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GIUSEPPE SALVA L’EGITTO DALLA FAME Genesi 41,37-57 L’autore continua a tratteggiare Giuseppe come un uomo di Dio, che dà prova di avere le doti necessarie per risolvere la minaccia incombente della carestia. Inoltre lo tratteggia come un uomo che si coinvolge negli eventi, prende iniziative, vive responsabilmente i suoi impegni, non è solo spettatore. Non sta mai con le mani in mano, si dà da fare. Pensa più al bene di quanti incontra che al bene personale. È esattamente quello che ogni ebreo deve essere. Infatti al centro della fede di Israele sta il binomio ascolto/fare. È con la prassi, che si esprime l’amore a Dio. I credenti in Adonai sanno di essere servi di Adonai. Servi non schiavi, perché Dio può essere servito solo da uomini liberi che scelgono di diventare servi (Dt 10,12). Vengono chiamati servi i Patriarchi (Dt 9,27, Mosè ( Nm 12,7; Dt 34,5;Sl 105/104,26), Davide (2 Sam 3,18; 1Re 11,13, Maria di Nazaret (Lc 1,26) e Paolo di Tarso (Tt1,1) e tutto il popolo (Lv 25,42; Ne 2,20; 1Cr 16,13 ). I servi sono sempre in azione ed in ascolto di quanto il Signore chiede loro attraverso gli eventi della vita. Gesù si inserisce nella stessa linea quando dice di fare la verità (Gv 3,21) ed insiste sul fare la volontà di Dio, del Padre e fare la Parola (Mt 7,21 e 24; Mc 3,35. Lc 6,46-47;8,21; Gv 6,38; 8,29). vv. 37-40 La cosa piacque al faraone…nessuno è intelligente e saggio come te…ai tuoi ordini si schiererà tutto il mio popolo. Il faraone è molto soddisfatto delle parole di Giuseppe, perché, nello stesso momento in cui presenta la tragedia incombente, dà la soluzione per superarla. Il faraone sembra esagerare nel dare a Giuseppe l’incarico di primo ministro, cioè rappresentante dello stesso faraone e contemporaneamente anche prefetto di palazzo, diventando così il personaggio più potente in Egitto dopo il faraone ( vedi v. 44). Questa ascesa viene presentata come fulminea e prodigiosa perché deve essere chiaro che è stata voluta da Dio. Dio infatti è colui che fa morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire ( 1Sam 2,6). vv. 42-43 Il faraone si tolse di mano l’anello e lo pose nella mano di Giuseppe….lo fece montare sul suo secondo carro e davanti a lui si gridava Abrech. Particolarmente importante era la consegna del sigillo reale, che ratificava di fronte al popolo i voleri del faraone. Il significato della parola Abrech non è chiaro, se il termine è egiziano significa “attenzione” se è ebraico “in ginocchio”. Comunque significa un ossequio ed una obbedienza. vv. 44-46 Il faraone chiamò Giuseppe Zafnat-paneach e gli diede in moglie Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di On. Il mutamento del nome è un atto importante che integra pienamente Giuseppe nell’ambiente di corte egiziano. Nella tradizione rabbinica il nome dato dal faraone è tradotto come “colui che spiega le cose nascoste”, il rivelatore di misteri. Il faraone dà in moglie a Giuseppe la figlia del gran sacerdote di On/Eliopoli e così facendo lo integra definitivamente nella nobiltà egiziana. La facilità con cui Giuseppe viene integrato alla corte egiziana mostra che la storia fu scritta in epoca di grande tolleranza, quindi prima dell’esilio babilonese ( 587-538 a.C.). vv.46-49 La narrazione diventa prolissa ed al v. 49 c’è una evidente esagerazione vv. 50-52 Intanto nacquero a Giuseppe due figli…chiamò il primogenito Manasse…e il secondo lo chiamò Efraim. La nascita dei due figli dà completezza al quadro di un Giuseppe liberato dalla schiavitù, completamente riabilitato, ed ormai asceso alla massima carica politica. L’autore vuole ricordare la grande benedizione data ad Abramo, l’antenato di Giuseppe, “farò di te un grande popolo” (Gen 12,2) e ricordare che Dio è sempre fedele alle sue promesse. L’autore rende Giuseppe padre di due figli perché storicamente la tribù di Efraim, dopo una permanenza in Egitto, si era unita alla tribù di Manasse ed aveva fatta sua la figura eponima di Giuseppe, che divenne così l’antenato delle due tribù. I nomi dati ai due figli sono espressione della riconoscenza di Giuseppe per l’aiuto ricevuto da Adonai. Manasse significa “Dio mi ha fatto dimenticare tutto il mio dolore e la casa di mio padre”, dimenticare non significa non ricordare ma non avere nostalgia. Efraim significa “ Dio mi ha reso fecondo nella terra della mia afflizione”, cioè la terra che sembrava ostile e di afflizione si è trasformata in una terra che produce frutti, cioè la discendenza. v. 54 Cominciarono i sette anni di carestia…Entra in scena la carestia, come predetto da Giuseppe, sarà il filo conduttore della storia dei fratelli. La sottolineatura che in un primo momento la carestia è solo fuori dall’Egitto, ricorda il dato storico di un Egitto in cui c’era sempre grano, anche quando mancava nei paesi limitrofi. v. 55 Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà. Il faraone è responsabile del benessere dei suoi sudditi, specialmente in Egitto dove i sudditi erano schiavi del faraone. Il faraone dà piena fiducia a Giuseppe e dice una frase che si conserverà nella tradizione ebraica, al punto che l’evangelista Giovanni la porrà sulle labbra di Maria a Cana riferita a Gesù (Gv 2,5). v. 56 La carestia dominava su tutta la terra…allora Giuseppe vendette il grano. Giuseppe diventa dispensatore di vita in una situazione di morte. v. 57 Da tutti i paesi venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe…. Questa frase vuole collegare questo capitolo con il seguente e con lo sviluppo della storia.