Un aforisma al giorno 2

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Un aforisma al giorno 2
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Rassegna Stampa del giorno 7 FEBBRAIO 2011
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UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“
l’
educazione è un tesoro
che nessuno potrà venderti
e nessuno potrà rubarti!
”
(proverbio tibetano)
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Libertà d’impresa, incentivi, Sud e casa
Così il piano per rilanciare l’economia
Mercoledì il pacchetto sul tavolo del Consiglio dei ministri
ROMA — Si arricchisce il menu del piano scossa per l’economia che il premier, Silvio Berlusconi,
porterà mercoledì sul tavolo del Consiglio dei ministri Accanto alla riforma dell’articolo 41 della Costituzione (e del 118), e al rispolvero del Piano casa, il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, potrebbe portare un decreto per la riforma degli incentivi alle attività economiche e il riassetto
degli enti deputati all’internazionalizzazione delle imprese. Mentre, per dare un segno concreto di rilancio del Piano per il Sud, già varato, il governo potrebbe dare già mercoledì il via libera alla realizzazione di alcune grandi opere, come l’Alta velocità ferroviaria (Bari-Napoli, Palermo-Messina), nuovi
lotti della Salerno Reggio e il completamento della Olbia-Sassari. Grandi opere Sono infrastrutture
immediatamente cantierabili e il lavoro di preparazione è già stato fatto. In questi mesi il ministro degli
Affari regionali, Raffaele Fitto, ha lavorato insieme al titolare dell’economia, Giulio Tremonti, per fare
l’inventario delle risorse a disposizione. Tra i fondi europei e il Fondo per le aree sottosviluppate, il
Piano Sud può contare su 80 miliardi di euro. Ma sono sulla carta, e soprattutto, nelle mani delle Regioni, con le quali Fitto ha ingaggiato un vero e proprio braccio di ferro, puntando alla riprogrammazione degli interventi e soprattutto sulla loro concentrazione. I settori di intervento sono stati individuati. Scuola e formazione, legalità, sicurezza, ricerca, innovazione, cui si aggiunge tutto il capitolo
degli incentivi alle imprese, che il ministro Romani sta riorganizzando. Nuovi stimoli L’obiettivo è
quello di eliminare le oltre 30 leggi che regolano gli aiuti pubblici alle imprese (ce ne sono 100 nazionali e 1.400 regionali!) e riordinarli in tre filoni: quelli automatici (crediti d’imposta e voucher), quelli
legati al finanziamento di programmi specifici e quelli destinati agli accordi negoziali per i grandi progetti di ristrutturazione. Alle imprese verrebbe garantito un accesso assai più semplice ai fondi, con
domande semplificate e procedure di erogazione più rapide, e circa metà di tutte le risorse a disposizione sarebbero riservate per legge alle piccole e medie imprese. Non si esclude che il ministero dello
Sviluppo possa presentare mercoledì anche il nuovo assetto degli enti pubblici che curano
l’internazionalizzazione delle imprese, con la riforma dell’Ice e l’alleggerimento della sua struttura estera, che verrebbe collegata alle ambasciate. Sul tavolo di Romani, poi, c’è sempre la legge annuale
per le liberalizzazioni, con la quale dovrebbero almeno essere recepite le sollecitazioni d’intervento
dell’Antitrust su alcuni settori economici. Sgravi fiscali Del Piano Sud immaginato da Silvio Berlusconi fanno parte anche gli sgravi fiscali per la creazione di nuove imprese. Si tratterà di dare attuazione al decreto del luglio scorso, che permette alle Regioni di ridurre, fino ad azzerarla, l’Irap per le nuove iniziative economiche. Per concedere gli incentivi, che potranno avere anche la forma di detrazioni
e deduzioni di imposta, tuttavia, le Regioni dovranno ricorrere ai fondi del proprio bilancio. Sempre
mercoledì, poi, il governo potrebbe approvare un disegno di legge delega per ridefinire i meccanismi
di deducibilità dell’Irap dalle imposte sui redditi. Per ridare impulso all’attivit à e c o n o m i c a
(l’obiettivo dichiarato è quello di arrivare a una crescita economica del 3-4%nei prossimi cinque anni),
Silvio Berlusconi punta soprattutto sul Piano casa. Molte Regioni hanno messo paletti agli ampliamenti delle abitazioni, ma anche per la crisi economica, che fa scarseggiare le risorse, le domande per
l’avvio dei cantieri sono pochissime, salvo in Veneto e in Sardegna. Impegni sulla casa Il governo lavora su un nuovo modello di legge regionale da presentare al vaglio dei governatori, ma per tirare fuori
il Piano dalle secche, Berlusconi punta anche a una forte campagna di comunicazione e di convincimento degli amministratori locali. Come del resto fece già a Sesto San Giovanni, facendo giurare a tutti i candidati governatori del centro destra «l’immediata attuazione del piano casa finora ostacolata dalRassegna Stampa del giorno 7 FEBBRAIO 2011
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la sinistra» . Il cardine del piano «scossa » resta, tuttavia, il nuovo articolo 41 della Costituzione sulla
libertà d’impresa. Secondo il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, rovesciare l’impostazione attuale, arrivando al principio che «è tutto permesso salvo ciò che non è esplicitamente vietato» , significherebbe «una vera e propria rivoluzione» . Costituzione liberale Il nuovo articolo 41 avrebbe tutt’altro
che valenza virtuale o psicologica. Consentirebbe di reinterpretare secondo i nuovi principi la normativa esistente, e dunque di disapplicare tutte le leggi vigenti che ne risultano in conflitto. Il testo del disegno di legge di riforma costituzionale è ancora all’esame dei giuristi di Palazzo Chigi. Nelle ultime
riunioni ci si è orientati sul «restauro» dell’attuale articolo 41, più che sulla sua riscrittura. La garanzia
di libertà prevista dal primo comma non riguarderebbe più «l’iniziativa economica privata» , ma
«l’attività economica privata» . E salterebbe il terzo comma, secondo il quale «la legge determina i
programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali» , considerato troppo dirigistico. Possibile che il ddl punti anche alla modifica dell’articolo 118, specificando che Regioni ed Enti locali «garantiscono» , e non più «favoriscono» l'autonoma iniziativa per lo svolgimento di attività di interesse generale.
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Romani: Fiat deve restare
una multinazionale italiana
Il titolare dello Sviluppo: puntiamo sull’industria e l’auto è un settore strategico
ROMA— Paolo Romani, ministro per lo Sviluppo economico, si dice ottimista sul futuro italiano della
Fiat. Anche perché parte da un punto fermo: «La testa della casa automobilistica deve restare a Torino» dice. E poi spiega che per lui e per il governo «testa» significa non solo la direzione generale «ma
anche il centro delle decisioni sui programmi e sulle strategie» . La Fiat insomma dovrà continuare a
essere «una multinazionale italiana» . Cosa dire allora delle notizie che arrivano dagli Usa? Lo scenario di una fusione tra l’industria torinese e l’americana Chrysler con conseguente spostamento della
stanza dei bottoni a Detroit è una cosa da fantarealtà? Il ministro ha pochi dubbi a proposito anche se,
afferma, occorre fare tutte le verifiche del caso e ottenere tutti i chiarimenti necessari. «Ho sentito Sergio Marchionne al telefono, e mi ha detto che sono solo battute» , rivela Romani aggiungendo che comunque la questione sarà al centro di colloqui non solo telefonici non appena il manager farà rientro in
Italia. In agenda ci sono già due appuntamenti: quello già previsto la prossima settimana per firmare
l’accordo di programma per lo stabilimento di Termini Imerese e quello di Palazzo Chigi, appena annunciato e deciso per chiarire appunto l’intera situazione. «Ne ho parlato con Letta e Berlusconi e abbiamo concordato che sulla questione deve intervenire il governo al massimo livello» riferisce. È troppo importante, afferma, per non occuparsene con tutte le forze in campo. Già perché, spiega ancora il
ministro, il governo ha scelto la sua politica industriale, «ha deciso di fare come la Germania e di conservare, potenziandola, la produzione manifatturiera» . In quest’ottica «l’industria dell’auto per l’Italia
è strategica» e la Fiat «dovrà coniugare» il suo sviluppo di multinazionale alla conquista dei mercati
mondiali con tale impostazione. Sergio Marchionne, prosegue Romani, ha ottenuto quello che aveva
chiesto, nuove relazioni industriali e la soluzione del problema dello stabilimento di Termini Imerese
che «il governo e la Regione Sicilia hanno risolto senza provocare contrasti sociali» . L’esecutivo cioè
per l’insediamento siciliano «ha fatto fino in fondo la sua parte come doveva» , spiega ancora Romani.
È ovvio quindi aspettarsi che la Fiat faccia la sua di parte. E cioè gli investimenti programmati,
l’aumento di vetture prodotte, le nuove piattaforme i restyling. In pratica, continua il ministro,
dall’amministratore delegato del gruppo il governo vorrà sapere «come saranno spalmati» gli investimenti italiani perché in base al progetto di Fabbrica Italia «la Fiat avrà nel nostro Paese più dipendenti
di prima, produrrà più di prima, movimenterà un indotto del 10%e sarà quindi un fattore fondamentale
dell’economia» . Preoccupato che qualcosa vada storto? «Non vedo perché, io comunque sono ottimista di natura» dice il ministro. «E poi prima Marchionne si lamentava perché in Italia secondo lui si
dava più peso alla demagogia che agli investimenti. O perché i media amplificavano i contrasti sindacali. Ma ora mi pare che il clima sia cambiato» . Per prima cosa, comunque, aggiunge Romani, bisogna
chiudere il dossier di Termini Imerese, che è stato il problema più grosso da risolvere. «Abbiamo fissato per il 16 febbraio la firma dell’accordo di programma ed è ovvio e scontato che la Fiat sia presente e
partecipi a tutti i passaggi. In fondo lo stabilimento sarà suo fino alla fine dell’anno» , dice il ministro.
Che poi si sofferma sulla scelta dell’Italia di concentrarsi sull’industria manifatturiera, sulla scia della
Germania. «Non c’è solo l’auto, ma anche il tessile, l’alimentare, il meccanico e il chimico sui cui
stiamo lavorando» , afferma ponendo l’accento proprio sulla chimica e sulla soluzione raggiunta per
Porto Marghera, dove è previsto un investimento di 220 milioni da parte di un fondo svizzero
nell’ambito dell’acquisizione dei tre stabilimenti ex Vynils e per quelli di Porto Torres, dove l’Eni investirà per produrre energia verde 450 milioni.
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Il governo chiama Marchionne
Vertice con premier e ministri
Confronto su ipotesi di trasferimento e programma di investimenti
ROMA — Sul caso Fiat scenderà in campo il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il premier
incontrerà infatti l’amministratore delegato della casa automobilistica, Sergio Marchionne, per chiarire
l’ipotesi arrivata dagli Usa di un trasferimento a Detroit del quartier generale del gruppo diventato italoamericano con l’acquisizione della Chrysler. La data non è stata fissata ma, considerati gli impegni
della squadra del governo— oltre a Berlusconi parteciperanno al confronto i ministri dell’Economia,
Giulio Tremonti, dello Sviluppo, Paolo Romani, e del Lavoro, Maurizio Sacconi e il sottosegretario alla Presidenza Gianni Letta — dovrebbe essere tra venerdì sera e domenica prossimi. A chiedere una
convocazione del manager a Palazzo Chigi ieri era stato anche il leader dell’Italia dei valori, Antonio
Di Pietro, secondo il quale il governo dovrebbe rivolgere «tre semplici domande» a Marchionne. E
cioè «qual è nel dettaglio il piano industriale per tutti gli stabilimenti italiani. Dove prenderà la Fiat i
soldi per arrivare al 51%in Chrysler e cosa ne farà degli ulteriori 4 miliardi chiesti al sistema bancario
italiano» . Ieri intanto il ministro Sacconi è tornato a tranquillizzare sulle reali intenzioni della Fiat negando che ci sia l’intento di fare trasferimenti americani. Ma i sindacati, Cgil in testa, sono preoccupati
e non si fidano delle rassicurazioni del presidente del gruppo, John Elkann, il quale sabato aveva spiegato al sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, che ci saranno più centri direzionali nelle aree dove c'è
una forte presenza di mercato. «Dire che l'azienda avrà più teste può essere al contrario un modo per
ammettere i progetti di esodo dall'Italia» ha affermato Vincenzo Scudiere, segretario confederale della
Cgil, per il quale le parole di Marchionne e di Elkann «preoccupano anche di più di altre. Nessuno conosce ancora il piano industriale della Fiat e ora spetta solo al governo italiano chiederne conto all'amministratore delegato del Lingotto» . Più disteso il commento del segretario generale della Cisl,
Raffaele Bonanni, che non condivide i timori della Cgil. «La Fiat sei anni fa era morta, oggi si è ripresa, è diventata una multinazionale ed è chiaro che avrà la testa un po'in Europa e un po'in Usa» , ha affermato pur rilevando che Marchionne deve comunque chiarire che «le funzioni vitali» della Fiat resteranno a Torino. Dove il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota ha sostenuto che il Lingotto
crede «in Torino e nella possibilità di avere lì le produzioni, non soltanto gli uffici di rappresentanza,
ma gli stabilimenti con gente che lavora» . Sempre sul fronte sindacale il segretario generale dell'Ugl,
Giovanni Centrella, ha invece chiesto che «dopo il presidente del Consiglio, Marchionne incontri anche i sindacati, insieme a tutto il governo per chiarire definitivamente il futuro del Gruppo Fiat nel nostro Paese e i dettagli del progetto Fabbrica Italia» . S. Ta.
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La Fiat verso gli Stati Uniti
il premier convoca Marchionne
Cgil pessimista: l’ad non ci tranquillizza affatto
TORINO. - Il governo convoca Marchionne per chiarimenti. Un incontro cui sta lavorando in queste
ore il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. Una scelta in qualche modo obbligata
eppure senza precedenti. L´ad del Lingotto aveva varcato la soglia di palazzo Chigi il 22 dicembre del
2009 per illustrare al governo il piano di rilancio degli stabilimenti italiani. Ma allora il clima era decisamente diverso. Non c´era ancora stato il braccio di ferro su Pomigliano e non erano nemmeno
all´orizzonte le lacerazioni del referendum di Mirafiori. Marchionne nell´occasione aveva presentato
«un piano di investimenti da 8 miliardi per il 2010 e il 2011 in Italia».
La data del nuovo incontro verrà decisa nelle prossime ore. Molto dipende dall´agenda
dell´amministratore delegato. Che dovrebbe giungere in Italia venerdì mattina direttamente da Detroit.
Certamente la riunione dovrà svolgersi a Palazzo Chigi e dovrebbe vedere, accanto a Berlusconi e
Letta, la partecipazione di alcuni ministri: da quello dello Sviluppo, Paolo Romani, a quello del Lavoro,
Maurizio Sacconi, a quello dell´Economia, Giulio Tremonti.
La stessa composizione del tavolo dice che il governo è preoccupato dalla sortita di Marchionne in
America sul fatto che una fusione tra Fiat e Chrysler potrebbe far nascere una società unica con il
quartier generale negli Usa. Le dichiarazioni di John Elkann, fatte due giorni fa al sindaco di Torino,
Sergio Chiamparino, e confermate ieri dal presidente del Piemonte, Roberto Cota, non sembrano
rassicurare troppo. «Non ci sarà un solo centro direzionale - sostiene il presidente del Lingotto - ma
diversi luoghi di comando nelle diverse aree del mondo». L´ipotesi lascia diffidenti i sindacati: «Diffondere l´idea di una Fiat con tante teste - dice il segretario della Cgil, Vincenzo Scudiere - rischia di
essere un modo elegante per annunciare l´esodo del quartier generale dall´Italia». Sulla stessa lunghezza d´onda il commento della Fiom: «Dire che la nuova società avrà tante teste - sostiene Giorgio
Airaudo - è come pensare a un giornale con due prime pagine. In tutte le aziende del mondo il quartier generale è uno solo». Anche chi, come il leader della Cisl Raffaele Bonanni, ha sostenuto con
forza il progetto di Marchionne in Italia, ammette che «un chiarimento è necessario». Anche se Bonanni si augura «che sia la solita bolla mediatica»: «In ogni caso - dice al Tg3 - non credo che Marchionne lascerà l´Italia». Per il leader dell´Ugl, Giovanni Centrella, «dopo aver incontrato Berlusconi e
i ministri, è giusto che Marchionne veda anche i sindacati».
In ogni caso dopo la riunione di fine settimana con il governo, l´amministratore delegato del Lingotto
parlerà il 15 febbraio a Montecitorio per illustrare il piano di fabbrica Italia alla Commissione attività
produttive della Camera.
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Marchionne ha usato la parola “shyster”, che ha un sapore antisemita. “Mi rincresce, il
termine era inappropriato”
Gaffe con Obama di Sergio l’americano
definisce “usurai”i suoi prestiti, poi si scusa
“Quei prestiti, da usura, sono una spina nel fianco di cui voglio liberarmi il prima possibile”.
Poi la rettifica: “Mi rincresce, considero quella parola inappropriata. I tassi erano giustificati
all’
epoca, oggi sono superiori alle condizioni di mercato”
NEW YORK - Sergio Marchionne chiede scusa a Barack Obama, per aver deprecato gli alti tassi
d´interesse imposti dall´Amministrazione Usa sui suoi prestiti alla Chrysler. Si chiude così l´altro incidente provocato dalla "galeotta" conferenza di San Francisco, la stessa convention dei concessionari
dove il chief executive aveva ventilato la possibilità di trasferire qui in America il quartier generale
dell´intero gruppo Chrysler-Fiat. Le pronte scuse al governo di Washington hanno evitato che si aprisse un nuovo fronte: Marchionne non può permettersi uno screzio con Obama che a tutt´oggi è uno
dei suoi maggiori azionisti. In seguito alla bancarotta e al salvataggio di Stato, il governo americano
possiede una quota di capitale del 9,2% e quello canadese il 2,3%. Inoltre Marchionne è ancora in
cerca di crediti dallo Stato. La Chrysler ha chiesto al Dipartimento dell´Energia nuovi prestiti pari a 3,5
miliardi di dollari per finanziare lo sviluppo di motori più "puliti" e a minor consumo di carburanti fossili.
Il ministero non ha ancora risposto a quella richiesta. Dunque marcia indietro e tante scuse a Washington, per aver definito i suoi prestiti «una spina nel fianco di cui voglio liberarmi al più presto», e
soprattutto avergli appioppato l´aggettivo "shyster". Un termine che secondo il dizionario descrive "politici senza scrupoli, affaristi fraudolenti". Già abbastanza offensivo così. Inoltre se riferito al mondo del
credito evoca inevitabilmente la figura dell´usuraio e come tale «può tingersi di anti-semitismo», come
ha subito rilevato il New York Times costringendo un portavoce della Fiat a smentire «ogni interpretazione antisemita». Nel frattempo sul sito del gruppo erano già apparse le sentite scuse del chief
executive. «Ho usato un termine che ha sollevato preoccupazioni - si legge nella dichiarazione di
Marchionne - con riferimento ai tassi sui prestiti pubblici. Mi rincresce e considero quel termine inappropriato». Lungi dal comportarsi come usurai, l´ad ha ricordato "con gratitudine" che i due governi
americano e canadese fornirono "un´assistenza finanziaria cruciale" per la sopravvivenza
dell´azienda in una fase in cui i banchieri si erano defilati. «Essendo gli unici disposti a sobbarcarsi il
rischio legato al salvataggio della Chrysler - ha ricordato Marchionne - i due governi imposero dei tassi d´interesse che, pur essendo giustificati a quell´epoca, oggi sono superiori alle condizioni di mercato». Di qui l´urgenza di ripagare quei prestiti "alla prima opportunità". I crediti in questione, erogati dai
governi nel 2008 e 2009, sono di 5,8 miliardi di dollari per gli Usa e 1,3 miliardi per il Canada. Il tasso
medio è dell´11%, con punte anche superiori, che per alcune tranches arrivano al 20%. Tassi elevati,
ma lo stesso Marchionne ha ammesso che «all´epoca il sistema bancario era praticamente chiuso, e
a noi non avrebbe fatto credito neppure un Seven-Eleven» (catena di mini-market diffusi anche nelle
stazioni di servizio, ndr). Nel 2010 la Chrysler ha pagato 1,23 miliardi di interessi passivi sui suoi debiti, e questa è la causa principale del bilancio in rosso con cui si è chiuso l´esercizio. Marchionne ha
contattato Goldman Sachs e altre banche per organizzare un rifinanziamento a condizioni meno onerose, prima di lanciare il collocamento in Borsa previsto nella seconda metà di quest´anno. Il Tesoro
Usa non ha commentato l´uscita di Marchionne, né prima né dopo le scuse. E´ noto che Obama attende con impazienza il collocamento in Borsa per uscire dal ruolo di azionista e recuperare, possibilmente con profitto, i finanziamenti erogati. Nella stessa posizione si trova il sindacato metalmeccanico Uaw, il cui fondo-pensione ha una quota ancora superiore (due terzi del capitale) ma intende dismetterla con il collocamento per rifinanziare le prestazioni previdenziali e sanitarie ai lavoratori
Chrysler.
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Governo rassegnato: timone a Detroit
ma chiederemo garanzie su Torino
“In Italia resti almeno il centro direzionale europeo”
È chiaro anche all´esecutivo che Fiat-Chrysler sarà una società con sede legale in Usa
Chrysler sarà una società americana. Avrà negli States la sua sede legale, applicherà le leggi di quel
paese. Per molti analisti era scontato che sarebbe finita così fin dai primi passi del matrimonio tra i
due gruppi automobilistici. Ma adesso se n´è praticamente convinto anche il governo italiano. Quasi
rassegnato. La mossa di Palazzo Chigi di convocare Marchionne alla fine della settimana significa
questo. E dà il senso di un cambio di rotta e pure di nuovi scenari, industriali, sindacali e politici.
Perché l´iniziativa di chiamare a Roma il manager italo-candese non si inserisce solo in quella specie
di nuovo corso, suggerito al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, dal direttore del Foglio, Giuliano Ferrara, che vedrebbe l´economia al centro dell´azione di governo (mercoledì è previsto il varo
del cosiddetto piano per la crescita), ma nasconde la preoccupazione vera che Torino, la città della
Fiat e dell´auto italiana, diventi periferia di Detroit. Marginale, insomma. Uno smacco anche per un
governo che ha fatto dell´assenza della "vecchia" politica industriale dal sapore dirigista quasi un vanto.
«Non siamo preoccupati più di tanto», ridimensionava ieri sera il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che in questa partita ha deciso di giocare un ruolo chiave. È lui - e non il titolare dello Sviluppo,
Paolo Romani, cui spetterebbe istituzionalmente - che si è precipitato a chiamare Marchionne dopo le
dichiarazioni rilasciate dal manager a San Francisco dalle quali si capiva chiaramente che la centralità di Torino nel futuro Fiat-Chrysler non ci sarà. Nella telefonata dell´altro ieri con Sacconi, Marchionne ha esposto il progetto dei quattro head-quarter o centri direzionali e progettuali mondiali (Detroit
per l´America settentrionale, il Brasile per l´America meridionale, l´Italia per l´Europa, e uno asiatico
per l´estremo oriente), ma non ha affatto garantito che il nuovo gruppo multinazionale proseguirà ad
avere la sua sede legale a Torino. Ha confermato, piuttosto, quello che aveva detto in California: «La
base della nuova società (frutto della fusione Fiat-Chrysler) potrebbe essere qui». Ecco. D´altra parte
il salvataggio della Chrysler potrebbe avere una serie di conseguenze sul piano finanziario e su quello
legale da imporre la sede negli Stati Uniti. Oltreché il fatto che gli americani mal vedrebbero
un´acquisizione da parte di un gruppo straniero.
E, dunque, chi - dopo quella telefonata partita dall´Italia verso gli States - ha avuto modo di parlare in
privato con Sacconi sa anche che il ministro trevigiano si è convinto che l´ipotesi americana sia molto
concreta, quasi scontata. Se, al contrario, avesse avuto rassicurazioni sul futuro "italiano" della Fiat,
non avrebbe certo organizzato con il sottosegretario Gianni Letta la convocazione di Marchionne.
Ora il problema per il governo è ottenere certezze sulla missioni non solo produttive ma anche direzionali e progettuali di Torino. Perché, insomma, stia in Italia l´head-quarter per l´area e il mercato
dell´Europa e anche dei paesi emergenti del nord Africa. «È molto probabile che sia così - dice Giuseppe Berta, storico dell´industria alla Bocconi - ma non è scontato». Ed è proprio questo che teme il
governo: che il futuro di Torino non sia scontato. C´è il timore che gli scontri durissimi che ci sono stati
prima a Pomigliano e poi a Mirafiori, possa portare Marchionne (seccato e infastidito anche per la ridda di polemiche seguite dalle sue dichiarazioni californiane) a spostare addirittura tutto in Polonia, in
quella Tichy che oggi con un solo stabilimento produce quanto le quattro fabbriche della Penisola.
Una multinazionale - come la Fiat - non può escluderlo. Sono solo ipotesi. Tuttavia è certo che una
volta stabilizzata la sede legale negli Stati Uniti, in Italia si importerebbe il "modello brasiliano" con un
centro direzionale molto leggero per definire le strategie produttive e di marketing per quel mercato.
Un vero ridimensionamento per Torino.
Ma per vincolare Marchionne, il governo Berlusconi sa di avere poche armi a disposizione. «Non ci
sono soldi», ripete come un mantra il ministro Tremonti. E senza soldi è difficile mettere in campo politiche a sostegno dell´industria. Sacconi parla di «politiche di contesto», di regole per favorire le attività industriali, anche per «consolidare» le scelte di Marchionne per Fabbrica Italia. Che il governo in
extremis ha deciso di abbracciare. Questo rivendicherà l´esecutivo davanti a Marchionne nella prossima riunione di Palazzo Chigi. Troppo poco per impedire che la nascente multinazionale FiatChrysler abbia sede a Auburn Hills, contea di Oakland, Stato del Michigan, Stati Uniti d´America.
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La Fiba-Cisl
Vi augura
una giornata serena!!
Arrivederci a domani 8
per una nuova
rassegna stampa!
Rassegna Stampa del giorno 7 FEBBRAIO 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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