzione delle loro caratteristiche sono particolarmente atti a soddisfare bisogni costanti e sono poco intercambiabili con altri prodotti»104, e ciò al fine di potere valutare in concreto se la vittima del preteso comportamento abusivo possa sottrarvisi rivolgendosi a fornitori di beni o servizi equivalenti. Ne è conseguita la prassi della Corte di giustizia, secondo cui non raggiungono la soglia di “sensibilità”, pretesa per l’applicazione della normativa anticoncorrenziale, le intese c.d. de minimis, ovvero quelle intese tra imprese detentrici di una modesta quota di mercato, e ciò per la scarsa apprezzabilità dei loro effetti sulla concorrenza105. Con riguardo a tale aspetto, va aggiunto che la giurisprudenza della Corte ha enucleato anche il principio c.d. di ragionevolezza o rule of reason, per il quale è necessario valutare in modo comparativo gli elementi delle varie intese, salvando le restrizioni alla libertà di azione delle imprese che sono, nel concreto, compensate o superate da altri effetti incentivanti la concorrenza, e ciò mediante un approccio di tipo economico diretto a valutare l’effettiva ripercussione degli accordi sul mercato e tenendo conto sia della struttura del mercato interessato, sia del reale potere delle parti su tale mercato106. 104 Decisione della Commissione del 7 marzo 2003, Michelin. Sentenza Völk, nt. 101. 106 Sono stati, ad esempio, ritenuti legittimi i patti temporanei di non concorrenza “ancillari” ad accordi di cessione di azienda (sentenza della Corte di giustizia, dell’11 luglio 1985, in causa C-42/84, Remia), i contratti di licenza esclusiva di vendita (sentenza della Corte, dell’8 giugno 1982, in causa C-258/78, Nungesser), i contratti di franchising per alcuni prodotti (sentenza della Corte, del 28 gennaio 1985, in causa C-161/84, Pronuptia), i contratti di 105 52 Allo stesso modo va aggiunto che la dottrina sovente ha sollevato la questione se la regola di ragionevolezza – che comporta la necessità di bilanciare gli effetti favorevoli alla concorrenza con quelli sfavorevoli di un determinato accordo allo scopo di determinare se esso sia o meno contrario all’art. 101 (1) – dovesse trovare riconoscimento nell’ordinamento comunitario107. L'articolo 101, paragrafo 2, TFUE stabilisce che gli accordi o decisioni vietati ai sensi del paragrafo 1 «sono nulli di pieno diritto», senza che sia necessaria una previa decisione in tal senso. La regola della nullità di pieno diritto riflette i principi stabiliti dall'art. 3 (1) (b) TFUE, il quale prevede che l'art. 101 TFUE è essenziale per lo svolgimento delle competenze affidate all'Unione europea e, in particolare, per il funzionamento del mercato interno108. Un accordo o una pratica che violi l'art. 101, paragrafo 1, è, tuttavia, esentato dal divieto, qualora risultino soddisfatte le quattro condizioni previste dall'articolo 101, paragrafo 3. La sussistenza dei requisiti di cui al paragrafo 3 è, peraltro, presunta nel caso in cui l'intesa rientri in un'esenzione per categoria. Essendo il primo paragrafo dell’art. 101 TFUE norma direttamente applicabile, le autorità preposte alla tutela della concorrenza e i giudici nazionali hanno il potere di dichiarare un'intesa nulla ai sensi del paragrafo 2. La Corte di giustizia ha chiarito al riguardo che la sanzione di nullità si estende solo alle clausole dell'accordo o della pratica che violino l'art. 101, distribuzione quando la rete di accordi non vincola un numero considerevole di punti vendita e per un periodo prolungato (sentenza Delimitis, cit.). 107 Dopo avere negato l’esistenza della regola di ragionevolezza, la Corte di giustizia con la sentenza Wouters, citata a nt. 63, ha riacceso il dibattito. Per una discussione più approfondita della sentenza si veda WHISH, Competition Law, Oxford University Press, 2003, pp. 120-123. 108 Sentenza della Corte di giustizia, del 1 giugno 1999, in causa C-126/97, Eco Swiss China Time Ltd. c. Benetton, [1999], in Racc. I-3055 (punto 36). 53 paragrafo 1, TFUE109. Le conseguenze della nullità delle clausole anticoncorrenziali rispetto all'intero accordo, cioè rispetto alle clausole dell'accordo non colpite dalla sanzione di nullità, non dipendono, peraltro, dal diritto europeo, bensì sono determinate dai tribunali nazionali conformemente ai principi stabiliti dalle rispettive legislazioni110. Le altre parti dell'accordo possono, pertanto, conservare validità ed efficacia nella misura in cui ciò sia possibile in base al diritto nazionale. L'articolo 101, paragrafo 3, TFUE disciplina le condizioni da soddisfare perché un'intesa, che violi il paragrafo 1, possa godere di un'esenzione dal divieto e, quindi, evitare la sanzione di nullità di cui al paragrafo 2. Il paragrafo 3 esclude dal divieto le intese che «contribuiscono a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico», purché riservino agli utenti una congrua parte dell’utile che ne deriva e non diano alle imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui si tratta, e purché le intese non contengano restrizioni non indispensabili per raggiungere i detti obiettivi. Con tale ipotesi si è al di là della valutazione dei soli profili concorrenziali, per la quale è sufficiente la rule of reason: qui la Commissione fa un vero e proprio bilancio economico delle intese nel contesto giuridico in cui si collocano111. La Commissione originariamente aveva la competenza esclusiva sull'applicazione dell'art. 101, paragrafo 3, TFUE; il nuovo Regolamento di procedura ha profondamente cambiato le modalità di applicazione della 109 Sentenza della Corte di giustizia, del 30 giugno 1966, in causa 56/65, Société Technique Minière c. Maschinenbau Ulm, in [1966] Racc., 262. 110 Sentenza della Corte di giustizia, del 14 dicembre 1983, in causa 319/82, Société de Vente de Ciments et Bétons de l'Est c. Kerpen & Kerpen, [1983], in Racc. 4173 (punti 11-12). 111 Sono state così dichiarate ammissibili intese giustificate con esigenze di tutela dell’ambiente (Decisione della Commissione dell’8 dicembre 1983, Carbon Gas Technologie), di politica sociale (sentenze Corte di giustizia, del 25 ottobre 1977, in causa C-26/76, Metro I, e 22 ottobre 1986, in causa C-75/84, Metro II) e di politica energetica (Decisione della Commissione del 30 aprile 1991 in Scottish Nuclear). 54 norma, sancendone la diretta applicabilità da parte dei giudici e delle autorità nazionali garanti della concorrenza: la disposizione è stata così trasformata in una vera e propria eccezione legale, opponibile dalle imprese nell'ambito dei procedimenti per violazione dell'art. 101, paragrafo 1, TFUE, senza il bisogno di alcuna preventiva decisione di esenzione al riguardo. La Commissione ha adottato Linee direttrici sull'art. 101, paragrafo 3, TFUE112, allo scopo di fornire alle autorità sulla concorrenza e ai tribunali nazionali un'utile guida in materia. Lo scopo del paragrafo 3 è quello di consentire alle intese che violino il paragrafo 1 di non essere vietate qualora siano in grado di generare guadagni di efficienza che prevalgano rispetto alle restrizioni della concorrenza. La valutazione degli accordi restrittivi ai sensi del paragrafo 3 in questione è effettuata con riferimento al contesto effettivo in cui tali accordi sono conclusi e sulla base degli elementi di fatto esistenti in un dato momento. Il rispetto delle condizioni in esso previste deve permanere per tutta la durata dell'accordo. Nel caso in cui, dopo la conclusione di un accordo, una o più di queste condizioni vengano meno, l'esenzione non sarà più efficace. Ai fini della valutazione di tutte le circostanze rilevanti per la qualifica di accordi e pratiche e la eventuale comminazione delle sanzioni risulta utile l’analisi della sentenza del Tribunale di Primo grado Cetarsa c. Commissione113, in cui si è dibattuto della gravità e durata delle infrazioni accertate e l’applicazione del principio di proporzionalità nel comminare le sanzioni da parte della Commissione114. 112 Vedi nt. 80. Sentenza Trib. primo grado, del 3 febbraio 2011, in causa T-33/05, Cetarsa c. Commissione, in GU C 82 del 2.4.2005. 114 La pronuncia prende avvio dal ricorso proposto contro la Commissione, per chiedere l’annullamento della decisione di quest’ultima del 20 ottobre 2004, relativa ad un procedimento di applicazione dell’art. 81, n. 1, del Trattato CE [ora art. 101, n. 1, TFUE]. A sostegno dei suoi 113 55 L’antecedente vede la ricorrente, SA Cetarsa, una delle quattro imprese di prima trasformazione di tabacco greggio in Spagna, coinvolta nella procedura volta ad accertare la violazione dell’art. 81 Trattato CE, manifestare la propria volontà di cooperare, fornendo le informazioni richieste dalla Commissione. Al termine degli accertamenti la Commissione ha adottato la decisione di violazione dell’art. 81 da parte di due accordi orizzontali conclusi e attuati sul mercato spagnolo del tabacco greggio, aventi ad oggetto la fissazione dei prezzi di vendita e la ripartizione delle quote assegnate a ciascuna società di trasformazione, valutati come un’infrazione unica e continuativa dell’art. 81, determinando le ammende da comminare a ciascuna impresa partecipante agli accordi. L’ammontare delle ammende è stato determinato in funzione della gravità e della durata delle infrazioni commesse, applicando il metodo individuato dalle Linee Guida. Nella valutazione sulla gravità delle intese, la Commissione ha tenuto conto della natura delle infrazioni, del loro impatto concreto sul mercato, dell’estensione geografica del mercato e delle dimensioni dello stesso. Secondo giurisprudenza consolidata l'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, TFUE non pregiudica l'applicazione dell'articolo 102 TFUE (ex art. 82 TCE)115, che sanziona l’abuso di posizione dominante sul argomenti la ricorrente adduce motivi tra i quali l’imposizione di una sanzione troppo elevata e sproporzionata, l’erronea valutazione delle circostanze del caso di specie che hanno portato all’inquadramento della fattispecie quale violazione della normativa a tutela della concorrenza, l’errata valutazione della durata delle pratiche contestate e l’errata valutazione della partecipazione della ricorrente alle pratiche anticoncorrenziali. 115 L’art. 102 TFUE stabilisce: «È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei 56 mercato116; sull’argomento si veda più approfonditamente in seguito. L'articolo 101, paragrafo 3, TFUE prevede che un accordo o una pratica che vìola il paragrafo 1 possa godere di un'esenzione, e pertanto essere valido ed efficace, se sono contemporaneamente soddisfatte quattro condizioni. Secondo il Regolamento di procedura l'onere della prova della sussistenza delle condizioni sostanziali di cui all'articolo 101, paragrafo 3, TFUE incombe sulla parte che chiede di poter beneficiare dell'esenzione. Specificamente, ai sensi dell'articolo, l'intesa: deve contribuire a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o dei servizi o a promuovere il progresso tecnico o economico; deve riservare agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva; non deve imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi; e non deve dare alle imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti (o servizi) di cui trattasi. Essendo tali condizioni cumulative, qualora si accerti la mancanza di una sola di esse, l'esenzione non può essere applicabile e quindi viene meno il bisogno di procedere ad ulteriori valutazioni dell'accordo o della pratica in relazione alle altre condizioni. Le esenzioni per categoria, invece, riguardano intere categorie di intese che, sulla base di una valutazione preventiva condotta in astratto, risultano soddisfare ciascuna delle condizioni poste dal paragrafo 3 consumatori; nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; d) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi». 116 Si vedano le Linee direttrici sull'articolo 81 (3) [ora 101 (3)], par. 106. c) 57 dell'articolo 101 TFUE. La normativa in vigore ad oggi comprende le seguenti esenzioni per categoria: accordi verticali117, accordi di cooperazione orizzontale118, accordi di trasferimento di tecnologia119, accordi raggiunti nel settore delle assicurazioni120, accordi e pratiche nel settore automobilistico121, accordi e pratiche settore dei trasporti122. Un’attenzione particolare è stabilita, inoltre, dalla Commissione nel settore dei servizi postali, nel settore delle professioni e nel settore delle telecomunicazioni, senza, peraltro, siano previste, al momento attuale, esenzioni specifiche. Se un accordo vìola l'articolo 101, paragrafo 1, TFUE ma rientra in 117 Regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione, relativo all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, in GU L 102 del 23.4.2010. 118 Regolamento n. 1218/2010 della Commissione del 14 dicembre 2010, relativo all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi di specializzazione, in GU L335/43 del 18.12.2010 (“Regolamento di esenzione degli accordi di specializzazione”). Regolamento n. 1217/2010 della Commissione del 14 dicembre 2010, relativo all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi in materia di ricerca e sviluppo, in GU L335/36 del 18.12.2010 (“Regolamento di esenzione degli accordi in materia di ricerca e sviluppo”). 119 Regolamento n. 772/2004 della Commissione del 27 aprile 2004, relativo all'applicazione dell'articolo 81, par. 3, del Trattato a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia, in GUCE, 2004 L123/11 (“Regolamento di esenzione sugli accordi di trasferimento di tecnologia”). Attualmente è in corso di revisione la normativa disciplinante gli accordi di trasferimento di tecnologia, in quanto l’attuale regolamento cesserà di essere vigente il 27 aprile 2014. 120 Regolamento n. 267/2010 della Commissione del 24 marzo 2010, relativo all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato a talune categorie di accordi, decisioni e pratiche concordate nel settore delle assicurazioni, in GU 2010 L83/1 del 30.3.2010 (“Regolamento di esenzione nel settore delle assicurazioni”). 121 Regolamento n. 461/2010 della Commissione del 27 maggio 2010, relativo all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico, in GU L 129/52 del 28.5.2010 (“Regolamento di esenzione nel settore automobilistico”). 122 Regolamento n. 906/2009 della Commissione del 28 settembre 2009, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a talune categorie di accordi, di decisioni e di pratiche concordate tra compagnie di trasporto marittimo di linea (consorzi), in GU L256/31 del 29.9.2009, che avrà efficacia sino al 25 aprile 2015; Regolamento n. 1459/2006 della Commissione del 28 settembre 2006, sull'applicazione dell'articolo 81, par. 3, del Trattato a talune categorie di accordi e pratiche concordate concernenti le consultazioni sulle tariffe per i passeggeri nell'ambito dei servizi aerei di linea e sull'assegnazione di bande orarie negli aeroporti, in GUUE 2006 L272/3 (“Regolamento di esenzione per categoria del trasporto aereo”), tale esenzione per categoria è stata adottata per un breve periodo di tempo, ora scaduto. 58 una delle sopraddette esenzioni per categoria, le parti sono dispensate dall'onere di dimostrare che l'accordo soddisfa le condizioni di cui all'articolo 101, paragrafo 3. Per concludere, occorre precisare che, inizialmente, le esenzioni non erano automatiche, ma dovevano essere oggetto di una specifica decisione da parte della Commissione, la cui pronuncia assume, così, natura costitutiva. Con l’entrata in vigore del regolamento n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002 la regola generale viene capovolta ed ora vige il sistema della non necessità di una preventiva decisione di autorizzazione delle intese123, dal momento che d’ora in poi gli accordi che non soddisfano le condizioni dell’art. 101, paragrafo 3 TFUE «sono vietati senza che occorra una previa decisione in tal senso», mentre quelli che le soddisfano non sono vietati negli stessi termini (art. 1 del regolamento n. 1/2003)124. Inoltre, per l’art. 5 del Regolamento, è attribuito alle autorità nazionali di tutela della concorrenza e del mercato il potere di valutare, anche ai sensi del diritto comunitario, gli accordi, le decisioni, le pratiche concordate e gli sfruttamenti abusivi, attribuendo loro la possibilità di 123 Tuttavia, ai sensi del considerando n. 14 del Reg. n. 1/2003, non è esclusa la possibilità di avere in futuro regolamenti di esenzione per categorie, in quanto «può essere utile, in casi eccezionali dettati da ragioni di interesse pubblico comunitario, che la Commissione adotti decisioni di natura dichiarativa in ordine all’inapplicabilità del divieto di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato, al fine di rendere chiara la legislazione e di garantirne un’applicazione coerente nella Comunità, in particolare per quanto riguarda nuovi tipi di accordi o di pratiche non consolidati nella giurisprudenza e prassi amministrativa esistenti». 124 La letteratura sul Regolamento n. 1/2003 è molto ampia; tra i tanti si rimanda a P ACE, La politica di decentramento del diritto antitrust CE come principio organizzatore del Regolamento n, 1/2003: luci ed ombre del nuovo Regolamento di applicazione degli artt. 81 e 82 TE, in Riv. it. dir. pubb. comun., 2004, p. 147; PIGNATARO, Le misure di esecuzione del Regolamento n. 1/2003 concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato, in Contratto e impresa/Europa, 2004, p. 1031; NYSSEN-PECCHIOLI, Il Regolamento n. 1/2003 CE: verso una decentralizzazione ed una privatizzazione del diritto della concorrenza, in Diritto dell’Unione europea, 2003, p. 357; TOFFOLETTI, Riforma del diritto antitrust comunitario: giudizio di esenzione e diritti dei singoli, in Governo dell’impresa e mercato delle regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, t. II, p. 995; TOSATO, Il processo di modernizzazione, in TOSATO-BELLODI, Il nuovo diritto europeo della concorrenza. Aspetti procedurali; Milano, 2004, p. 25. 59 ordinare la cessazione delle infrazioni e di comminare sanzioni125. Addirittura viene decretato che l’art. 81 (3) [ora art. 101(3)] possa essere invocato dai privati dinanzi ai giudici nazionali senza il preventivo consenso della Commissione; per cui anche le Autorità garanti della concorrenza nazionali e i giudici nazionali sono legittimati ad applicare la normativa europea prevista dal Trattato (ora TFUE) e l’onere della prova, secondo quanto previsto dal medesimo regolamento, è posto a carico di chi (Autorità garante o parte interessata) deduce la violazione della normativa europea sul divieto delle intese, mentre resta a carico dell’impresa, che invoca la deroga, dimostrarne la fondatezza126. 125 PERA-CASSINIS, Applicazione decentrata del diritto comunitario della concorrenza: la recente esperienza italiana e le prospettive di modernizzazione, in Dir. comm. internaz., 1999, p. 700; FRIGNANI-GENTILE-ROSSI, Prime riflessioni intorno al «Libro bianco» della Commissione sulla «modernizzazione», in Mercato, concorrenza e regole, 2000, p. 171; GHEZZI, Il libro bianco della Commissione sulla modernizzazione del diritto della concorrenza comunitario, in Concorrenza e mercato, 2000, p. 175; MAGGIOLINO, Il progetto di Regolamento comunitario in materia di procedure di applicazione degli artt. 81 e 82, in Concorrenza e mercato, 2001, p. 281. 126 I giudici e le Autorità nazionali, quando si pronunciano su accordi, decisioni o pratiche già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con quella della Commissione, come decretato dall’art. 16 del Reg. n. 1/2003. Prima che intervenisse quest’ultimo provvedimento, la questione è stato oggetto della sentenza della Corte di giustizia 14 dicembre 2000, in causa C-344/98, Masterfoods, la quale traeva origine da una clausola di esclusiva contenuta nei contratti stipulati da dettaglianti irlandesi con la società fornitrice del prodotto alimentare, clausola che secondo quest’ultima era illecita così come ritenuto dalla Commissione, mentre era pendente il giudizio davanti alla Corte di Cassazione irlandese. La Corte di giustizia ha stabilito che il giudice nazionale non può adottare decisioni in contrasto con quelle della Commissione e deve sospendere il suo giudizio, fin tanto che la Corte di giustizia non si è pronunciata sul ricorso di annullamento della decisione della Commissione. Ne deriva che, sulla base dell’architettura giuridica disegnata dal Trattato, la Corte ha attribuito alla Commissione un ruolo preminente per quanto riguarda l’applicazione della disciplina della concorrenza, rimanendo quest’ultima assoggettata solo al controllo della Corte di giustizia. Sull’orientamento espresso dai giudici di Lussemburgo si sono basate successive pronunce, come, ad esempio, la sentenza della Corte di giustizia 13 gennaio 2004, in causa C453/00, Kühne & Heitz, dove l’organo giudicante si è spinto ad affermare che «in presenza di una successiva giurisprudenza comunitaria difforme, il principio di cooperazione rende “doveroso” per l’amministrazione nazionale il riesame, su istanza di parte, dei provvedimenti adottati anche se divenuti definitivi in seguito al passaggio in giudicato di una sentenza interna di ultima istanza». Per un commento di questa pronuncia si rinvia a R INALDI, Miracoli dei polli olandesi: la primauté del diritto comunitario va “oltre” il giudicato nazionale “anticomunitario”. E all’Amministrazione spetta il compito di rimediare…, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2005, p. 651. Anticipando in questa sede quanto sarà riportato nel testo nel capitolo apposito in riferimento al ruolo e ai compiti della Commissione, da una parte, e delle Autorità garanti e dei giudici nazionali, dall’altra, sia consentito ricordare che il Reg. n. 1/2003 prevede la possibilità di collaborazione tra la Commissione e gli organi nazionali competenti in materia di concorrenza, in ordine alla possibilità che i giudici hanno di rivolgersi alla Commissione per ottenere informazioni 60 2. Le peculiarità della disciplina della concorrenza per il settore agrario nell’ordinamento europeo: l’art. 42 TFUE La disciplina della concorrenza ha trovato sin dall’origine una sua precisa collocazione nel diritto europeo dell’agricoltura. I pochi articoli dedicati all’agricoltura e alla pesca nel Trattato (originariamente artt. 38-46 del Trattato che istituisce la CEE, poi 32-38 a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Maastricht sull’Unione europea, ora artt. 38-44 TFUE), delineano gli obiettivi a cui mirare nell’attuazione della politica agricola comune e gli strumenti adeguati a realizzarla: tra di essi, l’attuale articolo 42 TFUE tratteggia i limiti che le regole generali sulla concorrenza incontrano per il settore agricolo, in considerazione della strutturale differenza della sua economia rispetto agli altri comparti, che ha portato gli estensori a destinarne una normativa a sé stante127. La specialità dell’agricoltura risiede, in particolare, nella sua struttura sociale e nelle disparità naturali delle zone agricole, ma nel contempo essa si presenta in stretta connessione con il resto dell’economia (art. 39 TFUE, ex art. 33 TCE): ne consegue la necessità di adattare gli strumenti individuati per la costruzione del mercato comune alla peculiarità del settore. Contrariamente a quanto sostenuto da autorevole dottrina128, l’originario art. 42 del Trattato CEE (poi art. 36, ora art. 42 TFUE) segnala il singolare o pareri sull’applicazione del diritto europeo della concorrenza (art. 15, paragrafo 1), e in ordine alla facoltà della Commissione e delle Autorità garanti di indirizzare osservazioni scritte o orali non vincolanti agli organi giudicanti quando questi si trovino a fare applicare la normativa sovranazionale (art. 15, paragrafo 3). 127 SNYDER, Diritto agrario della Comunità Europea, trad. it., Milano, 1989, p. 26; GERMANÒ e ROOK BASILE, Diritto agrario, in Trattato di diritto privato dell’Unione europea, diretto da AJANI e BENACCHIO, Torino, 2006, p. 189 ss. 128 VENTURA, La politica agricola, in Manuale di diritto comunitario, a cura di PENNACCHINI-MONACO-FERRARI BRAVO, II, Torino, 1984, p. 274, riteneva che il Regolamento n. 26/62 di attuazione delle norme del Trattato riservate all’agricoltura costituisse «un testo di portata generale», perché doveva applicarsi «a tutti i prodotti agricoli indipendentemente dal fatto che essi [fossero] o meno sottoposti ai meccanismi specifici di un’organizzazione comune dei mercati». 61 trattamento riservato all’agricoltura rispetto agli altri settori economici con particolare riguardo alla disciplina in materia di concorrenza. Invero, come ha osservato la Corte di giustizia129, con tale disposizione «sono stati riconosciuti nel contempo sia la priorità della politica agricola rispetto agli obiettivi del Trattato nel settore della concorrenza, sia il potere del Consiglio di decidere in quale misura le regole della concorrenza vengono ad applicarsi nel settore agricolo»130. Il che significa che la concorrenza è solo uno strumento per il perseguimento della politica agricola comune e, dunque, ben può essere legittimamente sacrificata al fine di perseguire gli obiettivi di cui all’art. 33 TCE (ora art. 39 TFUE). L’applicazione delle norme antitrust, infatti, secondo la giurisprudenza di Lussemburgo, non può valere come giustificazione per derogare alle norme della PAC131. L’unica “concessione” ammessa è quando il Consiglio considera ad esempio un aiuto pubblico compatibile con il mercato comune (art. 107, par. 3, TFUE, ex art. 87, par. 3, TCE). Questa mancanza di coordinamento nella normativa è risultata in alcuni casi significativa, come nel settore viti-vinicolo, caratterizzato da sempre da strutturali problemi di sovrapproduzione132. Questa considerazione risulta corretta anche in riferimento agli aiuti eventualmente destinati dai singoli Stati e che potrebbero essere distorsivi della concorrenza, come contenuto nel paragrafo 2 dell’art. 36 TCE (ora 129 Sentenza Corte di giustizia UE del 5 ottobre 1994, in causa 280/93, Repubblica federale di Germania c. Consiglio CEE, in Giur. it., 1995, I, c. 1145 con nota di VELLANO, e in Dir. e giur. agr., 1996, p. 95 ss. (con il saggio di GERMANÓ, Il principio della libertà di concorrenza e la disciplina comunitaria dell’agricoltura, ivi, p. 77 ss.). Negli stessi termini si era già espressa la sentenza Maizena c. Consiglio, in causa 139/79. 130 La tesi secondo la quale il Trattato riserverebbe condizioni di favore in materia di concorrenza al settore agricolo, e riconoscerebbe la preminenza degli obiettivi indicati nell’art. 39 TFUE rispetto alle esigenze generali della concorrenza, posta, così, in posizione ancillare, ha rilievo anche nel nostro ordinamento, laddove l’art. 1, comma 4°, legge n. 287 del 1990, come meglio si vedrà infra, in ordine all’interpretazione delle norme rinvia esplicitamente «ai principi dell’ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza». 131 Sentenza della Corte di giustizia, del 12 dicembre 2002, in causa C-456/00, Francia c. Commissione, in Raccolta 2002, p. I-11949. 132 Sentenze della Corte di giustizia, del 29 febbraio 1996, in causa C-122/94, Commissione c. Consiglio; del 19 febbraio 1998, in causa C-309/95, Commissione c. Consiglio, in Raccolta, I-655. 62 art. 42 TFUE), il quale prevede che il Consiglio possa autorizzare la concessione di aiuti da parte dei singoli Paesi membri nei limiti ivi indicati. Sotto questo profilo, il modello giuridico europeo relativo alla disciplina della concorrenza in agricoltura differisce da quello nordamericano in cui la materia della concorrenza è autonoma rispetto alla elaborazione della politica agricola133. In principio, in assenza di tale disciplina determinata dal Consiglio la normativa sulla concorrenza contenuta negli artt. 85 e 86 del Trattato è rimasta sospesa134, sino all’emanazione, comunque tempestiva, del reg. 26/62, anche se, in taluni casi, all’interno di alcune organizzazioni comuni di mercato le norme generali sulla concorrenza sono state dichiarate applicabili, in riferimento agli aiuti statali135. Nel determinare, però, la misura di applicazione delle regole della concorrenza al settore agricolo, il Consiglio, con un primo provvedimento di portata generale, quale il reg. 26/62, ha adottato una soluzione che in apparenza sembrerebbe avere ridimensionato in maniera sensibile l’opzione di fondo contenuta nell’art. 36 del Trattato CE (l’attuale art. 42 TFUE). Infatti, l’art. 1 del reg. 26/62, capovolgendo il contenuto dell’art. 42 Trattato CEE prevedeva, in linea di principio, l’applicabilità degli articoli da 85 a 90 del Trattato (poi artt. 81-86 TCE, ora artt. 101-106 TFUE), nonché le disposizioni attuative dei medesimi, fatte salve le specifiche eccezioni disposte nel successivo art. 2. L’area di applicazione del reg. 26/62 va circoscritta, secondo un indirizzo costante della Corte di giustizia, che non appare meritevole di 133 JANNARELLI, La concorrenza nel sistema agroalimentare e la globalizzazione dei mercati, cit., p. 435. 134 Sentenza della Corte di giustizia, del 21 febbraio 1984, in causa 337/82, St. Nikolaus Brennerei und Likorfabrik, in Raccolta, p. 01051. 135 Contra, sentenza della Corte di giustizia, del 25 maggio 1977, in causa 105/76, Interzuccheri S.p.A. c. Società Rezzano e Cavassa, in Raccolta, p. 01029. 63 censure136, e della stessa Commissione, ai soli prodotti ritenuti agricoli ai sensi dell’allegato II (ora all. I) del Trattato137: il criterio principale per definire l’ambito di operatività del reg. 26/62 resta quello merceologico, per cui la distinzione tra operatori agricoli in senso stretto e imprese agroindustriali è destinata a rilevare solo nel quadro delle esenzioni previste nell’art. 2 del medesimo regolamento, che, secondo l’interpretazione prevalente in dottrina, si riferisce si soli produttori agricoli, pur non mancando opinioni differenti. A giudizio di insigni studiosi, infatti, sotto questo profilo nel sistema comunitario, a differenza di quello nordamericano, il favor in materia di esenzione dall’applicazione della disciplina della concorrenza non si riferisce solo agli imprenditori agricoli in quanto tali, ma riguarda tutti gli operatori della filiera, dalla produzione sino alla commercializzazione finale. Del resto, ai fini di questa esenzione, l’accordo o l’intesa possono essere promossi non solamente da agricoltori in senso stretto, ma anche da commercianti e da industriali. E allora, «il favor delineato nel reg. 26 del 1962 per l’”agricoltura” non solo si riferisce 136 Contra, però, LORVELLEC, L’applicazione del diritto della concorrenza al settore agricolo. Aspetti di diritto francese e comunitario, in Riv. dir. agr., 1995, I, p. 297. L’orientamento della Corte di giustizia sembrerebbe valido per il fatto che il reg. 26/62, in particolare l’art. 2, introduce delle deroghe al divieto generale di accordi previsto dall’art. 101 TFUE, e, quindi, plausibilmente deve essere interpretato in senso letterale. Semmai di un atteggiamento oltremodo rigoroso della Corte e, dunque, per certi versi non condivisibile, si può parlare a proposito della conclusione che si legge nella decisione 15 dicembre 1994, in causa 250/92, in Raccolta, I, p. 5671, secondo la quale l’art. 42 del Trattato rappresenterebbe una disposizione derogatoria «il cui campo d’applicazione, analogamente a quello del regolamento n. 26, non può venire esteso implicitamente mediante l’adozione di provvedimenti fondati sull’articolo 43 del trattato, norma che attribuisce al Consiglio il potere di adottare gli atti necessari per la realizzazione della politica agricola comune». D’altro canto, non può condividersi il suggerito richiamo analogico al reg. 26/62 per interpretare l’art. 42 del Trattato: quest’ultima disposizione non solo è di rango superiore rispetto al regolamento, ma ne costituisce il fondamento giuridico. 137 Sentenza Tribunale di primo grado CE, 2 luglio 1992, in causa T-61/89, Dansk Pelchpavleforeing, che esclude l’applicazione del reg. 26/62 a un accordo relativo alla produzione di pellicce, in quanto prodotti non compresi nell’allegato I del Trattato, con commento di GERMANÒ, La nozione comunitaria di agricoltura e di prodotto agricolo, in GERMANÒ e ROOK BASILE, La disciplina comunitaria e internazionale del mercato dei prodotti agricoli, Torino, 2002, p. 52 ss. Anche la sentenza della Corte di giustizia CE, 25 agosto 1981, in causa C-61/80 Coöperatieve Stremsel en Kleurselfabriek, ha escluso l’applicazione del reg. 26/62 a prodotti di origine animale non compresi nell’All. I del Trattato, anche se utilizzati per l’ottenimento di prodotti agricoli. 64 al sistema agro-alimentare in quanto tale, ma, per certi versi, si rivela oltremodo garantista per la parte strettamente industriale dello stesso»138. Ulteriormente, in ambito nazionale, sulla modello europeo ma, alla fine, in violazione dello stesso, sono state emanate normative al fine di legittimare, ben oltre gli stessi limiti di cui al reg. 26/62, organizzazioni interprofessionali, di cui possono far parte anche soggetti economici diversi dai produttori agricoli. A titolo esemplificativo, e sul punto l’analisi sarà più esauriente nel prosieguo, è sufficiente prendere in considerazione l’art. 11 del d.lgs. 30 aprile 1998, n. 173, avente ad oggetto accordi del sistema agroalimentare. Tale norma prevede la stipula di accordi che, da un lato, possono avere come protagonisti solo produttori agricoli oppure anche altre imprese, sempre che beneficino di una stessa DOP o IGP o AS, dall’altro, si riferiscono ad «una programmazione previsionale della produzione», ovvero ad «un piano di miglioramento della qualità, avente come conseguenza diretta una limitazione del volume dell’offerta» o «una concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati della produzione degli aderenti». Si noti che la disposizione in esame pone sullo stesso piano, senza alcuna consapevolezza della differenza che pur esiste nel reg. 26/62, accordi promossi solo da produttori agricoli e accordi (anche interprofessionali) che intervengono tra produttori agricoli ed altri soggetti, che presentano profili evidentemente anticoncorrenziali. Essi, infatti, integrano intese che, come si vedrà tra breve, possono rientrare solo nella prima ipotesi indicata dall’art. 2 del reg. 26/62, per cui possono godere dell’esenzione solo se risultano strettamente necessarie al raggiungimento delle finalità della PAC. Ma è di tutta evidenza che gran parte di questi accordi previsti dalla disciplina 138 JANNARELLI, La concorrenza nel sistema agroalimentare e la globalizzazione dei mercati, in Dir. giur. agr. e dell’amb., 2000, p. 438. 65 nazionale non presentano i requisiti richiesti dalla disciplina europea al fine della loro esenzione dalle regole di concorrenza, risultando, quindi, del tutto illegittimi. L’art. 42 TFUE (ex art. 36 TCE, ex art. 42 Trattato di Roma) è strettamente collegato all’art. 40 (ex art. 34 TCE); quest’ultima norma delinea il modo in cui l’Unione può incidere sulla concorrenza nel mercato comune attraverso la sua azione regolatrice per il raggiungimento delle finalità indicate nell’art. 33 del Trattato CE (ora 39 TFUE)139, prevedendo la possibilità di creare un’organizzazione comune dei mercati agricoli che determini regole comuni in materia di concorrenza140. Nella giurisprudenza della Corte di giustizia è stato espressamente affermato che la PAC ha la priorità su un sistema di concorrenza perfetta141. Seppure sia vero, infatti, che uno degli strumenti più rilevanti per realizzare gli obiettivi tracciati dall'art. 3 (ex art. 2) TUE è senza dubbio l'azione dell'Unione rivolta alla creazione di un regime concorrenziale, dal momento che la sana concorrenza rappresenta uno degli obiettivi primari dell'Unione e al tempo stesso uno degli strumenti più efficaci per mantenere e consolidare l'assetto del mercato, ma anche, e soprattutto, lo sviluppo economico. Che poi la concorrenza sia più uno strumento del mercato e vada utilizzata principalmente in funzione di quest'ultimo o sia piuttosto un obiettivo autonomo è una questione che talvolta si pone rispetto al caso concreto, ma che in definitiva non richiede una risposta astratta e di 139 McDONNELL, KAPTEYN, MORTELMANS, TIMMERMANS, The Law of the European Union and the European Communities, November 2008, p. 1156. 140 L’art. 40 TFUE (ex art. 34 TCE) dispone al paragrafo 1: « Per raggiungere gli obiettivi previsti dall’articolo 39 è creata un’organizzazione comune dei mercati agricoli. A seconda dei prodotti, tale organizzazione assume una delle forme qui sotto specificate: a) regole comuni in materia di concorrenza; b) un coordinamento obbligatorio delle diverse organizzazioni nazionali del mercato; c) un’organizzazione europea del mercato». 141 Sentenze della Corte di giustizia, del 12 dicembre 1972, cause riunite 21A-24/72, International Fruit Company et al. c. Commissione; del 29 ottobre 1980, in causa 139/79, Maizena c. Consiglio, in Raccolta 1980, p. 03393. 66 principio. Seppure, poi, più volte è stato ribadito che la sana concorrenza «implica l'esistenza sul mercato di una concorrenza efficace (workable competition), cioè di un'attività concorrenziale sufficiente a far ritenere che siano rispettate le esigenze fondamentali e conseguite le finalità del Trattato e – in particolare – la creazione di un mercato unico che offra condizioni analoghe a quelle di un mercato interno»142. Nonostante ciò, la Corte ha anche affermato che la concorrenza è solo uno degli interessi che la Comunità prende in considerazione nello svolgimento del suo potere discrezionale143. A seconda del modello adottato dalla PAC, le misure restrittive della concorrenza, sia messe in atto da imprese sia dagli Stati membri attraverso gli aiuti, possono ricoprire un ruolo utile nel contesto normativo generale della Comunità: proprio per questo il Trattato ha previsto una disciplina derogatoria in materia di concorrenza per il settore agricolo144. Se l’art. 42 TFUE (ex art. 36 TCE), va letto in combinato disposto con le norme contenute nel regolamento di applicazione n. 26/62, allo stesso modo va esaminato in connessione con gli artt. 175 e 176 del reg. n. 1234/2007145, dove attualmente trovano sede le norme sulla concorrenza applicabili al settore agricolo, come si vedrà alla luce della disamina che segue. Si deve, allora, prendere atto che gli artt. 101-106 TFUE si applicano a tutti gli accordi, decisioni e pratiche riguardanti la produzione o il commercio anche dei prodotti agricoli elencati nell’art. 1 del reg. n. 1234/2007, come 142 Sentenze Metro, cit., punto 20; Continental Can, citata alla nt. 21, punti 25-26; sentenza della Corte di giustizia, del 13 febbraio 1979, in causa 85/76, Hoffmann-La Roche, punto 38, in Raccolta p. 461. 143 Sentenza della Corte di giustizia, del 23 febbraio 1988, in causa 68/86, Regno Unito c. Consiglio. 144 Sentenza della Corte di giustizia, del 12 dicembre 2002, in causa C-456/00, Francia c. Commissione. 145 Per un utile approfondimento sul reg. n. 1234/2007 si vedano i commenti alle norme in Il regolamento unico sull’organizzazione comune dei mercati agricoli (reg. CE 22 ottobre 2007, n. 1234), a cura di Costato, in Leggi civ. comm,, 2009, 1 ss. 67 affermato dall’art. 175 del regolamento da ultimo citato, che, ugualmente, espressamente fa salve le eccezioni disposte dal successivo art. 176. Il tema della concorrenza, pur diffusamente esplorato, per l’evolversi del Diritto agrario, nato come disciplina della produzione agricola, che ne rappresenta l’aspetto tuttora preponderante, sempre più in direzione dei mercati dei prodotti agricoli e alimentari, in relazione a tale evoluzione presenta angolazioni nuove di grande interesse. Autorevole dottrina suggerisce che la regolamentazione giuridica dei rapporti fra produzione agroalimentare e concorrenza può essere suddivisa temporalmente in almeno tre fasi146, la prima delle quali può essere fatta risalire al codice civile italiano e alla sua chiara qualificazione dell’agricoltore come imprenditore. Il cosiddetto “statuto” dell’imprenditore agricolo (che prevedeva inizialmente l’esenzione dalla tenuta delle scritture contabili, l’assenza dell’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, l’esenzione dal fallimento ecc.) consentì non solo di adeguare la disciplina giuridica alla realtà sociologica delle campagne, ma rappresentò anche una sorta di condizione di favore nei confronti delle imprese agricole per metterle su un piano di sostanziale parità con gli altri imprenditori. La dottrina in questione ritiene che la seconda fase temporale sia rappresentata dalle disposizioni contenute nel Trattato CE, secondo cui l’applicazione delle regole sulla concorrenza incontra una deroga importante per la produzione e il commercio dei prodotti agricoli, quali quelli contenuti nell’Allegato II (ora Allegato I), seppure tra essi vi siano moltissimi prodotti alimentari, oppure prodotti che costituiscono componenti fondamentali di prodotti alimentari. 146 BORGHI, Mercato agroalimentare e concorrenza: regole e deroghe, in AA.VV., La regolazione e la promozione del mercato alimentare nell’Unione Europea. Esperienze giuridiche comunitarie e nazionali, Atti del Convegno di Udine 24-25 novembre 2006, Milano, 2007, p. 31. 68 Il secondo periodo si perfeziona, poi, con l’adozione del regolamento n. 26/62, alla luce delle osservazioni che si sono illustrate in merito alla cosiddetta deroga agraria alle norme sulla concorrenza. Qui cambia, rispetto alla prospettiva del codice civile italiano, il punto di partenza: l’approccio del legislatore comincia ora dai prodotti, dal mercato e non più dai produttori, il cui statuto normativo in materia di concorrenza presenta caratteri di specialità proprio per assicurare la realizzazione degli obiettivi della PAC. Essa, tra l’altro, comprende un primo pilastro costituito dal mercato dei prodotti, secondo l’impostazione tipica del diritto europeo, il quale nasce e si sviluppa anzitutto come un diritto del mercato. La dottrina citata individua la terza fase della regolamentazione del mercato agroalimentare in quella attuale, che si presenta in rapida evoluzione, composita per i fenomeni storici ed economici che la caratterizzano147 e per la globalizzazione in atto da tempo148. Giova qui ricordare che la sempre più marcata internazionalizzazione, esplosa come fenomeno dinamico e tutt’ora in corso, a seguito degli accordi istitutivi del WTO, incide non poco sul regime della concorrenza a cui sono sottoposte le imprese europee, per quanto qui interessa. L’Accordo agricolo di Marrakech rappresenta il primo dato giuridico di cui tener conto149. I produttori europei sono più esposti alla concorrenza di quelli stranieri, la quale si combina con la generale riduzione del sostegno interno che l’Accordo impone agli Stati, in un’ottica spiccatamente liberista: sia come diminuzione degli aiuti alla produzione e alle esportazioni, sia con le norme che ne impongono il disaccoppiamento (nella riforma della PAC del 2003 successiva all’Accordo agricolo tale strumento 147 BORGHI, cit., p. 35. Sullo stretto legame tra mercati e sistemi economici si veda REGMI, Changing Structure of Global Food Consumption and Trade, Washington DC, ERS, 2001, p. 15. 149 BORGHI, L’agricoltura nel Trattato di Marrakech. Prodotti agricoli e alimentari nel diritto del commercio internazionale, Milano, 2004. 148 69 prende il nome di decoupling). Il Trattato di Marrakech comprende, inoltre, altri accordi che hanno incidenza sulla concorrenza, per esempio l’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (SPS). Il divieto di misure protettive non tariffarie – contemplato dall’Accordo agricolo, e che qui trova forse la sua più importante specificazione – può comportare una maggiore esposizione dei produttori agricoli e alimentari alla concorrenza internazionale. Infatti, le misure non tariffarie comprendono le barriere di tipo SPS, le quali, se non armonizzate rispetto agli standards del Codex Alimentarius150, e se non oltretutto giustificate da una valutazione del rischio scientificamente condivisa a livello internazionale, portano alla illegittimità del comportamento degli Stati, il quale viene letto automaticamente come protezionismo contrario agli accordi151. Da ciò nasce un ulteriore problema rappresentato dai prodotti concorrenti di altre parti del mondo al di fuori dei confini europei, ottenuti con metodi inammissibili per i loro forti impatti negativi di carattere ambientale, sociale, etico. Si tratta di un problema enorme, che certamente trascende i limiti del mercato agroalimentare, ma che in questo settore presenta una peculiare e marcata emergenza, solo a considerare il ruolo e l’importanza che rivestono le attività agricole nella loro interazione con il territorio, oltre che come le maggiori attività dei Paesi in via di sviluppo e 150 Il Codex Alimentarius è un insieme di regole e di normative elaborate dalla Commissione istituita nel 1963 dalla FAO e dall’OMS, con lo scopo di proteggere la salute dei consumatori e assicurare la correttezza degli scambi internazionali. 151 BORGHI, Mercato agroalimentare e concorrenza: regole e deroghe, cit., p. 40, che analizza la questione rinviando alle pronunce dei Panel del WTO, ad esempio in riferimento al concetto di “like product”, per il quale l’autore rinvia a G OCO, Non-Discrimination, “Likeness”, and Market Definition in World Trade Organization Jurisprudence, in Journal of World Trade, 2006, 40(2), 315-340. Su queste tematiche si possono considerare anche le opere di autori quali: DAVEY-PAUWELYN, MFN Unconditionality: A Legal Analysis of the Concept in View of its Evolution in the GATT/WTO Jurisprudence with Particular Reference to the Issue of “Like Product”, in COTTIER-MAVROIDIS, Regulatory Barriers and the Principle of Non-Discrimination in World Trade Law, University of Michigan Press, 2000, p. 13 ss; R EGAN, Regulatory Purpose and “Like Product” in Article III:4 of the GATT (with Additional Remarks on Article III:2), in Journal of World Trade, 2002, p. 443. 70 sottosviluppati. Anche per questi motivi la problematica presenta forti implicazioni proprio in tema di concorrenza, dato che i metodi più criticati e disprezzati dalla coscienza comune in Europa vengono maggiormente utilizzati altrove perché garantiscono maggiore competitività. Non a caso, taluno parla di “dumping sociale” e di “dumping ambientale”: il dumping, termine mutuato dalla dottrina economica per definire le vendite realizzate sottocosto per motivi o per scopi scorretti, è un problema di concorrenza. I produttori agricoli europei lamentano di dover subire la concorrenza dei produttori dei Paesi ai cui prodotti è assicurata competitività proprio attraverso risparmi di costi a scapito delle esternalità sociali e ambientali152. Nonostante il forte protezionismo pubblico che fin dall’inizio il comparto agricolo ha vissuto, le debolezze strutturali del sistema agroalimentare dimostrano che il mercato, se lasciato ad una dimensione senza idonee regole, non è in grado di funzionare e di assicurare efficienza ai rapporti di filiera. Ne consegue che in agricoltura il processo di liberalizzazione deve essere sottoposto ancora una volta a dei correttivi, che da sempre la PAC ha previsto e dovrà continuare a prevedere anche dopo la riforma a partire dal 2014153, con la finalità di migliorare la competitività delle imprese del settore, come indicato anche in recenti Comunicazioni della Commissione154. 152 Il rapporto conflittuale della tutela ambientale nelle norme sul commercio internazionale è ampiamente trattato in SCHOENBAUM, International Trade and Protection of the Environment: the Continuing Search for Reconciliation, in The American Journal of Int’l Law, vol. 91, 1997, p. 268 ss. 153 Vedi sul punto le considerazioni espresse da COSTATO, La controriforma della PAC, in Riv. dir. agr., 2010, II, p. 376. 154 Con la Comunicazione della Commissione del 18 novembre 2010, COM(2010) 672 def., sono stati individuati tra gli obiettivi strategici della Pac verso il 2020 quello di migliorare la competitività del settore agricolo e rafforzarne il ruolo all’interno delle filiere alimentari, tenuti in 71 Come ben messo in evidenza dalla più autorevole dottrina, sarà necessario rivedere in prospettiva la relazione tra la politica agricola e la disciplina della concorrenza, ad esempio sul divieto di adottare decisioni sui prezzi o sulle quantità da produrre imposto alle associazioni di produttori nella filiera155. Un esempio in tal senso si è avuto molto di recente con l’introduzione in tema di consorzi di tutela di prodotti tipici e loro poteri del Regolamento (Ue) n. 261/2012156, che presenta un “nuovo” modello di interprofessione per il settore lattiero-caseario. In vista della riforma della PAC per il periodo successivo al 2013, sono state avanzate molteplici proposte157, nell’ottica di un miglioramento della competitività del comparto agricolo, proposte che fanno leva sulla valorizzazione dell’origine territoriale dei prodotti. La dottrina e gli esperti del settore evidenziano, infatti, come siano proprio gli strumenti legati alla valorizzazione dei rapporti tra territori e prodotti agroalimentari a costituire dei correttivi indispensabili nel quadro di una libera competizione che travalica i confini nazionali, incentivando al contempo le organizzazioni di produttori agricoli con nuovi strumenti aggregativi e coinvolgendo gli operatori delle filiere per farne delle vere e proprie organizzazioni di prodotto158. La libera concorrenza in ambito agroalimentare non può, oltre al resto, non tener conto degli interessi dei consumatori, non solo a prezzi debito conto la concorrenza dei mercati mondiali e gli obblighi che i produttori agricoli hanno in materia di ambiente, sicurezza alimentare, qualità e benessere degli animali. 155 JANNARELLI, La concorrenza e l'agricoltura nell'attuale esperienza europea: una relazione «speciale», in Riv. dir. agr., 2009, IV, p. 552. 156 Reg. 261/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, che modifica il Regolamento (Ce) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, in GUUE l 94/38 del 30.3.2012. 157 TOMMASINI, cit., p. 330. 158 Un strumento di recente introduzione, che valorizza l’attività di produzione agricola, è rappresentato da quelle forme di vendita diretta, quali i cd. Farmers’ markets (mercati contadini), disciplinati dal decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del 20 novembre 2007, pubblicato nella G.U. n. 301 del 29 dicembre 2007, e istituiti dalle amministrazioni pubbliche su aree pubbliche o private, ove gli agricoltori possono vendere direttamente i prodotti alimentari. 72 ragionevoli ma anche alla circolazione di prodotti sani e sicuri destinati all'alimentazione umana159. La tutela del consumatore «medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto»160, è un valore che va bilanciato con la libertà di concorrenza ogniqualvolta si verifichino situazioni sufficientemente gravi da giustificare una restrizione alla circolazione dei beni sul mercato161. In tal senso, i diritti e gli interessi dei consumatori sono stati sinora protetti non tout court, ma solo al fine di garantire il libero gioco della concorrenza162. Parte della dottrina sostiene che gli interessi generali dei consumatori debbano trovare diretta tutela nella disciplina sulla repressione della concorrenza sleale, o comunque rilevare quali valori in gioco da bilanciare. Nel nostro ordinamento, pur volendo operare una rilettura dell’art. 2598 c.c. alla luce dei principi costituzionali di cui all’art. 41, comma 2°, Cost. 163, nel senso che la concorrenza deve attuarsi senza ledere non più solo gli interessi dell’economia nazionale ma anche gli interessi sociali; e nonostante il ruolo sempre più centrale assunto nel mercato dal consumatore (da ultimo, si pensi all’art. 2, lett. c-bis del Codice del consumo164, come modificato dal d.lgs. 221/2007, che ha riconosciuto espressamente tra i diritti fondamentali del consumatore anche quello 159 LUCIFERO, La sicurezza alimentare e la tutela degli interessi del consumatore di alimenti, in Riv. dir. agr., 2008, p. 82. 160 Sentenza della Corte di giustizia, del 16 luglio 1998, causa C-210/96, in Racc., I, p. 4657; Corte di giustizia 10 settembre 2009, causa C-446/07, in Foro it., 2010, IV, p. 71. 161 Corte di giustizia 26 novembre 1996, causa C-313/94, in Giur. dir. ind., 1996, p. 1277, affermava come il divieto da parte di uno Stato di importare prodotti provenienti da un altro Paese membro fosse legittimo solo se necessario per assicurare la tutela dei consumatori e se proporzionato a tale finalità. 162 CARMIGNANI, La tutela del consumatore nel Trattato di Lisbona, in Riv. dir. agr., 2010, II, p. 295, la quale specifica che il consumatore è un soggetto senza volto che non rileva in assoluto nella sua specifica individualità, ma come una categoria funzionale alla libertà di concorrenza. 163 In tal senso, ROOK BASILE, La concorrenza con riguardo ai prodotti agro-alimentari tra la disciplina della produzione e quella del mercato, in Dir. dell’agricoltura, 1997, p. 34. 164 Il Codice del Consumo è stato emanato con il D.Lgs. 206/2005 del 6 settembre 2005. 73 all’esercizio delle pratiche commerciali secondo i principi di buona fede, correttezza e lealtà), resta il fondato dubbio che la normativa sulla concorrenza sleale possa essere diretta a tutelare in maniera efficace interessi diversi da quelli delle sole imprese concorrenti. Non vi è dubbio che la tutela del consumatore sia stata rafforzata nel tempo; lo stesso Trattato di Lisbona165, nel proporre una nuova visione solidaristica del mercato, ha posto il consumatore in una diversa prospettiva in cui lo stesso deve essere tutelato in quanto persona166, portatore di esigenze specifiche e variabili in ragione del contesto territoriale in cui si trova e dei fattori culturali, sociali ed economici del medesimo. La volontà di valorizzare la persona, ponendola al centro dell’azione istituzionale, emerge inequivocabilmente proprio dall’art. 6 TUE, che, al paragrafo 1, stabilisce il riconoscimento da parte dell’Unione europea dei diritti, delle libertà e dei principi (quali la dignità umana, la libertà, l’uguaglianza e la solidarietà) sanciti nella Carta adottata a Strasburgo nel 2007, prevedendo al paragrafo 2 l’adesione alla CEDU167 che garantisce i diritti fondamentali dell’uomo risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e considerati principi generali del diritto dell’Unione stessa. In questo contesto, il consumatore medio e normalmente informato «senza volto» deve essere garantito, non perché appartenente ad una categoria astratta, seppure fondamentale nelle dinamiche di mercato, 165 L’art. 169 TFUE, nel ripetere l’art. 153 del Trattato CE, assegna all’Unione europea il compito di contribuire a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori, nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi. Le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori devono essere prese in considerazione anche nella definizione ed attuazione di altre politiche o attività dell’Unione (art. 12 TFUE). 166 ROOK BASILE, L’informazione dei prodotti alimentari, il consumatore e il contratto, in GERMANÒ – ROOK BASILE (a cura di), Il diritto alimentare tra comunicazione e sicurezza dei prodotti, Torino, 2005, p. 5, dove l’autrice afferma che il concetto di persona è più ampio di quello di consumatore, dal momento che il primo si esplica nella sfera della società mentre il secondo in quella del mercato. 167 È un acronimo che indica la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950, la quale ha istituito la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo. 74 ma in quanto persona portatrice di tutti quei diritti fondamentali non negoziabili, quali il diritto alla salute ed alla qualità della vita, alla sicurezza degli alimenti ed all’informazione168. La concorrenza, come detto, deve confrontarsi con il mercato agroalimentare internazionale e con una sempre maggiore diversificazione della domanda a fronte di una altrettanto diversificata offerta di prodotti di qualità169. Le problematiche derivanti dalla concorrenza internazionale possono riguardare, ad esempio, l'ingresso sul mercato di un prodotto extraeuropeo più competitivo per il minor costo dei fattori produttivi o recante segni distintivi di qualità (di processo o di prodotto), la cui corrispondenza ad una effettiva qualità è, però, interamente da verificare170. L’analisi del ruolo della concorrenza per il settore agrario, infine, richiede di considerare il decentramento - ormai da tempo avviato legislativo e applicativo anche in questo materia, per cui il diritto europeo e nazionale si intersecano e devono essere applicati parallelamente171, risolvendosi il problema del coordinamento tra competenze 172 attraverso il cd. principio di esclusione reciproca. Su questo punto e sul ruolo, oggi rafforzato, delle Autorità antitrust nazionali173 si rinvia a quanto verrà illustrato nel capitolo dedicato. A conclusione della disamina sulle regole di concorrenza nell’ordinamento europeo giova menzionare la Relazione della 168 CARMIGNANI, cit., p. 298. BORGHI, Mercato agroalimentare e concorrenza, op. cit., p. 32. 170 Produce effetti distorsivi della concorrenza la situazione che si viene a creare quando un prodotto DOP europeo si trovi a competere sul mercato con prodotti DOP di altri Paesi con legislazioni in materia meno rigorose di quelle vigenti in Europa. 171 Corte di giustizia 9 settembre 2003, causa C-137/00, in Racc., 2003, I, p. 7975. 172 MEROLA, Norme comunitarie sulla concorrenza e poteri dei giudici nazionali, in Foro it., 1993, IV, p. 30; ID. La cooperazione tra giudici nazionali e Commissione nell'applicazione delle norme comunitarie antitrust, in Foro it., 1993, IV, p. 418; JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico europeo e globalizzazione dell'economia, in Riv. dir. agr., 1997, I, p. 467. 173 SESTINI, Nuovi poteri dell'AGCM e primi provvedimenti inibitori in tema di prodotti alimentari, in Riv. dir. alim., anno III, n. 1, 2009, p. 59. 169 75 Commissione europea pubblicata nel maggio 2012, seconda la quale l’applicazione delle norme de qua nel settore alimentare, in particolare a livello della produzione e della trasformazione, ha esercitato un effetto benefico su agricoltori, fornitori e consumatori. La relazione fornisce informazioni dettagliate sul funzionamento della concorrenza nel settore alimentare sulla base delle attività svolte di recente dalla Commissione europea e dalle Autorità nazionali garanti della concorrenza in questo settore174. 3. Dal primo provvedimento generale, il Regolamento (CE) n. 26/1962 al Regolamento (CE) n. 1234/2007 In applicazione di quanto disposto dall’art. 42 Trattato di Roma (poi art. 36 TCE, ora art. 42 TFUE), il Consiglio approvò il primo provvedimento generale per il comparto agricolo, il regolamento CEE n. 26/62175, relativo all’applicazione di alcune regole di concorrenza alla 174 Nella Relazione si illustra che dal 2004 al 2011 le Autorità garanti della concorrenza hanno svolto indagini su oltre 180 casi di antitrust, preso circa 1.300 decisioni su concentrazioni e realizzato oltre 100 azioni di monitoraggio. Il maggior numero di casi ha riguardato la trasformazione e la produzione e, in misura minore, la vendita al dettaglio. Sono stati vietati oltre 50 cartelli per la fissazione dei prezzi, la ripartizione dei mercati e dei clienti e lo scambio di informazioni commerciali sensibili e sono state messe al bando pratiche di esclusione nei riguardi di agricoltori e fornitori concorrenti. 175 Reg. del 4 aprile 1962, in GUCE del 20 aprile 1962, n. 30, modificato dal reg. n. 49 del 29 giugno 1962, in GUCE n. 53 del 1° luglio 1962. Nella fase precedente l’adozione di tale regolamento, una protezione simile alla concorrenza era offerta, nella cornice delle organizzazioni nazionali di mercato, dall’art. 46 del Trattato CE. Questa disposizione ha perso di valore fin dall’instaurazione delle OCM e fin dall’entrata in vigore del reg. n. 26/62. Si vedano la decisione RFT, GUCE 1961, p. 595; la decisione RFT, GUCE 1961, p. 825; per un’applicazione più recente v. Regolamento (CEE) n. 2541/84 della Commissione del 4 settembre 1984 sulla fissazione di una tassa compensatoria sulle importazioni negli altri Stati membri di alcol etilico di origine agricola ottenuto in Francia (GUCE n. L238 del 06/09/1984, p. 16). Sulla concorrenza in agricoltura si veda, per tutti, JANNARELLI, in Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, diretto da COSTATO, III ed., Padova, 2003, p. 79. Sul reg. 26/62 vedi J ANNARELLI, La disciplina della concorrenza applicabile all’agricoltura: la normativa CEE, in ID., Diritto agrario e società industriale, II, Bari, 1993, p. 37 ss; I D., Il regime della concorrenza nel settore agricolo, p. 416; GERMANÒ, Il principio della libertà di concorrenza e la disciplina comunitaria dell’agricoltura, in Dir. e giur. agr. amb., 1996, p. 77. 76 produzione e al commercio dei prodotti agricoli, modificato una sola volta, sostituito dal reg. n. 1184/2006176, a sua volta modificato dall’art. 200, reg. n. 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007177. Il reg. n. 26/62 è stato abrogato dal reg. n. 1184/2006, ma già l’art. 2 di quest’ultimo e poi l’art. 176 del vigente reg. n. 1234/2007 hanno ripetuto pedissequamente il contenuto dell’art. 2 del reg. 26/62, sicché in sostanza le cose non sono cambiate178. Da ultimo, le disposizioni sulla concorrenza hanno trovato collocazione organica all’interno del reg. 1234/2007 istitutivo dell’OCM unica, senza, peraltro, che il reg. 1184/2006 sia stato abrogato, ma è limitato in via residuale a quei settori della produzione agricola non disciplinati da un’organizzazione comune di mercato e, pertanto, non soggetti al reg. 1234/2007179. 176 Regolamento del Consiglio n. 1184/06 del 24 luglio 2006, in GUUE L 214 del 4 agosto 2006. Ai sensi dell’art. 4, reg. 1184/06, i riferimenti al reg. n. 26/62 si intendono fatti al nuovo regolamento, secondo la tavola di concordanza contenuta nell’allegato II. 177 In GUUE L 299 del 16 febbraio 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM). A seguito delle modifiche, il reg. n. 1184/06 ha assunto una nuova titolazione («relativo all’applicazione di alcune regole di concorrenza alla produzione e al commercio di taluni prodotti agricoli»); il testo dell’art. 1 è confluito in un nuovo art. 1-bis, mentre l’art. 1 prevede ora che «il presente regolamento stabilisce le norme sull’applicabilità degli articoli da 81 a 86 e di alcune disposizioni dell’articolo 88 del trattato relative alla produzione e al commercio dei prodotti di cui all’allegato I del trattato, ad eccezione» dei settori relativi ai cereali, riso, zucchero, foraggi essiccati, sementi, luppolo, olio di oliva e olive da tavola, lino e canapa, banane, piante vive e prodotti della floricoltura, tabacco greggio, carni bovine, latte e prodotti lattiero-caseari, carni suine, ovine e caprine, uova, pollame, altri prodotti di cui alla parte XXI dell’allegato I al reg. n. 1234/07, alcole etilico di origine agricola, prodotti dell’apicoltura e bachi da seta. Tutti questi prodotti sono, infatti, oggetto di disciplina specifica in materia di concorrenza contenuta negli artt. 175 ss. del reg. n. 1234/07. 178 Il reg. n. 26/62, pur dichiarando l’applicabilità delle disposizioni contenute negli articoli 81 e 82 del Trattato alla materia agricola, prevede la possibilità di intese tra i produttori agricoli per la concentrazione della loro offerta e per l’emanazione di regole comuni di produzione. Parte della dottrina riteneva che il reg. n. 26/62 costituisse «un testo di portata generale», in quanto si dovesse applicare «a tutti i prodotti agricoli indipendentemente dal fatto [ancora possibile al tempo di queste osservazioni] che essi [fossero] o meno sottoposti ai meccanismi specifici di un’organizzazione comune dei mercati», V ENTURA, La politica agricola, in PENNACCHINI-MONACO-FERRARI BRAVO (a cura di), Manuale di diritto comunitario, vol. II, Torino, 1984, p. 274. 179 Per una ricostruzione del rapporto tra i diversi regolamenti, si veda J ANNARELLI, Norme sulla concorrenza. Norme applicabili alle imprese, in Il regolamento unico sull’organizzazione comune dei mercati agricoli, a cura di Costato, cit., p. 181 ss. 77 L’accorpamento delle disposizioni sulla concorrenza nel quadro del reg. 1234/07 trova una sua logica collocazione all’interno del testo che realizza la codificazione delle regole sulle organizzazioni di mercato, in quanto le disposizioni sulla concorrenza costituiscono il necessario completamento della regolamentazione di mercato prevista dall’OCM. Del resto, anche in passato, eccezioni rispetto al regime generale della concorrenza in agricoltura come delineato dal reg. 26/62, già trovavano spazio all’interno delle singole OCM. Secondo la dottrina180, la Corte riconosce che il mantenimento di una concorrenza effettiva sui mercati dei prodotti agricoli fa parte degli obiettivi della politica agricola comune e dell’organizzazione comune dei mercati181. Questa constatazione sembrerebbe confermata tanto dal primo considerando del reg. 26/62, che dalla giurisprudenza della Corte secondo la quale le organizzazioni comuni di mercato sono fondate sul principio di un mercato aperto, al quale qualunque produttore ha liberamente accesso in condizioni di concorrenza effettive. Le organizzazioni comuni dei mercati dei prodotti agricoli, secondo la Corte, non costituiscono dunque “uno spazio senza concorrenza”. I tre testi normativi sopra richiamati in materia di concorrenza in agricoltura ripropongono a distanza di tempo il medesimo schema e contenuto, consistente nel dichiarare applicabili le disposizioni generali sulla concorrenza al settore agricolo, salve le eccezioni specificamente previste. Così, nei regolamenti di attuazione, la speciale disposizione del Trattato sull’applicazione delle regole di concorrenza al settore agricolo sembrerebbe in apparenza invertita. Nonostante l’art. 36 TCE (ora art. 42 180 BIANCHI, La politica agricola comune, op. cit., p. 348. Sentenza Corte di giustizia del 9 settembre 2003, in causa C-137/00, Milk Marque e National Farmers’ Union, in Racc., 2003. 181 78 TFUE), nel lasciare autonomia decisionale al Consiglio (oggi unitamente al Parlamento), affermi che le disposizioni in materia di concorrenza debbano trovare applicazione nel settore agricolo soltanto nella misura determinata dall’organo politico, facendo presumere una disapplicazione generalizzata delle norme sulla concorrenza, fatte salve le eccezioni specificamente individuate, i regolamenti successivi hanno enunciato il principio opposto, dichiarando applicabili alla materia agricola gli articoli del Trattato relativi alla concorrenza e individuando poi tre deroghe specifiche per il settore. D’altro canto, l’impostazione seguita a partire dal reg. 26/62 si spiega in considerazione della concezione di agricoltura ai sensi del Trattato CE, comprendente non solo l’attività di produzione primaria, ma anche la trasformazione dei prodotti agricoli, ad opera di imprese che non rientrano nel novero delle aziende agricole, la cui definizione unitaria esula dalla normativa europea, proprio in considerazione della individuazione di un concetto di agricoltura, legato alla regolamentazione dei mercati dei prodotti182. Da questo presupposto, che è alla base della disciplina dell’agricoltura nell’ordinamento europeo, consegue, come ha affermato la Corte di giustizia, che «il mantenimento di una effettiva concorrenza sui mercati dei prodotti agricoli fa parte degli obiettivi della politica agricola comune e dell’organizzazione comune dei mercati»183. 182 Sul concetto di azienda agricola nel diritto comunitario si veda G ERMANÒ, Strutture agricole, in Digesto civ., XIX, Torino, 1999, p. 60 ss. Per una analisi del concetto di strutture agricole nel diritto europeo, si veda GERMANÒ e ROOK BASILE, La disciplina comunitaria e internazionale del mercato dei prodotti agricoli, cit., p. 94. Sul concetto di agricoltura nell’ordinamento dell’Ue si veda JANNARELLI, Il pluralismo definitorio dell’attività agricola alla luce della recente disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato: prime considerazioni critiche, in Riv. dir. agr., 2007, I, p. 3. 183 Sentenza Corte di giustizia 9 settembre 2003, in causa C-137/00, Milk Marque National Farmers union, punto 57. 79 3.1 Applicabilità e procedura di accertamento Prima di analizzarle partitamente è bene precisare che tutti i casi di deroghe erano sempre (prima del reg. 1/2003) di esclusiva competenza preventiva della Commissione, alla quale spettava il compito di accertare mediante decisioni, e salvo il controllo della Corte di giustizia184, se ricorressero le condizioni per l’esenzione. Ciò significava, come sostenuto dall’organo giurisdizionale, che i giudici, anche nazionali, potessero direttamente intervenire in materia di concorrenza avente ad oggetto prodotti agricoli, ma solo ai fini di applicare il divieto di cui all’art. 81 TCE (oggi art. 101 TFUE) e di escludere, così, l’applicazione del reg. 26/62, laddove nei casi dubbi dovevano investire della questione la Commissione185. Come si legge nel par. 3 dello stesso art. 2 reg. 26 la Commissione procede all’accertamento d’ufficio, o su richiesta di un’autorità competente di uno Stato membro oppure di un’impresa o associazione di imprese interessate. La norma del reg. 26 prevede una singolarità rispetto al tipo di intervento della Commissione di cui all’art. 85, par. 3, TCE, all’epoca in vigore. Infatti, mentre in questa ultima disposizione l’esenzione dalle norme antitrust trovava fondamento costitutivo nella decisione della Commissione, nel caso dell’art. 2 del reg. 26/62 la deroga trova il suo fondamento nella norma: la decisione della Commissione ha natura soltanto di accertamento in ordine alla conformità dell’accordo alle ipotesi di cui al par. 1 dell’art. 2 del reg. 26/62. Se parte della dottrina ha osservato che la soluzione adottata nel reg. 26/62 apparisse simile a quella prevista per le esenzioni per categoria 184 Nel senso che la Commissione debba motivare in modo esauriente la sua decisione, trattandosi nel caso dell’art. 2 del reg. 26 di una deroga al disposto generale dell’art. 8i5, par. 1, da interpretarsi restrittivamente, si veda Tribunale di primo grado, 14 maggio, 1997, nelle cause riunite T-70/92 e T-71/92, relative all’applicazione dell’art. 2 par. 1 prima frase reg. 26/62, in Raccolta, II, p. 693 ss. 185 Sentenza 12 dicembre 1995, causa 399/93, in Raccolta, I, p. 4515. 80 adottate con regolamento ex art. 85 par. 3, TCE, dove la decisione della Commissione verificava la conformità del singolo accordo alla fattispecie oggetto di deroga186, si può, tuttavia, osservare che in realtà le due ipotesi si presentano in maniera dissimile, non solo perché le esenzioni per categorie di accordi sono fissate in presenza di dettagliate indicazioni circa il contenuto degli stessi, ma anche perché il par. 2 dell’art. 2 del reg. 26 attribuisce una competenza esclusiva alla Commissione in ordine alle decisioni da adottare ai sensi del par. 1 dello stesso articolo, laddove per i casi di esenzioni per categorie la dichiarazione di conformità del singolo accordo alla fattispecie beneficiaria dell’esenzione spetta legittimamente anche al giudice nazionale187. Occorre, infatti, evidenziare che, se le disposizioni degli articoli 85 e 86 Trattato di Roma (poi artt. 81 e 82 TCE, poi artt. 101 e 102 TFUE) colpiscono di nullità ipso iure i negozi e i comportamenti delle imprese posti in essere in violazione delle regole di concorrenza188, e le esenzioni (prima del reg. n.1/2003) venivano dichiarate ex ante dalla Commissione, nelle ipotesi di intese tra agricoltori ricorreva una sorta di “presunzione” di liceità. Invero, per le intese tra gli «exploitants agricoles» era rimesso alla Commissione – ed oggi anche alle Autorità nazionali garanti della concorrenza e del mercato – il potere di accertare e quindi contestare soltanto ex post il profilo anticoncorrenziale del comportamento, con l’ulteriore e rilevantissima conseguenza che l’accertamento del vizio non aveva efficacia retroattiva. Come detto poc’anzi, i casi di deroga erano di esclusiva competenza 186 JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico europeo e globalizzazione dell’economia, in Riv. dir. agr., 1997, p. 416. 187 Si veda la sentenza della Corte di giustizia 3 febbraio 1976 in causa 63/75, in Raccolta, p. 111. 188 Che si tratti di nullità in tutte le ipotesi di intese vietate e che la nullità operi retroattivamente è ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia, 6 febbraio 1973, in causa C48/72, Brasserie de Haecht II. 81 della Commissione alla quale spettava il compito di accertare mediante decisioni, e salvo il controllo della Corte di giustizia, se ricorressero le condizioni della esenzione. Conseguentemente, i giudici nazionali non potevano intervenire che al fine di applicare il divieto, senza potere escludere l’applicazione del reg. 26/62, cosicché nei casi dubbi dovevano investire della questione la Commissione. Nella decisione Luttikhuis189 la Corte di giustizia afferma che il giudice nazionale può proseguire il procedimento e statuire sulla controversia ogni volta che non ricorrano i presupposti per l’applicazione delle norme del Trattato CE, oppure può dichiarare la nullità della clausola [oggetto della controversia] qualora abbia acquisito la certezza che essa non soddisfa i requisiti per fruire della deroga, mentre «in caso di dubbio può richiedere ulteriori ragguagli alla Commissione». Oggi, in virtù del reg. 1/2003, la verifica delle condizioni dettate dall’art. 81, par. 3, TCE [il discorso vale anche per l’attuale art. 101, par. 3, TFUE] avviene per tutte le intese a posteriori, a seguito di una costatazione di ufficio o su denuncia, con una sostanziale parificazione delle situazioni; tuttavia, la dottrina, all’indomani dell’emanazione del regolamento n. 1/2003, ha continuato a ritenere ancora sussistere la presunzione di liceità delle intese tra agricoltori con conseguente efficacia ex nunc del provvedimento accertativo dell’infrazione, dato che il reg. 26/62 non è stato abrogato dal reg. 1/2003 nella parte relativa all’agricoltura 190, salvo essere stato poi sostituito dal regolamento n. 1234/2007. L’attenuazione della “specialità” disposta dall’art.42 TFUE (ex art. 36 TCE) non è priva di conseguenze. Anche a fronte di numerose incertezze che sono emerse circa l’applicazione dell’art. 2 del reg. 26, le parti 189 Sentenza Corte di giustizia Luttikhuis, cit. alla nt. 81, in cui si dibatte del sistema c.d. di «indennità di uscita» di un socio da una cooperativa di trasformazione e vendita di prodotti lattiero-caseari. 190 GERMANÒ-ROOK BASILE, La disciplina comunitaria e internazionale, cit., p. 211. 82 interessate ad accordi o intese relative a prodotti agricoli hanno spesso preferito ricorrere al consenso preventivo della Commissione ai sensi dell’attuale art. 101 TFUE (già 81, par. 3, già art. 85, par. 3, TCE)191, piuttosto che avvalersi dell’esenzione contenuta nell’originario regolamento attuativo n. 26/62, e provvedimenti successivi. 3.2 Gli aiuti di Stato (considerazioni generali) Il Capo I del Titolo VII del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, contenente la disciplina delle regole di concorrenza, comprende l’art. 107, par. 3, (ex art. 87, par. 1, TCE), il quale statuisce che «sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza»192. 191 Si fa riferimento alle seguenti decisioni della Commissione: 2 dicembre 1977, in materia di cavolfiori; 21 settembre 1978, per le sementi di mais; 26 novembre 1986, riguardante il settore lattiero-caseario; 18 dicembre 1987, patate primaticce; 26 luglio 1988, settore ortofrutticolo; 19 dicembre 1989, barbabietole da zucchero. 192 La letteratura sugli aiuti di Stato è davvero vastissima; per un iniziale approccio si rinvia a: AA.VV., Il finanziamento agevolato alle imprese, Milano, 1988; TRIGGIANI, Gli aiuti statali alle imprese nel diritto internazionale e comunitario, Bari, 1989; PALMERI, Gli aiuti di Stato alle attività produttive ed il loro regime comunitario, Rimini, 1992; ORLANDI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario, Napoli, 1995; BALLARINO e BELLODI, Gli aiuti di Stato nel diritto, Napoli, 1997; ROBERTI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario, Padova, 1997; BARIATTI (a cura di), Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto comunitario, Milano, 1998; PINOTTI, Gli aiuti di Stato alle imprese nel diritto comunitario della concorrenza, Padova, 2000; DANIELE, AMADEO e SCHEPISI, Aiuti pubblici alle imprese e competenze regionali. Controllo comunitario e prassi interne, Milano, 2003; STROZZI, Gli aiuti di Stato, in Diritto dell’Unione europea. Parte speciale, a cura di Strozzi, II, Torino, 2005, p. 361; ORLANDI, La disciplina degli aiuti di Stato, in Il diritto privato dell’Unione europea, a cura di Tizzano, II, Torino, 2006, p. 1668; B IONDI, Gli aiuti di Stato, in La concorrenza, a cura di Frignani e Pardolesi, in Tratt. dir. priv. UE, diretto da Ajani e Benacchio, VII, Torino, 2006, p. 447; DE CATERINI (a cura di), Quattro studi in materia di aiuti di Stato, Bari, 2008. V. anche CAPUTI JAMBRENGHI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario vivente, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1998, p. 1259; DE SENA PLUNKETT, Il sindacato di legittimità degli aiuti di Stato, in Riv. dir. europeo, 1995, p. 65; DORIGO, L’efficacia delle decisioni della Commissione in materia di Aiuti di Stato secondo la Corte di Cassazione: nuovi orizzonti nei rapporti tra ordinamento comunitario e nazionale, in Rass. Trib., 2003, p. 1099; LEANZA, Gli aiuti degli Stati alle imprese nell’art. 92 del Trattato CEE, in Rass. Dir. pubbl, 1962, p. 44; LIBERTINI, Aiuti pubblici alle imprese e il diritto comunitario della concorrenza, in Problemi giuridici delle 83 Sulla nozione di impresa si fa riferimento all’illustrazione precedente in riferimento alle regole generali della concorrenza. L’approfondimento della materia degli aiuti di Stato, per la sua ampiezza e l’importanza che riveste, anche per il settore agricolo, oltre che per la complessità delle tematiche, meriterebbe una trattazione a sé stante; qui ci limiteremo ad alcune considerazioni, in relazione alla collocazione delle specifiche norme nel Capo del Trattato relativo alle regole di concorrenza e al loro collegamento con la disciplina generale antitrust. La definizione di aiuto di Stato ha natura giurisprudenziale, dal momento che l’art. 107 TFUE si limita a sancire che sono incompatibili con il mercato comune «gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali»; è stata allora la Corte di giustizia, anche sulla base di agevolazioni finanziarie all’industria, a cura di Costi e Libertini, Milano, 1982; MALINCONICO, Aiuti di Stato, in Tratt. dir. amm. europeo, a cura di Chiti e Greco, Parte Speciale, I, Milano, 1995, p. 55; MANZINI, Aiuti di Stato prestati mediante conferimento alle imprese di diritti speciali o esclusivi, in Riv. dir. europeo, 1995, p. 27; PERASSO, Procedure e controlli in tema di aiuti di Stato, in Dir. commercio internaz., 1995, p. 671; PORCHIA, Aiuti di Stato in materia ambientale e competenze regionali, in Dir. Unione europea, 2009, p. 857; ROBERTI, Aiuti di Stato e controlli comunitari, in Foro it., 1992, IV, c. 469; SOTTILI, Revoca di aiuti di Stato e tutela dell’affidamento, in Dir. Unione europea, 1998, p. 169; TARAMASSO, Il processo di privatizzazione e di liberalizzazione e il diritto comunitario in materia di aiuti di Stato e di concorrenza, in Dir. commercio internaz., 1995, p. 933; TESAURO, Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato e imprese bancarie, ivi, 1991, p. 405; SQUARATTI, Gli aiuti pubblici alle imprese: ricognizione della giurisprudenza comunitaria, in Dir. pubbl. comp. ed europeo, 2007, p. 761. Anche sugli aiuti di Stato in ambito agricolo sono state pubblicate molte opere; tra esse: BARTHELEMY, La politique communautaire en matière d’aides d’Etat dans le secteur agricole, in Revue de droit rural, 1988, p. 201; DE CATERINI, Gli incentivi nella politica agricola comune, in Incentivi CEE per la riforma delle strutture economiche, a cura di Forlati Picchio, Padova, 1985, p. 201; GENCARELLI, Gli aiuti di Stato in agricoltura, in Riv. dir. agr., 2009, I, p. 23 e in DE CATERINI, (a cura di), Quattro studi in materia di aiuti di Stato, cit., p. 13; GERMANÒ, Sostegni all’agricoltura, in Riv. dir. agr., 2000, II, p. 243; JANNARELLI, Aiuti comunitari e aiuti di Stato, in Dir. e giur. agr. alim. amb., 2009, p. 375; ERHART, State Aid in the Field of Agriculture, in The EC State Aid regime-distortive effects of State Aid on Competition and Trade, a cura di Sanchez Rydelski, London, 2006, p. 477. Anche il Trattato di Marrakech del 14 aprile 1994 prevede la possibilità di sovvenzioni da parte degli Stati firmatari, ma tende a vietarli per garantire la liberalizzazione del commercio internazionale. In argomento vedi, ROOK BASILE, Dal General Agreement on Tariffs and Trade alla World Trade Organization, in GERMANÒ e ROOK BASILE, La disciplina comunitaria e internazionale del mercato dei prodotti agricoli, Torino, 2002, p. 211; DE CHERUBINI, Il requisito del costo per lo Stato tra aiuti nella CE e sovvenzioni nell’Omc, in DE CATERINI (a cura di), Quattro studi in materia di aiuti di Stato, cit., p. 69. 84 considerazioni espresse dalla Commissione193, a dare significato al concetto di aiuto, affermando che è «più comprensivo di quello di sovvenzione dato che esso vale a designare non soltanto le prestazioni positive del genere delle sovvenzioni stesse, ma anche degli interventi i quali, in varie forme, allevino gli oneri che normalmente gravano sul bilancio di un’impresa»194. L’aiuto, per definizione, è un vantaggio di cui un’impresa beneficia e a causa del quale la concorrenza tra gli operatori dello stesso mercato viene distorta o falsata195, che sia concesso con risorse pubbliche, indifferentemente dal soggetto, pubblico o privato, che nello specifico le eroghi196, compresi i sostegni che tecnicamente non figurerebbero come sussidi in senso stretto197. 193 Il riferimento è alle Linee indicate dalla Commissione, ad esempio nella Commission Note on the Enforcement of State Aid Law by National Courts del 25 febbraio 2009, in cui si afferma che: «The notion of State aids is not limited to subsidies. It also comprises, inter alia, tax concessions and investments from public funds made in circumstances in which a private investor would have withheld his support», in Riv. dir. agr., 2009, II, p. 37, con prefazione di JANNARELLI, La governance comunitaria degli aiuti di Stato tra interventi congiunturali e interventi strategici. (A proposito della “nota” della Commissione sull’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato da parte delle Corti nazionali). Negli ultimi anni, per fare fronte al negativo stato congiunturale dell’economia, la Commissione ha emanato nuove disposizioni in tema di aiuti di Stato con Comunicazioni sull’accesso al credito da parte delle imprese, che rendano meno restrittive le regole per la concessione di aiuti sotto forma di garanzie o di prestiti agevolati o di capitali di rischio. Più in particolare, è prevista la possibilità di concedere aiuti al “funzionamento” nel rispetto di determinate condizioni e nell’ambito dei regimi da notificare, con esclusione dei settori della produzione agricola primaria e della pesca, ma con inclusione dei settori della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli. 194 Sentenza Corte di giustizia, 23 febbraio 1961, in causa 30/59, De Gezamenlijke. 195 Sulle varie forme di aiuto si vedano le sentenze della Corte di giustizia CE, 22 marzo 1977, in causa 78/76, Steinike; 27 marzo 1980, in causa 61/79, Denkavit italiana; 2 febbraio 1988, in cause 67-68/85 e 70/85, Van der Kooy; 2 luglio 1974, in causa 173/73, Italia c. Commissione; 24 febbraio 1987, in causa 310/85, Deufil GmbH; 14 novembre 1994, in cause C-278/92 e C280/92, Spagna c. Commissione. 196 Per i giudici europei, la norma dell’art. 107 TFUE, all’opposto di quanto sostenuto da alcuni commentatori, il sostegno concesso deve essere costituito da risorse statali erogate direttamente dallo Stato, oppure per il tramite di altri enti, pubblici o privati (sentenze Corte di giustizia Ce, 17 marzo 1993, in causa C-72/91, Sloman Neptun; 21 marzo 1991, in causa 303/88, Italia c. Commissione; 16 maggio 2002, in causa C-482/99, Francia c. Commissione; 13 ottobre 1982, in cause 213-215/81, Will, che ha escluso dal contenuto dell’art. 107 TFUE i sostegni erogati mediante risorse dell’Ue, dato che, nella vicenda specifica dell’errata spartizione delle quote nazionali del contingente doganale comunitario di carne bovina, il «vantaggio economico (era stato) concesso non mediante risorse statali ma risorse comunitarie». 197 Sentenza Corte di giustizia CE, 13 giugno 2002, in causa C-382/99, Olanda c. Commissione; sentenza Tribunale di primo grado CE, 23 ottobre 2002, in causa T-269-272/99, 85 Un esempio delle questioni sollevate sulla nozione di aiuto di Stato può essere utile per la comprensione della presente trattazione. La Corte di Cassazione italiana ha, con ricorso pregiudiziale198, chiesto alla Corte di giustizia se le agevolazioni fiscali previste dal nostro diritto a favore delle cooperative, per il loro carattere mutualistico, siano da considerarsi aiuto di Stato secondo il diritto europeo e, conseguentemente, da notificarsi alla Commissione per ottenerne l’autorizzazione. La Corte ha statuito che le esenzioni fiscali come quelle riconosciute alle cooperative nella controversia de qua, costituiscono un aiuto di Stato «solamente nel caso in cui tutte le condizioni di applicazione di tale disposizione (art. 87, par. 1, TCE, ora art. 107, par. 1, TFUE) siano soddisfatte»199. Spetta, quindi, al giudice nazionale valutare nel caso concreto se le esenzioni fiscali previste per le cooperative costituiscano Teritorio Histórico de Guipúzcoa; sentenza Corte di giustizia CE, 29 aprile 2004, in causa C278/00, Grecia c. Commissione, in cui si trattava del consolidamento dei debiti di cooperative agricole da parte di una società pubblica; sentenza Corte di giustizia CE, 22 maggio 2003, in causa C-355/00, Freskot, nella quale la Corte ha ritenuto compatibile con la regolamentazione della relativa OCM l’imposizione di una tassa statale che finanzi un ente pubblico incaricato della prevenzione e dell’indennizzo dei danni causati dai rischi naturali alle imprese agricole dello Stato, quale la ricorrente, che aveva come oggetto sociale l’allevamento e la commercializzazione di pollame; sentenza Corte di giustizia CE , 17 luglio 2008, in causa C-206/06, Essent Netwerk Noord BV; sentenza Corte di giustizia CE, 29 aprile 1999, in causa C-342/96, Spagna c. Commissione; Sentenza Trib. primo grado CE, 17 ottobre 2002, in causa T-98/00, Linde AG. 198 Si tratta di tre distinte ordinanze dell’8 febbraio 2008 aventi sostanzialmente identico contenuto. L’ord. n. 3033 relativa ad una cooperativa avente ad oggetto l’allevamento di molluschi, cooperativa da qualificarsi “agricola” in virtù del d.lgs. n. 228/2001, è riportata in Dir. giur. agr. alim. amb., 2008, p. 409, con nota di GERMANÒ, Le agevolazioni fiscali alle cooperative sono aiuti di Stato oggetto di autorizzazione della Commissione? V. anche G. FERRARA, Cooperative agricole, divieto di aiuti di Stato e abuso del diritto, ivi, 2009, p. 114. 199 Sentenza Corte di giustizia 8 settembre 2011, cause riunite C-78/08 e C-80/08, Ministero dell’economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate c. Paint Graphos Soc. coop. Arl e Adige Carni Soc. coop. Arl e Ministero dell’economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate c. Franchetto, non ancora pubblicata. Il caso di specie richiama all’attenzione il divieto dell’abuso del diritto, ritenuto un principio generale dell’ordinamento europeo (sentenze Corte di giustizia CE, 12 maggio 1998, causa C-367/96, Kefalas; Corte giustizia CE, 23 marzo 2000, causa C373/97, Diamantis; Corte giustizia CE, 3 marzo 2005, causa C-32/03, Fini). Sull’argomento vedi GERMANÒ, Manuale di diritto agrario,Torino, 2010, p. 98; ALPINI, L’abuso del diritto nell’esercizio dell’impresa agricola, in Dir. agricoltura, 1997, p. 277; PATTI, Abuso del diritto, in Digesto civ., I, Torino, 1991, 1; LEVI, L’abuso del diritto, Milano, 1993; P. RESCIGNO, L’abuso del diritto, Bologna, 1998; RESTIVO, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano, 2007. 86 aiuti ai sensi dell’art. 87, par. 1, del Trattato CE (ora art. 107, par. 1, TFUE), nonché la loro eventuale giustificazione alla luce del sistema tributario nazionale, stabilendo se le società cooperative si trovino di fatto in una situazione analoga a quella delle altre società aventi forma giuridica differente. Tornando all’analisi principale, secondo la giurisprudenza europea rientrano nella nozione di aiuto di Stato le agevolazioni concesse direttamente dallo Stato, ma anche quelle erogate da enti pubblici territoriali come Regioni, Province o Comuni, da enti pubblici, economici e non economici, da imprese statali o da enti privati che amministrano risorse pubbliche200 sulla base di disposizioni statali201. Per essere qualificata aiuto di Stato la misura di sostegno non può avere carattere generale ed essere rivolta a tutte le imprese operanti nel settore di riferimento, ma deve essere a favore soltanto di alcune imprese o di alcune produzioni per determinare effetti distorsivi della concorrenza e può 200 Sentenza C. giust. CE, 30 gennaio 1985, in causa 290/83, Commissione c. Francia; sentenza C. giust. CE, 14 ottobre 1987, in causa 284/84, Germania c. Commissione; sentenza C. giust. CE, 8 marzo 1988, cause 62/87 e 72/87, Regione Vallona c. Commissione; sentenza C. giust. CE, 22 marzo 1977, in causa 78/76, Steinike (l’argomento, qui, potrebbe essere maggiormente attinente alla nostra materia, in quanto la controversia era relativa a contributi erogati da un ente di gestione di un Fondo nazionale per la promozione delle vendite di prodotti alimentari, agricoli e forestali); sentenza C. giust. CE, 5 novembre 2002, in causa C-325/00, Commissione c. Germania, in cui si discuteva del marchio di qualità «Markenqualität aus deutschen Landen» (marchio di qualità della campagna tedesca) concesso agli imprenditori tedeschi dalla Centrale MarketingGesellschaft der deutschen Agrarwirtschaft (CMA) creata, come suo organo operativo, da un Fondo tedesco creato nel 1993 per la promozione dell’agricoltura e dell’industria alimentare tedesca. Esso è stato ritenuto illegittimo dalla Corte perché il Fondo è un ente di diritto pubblico e il finanziamento delle attività della CMA è garantito dalle risorse concesse dal fondo. Dunque, la misura di cui si discuteva – la concessione del marchio dei prodotti della campagna tedesca - è da considerarsi, da un lato, oggetto di aiuti di Stato, dall’altro, misura pubblica diretta a preferire i prodotti nazionali e, come tale, rientrante nel divieto delle misure equivalenti alle restrizioni quantitative alle importazioni. 201 Così Corte giustizia CE, 30 gennaio 1985, in causa 290/83, Commissione c. Francia, in cui si discuteva di un aiuto concesso agli agricoltori francesi che si aggiungeva al surplus del Fondo di credito agricolo nazionale. Benché il Fondo fosse generato dalla gestione di fondi privati e non da risorse statali e benché la componente governativa rappresentasse la minoranza del Consiglio di amministrazione del Fondo, la Corte ha affermato la natura di aiuto di Stato incompatibile con il diritto comunitario, perché «la misura era decisa e finanziata da un ente pubblico e la cui esecuzione era stata condizionata all’approvazione delle autorità pubbliche ed era stata introdotta dal Governo come facente parte di una serie di misure a sostegno degli agricoltori». 87 presentarsi nelle più svariate forme202. Secondo il regolamento che disciplina la procedura di erogazione degli aiuti di Stato, ogni progetto nazionale di aiuto deve essere notificato alla Commissione onde essa possa accertare, con efficacia costitutiva, se la misura del sostegno sia un aiuto di Stato e se tale aiuto sia compatibile con le disposizioni relative alla tutela della concorrenza203. In altre parole, la Commissione può concedere deroghe «soltanto se ha potuto accertare che, in mancanza degli aiuti, la dinamica del mercato non possa costituire un sufficiente incentivo per gli eventuali beneficiari ad agire per il raggiungimento degli obiettivi prefissi»204. L’elevato numero degli interventi di controllo richiesti alla Commissione ha indotto le istituzioni europee ad introdurre la regola c.d. de minimis, per la quale, quando è al di sotto di una certa soglia, l’aiuto non va notificato, né incorre nel divieto stabilito dall’art. 107 TFUE. Inizialmente, la Comunicazione de minimis205 escludeva gli aiuti statali alle imprese agricole, in quanto ritenuti sempre capaci di alterare la concorrenza, anche se di importi ridotti e, d’altronde, la realizzazione della politica agricola comune e la disciplina delle organizzazioni comuni di 202 Sentenza Corte di giustizia CE, 2 febbraio 1988, in cause 67-68/85 e 70/85, Van der Kooy, in cui l’aiuto assume la forma di una tariffa preferenziale: la vertenza aveva per oggetto la concessione, da parte di una società controllata dallo Stato, di tariffe agevolate per la fornitura del gas per il riscaldamento delle serre a favore di orticoltori olandesi. Stessa questione è stata oggetto della sentenza della Corte, 2 febbraio 1988, in causa 213/85, Commissione c. Olanda. 203 Si tratta del reg. 22 marzo 1999, n. 659, su cui vedi BESTAGNO, Il controllo comunitario sugli aiuti di Stato nel recente regolamento di procedura (659/99 del 22 marzo 1999), in Dir. commercio internaz., 1999, p. 339; PAGLIARETTA, Il regolamento (CE) n. 659/99 del Consiglio sulle modalità di applicazione dell’art. 88 del Trattato, in Dir. Unione europea, 1999, p. 395; R. SCIAUDONE, Il regolamento (CE) n. 659/99 sulle procedure in materia di aiuti di Stato, in Contratto e impresa Europa, 2000, p. 275. Il regolamento in esame, nel confermare l’obbligo della notifica degli aiuti alla Commissione e nel dettare le norme sulle procedure relative agli aiuti notificati e agli aiuti “illegali” (è tale quando la misura non è stata notificata o l’aiuto è stato erogato in pendenza della decisione della Commissione), stabilisce anche l’obbligo per gli Stati membri di presentare alla Commissione relazioni annuali su tutti i regimi di aiuti esistenti e non assoggettati a decisioni condizionali. 204 Così la decisione della Commissione 4 novembre 1992, n. 93/133, in Gazzetta Uff. CE, 6 marzo 1993, n. L. 55, sugli aiuti concessi dalla Spagna ad imprese del settore agroalimentare. 205 Comunicazione del 6 marzo 1996 è stata superata dal reg. 12 gennaio 2001, n. 69, a sua volta sostituito dal reg. 6 agosto 2008 n. 800. 88 mercato avevano creato un sistema completo ed esaustivo di finanziamento, che escludeva qualsiasi facoltà degli Stati membri di adottare misure complementari, anche qualora il provvedimento nazionale venisse adottato in attuazione della legislazione europea206. La conferma dell’esclusione del settore agricolo dalle regole de minimis è stata ribadita nella Comunicazione sugli Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato in agricoltura del 2000207, con la quale è imposto agli Stati l’obbligo della notifica alla Commissione anche per gli aiuti di importo modesto, e viene introdotto un complesso di regole applicabili a tutte le imprese agricole, indipendentemente dalla loro ubicazione geografica, con la puntualizzazione che non erano ammessi i c.d aiuti di funzionamento, ossia gli aiuti intesi a migliorare la situazione finanziaria dei produttori senza alcuna incisività sullo sviluppo del settore, mentre potevano essere autorizzati gli aiuti notificati che avessero la finalità di aumentare la competitività delle imprese agricole sul mercato europeo e mondiale. La materia degli aiuti di Stato in agricoltura è disciplinata, oltre che dalle Comunicazioni della Commissione, anche dai regolamenti 23 dicembre 2003, n. 1/2004208 e 6 ottobre 2004, n. 1860209. Con il primo vengono determinate le condizioni che rendono compatibili con il mercato comune gli aiuti nazionali alle piccole e medie imprese attive nel settore della produzione primaria e, in origine, anche in 206 Sentenza Corte giust. CE, 23 gennaio 1975, in causa 51/74, Van der Hulst’ Zonen; Sentenza Corte giust. CE, 6 novembre 1990, in causa C-86/89, Italia c. Commissione, in tema di aiuti italiani al settore vitivinicolo. 207 Comunicazione sugli Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo, nel settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e nel settore della pesca e dell’acquacoltura del 1° febbraio 2000. Esclusione di nuovo ribadita dal reg. 12 gennaio 2001, n. 69 che, assieme al contemporaneo reg. n. 70/2001 rendeva applicabili gli aiuti de minimis alle piccole e medie imprese dei settori non agricoli. 208 Il reg. n. 1/2004 è ora sostituito dal reg. 15 dicembre 2006, n. 1857. 209 Il reg. n. 1860/2004 era stato emanato dalla Commissione con riferimento agli aiuti de minimis nei settori dell’acquacoltura e della pesca. Esso è stato poi abrogato dal reg. 20 dicembre 2007, n. 1535, che attualmente contiene la disciplina degli aiuti de minimis e che ha elevato a 7500 euro l’importo complessivo destinabile ad una medesima impresa nell’arco di tre anni. 89 quelli della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli210. Il reg. n. 1/2004 ripeteva, così come il reg. 15 dicembre 2006, n. 1857, che per varie disposizioni l’ha sostituito211, l’esclusione degli aiuti di funzionamento e dei sostegni a produzioni agricole senza normali sbocchi di mercato212, e ribadisce la condizione di applicabilità, secondo cui l’aiuto deve essere necessario e costituire un incentivo allo sviluppo del settore, richiamando, in sostanza, le disposizioni della Comunicazione sugli Orientamenti agricoli del 2000. Il regolamento prevede, inoltre, l’esenzione dall’obbligo di notifica preventiva alla Commissione per tutta una serie di interventi nel settore agricolo, che ricalcano le categorie di aiuti nazionali che i predetti Orientamenti definivano ammissibili purché notificati, ma il regolamento in questione escludeva dalla notifica gli interventi che il reg. 210 Il reg. n. 1/2004 è stato sostituito dal reg. 15 dicembre 2006, n. 1857. Quest’ultimo regolamento si applica unicamente agli aiuti accordati alle imprese attive nella produzione agricola primaria e non più, come era previsto dal precedente reg. n. 1/2004, anche a quelle dedite alla trasformazione e alla commercializzazione di prodotti agricoli: per queste ultime ora si applica il reg. n. 800/2008 [art. 1, § 3, lett. c)]. Si ricordi, però, che già erano comunque esclusi dall’applicazione del reg. n. 1/2004 gli aiuti alla trasformazione dei prodotti agricoli in prodotti che non sono compresi nell’All. I del Trattato. 211 Con il reg. n. 1857/2006 si è operata una netta separazione tra l’agricoltura e l’agroindustria, in particolare il 6° considerando, dopo avere costatato la significativa presenza di PMI nel settore della produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli, continua: «Esistono tuttavia notevoli differenze tra la struttura della produzione primaria, da un lato, e la trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, dall’altro. La trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli risulta spesso simile a quella dei prodotti industriali»; sicché – conclude - «appare pertanto più appropriato adottare un approccio differente per la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli, applicando a tali attività le norme relative ai prodotti industriali». Per un’approfondita analisi del regolamento si veda J ANNARELLI, Il pluralismo definitorio dell’attività agricola alla luce della recente disciplina comunitaria sugli aiuti di Stato: prime considerazioni critiche, in Riv. dir. agr., 2007, I, p. 3. Alle disposizioni del reg. n. 1857/2006 (che ha apportato modifiche anche al reg. n. 70/2001 riguardante l’applicazione degli artt. 107 e 108 TFUE agli aiuti di Stato) si collegano gli Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo-forestale 2007-2013, pubblicati in Gazzetta Uff. CE, 27 dicembre 2006, n. C-319/1, su cui v. BRUNETTI, La disciplina degli “aiuti regionali” nel diritto comunitario: nuovi Orientamenti della Commissione europea, Regolamento (CE) n. 1628/2006 e “carte regionali”, in Regioni, 2008, p. 493. A questa comunicazione si è aggiunta poi la Comunicazione sulla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione, pubblicata in Gazzetta Uff. CE, 30 dicembre 2006, n. C-323/01. Si tenga presente che i nuovi Orientamenti comunitari del 2006 sugli aiuti al settore agricolo prevedono anche la possibilità di aiuti connessi allo sviluppo rurale, all’attuazione delle direttive uccelli e flora e fauna selvatiche, alla tutela dell’ambiente e al settore forestale. 212 Sentenza Tribunale di primo grado 4 marzo 2009, nella causa T-424/05, Italia c. Commissione. 90 17 maggio 1999, n. 1257213 aveva previsto quali misure di sviluppo rurale che gli Stati membri erano autorizzati a finanziare senza alcun contributo dell’Unione, oltre ad esentare dall’obbligo di notifica anche altri tipi di aiuti. Con il secondo provvedimento, il reg. 6 ottobre 2004, n. 1860, successivamente abrogato dal reg. 20 dicembre 2007, n. 1535, è stata estesa all’agricoltura la regola de minimis, che per i settori non agricoli era già stata introdotta dal reg. 7 maggio 1998, n. 994214, e che prevede le 213 Il reg. n. 1257/99 sullo sviluppo rurale è stato sostituito dal reg. 20 settembre 2005, n. 1698, sul sostegno dello sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr), regolamento modificato dal reg. 16 gennaio 2009, n. 74. Il reg. n. 1698/2005, come già il reg. n. 1257/1999, costituisce la base giuridica unica per l’applicazione delle regole sugli aiuti di Stato nel settore dello sviluppo rurale, tanto al livello della produzione primaria, quanto a quello della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli. In particolare, l’art. 88 reg. n. 1698/2005 dichiara che gli artt. 87-89 del Trattato di Roma (ora artt. 107-109 TFUE) sono applicabili a tutti gli aiuti di Stato per le misure di sostegno allo sviluppo rurale (§ 1), ma aggiunge che i contributi nazionali ai programmi di sviluppo rurale erogati dagli Stati membri in cofinanziamento del sostegno comunitario allo sviluppo rurale non sono assoggettati ai detti artt. 107-109 (§1, 2° co.) e, quindi, non devono essere notificati: tali misure nazionali sono, infatti, “controllate” dalla Commissione nel momento dell’approvazione del programma nazionale sullo sviluppo rurale. Una disamina esaustiva del reg. è contenuta in G ENCARELLI, Gli aiuti di Stato in agricoltura, in Riv. dir. agr., 2009, I, 35. 214 Il reg. considera di entità modesta e in quanto tali incapaci di incidere sul commercio comunitario gli aiuti che non eccedevano, nell’arco di tre esercizi fiscali, l’importo di 3000 euro (ora 7500 euro, ex art. 3 reg. n. 1535/2007) per l’impresa del settore agricolo e quando l’importo globale degli aiuti concessi all’insieme delle imprese nell’arco dei tre anni fosse inferiore al massimale dell’0,3% (ora 0,75%) del valore complessivo della produzione agricola del settore. Per l’Italia, il tetto massimo, per il reg. n. 1860/2004, era di circa 130 milioni di euro; ora è di 320.505.000 euro. Si tenga presente che tale importo è stato regionalizzato per l’80%. Se l’importo totale massimo degli aiuti de minimis ottenuti da una impresa non può superare, nell’arco di tre anni, i 7.500 euro, ciò significa che per stabilire se un’impresa possa ottenere una agevolazione in regime de minimis e l’ammontare della stessa, occorrerà sommare tutti gli aiuti ottenuti da quella impresa, a qualsiasi titolo (per investimenti, attività di ricerca, promozione estero, ecc.) in regime de minimis, nell’arco di tre esercizi finanziari (l’esercizio finanziario in cui l’aiuto è concesso più i due precedenti). L’impresa che richiede un aiuto di questo tipo dovrà, quindi, dichiarare quali altri aiuti ha ottenuto in base a quel regime e l’amministrazione concedente verificare la disponibilità residua sul massimale individuale dell’impresa. Nel caso un’agevolazione concessa in de minimis superi il massimale individuale a disposizione in quel momento dell’impresa beneficiaria, l’aiuto non potrà essere concesso nemmeno per la parte non eccedente tale tetto. Dal computo dei 7.500 euro vanno esclusi gli aiuti che un’impresa possa avere ottenuto o potrà ottenere in base ad un regime autorizzato dalla Commissione o esentato ai sensi di uno specifico regolamento di esenzione. Tuttavia, il cumulo (vale a dire la concentrazione sulle stesse spese ammissibili) di un’agevolazione de minimis con altri aiuti di Stato esentati o autorizzati è consentito solo se non si superano le intensità di aiuto previste per quell’intervento dalle regole europee. Ogni Stato membro ha a disposizione un plafond nazionale che costituisce l’importo cumulativo che può essere corrisposto alle imprese del settore della produzione agricola nell’arco 91 condizioni per cui gli aiuti agricoli non debbano essere notificati, e le regole per il loro stanziamento da parte dello Stato. Dalla generale disamina sin qui esposta, si ricava che il settore agricolo sempre più ha manifestato affinità, nella disciplina degli aiuti di Stato, con i comparti non agricoli; tuttavia, è necessario, per avere un quadro il più accurato possibile della materia, ricordare anche il reg. 29 settembre 2003, n. 1783, che, con il coevo reg. n. 1782/2003, costituisce la riforma di medio termine della Pac, e che ha fissato uno specifico divieto di aiuti di Stato agli agricoltori. In virtù del reg. 1783/2003, sono vietati gli aiuti di Stato diretti a indurre gli agricoltori ad adeguarsi alle nuove rigorose norme europee in materia di ambiente, sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere degli animali e sicurezza sul lavoro, qualora non soddisfino le condizioni prescritte dagli artt. 21 bis-21 quater reg. n. 1257/99, come aggiunti dall’art. 1.9 reg. n. 1783/2003, la c.d. condizionalità, la quale prevede un sostegno temporaneo e a copertura parziale dei costi contenuti e delle perdite di reddito in cui gli agricoltori incorrano per adeguarsi alle nuove norme. La disposizione risulta confermata dall’art. 88, par. 5, reg. 20 settembre 2005, n. 1698, che esplicitamente dichiara che «sono vietati gli aiuti di Stato a favore degli agricoltori che si adeguano ai rigorosi requisiti prescritti dalla normativa comunitaria in materia di tutela dell’ambiente, sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere degli animali e di tre esercizi finanziari. Per l’Italia il plafond di 320.505.000 euro è stato ripartito tra le Regioni, le Province autonome e lo Stato a titolo di riserva. Gli altri enti presenti sul territorio nazionale che concedono aiuti de minimis dovranno accordarsi preventivamente con le Regioni di appartenenza ai fini del controllo del rispetto dei massimali assegnati. Per imprese del settore agricolo l’art. 2.1 reg. n. 1860/2004 intendeva «le imprese dedite alla produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti elencati nell’Allegato I del Trattato». Ora, invece, come anche per il reg. n. 1535/2007, gli Orientamenti comunitari del 2006 per gli aiuti di Stato nel settore agricolo e forestale 2007-2013, ribadiscono la separazione del settore della produzione primaria agricola da quello della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli per il quale l’erogazione degli aiuti pubblici è disciplinata dalle norme generali applicabili al settore industriale. 92 sicurezza sul lavoro, se non soddisfano le condizioni» di cui al precedente art. 31 che detta l’obbligo del rispetto delle norme basate sulla legislazione europea sostenibile. Quando gli aiuti erogati non potevano essere tali perché non ammessi dalla Commissione, la sanzione imposta è quella del loro rimborso, perché si tratta di aiuti indebitamente percepiti. Non c’è solo l’obbligo per lo Stato di sopprimere o modificare il regime della concessione dell’aiuto, occorre che vengano ripristinate le condizioni di libera concorrenza esistenti prima dell’introduzione dell’aiuto; pertanto gli aiuti illegittimi vanno rimborsati e lo Stato membro che li ha concessi deve attivarsi per recuperarli215. Il recupero degli aiuti incompatibili con il mercato comune, tuttavia, è escluso nelle ipotesi in cui siano trascorsi dieci anni dalla loro concessione, qualora il recupero sia in contrasto con un principio generale dell’ordinamento europeo o qualora esso non sia possibile nonostante vengano utilizzati tutti i mezzi di cui lo Stato dispone. La prima ipotesi è, in sostanza, l’applicazione della regola della prescrizione, essendo un cardine della certezza del diritto la determinazione di un termine oltre il quale non sono più ammesse contestazioni o controversie. La seconda ipotesi non è di facile comprensione: per questo la Corte di giustizia ha identificato quali valori fondamentali del diritto europeo i principi di non discriminazione, della certezza del diritto, dell’uguaglianza, del legittimo affidamento, della proporzionalità, dell’effetto utile, della leale cooperazione e della sussidiarietà. Ad esempio, in materia di quote latte, si sono presentate ingenti problematiche nelle azioni di recupero degli aiuti erogati, per possibili contrasti con principi dell’ordinamento europeo: si possono, a tal fine, 215 Sentenza Corte di giustizia Ce, 12 luglio 1973, in causa 70/72, Commissione c. Germania. Sul recupero degli aiuti di Stato indebitamente percepiti v. O RZAN, Il recupero degli aiuti illegali e incompatibili alla prova dei fatti: problemi e prospettive di sviluppo, in DE CATERINI (a cura di), Quattro studi in materia di aiuti di Stato, cit., p. 33. 93 citare due sentenze216 che vertevano, una, sulla violazione del legittimo affidamento ad opera di interventi nazionali di “correzione” delle assegnazioni delle quote agli allevatori di vacche lattifere, l’altra, sulla presunta violazione del principio della certezza del diritto, poiché la comunicazione della rispettiva quota non era stata fornita agli allevatori in modo adeguato. Tralasciando di esaminare a fondo le specifiche vicende dell’esecuzione della normativa europea sulle quote latte nel nostro Paese, osserviamo che entrambe le sentenze avevano per oggetto il recupero del superprelievo non pagato dai produttori italiani di latte oltre la rispettiva quota di assegnazione: pronunciandosi sui fatti di causa, la Corte di giustizia ha dichiarato che i produttori italiani di latte non potevano legittimamente aspettarsi, undici anni dopo l’istituzione del regime delle quote, di poter continuare a produrre latte senza limiti e senza obblighi. In altre parole, il legittimo affidamento nel provvedimento (legislativo o amministrativo) di concessione dell’aiuto o nella successiva avvenuta erogazione dell’aiuto incompatibile con il diritto comunitario, non può garantire che, accertata l’illegittimità dell’aiuto, la Commissione non ne imponga il recupero, soprattutto quando il beneficiario possa avere, nelle circostanze nelle quali l’aiuto gli è stato concesso, il dubbio del suo contrasto con le regole di una leale concorrenza. D’altronde, un operatore economico diligente deve essere in grado di rendersi conto se la procedura prevista dall’art. 108 TFUE per la concessione dell’aiuto sia stata rispettata. Da quanto illustrato, si ricava che il divieto di aiuti pubblici alle imprese non ha carattere generale, visto che lo stesso Trattato contempla la 216 Sentenza Corte di giustizia CE, 25 marzo 2004, cause C-231/00, C-303/00 e C-451/00, Lattepiù ed altri e sentenza della stessa data in cause C-480-482/00, C-484/00, C-489-491/00 e C497-499/00, Ribaldi ed altri, con commento di GERMANÒ, Le quote-latte tra riallineamento e affidamento e tra comunicazione e certezza del diritto, in Dir. giur. agr. amb., 2004, p. 398. 94 possibilità di aiuti ope legis (ai sensi dell’art. 107, par. 2, TFUE, ex art. 87, par. 2, TCE), di aiuti autorizzati dalla Commissione (art. 107, par. 3, TFUE), e di aiuti ammissibili in seguito a decisione unanime del Consiglio (art. 108, par. 2, 3° capoverso, TFUE)217. Negli aiuti autorizzati dalla Commissione rientrano gli aiuti a finalità regionale (in cui prevalgono esigenze di equità che impongono che non sussistano differenze notevoli di sviluppo tra le varie regioni di uno stesso Paese), gli aiuti a finalità settoriale218 (per agevolare talune attività imprenditoriali onde determinati obiettivi economici e sociali vengano raggiunti) e altri tipi di sostegno. Tra gli aiuti ammessi su decisione del Consiglio, l’art. 108, par. 2, 3° capoverso, TFUE (ex art. 88, par. 2, 3° capoverso, TCE) dispone che «A richiesta di uno Stato membro, il Consiglio, deliberando all’unanimità, può decidere che un aiuto, istituito o da istituirsi da parte di questo Stato, deve considerarsi compatibile con il mercato interno, in deroga delle disposizioni dell’art. 107 o ai regolamenti di cui all’art. 109, quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione». Il Consiglio, sulla base di questa norma, ha alcune volte ammesso degli aiuti, ma senza fornire una spiegazione esaustiva delle condizioni eccezionali che possano dare luogo 217 Nella materia agricola la Commissione ha autorizzato aiuti ai sensi delle norme citate, in particolare con varie disposizioni del reg. 1782/2003 (di seguito abrogato dal reg. 19 gennaio 2009, n. 73, che ne ha riprodotto le disposizioni): a titolo esemplificativo, si richiamano le autorizzazioni ad accordare un aiuto nazionale complementare all’aiuto comunitario per la frutta con guscio (art. 87 reg. n. 1782/2003), un aiuto nazionale non superiore al 50% delle spese di avviamento di colture pluriennali destinate alla produzione di biomassa su terreni messi a riposo (art. 107, § 3, 2° co., reg. n. 1782/2003) e un premio nazionale supplementare all’aiuto comunitario alle vacche nutrici (art. 125, § 5, reg. n. 1782/2003). Il reg. 1234/2007 (OCM unica) ha concesso, all’art. 182.4, alla Germania di continuare ad accordare aiuti all’alcole etilico di origine agricola, già autorizzati con normativa precedente (l’art. 10, § 2, reg. 8 aprile 2003, n. 670 del Consiglio). 218 Per l’agricoltura la Commissione ha emanato la Comunicazione sugli Orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo (in Gazzetta Uff. CE, 1° febbraio 2000, n. C 28) e la comunicazione in merito agli aiuti di Stato per prestiti agevolati a breve termine nel settore agricolo (ivi, 16 febbraio 1996, n. C 44), nonché la comunicazione sugli Orientamenti per l’esame degli aiuti di Stato nel settore della pesca e dell’acquacoltura (ivi, 14 settembre 2004, n. C 229). 95 alla loro concessione219, spesso limitandosi ad affermare che «esistono circostanze eccezionali tali da giustificare la concessione di questo aiuto»220, o a richiamare la situazione fortemente eccedentaria del mercato comunitario221, o a prospettare la grave crisi di mercato di uno specifico settore economico con un esagerato ribasso dei prezzi 222, o a invocare la drammatica situazione finanziaria di una particolare categoria di imprenditori223, o a risolvere la particolarissima situazione dei produttori italiani di latte con riguardo al pagamento del prelievo supplementare per il superamento delle quote che aveva dato luogo a un vasto numero di cause pendenti che avrebbero potuto ritardare, ancora per molto tempo, gli effettivi pagamenti224. Il tema degli aiuti di Stato al settore agricolo annovera, oltre alle 219 Decisione del Consiglio 24 luglio 1973, n. 209, sul regime inglese di aiuto a favore della raffinazione dello zucchero greggio, con cui è stato autorizzato l’aiuto nonostante che «con lettera 16 luglio 1973, la Commissione (avesse) deciso, sulla base dell’art. 93.2 (ora 87.2) del Trattato, che il Governo del Regno Unito doveva sopprimerlo». 220 Così, ad esempio, la decisione 27 febbraio 1975, n. 142 del Consiglio con riguardo all’aiuto concesso dal Regno Unito a favore della macellazione di taluni bovini adulti. V. anche la decisione 30 giugno 1984, n. 361, sull’aiuto tedesco ai produttori agricoli, per le difficoltà particolari incontrate dall’agricoltura tedesca. Sulla presente e le seguenti decisioni v. ORLANDI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario, Napoli, 1995, p. 610, nt. 17 ss. 221 Decisione 22 giugno 1976, n. 75/556, relativa all’aiuto danese alla macellazione delle galline, data la grave crisi di sovrapproduzione di uova. V. anche la decisione 22 giugno 1976, n. 306, relativa all’aiuto francese a taluni viticoltori, dato che l’abbondanza del raccolto di uva aveva creato disponibilità che superavano il fabbisogno normale di una campagna vinicola. 222 Decisioni n. 2002/193 e n. 2002/194 relative agli aiuti, rispettivamente, francesi e italiani per la distillazione del vino. 223 Decisione 16 marzo 1987, n. 197, relativa all’aiuto francese di parziale assunzione dei contributi sociali di taluni produttori di latte. V. anche la decisione 13 luglio 1970, n. 355, relativa all’applicazione delle misure di compensazione a favore dei produttori di cereali da parte della Repubblica federale tedesca. 224 Decisione del Consiglio 16 luglio 2003, n. 530, sull’aiuto italiano ai produttori eccedentari di latte in merito al pagamento dilazionato e senza interessi dei prelievi da essi dovuti. V. ora art. 40 bis del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122, che ha prorogato al 31 dicembre 2010 il pagamento della rata di giugno 2010 delle multe da parte dei produttori eccedentari di latte, già disposta dal d.l. 28 marzo 2003, n. 49, nonché l’art. 2, co. 12duodecies, d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito in l. 26 febbraio 2011, n. 10, che ha ulteriormente prorogato al 30 giugno 2011 il pagamento della rata di dicembre 2010 delle multe. La Commissione europea ha avviato una procedura d’indagine formale contro l’Italia sulla proroga del pagamento delle multe latte, preceduta da una richiesta di chiarimenti che non è stata ritenuta soddisfacente. Viene, così, contestata la proroga di sei mesi concessa dalla legge n. 10/2011, che ha posticipato al 30 giugno il pagamento della rata dei prelievi sul latte in scadenza a fine 2010, dopo che la rateizzazione dei pagamenti era stata accordata all’Italia nel 2003, configurando n tal modo una violazione delle norme europee sugli aiuti di Stato. 96 disposizioni normative sin qui richiamate, anche le prescrizioni contenute nel reg. generale n. 26/62 del Consiglio, che all’art. 4 afferma che «Le disposizioni del paragrafo 1 e del primo periodo del paragrafo 3 dell’articolo 93 del Trattato si applicano agli aiuti concessi alla produzione o al commercio dei prodotti elencati nell’allegato II del Trattato»225. Se l’esame della disciplina degli aiuti di Stato al settore agricolo si limitasse alla lettera di questa norma, si evincerebbero queste considerazioni: alla Commissione, per il richiamo al paragrafo 1 dell’art. 93 (ora art. 108 TFUE, ex art. 88 TCE), spetterebbe il compito di procedere, con gli Stati membri, all’esame permanente del regime degli aiuti agricoli esistenti negli Stati, e, per il richiamo alla prima frase del paragrafo 3 del medesimo articolo, ad essa devono essere notificate le misura di aiuto che gli Stati volessero concedere. La Commissione, quindi, per il mancato richiamo al paragrafo 2 dell’art. 93 (ora art. 108 TFUE), dopo avere costatato che un aiuto non è compatibile con il mercato interno, oppure che è stato attuato abusivamente, non potrebbe chiedere agli Stati di sopprimere gli aiuti illegittimi. In tal modo si avrebbe, in linea di principio, che per gli aiuti di Stato relativi ai prodotti agricoli sarebbe esclusa non solo l’operatività degli artt. 107 e 109 TFUE (già artt. 87 e 89 TCE), ma anche quella relativa al paragrafo 2 dell’art. 108 TFUE (ex art. 88 TCE), che disciplina l’intervento sanzionatorio della Commissione in caso di aiuti non ritenuti compatibili226. Il vigente art. 180 del Capo II del regolamento n. 1234/2007, riguardo agli aiuti di Stato, ha dettato una nuova formula, che ha riunificato le disposizioni contenute nei vari regolamenti di settore, e ciò ha permesso ad autorevole dottrina di asserire che i «pacchetti disciplinari che, di volta in 225 Come noto, il reg. 26/62 è stato abrogato dal reg. 24 luglio 2006, n. 1184, il quale all’art. 3, ribadisce la vecchia disposizione dell’art. 4 reg. n. 26/62. 226 Così JANNARELLI, Aiuti comunitari e aiuti di Stato, cit., p. 377. 97 volta, nel delineare specifici aiuti comunitari, hanno ridisegnato l’ambito operativo degli aiuti di Stato per ciascun comparto produttivo», hanno fatto riferimento al complesso delle disposizioni del Trattato in materia di aiuti di Stato, e non solamente all’art. 108, paragrafi 1 e 3, TFUE. In tale maniera, «in materia di aiuti di Stato, la centralità disciplinare si è (…) spostata dal Reg. 1184/2006 al Reg. 1234/2007»227 che, nell’istituire un’unica organizzazione comune di mercato, ha dedicato il capo II della parte IV alla normativa sugli aiuti di Stato nel settore agricolo. L’art. 180 del reg. n. 1234/2007 su tali aiuti, infatti, nel ribaltare le precedenti disposizioni dell’art. 4 reg. n. 26/62, riprese dall’art. 3 reg. n. 1184/2006, ha previsto «l’applicazione degli artt. 87, 88 e 89 del Trattato» (ora artt. 107, 108 e 109 TFUE)228. A conclusione della disamina giova ricordare, comunque, che la politica agricola comune in modo sistematico e continuativo prevede un’imponente concessione di aiuti finanziari agli imprenditori agricoli229. Da ultimo, si osserva che, per la divisione delle competenze tra Stato e Regioni prevista dal nostro ordinamento costituzionale, in materia di agricoltura gli aiuti sono previsti nei Programmi di sviluppo rurale (PSR), 227 JANNARELLI, supra, p. 378, dove l’A. richiama la sentenza della Corte di giustizia CE, 23 febbraio 2006, in cause C-346/03 e C-529/03, Atzeri e altri c. Regione Sardegna, per la quale la regola più favorevole già contenuta nel reg. n. 26/1962 e ora nel reg. n. 1184/2006 opera in definitiva soltanto per i prodotti agricoli di cui all’all. I del Trattato non soggetti a OCM. 228 L’art. 180 reg. n. 1234/2007 è stato modificato dal reg. 19 gennaio 2009, n. 72, che ha introdotto alcune precisazioni in relazione all’esistenza di una OCM unica: l’art. 4.34, precisa che «tuttavia, gli artt. 87, 88 e 89 del Trattato non si applicano ai pagamenti erogati dagli stati membri a norma degli artt. 44, 45, 46, 47, 48, 102, 102 bis, 103, 103 bis, 103 ter, 103 sexies, 103 octies bis, 104, 105 e 182» del reg. n. 1234/2007. In tal modo si è riconosciuto il primato al reg. n. 1234/2007 sul reg. n. 1184/2006, con un’operazione di inversione del rapporto tra regola ed eccezione, e si è riconosciuto il quadro disciplinare in materia di aiuti di Stato in base ad entrambi i detti regolamenti che vengono, così, ad integrarsi tra loro. V. J ANNARELLI, Aiuti comunitari e aiuti di Stato, cit., p. 378. 229 Sull’argomento si faccia riferimento all’analisi contenuta in J ANNARELLI, Aiuti comunitari e aiuti di Stato, cit., p. 375 ss, il quale evidenzia come nell’epoca attuale la legislazione europea delinei puntualmente gli strumenti a disposizione degli Stati nella concessione di aiuti, un tempo osteggiati in quanto potenzialmente distorsivi della concorrenza, mentre oggi sono visti come una parte rilevante degli sforzi finanziari dell’Unione europea. 98 in applicazione del reg. 17 maggio 1999, n. 1257, e nei programmi regionali nel quadro del Piano strategico nazionale, in applicazione del reg. 20 settembre 2005, n. 1698. Allora, anche il tema degli aiuti di Stato agricoli, coordinato con la disciplina in materia di concorrenza, ha sollevato problemi complessi sul riparto delle competenze, su cui si rimanda al capitolo specificamente dedicato. Siano consentite, al termine di questa disamina, alcune rapide valutazioni; emerge, così, con tutta evidenza la differenza di trattamento tra agricoltura e altri settori economici in relazione all’applicazione degli aiuti di Stato. Inoltre, è di tutto rilievo l’incidenza che i sostegni pubblici hanno sulla disciplina della concorrenza, attenuandone il rigore e introducendo delle deroghe ai principi generali antitrust in relazione ad esigenze particolari del comparto agricolo. Tra l’altro gli aiuti di Stato in agricoltura continuano a svolgere, all'opposto di altri settori, un ruolo rilevante sia sotto il profilo normativo sia finanziario. In un settore fortemente regolamentato, come quello agricolo, la disciplina degli aiuti di Stato dovrebbe essere più semplificata. Come abbiamo visto gli Orientamenti non hanno fornito un impulso in tal senso e anche la normativa introdotta recentemente sugli aiuti de minimis non ha di fatto sostanzialmente creato un’occasione di semplificazione adeguata,dal momento che la soglia proposta per gli interventi appare troppo bassa. Un’altra rilevante considerazione riguarda l’esigenza di armonizzare le regole e gli strumenti adottati dalla politica agricola: sostegno delle singole produzioni, politica strutturale e politica degli aiuti nazionali. La necessità sempre più pressante è che vi sia un coordinamento maggiore tra le diverse componenti della politica agricola in modo tale che tutte confluiscano in una strategia comune. 99 4. La disciplina della concorrenza e il sistema delle organizzazioni dei produttori agricoli La Comunità europea, successivamente divenuta Unione europea, come già esplicitato, fin dalle origini della politica agricola comune, ha individuato strumenti di incentivo alla costituzione di associazioni tra agricoltori al fine di potenziare la loro posizione sul mercato e rafforzarne il potere contrattuale nei confronti delle controparti industriale e commerciale. Si è, in sostanza, data via libera alla concentrazione dell’offerta dei produttori agricoli, al fine di equilibrare la loro posizione rispetto a quella degli acquirenti, purché non si spingessero sino a fissare i prezzi dei prodotti. L’ordinamento facilita, quindi, la costituzione di associazioni di produttori agricoli: si pensi al Regolamento n. 2200/96 del 28 ottobre 1996, modificato dai Regolamenti nn. 1432 e 1433/2003230, relativo alla costituzione delle organizzazioni di produttori ortofrutticoli; nonché al Regolamento n. 1360/78 del 19 giugno 1978, ora superato 231, disciplinante le associazioni di produttori agricoli, le quali sono titolari di funzioni operative, ma anche di funzioni normative nei confronti degli associati (e in taluni casi addirittura nei confronti di tutti i produttori del comparto), riguardanti ad esempio la determinazione ed applicazione di norme di produzione e immissione dei prodotti sul mercato. La legislazione richiede che le intese riguardino solo imprenditori agricoli e loro associazioni, indipendentemente dalla loro forma giuridica. 230 Si tratta del Regolamento n. 1432/2003 della Commissione dell’11 agosto 2003 recante modalità di applicazione del Regolamento n. 2200/96 del Consiglio per quanto riguarda il riconoscimento delle organizzazioni di produttori e il prericonoscimento delle associazioni di produttori, in GUUE del 12.8.2003 e del Regolamento n. 1433/2003 della Commissione dell’11 agosto 2003 recante modalità di applicazione del Regolamento n. 2200/96 del Consiglio riguardo ai fondi di esercizio ai programmi operativi e all’aiuto finanziario. 231 Il Regolamento n. 1360/78 è stato sostituito dal Reg. 952/97 del 20 maggio 1997, di seguito abrogato dal Reg. 1257/99 del 17 maggio 1999. 100 Inoltre, le decisioni possono riguardare ciascuna delle fasi di lavorazione del prodotto, che all’immissione sul vanno dalla mercato produzione alla previo deposito, vendita, ovvero manipolazione o trasformazione, in impianti comuni, ivi compresa la fissazione di limiti quantitativi di produzione, con la sola eccezione rappresentata dalla diretta fissazione di un prezzo di vendita vincolante per i produttori agricoli aderenti all’accordo ovvero all’associazione. In sostanza, si è ritenuto che le intese tra produttori agricoli fruissero di una presunzione di conformità agli obiettivi dell’art. 39 TFUE (ex art.33 TCE), nel senso che spetta alla Commissione, ove intenda far valere il divieto di cui all’art. art. 101 TFUE (ex art. 81 TCE), accertare che tale intesa od associazione escluda la concorrenza, ovvero che siano compromessi gli obiettivi dell’art. 39 TFUE. Tuttavia, una pronuncia della Corte di giustizia232 ha eroso sensibilmente la portata della deroga, in quanto, secondo la soluzione (discutibile per taluni233) accolta dalla Corte, non si sarebbe di fronte all’operatività di una presunzione sostanziale circa la conformità dell’accordo alla normativa antitrust sino al contrario accertamento effettuato dalla Commissione, ma più semplicemente solo a una inversione probatoria rilevante sul piano procedurale: di conseguenza, il principio relativo alla nullità ipso iure, con efficacia retroattiva, di tutte le intese o gli accordi che violano l’art. 101, par. 1, TFUE, dovrebbe valere in tutti i casi. Il reg. n. 1234/07, regolamento unico OCM, come anche gli altri residui regolamenti di base dei settori produttivi non interessati dalla sua applicazione, contiene numerose norme di carattere anticoncorrenziale: basti pensare ai regimi di contenimento della produzione (quote produttive) 232 Sentenza della Corte di giustizia, del 12 dicembre 1995, nei procedimenti riuniti C319/93, C-40/94, C-224/94, Dijkstra, in Raccolta, p. 4497. 233 JANNARELLI, Le regole della concorrenza nella PAC, cit., p. 81. 101 e agli aiuti concessi per determinate produzioni; detto regolamento, inoltre, dedica la sua Parte IV (artt. da 175 a 182) alle “norme sulla concorrenza”, riproducendo sostanzialmente il contenuto degli artt. 1-bis e 2 del reg. n. 1184/06 (il cui ambito di applicazione è rappresentato oramai dai prodotti agricoli non disciplinati dal reg. 1234/07). Non a caso, lo stesso reg. n. 1234/07 si premura di indicare, quale propria base giuridica, anche l’art. 36 TCE (ora art. 42 TFUE), a riprova del fatto che si tratta di deliberazione del Consiglio che trova la propria legittimazione, quanto ai profili anticoncorrenziali, nell’art. 36 del Trattato. Come dianzi illustrato, l’ordinamento dell’UE ha previsto delle esenzioni specifiche alle regole della concorrenza per la stipula di accordi tra imprese, non solo agricole, che abbiano finalità specifiche previamente individuate dalla stessa normativa all’interno della regolazione dell’organizzazione comune di mercato. In tal modo è stata riconosciuta come legittima la stipulazione di accordi di filiera ritenuti strumentali alla stessa regolazione del settore di mercato tra imprese, al pari di quanto previsto per gli accordi tra associazioni di produttori agricoli ai sensi del reg. 26/62. Ciò si verifica in settori nei quali la presenza di accordi interprofessionali tra agricoltori e imprese industriali che operano all’interno della filiera (trasformatori, imprese di commercializzazione) è considerata opportuna per la strutturazione del mercato234: nel settore ortofrutticolo, in cui si è in presenza di una forte frammentazione dell’offerta; così nel settore del tabacco dove la commercializzazione del prodotto passa inevitabilmente attraverso la trasformazione del prodotto grezzo e, quindi, la negoziazione tra produttori agricoli e imprese di trasformazione. 234 Sugli accordi interprofessionali, v. P AOLONI, Gli accordi interprofessionali in agricoltura, Padova, 2000; sulle deroghe in materia di concorrenza all’interno delle OCM, v. JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo, cit. p. 450 ss. 102 Di più, il Reg. n. 2200/96 sulle associazioni di produttori ortofrutticoli, in precedenza disciplinate dal reg. 1035/72, prevede per la prima volta la costituzione, accanto alle tradizionali organizzazioni di produttori ortofrutticoli, costituite da soli produttori agricoli le quali ricalcano il modello preso in considerazione dalla terza ipotesi di cui all’art. 2 del reg. 26/62, la costituzione di organizzazioni interprofessionali, che raggruppino «rappresentanti delle attività economiche connesse con la produzione e/o il commercio e/o la trasformazione dei prodotti ortofrutticoli», e attribuisce loro il potere di dettare norme e di elaborare contratti-tipo capaci di autolimitare la concorrenza tra i diversi operatori della stessa filiera, e stabilisce che detti accordi e pratiche sono sottratti all’applicazione dell’art. 81, par. 1, del Trattato, in esplicita deroga allo stesso art. 1 del reg. 26/62 (art. 20), allorché mirino a realizzare determinati fini, introducendo una disciplina di favore superiore a quella delineata nel reg. 26/62. La dottrina più avveduta ritiene che si delinei, in questo modo, un confine che è «pressappoco quello delle esenzioni delle intese verticali per categoria»235. La norma in esame predispone pur sempre alcune cautele, anche di ordine preventivo: gli accordi, le decisioni e le pratiche adottate dall’organizzazione interprofessionale debbono essere notificate alla Commissione e possono essere attuate soltanto alla scadenza dei due mesi successivi nel caso in cui la Commissione non abbia sollevato obiezioni e ritenuto tali decisioni incompatibili con la normativa comunitaria; d’altra parte anche successivamente alla scadenza dei due mesi, la Commissione può sempre adottare una decisione di contrarietà all’art. 81, par. 1, in presenza di precise circostanze. Inoltre, l’art. 20, comma 3 del reg. 2200/96 si è preoccupato di individuare ipotesi evidenti di contrarietà alla disciplina 235 Così ROOK BASILE, La sicurezza alimentare ed il principio di concorrenza, cit., p. 315. 103 comunitaria. Nello stesso tempo, il reg. 2200/96 ha confermato, ma estendendone l’applicazione anche alle nuove organizzazioni interprofessionali, la possibilità che a decisioni adottate da organizzazioni dotate di particolare rappresentatività sia attribuita efficacia vincolante rispettivamente per tutti i produttori ortofrutticoli, stabiliti nella circoscrizione e non aderenti a tale organizzazione, ovvero a tutti gli operatori attivi nella regione interessata e non aderenti all’organizzazione interprofessionale. In ordine, poi, alla possibilità che gli Stati attribuiscano efficacia erga omnes a decisioni di organizzazioni di produttori ortofrutticoli ovvero di organizzazioni interprofessionali, sempre che rispondano ai requisiti di cui agli artt. 18 e 21 del reg. 2200/96, la Commissione può sempre decidere che lo Stato revochi l’estensione delle regole sia quando dall’estensione derivi l’eliminazione della concorrenza in una parte sostanziale del mercato interno, ovvero la lesione della libertà degli scambi, o il pregiudizio per gli obiettivi di cui all’art. 33 del Trattato, sia quando le delibere, come tali, vale a dire indipendentemente dall’estensione della loro efficacia, siano in contrasto con l’art. 81, par. 1. Da ciò si ricava una regola specifica per l’agricoltura europea: tra gli strumenti da utilizzarsi per il conseguimento degli obiettivi di cui all’art. 33 del Trattato, quello della garanzia della libertà di concorrenza trovasi in posizione subordinata. Tanto è vero che la stessa Comunità si è servita di strumenti che, traducendosi in vantaggi o protezioni giuridiche per alcuni imprenditori, si colorano di privilegio e di aspetti anticoncorrenziali, come nel caso della guerra delle banane, che la Corte di giustizia ha giudicato legittimi perché coerenti con gli obiettivi che il Trattato ha assegnato all’agricoltura236; inoltre, da questi provvedimenti non risulta inciso il 236 Il riferimento è al reg. 13 febbraio 1993, n. 404 sull’OCM banane, dichiarato legittimo dalla Corte di giustizia con la sentenza 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania c. Consiglio, in 104 rapporto ancillare della concorrenza rispetto alla PAC, soprattutto laddove si prendono in considerazione «distorsioni della concorrenza indispensabili per raggiungere gli obiettivi della politica agricola comune (pac) perseguiti dall’azione interprofessionale». Il reg. 2200/96 prevede che gli accordi, le decisioni e le pratiche debbano essere preventivamente sottoposti al vaglio della Commissione, per un giudizio di compatibilità con la normativa comunitaria; pertanto essi non possono essere attuati prima della valutazione della Commissione che deve intervenire nel termine di due mesi (nel caso di accordi tra organizzazioni interprofessionali dell’ortofrutta) o tre mesi (nel caso del tabacco) a partire dalla comunicazione degli elementi necessari per la decisione. La decisione può infatti avere effetto successivamente al giorno della sua notifica all’organizzazione interprofessionale interessata: solo a partire da questo momento l’accordo sarà applicabile. Quanto al loro contenuto, poi, il reg. 2200/96237, senza con ciò limitare il potere di valutazione della Commissione, stabilisce espressamente in quali casi accordi, decisioni e pratiche siano da considerare in ogni caso contrari alla concorrenza, vale a dire quando: «a) possono causare una qualsiasi forma di compartimentazione dei mercati all’interno della Comunità; b) possono nuocere al buon funzionamento dell’organizzazione comune dei mercati; c) possono creare distorsioni di concorrenza non indispensabili per conseguire gli obiettivi della politica agricola comune perseguiti dall’attività dell’organizzazione interprofessionale; d) comportano la fissazione dei prezzi, indipendentemente dalle attività svolte Raccolta p. I-4973. A seguito delle modifiche introdotte dalla Comunità al reg. 404/93, la Corte di giustizia, con sentenza 1° marzo 2005, C-377/02, Van Parys, ha riconfermato l’impossibilità di invocare dinanzi ad un giudice nazionale l’incompatibilità di una normativa comunitaria con gli obblighi derivanti dal Trattato di Marrakech, incompatibilità già accertata dall’organo di risoluzione delle controversie della WTO. In argomento, si veda anche la sentenza Maizena c. Consiglio, cit., punto 23 e seguenti. 237 Vedi anche art. 176 bis, § 4, reg. n. 1234/2007. Analogo il testo dell’art. 177 relativo ad accordi e pratiche nel settore del tabacco. 105 dalle organizzazioni interprofessionali in applicazione della normativa comunitaria specifica; e) possono creare discriminazioni o eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti in questione». Nell’ipotesi in cui l’accordo sia considerato non rientrante nelle eccezioni stabilite per l’agricoltura, si torna ad applicare la disciplina generale prevista dall’art. 81, par. 2, del Trattato CE che sanziona con la nullità di pieno diritto gli accordi o decisioni vietati ai sensi della stessa disposizione. La Corte di giustizia ha, infatti, stabilito che in questo caso la nullità può essere dichiarata dallo stesso giudice nazionale ove accerti che l’accordo esclude la concorrenza238. Infatti, come detto, l’art. 81 TCE (ora art. 101 TFUE) è stato ritenuto dalla Corte di giustizia direttamente applicabile, con la conseguenza che la nullità degli accordi può essere dichiarata dai giudici nazionali239. Diverso approccio è stato seguito, invece, per gli accordi concordati nei settori ortofrutticolo e del tabacco dalle organizzazioni interprofessionali ai sensi degli artt. 176 bis e 177, reg. 1234/2007. In questo caso la norma impone alle organizzazioni interprofessionali di sottoporre preliminarmente al vaglio della Commissione la compatibilità degli accordi al fine di valutarne eventuali distorsioni della concorrenza: pertanto gli accordi non possono avere effetto fino alla decisione della Commissione. È, altresì, previsto che la Commissione possa in qualunque momento accertare l’incompatibilità dell’accordo perché ostacola la concorrenza, tuttavia in questo caso la dichiarazione di incompatibilità vale a partire dalla decisione della Commissione e fa salvi gli effetti precedentemente esplicati dall’accordo. L’unica ipotesi in cui si può verificare una nullità ex ante di tali accordi è quella in cui l’organizzazione interprofessionale abbia fornito 238 239 Sentenza Dijkstra, punto 32 ss. Sentenza Corte di giustizia CE 6 aprile 1962, in causa C-13/61, Bosch. 106 alla Commissione informazioni errate o abbia abusato della deroga: in questo caso, si deve dimostrare che la decisione positiva della Commissione è stata viziata dalla omissione delle informazioni necessarie alla valutazione dell’accordo, ovvero che si è verificato un abuso da parte delle organizzazioni interprofessionali interessate nell’attuazione dell’accordo stesso. La previsione della nullità di pieno diritto, quale sanzione per le intese in violazione delle norme sulla concorrenza, comporta d’altro canto la possibilità, anche per gli accordi del settore agricolo per i quali ciò non è espressamente previsto dalla normativa (tabacco e ortofrutta), di notificare alla Commissione l’accordo al fine di ottenere una esenzione individuale, per effetto della quale la decisione della Commissione certifica la compatibilità dell’accordo con le regole della concorrenza, evitando le conseguenze di una eventuale successiva dichiarazione di nullità. La disciplina delle organizzazioni interprofessionali su questo punto merita una riflessione più compiuta. L’art. 19 del reg. 2200/96, infatti, prevedeva il potere di tali organizzazioni di «elaborare contratti tipo compatibili con la normativa comunitaria». Senonchè problemi erano sorti in relazione alla legge italiana n. 88/1988, per la quale gli accordi interprofessionali venivano stipulati dalle categorie degli agricoltori da una parte e dagli industriali o commercianti dall’altra, quando secondo il diritto comunitario il loro contenuto viene determinato all’interno della stessa organizzazione. Il successivo d.lgs. 27 maggio 2005, n. 102, che ha abrogato la legge n. 88/1988, prevede «intese di filiera» stipulate nell’ambito del Tavolo agroalimentare istituito presso il MIPAF (art. 9.2), quindi nel corso di discussioni “interne” ma al di fuori della organizzazione, quantunque sia previsto che «le intese possono, inoltre, essere stipulate dalle organizzazioni interprofessionali» (art. 9.3). Il d.lgs. n. 102/2005 contiene un’altra disposizione particolare. L’art. 107 15.1, prevede che accordi realizzati tra imprenditori agricoli ed imprese, che beneficino di dop, igp o stg o che siano integrati nella stessa filiera di agricoltura biologica, devono essere approvati dal MIPAF quando, redatti per iscritto e per un periodo di validità non superiore a tre anni, riguardino «una programmazione previsionale e coordinata della produzione in funzione del mercato», o «un piano di miglioramento della qualità dei prodotti, avente come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta», o «una concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati della produzione degli aderenti». Il secondo comma prevede in aggiunta che «in caso di grave squilibrio del mercato, gli accordi realizzati fra produttori agricoli, o fra produttori agricoli ed imprese di approvvigionamento o di trasformazione e le disposizioni organizzazioni di produttori autolimitatrici, agricoli […] e le adottate dalle organizzazioni interprofessionali […], destinati a riassorbire una temporanea sovracapacità produttiva per ristabilire l’equilibrio del mercato, devono essere autorizzati dal MIPAF». Se ne ricavò, all’indomani delle norme in esame, che anche le intese fra i produttori agricoli, lecite a priori per il reg. comunitario n. 26/62, dovevano essere preventivamente approvate o autorizzate dal Ministero, laddove, invece, le intese tra produttori agricoli da un lato e gli industriali e commercianti dall’altro, nonché all’interno delle stesse organizzazioni interprofessionali, quando hanno una valenza autolimitatrice e siano finalizzate a ristabilire l’equilibrio del mercato in un momento di instabilità, sono dispensate dall’esame dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, e così affidate al solo vaglio del Ministero. Dunque, il reg. n. 26/62 operava una netta distinzione, nella materia della produzione e del commercio dei prodotti agricoli, tra i produttori e tutti coloro che in modo diverso operano nel settore. La ratio dell’esenzione consiste nel fatto che gli agricoltori sono milioni nella Ue e quindi sono 108 assolutamente deboli sul mercato, sicché è del tutto improbabile che essi possano realizzare comportamenti anticoncorrenziali. Tutti coloro che in modo diverso operano nel settore (industriali agro-alimentari e commercianti) sono soggetti al rigore dell’art. 81 del Trattato, mentre i produttori agricoli ne sono esentati240. In questa logica si colloca in primo luogo la necessità di individuare strumenti di governo specifici in relazione ai settori di produzione, che si realizza mediante le organizzazioni comuni di mercato (ora unificate dal reg. n. 1234/2007, ma pur sempre differenziate per quanto concerne gli strumenti normativi che disciplinano ciascuna filiera produttiva241). In secondo luogo, quale misura complementare rispetto alla regolamentazione per filiera delle organizzazioni comuni di mercato, il Trattato prevede un alleggerimento delle regole di concorrenza, la cui applicazione troppo stringente potrebbe rivelarsi dannosa rispetto alle esigenze di rafforzamento del settore agricolo: in esso i soggetti economici sono caratterizzati da una ridotta capacità di contrattazione sul mercato, non solo per le dimensioni delle imprese e per le disparità strutturali, ma anche perché i produttori agricoli si collocano, quali fornitori di materie prime, a monte della catena di produzione, controllata in realtà dalle imprese agroindustriali e dalle imprese di distribuzione. Pertanto, l’aggregazione tra le imprese operanti nel settore agricolo, vietata per principio dalle disposizioni sulla concorrenza, non è di per sé incompatibile con un mercato comune nell’ambito della politica agricola: in questo le linee programmatiche enunciate nel Trattato rimandano ad altre esperienze legislative, come quella statunitense, che hanno previsto 240 Così COSTATO, Agricoltura, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da Chiti e Greco, Milano, 1997, Parte speciale, t. I, p. 17, dove distingue i prodotti ottenuti nell’azienda agricola dai prodotti trasformati normalmente fuori di essa, qualificati come «agroindustriali» e che sono assoggettati alle stesse regole dei prodotti industriali. 241 Cfr. Il regolamento unico sull’organizzazione comune dei mercati agricoli (reg. CE 22 ottobre 2007, n. 1234), a cura di Costato, in Leggi civ. comm,, 2009, 1 ss. 109 specifiche esenzioni dalla legislazione antitrust per i produttori agricoli242. In questa ipotesi, come del resto appare evidente dalla stessa normativa nord-americana, il favor nei confronti delle associazioni, sempre che costituite da soli produttori agricoli, riflette l’esigenza di favorire l’associazionismo economico tra gli agricoltori, quale elemento di razionalizzazione a fronte dello squilibrio di potere contrattuale che strutturalmente i produttori agricoli incontrano sul mercato. Per queste intese l’art. 85, par. 1 può operare, come dichiara appunto l’art. 2 del reg. 26/62, soltanto se la Commissione provi che la concorrenza sia esclusa o che gli obiettivi di cui all’art. 39 risultino essere messi in pericolo. Il chiaro favor per le associazioni si manifesta nell’inversione dell’onere della prova; spetta, infatti, alla Commissione provare che le associazioni e le intese costituiscono un pericolo. Sono, quindi, considerati in ogni caso contrari all’art. 81 gli accordi interprofessionali che portano alla ripartizione dei mercati e alla fissazione dei prezzi oppure, più in generale, che producono effetti distorsivi della concorrenza in una misura che va oltre quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi della PAC o, infine, che eliminano la concorrenza rispetto ad una percentuale sostanziale dei prodotti in questione. Per quanto riguarda gli accordi tra singoli operatori, quelli conclusi cioè da un’impresa agricola o da una associazione di produttori o da una cooperativa, da un lato, e un distributore, dall’altro, essi assumono certamente rilievo antitrust in virtù della loro idoneità a limitare l’accesso al mercato e la concorrenza tra gli operatori. Del pari, accordi di partnership tra produttori e distributori, che possono a volte costituire strumenti 242 LIZZI, La politica agricola, Bologna, 2002. Per un confronto con la disciplina antitrust statunitense vedi JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico europeo e globalizzazione dell’economia, in Riv. dir. agr., 1997, I, p. 416. 110 importanti per migliorare la competitività del settore agricolo, in quanto permettono di orientare alle esigenze del mercato la produzione e di assicurare una maggiore efficienza e stabilità delle consegne, sono da considerare restrittivi della concorrenza se e quando si trasformano in accordi commerciali esclusivi rispetto a prodotti specifici. Peraltro, in virtù del regolamento sulle intese verticali del 1999243, gran parte delle restrizioni della concorrenza determinate dai suddetti accordi sono esentate dall’applicazione delle norme antitrust relative alle intese, dato il permanere di un livello di frammentazione del settore tale da rendere improbabile il raggiungimento della soglia del 30% della quota di mercato da parte dei fornitori, vale a dire i produttori agricoli. 5. La disciplina della concorrenza e la ripartizione di competenze tra Commissione europea e Autorità antitrust nazionali Il rapporto tra il raggiungimento degli obiettivi della Pac e l’applicazione delle regole della concorrenza nel settore agricolo, che ha trovato una sua definizione attraverso l’interpretazione della giurisprudenza della Corte, si intreccia anche con la questione della definizione delle competenze degli Stati membri nell’applicazione della disciplina della concorrenza. Il percorso giurisprudenziale, che risale agli anni ’70, prende avvio dalla necessità di affermare la competenza comunitaria in materia di agricoltura e, conseguentemente, di limitare gli interventi che possono, sia sul piano dell’adattamento della politica agricola comunitaria alle regole della 243 Regolamento (CE) n. 2790/99 della Commissione del 22 dicembre 1999, relativo all’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del trattato Ce a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (GUCE del 29 dicembre 1999, n. L 336, p. 21). Il regolamento è entrato in vigore il 1° gennaio 2000 ed è applicabile dal 1° giugno 2000. 111 concorrenza, sia sul piano degli interventi degli Stati membri, inficiare gli obiettivi della strutturazione dei mercati agricoli. In questa prima fase, si inseriscono le decisioni della Corte in cui si afferma la centralità del ruolo svolto dalle organizzazioni comuni di mercato, dove emerge nel contempo la necessità di concentrare il controllo dei mercati agricoli nell’ambito del diritto comunitario, attraverso la regolamentazione delle OCM. Questo principio è stato affermato dalla giurisprudenza della Corte nella decisione Pigs Marketing Board concernente la normativa dell’Irlanda del Nord istitutiva di un ente costituito da produttori e rappresentanti del Ministro dell’agricoltura e avente come scopo la concentrazione della vendita di prodotti e la formazione dei prezzi244: la Corte ha ritenuto incompatibile con una organizzazione comune di mercato fondata sul principio del mercato aperto una disposizione nazionale atta a modificare le correnti di importazione o di esportazione o a influire sulla formazione dei prezzi sul mercato attraverso l’attività di un ente con il potere di controllarlo. Il funzionamento delle organizzazioni comuni di mercato, fondate sul principio del libero accesso dei produttori del settore, è disciplinato unicamente dagli strumenti giuridici contemplati dalla organizzazione, con la conseguenza che sono incompatibili con quest’ultima disposizioni nazionali che influiscono sul funzionamento di tali strumenti comunitari, modificandone i contenuti. L’affermazione della preminenza degli obiettivi della Pac rispetto alle regole della concorrenza trova una sua espressione esplicita e particolarmente incisiva nella decisione della Corte presa nella sentenza Germania c. Consiglio relativa all’OCM nel settore delle banane: la Corte affermando che nel perseguire gli obiettivi della politica agricola comune, 244 Sentenza Corte di giustizia CE, 29 novembre 1978, in causa C-83/78, Pigs Marketing Board. 112 le istituzioni comunitarie devono garantire la conciliazione permanente tra i vari obiettivi enunciati nel Trattato, ha sottolineato che l’art. 42 del Trattato riconosce la priorità della politica agricola rispetto agli obiettivi perseguiti nel settore della concorrenza e di conseguenza individua il potere del Consiglio di decidere in quale misura le regole della concorrenza vengono ad applicarsi in questo ambito245. La decisione sancisce la preminenza delle politiche agricole rispetto alla disciplina della concorrenza, che resterebbe compressa e limitata dalle decisioni del Consiglio: va considerato, tuttavia, che questa affermazione trova giustificazione nella circostanza che è considerata necessaria nell’ambito dell’importazione delle banane una strutturazione del mercato, nel quale la disciplina della concorrenza appare sacrificata dagli obiettivi preminenti del raggiungimento di un equilibrio tra gli operatori del settore, caratterizzato da una situazione differente rispetto ad altri mercati, anche in considerazione della localizzazione della produzione in un contesto extraeuropeo che coinvolge principalmente gli importatori. Diverso atteggiamento segue la Corte quando le misure all’esame presuppongono una regolamentazione dell’OCM già consolidata, nel quale la soluzione in merito all’applicabilità delle regole della concorrenza non va a rompere l’equilibrio tra gli operatori, ma si inserisce in una realtà già regolamentata; in tal senso è agevole individuare all’interno del mercato comunitario il rapporto tra le competenze riservate alle autorità comunitarie e quelle delle autorità nazionali nell’applicazione del diritto comunitario, ferme restando le misure regolamentari consolidate all’interno della OCM. Siccome la presenza delle organizzazioni comuni di mercato non costituisce uno spazio senza concorrenza, bensì la libertà di accesso degli 245 Sentenza Corte di giustizia CE, 5 ottobre 1994, in causa C-280/93, Germania c. Consiglio. Su questo aspetto della sentenza vedi il commento di G ERMANÒ, Il principio della libertà di concorrenza e la disciplina comunitaria dell’agricoltura, cit., p. 77. 113 operatori economici ne è il presupposto fondamentale, le regole della concorrenza vengono adattate alle peculiarità del settore agricolo all’interno del quadro normativo delineato nell’ambito dell’OCM, al fine di realizzare una concorrenza effettiva sui mercati agricoli246. Di conseguenza, da un lato si individua uno spazio di intervento delle autorità nazionali in materia di concorrenza rispetto alle competenze della Commissione; in secondo luogo, la Corte ribadisce la necessità che l’applicazione delle regole della concorrenza sia fatta entro il perimetro della disciplina stabilita attraverso le regole che delineano la strutturazione delle OCM. Ai sensi della normativa comunitaria, come già detto, la Commissione rappresenta l’organo deputato a decidere in materia di concorrenza. La competenza della Commissione in materia di concorrenza definita ex art. 85 del Trattato, viene ribadita per quanto concerne il settore agricolo dal secondo paragrafo dell’art. 2 reg. 26/62 e dal corrispondente art. 175 reg. 1234/2007, secondo cui «la Commissione, salvo il controllo della Corte di giustizia, è la sola competente per accertare, mediante decisione da pubblicarsi, per quali accordi, decisioni e pratiche ricorrano le condizioni previste dal par. 1». La competenza della Commissione riguarda gli accordi, decisioni o pratiche che hanno una portata tale da incidere sulla concorrenza tra le imprese che operano sul mercato comunitario. Per quanto concerne invece gli accordi che possono produrre effetti solo sul mercato nazionale, la Corte di giustizia si è pronunciata più volte nel senso di attribuire alle autorità nazionali competenti in materia di concorrenza il compito di valutare tali accordi. In questo senso, una giurisprudenza costante della Corte di giustizia 246 Sentenza Milk marque, cit., punti 57 e 61. 114 afferma che il diritto nazionale e il diritto comunitario in materia di concorrenza si applicano parallelamente, in relazione all’incidenza sui diversi mercati, nazionale o comunitario delle pratiche anticoncorrenziali. L’applicazione del diritto nazionale non è infatti esclusa per il solo fatto che un determinato settore sia soggetto ad una organizzazione comune di mercato. Tuttavia, la presenza di una OCM comunitaria impone dei limiti all’applicazione del diritto nazionale della concorrenza. Infatti, in presenza di una organizzazione comune di mercato le autorità nazionali «sono tenute ad astenersi da ogni provvedimento che sia atto a derogare alla detta organizzazione comune o a violarla247». Per quanto concerne l’applicazione delle regole nazionali della concorrenza, la Corte ha ritenuto che uno Stato membro può, pur in presenza di una organizzazione comune di mercato, legittimamente applicare il diritto nazionale sulla concorrenza per limitare il potere di una cooperativa che occupa una posizione dominante sul mercato. Il principio è stato affermato nella sentenza Milk Marque, su una questione pregiudiziale sollevata dalla High Court concernente un provvedimento dell’autorità antitrust britannica che aveva applicato le disposizioni nazionali in materia di concorrenza (Competition Act 1998) imponendo a una cooperativa operante nel settore lattiero che deteneva una posizione dominante sul mercato nazionale e andava ad incidere sul prezzo del latte, la ristrutturazione dell’ente attraverso una suddivisione in più enti detentori di quote indipendenti e competitivi248. La Corte di giustizia ha affermato al riguardo che lo stesso Trattato 247 Sentenza Corte di giustizia CE, 1° ottobre 2009, in causa C-505/07, Compañia Española de Comercialización de Aceite, punto 55. Nella fattispecie una società per azioni avente per oggetto la produzione di olio di oliva era stata ritenuta svolgere pratiche anticoncorrenziali, perché interveniva attraverso contratti di ammasso al fine di regolamentare la commercializzazione dell’olio sul mercato nazionale. Vedi, inoltre, la sentenza Corte di giustizia, 9 settembre 2003, Milk marque, cit. punto 94. 248 Sentenza Corte di giustizia, 9 settembre 2003, Milk marque, cit. 115 stabilisce il principio dell’applicabilità delle regole comunitarie della concorrenza al settore agricolo e che in particolare «le organizzazioni comuni di mercato sono basate sul principio di un mercato aperto, al quale qualsiasi produttore ha liberamente accesso in condizioni di concorrenza effettiva»249. Nel settore lattiero caseario, del resto, è lo stesso regolamento istitutivo dell’organizzazione comune di mercato che, nel prevedere la possibilità per lo Stato di affidare ad un’organizzazione rappresentativa dell’80% dei produttori della regione il diritto esclusivo di commercializzazione del latte, deve, nel contempo, vigilare affinché l’esercizio di questo diritto sia compatibile con i principi generali del Trattato, infirmi «solo nella misura strettamente necessaria la concorrenza nel settore agricolo» e non comprometta il funzionamento dell’OCM250. Ne consegue che, in presenza di OCM, il diritto comunitario e nazionale si applicano parallelamente, prendendo in considerazione i diversi ambiti. Nell’applicare il diritto nazionale della concorrenza, d’altro canto, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi dall’adottare misure che possano derogare all’OCM o costituirne una violazione, poiché non possono compromettere gli obiettivi della politica agricola comunitaria, che in linea di principio prevale sulla applicazione della disciplina interna della concorrenza251. 249 Punto 59 della sentenza Milk marque, cit. Art. 25 reg. n. 804/1968, come modificato dal reg. n. 1421/1978. 251 Lo stesso principio è affermato dalla giurisprudenza comunitaria in relazione agli aiuti di Stato, secondo cui «il ricorso da parte di uno Stato membro agli artt. 92-94 (poi, artt. 87-89 e, ora, artt. 107-109 TFUE) sugli aiuti non può prevalere sulle disposizioni del regolamento relativo all’organizzazione di mercato di quel settore». In altre parole, un aiuto, concesso da uno Stato in un settore disciplinato da un’Organizzazione comune di mercato deve essere valutato innanzitutto alla luce delle regole specifiche dell’OCM stessa che, quindi, sono preminenti: con la conseguenza che la Commissione mai potrebbe autorizzare un aiuto incompatibile con le disposizioni di un’OCM (sentenza Corte di giustizia CE, 26 giugno 1979, in causa 177/78, Pigs and Bacon Commission, in cui si discuteva del rapporto tra gli artt. 87-89 (al tempo della pronuncia, gli artt. 92-94) del Trattato e le specifiche disposizioni del reg. n. 2579/1975 istitutivo dell’OCM delle carni suine). Si v. anche il 12° considerando del reg. 6 agosto 2008, n. 800, sul regolamento generale di esenzione per categoria in materia di aiuti di Stato, in cui è richiamata la giurisprudenza della Corte di giustizia che «ha stabilito che, una volta che la Comunità ha istituito 250 116 Secondo i medesimi criteri interpretativi è stata risolta dalla Corte una questione relativa al rifiuto delle autorità spagnole di autorizzare una società costituita da produttori di olio, frantoi e in parte da istituti di credito, a costituire una impresa di commercializzazione dell’olio di oliva. La società operava sul mercato attraverso la conclusione di contratti di ammasso con i produttori, al fine di evitare il crollo dei prezzi dell’olio di oliva. In questo caso la Corte ha preso in considerazione l’importanza del ruolo svolto dai soggetti privati interessati dal provvedimento dell’autorità nazionale antitrust nel quadro della regolazione del mercato comunitario e, alla luce di questa considerazione, ha invitato i giudici a valutare l’applicazione del diritto nazionale della concorrenza. Infatti la Corte afferma innanzitutto che una società per azioni può rientrare nella nozione di organismo autorizzato a concludere contratti di ammasso privato di olio di oliva, inquadrando tale soggetto tra quegli organismi che sono compatibili con l’organizzazione comune di mercato, tanto da essere ammessi al sostegno finanziario della Comunità, che ne riconosce il ruolo per il funzionamento del mercato dell’olio di oliva: e ciò, indipendentemente dal fatto che si attribuisca una preferenza alle associazioni dei produttori e alle loro unioni. In secondo luogo, si afferma che il meccanismo dell’ammasso privato costituisce uno strumento legittimo di regolazione del mercato dell’olio di oliva, sicché esso non si pone di per sé in contrasto con i meccanismi di mercato previsti all’interno dell’OCM. Alla luce di queste considerazioni, la Corte può allora riaffermare il principio dell’applicazione parallela del diritto nazionale e comunitario in una Ocm in un dato settore dell’agricoltura, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi dall’adottare qualsiasi provvedimento che deroghi o rechi pregiudizio a siffatta organizzazione». Sugli aiuti di Stato si veda più appronditamente il capitolo ad essi dedicato. 117 materia di concorrenza, ma con la precisazione che le autorità nazionali possono applicare il diritto nazionale della concorrenza ad un accordo idoneo ad influenzare il mercato dell’olio di oliva a livello comunitario «purché si astengano dall’adottare da un lato qualsiasi misura tale da derogare all’organizzazione comune di mercato dell’olio di oliva o da violarla, e dall’altro, dall’adottare decisioni in contrasto con quelle della Commissione o dal creare il rischio di un tale contrasto»252. In sostanza, il primato degli obiettivi della politica agricola si esplica nella necessità che la disciplina della concorrenza nel settore agricolo sia subordinata al rispetto delle misure adottate per la regolamentazione dei mercati; queste ultime non costituiscono di per sé una barriera destinata ad escludere le regole della concorrenza, ma rappresentano uno strumento finalizzato a garantire che all’interno del settore produttivo il mercato sia liberamente accessibile a tutti gli operatori economici e quindi assicuri la libertà di concorrenza; pertanto, nel quadro della regolamentazione di mercato così definita, va calibrata anche l’applicazione del diritto nazionale della concorrenza. 252 Sentenza Corte di giustizia CE, 1° ottobre 2009, in causa C-505/07, cit., punto 56; sentenza Corte di giustizia CE, 14 dicembre 2000, in causa C-344/98, Masterfoods. 118 6. La concorrenza nell’ordinamento interno: il nuovo art. 117 Cost. e la competenza esclusiva dello Stato, con particolare riguardo al settore agricolo Sulla relazione tra il diritto comunitario ed il diritto nazionale in materia di concorrenza, conformemente ad una giurisprudenza consolidata, essi si applicano parallelamente, considerato che essi considerano le pratiche restrittive sotto aspetti diversi. Mentre la disciplina comunitaria mira a prevenire gli ostacoli che possono risultare dal commercio tra gli Stati membri, le legislazioni interne, ispirate da considerazioni proprie di ciascuna di esse, considerano le pratiche restrittive in questo unico quadro253. Occorre, per analizzare l’oggetto del presente capitolo, considerare la modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3254, di cui lo snodo fondamentale è costituito dalla diversa dislocazione della potestà legislativa255, posto che, attraverso il rovesciamento del criterio di riparto, lo Stato assume una competenza definita, mentre le Regioni diventano enti a competenza generale, ad esclusione dei settori espressamente riservati256. 253 In materia di incompatibilità di aiuti di Stato per l’acquisizione di quote latte e l’OCM di base, si veda la sentenza della Corte di giustizia 14 ottobre 2004, in causa C-173/02, Regno Unito e Spagna c. Commissione, in Racc., 2004, I, p. 9735. Si veda anche la sentenza del Tribunale di Primo grado del 14 dicembre 2005 in causa T-200/04, Regione autonoma della Sardegna c. Commissione. 254 L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, in Gazz. Uff 24 ottobre 2001, n. 248. . 255 MASINI, Agricoltura e Regioni. Appunti sulla riforma costituzionale, Roma, 2002; GERMANÒ, a cura di, Il governo dell’agricoltura nel nuovo titolo V della Costituzione, Atti dell’incontro di Studio dell’IDAIC (Firenze, 13 aprile 2002), Milano, 2003; Dopo la modifica dell’art. 117 cost.: problemi ed esperienze sulla competenza della materia agricoltura, Atti del Convegno (Siena, 25-26 novembre 2005) a cura di ROOK BASILE, Milano, 2006. 256 Tra la numerosa dottrina si vedano, in particolare, JANNARELLI, «Agricoltura» e «Tutela della concorrenza» nel nuovo art. 117 Cost., in Riv. dir. agr., 2006, p. 31; dello stesso autore, L’agricoltura tra materia e funzione: contributo all’analisi del nuovo art. 117 Cost., in GERMANÒ (a cura di), Il governo dell’agricoltura nel nuovo tiolo V della Costituzione, Atti dell’incontro di studio di Firenze 13 aprile 2002, Milano, 2003, p. 67; GERMANÒ, La ‘materia’ agricoltura nel sistema definito dal nuovo art. 117 Cost., ivi, p. 209; CORSO, La tutela della 119 Invero, il modo alquanto approssimativo con cui gli artefici della riforma hanno proceduto nell’allocazione delle competenze tra Stato e Regioni ha generato profonde incertezze, soprattutto con riferimento alle materie non materie257, ovvero a quelle competenze che, soltanto attraverso il proprio esercizio, definiscono l’ambito in cui incidono. Tra le competenze statali esclusive, individuate in termini finalistici, l’art. 117, comma 2, lett. e) Cost., annovera quella relativa alla «tutela della concorrenza». Pertanto, in tale settore, il legislatore centrale può esercitare la propria competenza modulandone l’ampiezza, in quanto la norma non regola rigidamente i termini del rapporto tra la legislazione statale e quella regionale, ma affida alla prima il compito di fissare i principi e i limiti entro cui possono muoversi le Regioni, ma non esclude la possibilità che possa spingersi nei dettagli, limitando sensibilmente la potestà regolamentare locale. Gli orientamenti ermeneutici emersi in dottrina in seguito alla concorrenza come limite della potestà legislativa (delle Regioni e dello Stato), in Dir. pubbl., 2002, p. 982; ARNAUDO, Costituzione e concorrenza: note a margine della recente giurisprudenza costituzionale, in Riv. ital. Dir. pubbl. comunitario, 2005, p. 377; CANIZZARO, La riforma «Federalista della Costituzione e gli obblighi internazionali, in Riv. dir. int., 2001, p. 921; PINELLI, I limiti generali alla potestà legislativa statale e regionale e i rapporti con l’ordinamento internazionale e con l’ordinamento comunitario, in Foro it., 2001, V, p. 194; SORACE, la disciplina generale dell’azione amministrativa dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Prime considerazioni, in Le Regioni, 2002, p. 757;TORCHIA, «Concorrenza» fra Stato e Regioni dopo la riforma del Titolo V: dalla collaborazione unilaterale alla collaborazione paritaria, in Le Regioni, 2002, p. 647; CANNIZZARO, Convenzione europea e Titolo V della Costituzione italiana: spunti critici, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2003, p. 3; FALCON, Inattuazione e attuazione del nuovo Titolo V, in Le Regioni, 2003, p. 3; DE PASQUALE, La tutela della concorrenza tra Unione europea, Stato e Regioni nella giurisprudenza costituzionale, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2005, p. 99; LEANZA, Le Regioni nei rapporti internazionali e con l’Unione Europea a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, in Comunità Internaz., 2003, p. 211; PAJNO, Il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario come limite alla potestà legislativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Istituzioni del federalismo, 2003, p. 813; ADINOLFI, Nuove procedure per l’attuazione delle direttive comunitarie nelle materie di competenza regionale: verso le «leggi comunitarie regionali»?, in Riv. dir. int., 2004, p. 759; D’ATENA, La difficile transizione. In tema di attuazione della riforma del Titolo V, in Le Regioni, 2002, p. 305; dello stesso autore, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quaderni costituzionali, 2003, p. 15; 257 L’espressione è utilizzata da D’ATENA, Materie legislative, cit.p. 22, laddove l’autore afferma che tali materie «si presentano come competenze senza oggetto: chiamate a definire se stesse, mediante il proprio esercizio». 120 riforma costituzionale sono riconducibili a due indirizzi: il primo alquanto restrittivo, che assegna alla materia un oggetto limitato, da identificarsi con la disciplina antitrust di cui alla legge n. 287 del 1990; l’altro che ne specifica il carattere trasversale rispetto ad altre materie, motivo per cui si ritiene debba essere affidata alla potestà legislativa nazionale la determinazione della disciplina antitrust in generale, ma anche delle discipline specifiche dei diversi settori, che fissino i principi generali per assicurare l’attuazione e il rispetto della concorrenza258. L’obiettivo della riforma è salvaguardare l’assetto unitario del mercato, evitando che distorsioni siano introdotte a livello locale, e soltanto il legislatore nazionale è in grado di garantirlo, nel rispetto della Carta costituzionale e dei vincoli europei. Certamente dalle scelte operate dallo Stato, la normativa sulla concorrenza può incidere su settori diversi (ad esempio, industria, artigianato, commercio, ecc.) soggetti alla potestà legislativa concorrente delle Regioni. Da ciò deriva che le probabilità di interferenze e conflitti tra Stato e Regioni siano molte elevate, come già è avvenuto nella prassi. Analogamente si presenta la ripartizione delle competenze in materia di concorrenza tra Unione europea e Stati membri, laddove al livello superiore è riconosciuta piena potestà a garantire il libero gioco della concorrenza nel mercato comune, mentre al livello inferiore sono decentrate competenze attuative e/o amministrative259. 258 Al secondo orientamento appartengono D’ATENA, Materie legislative e tipologia delle competenze, cit.,; AMMANNATI, Tutela della concorrenza e regolazione proconcorrenziale (tra Stato e Regioni), in AMMANNATI-GROPPI (a cura di), La potestà legislativa tra Stato e Regioni, Milano, 2003, p. 121; BUFFONI, La «tutela della concorrenza» dopo la riforma del titolo: il fondamento costituzionale ed il riparto di competenze legislative, in Le Istituzioni del federalismo, 2003, p. 345. 259 Sul punto si veda TIZZANO, L’applicazione decentrata degli art. 85 e 86 CE in Italia, in Foro it., 1997, IV, p. 33 ss; DE PASQUALE, Il principio di sussidiarietà nella Comunità europea, Napoli, 2000, p. 125 ss., in cui l’autore ritiene che il decentramento dell’applicazione delle disposizioni europee sulla concorrenza sia una conseguenza logica della crescente importanza del principio di sussidiarietà. 121 Si viene, in tal modo, a delineare un collegamento stretto tra la regolamentazione adottata a livello europeo e l’applicazione efficace delle regole a livello nazionale, così come si intensifica il collegamento tra i provvedimenti statali volti a vietare ingiustificate restrizioni della concorrenza e le deliberazioni regionali che, sia pure in modo indiretto, potrebbero autorizzare comportamenti anticompetitivi tali da frammentare e segmentare il mercato. Inoltre, si delinea una fitta trama di cooperazione tra tutte le autorità amministrative e giurisdizionali, sia europee che italiane, coinvolte nella salvaguardia del libero gioco della concorrenza. Laddove sussistano livelli gerarchici sono tracciati percorsi di coordinamento tra gli organi e di bilanciamento degli interessi coinvolti, nel rispetto delle rispettive sfere di competenza. D’altra parte, essendo le regole sulla concorrenza vincolanti, un atto posto in essere in violazione di una ripartizione di competenza non può considerarsi esente da vizi di legittimità. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte sul ruolo del diritto europeo della concorrenza e le sue relazioni con i diritti nazionali, per dirimere i conflitti sorti sul riparto delle competenze interne, la Corte costituzionale ha attribuito grande risalto all’ordinamento europeo al fine di ricostruire la nozione di «tutela della concorrenza»260. Il diritto comunitario degli aiuti di Stato fa da premessa alla sentenza 13 gennaio 2004, n. 14 della Corte costituzionale che ha riconosciuto la competenza statale in materia di sovvenzioni (tra l’altro) all’agricoltura, pur dovendosi ammettere che le Regioni possano essere soggetti erogatori di misure qualificabili come aiuti pubblici261. 260 Contra vedi CARANTA, La tutela della concorrenza, le competenze legislative e la difficile applicazione del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2004, p. 990; PIZZETTI, Guardare a Bruxelles per ritrovarsi a Roma? Osservazione a Corte cost. sent. N. 14 del 2004, in Le Regioni, 2004, p. 1014 ss. 261 Sentenza pubblicata in Giur. it., 2004, p. 853. Sulla sentenza in questione sono intervenuti numerosi commenti, tra cui, oltre a quelli citati in altri punti, PACE, Gli aiuti di Stato 122 La questione di legittimità costituzionale traeva origine dai ricorsi delle Regioni Marche, Toscana, Campania, Emilia Romagna e Umbria avverso numerose disposizioni della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Legge finanziaria 2002)262, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione. Nello specifico, le ricorrenti lamentavano l’invasione da parte dello Stato di ambiti rientranti nella propria competenza legislativa residuale (industria e formazione professionale), ovvero concorrente (sostegno all’innovazione dei settori produttivi), nonché la lesione dello schema di ripartizione delle funzioni amministrative e dell’autonomia finanziaria di cui agli artt. 118 e 119 Cost. In sostanza le impugnazioni riguardavano il difficile rapporto tra politiche statali di sostegno del mercato e competenze legislative delle Regioni, quindi si ripercuotevano, in via indiretta, sulla definizione della potestà statale in relazione alla disciplina antitrust. La Corte costituzionale, sull’assioma che la tutela della concorrenza sia inclusa tra le materie di competenza esclusiva dello Stato, ha dichiarato non fondate le questioni sottopostole. La Consulta ha, così, adottato una concezione della concorrenza e delle politiche che la integrano di stampo europeo, riconoscendo allo Stato un ruolo attivo nella gestione della politica economica diretto a ridurre gli squilibri, favorire le condizioni per uno sviluppo del mercato ed instaurare assetti concorrenziali attraverso l’adozione di misure pubbliche di sostegno. La pronuncia della Corte ha sollevato numerose critiche e perplessità da parte di coloro che ritengono che le argomentazioni concettuali accolte dai giudici, fondate sull’assimilazione tra tutela della concorrenza e sono forme di «tutela» della concorrenza?, in Giur. cost., 2004, p. 259; DOLSO, Tutela dell’interesse nazionale sub specie di tutela della concorrenza?, ivi, p. 265; BUZZACCHI, Principio della concorrenza e aiuti di Stato tra diritto interno e diritto comunitario, ivi, p. 277. 262 Legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale delle Stato – legge finanziaria 2002). 123 politiche statali attive di incentivazione263, lascino troppo ampio spazio di azione normativa al livello centrale264. Sulla base del ragionamento svolto, da un lato si colgono le difficoltà derivanti dall’esigenza di salvaguardare la libera competizione tra gli attori economici con l’equivalente necessità di garantire la coesione economica e sociale; dall’altro si ricava come solamente il contemperamento di tutti gli interessi coinvolti, come del resto confermato dai più recenti orientamenti dei giudici europei, è in grado di assicurare il funzionamento del mercato. In caso contrario, verrebbe trascurato paradossalmente proprio uno degli obiettivi principali delle normative antitrust. Ne deriva che, sulla base di questi assunti, lo Stato abbia ampie facoltà di intervento su scala nazionale per correggere distorsioni della crescita interna, ad esempio attraverso misure di politica economica generale nel rispetto delle norme fondamentali dei Trattati europei. Nel rispetto di queste coordinate, alle autorità statali e a quelle regionali sono ascrivibili competenze distinte, anche se correlate. Così come ha affermato la Corte, l’intervento statale si giustifica qualora incida sull’equilibrio economico generale; analogamente la competenza concorrente o residuale delle Regioni è consentita in riferimento alle azioni promozionali della produttività locale che, tuttavia, non pregiudichino la stabilità e lo sviluppo nazionale. Ad ogni modo, il limite intrinseco all’operatività della competenza legislativa statale e alla sua legittimità è rapportato alla ragionevolezza e alla proporzionalità delle azioni rispetto agli obiettivi prefissati. Alla luce di tali criteri, il giudice deve verificare se i mezzi statali individuati per raggiungere lo scopo di rilevanza nazionale 263 CARATA, La tutela della concorrenza, cit., p. 990 ss; P IZZETTI, Guardare e Bruxelles, cit., p. 1014 ss. 264 Vedi JANNARELLI, «Agricoltura» e «Tutela della concorrenza», cit., p. 31; L.F. PACE, Il concetto di tutela della concorrenza, l’art. 117 Cost. e il diritto comunitario: la «costituzionalizzazione» della figura dell’imprenditore sovvenzionato, in Giur. cost., 2004, p. 4678. 124 siano idonei e non eccedano quanto è necessario per raggiungerlo. La sentenza n. 14/2004 è stata seguita dalla successiva pronuncia n. 272 del 27 luglio 2004265, in cui la ricorrente lamenta l’invasione da parte statale di sfere di competenza regionale; più analiticamente, secondo la ricorrente la disciplina dei servizi pubblici locali, sia di “rilevanza economica” sia “privi di rilevanza economica”, non sarebbe riconducibile ad alcuna delle competenze esclusive dello Stato. Anzi, proprio in quanto si tratti di normativa dettagliata ed autoapplicativa, non sarebbe possibile ipotizzare alcun intervento sussidiario dell’autorità statale o alcuna forma di collaborazione tra tale autorità e quella locale. Anche in quest’occasione la Consulta ha ribadito quanto già affermato nella precedente pronuncia confermando l’inclusione delle attività promozionali dello Stato nelle azioni che, contribuendo a migliorare l’ambiente delle imprese e a stimolare l’innovazione, rafforzano la competitività; inoltre, ha ribadito l’accoglimento di una nozione non statica di tutela della concorrenza. Nel caso di specie la Corte ha circoscritto l’ambito di competenza statale ai servizi pubblici locali “di rilevanza economica”, escludendo quelli “privi di rilevanza economica”, in quanto in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale. Dalle importanti sentenze sopra richiamate si possono comprendere le perplessità dei giuristi costituzionalisti in ordine alla sfera di intervento normativo regionale, fortemente circoscritta dai vincoli costituzionali, statali ed europei; d’altro canto, le incertezze sfumano laddove si consideri che la potestà normativa regionale indirettamente incide sulla politica antitrust nazionale, e allora il legislatore statale ha dovuto necessariamente avocare a sé la competenza a regolare in modo coerente e unitario i settori 265 La relativa questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dalla Regione Toscana avverso l’art. 14, commi 1 e 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost. 125 rilevanti per evitare distorsioni e frammentazioni. Il postulato sul quale la Consulta fonda la sua dimostrazione è quello dell’integrazione tra l’ordinamento nazionale e l’ordinamento sovranazionale europeo, superando il binomio separazione/coordinamento sul quale si è tradizionalmente basata l’analisi del rapporto tra i due sistemi, per collocarli, più propriamente, in una dimensione integrata. Seguendo un percorso originale266, seppur lento e faticoso, già da tempo la Corte costituzionale aveva configurato le norme europee come integratrici del parametro di costituzionalità267, ma ora i giudici vanno oltre, superando l’impostazione di due sistemi giuridici separati “ancorché coordinati”, ed accolgono il principio dell’integrazione crescente fra ordinamenti e fra strumenti adottati, che richiede una progressiva interazione dei mezzi e un coordinamento, per il perseguimento di obiettivi comuni predeterminati. Su questi presupposti si fonda il quadro tracciato dalla Corte costituzionale, che accoglie il modello europeo e disegna le relazioni tra Stato e Regioni in materia di concorrenza, rimarcando la forte integrazione che esiste in questo settore di interesse generale. L’attribuzione della competenza allo Stato, benché l’agricoltura sia materia “residuale” (art. 117.4 Cost.), deriva dal fatto che allo Stato è riconosciuta, in via esclusiva, la materia della tutela della concorrenza, nella cui disciplina la Corte costituzionale fa rientrare gli aiuti di Stato. Per la Corte, infatti, la tutela della concorrenza deve essere considerata, accanto alla moneta, alla tutela del risparmio e dei mercati finanziari, alla perequazione delle risorse finanziarie, «una delle leve della politica economica statale e non può essere intesa soltanto in senso statico, come 266 TIZZANO, Prime note sulla Costituzione europea, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2003, p. 249. 267 In proposito rilevano le sentenze della Corte cost. 7 marzo 1964, n. 14, Costa c. Enel; 27 dicembre 1965, n. 98, Acciaierie S. Michele; 27 dicembre 1973, n. 183, Frontini; 30 ottobre 1975, n. 232, ICIC; 8 giugno 1984, n. 170, Granital. 126 garanzia di interventi di regolazione e ripristino dell’equilibrio perduto, ma anche in quella accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche, volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» (punto 4)268. Tuttavia, non si può passare sotto silenzio la sentenza 14 marzo 2008, n. 63, con cui la Corte costituzionale ha, invece, dichiarato l’illegittimità dell’art. 1, 853° co., l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), che stabiliva la disciplina delle modalità di erogazione e gestione del Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà. La Corte ne ha dichiarato l’illegittimità per violazione del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, in quanto la disposizione non prevedeva che i poteri del Cipe fossero esercitati d’intesa con la Conferenza permanente fra Stato e Regioni. Essa ha rilevato che i settori nei quali operano le imprese in difficoltà, in favore delle quali possono essere erogati i finanziamenti, sono quelli dell’agricoltura, del commercio, dell’industria, della pesca e del turismo e ad essi corrispondono altrettante materie, tutte essenzialmente di competenza regionale. Nella stessa sentenza si è precisato che la tutela della concorrenza, quale materia di competenza statale esclusiva, non può giustificare l’intervento dello Stato in relazione ad aiuti di Stato, i quali, quando consentiti, lo sono normalmente in deroga alla tutela della 268 Un commento critico all’impostazione data dalla Corte costituzionale sul rapporto fra aiuti di Stato e tutela della concorrenza lo fornisce PACE, Gli aiuti di Stato sono dorme di “tutela” della concorrenza?, DOLSO, Tutela dell’interesse nazionale sub specie di tutela della concorrenza? e BUZZACCHI, Principio della concorrenza e aiuti di Stato tra diritto interno e diritto comunitario, in Giur. cost., 2004, rispettivamente alle pagine 259, 265 e 277, nonché CALZOLAIO, Tutela della concorrenza o concorrenza sotto tutela?, in Giur. it., 2005, p. 460. 127 concorrenza269. CAPITOLO SECONDO La disciplina della concorrenza nel diritto agrario derivato europeo 1. I profili di deroga alle regole generali: l’organizzazione nazionale di mercato L’art. 2, par. 1, prima frase, del reg. 26/62 (successivamente sostituito dall’art. 2, parag. 1, del regolamento 1184/06 e dall’art. 176, paragrafo 1, del reg. n. 1234/07) stabilisce che le regole di concorrenza non si applicano agli accordi, decisioni e pratiche che «formano parte integrante di una organizzazione nazionale di mercato o sono necessari per la realizzazione degli obiettivi fissati all’art. 33 del trattato»270. 269 Conseguentemente la Corte, ricordando la propria giurisprudenza – la sentenza 10 dicembre 2007, n. 430, secondo cui la materia della tutela della concorrenza comprende «le misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti e i comportamenti delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati e ne disciplinano le modalità di controllo, eventualmente anche di sanzione» e quelle «di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese, in generale i vincoli alle modalità di esercizio delle attività economiche» - ha affermato che nella specie la materia di competenza esclusiva dello Stato non poteva estendersi fino a comprendere quelle specifiche misure statali ex l. n. 296/2006, perché non incidenti sull’assetto concorrenziale dei mercati. Si consideri, infine, che la Corte costituzionale, con la sentenza 23 luglio 2010, n. 281, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, 3° co., d.l. n. 59/2008 («Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee») convertito in l. n. 101/2008 che, sulla disciplina per il recupero degli aiuti di Stato, collegava al mero decorso di un breve arco di tempo (complessivi 150 giorni) la perdita di efficacia del provvedimento giudiziario di sospensione della cartella di pagamento. 270 BLUMANN, Les groupements de producteurs et la PAC, in Rev. Droit Rural, 1984, p. 426. L’art. 34.1 (ora 40.1) Trattato considera quale forma di organizzazione comune dei mercati quella che abbia «regole comuni in materia di concorrenza». Secondo la dottrina (OLMI, Politica 128 La prima ipotesi di deroga si riferisce, come esplicitato nella norma, a quegli accordi decisioni o pratiche che costituiscono parte integrante di una organizzazione nazionale di mercato. Si tratta di una eccezione che si presentava di difficile applicazione già nella vigenza del reg. n. 26/62, in quanto le organizzazioni nazionali di mercato sono state quasi completamente sostituite da organizzazioni comuni di mercato (OCM). Poco comprensibile è la riproposizione di questa eccezione nel quadro del regolamento unico sull’OCM, n. 1234/2007, dato che gli art. 175 ss. di tale regolamento si riferiscono ad accordi, intese e pratiche relativi all’organizzazione comune di mercato, incompatibile con le organizzazioni nazionali di mercato; al contrario, la deroga può conservare un significato nel reg. 1184/2006, che si applica de residuo a quei prodotti agricoli non disciplinati dal reg. 1234/2007 e quindi non regolamentati da una organizzazione comune di mercato. La prima eccezione risulta, quindi, oggi, sostanzialmente inapplicabile, essendo venute meno le organizzazioni nazionali di mercato271 ed ha avuto, agricola comune, Commentario Mégret, vol. 2, Bruxelles, 2 ed., 1991), questa espressione designa le disposizioni o la disciplina professionale riguardo la concentrazione dell’offerta, i ritiri del mercato, le norme di qualità, ecc. Essa è stata utilizzata, ad esempio, nel reg. n. 2200/96 (reg. OCM ortofrutticoli, del Consiglio del 28 ottobre 1996 in GUCE L297 del 21.11.1996, p. 1) per designare come elementi dell’organizzazione comune della frutta e verdura le organizzazioni di produttori e le norme di qualità. Le organizzazioni di produttori e le loro associazioni possono prevedere che i loro membri siano sottoposti a norme sulla produzione e sul collocamento sul mercato dei prodotti allo scopo di migliorare la qualità, di adattare il volume dell’offerta alle esigenze del mercato, di concentrare la produzione vendendola tramite l’organizzazione e regolarizzandone i prezzi. Il reg. 2200/96 e il reg. n. 104/2000 del Consiglio del 17 dicembre 1999 sull’OCM pesca (in GUCE L17 del 21.1.2000, p. 22) autorizzano, inoltre, a certe condizioni e sotto il controllo della Commissione, gli Stati membri interessati a prevedere l’estensione delle discipline convenute in seno all’organizzazione di produttori anche ai non membri. 271 La prima deroga è apparsa sin da subito di portata molto limitata (restano solo le patate, si v. la decisione 88/109 in materia di patate primaticce del 18 dicembre 1987 in GUCE L 59 del 1988, p. 25), sia perché sono state create per la maggior parte dei prodotti delle organizzazioni comuni di mercato, che hanno sostituito quelle esistenti a livello nazionale, sia perché, dopo la fine del periodo transitorio, le organizzazioni nazionali di mercato devono essere comunque conformi alle disposizioni del Trattato relative alle libera circolazione delle merci (Charmasson, in causa 48/74, sentenza 10 dicembre 1974, in Raccolta, p. 1383; Commissione c. Francia (carne ovina), causa 232/78, sentenza 25 settembre 1979, in Raccolta, p. 208). Nella decisione Patate primaticce la Commissione ha stabilito che le condizioni richieste dall’art. 2, par. 1 del reg. 26/62 erano rispettate, constatata l’inapplicabilità dell’art. 85 [oggi 101] ad un 129 in sostanza, limitatissima importanza272. Il presupposto, perciò, per l’operatività della prima ipotesi è da escludersi, in linea di principio, dopo la decisione della Corte di giustizia nel caso Charmasson e successivamente ribadita in altre pronunce273. In quella occasione la Corte ha, innanzitutto, offerto una definizione di organizzazione di mercato, che «consiste in un insieme di mezzi di diritto che pongono sotto il controllo dell’autorità pubblica la regolamentazione del mercato dei prodotti agricoli», non essendo, peraltro, sufficiente il mantenimento di un semplice sistema di contingentamento della produzione. Ma, soprattutto, la Corte ha sottolineato che dopo la scadenza del periodo transitorio (dicembre 1969), è incompatibile con la disciplina comunitaria la presenza di una organizzazione di mercato a carattere nazionale accanto alle organizzazioni di stampo europeo274. insieme di accordi di raggruppamenti di produttori che prevedono la concentrazione dell’offerta, la riduzione dell’offerta per la modulazione del calibro minimo dei prodotti, l’applicazione di un prezzo minimale giornaliero e di un prezzo di ritiro. La disciplina del mercato delle patate primaticce francesi era affidata a gruppi di produttori riconosciuti dal Ministero dell’agricoltura e a specifiche commissioni; questi enti privati hanno inglobato la regolamentazione del mercato in questione attraverso decisioni ed accordi. Anche se la regolamentazione del mercato delle patate primaticce in Francia era assicurata dalle organizzazioni professionali, la Commissione ha verificato che l’intera organizzazione assumeva le forme di una organizzazione nazionale di mercato nel senso dell’art. 2, par. 1 reg. 26/62, in quanto sia la costituzione delle organizzazioni professionali in questione e dei loro accordi e decisioni erano posti sotto il controllo dell’autorità pubblica francese. La Commissione ha, inoltre, considerato che, nonostante vi fossero restrizioni alla libertà di produrre, ciò non è stato di impedimento all’attuazione dei principi fondamentali del Trattato e non escludeva la concorrenza. Per approfondimenti si veda JANNARELLI, L’organizzazione nazionale di mercato, in Trattato breve, cit., p. 82. 272 Pronunce Cavolfiori 1978; barbabietole da zucchero 1990, punto 89; Salmone scozzese 1992 al punto 22; Sicasov 1999, punto 67; British sugar 1999, punto 186. 273 Charmasson, in causa 48/74, sentenza 10 dicembre 1974, in Raccolta, p. 1383. 274 Analoghe, sul punto, le conclusioni dell’avvocato generale nel caso Zucchero del 16 dicembre 1975. Tra le pronunce che ribadiscono la necessità di verificare la compatibilità in concreto degli interventi statuali con quelli comunitari si veda non solo il caso Kaas c. Paesi Bassi citato, ma anche la decisione del 28 marzo 1984 nelle cause 47 e 48/83. In questa causa, vertente su norme di qualità relative alla carne di pollame adottate in Olanda, la Corte ha affermato che in presenza di situazioni in cui il legislatore comunitario ha mancato di provvedere all’emanazione delle norme necessarie per il funzionamento dell’organizzazione di mercato, i provvedimenti adottati dal singolo Stato membro, più che riflettere una competenza propria vanno visti come l’adempimento di un obbligo di collaborazione; di conseguenza essi sono compatibili con la normativa regolamentare, purché in linea con lo scopo perseguito dall’organizzazione comune di mercato. 130 2. Segue: gli accordi interprofessionali La seconda eccezione, enunciata nella medesima norma, concerne accordi decisioni e pratiche necessari per il conseguimento degli obiettivi espressi nell’art. 33 del Trattato. Tale ipotesi riguarda le fattispecie più interessanti e delicate di cui si è occupata la giurisprudenza della Corte di giustizia. La disposizione è stata assoggettata progressivamente da parte della Corte a una interpretazione restrittiva, che ha ridotto notevolmente i margini di distinzione rispetto all’applicazione pura e semplice dell’art. 101 TFUE (già art. 81, già art. 85 TCE). La seconda eccezione ha ad oggetto accordi concernenti prodotti elencati nell’allegato II (ora allegato I) del Trattato275, indipendentemente dalla veste giuridica (produttori agricoli o meno) di chi li pone in essere276; con riferimento ad essa, la Corte di Giustizia ha assunto un atteggiamento alquanto restrittivo, richiedendo la dimostrazione, da parte dei soggetti interessati a fruire dell’esenzione, della indispensabilità dell’accordo per il perseguimento di tutti gli obiettivi della PAC di cui all’art. 33 e non solo di alcuni di essi277. Dunque, il reg. n. 26/62 operava una netta distinzione, nella materia della produzione e del commercio dei prodotti agricoli, tra i produttori e 275 Hanno escluso l’applicabilità del reg. 26/62 ad un prodotto non compreso nell’allegato, anche se si tratta di prodotto ausiliario per la fabbricazione di altro presente nell’allegato, le pronunce 15 dicembre 1994 in causa 250/92, in Raccolta, I, p. 5671, avente ad oggetto fertilizzanti e pesticidi; 30 gennaio 1985, causa 123/83, in Raccolta, p. 391, relativa al cognac; 25 marzo 1981, in causa 61/80 che riguardava il «presame», sostanza utilizzata per la produzione di formaggio, in Raccolta, p. 851. L’orientamento della Corte è stato fatto proprio dalla Commissione nella decisione 30 luglio 1992 sul salmone scozzese, in GUCE L 264/37 del 27 agosto 1992. 276 La seconda fattispecie non specifica quali siano gli imprenditori tra i quali si svolgono gli accordi e le intese, i quali perciò possono ben essere quelli che operano nel settore della distribuzione o della commercializzazione dei prodotti agricoli, diversamente dalle intese della terza fattispecie, di cui sono invece individuati i soggetti. 277 Sentenze in causa 71/74 del 15 maggio 1975, Frubo, in Raccolta, p. 563 ss, e in causa 40/73 del 16 dicembre 1975, Suiker Unie ed a., in Raccolta, p. 1663 ss. 131 tutti coloro che in modo diverso operano nel settore. La ratio dell’esenzione consiste nel fatto che gli agricoltori sono milioni nella Ue e quindi sono assolutamente deboli sul mercato, sicché è del tutto improbabile che essi possano realizzare comportamenti anticoncorrenziali. Tutti coloro che in modo diverso operano nel settore (industriali agro-alimentari e commercianti) sono soggetti al rigore dell’art. 101 TFUE (già art. 81, già art. 85 TCE), mentre i produttori agricoli ne sono esentati278. Il Trattato prevede un alleggerimento delle regole di concorrenza, la cui applicazione troppo stringente potrebbe rivelarsi dannosa rispetto alle esigenze di rafforzamento del settore agricolo: in esso i soggetti economici sono caratterizzati da una ridotta capacità di contrattazione sul mercato, non solo per le dimensioni delle imprese e per le disparità strutturali, ma anche perché i produttori agricoli si collocano, quali fornitori di materie prime, a monte della catena di produzione, controllata in realtà dalle imprese agroindustriali e dalle imprese di distribuzione. Pertanto, l’aggregazione tra le imprese operanti nel settore agricolo, vietata per principio dalle disposizioni sulla concorrenza, non è di per sé incompatibile con un mercato comune nell’ambito della politica agricola: in questo le linee programmatiche enunciate nel Trattato rimandano ad altre esperienze legislative, come quella statunitense, che hanno previsto specifiche esenzioni dalla legislazione antitrust per i produttori agricoli279. In questa ipotesi, come del resto appare evidente dalla stessa normativa nord-americana, il favor nei confronti delle associazioni, sempre che costituite da soli produttori agricoli, riflette l’esigenza di favorire 278 Così COSTATO, Agricoltura, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da Chiti e Greco, Milano, 1997, Parte speciale, t. I, p. 17, dove distingue i prodotti ottenuti nell’azienda agricola dai prodotti trasformati normalmente fuori di essa, qualificati come «agroindustriali» e che sono assoggettati alle stesse regole dei prodotti industriali. 279 LIZZI, La politica agricola, Bologna, 2002. Per un confronto con la disciplina antitrust statunitense vedi JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico europeo e globalizzazione dell’economia, in Riv. dir. agr., 1997, I, p. 416. 132 l’associazionismo economico tra gli agricoltori, quale elemento di razionalizzazione a fronte dello squilibrio di potere contrattuale che strutturalmente i produttori agricoli incontrano sul mercato. Per queste intese l’art. 85, par. 1 (successivamente art. 81 TCE, poi art. 101 TFUE) del Trattato può operare, come dichiara appunto l’art. 2 del reg. 26/62, soltanto se la Commissione provi che la concorrenza sia esclusa o che gli obiettivi di cui all’art. 39 risultino essere messi in pericolo. Il chiaro favor per le associazioni si manifesta nell’inversione dell’onere della prova; spetta, infatti, alla Commissione provare che le associazioni e le intese costituiscono un pericolo. Per quanto riguarda gli accordi tra singoli operatori, quelli conclusi cioè da un’impresa agricola o da una associazione di produttori o da una cooperativa, da un lato, e un distributore, dall’altro, essi assumono certamente rilievo antitrust in virtù della loro idoneità a limitare l’accesso al mercato e la concorrenza tra gli operatori. Del pari, accordi di partnership tra produttori e distributori, che possono a volte costituire strumenti importanti per migliorare la competitività del settore agricolo, in quanto permettono di orientare alle esigenze del mercato la produzione e di assicurare una maggiore efficienza e stabilità delle consegne, sono da considerare restrittivi della concorrenza se e quando si trasformano in accordi commerciali esclusivi rispetto a prodotti specifici. La previsione dell’art. 2, par. 1, del reg. 26/62, in quanto eccezione ad una norma generale, è stata peraltro interpretata in maniera restrittiva sia nella prassi decisionale della Commissione, sia nella giurisprudenza della Corte e del Tribunale di primo grado, secondo i quali, per rientrare in tale categoria, non è sufficiente che un determinato accordo tenda a realizzare gli obiettivi dell’art. 39 del Trattato (ora art. 39 TFUE, già art. 33 TCE), ma 133 occorre che risulti indispensabile a tali fini280 e rappresenti l’unico e migliore strumento adatto allo scopo. Solo in questa eventualità, un tale accordo può essere considerato necessario ai sensi della suddetta disposizione281, accogliendosi così una lettura autonoma dell’art. 2, par. 1, seconda frase, del reg. 26/62. Poiché la norma in esame è stata interpretata costantemente dalla Corte di giustizia nel senso che gli accordi, per accedere alla deroga, devono perseguire simultaneamente tutte le finalità della politica agricola comune enunciate nell’art. 39 del Trattato (ora art. 39 TFUE, ex art. 33 TCE), anche se taluni sono tra loro di difficile conciliabilità, e che si deve nel contempo dimostrare che l’accordo in questione costituisce l’unico mezzo per raggiungere tali obiettivi, essa non ha trovato applicazione pratica. Il rigore richiesto dalla Corte nella lettura della norma è, d'altra parte, giustificato, se si considera che tali accordi, se lasciati all’autonomia privata, introdurrebbero regole in un settore, quello agrario, per il quale il Trattato affida l’organizzazione alla legislazione europea. La compatibilità di tali accordi con gli obiettivi della Pac finisce di fatto per essere ancora più difficile da dimostrare rispetto a quanto previsto in generale per accordi e pratiche che possono ostacolare la libera concorrenza 280 Tribunale di primo grado, 14 maggio 1997, cause T-70-71/92, Florimex, in Raccolta, p. II-693, confermata dalla Corte in appello: causa C-265/97 P, sentenza 30 marzo 2000, in Raccolta, p. I-2061, punti 94-95. 281 Frubo, causa 71/74, sentenza 15 maggio 1975, in Raccolta, p. 563; Oude Luttikhuis, causa C-399/93, sentenza 12 dicembre 1995, in Raccolta, p. I-4515. A ciò si aggiunga che nel determinare l’esatta portata delle deroghe, di cui al reg. n. 26/62, non si può prescindere dai radicali cambiamenti del contesto normativo intervenuti dopo la sua adozione, a seguito della progressiva attuazione della PAC. L’orientamento interpretativo delle competenti istituzioni comunitarie tiene conto di una siffatta evoluzione: v. ad esempio, in relazione alla c.d. «eccezione cooperativa» (seconda frase dell’art. 2, n. 1, del reg. 26/62) all’applicabilità delle norme di concorrenza, Dijkstra, cause C-319/93, C-40 e 224/94, sentenza 12 dicembre 1995, in Raccolta, p. I-4471; Oude Luttikhuis, sopra citata. La circostanza che la cooperazione e l’associazionismo tra agricoltori siano visti con favore sia dal legislatore nazionale, sia dalle autorità comunitarie, si spiega in quanto essi facilitano il raggiungimento degli obiettivi della PAC, costituendo un fattore importante di ammodernamento e razionalizzazione del settore agricolo e di miglioramento dell’efficienza delle imprese. Ciò non impedisce una verifica della loro compatibilità con l’art. 81, n. 1. Non sono, infatti, rare le occasioni in cui la Commissione ha vietato accordi di tale tipo, a motivo degli effetti anticoncorrenziali prodotti dagli stessi. 134 ai sensi degli artt. 101 e ss. TFUE (già artt. 81 ss., già artt. 85 ss., TCE). Infatti, per la complessa strutturazione della politica agricola comune e in relazione agli obiettivi da realizzare, si richiede, nell’interpretazione costante della Corte di giustizia, la dimostrazione che gli accordi privati conclusi tra gli operatori della filiera siano l’unico strumento per il raggiungimento dell’insieme degli obiettivi di politica economica per il settore agricolo. Così, già in decisioni risalenti, si era espressa la Corte, a proposito di un accordo tra una associazione di importatori di agrumi freschi, mele, pere di origine extraeuropea importati nei Paesi Bassi, e una associazione di grossisti nella veste di cooperative, circa l’organizzazione di aste pubbliche per la vendita di tali derrate: la Corte ha ritenuto insufficiente la prova della rispondenza dell’accordo al perseguimento della stabilità di mercato, della regolarità dei rifornimenti, nonché di prezzi equi, dovendo le parti ricorrenti provare anche l’indispensabilità dell’accordo per incrementare la produttività dell’agricoltura e per assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola282. La Corte, nel considerare l’accordo incompatibile con le regole della concorrenza, aveva affermato in quella occasione che occorreva dimostrare che l’accordo fosse indispensabile per realizzare tutti gli obiettivi elencati tra le finalità della Pac, condizione che non viene posta neppure al legislatore europeo. Nella specie, l’accordo concluso tra importatori di agrumi da Paesi extraeuropei obbligava i grossisti ad acquistare i prodotti attraverso un sistema di aste pubbliche e di rifornirsi presso importatori residenti in altri Stati membri solo se essi fossero stati in possesso della merce e se avessero già espletato le formalità doganali di importazione: la Corte, pur 282 Sentenza Corte di giustizia CE 15 maggio 1975, in causa C-71/74 Frubo punti 22 ss., in Raccolta, p. 563 ss. 135 ammettendo che l’accordo presentasse il vantaggio di concentrare i prodotti ortofrutticoli esteri sul mercato comune e quindi realizzasse l’obiettivo di garantire la stabilità dei mercati, tuttavia riteneva che esso non risultasse utile a incrementare la produttività dell’agricoltura e ad assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, considerate come «le due finalità principali della politica agricola comune»283. In più recenti occasioni, allo scopo di ottenere dal Tribunale di primo grado l’annullamento della decisione della Commissione che aveva dichiarato un accordo non compreso nelle eccezioni del reg. 26/62, si era sostenuto da parte delle imprese coinvolte che le misure ivi previste fossero necessarie al perseguimento di alcuni obiettivi della Pac e neutre rispetto ad altri, come è avvenuto in relazione ad un accordo tra allevatori di carni bovine e macelli nel periodo di crisi della filiera della carne bovina conseguente all’accertamento dei casi di BSE (c.d. “mucca pazza”)284. L’accordo in questione prevedeva un impegno provvisorio alla sospensione delle esportazioni e l’applicazione di una tabella dei prezzi di acquisto degli animali da macellare. Le parti in causa sostenevano che l’accordo fosse necessario alla realizzazione degli obiettivi consistenti nell’assicurare un equo tenore di vita alla popolazione agricola e nella stabilizzazione dei mercati, mentre non avrebbe recato pregiudizio agli altri obiettivi della politica agricola enunciati dal Trattato. Il Tribunale di primo grado, al contrario, ha ritenuto che l’accordo fosse necessario solo al perseguimento del primo obiettivo, mentre era suscettibile di recare pregiudizio ai prezzi al consumo, non risultando affatto indifferente rispetto agli altri obiettivi enunciati nell’art. 33 del Trattato285 (ora art. 39 TFUE). 283 Ivi, punto 26. Sentenza Tribunale I grado CE 13 dicembre 2006, cause T-217/03 e T-245/03, Fédération nationale de la coopération bétail et viande. 285 Sentenza Tribunale I grado CE 13 dicembre 2006, cause T-217/03 e T-245/03, Fédération nationale de la coopération bétail et viande, punti 197 ss. 284 136 Pertanto, il rigore interpretativo evidente nella sentenza Frubo si è oltremodo inasprito nel momento in cui la Corte ha preteso qualcosa di più rispetto alla già difficile dimostrazione circa la indispensabilità dell’accordo in vista dell’attuazione degli obiettivi di cui all’art. 39 del Trattato. Infatti, nella ciclopica decisione Suiker Unie286, la Corte ha ritenuto necessaria anche la prova che tale pratica o accordo sia il solo mezzo per perseguire gli obiettivi fissati nell’art. 39. Utile a chiarire la portata di questi principi espressi dalla Corte di giustizia risulta una pronuncia in cui i giudici di Lussemburgo si sono trovati ad analizzare il tema della concorrenza ed eventuali sue limitazioni in combinazione con altre esigenze di tutela da considerare, ad esempio la tutela della salute dei cittadini ai sensi dell’art. 36 TFUE (ex art. 30 TCE)287. La Corte afferma che gli articoli 28 e 30 TCE (oggi artt. 34 e 36 TFUE) non ostano ad un divieto di annunci pubblicitari per le bevande alcoliche, come quello prescritto dalla legge svedese, a meno che, tenuto conto delle circostanze di diritto e di fatto che caratterizzano la situazione dello Stato membro interessato, non risulti che la tutela della sanità pubblica contro i danni causati dall’alcool possa essere garantita mediante provvedimenti che incidano in minor misura sul commercio intracomunitario288. Nella questione de qua una società svedese pubblicava una rivista alimentare che, in un suo numero dell’edizione destinata agli abbonati, conteneva tre pagine di pubblicità di bevande alcoliche, che, viceversa, non comparivano nell’edizione della rivista venduta nelle edicole. Il giudice del rinvio segnalava che gli abbonati erano per il 90% operatori commerciali e professionisti del settore del commercio di alcolici. Il 286 In causa 40/73 del 16 dicembre 1975, Suiker Unie ed a., in Raccolta, p. 1663 ss. Sentenza 8 marzo 2001, in causa C-405/98, Konsumentombusmannen, con commento di L. COSTATO, in Dir. giur. agr. amb. 2001. 288 L’esempio è tratto da AA.VV, Compendio di diritto alimentare, V ed., Milano, 2011. 287 137 Konsumentombusmannen (Garante dei consumatori) chiedeva alle autorità svedesi di vietare tale comportamento all’impresa, che ha eccepito che la normativa svedese violerebbe il diritto comunitario. La Corte ha osservato che non si può escludere che un divieto totale di pubblicità di un prodotto legalmente venduto possa incidere in misura maggiore sulle merci di provenienza da altri Stati membri. In effetti i produttori di alcolici svedesi sono già noti ai consumatori, mentre quelli stranieri avrebbero bisogno di rendere conosciuto il loro marchio e le caratteristiche del prodotto offerto per provare a penetrare nel mercato di quello Stato. Dunque occorre riconoscere che un ostacolo all’importazione esiste, ma si deve valutare se esso sia legittimo ai sensi dell’art. 30 TCE (oggi art. 36 TFUE), senza dovere dimostrare che il divieto di pubblicità delle bevande alcoliche ha come obiettivo la lotta all’alcolismo. Mentre il governo svedese ritiene che il divieto di pubblicità sia un elemento essenziale della sua azione per combattere l’alcolismo, la Commissione europea ha osservato che è necessario esaminare la normativa svedese alla luce del criterio di proporzionalità, per verificare se gli stessi obiettivi prefigurati nell’azione di lotta all’alcolismo possano essere realizzati con misure meno gravose delle restrizioni alla concorrenza tra imprese. Questa soluzione è stata accolta anche dalla Corte di giustizia la quale, pur ammettendo la rilevanza, a fini di salute pubblica, della lotta all’alcolismo e del divieto di pubblicità per le bevande alcoliche presso i consumatori, ha segnalato al giudice nazionale l’opportunità di fondare il proprio giudizio di legittimità della normativa interna sul criterio di proporzionalità, verificando se sia possibile perseguire le finalità che la legislazione nazionale si propone con strumenti meno incisivi. La Commissione europea ha mostrato una risolutezza simile già in 138 alcune decisioni risalenti289: in un caso, si discuteva di un accordo intercorso tra associazioni di produttori di cavolfiori e organizzazioni di spedizionieri che imponeva alle seconde l’obbligo di acquisto esclusivo del prodotto fornito dalle prime; in un altro, si verteva in materia di licenza esclusiva territoriale di produzione e distribuzione per la Germania di sementi selezionate prevista in un contratto intercorso tra un istituto francese di ricerca e un commerciante di sementi tedesco. Ebbene, in entrambe le controversie, nel valutare la necessità dell’accordo in vista della realizzazione degli obiettivi fissati nell’art. 39 del Trattato ai sensi dell’art. 2 del reg. 26/62, la Commissione ha ritenuto grandemente rilevante la presenza nel settore specifico di una organizzazione comune, presenza che, a suo giudizio, assicura la realizzazione delle finalità indicate nell’art. 39 del Trattato, senza che vi sia la necessità di utilizzare strumenti diversi da quelli introdotti dalla legislazione europea. In particolare, nel primo caso, la Commissione, basandosi sul fatto che nel comparto dell’ortofrutta l’allora vigente regolamento 1035/72 prevedeva i mezzi da utilizzarsi per realizzare gli obiettivi della politica comune e che solo in alcuni casi il regolamento ammetteva l’imposizione di regole da parte delle associazioni ai soli produttori e non invece alle controparti, ha escluso che accordi di quel tipo fossero da considerarsi necessari per le finalità di cui all’art. 39 del Trattato. Nella seconda decisione, riformata in seguito dalla Corte di giustizia290, la Commissione ha ritenuto contrario all’art. 85, par. 1 (ora art. 101, par. 1, TFUE), il contratto di esclusiva relativo alla produzione e distribuzione delle sementi di mais con una motivazione ancor più sintetica e rigorosa. Invero, sul presupposto secondo il quale i mezzi necessari per attuare l’art. 289 Decisioni del 2 dicembre 1977 (in materia di cavolfiori bretoni) e del 21 dicembre 1978 (in materia di sementi di mais). 290 Sentenza della Corte di giustizia, dell’8 giugno 1982, in causa 258/78, in Raccolta 1982, p. 02015. 139 39 sarebbero solo quelli determinati nel regolamento di settore, essa ha concluso che il contratto tra l’ente di ricerca e il distributore tedesco non avrebbe potuto «in alcun modo inserirsi nel quadro delle disposizioni di detto regolamento». Come si può evincere dai casi illustrati, è pressoché impossibile che un accordo tra imprese possa da solo garantire il raggiungimento degli obiettivi indicati nel Trattato; tale compito, al contrario, è affidato alle istituzioni europee, che, secondo la Corte, «devono garantire il contemperamento permanente che può essere richiesto da eventuali contraddizioni fra detti scopi, considerati separatamente. Anche se, nell’ambito di tale contemperamento, non è consentito alle istituzioni comunitarie di isolare uno degli scopi in modo da rendere impossibile l’equilibrata considerazione anche degli altri, esse possono tuttavia dare all’uno o all’altro di essi la preminenza temporanea resa necessaria dai fatti o dalle circostanze economiche in vista delle quali esse adottano le loro decisioni»291. La strutturazione del mercato agricolo intorno ad obiettivi che non coinvolgono unicamente i rapporti tra imprese o tra imprese e consumatori, ma anche aspetti relativi all’equo tenore di vita degli operatori del settore, nonché alle differenze strutturali e naturali dell’agricoltura, da un lato, richiede un controllo istituzionale delle misure di mercato da adottare, che trova la sua naturale collocazione all’interno delle OCM; dall’altro, non ammette perturbazioni dei mercati attraverso interventi dei privati, salvo la dimostrazione della loro conformità con la visione di insieme attuata dalle istituzioni comunitarie. La dottrina ha ricollegato l’orientamento della Corte emerso nelle pronunce dianzi menzionate con il tema relativo agli accordi interprofessionali (del tipo di quelli stipulati presso gli uffici dei prodotti 291 Sentenza Corte di giustizia CE 9 settembre 2003, in causa C-137/00, Milk marque National farmers’ union, punto 91. 140 presenti in Francia di cui ad una legge del 1982 o i Marketing Boards dell’esperienza anglosassone), che ricadrebbero nella ipotesi presa ora in considerazione292. A questo riguardo, se si considerano gli accordi e le intese in cui sia parte stipulante una associazione di produttori agricoli, è possibile cogliere la distanza tra la disciplina europea e quella nordamericana. Infatti, nella seconda, salvo che non si vengano a concretizzare pratiche discriminatorie nei confronti sia di farmers, sia di dealers, ovvero situazioni di monopolio, gli accordi interprofessionali e più in generale i contratti posti in essere da associazioni di produttori con terzi, e il discorso vale anche per i Marketing Orders, rientrano nella prevista esenzione parziale dalla applicazione della normativa antitrust ai sensi del Capper-Volstead Act del 1926. Nella prima, invece, per beneficiare di un’applicazione meno restrittiva delle norme poste a tutela della concorrenza, gli accordi interprofessionali devono rientrare in una ipotesi di esenzione stabilita per regolamento (si pensi al reg. CEE n. 1422/1978 riguardante i Marketing Boards inglesi nel settore del latte, ossia quegli enti i cui produttori conferiscono il latte e che monopolizza l’offerta, ripartendo il prodotto tra il consumo fresco e la trasformazione in formaggi), oppure richiedere l’esenzione ex art. 101, par. 3, TFUE (già art. 81, par. 3, e art. 85, par. 3, TCE) alla Commissione. In conclusione, si osserva che, ad opera dell’art. 2, par. 1, seconda frase, del reg. 26/62, le regole generali sulla concorrenza trovano un’applicazione meno intensa nel settore agrario, e in determinate occasioni sia la Commissione sia la Corte di giustizia hanno consentito anche agli imprenditori non agricoli di beneficiare delle misure meno restrittive. 292 JANNARELLI, La disciplina sulla concorrenza applicabile all’agricoltura, in Diritto agrario e società industriale, 1993,II, p. 47. 141 3. Le intese tra produttori agricoli e loro associazioni La terza ipotesi – in aggiunta293 a quelle precedenti – contenuta nella seconda frase del par. 1, dell’art. 2, reg. 26/62 (in seguito 2° co del § 1 dell’art. 2, reg. 1184/2006, ora art. 176, reg. 1234/2007), rimane l’unica a trovare effettiva applicazione. Si riferisce a quegli accordi, decisioni e pratiche «di imprenditori agricoli, di associazioni di imprenditori agricoli o di associazioni di dette associazioni appartenenti ad un unico Stato membro, nella misura in cui, senza che ne derivi l’obbligo di praticare un prezzo determinato, riguardino la produzione o la vendita di prodotti agricoli o l’utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione o la trasformazione di prodotti agricoli, a meno che la Commissione non accerti che in tal modo la concorrenza sia esclusa o che siano compromessi gli obiettivi dell’art. 39 del Trattato», ovverosia tutte le fasi che vanno dalla produzione all’immissione del prodotto sul mercato, nonché tutte le determinazioni possibili dalla fissazione di tetti quantitativi di produzione alla regolarizzazione dello stoccaggio dei prodotti. Il riconoscimento che sussistono tre fattispecie di deroga e non solo due294, poggia sulla formulazione letterale della norma, strutturata in due frasi distinte, nonostante l’inciso «in particolare» contenuto nella seconda frase dell’art. 2, n. 1, come si desume sia dalla genesi del regolamento, sia dalla sua ratio. Tale conclusione ha trovato conferma nella giurisprudenza della Corte di giustizia295 sulla autonomia della terza fattispecie, con 293 In questo senso si esprime la sentenza della Corte di Giustizia in causa C-319/93, 40 e 224/94 del 12 dicembre 1995, Dijkstra, in Raccolta, p. 4471ss. 294 Sostiene che siano solo due le fattispecie DE COCKBORNE, Les régles communautaires de concurrence applicables aux entreprises dans le domaine agricole, in Revue trim. droit eur., 1998, p. 293. Diversamente B ÜTTNER, Le droit des cartels agricoles dans la CEE, in Riv. dir. agr., 1968, I, p. 39. 295 Sentenze Dijkstra e van Roessel e De Bie, con conclusioni difformi dell’avvocato 142 l’osservazione che, se questa fosse negata, si tradirebbe la volontà del legislatore comunitario come esplicitata nei considerando del reg. 26/62, e si verrebbe a delineare, anziché un regime più flessibile per le associazioni di produttori agricoli, un sistema più rigoroso, ai fini della disapplicazione dell’art. 85 del Trattato (ora art. 101 TFUE), in quanto occorrerebbe aggiungere alle condizioni previste nella prima frase dell’art. 2 del regolamento, anche quelle indicate nella seconda frase. La disposizione venne espressamente inserita, ad integrazione del testo proposto dalla Commissione, su richiesta del Parlamento europeo, nell’intento di stabilire un’eccezione a favore degli accordi decisioni e pratiche degli imprenditori agricoli, a condizione che fossero soddisfatti i presupposti ivi indicati. Secondo la Corte, infatti, «tale intento di proteggere le cooperative agricole si rinviene inoltre nella motivazione del reg. 26, in particolare nel quarto considerando, ai cui termini è opportuno riservare una particolare attenzione alle associazioni di imprenditori agricoli»296. Una generale. Secondo la Corte, ove si escludesse la portata autonoma della fattispecie, non solo sarebbe tradita la volontà del legislatore, evidente nella stessa motivazione del reg. 26/62, volta a fissare un regime più flessibile per l’associazionismo economico dei produttori agricoli, ma si delineerebbe, paradossalmente, una soluzione ancora più rigorosa, in quanto, ai fini della disapplicazione dell’art. 85, par. 1, alle condizioni previste nella prima frase dell’art. 2 del reg. 26/62, si dovrebbero aggiungere quelle menzionate nella seconda. Tuttavia, con queste pronunce la Corte ha ritenuto che con la terza ipotesi non si sarebbe di fronte all’operatività di una presunzione sostanziale della conformità dell’intesa alla normativa antitrust fino al contrario accertamento compiuto dalla Commissione, ma più semplicemente ad una inversione probatoria rilevante sul piano procedurale, con conseguente validità del principio della nullità ipso iure e con efficacia retroattiva di tutte le intese che violano le norme del Trattato in materia di concorrenza. Nelle sue conclusioni, l’avv. generale Tesauro ha invocato un indirizzo che sarebbe stato fatto proprio dalla Commissione in alcune sue decisioni (quella del 7 dicembre 1984 Milchförderungsfonds, in GUCE, 1985, L35/35; 26 novembre 1986 Meldoc, in GUCE, L348/50; 26 luglio 1988 Bloemenveilingen Aalsmeer, in GUCE, L 262/27). In realtà, se da una parte l’interpretazione dell’ultimo inciso dell’art. 2 del reg. 26 rilevava in termini di obiter, alla luce delle specifiche ipotesi sottoposte al suo vaglio, dall’altra la Commissione era oltremodo consapevole della possibile diversa lettura della medesima frase in termini di lex specialis in grado di individuare una autonoma e distinta fattispecie. In questo senso, pur se in quelle decisioni la Commissione sembra prediligere la prima soluzione, è difficile negare la presenza di una incertezza interpretativa che in seguito la Commissione ha risolto in senso favorevole alla seconda soluzione, ossia quella poi accolta dalla Corte di giustizia nella pronuncia del 1995: si v. in proposito la decisione del 30 luglio 1992 Scottish Salmon Board, in GUCE, L246/37. 296 Punto 19 della sentenza. 143 diversa interpretazione, spiega la Corte, impedirebbe di applicare un regime più flessibile proprio alle associazioni dei produttori agricoli, come è invece nelle intenzioni del legislatore. La conseguenza è che «la fattispecie in questione, a ben vedere, segna la più significativa ed ampia deroga all’applicazione della normativa antitrust al settore agricolo»297, laddove nella terza fattispecie è riconosciuta specifica rilevanza ai protagonisti delle intese, ossia agli imprenditori agricoli, alle loro associazioni e alle associazioni delle loro associazioni. Quanto agli effetti della eccezione, la Corte di giustizia ha dato una interpretazione restrittiva del favor riservato a questa categoria di accordi: infatti, la Corte ha ritenuto che tali accordi siano presuntivamente ritenuti compatibili con la disciplina della concorrenza, salvo prova contraria della Commissione. Nella sostanza, questa interpretazione ha ricondotto l’eccezione alla previsione di una inversione dell’onere della prova in ordine alla conformità rispetto alle regole della concorrenza: spetta, infatti, alla Commissione provare che, per effetto di tali accordi, la concorrenza sia esclusa o che siano compromessi gli obiettivi dell’art. 39 del Trattato298. A differenza delle ipotesi precedentemente esaminate, la norma in questione circoscrive innanzitutto i soggetti che possono sottoscrivere gli accordi, ai quali non trova applicazione la normativa generale sulla concorrenza, che sono gli operatori appartenenti alla sola produzione primaria (agricoltori, associazioni di produttori agricoli, associazioni di secondo livello che riuniscono più associazioni). 297 JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo tra mercato unico europeo e globalizzazione dell’economia, in Riv. dir. agr., 1997, I, p. 416. 298 La Corte di giustizia sempre nella sentenza Dijkstra ha interpretato l’ultimo inciso del comma dedicato a questa categoria di accordi, dandone un’interpretazione restrittiva della disposizione limitata esclusivamente al profilo probatorio, e respingendo una più favorevole interpretazione proposta in dottrina che aveva ritenuto la presunzione sostanziale; con la conseguenza che gli effetti retroattivi della nullità si realizzano anche per quegli accordi per il quali la Commissione ha provato la contrarietà agli obiettivi del Trattato: sul punto v. J ANNARELLI, Il regime della concorrena nel settore agricolo, cit. p. 457 ss; ID., Le regole della concorrenza nella PAC in Tratt. breve dir. agr. it. e comunitario, diretto da COSTATO, Padova, 2003, p. 81. 144 Tale ipotesi, caratterizzata dalla presenza di accordi riconducibili a forme di associazionismo agricolo “puro”, rispetto alle quali gli unici soggetti che partecipano all’accordo, alla decisione o alla pratica sono le associazioni che riuniscono i produttori agricoli o le unioni (associazioni di secondo livello), è destinataria di un particolare favor da parte del legislatore. La fattispecie rispecchia il modello adottato nella legislazione statunitense, che nel prevedere una eccezione alla disciplina antitrust per gli accordi tra agricoltori, include nella deroga gli accordi che intervengono tra soli produttori agricoli, sul presupposto che un’eccezione al sistema generale sia ammissibile solo in questa maniera299. Per quanto concerne la forma giuridica delle associazioni cui si riferisce la norma, essa è materia di competenza delle legislazioni nazionali, che rispecchino il requisito obbligatorio secondo le organizzazioni devono vedere la presenza di soli produttori agricoli: è irrilevante, pertanto, la forma giuridica assunta dalle associazioni dei produttori, che possono, ad esempio, essere cooperative agricole o società commerciali300. Il favor nei confronti dell’associazionismo presente nella fattispecie in esame si coglie facilmente nel fatto che sia le intese tra produttori agricoli, sia soprattutto le loro associazioni, sono, in linea di principio, considerate conformi alla realizzazione degli obiettivi di cui all’art. 39 (poi art. 33 TCE, ora art. 39 TFUE) e al riparo dal divieto di cui all’art. 85 par. 1 (poi art. 81, par. 1, TCE, ora art. 101, par. 1, TFUE). Pertanto, a differenza della seconda ipotesi di deroga, in cui le intese e gli accordi possono superare il divieto di cui all’art. 85 par. 1 (l’attuale art. 101, par. 1, TFUE), soltanto se si prova che sono indispensabili per il perseguimento delle finalità della politica agricola indicate nel Trattato, in questa terza ipotesi di deroga opera una 299 Cfr. JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo, cit., p. 416 ss. Sulla forma giuridica delle associazioni di produttori vedi J ANNARELLI, L’associazionismo economico nel sistema agroalimentare, in ID., Il diritto dell’agricoltura nell’era della globalizzazione, Bari, 2003, p. 25 ss. 300 145 presunzione di conformità delle intese agli obiettivi dell’art. 39301. L’ordinamento europeo, d’altronde, ha sempre considerato l’associazionismo agricolo come uno strumento della politica agricola comune, per la sua funzione di indirizzo rispetto alle attività produttive degli associati, e per il ruolo svolto nella concentrazione dell’offerta dei prodotti degli aderenti: di questa funzione “operativa” finalizzata alla commercializzazione, le associazioni dei produttori sono state investite direttamente dalla legislazione sovranazionale nel settore ortofrutticolo, dove il ricorso a tale strumento si rivela essenziale ai fini del funzionamento del mercato. Infatti, anche in seguito all’abrogazione dei regolamenti che prevedevano misure di sostegno all’associazionismo, nell’ambito dello sviluppo rurale, avvenuta con il reg. n. 1782/2003302, le discipline di settore hanno previsto l’esistenza di organizzazioni di produttori, considerandole vitali per il funzionamento del rispettivo comparto D’altro canto, la stessa Corte di giustizia ne ha riconosciuto la rilevanza quale strumento di governo nei vari settori produttivi agricoli, considerando non superato, seppure abrogato, il contenuto normativo del reg. 952/2007, che ha continuato a fungere da riferimento per la legislazione posteriore in merito ai requisiti che le associazioni dovevano possedere303. Gli accordi che intervengono tra gruppi di produttori agricoli, ai sensi dell’art. 2 del reg. 26/62, possono riguardare diversi aspetti che incidono 301 Anche la dottrina che ha negato autonomia a questa ipotesi ha pur sempre rinvenuto nella stessa una esemplificazione di accordi che beneficiano di una presunzione di conformità con l’eccezione prevista nella prima frase del medesimo paragrafo nel senso che per questi «un examen de leur conformité aux dispositions spécifiques de l’article 39 n’est pas nécessaire», DE COCKBORNE, Les régles communautaires de concurrence applicables aux entreprises dans le domaine agricole, in Revue trim. droit eur., 1998, p. 306. 302 Il reg. n. 1782/2003 ha abrogato il reg. n. 952/1997, che aveva a sua volta sostituito il reg. n. 1360/78 sul sostegno alle associazioni dei produttori agricoli. Per una sintesi della disciplina relativa all’associazionismo, vedi CANFORA, Il quadro normativo nazionale e comunitario sulle organizzazioni dei produttori, in Riv. dir. agr., 2008, I, p. 374. 303 Sentenza Corte di giustizia 1° ottobre 2009, in causa C-505/07, Compañia Española de Comercialización de Aceite. 146 sulla regolamentazione dell’attività (produzione o vendita di prodotti agricoli, utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione o la trasformazione dei prodotti agricoli), ma non possono includere anche gli obblighi di praticare un prezzo determinato per i prodotti: un accordo sui prezzi deve ritenersi illegittimo in quanto contrario alle regole di concorrenza anche se concluso da organizzazioni di produttori agricoli. La circostanza che l’accordo non abbia per oggetto il prezzo costituisce uno degli elementi che devono essere verificati al fine di valutare l’applicabilità della deroga304. La determinazione dei prezzi è, infatti, considerata competenza esclusiva delle istituzioni europee, come ha ribadito più volte la Corte di giustizia: nei settori coperti da organizzazioni comuni di mercato, gli Stati non possono intervenire con disposizioni nazionali nel meccanismo di formazione dei prezzi e non possono nemmeno favorire la stipula di accordi interprofessionali che determinano in anticipo il prezzo alla produzione, come avvenuto con la legge italiana n. 88/1988 sugli accordi interprofessionali, che è stata censurata dalla Corte305. 304 Sentenza Corte di giustizia 12 dicembre 1995, in causa C-399/93, Oude Luttikhuis, che individua tre condizioni che si devono ritenere soddisfatte al fine di ammettere la terza deroga prevista dal reg. 26: «se gli accordi in causa riguardino cooperative appartenenti ad un solo Stato membro, se tali accordi non abbiano per oggetto il prezzo, ma piuttosto la produzione o la vendita di prodotti agricoli o l’utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione o la trasformazione di tali prodotti e infine se essi non escludano la concorrenza né compromettano gli obiettivi della politica agricola comune» (punto 27). V precisato, peraltro, che nella decisione della stessa data (in causa Dijkstra C-319/93, C-40/94 e C-224/94), la Corte ha precisato che non si debba anche dimostrare che tutti gli obiettivi della politica agricola devono essere soddisfatti in caso di accordo tra produttori agricoli. 305 Vedi sul punto sentenza Corte di giustizia 26 settembre 2000, in causa C-22/99, Bertinetto, su cui BIANCHI, Sulla competenza in tema di fissazione dei prezzi tra OCM e autorità nazionali, in Dir. e giur. agr. amb., 2002, p. 234; nello stesso senso, riguardo a una disposizione di legge italiana, sentenza Corte di giustizia CE, 6 novembre 1979, in causa C-10/79, Toffoli: in quella occasione la Corte aveva sancito che «una legislazione nazionale intesa a favorire la formazione con qualsivoglia modo di un prezzo uniforme del latte alla produzione, consensualmente o di autorità, a livello nazionale o regionale, si situa di per se stessa al di fuori dell’ambito delle competenze riservate agli Stati membri e contrasta con il principio della realizzazione di un prezzo indicativo alla produzione». 147 4. Il divieto di abuso di posizione dominante Secondo una giurisprudenza consolidata l'applicazione dell'articolo 101 (3) TFUE (ex art. 81 TCE) non pregiudica l'applicazione dell'articolo 102 TFUE (ex art. 82 TCE)306, che sanziona l’abuso di posizione dominante sul mercato307. In termini concreti, però, deve essere distinto il caso in cui l'articolo 102 TFUE sia applicato ad un'intesa che, a seguito di una valutazione di tipo individuale, soddisfi le condizioni di cui all'articolo 101 (3) TFUE, in particolare i requisiti della “indispensabilità” e della “eliminazione della concorrenza”, da quello in cui riguardi, invece, un'intesa che ricada, pacificamente, nell'ambito di un'esenzione per categoria. Nel primo caso, infatti, è ipotizzabile che l'articolo 102 TFUE trovi applicazione solo in ipotesi eccezionali. Il Tribunale di primo grado ha, al riguardo, stabilito che «la Commissione deve, in occasione di una procedura di applicazione dell'articolo 82 [ora 102 TFUE], tener conto, se le circostanze di fatto e di diritto non sono mutate, di precedenti constatazioni effettuate quando ha concesso l'esenzione ai sensi dell'articolo 81(3) [ora 101(3) TFUE]»308. A parere nostro, sebbene, dopo l'abbandono del sistema delle 306 L’art. 102 TFUE stabilisce: «È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: e) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; f) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; g) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; h) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi». 307 Si vedano le Linee direttrici sull'articolo 81 (3) [ora 101 (3)], par. 106 (che cita Compagnie Maritime Belge c. Commissione, [2000], in Racc. I-1365 (punto 130). 308 Tetra Pak Rausing SA c. Commissione (Tetra Pak I), [1990], in Racc. II-309 (punto 28). 148 notifiche preventive avvenuto con il reg. 1/2003, il riferimento alla concessione dell'esenzione da parte della Commissione non sia più attuale, si può sostenere che il principio stabilito dal Tribunale di primo grado rimanga tuttora valido. Pertanto, se la Commissione, a seguito di un'indagine ex articolo 101 TFUE, concludesse che un'intesa sia meritevole di esenzione, dovrebbe di norma tenerne conto nell'ambito di una successiva indagine che dovesse essere iniziata a seguito di presentazione di un esposto da parte di un concorrente ai sensi dell'articolo 102 TFUE. Qualora un'intesa restrittiva costituisca anche un abuso di posizione dominante ai sensi dell'articolo 102 TFUE (ad esempio, nel caso in cui un'impresa in posizione dominante imponga accordi restrittivi ad un'impresa concorrente in posizione non dominante), secondo la Commissione «si deve per coerenza [fra gli articoli 81 e 82 TCE, ora 101 e 102 TFUE] ritenere che l'articolo 81, paragrafo 3, precluda l'applicazione di tale disposizione agli accordi restrittivi che costituiscono un abuso di posizione dominante»309. Non tutti gli accordi restrittivi conclusi da un'impresa in posizione dominante costituiscono, peraltro, un abuso della sua posizione. Il reg. n. 1184/06 non contiene, invece, alcuna deroga all’applicabilità dell’art. 82 del Trattato CE (ora art. 102 TFUE), che vieta l’abuso di posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo, ovvero lo sfruttamento della potenza economica posseduta da una o da talune imprese, e grazie alla quale esse sono in grado di conservare la 309 Linee direttrici sull'articolo 81(3), par. 106. Alla nota 92 delle Linee direttrici sull'articolo 81(3), la Commissione chiarisce che in tal senso devono essere interpretati anche il punto 135 delle Linee direttrici sulle restrizioni verticali e i punti 36, 71, 105, 134 e 135 delle Linee direttrici sugli accordi di cooperazione orizzontale, nella parte in cui stabiliscono che in linea di massima gli accordi restrittivi conclusi dalle imprese dominanti non possono essere esentati. Se le due norme del Trattato non fossero interpretate coerentemente in questa maniera, un'esenzione ai sensi dell'articolo 81 (3) per un'intesa che costituisce un abuso sarebbe di scarsa utilità per l'impresa che la ottiene. Tale interpretazione comporta, peraltro, che l'impresa non dominante che conclude un accordo con un'impresa dominante condivide con quest'ultima il rischio che l'accordo costituisca un abuso. 149 propria posizione, ostacolando in tal modo l’accesso al mercato di potenziali concorrenti: appare, peraltro, difficilmente immaginabile che una azienda agricola possa qualificarsi in posizione dominante, così che la mancata deroga non sembra avere, in concreto, rilevanti effetti per il settore agrario310. La fattispecie dell’abuso di posizione dominante, seppure nel settore agricolo, alla luce delle disposizioni generali ma anche di quelle proprie del comparto, sia perseguibile negli stessi termini in cui ciò avviene in tutti gli altri settori economici, è, in astratto, configurabile, ma risulta, comunque, in concreto, di difficile realizzazione. Le aziende agricole di estese dimensioni sono normalmente dedite alla coltivazione delle cosiddette commodities, ossia materie prime agricole prodotte in grandi quantitativi, quali, ad esempio, cereali, cacao, caffè, zucchero e ubicate in zone geografiche adatte a queste coltivazioni. Diversamente, le aziende di dimensioni ridotte sono, soprattutto in determinate aree geografiche, votate a produzioni ortofrutticole. Pertanto, per quanto un’azienda agricola sia di grandi dimensioni e produca quantitativi ingenti di commodities, essendo queste ultime di diffusione planetaria, è pressoché impossibile che sia in grado di detenere una posizione dominante sul mercato e sia indotta ad abusare della stessa limitando la concorrenza, motivo per il quale la fattispecie vietata dall’art. 102 TFUE (ex art. 82 TCE) non è stata espressamente prevista nei provvedimenti normativi contenenti la disciplina della concorrenza per il settore agricolo e nemmeno è facilmente ipotizzabile per le aziende della 310 L’abuso di posizione dominante è, dunque, perseguibile nel settore agricolo negli stessi termini in cui ciò avviene in tutti gli altri settori economici: Suiker Unie, cause 40-48, 50, 54-56, 111, 113-114/73, sentenza 16 dicembre 1975, in Raccolta, p. 1663; United Brands/Chiquita, causa 27/76, sentenza 14 febbraio 1978, in Raccolta, p. 207. Del pari, il reg. n. 4064/89, sostituito dal reg. n. 139/2004, relativo al controllo delle concentrazioni, come precisato dallo stesso, si applica senza eccezioni alle concentrazioni che riguardano i mercati dei prodotti agricoli; le differenze sono ascrivibili soltanto alle condizioni di fatto dei vari settori economici e non ai medesimi astrattametne considerati. 150 produzione primaria. Se l’art. 101 TFUE si applica rispetto ad una pluralità di imprese che pongono in essere forme di concertazione nel loro operare sul mercato, il successivo art. 102 considera l’uso distorsivo del predominio di una o poche imprese in grado di neutralizzare qualsiasi tipo di concorrenza potenziale. Perciò sono vietate l’applicazione di condizioni commerciali inique, le pratiche discriminatorie, le restrizioni della produzione o della distribuzione di beni o servizi, ovvero tutte le forme di sfruttamento di fornitori e clienti a cui, per la riduzione o per l’assenza di competizione, potrebbero essere indotte le imprese che già detengono un rilevante potere sul mercato. Invero, perché l’art. 102 TFUE possa operare, è necessario che ricorra non solo un pregiudizio al commercio tra gli Stati membri, ma anche che il predominio dell’impresa si svolga su una parte rilevante del mercato del prodotto, da intendersi non solo in senso geografico, ma come quello specifico mercato del prodotto, individuato tenendo presente la concorrenza effettiva tra i prodotti analoghi che ne fanno parte. 151 CAPITOLO TERZO DISCIPLINA ANTITRUST NAZIONALE E SETTORE AGRICOLO 1. La legge n. 287 del 1990 e i successivi interventi normativi: carenza di discipline specifiche per il settore agricolo e competenze dell’Autorità garante della concorrenza La legge italiana 10 ottobre 1990, n. 287, che disciplina la concorrenza, e istituisce l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, non contiene alcuna norma specifica sul commercio dei prodotti agricoli nel territorio nazionale, limitandosi a riprendere pedestremente sul punto le norme contenute nel Trattato CE e trascurando l’eccezione ivi prevista per i prodotti agricoli; nessuna norma specifica è stata poi introdotta dalla legge 14 novembre 1995, n. 481311, che ha integrato le competenze in materia di concorrenza. Ad una prima osservazione, si poteva pensare che eventuali unioni tra produttori agricoli, con lo scopo di favorirne un rafforzamento sul mercato, se non erano di competenza degli organi europei, finivano per essere considerati contrari alla legge nazionale. Analizzando, invece, a fondo le norme, in particolare l’art. 2 del reg. 26/62 e da ultimo l’art. 176 del reg. 1234/2007, che, come detto, individuano due delle tre ipotesi di deroga previste per il settore agricolo, la dottrina più esperta in materia giustifica l’anomalia italiana: si osserva, 311 Legge 14 novembre 1995, n. 481, contenente «Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità», in GU italiana n. 270 del 18/11/1995. 152 infatti, che il primato del diritto europeo e la regola per la quale l’Autorità garante è tenuta ad interpretare e ad applicare la normativa italiana antitrust secondo i principi del diritto comunitario (art. 1, comma 2, legge 287/90), fanno sì che le intese tra agricoltori, anche se non influiscono sugli scambi intracomunitari, vanno valutate e considerate sulla base dell’art. 176 del reg. 1234/2007, laddove, appunto, il principio generale della libertà di concorrenza è armonizzato nella materia agricola alle esigenze specifiche del settore. Così il richiamo alla normativa europea assume, secondo tale impostazione dottrinale, un ruolo fondamentale anche per la riflessione culturale sul nostro sistema giuridico che sia in grado di fornire risposte ai problemi del mercato312. Viene, tra l’altro, in soccorso di questa interpretazione la stessa legge n. 287/1990, la quale ha tracciato il proprio ambito di applicabilità in misura complementare rispetto al diritto sovranazionale: se ne ricava che per un comportamento anticoncorrenziale rilevante in una dimensione intracomunitaria la competenza è della Commissione europea, mentre l’intervento dell’Authority italiana è limitato a quelle violazioni che rilevino solo per il mercato interno. Per stabilire se la materia riguardi l’ambito europeo o quello nazionale, occorre determinare il mercato interessato dall’azione dell’impresa o delle imprese in questione. Per quanto concerne il comparto agricolo, i provvedimenti più significativi dell’Autorità garante della concorrenza hanno interessato l’agroalimentare, sul quale, peraltro, si sono concentrate le maggiori complessità inerenti al ruolo e alle competenze dell’autorità regolatrice del 312 JANNARELLI, Relazione di sintesi, in SALARIS (a cura di), I “messaggi” nel mercato dei prodotti agro-alimentari, Atti dell’Incontro di studio, Sassari 13-14 ottobre 1995, Torino, 1997, p. 134 ss. Sull’AGCM vedi, da ultimo, M INERVINI, L’autorità garante della concorrenza e del mercato quale autorità di tutela del consumatore: verso una nuova forma di regolazione dei mercati, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 2010, p. 1141. introdotte in Italia con i dd.lgg. 2 agosto 2007, nn. 145 e 146, in recepimento della direttiva 2005/29/CE 312 sulle pratiche commerciali sleali; il decreto n. 145 concerne la pubblicità ingannevole, il decreto n. 146 ha modificato il codice del consumo. 153 settore. Una rassegna dettagliata di questioni e interventi in proposito sarà illustrata di seguito. Oltre a quanto verrà detto, qui giova sottolineare che tra i poteri dell’Autorità garante nel settore alimentare figurano le competenze sulle pratiche commerciali sleali313, introdotte in Italia in recepimento della inerente direttiva CE314. La direttiva rappresenta il primo intervento di armonizzazione in materia e si caratterizza come una disciplina orizzontale volta a disciplinare le pratiche commerciali sleali poste in essere dalle imprese e lesive degli interessi economici dei consumatori. Il provvedimento attrae a sé la disciplina sulla pubblicità ingannevole, con conseguente limitazione dell’ambito di applicazione della direttiva 84/450/CEE alla pubblicità che reca pregiudizio alle imprese concorrenti ma non ai consumatori. Essa lascia, inoltre, impregiudicate le normative nazionali sulle pratiche commerciali sleali che ledano unicamente gli interessi economici dei concorrenti. Il contratto di compravendita di prodotti alimentari rientra tra i contratti del consumatore ai fini dell’applicazione delle regole contenute nel codice del consumo, qualora siano rispettati due necessari presupposti, ovvero che la parte venditrice stipuli il contratto nell’esercizio della propria attività imprenditoriale e che l’acquirente del prodotto alimentare sia una persona fisica che acquisti il bene per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale o professionale315. Allo stesso modo, le regole contenute 313 Introdotte in Italia con i dd.lgg. 2 agosto 2007, nn. 145 e 146, in recepimento della direttiva 2005/29/CE313 sulle pratiche commerciali sleali; il decreto n. 145 concerne la pubblicità ingannevole, il decreto n. 146 ha modificato il codice del consumo. 314 La bibliografia sulla direttiva 2005/29/CE è molto vasta. In questa sede si rimanda per tutti a DE CRISTOFARO, Le “pratiche commerciali sleali” tra imprese e consumatori. La direttiva 2005/29/CE e il diritto italiano, Torino, 2007; MINERVINI e ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, Torino, 2007. 315 Sull’applicazione delle regole contenute nel codice del consumo ai contratti del consumo alimentare si rinvia al contributo di DE CRISTOFARO, I contratti del consumo alimentare, 154 nella direttiva 2005/29/CE, e le normative nazionali di recepimento della stessa, si applicano senza eccezioni ai contratti del consumo agroalimentare. Pertanto, il divieto di porre in essere pratiche commerciali sleali grava anche sulle imprese alimentari. L’art. 27 c. cons. disciplina il ruolo dell’Autorità garante che, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto od organizzazione che ne abbia interesse, inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti316. Il potere dell’AGCM di attivarsi d’ufficio rappresenta sicuramente la garanzia di una maggiore effettività dei diritti dei consumatori. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, inoltre, con proprio regolamento, disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione317. L’art. 27, 15° co., afferma che è in ogni caso fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di concorrenza sleale nonché, per quanto concerne la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d’autore, dei marchi d’impresa e delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti. Il sistema prescelto dal legislatore italiano, dunque, si regge su un doppio binario di tutela, che affianca alla tutela di carattere giurisdizionale una protezione pubblicistica incentrata sull’azione dell’Autorità garante, attraverso il rafforzamento dei suoi poteri, tra i quali l’avvio d’ufficio dei procedimenti, il potere ispettivo e la possibilità di ottenere dalle imprese impegni vincolanti. in Riv. dir. alimentare, aprile-giugno 2008, n. 2. 316 Sui nuovi poteri dell’Autorità garante, SESTINI, Nuovi poteri dell’AGCM e primi provvedimenti inibitori in tema di prodotti alimentari, in Riv. dir. alimentare, gennaio-marzo 2009, n. 1. 317 L’Autorità garante ha emanato il regolamento sulle pratiche commerciali sleali il 5 dicembre 2007. 155 Giova ricordare, con finalità di consolidamento, a nostro avviso, del ruolo dell’Autorità garante, che la legge 23 luglio 2009, n. 99, contiene una norma che impegna il Governo a presentare, ogni anno, il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza «al fine di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori», tenendo conto anche delle segnalazioni eventualmente trasmesse dall’Autorità garante per la concorrenza e delle indicazioni contenute nelle relazioni delle altre Autorità indipendenti. Il provvedimento è concepito come strumento per una più efficace attuazione delle politiche concorrenziali da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’articolo 47 della legge n. 99/2009 prevede, infatti, che il governo presenti il disegno di legge entro 60 giorni dalla trasmissione della relazione annuale dell’Antitrust che, assieme a quelle delle altre Autorità di settore, deve concorrere alla identificazione dei provvedimenti da emanare. L’articolo in questione prescrive che la relazione di accompagnamento debba includere l’elenco di tutte le segnalazioni e pareri di Agcm «indicando gli ambiti in cui non si è ritenuto opportuno darvi seguito». Nell’impianto normativo, i rilievi dell’Antitrust non costituiscono solo un termine di riferimento, ma indirizzano le misure di governo e quest’ultimo è chiamato a giustificare eventuali scostamenti. In Italia, in seguito all’istituzione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato si è reso necessario coordinare le competenze tra quest’ultima e la Commissione europea in materia di concorrenza e di stabilire i criteri di applicazione del diritto antitrust nazionale e europeo. L’esigenza di coordinamento si inserisce in una generale politica di decentramento che la Commissione ha portato avanti già dagli anni ’90 al fine di snellire il proprio carico di lavoro; inoltre, la Commissione ha previsto l’applicazione diretta degli artt. 81 e 82 del Trattato CE (oggi 156 articoli 101 e 102 TFUE) da parte delle autorità nazionali318. Nel nostro Paese, l’attribuzione della competenza ad applicare i divieti stabiliti dal Trattato in materia di tutela della concorrenza a favore dell’Autorità garante è avvenuta per mezzo della l. comunitaria 6 febbraio 1996, n. 52, che all’art. 54, 5° co, stabilisce l’applicazione diretta degli artt. 85, § 1, e 86 del Trattato Ce (ora articoli 101 e 102 TFUE) da parte dell’Autorità, salvo che la Commissione non abbia già iniziato un procedimento con riguardo alla medesima fattispecie; in tal caso, l’Authority sospende lo svolgimento del procedimento. Nel nostro ordinamento giuridico vige, dunque, il principio della c.d. esclusione reciproca, che risolve il problema di coordinamento tra competenze. La legge n. 287/90, inoltre, all’art. 1, 4° co., stabilisce che l’interpretazione delle norme contenute nel titolo I della medesima è effettuata in base ai principi dell’ordinamento comunitario in materia di disciplina della concorrenza. I principi del diritto comunitario, dunque, vengono assunti quali “canone ermeneutico” per la legislazione nazionale319, rappresentando lo strumento interpretativo delle norme nazionali antitrust. Inoltre, dopo il primo regolamento di applicazione delle disposizioni sulla concorrenza del Trattato (il reg. CEE 6 febbraio 1962, n. 17), il Consiglio ha emanato il reg. CE n. 1/2003 che sostituisce il precedente e introduce una novità: l’art. 81, paragrafo 3, del Trattato CE (ora art. 101, paragrafo 3, TFUE), che prevede la possibilità di ottenere una esenzione dal divieto di cui all’art. 81, paragrafo 1 TCE (ora art. 101, paragrafo 1 TFUE), 318 Si legge, infatti, nella comunicazione della Commissione concernente la cooperazione tra la Commissione e le Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri per l’esame dei casi disciplinati dagli artt. 85 e 86 del Trattato CE, pubblicata sulla Gazzetta Uff., 15 ottobre 1997, n. C 313, che le autorità nazionali sono competenti ad applicare i divieti di cui agli artt. 85, § 1, e 86, a condizione che la legislazione nazionale conferisca loro i poteri necessari a tal fine. 319 JANNARELLI, Il regime della concorrenza nel settore agricolo, in Riv. dir. agr., 1997, I, p. 416. 157 acquista efficacia diretta ed è, dunque, direttamente applicabile da parte delle Autorità nazionali garanti della concorrenza, oltre che dai giudici nazionali. In tal modo, si suddivide di fatto l’applicazione del diritto antitrust tra gli organi nazionali competenti e la Commissione, creando un vero e proprio sistema di rete fondato sulla stretta cooperazione tra la Commissione e le singole Autorità nazionali, all’interno della rete delle Autorità di concorrenza dell’EU (European competition network)320. Le Autorità antitrust nazionali sono, dunque, inserite all’interno di un sistema di tipo verticale nei rapporti con la Commissione (consistenti prevalentemente in un obbligo di informazione e di consultazione preventiva della Commissione) e di tipo orizzontale, attraverso il dialogo con le altre autorità nazionali (al fine di consentire lo scambio di informazioni e la comunicazione degli elementi di prova)321. 320 Su tali aspetti si rinvia a VAN BAEL e BELLIS, Il diritto comunitario della concorrenza, Torino, 2009, p. 18 ss. 321 La dottrina osserva come la costituzione di un sistema di rete abbia particolare rilievo per il settore alimentare. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi, riferita da C OSTANTINO, Il ruolo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel settore agroalimentare, in Trattato di diritto agrario, diretto da COSTATO, GERMANÒ e ROOK BASILE, Vol. III, p. 231, al mercato dei prodotti dimagranti particolarmente caratterizzato dalla presenza di pratiche commerciali scorrette poste in essere sul territorio italiano ma da parte di imprese aventi sede all’estero, con evidente difficoltà di reperimento delle informazioni da parte dell’Autorità garante nazionale (ASTAZI, Pratiche commerciali scorrette nell’ambito dei contratti del consumo alimentare e tutela dei consumatori. I nuovi poteri dell’AGCM, in Riv. dir. alimentare, aprile-giugno 2008, n. 2). 158 2. Normativa europea e diritto interno antitrust in relazione alle intese nel settore agricolo: il caso dei Consorzi di tutela dei prodotti tipici Significativi per chiarire il ruolo e le competenze dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel settore agroalimentare sono gli interventi in riferimento alle attività dei consorzi di tutela della qualità di determinati prodotti alimentari. In particolare, l’Autorità si è incaricata di chiarire i limiti del potere di restrizione della concorrenza nei confronti dei produttori associati da parte dei consorzi, ossia organismi associativi ai quali gli imprenditori agricoli fanno riferimento per rappresentare i propri interessi e per poter gestire al meglio il proprio ruolo all’interno della filiera agroalimentare322. I consorzi hanno natura volontaria e riuniscono le imprese ubicate nelle zone di produzione tipica; essi svolgono funzioni di promozione, monitoraggio e controllo della produzione e del commercio dei prodotti tutelati. L’Autorità garante si è occupata di verificare in primo luogo l’applicabilità della l. n. 287/1990 ai consorzi tra produttori e, successivamente, è intervenuta a verificare la compatibilità della normativa antitrust con i piani di programmazione della produzione posti in essere dai consorzi. L’attenzione dell’Authority si è concentrata nei confronti dei Consorzi del prosciutto di San Daniele e del prosciutto di Parma 323 e del Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano e del Consorzio per la tutela del formaggio Grana Padano324, verso i quali sono state avviate nel 1995 due 322 PAOLONI, Consorzi fra produttori agricoli, in Digesto civ., Agg., I, Torino, 2000, p. 215; ID., I consorzi fra produttori agricoli tra passato e presente, in AA.VV., Agricoltura e diritto. Scritti in onore di Emilio Romagnoli, II, Milano, 2000, p. 895 ss. 323 A seguito di tali istruttorie è stata adottata la decisione del 19 giugno 1996, n. 3999. 324 A seguito di tali istruttorie è stata adottata la decisione del 24 ottobre 1996, n. 4352. 159 istruttorie; in entrambe si è preliminarmente affrontata la questione relativa all’applicabilità della disciplina sulla concorrenza anche ai consorzi di tutela della qualità, risolvendola nel senso della piena applicabilità della legge n. 287/1990 anche ad essi. Nel caso dei consorzi di salumi, poi, l’Autorità ha proceduto con l’esame dell’attività di programmazione svolta dai consorzi sull’attività produttiva delle imprese che deve essere compatibile con le regole a tutela della concorrenza. I piani di programmazione, infatti, sono atti negoziali frutto di una volontà liberamente e autonomamente formata nell’ambito dell’attività dei consorzi stessi. Essi sono disciplinati dalla legge 13 febbraio 1990, n. 26, e dalla legge 14 febbraio 1990, n. 30, istitutive dei sistemi di tutela della denominazione di origine del prosciutto di Parma e del prosciutto San Daniele e sono soggetti all’approvazione da parte dell’allora Ministero dell’Industria, di intesa con gli allora Ministeri dell’agricoltura e della sanità. Secondo il parere dell’Autorità, l’approvazione ministeriale dei piani di programmazione è un formale atto di controllo che non ne modifica la natura di atto negoziale volontario e che, pertanto, non esonera l’attività dei consorzi dal rispetto delle regole a tutela della concorrenza. Nel caso di specie, l’istruttoria ha analizzato le misure di contingentamento degli acquisti di cosce di suino destinate alle produzioni tutelate325, i mercati rilevanti dell’allevamento, della macellazione e della commercializzazione di cosce di suino e della produzione e commercializzazione di prosciutto crudo finale. Siccome i piani di programmazione si riferivano sia al 325 Per un’analisi ricostruttiva dei provvedimenti in questione, P AOLONI, Programmazione della produzione e lesione delle regole antimonopolistiche nei consorzi di tutela dei prodotti agroalimentari tipici, in Dir. e giur. agr. amb., 1998, p. 197; SCHIANO, L’applicazione del diritto antitrust nel settore agricolo. Alcune considerazioni in margine al caso del consorzio per la tutela dei prosciutti di Parma e San Daniele, in Riv. dir. agr., 2000, I, p. 613. 160 quantitativo totale di cosce di suino da avviare alla trasformazione per ottenere i prodotti a denominazione tutelata, sia alle quote di produzione assegnate alle singole imprese, queste misure si configuravano, secondo l’Autorità, come intese restrittive della concorrenza. L’Authority ha anche verificato la possibilità di abuso di posizione dominante da parte dei Consorzi, procedendo ad individuare il mercato rilevante per tali prodotti che operano in un mercato caratterizzato da molti alimenti alternativi o succedanei, ottenuti sia in Italia sia all’estero, di modo che un controllo della produzione poteva essere considerato un legittimo strumento di programmazione. Il mercato rilevante nel caso di specie è stato circoscritto al territorio italiano, mentre il paradigma da considerare per i prosciutti ricomprende aree del territorio europeo, perciò la competenza ad analizzare la situazione sarebbe spettata alla Commissione europea, come a breve verrà evidenziato. Con il riconoscimento della denominazione di origine protetta ottenuto attraverso l’iscrizione nel registro europeo dei prosciutti di Parma e San Daniele326, la tutela dei prodotti, il loro sistema di produzione e i relativi controlli di qualità sono stati disciplinati dal regolamento n. 2081/1992327, successivamente sostituito dal regolamento n. 510/2006328: in virtù dell’applicabilità delle norme contenute nel regolamento, le funzioni di controllo sulla produzione dei prodotti tutelati dalla denominazione Dop sono svolte ora da organismi di controllo indipendenti, terzi e imparziali. Ne consegue che i piani di programmazione non siano più necessari al fine di tutelare il mercato dei prodotti di qualità, e, tra l’altro, non ottemperano nemmeno la disciplina europea in materia che assicura, tramite gli 326 Reg. CE n. 1107/1996 che ha registrato come Dop i prosciutti di Parma e San Daniele Regolamento del Consiglio del 14 luglio 1992 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari. 328 Regolamento del Consiglio del 20 marzo 2006 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari. 327 161 organismi di controllo, il rispetto delle regole stabilite nei disciplinari di produzione. In seguito l’Autorità garante è intervenuta di nuovo sul settore della produzione dei prosciutti Dop, con una segnalazione ex art. 21 legge n. 287/1990 al Mipaf, riguardante alcune misure adottate dagli organismi di controllo circa la conformità al disciplinare di produzione della Dop prosciutto San Daniele. L’Autorità ha riscontrato, infatti, la violazione delle regole nazionali a tutela della concorrenza e la violazione della normativa europea a tutela delle denominazioni di origine, in particolare per questo motivo: l’organismo certificatore della produzione della Dop prosciutto San Daniele non consentiva l’accesso ai controlli di qualità e al rispetto del disciplinare ai nuovi produttori, se non per quantitativi pari o inferiori ad una soglia prefissata, mettendo in atto una pratica anticoncorrenziale e in violazione delle norme europee, che prevedono che sia permesso l’utilizzo della denominazione a tutti i produttori in grado di rispettare il disciplinare di produzione. L’altra istruttoria avviata dall’Autorità garante è rivolta nei confronti del Consorzio del formaggio Parmigiano Reggiano e del Consorzio per la tutela del Grana Padano, in merito ad un protocollo di intesa sottoscritto dai due consorzi sui quantitativi di produzione, che, analogamente al settore dei prosciutti, fissava una quota di produzione per ciascuna impresa socia e determinava i quantitativi massimi di produzione al fine di stabilire un equilibrio tra produzione e consumo in un mercato di prodotti di qualità. L’Autorità garante ha valutato come violazione delle norme sulla concorrenza la predisposizione dei piani di programmazione da parte del Consorzio Grana Padano. Il Consorzio del Parmigiano Reggiano, invece, nel corso del 1995, aveva attribuito obiettivi produttivi ai caseifici sulla base della quantità di latte disponibile risultante da autocertificazioni da essi presentate, senza ulteriori limitazioni, non mettendo in atto una pratica 162 anticoncorrenziale. I consorzi di tutela, a seguito dell’intervento da parte dell’Autorità garante, hanno deciso di modificare i propri regolamenti di autodisciplina, trasformando il meccanismo di programmazione quantitativa in una semplice verifica delle richieste di produzione presentate dai singoli consorziati che rimangono non vincolanti in quanto i singoli produttori associati possono superare il quantitativo segnalato se sono in grado di attenersi al disciplinare di produzione. Allo stesso modo, nel 1998 l’Autorità ha valutato quali intese restrittive della concorrenza, in violazione dell’art. 2 della legge n. 287/1990, i piani di programmazione della produzione posti in essere dal Consorzio per la tutela del formaggio gorgonzola, nei quali si predeterminava annualmente il quantitativo da produrre con l’assegnazione delle relative quote ai singoli associati, limitando in tal modo la competizione tra imprese e la crescita degli operatori più efficienti329. Ebbene, di fronte ai problemi sollevati dal Garante a proposito di alcuni Consorzi di tutela dei prodotti tipici, di cui si è detto, il legislatore è intervenuto con il d.lgs. n. 173 del 1998 recante disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole. L’art. 11 del decreto citato (ora abrogato dall’art. 16 d. lgs. 102/2005) si occupa specificamente degli accordi del sistema agroalimentare330. 329 Decisione del 12 novembre 1998, n. 6549. L’art. 11 d.lgs. 173/1998 stabiliva: «1. Gli accordi realizzati tra produttori agricoli o fra produttori agricoli ed imprese, che beneficino di una stessa denominazione di origine protetta (DOP), indicazione geografica protetta (IGP) e attestazione di specificità (AS) riconosciuta ai sensi dei regolamenti (CEE) n. 2081/92 e n. 2082/92 del Consiglio del 14 luglio 1992, o che siano integrati nella stessa filiera di produzione avente la dicitura di “agricoltura biologica” ai sensi del regolamento (CE) n. 2092/91, del Consiglio del 24 giugno 1991, sono approvati dal Ministero per le politiche agricole. Tali accordi devono essere stipulati per iscritto, per un periodo determinato che non può essere superiore a tre anni e possono riguardare soltanto: a) una programmazione previsionale e coordinata della produzione in funzione del mercato; b) un piano di miglioramento della qualità dei prodotti, avente come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta; 330 163 L’Autorità garante, nell’esercizio dell’attività consultiva prevista dall’art. 22 legge n. 287/1990, ha formulato una segnalazione avente ad oggetto lo schema di decreto legislativo poi approvato, esprimendo gravi preoccupazioni con riguardo proprio all’art. 11331. In particolare, a parere dell’Autorità garante, tale previsione normativa si poneva in palese conflitto con le regole comunitarie in materia di concorrenza applicabili al settore agricolo, ed in particolare con l’art. 42 Trattato CE e con il reg. 26/62. Le deroghe alla disciplina a tutela della concorrenza previste dalla normativa comunitaria per il settore agricolo rappresentano, ad opinione dell’Autorità garante, una «limitata eccezione alla regola» sottoposta, in ogni caso, al controllo della Commissione che deve verificare l’eventuale inapplicabilità delle regole di concorrenza a comportamenti posti in essere da imprese agricole in base a rigorosi criteri di necessità e proporzionalità rispetto alla realizzazione degli obiettivi previsti dall’art. 39 Trattato CE. La normativa in questione, invece, sempre ad opinione dell’Autorità, introduce una deroga generale e tendenzialmente incondizionata, sottraendo alla stessa Autorità la potestà di esplicare i propri poteri di controllo in materia di concorrenza nel settore in questione. Sembra opportuno chiarire, come evidenziato dalla più attenta dottrina, che le ipotesi considerate nell’art. 11 del d.lgs. n. 173/1998, sono riconducibili alla seconda ipotesi di deroga prevista dal reg. 26/62, ove si c) una concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati della produzione degli aderenti. 2. In caso di grave squilibrio del mercato, gli accordi realizzati fra produttori agricoli, o fra produttori agricoli ed imprese di approvvigionamento o di trasformazione e le disposizioni autolimitatrici, adottate dalle organizzazioni di produttori agricoli riconosciute ai sensi del regolamento (CE) n. 952/97 del Consiglio del 20 maggio 1997, e le organizzazioni interprofessionali di cui all’articolo 12, destinati a riassorbire una temporanea sovracapacità produttiva per ristabilire l’equilibrio del mercato, devono essere autorizzati dal Ministero per le politiche agricole. Tali misure devono essere adeguate a superare gli squilibri e non possono in alcun caso riguardare la materia dei prezzi. La durata degli accordi non può eccedere un anno. 3. Gli accordi di cui ai commi 1 e 2 non possono in ogni caso prevedere restrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento degli scopi indicati nei medesimi commi, né possono eliminare la concorrenza da una parte sostanziale del mercato. 4. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non costituiscono deroghe a quanto previsto dall’articolo 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287». 331 Parere AS132 del 2 aprile 1998, pubblicato sul bollettino AGCM n. 12/1998. 164 stabilisce che l’art. 85, paragrafo 1, Trattato CE (ora art. 101, paragrafo 1, TFUE) non si applica agli accordi, decisioni e pratiche necessari per il conseguimento degli obiettivi enunciati nell’art. 39 Trattato CE. Infatti, tale norma sembra riguardare non solo gli imprenditori agricoli, ipotesi contemplata invece nella terza ed ultima ipotesi di deroga prevista dal reg. 26/62, ma anche accordi tra imprese agricole ed imprese di trasformazione, non agricole in senso stretto. Si segnala, a riguardo, un dibattito dottrinale in ordine alla compatibilità dell’art. 11 d.lg. n. 173/98 con la normativa comunitaria. Si sostiene da un lato che i contenuti degli accordi previsti dalla normativa italiana, che possono avere ad oggetto la programmazione della produzione in funzione del mercato, un piano di miglioramento della qualità dei prodotti avente come conseguenza diretta una limitazione del volume dell’offerta o una concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati della produzione degli aderenti, «possono benissimo intendersi come strumenti necessari per perseguire le finalità dell’art. 39 del trattato»332. D’altro canto, si sostiene che le preoccupazioni evidenziate dall’Autorità garante in ordine alla compatibilità della normativa italiana con quella comunitaria sono più che serie se si considera che la fissazione di tetti quantitativi di produzione si traduce in una inevitabile barriera all’entrata nei confronti di altri produttori agricoli interessati a far parte del consorzio di tutela. In questo modo, si violerebbe il principio della porta aperta di modo che la violazione della concorrenza non ha ad oggetto il rapporto tra produttori di prodotti di qualità ed altri produttori, ma incide su qualunque altro produttore di prodotti di qualità che verrebbe escluso dal mercato. La presenza sul territorio di un consorzio di tutela della qualità si giustifica, infatti, solo se i soggetti interessati e aventi i requisiti necessari abbiano il 332 COSTATO, Commento al decreto legislativo n. 173 del 1998, in Riv. dir. agr., 1998, I, p. 503. 165 diritto di accedere all’utilizzazione del marchio collettivo o della denominazione protetta. Solo così i consorzi rispettano i principi del libero mercato che si basa sulla libertà di accesso333. L’art. 11 d. lg. n. 173/1998 è stato abrogato dal d.lg. n. 102/2005 che all’art. 15 ripropone il contenuto della previgente normativa in materia di accordi del sistema agroalimentare. L’Autorità garante ha ribadito la contrarietà alla normativa comunitaria delle previsioni normative nazionali che consentono ai consorzi di tutela la fissazione di limiti quantitativi alla produzione334. L’art. 11, stabilisce che devono essere approvati dal MIPAAF gli accordi stipulati «tra produttori agricoli o fra produttori agricoli ed imprese» che beneficino di una stessa DOP, IGP o attestazione di specificità (oggi specialità tradizionale garantita), ovvero del marchio biologico. Tali accordi, di durata al massimo triennale, che secondo quanto sembra potersi dedurre dalla norma debbono rivestire la forma scritta ad substantiam, possono prevedere una programmazione della produzione in funzione del mercato, un piano di miglioramento qualitativo che può avere come conseguenza diretta una limitazione del volume dell’offerta, e una concentrazione dell’offerta e dell’immissione sui mercati della produzione degli aderenti335. Anche nel settore degli ortofrutticoli l’art. 11 del d.lgs. n. 173/98 prevede che il MIPAAF possa intervenire autorizzando gli accordi realizzati «fra produttori agricoli, o fra produttori agricoli ed imprese di 333 JANNARELLI, Relazione di sintesi, cit., p. 143, conclude, a tal riguardo, che i “soggetti collettivi”, qualora abbiano il potere di fissare limiti quantitativi, divengono da soggetti coinvolti nella strutturazione del mercato, protagonisti diretti della produzione operanti in senso contrario al mercato. 334 Parere AS293 del 6 aprile 2005, pubblicato sul bollettino AGCM n. 14/2005. 335 COSTATO, Commento all’art. 11, in Commento al decreto legislativo n. 173 del 1998, a cura di CRISTIANI, RUSSO, FONTANA, BORGHI, COSTATO, GOLDONI, BALDI LAZZARI, in Riv. dir. agr., 1998, I, p. 499. 166 approvvigionamento o di trasformazione», e le disposizioni adottate con lo scopo di «riassorbire una temporanea sovracapacità produttiva per ristabilire l’equilibrio del mercato», dalle organizzazioni di produttori agricoli, o con accordi fra dette organizzazioni e le imprese di trasformazione, in sede di organizzazioni interprofessionali e «tali misure devono essere adeguate a superare gli squilibri e non possono in alcun caso riguardare la materia dei prezzi. La durata degli accordi non può eccedere un anno»336. La norma in questione richiama da vicino le disposizioni del legislatore europeo che consente, attraverso l’art. 2 del reg. 1184/2006, la stipula di accordi, decisioni e pratiche fra imprese agricole e loro associazioni. Si noti, tuttavia, come i produttori di prosciutto di Parma e S. Daniele non siano imprenditori agricoli ai sensi del reg. 1184/2006, mentre lo sono i produttori dei formaggi Grana e Parmigiano reggiano, dal momento che i primi commerciano prosciutti acquistandoli freschi e vendendoli stagionati, mentre i formaggi Grana e Parmigiano sono ottenuti da imprese agricole che trasformano il loro latte, oppure da cooperative di agricoltori, ormai equiparate all’imprenditore agricolo e aventi la qualifica di imprenditori ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. 228/2001. Infine, il comma 4 dell’art. 11 d.lgs. 173/98 stabilisce che le disposizioni precedenti non costituiscono deroghe «a quanto previsto dall’articolo 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287»; mentre è di tutta evidenza che i commi 1 e 2 dell’art. 11 sono delle deroghe all’art. 2, mitigate solo dal disposto del comma 3, il quale stabilisce che gli accordi suddetti «non possono in ogni caso prevedere restrizioni non strettamente necessarie al raggiungimento 336 L’OCM del settore ortofrutticolo trova oggi la propria disciplina generale nel reg. (CE) 1234/2007 del Consiglio del 22 ottobre 2007 e norme più specifiche nel reg. (CE) n. 1182/2007 del Consiglio del 26 settembre 2007, che ha tra l’altro abrogato il precedente regolamento di base del settore (n. 2202/1996). 167 degli scopi indicati (…) né possono eliminare la concorrenza da una parte sostanziale del mercato». In riferimento a questi aspetti, illustre dottrina rileva come nelle DOP e nelle IGP cui fanno riferimento le disposizioni nazionali sopra richiamate, interessate da accordi fra«produttori agricoli» o da quelli fra «produttori agricoli e imprese», rientrino i consorzi dei formaggi e dei prosciutti 337. Ne deriverebbe che la produzione programmata degli imprenditori riuniti sotto un marchio collettivo è simile a quella del produttore che utilizza un marchio individuale, anche se in precedenza l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha distinto le due attività di programmazione della produzione, che appaiono peraltro non dissimili, negando ai Consorzi del Parmigiano reggiano e del prosciutto la legittimità di un comportamento consentito, invece, ai produttori individuali. L’Authority, come detto poc’anzi, ha anche verificato la configurazione della fattispecie di abuso di posizione dominante da parte dei Consorzi, circoscrivendo il mercato rilevante nelle fattispecie de qua al territorio italiano, mentre si sarebbe più propriamente dovuto prendere in considerazione un raggio più ampio che ricomprendesse ulteriori aree in Europa, attribuendo in tal modo la competenza alla Commissione europea. Bisogna sottolineare come le norme nazionali sopra richiamate violino la normativa europea, dal momento che consentono accordi di filiera tra produttori agricoli e industriali alimentari o commercianti, mentre il reg. 1184/2006 ammette solo accordi «fra imprenditori agricoli» o loro associazioni, talché se l’esito dell’accordo avesse riflessi sul mercato comunitario la Commissione potrebbe intervenire (come è avvenuto, ad esempio, per un accordo fra produttori di latte e industriali). La legislazione nazionale degli anni 2000 ha introdotto importanti 337 BORGHI, in AA.VV., Compendio di diritto alimentare, V ed., 2011, pag. 169. 168 modifiche ai poteri del ministro per il comparto agricolo in riferimento alla disciplina della concorrenza, ma si deve rilevare che ben modesto è lo spazio che poteva essere riservato ai poteri nazionali, specie in materia di aiuti pubblici, poiché essi sono disciplinati esaustivamente dal diritto europeo. Infine, la stessa legislazione nazionale appare difficilmente conciliabile anche con le competenze regionali, in particolare in riferimento agli accordi interprofessionali338. Giova richiamare, in tema di consorzi di tutela di prodotti tipici e loro poteri, il Regolamento (Ue) n. 261/2012339, che introduce un “nuovo” modello di interprofessione per il settore lattiero-caseario, prima misura varata con la procedura di codecisione, che prevede quali strumenti a disposizione contratti scritti, rafforzamento del potere contrattuale delle organizzazioni di produttori e la possibilità di programmare la produzione per i formaggi di qualità. La riforma varata, che trae spunto dalla situazione di crisi dei mercati, senza aiuti finanziari, punta, con l’introduzione di nuove regole contrattuali, a migliorare la rappresentatività dei produttori e a una gestione attenta dell’offerta che consenta di mantenere prezzi remunerativi per alcune produzioni chiave del made in Italy, come Parmigiano Reggiano e Grana padano. Al regolamento n. 1234/2007 è aggiunto l’art. 126 quater che prevede la possibilità per le Organizzazioni di produttori, in deroga alle regole europee sulla concorrenza, di contrattare il prezzo per conto dei propri soci, fino ad un massimo del 33% del mercato nazionale, o il 3,5% 338 Ad esempio la L.reg. Emilia Romagna n. 24 del 7 aprile 2000, incompatibile con la l. 9 maggio 2001, n. 14. Sull’argomento RUSSO, Commento all’art. 25, in I tre «decreti orientamento» della pesca e acquacoltura, forestale e agricolo (a cura di COSTATO), in Le nuove leggi civili commentate, 2001, p. 857. 339 Reg. 261/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, che modifica il Regolamento (Ce) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, in GUUE l 94/38 del 30.3.2012. 169 della produzione totale europea. Per migliorare il funzionamento del mercato e garantire la qualità dei formaggi Dop e Igp i consorzi di tutela potranno regolare i volumi di produzione. Un altro aspetto chiave della riforma è rappresentato dalla nuove regole in materia di contrattazione obbligatoria. Il regolamento introduce l’obbligo di stipulare contratti scritti per fissare in anticipo prezzo, quantità e durata delle forniture. Un sistema simile a quello già in vigore in Francia, dove però non sono mancate le difficoltà di attuazione. I Paesi membri potranno decidere se imporre o meno contratti obbligatori per le forniture di latte sul territorio nazionale. Se il singolo Stato membro deciderà di introdurli, i contratti obbligatori dovranno essere stipulati prima della fornitura e indicare prezzo, scadenze dei pagamenti e accordi sulla raccolta e la fornitura del latte. I singoli partners potranno anche decidere di introdurre una durata minima di almeno sei mesi. Le nuove regole sui contratti e sulla programmazione dell’offerta sono in vigore sei mesi dopo la pubblicazione del regolamento sulla Gazzetta Ufficiale della Ue. La parte, invece, relativa al riconoscimento delle Organizzazioni di produttori è immediatamente applicabile. Un altro recente provvedimento, questa volta nazionale, su cui vale la pena soffermarsi prima di continuare la presente analisi, e che incide sulle transazioni commerciali aventi ad oggetto prodotti alimentari deteriorabili; è il Dl n. 1/2012, che dal 24 ottobre 2012 che ha introdotto nuove regole relative alla commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari340. Sotto il profilo dell’applicabilità territoriale, le nuove regole si applicano per le cessioni di prodotti agricoli e alimentari la cui consegna 340 Art. 62 del Dl n. 1/2012, convertito nella legge n. 27/2012. 170 avviene nel territorio della Repubblica italiana. Quindi i nuovi obblighi devono essere rispettati anche per i prodotti agroalimentari provenienti da altri Paesi Ue, oppure importati. Nella fattispecie occorre procedere anche alla stesura del contratto scritto, che sulla base di quanto stabilito dal decreto ministeriale attuativo, è sostituibile con l’annotazione degli elementi minimi stabiliti dall’art. 62 nei documenti di trasporto (ad esempio Cmr che viene compilato al momento del carico delle merci). L’ambito oggettivo riguarda i prodotti agricoli e alimentari. Questa individuazione non presenta difficoltà particolari in quanto l’ordinamento fornisce dei riferimenti precisi. Per quanto riguarda i prodotti agricoli, si deve fare riferimento all’Allegato I, di cui all’art. 38, par. 3, TFUE. Altrettanto facile è la individuazione dei prodotti alimentari di cui all’art. 2, del regolamento CE n. 178/2002 e cioè quelli che possono essere ingeriti da un essere umano, salvo le esclusioni specificamente indicate. Invece è più complicata la classificazione tra prodotto deteriorabile e non deteriorabile; questa distinzione determina il termine di pagamento che per i prodotti deteriorabili deve essere eseguito entro trenta giorni a decorrere dalla fine del mese di ricevimento della fattura, mentre per gli altri il pagamento è di sessanta giorni. Il decreto ministeriale al riguardo fornisce queste indicazioni: si tratta dei prodotti indicati nell’articolo 62, comma 4, e la durabilità del prodotto si riferisce alla durata complessiva stabilita dal produttore. Il comma 4 del citato articolo 62 prevede le seguenti quattro categorie di prodotti alimentari deteriorabili: 1) prodotti preconfezionati che riportano una durata di scadenza non superiore a sessanta giorni; 2) prodotti agricoli, ittici e alimentari sfusi non sottoposti a trattamenti atti a prolungare la durabilità; 3) prodotti a base di carne che presentino le seguenti caratteristiche 171 fisico-chimiche: attività dell’acqua superiore a 0,95 ed una acidità superiore a 5,2, oppure aW superiore a 0,91 o pH uguale o superiore a 4,5; 4) tutti i tipi di latte. I prodotti agricoli, ittici ed alimentari sfusi non possono essere considerati genericamente deteriorabili in modo automatico. Il problema si pone per i prodotti agricoli che provengono dalla campagna o dall’allevamento, che secondo il dato letterale contenuto nel numero 2) dell’articolo 62, se ceduti sfusi sarebbero comunque deteriorabili. Invece il decreto ministeriale sembra affermare che anche per i prodotti agroalimentari ceduti sfusi si debba fare riferimento alla natura organolettica del bene per stabilire se esso abbia o meno una durabilità inferiore a sessanta giorni. Non sarà sempre facile per il produttore agricolo attestare se il prodotto ceduto sia o meno deteriorabile. A nostro parere possono avere una durabilità superiore a sessanta giorni gli animali vivi, anche se destinati al macello, le piante, i cereali, i foraggi, mentre sono deteriorabili la frutta e gli ortaggi. Risulterebbe, però, più facile riferirsi ad indicazioni ministeriali in quanto la natura di bene deteriorabile anticipa a trenta giorni i termini di pagamento ed in caso di ritardo è prevista una sanzione da 500 a 500.000 euro. A questo punto è anche consigliabile indicare nel contratto, o nelle annotazioni sostitutive nei documenti di trasporto o fattura immediata, fra le caratteristiche del prodotto, se si tratta o meno di prodotto deteriorabile. 172 3. Gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel settore agroalimentare: istruttorie e indagini conoscitive L’Autorità garante ha adottato alcuni provvedimenti in materia di agricoltura, tutti pubblicati nelle relazioni annuali di ciascun anno di riferimento nella sezione specificamente dedicata al settore agricolo, particolarmente significativi per evidenziare le distorsioni della concorrenza sul mercato italiano nel comparto. Degli interventi del Garante nei confronti dei piani di programmazione della produzione posti in essere da consorzi di produttori agricoli si è appena riferito. Delle altre decisioni adottate che hanno riguardato, ad esempio, accordi sui prezzi, concordati tra imprese agroindustriali, o accordi, sempre tra imprese agroindustriali, relativi allo stoccaggio e alla conservazione dei prodotti, che si è ritenuto influire negativamente sulla concorrenza, si soffermerà l’attenzione soprattutto sui primi. La questione relativa al controllo sui prezzi nel settore agroalimentare che ha riguardato un accordo tra panificatori, infatti, è di particolare rilievo anche in una prospettiva di diritto europeo. L’aumento del prezzo delle commodities e, quindi, del prodotto al consumatore finale, rappresenta un fenomeno che negli ultimi anni ha caratterizzato la filiera agroalimentare in Europa, tanto da costituire una preoccupazione per le istituzioni europee tale da indurre la Commissione ad emanare una Comunicazione sul funzionamento delle filiere agroalimentari. Essendosi registrato anche in Italia un consistente aumento dei prezzi dei prodotti quali pane e pasta, l’Authority ha aperto un’istruttoria volta a verificare la presenza di intese restrittive della concorrenza da parte di 173 alcune imprese produttrici. A conclusione dell’indagine è, così, emerso un accordo tra produttori per attuare un incremento contestuale dei prezzi al consumo, conclusosi con l’inflizione di una sanzione alle imprese coinvolte nel 1999. A distanza di alcuni anni (2008) si è conclusa una seconda istruttoria ai sensi dell’art. 2, l. n. 287/1990, che ha accertato un’intesa restrittiva della concorrenza da parte delle associazioni di categoria dei panificatori avente ad oggetto la predisposizione e divulgazione ai panifici di indicazioni di prezzo per i prodotti a base di pane. Anche in questo caso l’Autorità ha irrogato una sanzione amministrativa, stavolta molto elevata, tenuto conto dell’essenzialità del bene in questione e del ruolo delle associazioni di categoria in un settore caratterizzato da una elevata frammentazione produttiva. Recentemente un’altra istruttoria ha permesso di accertare l’esistenza di intese restrittive della concorrenza nel settore della produzione della pasta, caratterizzato da una politica comune di aumento del prezzo della pasta in risposta all’aumento del prezzo del grano. Giova ricordare che il Consiglio di Stato ha, in seguito, confermato le sanzioni per la fissazione dei prezzi di listino della pasta imposte dall’Autorità, dopo avere rilevato l’esistenza di intese hardcore, restrittive della concorrenza finalizzate a concertare gli aumenti del prezzo di vendita della pasta di semola341. Un altro settore che ha interessato l’Autorità è quello della vendita e distribuzione del gelato. Nel 1996 l’Autorità ha avviato un’istruttoria avente ad oggetto i contratti di distribuzione del gelato contenenti clausole di acquisto esclusivo, conclusi tra le principali imprese produttrici e numerosi 341 Sentenza Consiglio di Stato del 9 febbraio 2011, di conferma della decisione dell’Autorità del 26 febbraio 2009, che comminava una sanzione per un totale di 12,5 milioni di Euro. 174 esercizi commerciali pubblici. Le peculiarità del prodotto in questione, che deve essere distribuito e posto in vendita seguendo la catena del freddo, comporta dei costi per i rivenditori ai quali fanno fronte le stesse imprese produttrici che cedono ai venditori in comodato o deposito gratuito i congelatori da utilizzare, però, esclusivamente per la conservazione dei prodotti dell’impresa concedente (c.d. freezer exclusivity). L’Autorità ha concluso che le reti di vendita in esclusiva poste in essere dalle imprese interessate dall’istruttoria costituivano una violazione dell’art. 2, 2° co., l. n. 287/1990. Tra i poteri a disposizione dell’Autorità garante è ricompresa la possibilità di effettuare indagini conoscitive, ai sensi dell’art. 12, 2° co., legge n. 287/90, procedendo d’ufficio o su richiesta di organi pubblici, nei settori economici in cui le dinamiche facciano presumere che la concorrenza sia falsata. Per quanto qui ci interessa, si segnalano tre indagini conoscitive condotte dal Garante della concorrenza nel settore agroalimentare, indagini che hanno interessato i comparti del latte e quello bieticolo-saccarifero e la distribuzione agroalimentare. In tutti e tre i settori si sono manifestate ipotesi di violazione delle regole antitrust, per le caratteristiche delle filiere, dell’andamento dei prezzi dei prodotti, delle possibilità di concentrazione tra imprese. L’Autorità garante ha pubblicato, per prima, un’indagine conoscitiva nel settore del latte342, con particolare riguardo alla fase della trasformazione e distribuzione del latte fresco e del latte a lunga conservazione, mercati che presentano caratteristiche estremamente diverse. Nel mercato del latte fresco hanno operato per molti anni le centrali pubbliche in regime di monopolio ed oggi mantengono ancora una posizione dominante su molti 342 IC/2, provvedimento 10 gennaio 1994, n. 1699. 175 mercati locali. Il mercato del latte a lunga conservazione, invece, presenta un grado di concentrazione elevato e una maggiore differenziazione delle politiche di vendita, riguardo al prezzo, alla pubblicità, ai rapporti con la grande distribuzione, alla differenziazione del marchio. La concorrenza risulta limitata soprattutto nel mercato del latte fresco, a causa di una serie di fattori legati sia alla specificità del prodotto, sostanzialmente omogeneo, sia alle barriere in entrata, dovute, tra gli altri fattori, alle difficoltà di accesso alla rete distributiva per i produttori geograficamente lontani dall’area di vendita, data l’elevata deperibilità del prodotto. Da ultimo, si è assistito ad alcune significative modifiche nel mercato di produzione del latte fresco. In primo luogo, le centrali municipalizzate hanno subito un progressivo deterioramento delle condizioni economiche, con conseguente guadagno di quote di mercato da parte di privati. In secondo luogo, il mercato nazionale deve ormai fare i conti con la concorrenza proveniente dall’estero. Forti sono stati, dunque, negli ultimi anni, i fenomeni di acquisizione da parte delle maggiori imprese operanti nel settore del latte, sia di aziende operanti nel settore del latte fresco, che di quello UHT, con conseguente tendenza all’aumento della concentrazione in entrambi i mercati. L’Autorità garante giudica positivamente la ristrutturazione del settore in oggetto, a seguito del processo di privatizzazione e deregolamentazione in atto. La riduzione della frammentazione produttiva può senza dubbio rappresentare un elemento positivo per lo sviluppo di un mercato efficiente, purché sia mantenuto un effettivo pluralismo dei soggetti economici coinvolti. Gli interventi dell’Autorità garante nel settore del latte fresco sono stati rivolti per lo più alla verifica della liceità delle operazioni di concentrazione. 176 Tra gli altri interventi dell’Autorità nel settore del latte, si segnalano due istruttorie (1999 e 2005) relative al settore del latte artificiale per l’infanzia. La prima, avviata nel 1999, traeva origine da una denuncia effettuata da un’associazione di tutela dei consumatori, nella quale si segnalava la presenza di una presunta intesa tra alcuni produttori di latte artificiale per neonati, volta ad impedire l’accesso al mercato da parte di altri concorrenti, a limitare l’utilizzo del canale distributivo diverso da quello farmaceutico e a mantenere un elevato livello dei prezzi sul mercato nazionale. L’Autorità ha comminato una sanzione elevata alle imprese coinvolte in tale intesa, avendo verificato la limitazione del canale distributivo alle sole farmacie, le quali vendevano il prodotto al prezzo “consigliato” dal produttore, con conseguente lesione degli interessi dei consumatori costretti ad acquistare il prodotto ad un prezzo molto alto. Nel 2005 l’Autorità ha concluso una seconda istruttoria nei confronti di alcune imprese di produzione e commercializzazione del latte per l’infanzia, accertando una violazione dell’art. 81 Trattato CE. L’istruttoria era stata avviata a seguito di una forte persistenza di differenza di prezzo del prodotto in questione sul mercato italiano rispetto agli altri Paesi europei, del livello estremamente limitato di vendite attraverso il canale della grande distribuzione, e della totale assenza di importazioni parallele dall’estero. L’Autorità ha verificato la presenza di una prolungata concentrazione tra imprese che ha comportato una uniformità di comportamento sia nella fissazione del prezzo, mantenuto più alto rispetto ai livelli di prezzo negli altri Paesi europei, che nella scelta del canale distributivo unico, comminando, pertanto, una sanzione per violazione dell’art. 81 Trattato CE. L’indagine conoscitiva nel settore bieticolo-saccarifero343 ha messo in 343 Provvedimento n. 7432 (IC 16), pubblicato sul bollettino AGCM nn. 29-30/1999. 177 luce le specificità di tale filiera, regolata da norme europee e nazionali articolate e stringenti e caratterizzata da un forte coordinamento delle attività sia in orizzontale sia in verticale. In particolare, l’Autorità ha ricevuto una serie di denunce da parte degli agricoltori e da parte delle industrie sementiere. I primi lamentavano una violazione del diritto del coltivatore ad effettuare autonomamente la scelta varietale oltre alla limitazione della libertà dello stesso di contrattare direttamente con le industrie sementiere l’acquisto dei propri mezzi di produzione. A loro volta le industrie sementiere denunciavano all’Autorità una forte restrizione della libertà di accesso al mercato, a seguito dell’impossibilità di distribuire i propri prodotti direttamente agli utilizzatori. La filiera dello zucchero, infatti, è caratterizzata da un robusto coordinamento di tipo orizzontale, per il ruolo svolto dalle associazioni agricole di categoria, che raccolgono la totalità dei coltivatori di barbabietola. Queste stipulano accordi interprofessionali con le società di trasformazione, aventi ad oggetto le condizioni di consegna e di vendita delle barbabietole, i criteri di vendita e distribuzione delle sementi (prezzo del seme, vincolo per i coltivatori ad approvvigionarsi esclusivamente presso punti vendita individuati dalle società saccarifere). Al coordinamento di carattere orizzontale, si aggiunge il fenomeno dell’integrazione verticale, che coinvolge l’industria saccarifera, l’industria delle sementi e l’attività di coltivazione della barbabietola. L’indagine conoscitiva ha messo in luce una forte contrazione delle dinamiche concorrenziali nel settore dovuta, in primis, ai diversi ordini di norme, europee e nazionali, che la regolano e lasciano margini molto ridotti all’autonomia imprenditoriale. Per il settore dello zucchero è istituita una OCM strutturata in modo tale da tutelare il comparto dalla concorrenza esterna, attraverso la fissazione di 178 un prezzo di sostegno garantito e un sistema di tasse all’importazione e premi all’esportazione. Questo settore ha visto, tra i primi, l’introduzione di un sistema di quote di produzione, per far fronte alle eccedenze quantitative che lo caratterizzavano. Una strutturazione di questo tipo lascia limitati spazi di applicazione della normativa antitrust; non per questo, però, l’Autorità non individua ancora dei possibili margini di intervento. In primo luogo, l’Autorità analizza il modello di integrazione verticale tra gli operatori del settore, che può strutturarsi in un modello di integrazione di tipo societario tra imprese agricole e imprese di trasformazione che realizzi una perfetta identità di interessi dei due soggetti economici, oppure può limitarsi ad una integrazione di tipo contrattuale, che lasci inalterata l’autonomia imprenditoriale delle due parti344. L’esperienza nazionale nella filiera bieticolo-saccarifera è basata sull’utilizzo di sedi stabili di contrattazione e coordinamento tra l’insieme delle imprese saccarifere e l’insieme delle organizzazioni rappresentative degli agricoltori di barbabietola, determinando una completa uniformità delle condizioni di acquisto per le imprese di trasformazione, a tutto svantaggio della competitività. L’Autorità garante propone, invece, un modello di integrazione verticale alternativo, caratterizzato dalla stipula di accordi interprofessionali singoli, ovvero tra ciascuna impresa di trasformazione e ciascuna impresa agricola o con le organizzazioni rappresentative delle stesse, in modo da favorire la competitività nelle condizioni di acquisto e nell’organizzazione della consegna della materia prima tra gli zuccherifici. L’Autorità esprime, allo stesso modo, forti perplessità anche sul sistema 344 Sulla distinzione tra il fenomeno dell’integrazione verticale e della c.d. quasi integrazione, che dà luogo al fenomeno dei contratti di integrazione verticale, si rinvia ad uno degli ultimi saggi in materia di J ANNARELLI, Cooperazione e conflitto nel sistema agroalimentare, in Riv. dir. agr., 2008, I, p. 328 ss. 179 di distribuzione del seme, confermando le preoccupazioni espresse sia dalle imprese agricole che dalle industrie sementiere. L’analisi svolta dall’Autorità permette di svolgere qualche breve considerazione sul ruolo che in un’economia moderna ricoprono i contratti di integrazione verticale in agricoltura e sulla quasi totale mancanza di attenzione su tale fenomeno da parte del legislatore italiano. L’integrazione verticale per contratto consente in primo luogo ai produttori agricoli di assicurarsi la vendita del prodotto a stagione conclusa; agli acquirenti della materia prima di assicurarsi l’approvvigionamento della stessa, secondo le qualità predeterminate nel contratto e nei tempi e nei modi di consegna stabiliti dalle parti contrattuali; assicura al consumatore elevati standards qualitativi ad un prezzo ridotto; e, in ultima analisi, rappresenta uno strumento di razionalizzazione dell’intera filiera agroalimentare. I principali problemi riscontrati dalla dottrina che si è occupata di analizzare nello specifico i contratti di integrazione in agricoltura attengono alla mancanza di chiarezza delle clausole contrattuali, spesso complesse e contraddittorie; allo squilibrio del potere contrattuale delle parti che comporta l’impossibilità per il produttore agricolo di intervenire sul contenuto dei contratti già predisposti dall’altra parte; alla previsione unilaterale del metodo di calcolo del prezzo da corrispondere al produttore; all’allocazione dei rischi e delle responsabilità in capo al solo produttore agricolo345. Da tempo viene auspicato uno specifico intervento legislativo in materia, proprio per far fronte ai problemi attinenti alla formazione del 345 I contributi più numerosi in materia si riscontrano nella letteratura statunitense, da tempo attenta alle problematiche contrattuali legate all’integrazione verticale in agricoltura. Tra gli altri, MILLER, Contracting in agricolture: potential problems, in Drake Journal of Agricultural Law, 2003, p. 57; HAMILTON, Broiler contracting in the United States – A current contract analysis addressing legal issues and grower concerns, ivi, 2002, p. 43; O’BRIEN, Policy approaches to address problems associated with consolidation and vertical integration in agriculture, ivi, 2004, p. 33 ss; ID., Development in horizontal consolidation and vertical integration, in www.nationalaglawcenter.org, 2005. 180 contratto, in modo da favorire la chiarezza e l’equilibrio nelle relazioni contrattuali346. La terza indagine conoscitiva si è concentrata sulla verifica della corretta trasmissione dei prezzi lungo la catena distributiva alimentare347, prendendo come archetipo la filiera distributiva dell’ortofrutta. Essa è caratterizzata dalla presenza di numerosi “micro mercati” per ogni tipo di prodotto, spesso molto differenti sia per varietà che per numero degli operatori presenti nelle varie fasi della filiera. Ad ogni modo, l’eccessiva lunghezza della catena distributiva accomuna i vari mercati di produzione; dunque l’Autorità rileva che, al fine di accorciare la filiera, è necessaria una concentrazione degli operatori posti a monte e a valle della stessa, e la riduzione degli intermediari, laddove la specificità del prodotto lo consenta, a vantaggio della grande distribuzione organizzata348. Proprio per fronteggiare tali problematiche, la normativa europea, dagli inizi della politica agricola comune, e successivamente quella nazionale, hanno previsto lo strumento delle organizzazioni dei produttori per incentivare la concentrazione dell’offerta e potenziare il ruolo dei produttori349. L’Autorità rileva, però, che la normativa nazionale relativa 346 JANNARELLI, Cooperazione e conflitto nel sistema agro-alimentare, cit., con particolare attenzione al raffronto con altre esperienze legislative più attente al fenomeno dell’integrazione verticale in agricoltura; ID., I contratti dall’impresa agricola all’industria di trasformazione. Problemi e prospettive dell’esperienza italiana, in Riv. dir. alimentare, aprilegiugno 2008, n. 2. 347 IC/28, provvedimento di apertura 14327, pubblicato sul sito internet dell’AGCM, nel bollettino n. 23/2005. 348 In un recente saggio sulle relazioni tra industria alimentare e GDO, si analizzano una serie di interventi da parte di autorità nazionali che sono intervenute sul processo di concentrazione delle catene della GDO, verificando in concreto la reale efficienza della GDO per il consumatore finale (DI VIA e MARCIANO, Le relazioni tra industria alimentare e GDO tra tutela della concorrenza e contemperamento di interessi economici, in Riv. dir. alimentare, lugliosettembre 2008, n. 3). 349 In un recente contributo sulle organizzazioni di produttori ortofrutticoli, J ANNARELLI, Organizzazioni di produttori ortofrutticoli e loro associazioni dopo la recente riforma comunitaria del 2007: prime riflessioni, in Riv. dir. agr., 2008, I, p. 25, ricorda che le peculiarità della specifica esperienza nazionale, caratterizzata da una soglia di aggregazione minima tra produttori ancora troppo bassa, non permettono alle strutture associative agricole di tenere il passo con l’apertura dei mercati e, dunque, con un efficiente sistema concorrenziale. 181 alle organizzazioni di produttori concede ampio spazio alla programmazione della produzione sia quantitativa che qualitativa, al fine di adeguarla alla domanda, ma ciò conduce, ad opinione dell’Autorità, ad una ingiustificata restrizione della concorrenza. A conclusione della disamina sugli interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza nell’industria alimentare, si segnala il recentissimo provvedimento di autorizzazione condizionato all’acquisizione del ramo di azienda Simmenthal (Gruppo Kraft) da parte del Gruppo Bolton (marchio Manzotin). Ai sensi della delibera dell’Agcm a conclusione dell’adunanza del 23 ottobre 2012 «l’operazione comunicata, in quanto comporta l’acquisizione del controllo esclusivo di un’impresa, costituisce una concentrazione ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera b), della legge n. 287/90» e rientra nell’ambito di competenza dell’Autorità italiana350. Il provvedimento segue l’avvio dell’istruttoria per determinate se l’operazione comportasse una riduzione sostanziale e durevole della concorrenza, in particolare nel mercato della produzione e commercializzazione delle conserve di carne di bovino. Secondo l’Antitrust l’operazione, che si configura come l’acquisizione dell’operatore leader di mercato, da parte di uno degli unici due operatori a marchio noto attivi nel settore e dotati di capacità produttiva, è suscettibile di produrre un impatto diretto sul contesto competitivo nei mercati. Si verificherebbe, infatti, una significativa sovrapposizione orizzontale tra le parti (con una quota non inferiore all’80% del valore delle vendite), al quale si aggiungerebbe un 350 Punto 4 della delibera, che prevede che l’operazioni rientri «nell’ambito di applicazione della legge n. 287/90, non ricorrendo le condizioni di cui all’articolo 1 del Regolamento CE n. 139/04, ed è soggetta all’obbligo di comunicazione preventiva disposto dall’articolo 16, comma 1, della medesima legge, in quanto sia il fatturato totale realizzato nell’ultimo esercizio a livello nazionale dall’insieme delle imprese interessate è stato superiore a 474 milioni di euro, sia il fatturato totale realizzato nell’ultimo esercizio a livello nazionale dall’impresa di cui è prevista l’acquisizione è stato superiore a 47 milioni di euro». 182 aumento del potere negoziale sia nei confronti della grande distribuzione (lato domanda) sia nella fase di approvvigionamento della materia prima con un concreto vantaggio competitivo rispetto agli altri concorrenti, oltre al rischio di un innalzamento dei prezzi non solo dei due marchi, ma di tutte le conserve a base di carne di bovino. L’Antitrust, nella riunione del 5 dicembre 2012, ha autorizzato l’operazione, a condizione che Bolton ceda il ramo d’azienda Manzotin ad un soggetto terzo che sia in grado di disporre di idonea capacità produttiva autonoma all’atto della vendita. L’asset da cedere sarà composto dai diritti di proprietà intellettuale sul marchio, dal contratto di produzione attualmente esistente con INALCA (marchio Montana), dall’eventuale magazzino e da tutte le altre informazioni commerciali relative al marchio. Bolton dovrà, inoltre, condurre, per un periodo, una negoziazione separata del marchio Simmenthal rispetto agli altri marchi di Bolton in settori contigui (tonno), così da ridimensionare il potere negoziale nei confronti della grande distribuzione. Secondo l’Authority, queste misure, presentate da Bolton e rese vincolanti dalla delibera del Collegio, sono in grado di eliminare gli effetti pregiudizievoli della concorrenza che sarebbero altrimenti derivati dall’operazione, in particolare nel mercato delle conserve di carne bovina, fortemente concentrato e asimmetrico, con la presenza di un marchio leader storico Simmenthal percepito dai consumatori come il prodotto di qualità superiore, e con una scarsa concorrenza effettiva e significative barriere all’ingresso di nuovi competitori economici. L’operazione originaria avrebbe creato un soggetto che, per quote di mercato (con i marchi Simmenthal e Manzotin avrebbe detenuto una quota di mercato tra il 60% e l’80%, a seconda dei canali di distribuzione) e differenza rispetto ai concorrenti, sarebbe stato in grado di porre in essere politiche di prezzo indipendenti da questi ultimi, dai clienti e in ultima 183 analisi dai consumatori finali in presenza di scarsi vincoli all’esercizio del potere di mercato. 184 ELENCO DELLE OPERE CONSULTATE AA.VV. - Gli attuali confini del diritto agrario, Atti del Convegno «Enrico Bassanelli», Firenze 28-20 aprile 1994, a cura di CASADEI, GERMANÒ e ROOK BASILE, Milano, 1996. - Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998. - Agricoltura e diritto. 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