Il sistema dell`economia-mondo e le dinamiche del
Transcript
Il sistema dell`economia-mondo e le dinamiche del
Il sistema dell’economia-mondo e le dinamiche del capitalismo Fernand Braudel L’Europa e il mondo alla vigilia della Grande guerra (1914) La teoria della transizione demografica Nel corso del Novecento la popolazione mondiale è passata da 1,6 a 6 miliardi, e a 7 nel 2011. […] Questo cambiamento è collegato ad altri, non meno enormi: la percentuale di popolazione urbana è passata dal 10% al 50%; […], sono diminuite la fecondità […], la natalità […] e la mortalità […], soprattutto quella infantile; di conseguenza, è raddoppiata la durata media della vita ed è iniziato un sempre più accentuato invecchiamento della popolazione; è profondamente cambiata, e ancora di più cambierà, la distribuzione della popolazione tra le diverse parti del pianeta (ad esempio, la percentuale della popolazione europea su quella mondiale si è dimezzata […]). Il concetto-chiave usato dai demografi per spiegare queste enormi e rapidissime trasformazioni è la “transizione demografica”, cioè il passaggio dal regime demografico tradizionale, basato su alti livelli sia di natalità sia di mortalità, soprattutto infantile, al regime demografico moderno, che è viceversa caratterizzato dai bassi livelli sia delle nascite sia dei decessi. La transizione demografica passa attraverso due fasi: nella prima si verifica una forte crescita della popolazione, perché la mortalità inizia a calare prima della natalità; nella seconda fase della transizione demografica la crescita rallenta, fino ad azzerarsi. Va sottolineato che è la crescita a diminuire, non la popolazione in termini assoluti: questa continua a crescere, sia pure più lentamente, perché il calo della mortalità consente a molte più persone di vivere molto più a lungo. L’esito della transizione demografica può essere riassunto in due “vittorie”: la prima, contro la morte precoce; la seconda, contro le nascite indesiderate. La transizione demografica dipende da fattori diversi (i progressi agricoli, il modello di vita urbano e industriale, la scolarizzazione, e altri processi a questi connessi, primo tra tutti l’emancipazione femminile) che nel loro insieme vengono chiamati modernizzazione. […] La prima fase della transizione demografica, cioè un intenso e prolungato aumento della popolazione, iniziò in Europa occidentale nella seconda metà del Settecento e si estese all’Europa orientale e meridionale nel secondo Ottocento. Cesare Grazioli, Le transizioni demografiche nel mondo e nel Mediterraneo, Novecento.org, n. 4, giugno 2015. DOI: 10.12977/nov70 I fattori della transizione demografica (crescita transitoria): 1. l’aumento della produzione agricola. La spiegazione più accettabile della grande diminuzione della mortalità e dell’aumento della popolazione che hanno preceduto i progressi in campo igienico è un miglioramento della nutrizione dovuto ad una maggiore disponibilità di generi alimentari. Thomas McKeown, L’aumento della popolazione nell’era moderna, 1976 I fattori della transizione demografica (crescita transitoria): 2. La crescita del commercio internazionale Sembra che la natura stessa si sia presa una cura particolare nel disseminare i suoi benefici tra le differenti zone del mondo, affinché i cittadini delle varie parti del mondo potessero avere una specie di interdipendenza e fossero uniti dal comune interesse. […] La natura certo ci offre lo stretto necessario alla vita, ma il commercio ci dà una gran varietà di ciò che è utile e nello stesso tempo ci fornisce quel che è comodo e ornamentale. […] Per questi motivi in una società non vi sono membri più utili dei mercanti. Essi legano l’umanità in uno scambio vicendevole di favori. Il commercio, senza allargare i territori britannici, ci ha dato una specie di impero in più. J. Addison, The spectator, 1711 Le origini dell’egemonia europea sul mondo. La formazione del sistema dell’economia-mondo Le origini dell’egemonia europea sul mondo. La formazione del sistema dell’economia-mondo Le origini dell’egemonia europea sul mondo. La formazione del sistema dell’economia-mondo Alle origini del predominio europeo sul mondo L'immagine del presente - paesi ricchi, da un lato, e paesi sottosviluppati, dall'altro - è già una realtà, con le dovute differenze, tra il XV e il XVIII secolo. Naturalmente (...) paesi ricchi e paesi poveri non sono restati immutabilmente gli stessi; la ruota ha girato. Le regole generali che governano il mondo non sono tuttavia mutate: la terra, strutturalmente, continua a dividersi tra privilegiati e non privilegiati. Esiste una specie di società a dimensioni mondiali, altrettanto gerarchizzata di una normale società e che rappresenta la sua immagine ingrandita, ma riconoscibile. Microcosmo e macrocosmo sono costruiti sui medesimo intreccio, sono fatti della medesima stoffa. Perché? […] Cominciamo dal vocabolario. È necessario utilizzare due termini: economia mondiale ed economia-mondo, di cui il secondo e più importante del primo. Per economia mondiale intendo l'economia del mondo globalmente inteso, il «mercato di tutto l'universo» F. Braudel, La dinamica del capitalismo, 1988 Fernand Braudel: Struttura di una economia-mondo Une économie-monde peut se définir comme une triple réalité: 1. Elle occupe un espace géographique donné; elle a donc des limites qui l'expliquent et qui varient, bien qu'avec une certaine lenteur. Il y a même forcément, de temps à autre, mais à longs intervalles, des ruptures. Ainsi à la suite des Grandes Découvertes de la fin du XVe siècle. 2. Une économie-monde accepte toujours un pôle, un centre, représenté par une ville dominante, jadis un Etat-ville, aujourd'hui une capitale, entendez une capitale économique 3. Toute économie-monde se partage en zones successives. Le cœur, c'est-à-dire la région qui s'étend autour du centre […] Puis viennent des zones intermédiaires, autour du pivot central. Enfin, très larges, des marges qui, dans la division du travail qui caractérise l'économie-monde, se trouvent subordonnées et dépendantes, plus que participantes. Dans ces zones périphériques, la vie des hommes évoque souvent le Purgatoire, ou même l'Enfer. Et la raison suffisante en est, bel et bien, leur situation géographique. [F. Braudel, La dynamique du capitalisme] Predominio europeo e ineguaglianze del mondo Il capitalismo vive di questa regolare suddivisione in piani verticali: le zone periferiche nutrono quelle intermedie e, soprattutto, le aree intorno al centro. Ma cos'è il centro se non la punta estrema della piramide, la superstruttura capitalistica dell'intera costruzione? E siccome esiste una reciprocità di prospettive, se il centro dipende dai rifornimenti della periferia, quest'ultima, a sua volta, dipende dai bisogni del centro che le impone la sua legge. Dopo tutto è l'Europa occidentale che ha trasferito - reinventandole - le forme dell'antico modello della schiavitù nei territori del nuovo mondo e che ha «indotto», per le esigenze della sua economia, il secondo servaggio nell'Europa dell'Est. Di qui prende rilievo l'affermazione di Immanuel Wallerstein: il capitalismo è una reazione dell'ineguaglianza del mondo; perché possa svilupparsi gli è necessaria la connivenza dell'economia internazionale. Il capitalismo è figlio dell'organizzazione di uno spazio sicuramente smisurato. Non sarebbe divenuto così forte in uno spazio limitato, forse non si sarebbe sviluppato affatto, senza la possibilità di utilizzare il lavoro ancillare di altri. F. Braudel, La dinamica del capitalismo, 1988 1000-1700 Crescita totale Crescita procapite Produzione di cereali Da 2 a 4 volte Da 1 a 2 volte Produzione di ferro Da 4 a 9 volte Da 2 a 3 volte Produzione di fibre tessili Da 2 a 4 volte Da 1 a 2 volte Produzione di energia Da 2 a 6 volte Da 1 a 2 volte Commercio internazionale Da 6 a 12 volte Da 3 a 4 volte Popolazione Da 2 a 4 volte Produzione totale Da 2 a 3 volte … crescite industriali Crescite preindustriali e…. 1700-1990 Crescita totale Crescita procapite Produzione di cereali 14 volte 2 volte Produzione di ferro 2000 260 volte Produzione di fibre tessili 29 volte 4 volte Produzione di energia 280 volte 36 volte Commercio internazionale 920 volte 120 volte Popolazione 44 volte Produzione totale Da 2 a 3 volte Un divario che cresce. Paesi leader, Paesi sviluppati, Terzo mondo: redditi a confronto, 1750-1995 Paesi leader (UK fino al 1860 poi USA) Paesi sviluppati Paesi del Terzo mondo 1750 230 182 188 1800 242 198 188 1860 575 324 174 1913 1350 662 192 1950 2420 1050 200 1995 5230 3320 480 Un divario che cresce. Paesi leader, Paesi sviluppati, Terzo mondo: redditi a confronto, 1750-1995 Comment peut-on mesurer le phénomène [de la croissance]? Si l’on reste à la définition matérielle de la croissance, la croissance du PNB est le meilleur indice. La croissance de cet index recouvre, en effet, une réalité certaine. Elle signifie que le flux de bien matériels produit chaque année augmente. […] Elle correspond à l’existence réelle de biens: plus le PNB est élevé, plus les biens dont on peut disposer, le niveau éducatif et sanitaire sont importants. En ne mesurant les biens collectifs que par leur coût de production, le PNB sous-évalue un grand nombre d’aspects de la croissance (tels l’éducation, la santé, les espaces verts, etc) et oublie de déduire l’ensemble des coûts de pollution et de nuisance que la pollution entraîne. Ainsi ses variations n’ont pas grand chose à voir avec l’évolution réelle du bien-être des citoyens. Le PNB augmentera avec les embouteillages (car la consommation d’essence augmentera), avec les accidents de voiture (car les garagistes augmenteront leur chiffre d’affaires) si Notre-Dame est remplacée par un immeuble de bureaux. Par contre il ne décroitra pas si les dépenses de santé diminuent d’autant qu’augmente celles d’armement. Ces quelque exemples suffisent à révéler ce que décrit en réalité le PNB: l’expansion de l’économie marchande quelles que soient ses formes, en négligeant les activités non marchandes et les sujétions extérieures au marché Jacques Attali, La croissance économique, in Encyclopedia Universalis, 1973 La crescita. Una nozione ambigua L’Indice di sviluppo umano (HDI) Molto Alto / Alto / Medio / Basso / Dati non disponibili Indicatore di sviluppo macroeconomico (reso anche con la sigla ISU) elaborato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq, recepito dall’ONU come misuratore della qualità della vita dei paesi. L’ISU si affianca al PIL (Prodotto interno lordo), strumento utilizzato convenzionalmente per misurare la ricchezza dei singoli stati, e si inscrive nella logica della misurazione dello sviluppo umano che amplia la prospettiva della semplice crescita economica per definire il livello di sviluppo dei singoli paesi (è utilizzato con lo stesso fine anche per regioni e singole città). Questo indice si fonda sulla sintesi di tre diversi fattori: il PIL pro capite, l’alfabetizzazione e la speranza di vita. (in www.treccani.it / http://s.deascuola.it/lo-sviluppo-umano/) Mappa dell'indice di sviluppo umano (Report 2015, basato su dati 2014, pubblicato il 14 dicembre 2015) Intervista a Serge Latouche (Vincenzo R. Spagnolo, da "L'Avvenire", 12 febbraio 2000) Dunque, professor Latouche, lei sostiene che persino l'idea stessa di sviluppo è in crisi. Senza dubbio. [...] l'avvento della globalizzazione ha mandato in frantumi il quadro statale delle regolamentazioni, permettendo alle disuguaglianze di svilupparsi senza limiti e segnando la comparsa del cosiddetto "trickle down effect", ossia la distribuzione della crescita economica al Nord e delle sue briciole al Sud. Dal 1950, la ricchezza del pianeta è aumentata sei volte, eppure il reddito medio degli abitanti di oltre 100 Paesi del mondo è in piena regressione e così la loro speranza di vita. Si sono allargati a dismisura gli abissi di sperequazione: le tre persone più ricche del mondo possiedono una fortuna superiore alla somma del prodotto interno lordo dei 48 Paesi più poveri del globo. [... ] Qual è la cura, allora, a suo parere? C'è un vecchio proverbio che suona più o meno così: "se hai un martello conficcato in testa, tutti i tuoi problemi avranno la forma di chiodi". Dobbiamo levarci dalla testa il martello dell'economia, decolonizzare il nostro immaginario dai miti del progresso, della scienza e della tecnica. Far tramontare l'onnipotenza dell'"assolutismo razionale" che crede di poter assoggettare ogni cosa al suo volere e sostituirlo col "ragionevole", che si adegua alle mutate condizioni della natura. Questo è il primo sforzo a livello concettuale. Concretamente, poi, bisogna proseguire nell'opera di contrasto della "megamacchina" dello sviluppo. E come? [...] È necessario [...] affiancare alla guerra di trincea il concetto di "nicchia", un luogo cioè dove progettare una seria alternativa da estendere poi a grandi settori della società. Io studio da anni certe economie cosiddette "informali", che sono in realtà veri e propri laboratori del dopo-sviluppo. Si riferisce al tipo di società basata sulle relazioni interpersonali descritta nel suo libro L'altra Africa? Esattamente. [...] In realtà le migliaia di piccole imprese e il colorato insieme di mestieri (dalle intrecciatrici di strada ai bana-bana, commercianti ambulanti che vendono alle donne senza frigorifero olio "sfuso" o sacchetti di latte in polvere) non possono essere etichettati semplicemente come "naufraghi dello sviluppo". Essi sopravvivono perché hanno prodotto un tipo di società basata non sui rapporti economici ma sul valore delle relazioni sociali e sulla logica del dono. Intendiamoci, parlo di una società non assolutamente affrancata dal mercato ma che, comunque, non obbedisce supinamente alla logica mercantile. In questo tipo di società, che io chiamo vernacolare, ciascuno investe molto nei legami interpersonali, da in prestito denaro, beni materiali e perfino tempo o lavoro. Lo fa senza pensare a un tornaconto immediato, perché reputa importante crearsi un gran numero di "cassetti", per usare un'espressione della periferia di Dakar, cioè di persone debitrici a cui attingere in caso di bisogno. Un po' come le esperienze che noi occidentali stiamo riscoprendo e che vanno sotto il nome di "banca del tempo" o "local exchange trade systems" (sistemi di scambio locale).