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Nozione d'insolvenza e cautio iudicatum solvi
Francesco Naef
Pubblicato in: Repertorio di giurisprudenza patria 1993, pag. 97 e segg.
Indice:
1.
2.
3.
4.
5.
Introduzione
La nozione d'insolvenza
Le prove dell'insolvenza
a. Dichiarazione di fallimento
b. Attestati di carenza beni
c. L'attestato d'insufficienza di pegno
d. Pignoramento definitivo e comminatoria di fallimento
e. Pignoramento provvisorio infruttuoso
f. Moratoria concordataria
g. Omologazione del concordato
h. Altri atti?
Excursus: Questioni di legittimità
a. Il precedente
b. Il diritto federale
I.
Il principio di uguaglianza
II. Le persone giuridiche
III. Il procedimento in appello
IV. L'azione in disconoscimento del debito
c. La Convenzione europea dei diritti dell'uomo
I.
L'art. 6 par. 1 CEDU
II. L'art. 14 CEDU
Conclusione
Una recente sentenza del Tribunale di appello1 confermata, su ricorso di diritto pubblico, dal
Tribunale federale2 mi dà l'occasione per formulare alcune riflessioni critiche sull'attuale
giurisprudenza relativa all'art. 153 CPC.
1. INTRODUZIONE
L'istituto della cautio iudicatum solvi (recte cautio pro expensis), conosciuto da quasi tutti i
codici di procedura svizzeri, mira a garantire, alla parte costretta a difendersi in una causa, che la
condanna alla rifusione di spese di giudizio e ripetibili non rimanga ineseguita3.
A tal fine è ipotizzabile imporre un obbligo generalizzato di prestar cauzione processuale a
carico di ogni attore4, oppure limitare tale obbligo ai soli casi ove vi sia fondato timore che
l'eventuale condanna nelle spese possa rimanere ineseguita5, vuoi rimettendosi all'apprezzamento
del giudice per stabilire in quali ipotesi tal condizione sia adempiuta, vuoi prevedendo nella
norma stessa un elenco dei casi d'applicazione.
1
È quest'ultima forma che è stata scelta dal legislatore ticinese quando, con la novella del 1971,
ha reintrodotto nell'ordinamento processuale l'istituto della cautio iudicatum solvi. Infatti l'art.
153 CPC prevede la possibilità di imporre l'obbligo di prestar una cauzione processuale a carico
dell'attore che si trovi in stato di insolvenza risultante da atti ufficiali, o che sia domiciliato
all'estero. Al di fuori di queste due ipotesi l'istituto non può trovare applicazione considerato che,
come per le altre norme procedurali che limitano o rendono più gravosa la possibilità di far
valere in giudizio delle pretese di diritto materiale, l'interpretazione delle stesse deve esser
restrittiva6, e che quindi l'enumerazione dei casi d'applicazione è da ritenersi esauriente e non
solo esemplificativa7. Perciò, se è vero che lo scopo dell'istituto regolato dall'art. 153 CPC è di
proteggere la parte convenuta in lite ove appaia verosimile la difficoltà o l'impossibilità di
ottenere dalla controparte l'eventuale rifusione delle spese e ripetibili8, è altrettanto vero che il
legislatore ha chiaramente specificato quali siano le due ipotesi ove tale verosimiglianza è data; il
giudice deve rifuggire la tentazione di estenderle in via interpretativa poiché, in tal ambito,
difficilmente si può ammettere l'esistenza di una lacuna della legge9.
Due sono dunque i casi che possono portare all'applicazione dell'art. 153 CPC: il domicilio
estero e lo stato d'insolvenza. Tratterò solo del secondo, che peraltro trova applicazione anche in
tutte le situazioni ove il domicilio estero non abbia rilevanza vista l'esistenza di una convenzione
internazionale che equipara lo straniero allo svizzero10.
2. LA NOZIONE D'INSOLVENZA
La parte convenuta può chiedere, ai sensi dell'art. 153 cpv 1 lit a CPC, che l'attore presti
cauzione per il rimborso delle spese e per il pagamento delle ripetibili se questi si «trova in stato
d'insolvenza risultante da atti ufficiali».
Evidentemente, facendo capo alla generica nozione d'insolvenza, si lascia al giudice un certo
margine d'interpretazione; tuttavia dottrina e giurisprudenza hanno precisato che, in linea di
principio, l'insolvenza deve risultare da atti della procedura esecutiva e fallimentare 11. A maggior
ragione quindi, visto il preciso richiamo agli «atti ufficiali», si deve ritenere che l'insolvenza ai
sensi dell'art. 153 CPC possa esser formalmente provata solo da atti previsti dalla LEF'12, o da
analoghi documenti del diritto estero13.
Determinante è quindi la nozione d'insolvenza ampiamente precisata dalla dottrina e
giurisprudenza relative alla LEF (senza però dimenticare anche altre disposizioni legali che
fanno capo alla medesima nozione, come l'art. 59 Cst e l'art. 83 CO). In effetti non mi pare vi
siano elementi (in particolare nei lavori preparatori o nella giurisprudenza relativi all'art. 153
CPC) che possano far concludere all'esistenza di una nozione d'insolvenza a sé stante ed
indipendente da quella già nota nel nostro ordinamento giuridico14.
Il concetto d'insolvenza è stato identificato con l'incapacità del debitore di soddisfare debiti
esigibili, causata dalla mancanza di sufficienti liquidità15. Da tale definizione si deduce che due
sono le componenti: l'esistenza di debiti esigibili e la carenza di mezzi.
2
Per quanto riguarda il primo aspetto, è stato precisato che il debito deve esser attualmente
esigibile16; quindi un debitore può avere più passivi che attivi, e ciononostante esser in grado di
adempiere regolarmente ai propri obblighi (ed esser quindi solvibile), per esempio poiché non
tutti i debiti sono esigibili al momento attuale. A maggior ragione il debito deve esistere; se è
contestato, il suo mancato pagamento non comporta l'insolvenza17.
Quanto alla seconda componente, bisogna sottolineare che per valutare se un debitore abbia o
meno mezzi sufficienti, non si deve tener conto solo delle sue liquidità, ma anche di quelle che
potrebbe procurarsi ricorrendo al credito o all'aiuto di terze persone18: la persona sovraccarica di
debiti ma che gode ancora di credito e riesce così a pagare i debiti esigibili non è insolvente19.
Inoltre è stato osservato che la mancanza di liquidità deve esser generale e durevole, e non
solo dovuta a momentanee difficoltà finanziarie20; il richiamo dell'art. 153 CPC ad uno «stato
d'insolvenza» sembra appunto precisare che la stessa debba esser durevole21.
Le considerazioni che precedono portano a concludere che la nozione d'insolvenza non può
esser confusa con quella di nullatenenza o tantomeno con quella d'indigenza. Il solo fatto che
una persona non abbia patrimonio né reddito, o che sia indigente (e quindi al beneficio della
pubblica assistenza) non comporta che la stessa si trovi in stato d'insolvenza22.
In effetti la nullatenenza (nozione peraltro vaga) può al massimo esser una delle componenti.
La sola valutazione dello stato patrimoniale dell'attore non può perciò bastare a determinarne lo
stato d'insolvenza. Chi non ha sostanza né reddito può riuscire a vivere con l'aiuto di terzi o dello
Stato, senza lasciar insoddisfatti i propri (pochi) creditori. Lo stesso diventa insolvente solo se,
vivendo al di sopra dei suoi mezzi, non è in grado di onorare debiti esigibili.
Tale differenza non sembra esser stata compresa nella giurisprudenza ticinese (similmente in
tal punto a quella di Basilea campagna ed alla più recente prassi di Lucerna23), ove le nozioni
d'insolvenza e di nullatenenza sono (almeno implicitamente) ritenute intercambiabili24. Tant'è
che, «per stato d'insolvenza risultante da atti ufficiali, sono come tali da intendere quegli atti
previsti dalla LEF attestanti la nullatenenza del debitore»25.
Nonostante questa massima sia stata più volte riconfermata, ritengo che sia errata o almeno
imprecisa. Infatti gli «atti ufficiali» devono attestare l'insolvenza e non la nullatenenza: su tal
punto la lettera della legge è talmente chiara che non permette diversa interpretazione.
D'altronde non si vede quale imperioso motivo imporrebbe di fare astrazione dal tenore
letterale della norma.
In verità in alcune sentenze del Tribunale di appello è stato sostenuto che dai lavori
preparatori si evincerebbe che l'istituto della cauzione processuale è stato «voluto nei confronti
dei litiganti nullatenenti»26. Effettivamente, nel rapporto della Commissione speciale del Gran
Consiglio per l'esame del messaggio 5.1.1954 concernente la riforma del CPC, viene menzionata
la preoccupazione per la situazione creata dai litiganti nullatenenti; ma nello stesso rapporto
viene pure detto che, con l'articolo di legge proposto, «è stato trovato un rimedio soddisfacente e
corrispondente alle necessità». Di conseguenza determinante è che il legislatore abbia fatto capo
al concetto d'insolvenza e non a quello, ambiguo ed impreciso, di nullatenenza. Avesse realmente
3
inteso utilizzare quest'ultimo concetto, non avrebbe mancato di farlo espressamente; così aveva,
per esempio, proceduto Brenno Bertoni nel suo disegno di nuovo CPC del 1897 all'art. 112 lit.b.
D'altra parte si è già detto che la nullatenenza non s'identifica con l'insolvenza, della quale è al
massimo una delle componenti.
Ritengo perciò che per «atti ufficiali» si debbano piuttosto intendere quegli atti della
procedura esecutiva e fallimentare che provano l'impossibilità della parte attrice di pagare
integralmente i propri debiti esigibili27.
Da ultimo è bene specificare che, l'esigenza sopraccitata di un'applicazione restrittiva dell'art.
153 CPC, nonché il preciso richiamo ad una prova di natura formale («risultante da atti
ufficiali») comporta che la parte postulante la cautio iudicatum solvi fornisca una prova evidente
dello stato d'insolvenza di controparte.
La semplice verosimiglianza, come pure dubbi, sospetti o supposizioni non sono sufficienti28.
3. LE PROVE DELL'INSOLVENZA
a. Dichiarazione di fallimento
La dichiarazione di fallimento è ritenuta generalmente l'attestazione ufficiale dello stato
d'insolvenza del debitore29. Infatti, a seguito della stessa, il debitore perde il potere di disporre
dei suoi diritti patrimoniali pignorabili e non è quindi in grado di onorare i suoi debiti i quali, se
non lo erano già precedentemente, sono comunque divenuti esigibili a causa del fallimento30.
Inoltre si consideri che se si è giunti alla pronuncia del fallimento, significa che almeno un
creditore è riuscito a dimostrare l'esistenza ed esigibilità del proprio credito (vuoi per mancata
opposizione, vuoi pel rigetto definitivo della stessa); il fatto che l'escusso non abbia onorato tal
debito neppure all'udienza di fallimento dimostra che era impossibilitato a farlo per mancanza di
mezzi.
Giustamente quindi, secondo costante giurisprudenza, il fallito è tenuto a prestar cauzione ai
sensi dell'art. 153 CPC31.
I. I procedimenti civili ai quali si riferisce tale ipotesi non sono quelli ai quali è parte la massa
fallimentare, bensì quelli ove attore è il fallito personalmente. Si tratta perciò delle procedure
concernenti delle pretese che non sono cadute nella massa32 o delle quali il fallito ha ritrovato il
potere di disposizione a seguito della rinuncia alle stesse da parte della massa e dei creditori 33. In
questi casi il fallito è personalmente attore quando la procedura fallimentare è ancora pendente.
Complessa è l'ipotesi (sulla quale non vi è giurisprudenza ticinese pubblicata) in cui il fallito
promuova una causa dopo la chiusura del fallimento. Infatti con tale atto vengono a cadere gli
effetti della dichiarazione di fallimento, e quindi non si può più presumere automaticamente che
quest'ultima attesti lo stato d'insolvenza, in particolare se è stato possibile soddisfare
integralmente tutti i creditori34, ciò che è forse improbabile ma non escluso a priori. D'altronde,
se si volesse ammettere che la dichiarazione di fallimento possa attestare l'insolvenza anche dopo
la chiusura della procedura fallimentare, bisognerebbe chiedersi per quanto tempo la stessa possa
esser atta a tal scopo: mesi, anni, lustri? Penso che qualsiasi risposta sarebbe in odore di arbitrio.
4
Ritengo perciò che, una volta chiusa la procedura fallimentare, lo stato d'insolvenza possa
esser provato solo da «atti ufficiali» altri che non la dichiarazione di fallimento (ad esempio da
attestati carenza beni).
Lo stesso si deve dire del caso in cui il fallimento sia stato revocato, ai sensi dell'art. 195
LEF35.
Nel caso di chiusura del fallimento, senza procedura di liquidazione, per mancanza di attivi
(art. 230 LEF) non vengono rilasciati attestati carenza beni, poiché non si è proceduto alla
verifica dei crediti36. A mio avviso ciò comporta che neanche in tal caso è dato l'obbligo di
prestar cauzione ai sensi dell'art. 153 CPC. Certo, tale effetto può sembrare poco soddisfacente
se si pensa che l'applicazione dell'art. 230 LEF fa presumere la mancanza di beni e che, d'altra
parte, vista la dichiarazione di fallimento, si può supporre l'esistenza di almeno un debito
esigibile (quello che ha portato al fallimento), ciò che comporterebbe lo stato d'insolvenza.
Tuttavia, l'ammettere che in tale ipotesi sia dato l'obbligo di cui all'art. 153 CPC, provocherebbe
un'incertezza giuridica notevole, essendo opinabile per quanto tempo dopo la chiusura del
fallimento si possa ritenere provato lo stato d'insolvenza del debitore. D'altra parte, dopo alcuni
anni, come potrebbe provare il debitore di esser nuovamente solvibile? Non certo chiedendo
(come nel caso del fallimento ordinario) la cancellazione degli attestati carenza beni previo pagamento.
In mancanza di espressa disposizione di legge circa tal termine non si può perciò, a mio
avviso, che procedere all'interpretazione restrittiva della nozione di stato d'insolvenza: questo
non è dato poiché malgrado l'attestata mancanza di beni, non vi è la prova dell'esistenza di debiti
esigibili rimasti impagati dopo la chiusura del fallimento.
II. Si è detto che la dichiarazione di fallimento dell'attore comporta l'applicazione dell'art. 153
CPC, essendo la prova del suo stato d'insolvenza, in quei procedimenti ove egli è parte.
Ma la medesima prova d'insolvenza vale anche nei confronti della massa, per quei processi
che questa dovesse proseguire o intentare in nome proprio?
Per la giurisprudenza del Tribuna1e di appello la risposta deve esser negativa37. La massa ha
capacità processuale propria e non è quindi un soggetto identico al fallito. Il fatto che
quest'ultimo sia insolvente non significa automaticamente che la massa lo sia. A tal proposito
non ci si dimentichi che i debiti contratti dalla massa (come, ad esempio, quello per ripetibili)
sono pagati prima di ogni altro sul prodotto della liquidazione. D'altra parte alla massa non è data
facoltà di ottenere l'assistenza giudiziaria.
Per questi motivi, anche per rispetto al diritto federale, non si può ammettere l'obbligo di
cauzione per la massa fallimentare, in assenza di un'espressa disposizione di legge38.
b. Attestati di carenza beni
L'attestato di carenza beni viene pure generalmente ritenuto prova dello stato d'insolvenza,
poiché attesta che la realizzazione del patrimonio del debitore non ha permesso di soddisfare
5
integralmente il creditore39. Giustamente perciò, la giurisprudenza impone all'attore, contro il
quale siano stati rilasciati degli attestati carenza beni, l'obbligo della cauzione di cui all'art.153
CPC40.
Non è stato tuttavia ancora precisato se si tratti dell'attestato di carenza beni a seguito di
pignoramento o di quello a seguito di fallimento o di entrambi.
Tale questione pare esser rimasta dubbia pure in altri Cantoni che conoscono l'istituto della
cautio iudicatum solvi. Per Eichenberger i due tipi di attestato sembrano essere, ai fini
dell'applicazione dell'istituto, assimilabili41; Leuch omette di citare l'attestato di cui all'art. 265
LEF42, mentre né Sträuli-Messmer43 né Stutzer44 prendono esplicitamente posizione in merito;
Isler parifica apparentemente i due tipi di attestato, ma in realtà rivolge la sua attenzione
unicamente all'esecuzione in via di pignoramento45.
Per quanto riguarda l'art. 153 CPC non ritengo che i due casi possano esser assimilati.
L'attestato di carenza beni definitivo (art. 149 LEF) è rilasciato al termine della procedura in
via di pignoramento, e quando non vi sono più contestazioni riguardo all'esistenza ed esigibilità
del debito sia per mancata opposizione, sia perché la stessa è stata rigettata in via definitiva; tale
atto attesta che il creditore è rimasto parzialmente o totalmente insoddisfatto e costituisce quindi
la prova lampante dell' insolvenza del debitore.
Parimenti si dica dell'attestato di carenza beni provvisorio (art. 115 LEF). Infatti tale atto
certifica che, a seguito dell'esito del pignoramento definitivo46, l'UEF prevede una perdita
almeno parziale del credito in esecuzione, senza essere ancora in grado di determinarne
l'estensione: da ciò discende l'obbligo di prestare cauzione47.
L'unica eccezione a tal principio è data, a mio avviso, dalla caducità dell'esecuzione
nell'ambito della quale tale attestato è stato rilasciato. Infatti l'attestato di carenza beni
provvisorio ha effetto unicamente nella procedura in corso48, e decade perciò se, nel termine
dell'art. 116 LEF, il creditore non richiede la vendita dei beni pignorati. In tale ipotesi si deve
ritenere che non esista più un attestato comprovante lo stato d'insolvenza (la valutazione operata
dall'UEF avendo senso solo nell'esecuzione in corso) e quindi neppure l'obbligo di prestar
cauzione49.
Completamente differente è il caso dell'attestato carenza beni dopo fallimento. Tale atto
interviene al termine della procedura fallimentare, dove l'esistenza del credito viene verificata
solo dall'amministrazione del fallimento, la quale non è legata all'opinione in merito del fallito
(art. 245 LEF); una verifica da parte dell'autorità giudiziaria ha luogo solo in caso di contestazione della graduatoria. Anche in tale ipotesi però il fallito non ha il diritto di far valere le
proprie ragioni, non avendo né legittimazione attiva né passiva in tali procedure50.
Perciò ritengo che determinante sia la presa di posizione del debitore riguardo al credito.
Se dall'attestato risulta che il fallito ha riconosciuto il debito, lo stesso comprova
l'insufficienza di beni atti al soddisfacimento di un credito esistente ed esigibile (poiché
riconosciuto) e quindi lo stato d'insolvenza: ciò comporta l'applicazione dell'art. 153 CPC. Se
invece l'attestato menziona la contestazione del debito, non si può affermare che lo stesso sia la
prova dello stato d'insolvenza, poiché non si può presumere l'esistenza del debito51.
6
Un tale attestato potrebbe benissimo sussistere dopo la chiusura del fallimento non tanto per
la mancanza di mezzi da parte del fallito, ma poiché lo stesso si rifiuta di pagare un debito
contestato. L'attestato ex art. 265 LEF non può perciò valere quale prova dell'insolvenza ai sensi
dell'art. 153 CPC se menziona la contestazione del debito da parte del fallito.
c. L'attestato d'insufficienza di pegno
Diverse sentenze del Tribunale di appello menzionano, come esempio di attestato ufficiale ex
art. 153 CPC, l'attestato d'insufficienza di pegno, senza tuttavia mai esaminare da vicino tale
ipotesi52.
A mio avviso si tratta di un obiter dictum errato.
Il certificato di cui all'art. 158 LEF attesta unicamente che la realizzazione del pegno non ha
permesso di disinteressare completamente il creditore; quest'ultimo ha perciò il diritto di
proseguire l'esecuzione in via ordinaria alfine di ottenere la realizzazione degli altri beni del
debitore.
A questo stadio della procedura non è quindi possibile trarre conclusioni certe sulla capacità
del debitore di onorare i propri impegni, considerato che l'esecuzione in via di realizzazione del
pegno concerne solo un elemento e non tutto il patrimonio dell'escusso. Nonostante l'esistenza
del certificato d'insufficienza di pegno, il debitore potrebbe essere milionario e quindi solvibile.
Tale certificato non attesta perciò lo stato d'insolvenza53.
d. Pignoramento definitivo e comminatoria di fallimento
Il Tribunale federale ha avuto modo di precisare, nell'applicazione dell'art. 150 cpv 2 OG, che
esecuzioni, anche frequenti, non bastano a fornire la prova dello stato di insolvenza ove, in
seguito ad opposizione del debitore, non abbiano dato luogo a pignoramento o a comminatoria di
fallimento54. Ragionando «a contrario» si potrebbe sostenere che ripetuti pignoramenti
(definitivi), o comminatorie di fallimento possano essere sufficienti a provare tale stato55.
Quest'opinione mi pare errata.
E' vero che sia il pignoramento definitivo sia la comminatoria di fallimento intervengono ad
uno stadio della procedura esecutiva ove non sussistono più contestazioni sull'esistenza ed
esigibilità del credito, ma è altrettanto vero che tali atti non danno alcuna informazione circa la
pretesa mancanza di mezzi del debitore. Il fatto che siano stati pignorati dei beni fa al contrario
presumere l'esistenza di sufficienti mezzi atti a soddisfare la pretesa del creditore; in caso
contrario infatti, si sarebbe in presenza di un attestato carenza beni provvisorio o definitivo (che
allora sì proverebbe l'insolvenza).
D'altra parte, la comminatoria di fallimento non è necessariamente legata allo stato finanziario
del debitore; quest'ultimo potrebbe procedere al pagamento persino all'udienza di fallimento 56,
dimostrando così di essere in grado di far fronte agli impegni (magari grazie all'aiuto di terzi).
Tali atti insomma possono attestare una reticenza da parte del debitore ad adempiere ai propri
obblighi, e quindi eventualmente essere la prova di un suo comportamento poco corretto, ma non
del suo stato d'insolvenza57.
7
In linea di massima perciò, l'esistenza di pignoramenti o comminatorie di fallimento non può,
da sola, condurre all'applicazione dell'istituto previsto all'art. 153 CPC.
e. Pignoramento provvisorio infruttuoso
Attenzione particolare ha sempre suscitato il caso del pignoramento provvisorio che il
creditore escutente può richiedere dopo aver ottenuto il rigetto provvisorio dell'opposizione (art.
83 cpv 1 LEF), mentre è ancora pendente l'azione di disconoscimento del debito.
Effettivamente se dal verbale di pignoramento provvisorio risulta che non vi sono beni
pignorabili, nonostante tale atto non possa valere quale attestato carenza beni definitivo né
provvisorio58, l'accertamento sulle condizioni finanziarie dell'escusso è avvenuto, ed ha condotto
all'attestazione della sua mancanza di mezzi. Ritenendo determinate tale aspetto, il Tribunale di
appello ha recentemente fatto sua l'opinione già sostenuta in altri cantoni secondo la quale tale
atto di pignoramento infruttuoso proverebbe l'insolvenza del debitore, ciò che comporta
l'applicazione dell'art. 153 CPC59.
Tale opinione, che è stata ritenuta «non arbitraria» dal Tribunale federale60, è, a mio avviso,
proprio sbagliata.
L'atto di pignoramento provvisorio infruttuoso fornisce delle indicazioni sulla situazione
patrimoniale dell'escusso, e può quindi essere la prova che lo stesso è nullatenente (o meglio, che
non ha beni pignorabili). Ma, come si è già detto, la nullatenenza non si identifica con lo stato
d'insolvenza, del quale è al massimo una delle componenti: se non ha debiti esigibili, il
nullatenente non è insolvente.
Ora, per l'appunto, l'aggettivo provvisorio sta a significare che la procedura esecutiva è
sospesa, essendo pendente l'azione in disconoscimento del debito. Perciò, a tale stadio, non è
possibile dare per scontata l'esistenza del debito; al contrario, si ha la certezza che lo stesso è
stato contestato, e che la contestazione non è ancora stata risolta. L'escusso potrebbe quindi non
aver soddisfatto la pretesa dell'escutente non tanto perché non avesse i mezzi, quanto perché non
era tenuto a farlo.
A ciò s'aggiunga che l'esito infruttuoso di un pignoramento provvisorio non permette ancora
di escludere che il preteso debitore possa far capo al credito di terzi per ottenere la liquidità
necessaria ad adempiere i propri obblighi, e cioè che egli sia solvibile.
Secondo un orientamento, il fatto che la questione dell'esistenza o meno del debito, per il
quale è stato eseguito il pignoramento provvisorio, sia ancora irrisolta non sarebbe determinante
poiché l'escutente è stato comunque in grado di ottenere il rigetto provvisorio dell'opposizione
fondandosi su di un riconoscimento di debito61: il credito sarebbe dunque stato reso sufficientemente verosimile.
La tesi convince però poco. Basti pensare che il rigetto provvisorio dell'opposizione non ha
effetti sul piano del diritto sostanziale, (e quindi sull'esistenza del credito) ma unicamente sulla
procedura esecutiva62. D'altro canto, anche gli effetti di diritto esecutivo si limitano alla
8
possibilità di ottenere il pignoramento provvisorio; per il resto infatti la procedura di realizzazione rimane sospesa sino ad esito conosciuto dell'azione in disconoscimento del debito.
Non si deve dimenticare che il rigetto provvisorio dell'opposizione viene pronunciato in una
procedura sommaria ove non possono essere citati testimoni né ordinate perizie (art. 387 cpv 3
CPC), ciò che comporta una notevole limitazione dei mezzi di difesa del convenuto; quest'ultimo
potrebbe benissimo essere soccombente in tal procedura per questi soli motivi, e non perché il
credito esista realmente.
Perciò finché non sono risolte (almeno dal lato del diritto esecutivo) le contestazioni
sull'esistenza ed esigibilità del credito posto in esecuzione, gli accertamenti sulle condizioni
economiche dell'escusso non possono ancora giustificare l'applicazione dell'istituto di cui all'art.
153 CPC63. L'atto di pignoramento provvisorio infruttuoso può forse far nascere sospetti sulla
correttezza commerciale dell' escusso, o anche forse sulle sue liquidità, ma non si può certo dire
che attesti chiaramente l'impossibilità (per ragioni finanziarie) del debitore di pagare
integralmente un creditore, e quindi il suo stato d'insolvenza.
Il punto è che lo stato d'insolvenza presuppone l'esistenza di un impegno esigibile nel
presente64. Colui che oggi non dispone di mezzi sufficienti per onorare degli impegni che
saranno esigibili in futuro, non è insolvente65.
Ora per l'appunto, fino a quando è pendente l'azione in disconoscimento del debito, non si sa
se questo esista o meno. D'altra parte l'eventuale credito per ripetibili non è neppure sorto!
É perciò irrilevante che, come attestato dal verbale di pignoramento provvisorio infruttuoso,
l'escusso non sia in grado di far fronte alle spese e ripetibili che potrebbe essere condannato a
pagare in caso di esito sfavorevole dell'azione ex art. 83 LEF, poiché tale eventualità è solo
futura ed ipotetica. Sospetti di futura insolvenza non sono sufficienti per far capo all'istituto
dell'art. 153 CPC66. La disposizione di legge è, su tal punto, sufficientemente chiara: è dato
l'obbligo di prestar cauzione a carico dell'attore che si trova, e non che si troverà in stato
d'insolvenza.
Si è affermato che, nonostante tali perplessità, sarebbe nondimeno giustificato imporre
l'obbligo di cauzione all'attore ex art. 83 LEF (sempre che si sia in presenza di un pignoramento
provvisorio infruttuoso) poiché l'esperienza ha dimostrato che tale azione è spesso promossa
abusivamente e per motivi inconsistenti67.
A mio avviso ciò non basta.
Scopo dell'art. 153 CPC è di garantire che l'eventuale condanna alla rifusione di spese e
ripetibili non rimanga ineseguita, e non di evitare che vengano promosse cause (ex art. 83 LEF)
prive di probabilità di successo. Tant'è che, se la cauzione viene prestata, nulla osta al
proseguimento della causa, pur temeraria che sia.
Se il legislatore ticinese avesse voluto perseguire tal scopo, istituendo una specie di
sbarramento preliminare nei confronti delle cause temerarie, lo avrebbe chiaramente enunciato
nel testo di legge, quantomeno enumerando espressamente, come fatto in altri cantoni68, i
9
procedimenti «a rischio di temerarietà», come l'azione in disconoscimento di debito, quali motivi
per l'imposizione di una cauzione processuale.
Non avendolo fatto, si deve ritenere che non lo volesse.
Il verbale di pignoramento provvisorio infruttuoso non può quindi esser ritenuto un atto
ufficiale attestante l'insolvenza ai sensi dell'art. 153 CPC.
f. Moratoria concordataria
Per la giurisprudenza ticinese, la concessione di moratoria concordataria non è sufficiente per
giustificare l'imposizione della cauzione ex art. 153 CPC69, poiché tale atto attesterebbe solo
delle difficoltà finanziarie momentanee.
Tale opinione mi lascia molto perplesso.
In effetti la moratoria concordataria è necessariamente preceduta da una domanda di
concordato, che è la confessione del debitore del suo stato d'insolvenza. É perciò evidente che vi
sia la prova dell'insolvenza, fornita appunto da quell'atto ufficiale ex art. 295 LEF che è la
concessione di moratoria.
D'altro canto questa risulta esser prova dell'insolvenza sia per gli articoli 150 OG70, 83 CO71,
e 59 Cst72, che per buona parte della dottrina73.
Certamente, con l'omologazione del concordato e la conseguente rinuncia dei creditori alla
parte del loro credito non coperta dalla liquidazione, lo stato d'insolvenza viene a cessare74.
Tuttavia, fino a tal momento, è certamente dato.
L'eventualità che possa esser superato si situa nel futuro: il concordato potrebbe non esser
omologato. Non ritengo perciò che si possa parlare di difficoltà finanziarie temporanee; al
contrario nel presente, lo stato d'insolvenza è dato, e quindi pure l'obbligo di prestar cauzione
processuale.
g. Omologazione del concordato
Con l'omologazione del concordato e con la conseguente estinzione dei debiti cessano gli
effetti della moratoria concordataria (art. 308 LEF), e viene dunque pure a cessare lo stato
d'insolvenza. Dopo tale atto non vi è perciò motivo di ritenere insolvente il debitore, al quale non
può esser imposto il versamento di cauzione processuale75.
h. Altri atti?
Francamente non riesco ad immaginare quali altri atti ufficiali previsti dalla LEF potrebbero
esser ritenuti sufficienti a provare lo stato d'insolvenza.
In particolare non ritengo lo siano (se considerati isolatamente e non in congiunzione con gli
altri atti enumerati in precedenza):
- il precetto esecutivo, con76 o senza opposizione, poiché in ogni caso non fornisce indicazioni
sulla situazione finanziaria del debitore;
- la comunicazione della domanda di vendita ex art. 120 LEF (o l'avviso d'incanto ex art. 125
e 138 LEF), per lo stesso motivo77;
10
- l'inventario ex art. 83 cpv. 1 LEF poiché, come il verbale di pignoramento provvisorio, si
situa ad uno stadio della procedura ove la questione dell'esistenza del debito non è stata ancora
definitivamente chiarita78;
- l'inventario ex art. 221 LEF, nella misura in cui sia fatto valere contro la massa fallimentare
attrice. Si è infatti già detto che la dichiarazione di fallimento non possa provare l'insolvenza
della massa; secondo un orientamento79 però, nel caso sia provato che gli attivi della massa non
coprono le spese e ripetibili che la massa attrice potrebbe esser condannata a pagare in caso di
soccombenza, la stessa potrebbe esser soggetta all'obbligo di prestar cauzione. Ma, come
ricordato in precedenza80, il fatto di non disporre di attivi sufficienti al pagamento delle eventuali
ripetibili non comporta l'insolvenza, proprio perché si tratta di un debito ipotetico e futuro;
l'inventario ex art. 221 LEF non può dunque attestare l'insolvenza della massa poiché non
fornisce indicazione alcuna sui suoi debiti esigibili. Tali informazioni possono desumersi solo
dal conto finale e stato di ripartizione ex art. 261 LEF che però, intervenendo al termine della
procedura, risulta irrilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 153 CPC.
Tutto ciò ha per effetto che, in concreto, alla massa fallimentare non può esser imposta una
cautio iudicatum solvi.
4. EXCURSUS: QUESTIONI DI LEGITTIMITÀ
a. Il precedente
Con sentenza del 29.11.196081 la Corte costituzionale italiana dichiarò l'illegittimità
costituzionale dell'art. 98 del CPC nazionale prevedente la cautio pro expensis, essendo tale
norma in contrasto con i principi di cui agli art. 3 (uguaglianza) e 24 (diritto di azione e di difesa
in ogni stadio di procedimento) della Costituzione della Repubblica.
La Corte ritenne che da queste due norme si deducesse che il principio secondo il quale tutti
possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi deve trovare
attuazione uguale per tutti indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e
sociali. Essendo pacifico che l'art. 98 CPC, prevedendo l'imposizione della cauzione nell'ipotesi
vi fosse fondato timore che l'eventuale condanna nelle spese potesse restare ineseguita,
ricollegasse l'applicazione dell'istituto alle condizioni economiche dell'attore, e quindi proprio a
quelle condizioni soggettive e personali o sociali che l'art. 3 impone di considerare non influenti
ai fini della tutela dell'eguaglianza giuridica, i giudici della Consulta ne dichiararono l'incostituzionalità. Ciò anche tenuto conto delle gravi conseguenze (legate all'estinzione del processo in
caso di mancato versamento della cauzione) rispetto all'esercizio dei diritti che l'art. 24 proclama
inviolabili, nonché del fatto che la disparità di trattamento fondata sulle condizioni economiche
non è necessariamente eliminata dall'esclusione dell'applicazione dell'istituto nell'ipotesi in cui
l'attore sia al beneficio dell'assistenza giudiziaria, tal beneficio essendo subordinato alla
dimostrazione dello stato di povertà82.
Visto questo precedente e considerato che i principi costituzionali indicati nelle motivazioni si
ritrovano, mutatis mutandis, nell'ordinamento giuridico svizzero, sembra esser lecito porsi la
questione se l'istituto della cauzione processuale, ed in particolare quindi l'art. 153 CPC, sia
compatibile col diritto federale, e con le garanzie di cui agli art. 6 e 14 della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo83.
11
b. II diritto federale
I. Il principio di uguaglianza. L'art. 4 Cst garantisce al cittadino il diritto fondamentale di
ottenere giustizia da parte dello Stato, e cioè il diritto di ottener tutela giuridica per le proprie
pretese; il medesimo articolo sancisce altresì il principio di uguaglianza e parità di trattamento,
secondo il quale a situazioni oggettivamente simili deve corrispondere il medesimo trattamento,
e a situazioni dissimili un trattamento differente84.
Ecco dunque il problema. L'imposizione di una cauzione processuale a carico dell'attore
insolvente, con conseguente estinzione del processo in caso di mancato pagamento, pone un
ostacolo procedurale al diritto di ottenere giustizia, ostacolo che può rivelarsi di non poco conto
considerato che, per definizione, le condizioni economiche di un'insolvente non sono buone.
D'altra parte quest'onere processuale non viene accollato a tutti, ma solo a chi si trovi in stato
d'insolvenza; la condizione economica dell'attore è dunque il motivo che fonda il trattamento
discriminatorio. Tutto ciò è compatibile con l'art. 4 Cst?
Per dottrina e giurisprudenza non tutte le disparità di trattamento sono incostituzionali: lo
sono solo quelle che si fondano su criteri non oggettivi o seri o comunque arbitrari 85. Ora, la
condizione economica è un criterio soggettivo che non può giustificare, almeno per quanto
riguarda il diritto di adire i tribunali, un trattamento discriminatorio. E' proprio su questa considerazione che si fonda la giurisprudenza del Tribunale federale che ha dedotto dall'art. 4 Cst il
diritto all'assistenza giudiziaria gratuita: L'Etat doit assurer l'accès à ses tribunaux à tous ses
justiciables sans égard à leurs ressources86.
Di principio quindi, mi pare che il trattamento discriminatorio operato dall'istituto della cautio
iudicatum solvi di cui all'art. 153 CPC non sia compatibile con l'art. 4 Cst. Vi è però da
esaminare se la discriminazione non sia eliminata appunto dall'istituto dell'assistenza giudiziaria,
ritenuto che l'attore che ne beneficia è dispensato dall'obbligo di prestar cauzione processuale87.
La questione chiave è dunque il coordinamento dei due istituti processuali. Se fosse vero che,
come sostiene un orientamento di dottrina, chi è in stato d'insolvenza è a maggior ragione
indigente, e quindi da porre al beneficio dell'assistenza giudiziaria per condurre un processo che
abbia delle probabilità di successo, la disparità citata in precedenza sarebbe eliminata: la cautio
iudicatum solvi troverebbe infatti concreta applicazione solo nei confronti dell'attore temerario 88,
ed in tal caso sarebbe giustificata, l'attore non potendo pretendere di esser tutelato nell'abuso del
diritto di adire i tribunali89.
Il problema è che, in concreto, non è così. In giurisprudenza le nozioni d'insolvenza e
d'indigenza non sono infatti intercambiabili90. Mentre quella d'insolvenza poggia su requisiti
rigidamente formali e dipende dall'esistenza o meno di atti della procedura esecutiva, quella
d'indigenza è relativa e da valutare in concreto senza schematismi91. Accertata l'esistenza di un
atto ufficiale ex art. 153 CPC, l'obbligo di prestar cauzione è dato92. Al contrario, per valutare se
una parte possa beneficiare dell'assistenza giudiziaria devono esser considerati tutti gli elementi
importanti e le concrete circostanze della fattispecie, l'indagine del giudice dovendo portare, ad
12
esempio, non solo sulle risorse economiche del richiedente ma anche su quelle del suo coniuge o
genitore93; ciò significa che è possibile che un insolvente non sia considerato indigente94.
Vi è insomma una classe intermedia tra l'indigente ed il ricco, che è quella del non abbiente,
alla quale la cauzione processuale può venir imposta senza limiti; ciò significa che, nei confronti
di tali persone, la discriminazione fondata sulle condizioni economiche ha pieno effetto. Il ricco
può agire in giudizio senza condizioni (così come il povero, ammesso che abbia probabilità di
successo) mentre il non abbiente può farlo solo a condizione di prestar cauzione 95. In tali casi il
mancato coordinamento dei due istituti conduce ad un risultato che non mi pare compatibile con
l'art. 4 Cst.
Ma non vi è solo questo.
II. Le persone giuridiche. Per la lettera chiarissima dell'art. 155 CPC, l'assistenza giudiziaria
non viene concessa alle persone giuridiche; tale norma è d'altronde in sintonia con la
giurisprudenza del Tribunale federale relativa all'art. 152 OG96. Nei confronti delle persone
giuridiche quindi la discriminazione fondata sulle condizioni economiche non può venire eliminata, con la conseguenza che, pure in questo caso, l'onere di cui all'art. 153 CPC può risultare
incostituzionale97.
Per quanto riguarda la massa fallimentare (o concordataria) si potrebbe sostenere un
ragionamento analogo, ritenuto che anche a questa è negata la facoltà di ottenere l'assistenza
giudiziaria98; tuttavia la questione risulta priva d'interesse in Ticino, considerata l'impossibilità di
imporre alla massa una cautio iudicatum solvi99.
III. Il procedimento in appello. Oltre a queste considerazioni di carattere generale che
suscitano dubbi sulla compatibilità dell'art. 153 CPC con l'art. 4 Cst, vi possono essere casi
particolari nei quali, alle stesse, si sommano perplessità sulla compatibilità col diritto federale e
quindi con l'art. 2 disp. trans. Cst che ne decreta la forza derogatoria.
Per esempio si considerino gli effetti del mancato versamento della cauzione richiesta, e cioè
lo stralcio dai ruoli della causa. Il Tribunale federale ha avuto modo di affermare che è contrario
al principio della forza derogatoria del diritto federale la norma della procedura civile cantonale
che esclude che una pretesa possa esser fatta valere in giudizio una seconda volta nel caso in cui
la prima causa sia stata stralciata per mancato versamento di una garanzia per le spese
processuali100. In tal modo, in effetti, il diritto processuale cantonale impedisce di far valere una
pretesa fondata sul diritto federale e, ciò che è determinante, lo fa per dei motivi (mancato
versamento dell'anticipo spese) che nulla hanno a che fare col diritto sostanziale.
Da questo punto di vista, mentre il procedimento di prima istanza ticinese non mi sembra
porre problemi (la causa stralciata dai ruoli per mancato versamento della cauzione potendo
sempre esser riproposta101), il procedimento in appello può suscitare qualche dubbio. In tale
procedura è infatti pure data la possibilità, per il combinato degli art. 316 e 153 CPC, di imporre
l'obbligo della cauzione processuale a carico dell'appellante; in caso di mancato versamento
l'appello è dichiarato deserto, con la conseguenza che la sentenza di prima istanza cresce in
13
giudicato102. Ciò significa che tale omissione processuale ha per effetto di render definitiva la
decisione sul merito della vertenza ed ha quindi un effetto sul diritto sostanziale.
Alla luce della precitata giurisprudenza del Tribunale federale, nonché tenuto conto del fatto
che i cantoni sono tenuti, per diritto federale, a prevedere un doppio grado di giurisdizione nelle
vertenze che potrebbero esser oggetto di ricorso per riforma103, la grave conseguenza, e quindi
l'effetto, sul diritto sostanziale, prevista per il mancato versamento della cauzione processuale in
sede di appello mi lascia alquanto perplesso104.
IV. L’azione in disconoscimento del debito. Analoghe perplessità sorgono pure in occasione
dell'applicazione dell'istituto dell'art. 153 CPC al caso dell'attore (debitore) in disconoscimento di
debito ex art 83 cpv. 2 LEF.
In caso di mancato versamento della cauzione la causa viene stralciata dai ruoli con giudizio
d'ordine che non acquista autorità di cosa giudicata, non trattandosi di decisione sul merito della
vertenza105; lo stralcio dai ruoli ha però il medesimo effetto concreto, sulla procedura esecutiva,
che si sarebbe prodotto in caso di mancata introduzione dell'azione o in caso di un giudizio di
merito che accogliesse in toto la pretesa del creditore, e cioè quello di render definitivo il rigetto
dell'opposizione, aprendo la strada alla realizzazione forzata dei beni del debitore 106. Inoltre il
giudizio d'ordine ha per conseguenza di render impossibile una nuova azione in disconoscimento
del debito, il termine ex art. 83 cpv. 2 LEF essendo perentorio e non soggetto a restituzione107.
Tale situazione non può non far nascere perplessità, se solo si pensi che il diritto al
disconoscimento del debito e quindi l'azione ex art. 83 cpv. 2 LEF è un istituto di diritto federale
del quale i cantoni non hanno, di principio, la facoltà di render più difficile l'applicazione con
ostacoli procedurali108.
Inoltre si tratta di un istituto che rappresenta un tassello essenziale del coerente sistema della
procedura esecutiva. È il mezzo per garantire che i rigori della procedura esecutiva siano a tutela
solo del creditore di una pretesa fondata dal punto di vista del diritto sostanziale, e costituisce
altresì il contrappeso in favore del debitore rispetto al vantaggio previsto per il creditore in
possesso di un riconoscimento di debito109. Infine è pure strumento che garantisce la corretta
applicazione dell'art. 8 CC: tale norma esige infatti che le parti siano ammesse a far valere tutte
le ragioni e le circostanze invocate a favore della propria pretesa o contro quella avversaria, ciò
che può avvenire solo in una procedura ordinaria110, quale certo non è quella (sommaria) del
rigetto dell'opposizione.
Secondo un'opinione tali perplessità sarebbero comunque ingiustificate, considerato che al
debitore è sempre aperta la possibilità dell'azione ex art. 86 LEF volta ad ottenere la ripetizione
dell'indebito dimostrando l'inesistenza della pretesa escussa111; quest'argomento non mi pare però
convincente.
Per recente ed autorevole opinione di dottrina, tale azione è infatti data solo al debitore che ha
pagato l'indebito, ed è quindi preclusa al debitore nel caso in cui l'estinzione del credito sia
avvenuta mediante la realizzazione forzata112, oltre che, aggiungerei, nell'ipotesi in cui non vi sia
stata alcuna estinzione (e quindi sia stato rilasciato un attestato di carenza beni).
14
Neppure la procedura di annullamento dell'esecuzione ex art. 85 LFF può esser di grande
aiuto al debitore in casi simili; si tratta comunque di una procedura sommaria (similmente a
quella di rigetto dell'opposizione), ove il debitore deve portare la prova liquida dell'estinzione del
debito, e può esser esercitata solo finché la procedura esecutiva non sia giunta al termine.
Parimenti inutile e priva d'interesse concreto per il debitore sarebbe un'azione ordinaria di
accertamento negativa ex art. 71 CPC, ritenuto che non potrebbe avere direttamente effetti
sull'esecuzione113, che è controverso ed estremamente dubbio che li possa avere indirettamente
per il tramite della procedura ex art. 85 LEF114, e che, in ogni modo, in tale ultima evenienza
l'effetto sarebbe legato alle peculiarità di tal procedura e quindi escluso ove l'esecuzione sia
giunta al termine: il debitore che ha perso, per non aver prestato cauzione processuale, l'azione in
disconoscimento del debito e contro il quale l'esecuzione è stata proseguita sino al rilascio di un
attestato carenza beni non può più ottenere l'annullamento di quest'ultimo (se non pagando),
anche se riuscisse a dimostrare (in futuro) l'inesistenza del debito escusso.
Da ultimo si può rilevare l'inutilità dell'azione provocatoria (o di giattanza) prevista dagli art.
452 seg. CPC, sia per la precitata impossibilità d'influire sull'esecuzione, sia perché tale istituto
risulta concretamente inutilizzabile poiché incostituzionale115.
Ma allora, viste tali considerazioni, la cauzione processuale a carico dell'attore in
disconoscimento di debito116, non è forse un ostacolo procedurale che limita e rende più difficile
o concretamente impedisce l'applicazione di un istituto di diritto federale?
Infine un ultimo dubbio.
Sembra esser generalmente riconosciuto che è iniquo far dipendere dalla preventiva
prestazione di cauzione l'esercizio del diritto di difendersi dalle pretese altrui117; visto che, in
generale, il convenuto in senso processuale corrisponde al convenuto in senso sostanziale (colui
che si difende dalle pretese altrui), la cauzione processuale viene imposta al solo attore.
D'altra parte sembra pure generalmente ammesso che l'istituto della cautio iudicatum solvi è
diretto contro la parte che, iniziando liberamente un procedimento, provoca spese giudiziali alla
controparte, e perciò non contro quella che, al contrario, è obbligata, sotto pena di perenzione, a
farsi attrice118; coerentemente con tale principio l'art. 154 CPC sancisce l'esenzione dall'obbligo
della cauzione per la parte attrice a seguito di giudizio di giattanza ex art. 452 seg. CPC.
Trasponendo tali idee sul piano dei principi costituzionali, si potrebbe dire che, tra la
situazione dell'attore e quella del convenuto in senso sostanziale, rispettivamente tra quella di
colui che liberamente adisce i tribunali e quello che vi è costretto, esistono delle oggettive
differenze che impongono un trattamento differenziato, un'assimilazione essendo contraria al
sentimento di giustizia, e quindi all'art. 4 Cst.
Ma allora, non è forse contrario a tali principi imporre una cauzione all'attore in
disconoscimento di debito, ritenuto che questi è sostanzialmente un convenuto che si difende
dalle pretese pecuniarie contro di lui vantate, e che è stato costretto a promuovere l'azione?119
15
La risposta al quesito è controversa; la giurisprudenza di alcuni cantoni ha risposto
affermativamente introducendo, per via d'interpretazione, l'obbligo di prestar cauzione
processuale a carico del convenuto (creditore) all'azione ex art. 83 cpv. 2 LEF120.
c. La Convenzione europea dei diritti dell'uomo
I. L'art. 6 par. 1 CEDU garantisce ad ogni persona un'equa e pubblica udienza entro un
termine ragionevole, davanti ad una tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge, al
fine della determinazione dei suoi diritti e doveri di carattere civile; è quello che viene
solitamente chiamato il diritto ad un equo processo. Elemento essenziale di tale garanzia è il
diritto di adire i tribunali121.
Certo, tale diritto può esser oggetto di una regolamentazione, purché questa abbia per scopo la
buona amministrazione della giustizia122; l'accesso ai tribunali deve però essere effettivo, e non
reso illusorio da ostacoli di fatto o di diritto123.
Ciò significa che, in determinati casi, il costo elevato di una procedura, sia per spese giudiziali
che per l'obbligo di prestare cauzione processuale, può costituire, per delle persone non abbienti,
un ostacolo che rende concretamente illusorio il diritto di adire i tribunali124. Ritenuto però che
gli Organi di Strasburgo, per valutare se vi sia stata violazione dell'art. 6 par. 1 CEDU,
esaminano la procedura nel suo insieme125, tale ostacolo costituisce violazione solo se non
eliminato, ad esempio, dall'istituto dell'assistenza giudiziaria126. Anche dal punto di vista della
Convenzione quindi, determinante è il coordinamento degli istituti della cauzione processuale e
dell'assistenza giudiziaria.
La cauzione processuale imposta ad un insolvente, e quindi ad un persona che per definizione
dispone di mezzi limitati127, può costituire violazione dell'art. 6 par. 1 CEDU, almeno nel caso in
cui la procedura da questi promossa non sia temeraria 128. Ciò significa che, ove sia negata
l'assistenza giudiziaria alla parte tenuta a prestar cauzione per motivi diversi dalla mancanza di
possibilità di successo, la probabilità di violare la garanzia di un equo processo è estremamente
elevata.
Alla luce di queste considerazioni appare estremamente problematica l'impossibilità (sancita
dall'art. 155 CPC) per le persone giuridiche di beneficiare dell'assistenza giudiziaria; queste, in
effetti, godono al pari delle persone fisiche del diritto di adire i tribunali garantito dall'art. 6
CEDU129, e di conseguenza il definitivo ed oneroso ostacolo costituito dall'obbligo di prestare
una cauzione processuale ove si trovino in stato d'insolvenza risulta, molto probabilmente,
incompatibile con la garanzia di un equo processo.
Oltre a ciò, pure l'applicazione dell'istituto della cauzione al caso dell'azione in
disconoscimento di debito mi sembra dubbia innanzi all'art. 6 par. 1 CEDU. La garanzia di un
equo processo comprende infatti il principio della parità delle armi, secondo il quale la parte ad
un processo civile deve aver la possibilità di far valere i propri argomenti senza esser
notevolmente svantaggiata nei confronti della controparte130.
Ora, se si esamina la procedura nel suo insieme, si nota che il creditore, anche se insolvente, può
promuovere l'esecuzione e domandare il rigetto provvisorio dell'opposizione senza dover
16
prestare preventiva cauzione131, mentre il debitore insolvente è tenuto a tal obbligo se vuole
pienamente far valere le proprie ragioni in procedura ordinaria; nel complesso quest'ultimo
risulta perciò notevolmente svantaggiato rispetto alla controparte.
II. L'art 14 CEDU pone il divieto della discriminazione nell'esercizio dei diritti garantiti dalla
Convenzione. Tale norma non impone un trattamento assolutamente uguale per tutti, ma esige
che, nell'esercizio dei diritti garantiti dalla Convenzione, due persone di situazione comparabile
non siano oggetto di trattamento differente fondato su criteri non oggettivi e ragionevoli; una
discriminazione è quindi compatibile con l'art. 14 CEDU solo se persegue uno scopo legittimo e
non è sproporzionata132. A titolo di esempio tale articolo cita, quale tipico criterio illegittimo a
fondare una discriminazione, la ricchezza.
Ma allora come non esser perplessi innanzi all'art 153 CPC che opera una discriminazione,
nel porre una condizione al diritto di adire i tribunali, fondata proprio sulla situazione economica
dell'attore?
Oltre a ciò, vi è la discriminazione tra attore e convenuto.
Si può ritenere che quest'ultima persegua uno scopo legittimo volendo garantire che, in certi
casi, la parte che è costretta a partecipare ad un processo non subisca un pregiudizio economico
in caso risulti vittoriosa.
Se perciò tale distinzione può esser considerata, in generale, legittima, la stessa diventa
estremamente dubbia se applicata all'attore in disconoscimento di debito; quest'ultimo infatti si
trova in una situazione che è più comparabile a quella di un convenuto, costretto com'è ad
iniziare una procedura per difendersi (in maniera completa e cioè in procedura ordinaria) dalle
pretese contro di lui fatte valere.
5. CONCLUSIONE
Non penso si possa affermare che l'istituto della cautio iudicatum solvi previsto dall'art. 153
CPC sia necessariamente contrario alla Costituzione federale od alla Convenzione europea dei
diritti dell'uomo.
In diversi casi tuttavia lo può essere. E ciò anche considerato che, al contrario dell'analogo
istituto previsto dall'Organizzazione giudiziaria federale che lascia al giudice un ampio potere di
apprezzamento133, l'art. 153 CPC trova applicazione ogniqualvolta siano date le premesse
formali (istanza di controparte ed attestata insolvenza) sulle quali si fonda134.
Perciò una maggiore attenzione al caso particolare dell'attore in disconoscimento di debito, e
soprattutto un'interpretazione estremamente restrittiva della nozione d'insolvenza mi sembrano
essere gli unici mezzi a disposizione del giudice ticinese per garantire un'applicazione
dell'istituto della cauzione processuale conforme ai diritti fondamentali, e cioè necessariamente
molto limitata.
17
NOTE
1 Sentenza II CCA 21.12.1989 in re S.M./P.M.
2 Sentenza II CCTF 13.6.1990
3 Rep 1979, p.343; H.STUTZER, Die Kautionspflicht im ordentlichen zürcherischen Zivilprozess, Zürich, 1980,
p.8.
4 ad esempio come all'art.313 CPC vallesano.
5 come vorrebbe la lettera dell'art.98 CPC italiano.
6 DTF 111 II 207; RB (UR) 1986/87, p.52; M.GULDENER, Schweizerisches Zivilprozessrecht, Zürich, 1979,
p.53; STUTZER, op.cit., p.117; R.ISLER, Die Kautionspflicht im schweizerischen Zivilprozessrecht, Zürich,
1967, p.7
7 ISLER, op.cit., p.8
8 Rep 1978, p.343
9 ISLER, op.cit., p.9 STUTZER, op.cit., p.118.
10 Rep 1978, p.343; Rep 1988, p.371.
11 DTF 111 II 207; RSJ 1981, p.199; RB (UR) 1986/87, p.52; ISLER, op.cit., p.27.
12 Rep 1985, p.143.
13 Rep 1988, p.372; Rep 1978, p.343; G.LEUCH, Die Zivilprozessordnung für den Kanton Bern, Bern, 1956, ad
art.70 ZPO, n.6; M.EHRENZELLER, Zivilprozessordnung des Kantons Appenzell AR, Speicher, 1988, ad art.93
ZPO, n.5.
14 in tal senso RSJ 1981, p.199; RB (UR) 1986/87, p.52.
15 A.FAVRE, Droit des poursuites, Fribourg, 1966, p.285; K.AMMON, Grundriss des Schuldbetreibungs- und
Konkursrechts, Bern, 1988, p.306.
16 DTF 111 II 206; RSJ 1981, p.200; FAVRE, op.cit., p.285; H.BECKER, Berner Kommentar, Bern, 1941, ad
art.83 CO, n.l; H.LEEMANN, Die Konkursgründe, Bern, 1905, p.107.
17 K.JAEGER (Petitmermet/Bovay), Commentaire de la Loi fédérale sur la poursuite pour dettes et la faillite,
Lausanne, 1920, ad art.190 LEF, n.11; H.FRITZSCHE, Schuldbetreibung und Konkurs nach schweizerischem
Recht, Zürich, 1968. BdII, p.31; AMMON, op.cit., p.306.
18 DTF 111 II 206.
19 FAVRE, op.cit., p.285; J-F.AUBERT, Traité de droit constitutionnel suisse, Neuchâtel, 1967-1982, I vol, n. 852.
20 JAEGER, op.cit., ad art. 190 LEF n.ll; FAVRE, op.cit., p.285; AMMON, op.cit., p.306; contra RB (SZ) 1983,
p.87.
21 in tal senso Rep 1979, p.349.
22 DTF 111 II 208 c.3e); W.BURCKHARDT, Kommentar der Schweizerischen Bundesverfassung vom 29. Mai
1874, Bern, 1931, p.543 e la giurisprudenza del TF ivi citata; ZBJV 1951, p.448; RB (SH) 1978, p.140.
23 BJM 1959, p.95; LGVE 1985,I, p.44.
24 Rep 1979, p.348.
25 Rep 1988, p.371.
26 Rep 1979, p.348.
27 in tal senso Rep 1978, p.343.
28 DTF 111 II 207; R. WEBER, Berner Kommentar; Bern, 1982, ad art.83 CO, n.31.
29 GULDENER, op.cit, p.409; BECKER, op.cit., ad art.83 CO, n.1; AUBERT, op.cit., n.852.
30 art. 208 LEF.
31 Rep 1988, p.372.
32 P-R.GILLIÉRON, Poursuite pour dettes, faillite et concordat, Lausanne, 1988, p.283.
33 GILLIÉRON, op.cit., p.344.
34 ISLER, op.cit., p.31.
35 ISLER, op.cit., p.33, K.EICHENBERGER, Zivilrechtspflegegesetz des Kantons Aargau vom 18. Dezember
1984, Aarau, 1987, ad art.105 ZPO, n.4; contra H.STRÄULI-G.MESSMER, Kommentar zur Zürcherischen
Zivilprozessordnung, Zürich, 1982, ad art.73 ZPO, n.13; STUTZER, op.cit., p.77.
36 GILLIÉRON, op.cit., p.137.
37 Rep 1988, p.371.
38 DTF 85 I 146; J-F.POUDRET, Commentaire de la loi fédérale d'organisation judiciaire, Berne, 1992, ad art.
150 OJ, n.2.3; sulla questione se e quando la massa sia da ritener insolvente cf.infra lett.h.
39 ISLER, op.cit, p.35; BECKER, op.cit., ad art.83 CO, n.1; AUBERT, op.cit., n.858.
18
40 Rep 1978, p.344.
41 op.cit., ad art.105 ZPO, n.4; è bene precisare che però, nel CPC del Canton Argovia, è previsto l'obbligo di una
cauzione processuale «wenn Verlustscheine bestehen», e che quindi l'opinione di tale autore si potrebbe fondare
essenzialmente su di un'interpretazione strettamente letterale della norma.
42 op.cit., ad art.70 ZPO, n.6.
43 op.cit., ad art.73 ZPO, n.16.
44 op.cit., p.82.
45 op.cit., p.35 seg.
46 condizione sine qua non per il rilascio di tale attestato è infatti che l'eventuale opposizione sia stata rigettata in
via definitiva, ciò che non è il caso nell'ipotesi di un pignoramento provvisorio (infruttuoso) ex art. 83 cpv. 1
LEF: DTF 76 III 1, 83 III 19.
47 Rep 1985, p.142.
48 DTF 95 I 417; GILLIÉRON, op.cit., p.190.
49 STUTZER, op.cit., p.93; contra STRÄULI-MESSMER, op.cit., ad art.73 ZPO, n.18, i quali si affidano
all'arbitrio del giudice per stabilire per quanto tempo, dopo la caducità dell'esecuzione, l'attestato ex art. 115 cpv.
2 LEF possa comprovare l'insolvenza.
50 GILLIÉRON, op.cit., p.334.
51 l'attestato carenza beni dopo fallimento che menziona la contestazione del debito da parte del fallito non vale
neppure quale titolo di rigetto provvisorio dell'opposizione: art. 265 cpv.1 LEF.
52 Rep 1988, p.372; Rep. 1985, p.143; Rep 1979, p.348.
53 ISLER, op.cit., p.40; LEUCH, op.cit., ad art.70 ZPO, n.6; EICHENBERGER, op.cit., ad art.105 ZPO, n.4.
54 DTF 111 II 206.
55 STRÄULI-MESSMER, op.cit., ad art.3 ZPO, n.18; EHRENZELLER, op.cit., ad art.93 ZPO, n.5;
EICHENBERGER, op.cit., ad art.105 ZPO, n.4; contra STUTZER, op.cit., p.94.
56 JAEGER, op.cit., ad art.172 LEF, n.8.
57 cf. il ragionamento analogo con riferimento alla comunicazione di cui all'art.120 LEF in ISLER, op.cit., p.34.
58 DTF 76 III 1 83 III 19.
59 sentenza citata alla nota 1.; BJM 1959, p.96; STRÄULI-MESSMER, op.cit., ad art.73 ZPO, n.18;
EICHENBERGER, op.cit., ad art.105 ZPO, n.4; STUTZER, op.cit., p.92, con qualche incertezza.
60 sentenza citata alla nota 2.; BJM 1959, p.98.
61 ZR.64, n.3; STUTZER, op.cit., p.92.
62 GILLIÉRON, op.cit., p.141.
63 in tal senso RB (SO) 1944, p.117.
64 W.BAUMANN, Die Konkurseröffnung nach dem Bundesgesetz über Schuldbetreibung und Konkurs, Zürich,
1979, p.5l; RB (UR) 1986/87, p.52seg.
65 LEEMANN, op.cit., p.107.
66 anzi ammettendolo si cadrebbe nell'arbitrio: RSJ 1981, p.200; RB (SH) 1978, p.141; contra LGVE 1985, I,
p.44seg.
67 STUTZER, op.cit., p.92; E. BRAND, Libération de dette (Action en), FJS 957, Genève,1946, p.7.
68 art. 117 lit.c CPC friborghese; art.70 cpv.1 n.3 CPC bernese; art. 40 cpv. 1 n.3 CPC grigionese; art. 69 cpv. 1 n.3
CPC giurassiano.
69 Rep 1979, p.347.
70 DTF 79 II 304.
71 DTF 105 II 28.
72 A.FAVRE, Droit constitutionnel suisse, Fribourg, 1970, p.432; AUBERT, op.cit., n.858; BURCKHARDT,
op.cit., p.543.
73 EICHENBERGER, op.cit., ad art.105 ZPO, n.4; ISLER, op.cit., p.41; LEUCH, op.cit., ad art.70 ZPO, n.5, il
quale ammette che la concessione di moratoria concordataria sia prova dell'insolvenza, ma nega che possa
fondare un obbligo di fornire la cauzione processuale.
74 FAVRE, op.cit. alla nota 72, p.432; BURCKHARDT, op.cit., p.543.
75 Rep 1978, p.344.
76 DTF 111 II 206.
77 cf. anche ISLER, op.cit., p.34.
78 cf. supra lett. e.
79 Rep 1988, p.372; POUDRET, op.cit., ad art.150 OG, n.2.3.
80 cf. supra note 64, 65 e 66.
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81 Il Foro italiano 1960, I, p.1873.
82 per un'esposizione più completa anche degli ulteriori interventi della Corte Costituzionale cf. F.TRIFONE, voce
Cauzione I, Enciclopedia giuridica, Roma, 1988.
83 questioni che non sono state esaminate dal TF nel caso citato alla nota 2.
84 AUBERT, op.cit., II vol., n.1789, C.FAVRE, L’assistance judiciaire gratuite en droit suisse, Lausanne, 1989,
p.25.
85 AUBERT, op.cit., II vol., n.1789 e la giurisprudenza ivi citata.
86 DTF 99 Ia 330, 57 I 337.
87 dispensa che è operante anche se l'assistenza giudiziaria sia stata richiesta solo successivamente al decreto che
impone il versamento di una cauzione: sentenza II CCA 16.10.1992 in re S.M/P.M., p.7.
88 POUDRET, op.cit., ad art.150 OG, n.2.3.
89 P.WAMISTER, Die unentgeltliche Rechtspflege, die unentgeltliche Verteidigung und der unentgeltliche
Dolmetscher unter dem Gesichtspunkt von Art. 4BV und Art. 6 EMRK, Basel, 1983, p.40; C.FAVRE, op.cit.,
p.45.
90 STUTZER, op.cit., p.142.
91 DTF 106 Ia 83; P.ZEN-RUFFINEN, Assistance judiciaire et administrative: les règles minima imposées par
l'art. 4 de la Constitution fédérale, in JT 1989 I, p.38.
92 Rep 1985, p.144; Rep 1990, p.275.
93 Rep 1971, p.321; C.FAVRE, op.cit., p.48.
94 un esempio in Rep 1990, p.275.
95 questo era stato uno degli argomenti determinanti per la dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 98
CPC italiano, cf. L.BIANCHI D'ESPINOSA, Illegittimità costituzio- nale della cautio pro expensis, in Giust.
civ. 1960, III, p.211.
96 POUDRET, op.cit., ad art.152 OG, n.3, che si associa alle critiche mosse a tale giurisprudenza.
97 A. EDELMANN, Zur Bedeutung des Bundesrechts im Zivilprozessrecht, Zürich, 1990, p.139; ISLER, op.cit.,
p.66; STUTZER, op.cit., p.137; RSJ 1981, p.200.
98 DTF 61 III 170; C.FAVRE, op.cit., p.103; contra ZEN-RUFFINEN, op.cit., p.58.
99 Rep 1988, p.371; cf. supra par. 3 lett h.
100 DTF 104 Ia 105.
101lo stralcio della causa dal ruolo non è infatti assimilabile alla desistenza di cui all'art. 352 cpv.3 CPC.
102 L.ANASTASI, Il sistema dei mezzi d'impugnazione del codice di procedura civile ticinese, Zürich, 1981,
p.143.
103EDELMANN, op.cit., p.280; POUDRET, op.cit., ad art.48 OG, n.1.2.4.; PJA 1993, p.1127.
104in particolare nel caso in cui l'appellante sia il convenuto soccombente in prima istanza, cf.ISLER, op.cit., p.54;
contra EDELMANN, op.cit., p.125.
105GILLIÉRON, op.cit., p.156; R.RUEDIN, L'action en libération de dette, FJS 957, Genève, 1989, p.9.
106A.SYZ, Aberkennungsklage und Aberkennungsprozess gemäss Art.83 Abs.2 SchKG, Zürich, 1972, p.102.
107DTF 113 III 86; RUEDIN, op.cit., FJS 957, p.4; BRAND, op.cit., p.5.
108DTF 66 II 58; BRAND, op.cit., p.1.
109SYZ, op.cit., p.9.
110 DTF 113 II 471.
111SYZ, op.cit., p.102.
112GILLIÉRON, op.cit., p.163.
113 RUEDIN, op.cit., FSJ 957, p. 8; R. RUEDIN, L'annulation ou la suspension judiciaire de la poursuite (art.85
LP), in FJS 980, Genève, 1988, p.3.
114cf. la dottrina e giurisprudenza citata in RUEDIN, op.cit., FJS 980, nota 11.
115Rep 1978, p.350; Rep 1953, p.352, PJA 1993, p.92; POUDRET, op.cit., ad art.43 OG, n.l.3.2.8, p.122.
116a prescindere se sia applicabile a quell'attore in quanto tale (come nei cantoni citati alla
nota 68) o, come in Ticino, perché insolvente.
117ISLER, op.cit., p.53; STUTZER, op.cit., p.9; R. VÖLKI, Die Kostentragung der Parteien im kantonalen
Zivilprozess der Schweiz, Winterthur, 1934, p.112.
118ISLER, op.cit., p.58; BIANCHI D'ESPINOSA, op.cit., p.212; F.MATTMANN, Die Anspruchs- und
Klagerechtsverwirkung aus prozessualen Gründen in den schweizerischen Zivilprozessgesetzen, Winterthur;
1963, p.79, nota 42.
119ISLER, op.cit., p.60 lo nega, ritenendo essenziale il fatto che la perenzione del diritto di agire in
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disconoscimento di debito è prevista dalla LEF, e non comminata dal giudice come nel giudizio di giattanza;
tale osservazione estremamente formale non mi sembra però atta a far dimenticare la concreta e sostanziale
differenza di situazione esistente tra l'attore creditore e l'attore ex art.83 cpv.2 LEF.
120 RB (TG) 1988, p.112; VÖLKI, op.cit., p.115.
121Corte eur.D.U., Golder; sent. 21.2.1975, serie A, n.18 par 36.
122Comm.eur.D.U., n.6919/75, in DR 6, p.107; n.8407/78, in DR 20, p.179.
123H.MIEHSLER-T.VOGLER, Internationaler Kommentar zur Europäischen Menschenrechts-konvention, Köln,
1986, ad art.6 CEDU, n.273.
124MIEHSLER-VOGLER, op.cit., ad art.6 CEDU, n.274.
125Comm.eur.D.U, n.9353/81, in DR 33, p.133.
126Corte eur.D.U, Airey, sent. 9.l0.79, serie A, n.32, par26.
127J.RAYMOND, La Suisse devant les organes de la Convention européenne des Droits de
l'Homme, in RDS 1979 II, p.69.
128Comm.eur.D.U., n.6958/75, in DR 3, p.155.
129 W.PEUKERT, Die Garantie des fair trial in der Strassburger Rechtsprechung, in EuGRZ 1980, p.251.
130A.HAEFLIGER, Die Europäische Menschenrechtskonvention und die Schweiz, Bern, 1993, p.148.
131Rep 1989, p.515.
132 Comm.eur.D.U., n.9353/81, in DR 33, p.151; G.MALINVERNI, La Convention européenne des Droits de
l’homme, FJS 1384, Genève, 1991, p.9.
133POUDRET, op.cit, ad art.150 OG, n.2.4.
134Rep 1985, p.144; Rep 1990, p.275.
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