Pluralismo partitico e libertà religiosa: uno sguardo alla Turchia

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Pluralismo partitico e libertà religiosa: uno sguardo alla Turchia
Pluralismo partitico e libertà religiosa: uno sguardo alla Turchia
(di Giuditta Motta e Daniela Spini)
La sentenza in esame, emessa dalla Grande Chambre della Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo, accerta la non violazione dell’articolo 11 CEDU, in merito allo
scioglimento del Refah Partisi, il più grande partito politico turco a carattere
filoislamico.
Il partito, ricorrente davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, era stato sciolto
per decisione della Corte Costituzionale turca (che aveva, inoltre, limitato
temporaneamente alcuni diritti politici dei membri di Refah) in quanto si riteneva che
Refah fosse diventato centro di attività contrarie al principio di laicità. La laicità,
infatti, per la Corte Costituzionale è una delle condizioni indispensabili della
democrazia, e le norme della sharia, che rischiavano di essere introdotte dal suddetto
partito, sono incompatibili con un regime democratico.
Davanti alla Corte di Strasburgo i ricorrenti denunciano la violazione dell’articolo 11
CEDU, che tutela la libertà di riunione e associazione. Nonostante la Corte evidenzi
la necessità dell’esistenza di un pluralismo politico all’interno di una società
democratica, essa ritiene che lo Stato, per preservare la sua neutralità ed imparzialità,
possa chiedere ai suoi funzionari (anche a quelli non ancora in carica) di rinunciare al
loro impegno nel movimento del fondamentalismo islamico, il quale persegue,
invece, scopi non democratici.
Richiamando il paragrafo 2 dell'articolo 11 CEDU, relativo alle restrizioni della
libertà di associazione, la Corte ritiene legittime tali limitazioni con riguardo al
partito politico che inciti alla violenza o persegua fini e scopi avversi alla democrazia
(come disposto, anche, dagli articoli 68 e 69 della Costituzione turca del 1982). Lo
scioglimento di un partito politico ed i divieti imposti ai suoi leader, tuttavia,
costituiscono una misura di "last resort", applicabile solo nei casi più gravi, dove
questa risulta soddisfare un bisogno sociale imperativo.
A tal fine la Corte deve valutare che vi siano elementi comprovanti un rischio
imminente per la democrazia, che gli atti dei singoli membri siano riferibili all’intero
partito e che questi stessi atti si dimostrino in contrasto con una società democratica.
Nel caso in esame è stato evidenziato come Refah Partisi fosse intenzionato ad
attuare, nella società turca, un contesto plurigiuridico basato su discriminazioni di
natura religiosa, dando applicazione alla sharia; inoltre è stata rilevata la volontà del
partito turco di ricorrere alla forza nelle relazioni politiche.
In conclusione, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ritiene la dissoluzione del
partito Refah una misura proporzionata e necessaria per preservare i più alti ideali
democratici dello Stato. Per questo motivo essa non rinviene violazione dell'articolo
11 della Convenzione.
Neutralità e laicità sono temi ricorrenti nella giurisprudenza della Corte di
Strasburgo: in realtà, tuttavia, né la Corte né la Convenzione Europea dei Diritti
dell'Uomo se ne occupano apertamente, limitandosi piuttosto a fissare degli standard
ai quali i singoli stati si devono attenere. Questi livelli minimi di tutela risiedono, da
un lato, nella condanna dell'odio religioso e, dall'altro, nel rispetto dei diritti
fondamentali così come interpretati dalla Corte.
Gli Stati godono, così, di un margine di apprezzamento più o meno ampio, in
relazione alle materie trattate. Per quanto riguarda la tutela della libertà religiosa, ad
esempio, questo margine risulta essere molto ampio, dato che su questo tema gli Stati
non si possono avvalere di tradizioni culturali e costituzionali comuni. In relazione
all’attività dei partiti politici, invece, il margine di apprezzamento risulta essere più
ristretto, in quanto il pluralismo partitico è condizione indispensabile di una società
democratica. Il partito, infatti, come evidenziato da Paolo Pombeni nel suo saggio
relativo alla democrazia, è l’unica forma di associazione che possa concretamente
garantire un governo democratico: per un verso il pluralismo partitico permette che
l’elettorato sia informato e consapevole delle sue scelte e, per altro verso, consente
che ci sia un controllo sul potere delle élites politiche.
È rilevante notare come, nella sentenza in esame, il Refah Partisi emerga non solo in
qualità di partito politico, ma anche e soprattutto in quanto partito di matrice
filoislamica.
Pare spontaneo chiedersi, quindi, come possano conciliarsi tra loro i principi di laicità
e di neutralità dello Stato e la presenza di partiti politici religiosamente orientati. È
necessario, innanzitutto, che il concetto di neutralità non vada interpretato come
“indifferenza” ma, al contrario, presupponga in capo allo Stato un dovere di non
discriminazione e di garanzia verso i differenti culti religiosi ed ideologici. Viene
tutelata, così, sia la libertà positiva di professare un credo o un ideale, sia la libertà
negativa di non aderire ad alcuna confessione.
Nel caso di specie la Turchia sembra presentarsi come un modello del tutto peculiare
in tema di laicità dello Stato.
Nel testo costituzionale, infatti, ne emerge il carattere democratico e laico ma, in
realtà, la laiklik, ossia il principio di laicità, è stata impiegata dai gruppi al potere
(l'élite kemaliana, prima, ed il governo di Erdogan, poi) da un lato per mettere a
tacere le opposizioni e, dall'altro, per mantenere la propria supremazia nel paese. È
stato, inoltre, provato come lo Stato accordi dei privilegi alla religione musulmana
sunnita (religione di maggioranza), finanziando, ad esempio, gli imam. Questo
trattamento di favore mostra una laicità solo apparente: i privilegi ad un certo culto
religioso, infatti, possono legittimamente essere concessi solo a condizione che
vengano indicati, in modo chiaro, i criteri di accesso al beneficio, criteri che devono
essere obiettivi e non discriminatori, in modo tale che anche altre confessioni
religiose possano tentare di accedervi.
Tornando, quindi, al quesito iniziale, nella prassi si registra l’esistenza di partiti
politici religiosamente orientati: questi, come sostenuto da A. Stepan nella sua opera
"Twin Tolerations", possono esistere purché rispettino i limiti ed i valori
fondamentali previsti dalla Costituzione dello Stato. Deve, infatti, sussistere una
doppia tolleranza: da un lato quella dello Stato verso le religioni e, dall'altro, quella
delle religioni verso le autorità statali; mentre lo stato garantisce la libertà religiosa
conformandosi all'articolo 9 CEDU e all’articolo 10 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea, i culti religiosi devono rispettare i principi
democratici.
Solo in questa misura potranno coesistere, all'interno di uno stato democratico,
l'ideale della laicità dell'ordinamento ed i partiti politici religiosamente orientati.