Turchia e laicità

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Turchia e laicità
Turchia e laicità: una chimera?
(di Cecilia Maria Castellani e Domenico Gallo)
La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nel suo preambolo, individua i
baluardi della democraticità dei regimi politici e del rispetto dei diritti dell’uomo
come nuclei fondanti dell’intero sistema. I principi di libertà religiosa, di espressione
e di associazione, in virtù di una società veramente democratica, incontrano limiti
nella pubblica sicurezza, nella protezione dell’ordine, della salute e della morale
pubblica, per la tutela dei diritti e delle libertà altrui.
La Turchia, Paese firmatario della CEDU, è uno degli Stati che più volte si sono
trovati coinvolti in processi di fronte alla Corte Europea per violazioni di diritti e
libertà sanciti dalla Convenzione.
Per comprendere la situazione giuridica odierna della Turchia, bisogna far riferimento
alla sua storia più recente. L’azione di Mustafa Kemal Atatürk ha portato il Paese
all’affermazione di nuovi princìpi, come la democraticità, la laicità e lo Stato sociale,
come previsto all’art. 2 della Costituzione turca. La stabilità del nuovo ordine è
prerogativa fondamentale della Costituzione stessa: all’art. 14, infatti, viene
enunciato il divieto di esercitare diritti che rappresentino un attentato all’integrità
indivisibile dello Stato, o al fine di sopprimere la Repubblica democratica e laica
fondata sul rispetto dei diritti dell’uomo.
Nel caso di specie, il partito Refah Partisi si è rivolto alla CEDU invocando la
violazione degli artt. 9, 10, 11, 14, 17 e 18 della Convenzione, e gli artt. 1 e 3 del
Protocollo n°1. La Corte Costituzionale turca, organo fondamentale a garanzia del
rispetto dei principi del kemalismo, aveva infatti ordinato lo scioglimento del Refah in
quanto centro di attività contrarie al principio della laicità turca. Il Refah Partisi era
diventato il primo partito politico del Paese; nel suo programma prevedeva la
creazione di un contesto plurigiuridico, ove la discriminazione era basata su credenze
religiose. Inoltre, intendeva applicare la Shari’a alle relazioni interne o esterne della
comunità musulmana, e paventava la possibilità dell’uso della forza come metodo
politico.
La sentenza della Corte EDU conferma l’impostazione della Corte Costituzionale
turca. In particolare, la Corte fa leva sull’enorme rilevanza del ruolo dei partiti
nell’influenzare l’intero sistema politico del Paese. Un partito che miri
all’imposizione di regole religiose pone in essere un atteggiamento che non rispetta il
principio di laicità, dunque non può rientrare nella tutela dell’art. 9. Un partito che si
identifichi con il fondamentalismo islamico si pone in netto contrasto con
l’ordinamento laico e democratico sancito dalla Costituzione turca; una sanzione
grave come quella dello scioglimento coatto è dunque giustificabile in quanto
“bisogno sociale imperativo” necessario in una società democratica, ai sensi dell’art.
11 comma II CEDU.
Questa sentenza è molto importante, in quanto permette di affrontare una pluralità di
tematiche. Innanzitutto è utile soffermarsi su una definizione di democrazia: essa è un
punto di arrivo dello sviluppo politico, e si concretizza in un autogoverno da parte di
una società di persone libere ed uguali. Essenziale al mantenimento della democrazia
è la sussistenza di un habitat plurale, dove la maggioranza rispetti la voce delle
minoranze. In questo, i partiti hanno un ruolo fondamentale; la Costituzione turca,
all’art. 68, statuisce che la presenza di partiti politici sia indispensabile alla vita
democratica dello Stato. Vi sono, naturalmente, dei limiti: tra questi annoveriamo
l’uguaglianza, i diritti umani, la democrazia e la laicità. Proprio la laicità rappresenta
un punto focale su cui è necessario soffermarsi.
La laicità corrisponde all’indipendenza e all’autonomia delle questioni religiose
rispetto allo Stato. I Paesi europei declinano questo principio in modi diversi
all’interno del proprio ordinamento, anche in virtù del fatto che, in ambito di libertà
religiosa, la Corte Europea lascia un margine di apprezzamento molto ampio ai
singoli Stati firmatari.
In Turchia, la laicità (“laiklik”) si ispira a un modello di Stato moderno occidentale.
Nei fatti, però, vediamo un forte privilegio attribuito all’Islam, in quanto religione
della maggioranza: nelle scuole l’insegnamento è obbligatorio, e addirittura gli Imam
sono stipendiati dallo Stato stesso. Va però detto che, in tema di simboli religiosi,
subentra un’ottica più restrittiva: in scuole, università e, più in generale, luoghi
istituzionali è proibito indossare abiti religiosamente orientati. Importante sentenza a
riguardo è il caso Leyla Sahin vs. Turchia, la quale conferma la liceità del divieto di
indossare il velo nelle università pubbliche. Alcuni studiosi hanno individuato la
figura del perfetto uomo turco nell’homo kemalicus: un soggetto di religione islamica
ma moderato, di razza turca e di cultura filo-occidentale.
Ad oggi la Turchia si trova in una situazione ambigua: da un lato proseguono le
trattative per un suo possibile ingresso nell’Unione Europea; dall’altro, il governo di
Ankara sta attraversando un periodo di forte disinteresse nei confronti di alcuni dei
diritti costituzionalmente garantiti. La censura online e il ritorno a un forte
attaccamento religioso nella vita pubblica sono solo alcuni degli indicatori di un
allontanamento dall’obiettivo iniziale. La politica Erdoğan e del suo partito, l’AKP,
sono l’emblema di un autoritarismo che rappresenta passi indietro per la democrazia,
e posticipa sicuramente il possibile ingresso della Turchia nell’Unione Europea.
In conclusione, lo studio della questione religiosa in Turchia e in tutti gli altri Paesi
che abbiamo affrontato ci fornisce uno sguardo complessivo molto ricco in tema di
pluralismo religioso, e ci consente una visione più ampia e cosciente sul livello di
integrazione europea.