La madre convivente è responsabile per gli abusi subiti dalla figlia
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La madre convivente è responsabile per gli abusi subiti dalla figlia
www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 02.05.2013 Ambra Palumbo Dottoranda di ricerca Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale La madre convivente è responsabile per gli abusi subiti dalla figlia infra quattordicenne. (Cassazione penale, sez. III, 28 gennaio 2013, n. 4127) Violenza sessuale – minore infra quattordicenne – madre convivente – obbligo giuridico di impedire l’evento – possibilità di impedire l’evento – dichiarazioni della persona offesa – valutazione della prova. Artt 40 cpv e 609 bis c.p. e art. 192 c.p.p. La madre di una minore che subisca atti di violenza sessuale è responsabile anch’essa del reato quando, potendo impedire l’evento, perché presente ai fatti, ed avendo l’obbligo giuridico di impedire l’evento in quanto genitore convivente delle minore, non interviene e permette il protrarsi della condotta criminosa. E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4127 del 2013, con la quale si è riconosciuta la responsabilità penale di una madre che non aveva impedito il protrarsi di condotte di abuso a danno della figlia minore di età. La donna, in particolare, nel ricorso presentato alla Corte sosteneva l’assenza dell’elemento soggettivo richiesto per l’imputazione della condotta e il difetto di motivazione sul punto. Riteneva, anzi, che dagli elementi raccolti potesse trarsi una sua volontà antagonista alla realizzazione dell’evento. La Corte di Cassazione conferma la sentenza della Corte d’Appello, che bene aveva motivato con riferimento all’elemento psicologico. La condotta tenuta dalla donna non era risultata idonea ed efficace ad impedire l’evento pregiudiziale in danno della minore, pur essendo la prima in condizione da poter evitare che la figlia subisse ulteriori abusi da parte dell’autore materiale della condotta di violenza sessuale (la donna aveva condotto più volte la minore presso l’abitazione del coimputato, nonostante la volontà contraria della figlia). In merito all’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la S.C. ricorda che alle dichiarazioni rese dalla persona www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 offesa non si applica quanto previsto dall’art. 192, terzo comma, c.p.p., potendo queste essere «poste da sole a fondamento della penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengano sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone». Nel caso di specie, si rileva come nella sentenza di appello, che ritiene credibile la versione della minore, venga svolta una ampia motivazione sulla capacità della minore a testimoniare e sugli elementi che ne sostengono l’attendibilità. ******* (Cassazione penale, sez. III, 28 gennaio 2013, n. 4127) RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con sentenza 10.1.2012 la Corte d'Appello di Reggio Calabria ha confermato la pronuncia di colpevolezza del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Locri nei confronti di S. F. e F.R., ritenuti responsabili: - il primo, dei reati di cui all'art. 81 cpv, art. 609 bis, comma 2, art. 61, n. 5, artt. 56, 610 e art. 61 c.p., n. 2, per avere compiuto ripetutamele in danno della infraquattordicenne R.C. atti sessuali consistiti in baci su tutto il corpo, palpeggiamenti vari, toccamenti di genitali e atti di masturbazione (con l'aggravante delle circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la privata difesa) e per avere tentato di costringerla con minacce a non riferire i fatti al fine di conseguirne l'impunità; - la seconda, del reato di cui all'art. 40 cpv, artt. 110, 609 bis comma 2 e art. 61 c.p., n. 5, per non avere impedito il protrarsi delle suddette condotte, essendo presente alle violenze ed avendo l'obbligo giuridico di impedire l'evento quale genitore convivente della minore. La Corte d'Appello ha invece parzialmente riformato la pronuncia di primo grado limitatamente al trattamento sanzionatorie inflitto alla F., riducendole la pena ad anni quattro e mesi otto di reclusione, con le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante. Nel confermare il giudizio di responsabilità degli imputati, la Corte calabrese ha considerato pienamente attendibili le dichiarazioni della minore R.C. anche sulla base di riscontri (tra cui il rinvenimento di particolari oggetti per bambine presso l'abitazione dello S. e le spiegazioni implausibili fornite dallo stesso sul possesso di tali oggetti, la relazione dell'Associazione Cattolica internazionale al Servizio del Giovane, le perizie svolte); ha poi considerato che la F. tutt'altro che inconsapevolmente si era astenuta dall'impedire gli abusi sulla figlia continuando invece a condurla presso l'abitazione di lui contro la volontà della minore e quindi ha confermato l'esclusione del vizio totale o parziale di mente della donna. 2. Gli imputati con separati ricorsi domandano l'annullamento della sentenza deducendo violazioni di legge e vizi motivazionali. Motivi della decisione 1.1. Col primo motivo la F. denunzia violazione di legge (artt. 42 e 43 c.p.) nonchè il vizio di motivazione in ordine all'elemento psicologico del reato rilevando che dagli atti emergevano elementi significativi di una volontà antagonista alla realizzazione 2 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 dell'evento e quindi Incompatibili con la responsabilità dolosa richiesta per la configurabilità della fattispecie di cui all'art. 40 cpv. e art. 609 bis c.p.. Col secondo motivo denunzia il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell'attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 609 bis c.p., u.c., ritenendo che ai fini dell'esclusione dell'attenuante, non è rilevante la giovane età della parte offesa, occorrendo invece elementi di disvalore aggiuntivo sulla base dei criteri di cui all'art. 133 c.p.. Rileva poi che non vi è collegamento tra il deficit cognitivo attribuito alla minore e i fatti di causa, e che è impossibile fissare un momento iniziale della condotta attribuita all'imputata. Col terzo motivo la F. deduce il vizio di motivazione sul diniego della prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante. Col quarto motivo si deduce infine la violazione degli artt. 132 e 133 c.p. nonchè il vizio di motivazione sull'entità della pena inflitta, non potendosi considerare sufficiente il solo richiamo alla sentenza di primo grado, anche perchè quanto più il giudice Intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione dei corretto esercizio del proprio potere discrezionale, dovendosi escludere il ricorso a mere clausole di stile. 1.2. Le censure sono tutte manifestamente infondate. E' opportuno premettere che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. cass. sez. terza 19.3.2009 n. 12110; cass. 6.6.06 n. 23528). L'Illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciarle, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando inlnfluenti te minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate In modo logico e adeguato le ragioni dei convincimento (cass. Sez. 3, Sentenza n. 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007; Cassazione Sezioni Unite n. 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794). Ebbene, nel caso di specie, la Corte d'Appello, in ordine all'elemento psicologico dell'imputata, ha spiegato che il suo comportamento non si era dimostrato per nulla idoneo ed efficace rispetto allo scopo di impedire l'evento pregiudizievole in danno di Caterina, pur avendo la F. l'oggettiva e concreta possibilità di evitare che la figlia venisse ulteriormente indotta a subire atti sessuali da parte dello S. per un rilevante lasso temporale (cfr. sentenza pagg. 42 e ss. in cui viene dato conto di tale convincimento in maniera assai analitica richiamando anche ampi brani delle dichiarazioni della minore). Ha poi dato conto del diniego della attenuante del fatto di lieve entità osservando che, al contrario, si era trattato di fatti di una certa gravità, consistenti in più episodi di palpeggiamenti posti in essere quando Caterina aveva da poco compiuto i quattordici anni ed era quindi poco più che una bambina; ha poi dato peso all'episodio della masturbazione ed ha comunque riportato le argomentazioni del primo giudice condividendone il contenuto (cfr. pag. 32 e 33). Parimenti, ha considerato il disturbo ansioso depressivo da cui era affetta la F. al fini della concessione della attenuanti generiche e, nell'esercizio del suo potere 3 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 discrezionale, ha operato un giudizio equivalenza rispetto alla contestata aggravante (cfr. pagg. 50 e 51). La decisione non merita nessuna censura: ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, infatti, anche la sola enunciazione dell'eseguita valutazione delle circostanze concorrenti esaurisce l'obbligo della motivazione in quanto, rientrando tale giudizio nella discrezionalità del giudice, esso non postula un'analitica esposizione dei alteri di valutazione (cass. Sez. 2, Sentenza n. 36265 del 08/07/2010 Ud. dep. 11/10/2010 Rv. 248535; Sez. 1, Sentenza n. 2668 del 09/12/2010 Ud. dep. 26/01/2011 Rv. 249549; Sez. 4, Sentenza n. 10379 del 26/03/1990 Ud, dep. 17/07/1990 Rv. 184914). Nel caso in esame la complessiva motivazione della sentenza non fa emergere una qualsivoglia sua incoerenza interna collegata al giudizio di equivalenza fra le circostanze, con la conseguenza che sul punto la decisione, esclusivamente di merito, non è censurabile in questa sede Ancora, sull'entità della pena base, la Corte calabrese ha ritenuto (cfr. pag. 50) corretta quella di anni sette di reclusione fissata dal primo giudice (in misura media e anzi più prossima al minimo, posto che la pena stabilita dal legislatore va da 5 a 10 anni di reclusione). E il Tribunale, a sua volta a pag. 172 della sentenza, aveva considerato le modalità e le particolare gravità della condotta descritta e le circostanze facendo riferimento all'art. 133 c.p., mentre in appello la F. aveva dedotto l'incongruità della pena in relazione alla condotta e al ruolo (cfr. fol. 407). Del resto, secondo un generale principio al quale va senz'altro data continuità, le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con alteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logicogiuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (cfr. cass. Sez. 3, Sentenza n. 13926 del 01/12/2011 Ud. dep. 12/04/2012 Rv. 252615). Si è dunque in presenza di un percorso argomentativo assolutamente privo di incongruenze o salti logici, che come tale si sottrae al sindacato di legittimità. 2. Ricorso S.. 2.1. Col primo motivo lo S. deduce la violazione dell'art. 192 c.p.p. in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. b) nonchè il vizio di motivazione (art. 606 c.p.p., lett. e) con riferimento alla ritenuta responsabilità penale dolendosi in particolare della ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della minore (affetta da grave ritardo mentale oltre che da tendenza alla confabulazione), e del valore attribuito alle incerte perizie psicologiche. E passa ad analizzare le emergenze processuali. Col secondo motivo lo S. deduce anch'egli il vizio di motivazione in relazione alla omessa applicazione della attenuante di cui all'art. 609 bis c.p.p. , u.c.: rileva in sostanza che si è trattato di un singolo episodio di induzione alla masturbazione dell'organo genitale del soggetto agente in mancanza di denudamento della persona offesa, di rapporti carnali e di atti di violenza. Col terzo motivo l'imputato S. deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 5. Rileva in particolare che perchè la casa dell'imputato non era un luogo isolato per cui non può sostenersi che la condotta sia stata favorita dai luoghi. Col quarto motivo si deduce Infine il vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche rilevandosi che i fatti erano stati ridimensionati in dibattimento previo il riconoscimento del tentativo in ordine al reato di cui al capo b (violenza 4 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 privata in danno della minore) ed esclusa l'Ipotesi di cui all'art. 609 ter in origine contestata all'imputato. 2.2. Anche queste censure sono manifestamente infondate. Innanzitutto, quanto alla dedotta violazione dell'art. 192 c.p.p. in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. b) (di cui al primo motivo ), va rilevato che questo caso di ricorso riguarda l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener contro nella applicazione della legge penale, cioè un vizio che attiene a disposizioni di diritto sostanziale e non processuale (cfr. cass. 3.7.1997 n. 8962), come tale non invocatale nel caso di specie perchè la norma che si ritiene in concreto violata è invece una disposizione di diritto processuale cioè l'art. 192 c.p.p., riguardante appunto la valutazione della prova. Di qui l'inammissibilità della censura sotto tale profilo. Ma se anche si volesse ritenere che per una mera omissione del redattore sia sfuggita nella rubrica del ricorso l'aggiunta del richiamo all'art. 606, lett. c), per avere la parte Inteso far riferimento anche alla violazione di norme processuali, la censura non avrebbe miglior sorte. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, poichè la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'art. 192 c.p.p., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata, (cass. 8.1.2004 n. 7336; cass. 21.5.1993 n. 9392). Resta pertanto la valutazione del rispetto della norma sotto il profilo del vizio di motivazione, di cui si dirà appresso. Venendo ai nucleo della critica (cioè all'efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalla parte offesa), va osservato che le regole dettate dall'art. 192 cod. proc. pen., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penate responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrìnseca del suo racconto, che peraltro deve In tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengano sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (cfr. da ultima, Sez. U, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012 Ud. dep. 24/10/2012). Nel caso in esame, i giudici di merito (cfr. pagg. 15 e ss sentenza) hanno ritenuto credibile la versione della minore rilevandone la capacità a testimoniare e per evidenti ragioni di sintesi espositiva si rinvia all'ampia motivazione del provvedimento ove viene approfondita la capacità psico-attitudinale della ragazza e la valutazione della prova dichiarativa con indicazione degli ulteriori elementi di prova specificamente indicati, che confermano il giudizio di attendibilità. I rilievi difensivi si appuntano in definitiva sulla mera valutazione del fatto e tendono a proporre una diversa interpretazione del materiale probatorio acquisito agli atti: essi pertanto sono privi di rilievo in questa sede, perchè il ragionamento della Corte d'Appello non presenta profili di illogicità. Quanto al dedotto vizio motivazionale in ordine all'esclusione dell'attenuante di cui all'art. 609 bis c.p.p., u.c., è sufficiente rilevare che anche in tal caso trattasi di una mera censura di merito, insindacabile In sede di legittimità perchè la Corte d'Appello ha congruamente motivato anche su questo punto, come già esposto trattando l'analogo motivo mossa dall'altra imputata (cfr. sopra pagg. 3 e 4). 5 www.dirittifondamentali.it - Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale – ISSN: 2240-9823 Ancora, la Corte calabrese ha risposto adeguatamente alla censura riguardante la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 5, ritenendo con accertamento di merito congniamente motivato e sulla base della giurisprudenza di questa Corte (espressamente richiamata) che i fatti hanno comportato una minore possibilità di difesa sia perchè posti in essere In luogo isolato (Interno di una abitazione) sia perchè compiuti ai danni di una persona di giovane età. Nessun sindacato è perciò consentito. Stesse considerazioni valgono in ordine al dedotto vizio di motivazione sul diniego delle genetiche, considerato che la Corte di merito ha dato esauriente risposta alla relativa censura laddove ha condiviso il giudizio del Tribunale sulla gravità delle condotte, sulla assenza di resipiscenza dell'imputato e sul fatto che l'assenza di precedenti penali non può da sola essere posta a fondamento di tali circostanze (cfr. pag. 49). 3. In conclusione, l'intero percorso argomentativo dell'impugnata sentenza non solo appare aderente ai richiamati principi di diritto sulla valutazione della prava e sul trattamento sanzionatorio degli imputati, ma ha una sua logica e coerenza interna sicchè oggi nessuna rivisitazione è consentita a questa Corte, se non a rischio di operare una rilettura degli elementi del processo sulla base di nuovi parametri di valutazione. Invece, le censure rivolte dai due ricorrenti tendono in definitiva ad ottenere esattamente ciò che non è qui richiedibile e cioè una nuova valutazione degli accertamenti riservati al giudice del merito. 4. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 c.p.p., nella misura indicata in dispositivo. 5. Avendone la parte civile fatto richiesta, occorre procedere alla liquidazione delle spese da questa sostenute nel giudizio di legittimità, disponendone il pagamento in favore dell'Erario, per effetto dell'ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende nonchè al rimborso in solido delle spese del grado in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro. 2.500,00 (Duemilacinquecento/00) oltre IVA e accessori di legge disponendone il pagamento In favore dell'Erario. Oscuramento dati. In caso di diffusione dei presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52. 6