Linguistica Romanza Varvaro
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Linguistica Romanza Varvaro
Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Parte A Introduzione 1 cHE COSA È LA LINGUISTICA ROMANZA La linguistica romanza studia in ogni loro aspetto tutte le parlate che hanno origine da una evoluzione della lingua latina. Proprio per questo le lingue romanze si chiamano anche neolatine. Secondo la distinzione delle lingue che risale a August Wilhelm Schlegel si possono distinguere lingue isolanti, agglutinanti e flessive. Le prime sono le lingue in cui ogni parola corrisponde ad uno e un solo morfema, le agglutinanti sono quelle in cui in una parola si combinano più morfemi invariabili e ben distinguibili tra di loro, le lingue flessive sono quelle in cui ogni parola combina più morfemi non necessariamente distinti e di forma variabile, come accade per il latino. In realtà i tre tipi isolante, agglutinante e flessivo non si trovano mai in forme pure; le lingue reali si approssimano più ad uno o ad un altro ma con gradazioni molto sottili. Tutte le lingue romanze rientrano con modalità varie nel tipo flessivo, ma l’identificazione di tali lingue non è tipologica, bensì genealogica: si fa riferimento ad una famiglia linguistica, che ha a capo una lingua madre. All’inizio del XIX secolo fu riconosciuta la fondamentale affinità di un gruppo assai cospicuo di lingue che include il latino, il greco, il tedesco, il russo, l’albanese, l’armeno, il persiano e il sanscrito. Questa affinità fu dimostrata non sulla base di evidenze, ma di rigorose corrispondenze tra morfemi e suoni. Essa fu spiegata con la comune origine di tutte questa lingue da un capostipite unico: l’indoeuropeo. Postulando cioè una lingua di cui non si ha alcuna traccia, ma è l’unico strumento possibile per spiegare tali affinità. Poco a poco la metafora genealogica fu utilizzata anche per ipotizzare fasi intermedie anch’esse scomparse, per spiegare la somiglianza tra loro di alcuni gruppi di lingue indoeuropee rispetto alle altre. Le lingue romanze sono dunque una ramificazione particolare della famiglia indoeuropea; il solo caso conosciuto e documentato in cui da una lingua ben attestata come il latino sia nata un’intera famiglia. Può accadere però che i dati siano contraddittori. Accade che ci siano lingue in cui il lessico è in maggioranza romanzo ma il sistema grammaticale no. Come accade per l’inglese, considerata per questo lingua germanica. Analogo è il caso del romeno che consideriamo lingua romanza anche se gran parte del suo lessico non è latino. La linguistica romanza include dunque lo studio di ogni aspetta, antico e moderno delle lingue romanze. Essa ha un versante diacronico ed uno sincronico, oltre ai settori tradizionali come la fonetica, la morfologia, la sintassi e la lessicologia include anche la dialettologia, la sociolinguistica, la pragmatica e la tipologia delle lingue romanze di ieri e di oggi. 2 BREVI CENNI DI STORIA DELLA LINGUISTICA ROMANZA Conosciamo già dal medioevo riflessioni sulle lingue romanze. I collezionatori sei e settecenteschi di campioni di lingue non avevano riconosciuto però l’appartenenza al gruppo romanzo di numerose varietà europee. Mancava un Pagina 1 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro metodo che permettesse una sistemazione scientifica delle ricche conoscenze in questo campo. È l’acquisizione del metodo comparativo elaborato dalla linguistica indoeuropea a fornire la consapevolezza che le corrispondenze devono essere regolari, costanti e verificabili. Ciò permette al tedesco Diez di produrre una grammatica comparata delle lingue romanze e poi un vocabolario etimologico della famiglia. Nella seconda metà dell’800 si realizza un gran numero di edizioni scientifiche di testi letterari e non letterari medievali; parallelamente si sviluppa l’attenzione ai dialetti parlati soprattutto ad opera del goriziano Isaia Ascoli. Tra il 1866-1868 il tedesco Schuchardt mise in rilievo la complessità dei rapporti con il latino, indagando di questa lingua non i testi normalizzati dalla letteratura, ma le innumerevoli deviazioni della norma documentale degli scritti più umili o rozzi. Ci si rendeva così conto che le lingue romanze non sono lo sviluppo dell’uso scritto di Cicerone odi Virgilio ma del complesso delle forme del latino parlato nell’impero romano. Egli metteva in rilievo l’importanza della variazione continua e della diffusione della innovazioni nello spazio e sottolineava il peso della mescolanza linguistica. Diventò così centrale il problema dell’esistenza o meno di confini linguistici sul terreno, problema che dette la spinta alla realizzazione di atlanti linguistici basati su inchieste dirette. Il francese Jules Gilléron fu autore del primo atlante linguistica nazionale, nasce così la geografia linguistica. Alla metà del novecento la linguistica romanza soffre molto il trionfo della linguistica strutturale che si richiama a Saussure. La linguistica romanza ormai si è comunque estesa a tutti i paesi romanzi europei ed extraeuropei, e alla maggior parte di quelli non romanzi. Parte B 3 Le lingue romanze oggi GEOGRAFIA ED IDENTITÀ DELLE LINGUE ROMANZE ATTUALI Oggi le lingue romanze occupano, in primo luogo, un’area geografica continua nell’Europa occidentale, ad ovest di una linea che va dal Canale della Manica al mare adriatico. A occidente di questo confine, all’interno dell’area romanza, ci sono sparse isole linguistiche alloglotte, soprattutto in Italia. Ma vanno segnalate soprattutto due cospicue aree: la Bretagna francese è in parte di lingua celtica, vi sono poi zone basche nel sud della Francia e in Spagna. In queste aree, come nelle isole alloglotte minori, la maggior parte della popolazione è bilingue e non mancano coloro che non parlano la lingua locale. Le grandi lingue romanze sono il portoghese, lo spagnolo, il francese e l’italiano, ma alcune lingue come il catalano, il galego e l’asturiano hanno riconoscenza romanza. In Europa esiste però un’altra importante area romanza, ad oriente del confine che abbiamo tracciato e senza continuità con l’aria principale. Nei Balcani c’è una massa compatta che copre gran parte della Romania e della Repubblica Moldava, ambedue di lingua romena. Fino ai primi anni del novecento c’era nei Balcani un’altra parlata romanza, un linguaggio ibero-romanzo degli ebrei espulsi nel 1492 dalla Spagna e rifugiatisi nell’impero Ottomano. Le stragi della seconda quella mondiale, nel Pagina 2 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Balcani e l’immigrazione in Israele hanno fatto quasi scomparire questa varietà romanza dalla nostra area. In America vi è una vastissima area romanza, così come in Africa, dove nessun paese è propriamente di lingua romanza, ma la maggior parte degli stati di recente indipendenza ha conservato come ufficiale la lingua dell’antico colonizzatore perché non c’è una lingua locale dominante. In Asia vi sono delle piccole aree portoghesi e spagnole, mentre in Oceania usano il francese solo alcuni gruppi di isole. Non è facile alla luce di tutto ciò dire quanti siano i parlanti di lingua romanza. In ogni caso non meno di mezzo miliardo di persone. Delle lingue principali il più diffuso è lo spagnolo, seguito dal portoghese, dal francese e per ultimo l’italiano. 4 POLITICHE LINGUISTICHE IN AREA ROMANZA Per politica linguistica si intende tutte quelle decisioni prese a livello governativo e simili che interessano l’ambito della lingua di un paese. Nella storia delle lingue romanze alcune di queste decisioni sono rimaste memorabili. Nell’anno 813 un concilio di vescovi dell’impero carolingio, riunito sulla Loira decise che nelle chiese dell’Impero, mentre la liturgia rimaneva in latino, le omelie dovessero essere formulate in lingua volgare, romanza nelle aree romanze e germanica in quelle germaniche, affinché i fedeli potessero intenderle. Questa decisione dava soprattutto legittimità alle lingue volgari modificandone quindi non la diffusione ma lo status. Nel 1539 il re di Francia Francesco I con l’ordinanza di Villers-Cotterêts segnò un altro storico momento. Per evitare gli equivoci e le difficoltà che nascevano dall’uso del latino nei tribunali del regno il re decise che fosse obbligatorio l’uso del francese. Questa norma era fatta per agevolare tutti quanti disconoscevano il latino ma di fatto assegnò al francese uno status che riduceva quello di tutti gli altri dialetti del regno. Da qui ha inizio una politica di unificazione linguistica della Francia che sarà portata alle estreme conseguenze dalla Rivoluzione, per cui l’uguaglianza tra i cittadini implica l’uso di una stessa lingua, il francese. La storia del Ducato di Savoia, e quindi del Piemonte, ebbe una svolta quando dal 1560 in poi il duca Emanuele Filiberto adottò l’italiano nell’amministrazione e nella giustizia della parte italiana dei suoi possedimenti Il decreto de Nueva Planta, emanato nel 1707 ed esteso nel 1716 ai paesi catalani dal re di Spagna Filippo V (il primo della dinastia dei Borboni) introduceva l’obbligo dello spagnolo nell’uso dell’amministrazione e giudiziario, risolvendo a sfavore delle altre parlate del regno, soprattutto del catalano. Non meno importanti in campo di politica linguistica sono le fondazioni di associazioni cui si assegna il compito di regolare l’uso linguistico; come ad esempio l’Accademia della Crusca,fondata nel 1582, l’Académie Française, del 1636, e la Real Accademia de la lengua, del 1714. Nel mondo romanzo attuale solo in Francia è considerato normale che il governo intervenga sull’uso linguistica, non solo combattendo l’introduzione di termini stranieri, ma anche stabilendo che le insegne dei negozi debbano Pagina 3 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro essere in francese e perfino legiferando su usi grafici come la dieresi o l’accento circonflesso. Il campo più importante della politica linguistica è sempre stato la scuola perché è il luogo in cui bisognerebbe insegnare ai giovani come si scrive e si legge. In Italia, dall’unità (1861) in poi, salvo brevi periodi nelle scuole il dialetto è stato sanzionato, obbligando i bambini all’uso dell’italiano. 5 LA VARIAZIONE L’unita linguistica non è la condizione naturale della lingua. La variazione è del tutto normale non solo tra le diverse comunità ma all’interno di ciascuna di esse ed è limitata soltanto dalla necessità di comunicare. Già Dante aveva osservato che in una stessa città non si parla in tutti i rioni alla stessa maniera e che la lingua del passato era certamente diversa da quella del presente. I dialettologi dell’800 assumevano che in ogni località esistono usi linguistici sostanzialmente omogenei e prendevano in esame solo pochi campioni, ma quando le inchieste sul terreno si espansero fu inevitabile constatare che non era così. La prima spiegazione fu affidata al passare del tempo, ipotizzando che la lingua originale fosse quella degli abitanti più anziani, mentre i giovani la cambiavano col passare del tempo. Furono quindi presi in esame solo gli abitanti più anziani, dando per scontato che almeno in una famiglia l’uso linguistico fosse omogeneo. Successivamente risultò invece che i parlanti studiati differivano gli uni dagli altri nel modo di parlare a seconda del sesso, dell’età, dell’occupazione. Ritenendo necessario non rinunciare all’idea di omogeneità linguistica, i linguisti si convinsero che essa esistesse almeno all’interno di un singolo individuo. Più tardi fu ripreso il concetto con il termine di idioletto, con cui si indica l’insieme degli usi linguistici propri del singolo parlante. Ma essendo la variazione un carattere intrinseco della lingua, di ogni lingua, anche l’uso linguistico di un singolo parlante risulta incostante e ricco di variazioni. Le dimensioni della variazione sono molteplici. Le principali sono la diatòpica, diafàsica, diastràtica e diacronica. Per variazione diatòpica si intende quella che si realizza nello spazio. Tale variazione include sia la differenza tra le famiglie linguistiche, che può essere grandissima, sia quella tra le parlate dei rioni di una stessa città, che può essere minima. Per variazione diastràtica intendiamo quella che si realizza all’interno di una comunità sociale in rapporto al variare delle condizioni sociali stesse. Per variazione diafasica si intende quella che si realizza in rapporto ai registri espressivi. Per variazione diacronica si intende quella che avviene nel tempo, per esempio quella che è avvenuta in italiano tra l’800 e il 900. 6 LA VARIAZIONE DIATÒPICA: I DIALETTI E LE VARIETÀ REGIONALI La forma più evidente di variazione linguistica è quella diatòpica, che si realizza nello spazio. Queste varietà vengono detti dialetti. Nella Romània antica i dialetti sono in linea di principio la continuazione diretta del latino parlato nella stessa area, trasmesso di generazione in generazione. In ogni caso è errata la convinzione diffusa che i nostri dialetti siano forme corrotte della lingua nazionale, al contrario essi derivano direttamente dal latino, Pagina 4 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro proprio come le lingue romanze, le quali per altro si sono formate sulla base di un dialetto. Se si prende ad esempio la città di Siviglia, essa è rimasta per secoli in mano ai musulmani e alla fine di questa dominazione la popolazione era in maggioranza araba. Il Sivigliano moderno non è dunque lo sviluppo del latino in Italica ma la conseguenza della Reconquista e del ripopolamento della città con immigrati. Nello spazio la variazione è costante ma in genere modesta: gli abitanti di una località sono quasi sempre in grado di comprendere il dialetto usato nelle località circostanti; solo ad una certa distanza la somma delle differenze da luogo alla convinzione che sia intervenuta una differenziazione più radicale. I dialetti regionali presentano fenomeni di convergenza: usandoli i parlanti evitano fenomeni strettamente locali, che sono generalmente considerati più rustici. I dialetti locali vengono così sottoposti all’influsso livellatore dei dialetti regionali e a quello della lingua di cultura. Essa è ritenuta indispensabile per acquisire uno status sociale alto e per accedere ad una serie di attività professionali, specialmente se si lavora fuori dal luogo di origine. Chi parla solo il dialetto è condannato all’emarginazione. In Francia questo processo è iniziato prima ed è molto avanzato. I patois resistono solo in zone e strati sociali molto marginali, soprattutto se non sono originariamente affini dal francese. In Italia i dialetti sono molto più forti che in Portogallo, Spagna o Francia, ma da tempo se ne paventa la morte. In realtà questo inarrestabile processo di variazione non si arresta, ma cambia, si formano così quelli che vengono chiamati italiani regionali. Nella fonetica spesso si distinguono ad esempio la presenza o l’assenza del raddoppiamento fonosintattico, ma anche nella sintassi possiamo riscontrare piccole variazioni a seconda delle diverse regioni. Sono numerosi anche i geosinonimi, cioè le parole che in aree diverse esprimono lo stesso concetto. 7 LA VARIAZIONE DIATÒPICA: I PIDGINS ED I CREOLI Un caso estremo di variazione diatòpica si è realizzata negli empori commerciali creati dall’espansione oceanica degli europei dal medioevo in poi e più tardi nelle colonie basate sul lavoro degli schiavi. Nel primo caso, piccoli gruppi di europei, soprattutto portoghesi e poi spagnoli e francesi, quasi esclusivamente maschi, gestivano sulle coste dell’Africa e dell’Asia stazioni commerciali. Gli europei avevano limitate necessità di contatto linguistico con gli indigeni e non imparavano la lingua di costoro, ma semmai ricorrevano alla mediazione di servitori locali. A questo fine si creavano lingue semplificate, dette pidgins, caratterizzate da una grammatica ridotta all’essenziale e da un lessico funzionale ai rapporti commerciali e a forme ridotte di convivenza. La stabilità di un pidgins è limitata: esso nasce e muore in rapporto al bisogno di comunicazione. Alcuni di questi empori rimasero attivi per secoli e vi si creò una mini-società gli europei si univano a donne indigene e i figli nati da queste unioni erano detti meticci. Il pidgins diveniva così la lingua materna. A questo punto, però, non parliamo più di pidgins ma di creolo privo di limitazioni funzionali alle relazioni commerciali ed è appunto lingua materna e spesso unica. Pagina 5 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Nelle colonie commerciali non mancavano schiavi ma la situazione cambia quando la richiesta continua di braccianti genera la tratta. Le masse razziate sulle coste e nell’interno venivano concentrate negli empori costieri d’africa e poi imbarcate per la traversata. In questa fase gli indigeni venivano mescolati e dovevano così adottare una nuova lingua per comunicare tra loro e con i padroni; questa era di norma una lingua creola.. Le lingue creole, romanze e non romanze, sembrano costituire una categoria linguistica ben individuabile. Tutte hanno una grammatica molto semplificata, tendenzialmente di tipo isolante. Caratteristica è la morfologia verbale: il tempo e l’aspetto sono espressi non da desinenze ma da particelle che precedono il morfema lessicale del verbo. Ne diversi creoli le particelle cambiano, ma il sistema è analogo. Il lessico è formato per la maggior parte da parole della lingua europea anche se modificate nella forma, quindi un creolo è differente dall’altro ma le forme grammaticali presentano somiglianze anche se non sembrano in relazione con la stessa lingua europea di base. Di norma il creolo può accrescere o diminuire l’incidenza della lingua di base e al limite può essere riassorbito da questa. Considerare i creoli come generati dalla lingua romanza di cui portano il nome (il creolo di haiti come neo-francese così come il francese è neo-latino) non è possibile, perché i due processi di formazione sono differenti. Ma è ugualmente inadeguato considerare i creoli come risultato di mescolanze linguistiche perché l’apporto delle lingue non europee risulta modestissimo e marginale. 8 LA VARIAZIONE DIASTRÀTICA In Italia, più che negli altri paesi romanzi, la prima forma di differenza nell’uso linguistico è quella tra chi usa il dialetto e chi usa lingua. Fino al pieno ‘800 la maggioranza degli italiani apparteneva al primo gruppo; De Mauro ha calcolato che gli italiani che parlavano italiano erano il 2.5% degli abitanti. Con i successivi rilevamenti statistici compiuti fino alla fine del ‘900 si constata che il numero dei dialettofoni aumenta tra le persone di condizione bassa rispetto a quelli di condizione medio alta, tra gli anziani rispetto ai giovani,nei piccoli centri rispetto alle città. Ecco perché possiamo dire che l’opposizione tra uso della lingua e dialetto diventa correlativa di una stratificazione sociale. Più in generale, parlando di stratificazione sociale dell’italiano, si è elaborato nei decenni scorsi il concetto di italiano popolare, una varietà che rappresenterebbe il livello socio linguistico basso della nostra lingua e che sarebbe influenzata dall’area regionale di provenienza del parlante. Vi sono inoltre differenze sistematiche tra il parlato e lo scritto; il congiuntivo, ad esempio, è raro nel parlato piuttosto che nello scritto; in francese il parlato usa quasi esclusivamente il passato prossimo, o il futuro composto, la negazione semplice e l’interrogazione espressa dal tono di voce. Lo scritto invece utilizza il passato remoto, il futuro semplice, la doppia negazione, l’inversione interrogativa. Stratificazioni analoghe esistono in tutti i paesi romanzi, in forme diverse ma del tutto comparabili. Pagina 6 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro 9 LA VARIAZIONE DIAFÀSICA: DIFFERENZE DI SESSO, ETÀ E PROFESSIONE Tra le forma di differenziazione diafasica ci sono anzitutto quelle collegabili al sesso e all’età del parlante. Si ha spesso l’impressione che le donne usino la lingua non esattamente come gli uomini. Non è stato facile per gli studiosi definire in cosa consista il linguaggio femminile, gli autori di ricerche sul terreno tendono a ritenere che la lingua delle donne sia più conservatrice di quella degli uomini. In passato questa caratteristica sarebbe stata associata alla minore mobilità della donna che aveva meno contatti con estranei. In verità, per quanto riguarda la Francia alcuni studi hanno portato alla conclusione opposta, nelle aree occitane e franco-provenzali le donne sono passate all’uso del francese abbandonando il dialetto prima e con più attenzione alla correttezza rispetto agli uomini. Assai più netta è la specificità della lingua dei giovani. In realtà si tratta sempre di innovazioni lessicali di vitalità effimera. Nelle sue forma più spinte il linguaggio giovanile diventa un gergo cioè una forma linguistica usata da un gruppo con la specifica finalità di non essere compresi da chi non fa parte del gruppo. Il gergo è un fenomeno antico, specialmente nei gruppi che hanno specifiche ragioni per non farsi comprendere. Esso incide in generale soltanto sul lessico e presenta una forte differenziazione nel tempo e nello spazio. Una caratteristica del lessico gergale è la ricchezza di sinonimi per le parole chiave. Il gergo più anticamente documentato è quello furbesco usato dalla malavita. In Francia il gergo, chiamato jargon e poi argot, è documentato fin dal medioevo, in particolare si conosce bene nel 400 quello dei coquilards. Il lessico dei coquilards è registrato in atti processuali. Oggi l’argot, dopo aver contribuito al francese popolare, è in via di estinzione. Dal gergo alle lingue speciali quelle legate ad una specifica professione, il passo a volte è breve. Anche in questo caso si tratta soprattutto di fenomeni lessicali che danno origine a neo formazioni. 10 LO STUDIO DELLA VARIAZIONE: GLOSSARI, VOCABOLARI E GRAMMATICA La coscienza della variazione è nel mondo romanzo assai antica, intrinseca all’esperienza dei parlanti. Il più antico segno di una attività culturale legata alla variazione è l’attività di glossatura, cioè la pratica di accompagnare un testo in una lingua poco familiare con annotazioni interlineari o marginali che rendono una o più voci della lingua del testo con parole di un’altra lingua più familiare a chi scrive. La pratica delle glosse è diffusissima e molto produttiva. essa era normale per la bibbia, sia in ambiente ebraico che latino, e produceva migliaia di voci, che spesso era comodo utilizzare senza ricominciare da capo la lettura, si capisce dunque come sia nata l’idea di staccare le glosse dai testi e raggrupparle in glossari che fossero sistematici. La più elementare forma di organizzazione dei glossari è quella ideologica, in cui le parole sono raggruppare per campi concettuali. Ciò rende difficile la ricerca di una parola, si passa così al glossario alfabetico che in una prima fase raggruppa le parola solo in base alla lettera iniziale, poi assume un ordinamento propriamente alfabetico. Pagina 7 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Solo con la dialettologia moderna, dalla fine dell’800 e soprattutto nel 900, appaiono vocabolari dialettali di concezione diversa. Basati sulla varietà di piccoli centri o di aree molto vaste, essi mirano a raccogliere l’intero lessico di un dialetto per permetterne non la traduzione ma la conoscenza, e quindi in tutta la sua varietà formale e semantica. Dalla stessa esigenza nascono, già nel medioevo, le prime descrizioni grammaticali del francese ad uso di chi era di lingua madre inglese. Una lingua può essere descritta affinché sia parlata correttamente oppure affinché chi non la conosce ne apprenda almeno i rudimenti. 11 LO STUDIO DELLA VARIAZIONE: DIALETTOLOGIA ED ETNOLINGUISTICA Tradizionalmente, lo studio dei dialetti mirava a dimostrare che la loro dignità linguistica non era minore di quella delle lingue letterarie del tempo. Si tratta dunque di grammatiche normative che definiscono come si dovrebbe scrivere in dialetto e non descrivono come si parlava effettivamente. La dialettologia moderna invece, (dalla seconda metà dell’800) è descrittiva. Essa non si concentra sullo studio di un dialetto in particolare, ma sulla sua metodologia. È basata sulla raccolta diretta, sul terreno, dei dati da parte dell’autore; i dati sono di norma tratti dal parlato e non dallo scritto o dalla letteratura dialettale. Lo studioso, dopo aver scelto la zona da analizzare, vi si reca per svolgere inchieste personale, trascrive il dialetto locale attraverso risposte alle sue domande o alla conversazione spontanea e poi studia e sistema i dati così raccolti. In passato si mirava a raccogliere e studiare il dialetto nella sua forma più pura e arcaica; a questo fine si selezionavano soggetti quanto più anziani e incolti possibile, senza esperienza di altre parlate. Poi ci si è resi conto che il dialetto “puro” è inesistente, poiché da nessuna parte esiste perfetta omogeneità. Il dialettologo mira dunque a raccogliere tutte le modalità di una parlata locale, sia in funzione dello studio della variazione diatòpica che di quelle diafàsica e diastràtica. Così la dialettologia diventa sempre di più sociolinguistica. Mentre quest’ultima era nata come studio della varietà nelle parlate urbane e l’altra si occupava dei piccoli paesi e dei villaggi, ora le metodologia convergono. I dialettologi non trascurano quasi mai il lessico, anche se non hanno come scopo la confezione di un vocabolario, ma poiché il fine dello studio è evidenziare le variazioni, queste sono sottolineate con maggiore rilevanza nel lessico. In ogni caso la descrizione di una rete di dialetti porta alla constatazione di differenze e somiglianze che permettono di tracciare delle aree geografiche separate la linee dette isoglosse. La constatazione di una rete di dialetti permette di tracciare un gran numero di isoglosse, ma si constaterà che assai di rado esse si sovrappongono. Lo studio dei dialetti non investe solo le forme, ma anche i loro usi. Se si considera ad esempio il caso dei pronomi personali le cui forme nei dialetti regionali non presentano molte particolarità, si trova interessante, invece, il loro uso ad esempio come allocutivo che varia a seconda delle regioni: nella zona appenninica si usa quasi sempre il “tu” anche con persone del rango superiore, mentre nel sud Italia si usa il “voi”. Pagina 8 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Lo studio del lessico dialettale può avere un altro sviluppo, quello etnolinguistico. Spesso, infatti, per tradurre una parola non basta specificarla con un’altra parola della lingua standard, a volte sono necessarie ulteriori definizioni che concernono questa parola o in alcuni casi disegni. Questo tipo di studio fu sviluppato all’inizio del Novecento nel metodo “parole e cose” e poi esteso a termini che designano cose astratte che illustrano ideologie e valori di una cultura. Si è così realizzata una dialettologia che ricostruiva non solo le forme di espressione ma anche i contenuti della cultura di una comunità contadina e artigiana, assai diversa dalle culture urbane e borghesi. Si tratta dunque di una linguistica etnografica, non molto diversa da quella che si suole realizzare quando si descrivono lingue e culture extraeuropee di popolazioni “in via di sviluppo”. 12 LO STUDIO DELLA VARIAZIONE: GLI ATLANTI LINGUISTICI Verso la fine dell’800 si pensò in Germania che la soluzione del problema dell’esistenza o meno di confini dialettali precisi potesse essere travata in indagini sistematiche che accertassero la distribuzione nello spazio di determinati fenomeni linguistici. Su questa base fu elaborata più tardi la tecnica di produzione degli atlanti linguistici. Un atlante linguistico è una raccolta di carte il cui fondo è costante: la rappresentazione schematica e muta (senza nomi di località, monti, fiumi..) dell’area studiata, con la sola indicazione dei punti d’inchiesta, cioè le località nelle quasi è stata condotta la ricerca. Le carte sono onomasiologiche, basate cioè su concetti e non su parole, ed ogni concetto corrisponde ad una domanda fatta in modo analogo in tutti i punti d’inchiesta sulla base di un questionario predeterminato. Una singola carta può riportare forme diverse di una stessa parola, oppure forme diverse di parole diverse. I concetti sono scelti in modo che le parole che si ottengono documentino la variazione fonetica, morfologia, lessicale e qualche volta sintattica. La preparazione di un atlante implica una scelta di domande che dovranno comporre il questionario, i concetti da indagare devono essere tali da corrispondere alla cultura del luogo e da illuminare il maggior numero possibile di fenomeni linguistici. Preparato il questionario si scelgono i punti di inchiesta, in un primo momento si sceglievano le località più isolate e fuori mano, alla ricerca delle forme più arcaiche, poi ci si è accorti che anche i grandi centri e le vie di comunicazione erano importanti. In ogni punto bisogna scegliere più soggetti, quanto più ampio è un atlante e ricco il suo questionario, più diventa necessario utilizzare più soggetti. Il soggetto dovrebbe conoscere bene il dialetto ed essere poco o per niente influenzato da altre varietà. Una volta fatto il questionario, le domande verranno trascritte con un alfabeto fonetico adatto e spesso foto e disegni di oggetti faranno parte della documentazione. Fin dai primi atlanti, le carte hanno mostrato che le isoglosse che dividono l’area in cui un fenomeno si realizza dall’area in cui questo non si realizza in genere non si sovrappongono. Viene così confermata l’ipotesi dell’inesistenza di netti confini dialettali e dell’esistenza di un continuum. Si intravede che il mutamento linguistico si diffonde non solo nello spazio ma nello stesso luogo, da parola a parola, fino a diventare generale. Pagina 9 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Si vede, in Francia, che il quadro dialettale è fortemente influenzato dal prestigio, e quindi dalla capacità di diffusione delle innovazioni non sempre avviene da una località a quelle vicine, bensì dalla località di maggiore prestigio ad una di prestigio intermedio. Esistono oggi atlanti nazionali, ma si prediligono quelli regionali per la possibilità di prendere in analisi un numero maggiore di punti. 13 LO STUDIO DELLA VARIAZIONE: LA SOCIOLINGUISTICA Dopo il 1950 è stata costituita la sociolinguistica, volta allo studio delle variazioni nei grandi centri urbani. Le prime indagini adottarono il metodo delle sociologia, distinguendo inchieste macro (che interessavano un largo numero di individui) e inchieste micro (più approfondite su una cerchia ristretta di individui analizzati). Nel primo caso il campione studiato deve rappresentare adeguatamente l’universo corrispondente: i soggetti esaminati devono proporzionalmente rispettare le caratteristiche della popolazione nel suo insieme. Un tipo di ricerca esemplare è stata condotta dai coniugi Milroy, i quali hanno dimostrato l’importanza delle reti di relazioni sociali di ogni individuo per quanto riguarda le variazioni linguistiche: le comunità a relazioni forti (in cui gli individui sono in continuo contatto tra di loro) sono più restie alle innovazioni rispetto a quelle comunità con relazioni deboli. Gli studi anglosassoni hanno poi influenzato lo studio di alcune città italiane, come Napoli, nella quale si trovano diverse variazioni diastràtiche. Si è così giunti alla conclusione che la sociolinguistica non è in una posizione antagonistica rispetto agli studi linguistici romanzi, anzi essa può essere utile nell’integrarsi con la dialettologia tradizionale. Per uno studio sociolinguistico non occorre un questionario; bisogna tener conto di tutte le forme di uso parlato in tutti i ceti sociali ed in tutte le località dell’area studiata, possibilmente nella loro espressione spontanea, raccolta mediante registratore, senza che i soggetti si rendano conto di essere osservati e limitino la loro spontaneità di espressione. Il tentativo di inserire negli atlanti tradizionali la dimensione diastràtica, è limitata appunto alla bidimensionalità della carta stessa che non permette di esprimere tutti gli approfondimenti degli studi. Ciò ha portato a nuove necessità di studio, scaturite dalla coscienza che in tutte le comunità linguistiche non esiste omogeneità, ma bisogna tener conto che in una identità individuale entrano in gioco anche fattori sociali. La correlazione tra debolezza delle reti di relazione e propensione per un mutamento chiarisce perché le parlate sono molto stabili dove esiste stabilità demografica, mentre i grandi fenomeni migratori facilitano il mutamento linguistico: chi rimane nel gruppo originario ha legami forti con la famiglia, chi si sposta ha sempre difficoltà a creare nuove relazioni altrettanto solide. Ecco perché la dove i dialetti romanzi continuano la parlata di insediamenti antichi e stabili, il dialetto è più conservativo e le differenze diatoniche sono più forti, mentre nelle aree di nuovo popolamento ed in tutte le situazioni coloniali il dialetto è più innovativo e meno differenziato. In Italia, per ragioni simili i dialetti siciliano sono meno differenziati di quelli peninsulari. Pagina 10 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro 14 DIGLOSSIA E LINGUE IN CONTATTO ALL’INTERNO DELLA FAMIGLIA ROMANZA Si è già visto che è molto raro che una comunità usi compattamente una sola varietà linguistica. La situazione più comune è quella in cui più varietà, della stessa famiglia o di famiglie differenti, sono usate in concorrenza o con una ripartizione sistematica delle rispettive funzioni. Nel prendere in analisi le diverse varietà appartenenti tutte alla famiglia linguistica romanza, bisogna innanzitutto distinguere due concetti: diglossia e bilinguismo. La diglossia è un fenomeno sociale in cui si attribuiscono a due varietà linguistiche funzioni comunicative di livello diverso, vale a dire un particolare ambito comunicativo; una delle varietà di solito è legata agli usi bassi, l’altra agli usi alti. Il bilinguismo è, invece, un fenomeno individuale e si manifesta quando un individue è in grado di usare due o più varietà. Alla luce di questa distinzione è chiaro quindi che possono esserci sia situazioni di compresenza di entrambi i fenomeni, che situazioni di assenza. Può inoltre essere presente solo uno dei due: si ha diglossia senza bilinguismo là dove i gruppi sociali che usano le due varietà sono nettamente divisi, come accadeva nelle colonie europee in cui il bilinguismo era assente e per la comunicazione tra gli europei e gli indigeni ci si serviva di un ristretto numero di traduttori; si ha bilinguismo senza diglossia là dove vi sono parecchie persone che conoscono due o più varietà, ma non esiste una differenziazione sistematica del loro uso. Quest’ultima situazione, di solito presente nelle comunità a mobilità sociale, è quella dell’Europa romanza di epoca moderna. I casi più studiati sono forse quelli dei conflitti tra castigliano e catalano in Catalogna e francese e occitano nella Francia meridionale. Sia il catalano che l’occitano hanno goduto nel medioevo di prestigio paritario rispetto alle varietà che sono poi diventate le loro antagoniste. Ma in epoca moderna hanno perso terreno sia sul piano sociale che in quello culturale; le classi alte della Catalogna e della Francia hanno preferito il castigliano ed il francese. Il processo si realizza a livello collettivo, come affermazione di una varietà sull’altra in un dominio dopo l’altro e, a livello individuale, porta al cambio di lingua. La conseguenza del processo è talvolta la scomparsa totale della varietà privata di prestigio. I casi analoghi non sono pochi, spesso anche al di fuori dell’Europa. Sono simili, infondo, le dinamiche che si realizzano in Italia, dove la lingua standard si trova di fronte ai suoi dialetti. Il veneziano, il napoletano, il siciliano, avevano prestigio nell’uso amministrativo e letterario, eppure, ai confronti con l’italiano anch’essi sono scivolati verso le funzioni basse, sempre più limitati ad usi informali e familiari. In questo processo, però, si è determinata di rado una vera e propria situazione diglottica, cioè con distribuzione sistematica delle funzioni e dei domini. Il parlante non produce più enunciati solo in una delle due varietà, ma le mescola continuamente, in ragione delle sue capacità, dell’ascoltatore, dell’argomento, del luogo. Un insieme di enunciati si dispone così in un continuum di gradazioni da una lingua all’altra. Si parla allora di basiletto, varietà linguistica considerata di livello più basso, e acroletto, varietà linguistica considerata di livello più alto. Quando un parlante passa da una varietà all’altra avviene quello che si chiama “commutazione di codice”, Pagina 11 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro questo si intende all’interno di uno stesso enunciato o discorso. Nel caso dell’italiano, il dialetto si identifica con il basiletto, la lingua standard come acroletto. Il parlante cercherà di dirigersi maggiormente verso l’acroletto, non solo per sentirsi meno rozzo, ma anche quando, nel dover comunicare con una persona che non appartiene allo stesso dialetto, cerca di rendersi più comprensibile. 15 LINGUE ROMANZE E NON ROMANZE IN CONTATTO Le lingue romanze non sono in contatto solo con altre lingue romanze, nel mondo contemporaneo, così come in quello medievale e moderno, esse hanno rapporti con numerose altre lingue che appartengono a famiglie differenti. Non si tratta solamente di rapporti orizzontali, ovvero di tipo adstratico, ma anche di veri e propri casi di diglossia, in cui la lingua romanza gioca il ruolo di varietà alta. A loro volta però, in alcuni gruppi come quello daco-romanzo, funzionano come varietà basse. Il bretone attuale, varietà celtica, è conseguenza dell’immigrazione delle popolazioni celtiche dalla Gran Bretagna al ducato di Bretagna, in Francia. Il ducato comprendeva tanto zone abitate da popolazioni bretoni, tanto zone di lingua francese. Pertanto il bretone rimase sempre la parlata dei contadini, fino ad epoca moderna, senza produzione letteraria né normalizzazione e con forti differenze dialettali. Tra i secoli X e XIII la frontiera linguistica è arretrata verso occidente ma poi è rimasta sostanzialmente stabile. Essa divide una Bretagna brétonnante (di dialetto bretone) e una Bretagna gallo (di dialetto francese). In realtà anche nella prima zona il francese è usato da quasi tutti i parlanti e gode di prestigio sociale superiore. Un caso diverso si trova nelle Fiandre, fino al 1900 il francese era considerato varietà alta rispetto al fiammingo, mentre a partire dal 1900 da un lato il Belgio fiammingo ha avuto un fiorente sviluppo demografico, dall’altro la zona francese ha subito una crisi economica. Il fiammingo ha dunque acquisito maggior prestigio sociale e funzioni alte. Oggi nelle città delle Fiandre sembra più diffuso il bilinguismo fiammingo-inglese che non quello fiammingofrancese. Se osserviamo il caso dell’America latina, è bene ricordare che il castigliano e il portoghese sono in contatto con un centinaio di lingue amerindiane, quasi sempre rilegate ai più bassi livelli sociolinguistici. Ci sono però due eccezioni rilevanti. La prima è quella del Paraguay che ha una storia fondata sulle missioni dei gesuiti dei sei-settecento; lo status che aveva la lingua indigena (il guaranì) ha fatto si che esso sia parlato dalla maggioranza della popolazione, in tutti i ceti sociali, e sia considerato un tratto distintivo dell’identità nazionale. Da qualche tempo il guaranì è affiancato allo spagnolo, lingua dell’istruzione, ma questo è parlato spesso male, con forti influenze del guaranì. Diversa è la situazione del quechua in Perù. La lingua è legata al ricordo del glorioso passato degli Inca ed è parlato da milioni di persone, ma il tentativo di renderlo paritario con lo spagnolo, anche nell’insegnamento, fallì nel 1970. Più in generale, il rapporto con l’inglese è oggi in tutto il mondo la più rilevante forma di contatto tra lingue romanze e non romanze. L’uso dell’inglese come lingua universale di molte scienze, della tecnologia, della politica e del commercio, producono nelle lingue romanze un altissimo Pagina 12 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro numero di prestiti lessicali, spesso neppure adattati alle consuetudini della lingua romanza che li accoglie. Per non dimenticare, poi, gli influssi sul sistema delle lingue romanze: grazie ai prestiti è diventata normale l’uscita consonantica delle parole (gol, film), sono diventati accettabili i nessi sostantivo + sostantivo (conferenza stampa, musica jazz) e si ammette un ordine capovolto determinante + determinato (radiocronista, nordeuropeo). 16 PRAGMATICA, TRADIZIONI DISCORSIVE E TRADIZIONI TESTUALI La moderna pragmatica studia la lingua nei suoi contesti ed in relazione con le circostanze del suo uso, e soprattutto con le dinamiche relazionali. La filosofia analitica inglese di Austin e Searle, ai quali risale l’intera teoria degli atti linguistici, considera gli enunciati non in rapporto alla loro grammaticalità ma come azione governata da regole tanto linguistiche che socioculturali. A seconda della sua natura un atto linguistico può essere realizzato in enunciati diversi, con diverse modalità linguistiche. Si osservi la distinzione tra enunciati constativi, che descrivono o constatano (e che quindi possono essere veri o falsi come “oggi fa caldo” “l’idraulico ha finito il suo lavoro”) ed enunciati performativi, che compiono essi stessi l’azione: la frase “la proclamo laureato in lettere” non può essere valutata vera o falsa, è la frase stessa che compie l’azione di trasformare lo studente in laureato. Chi pronuncia enunciati performativi non asserisce qualcosa, ma la fa. Naturalmente ci sono casi in cui l’azione non riesce o non sono sinceri. Pragmaticamente queste frasi sono diverse da quelle semplicemente constative, che posso essere vere o false. Più in generale, gli enunciati hanno una forza illocutoria: se il parlante compie un atto del genere, ad esempio un’affermazione, gli ascoltatori gliene attribuiscono la responsabilità e ne attendono la coerenza; se invece il parlante produce degli effetti sugli interlocutori, come avviene quando si da un ordine, si parla di atto perlocutorio. Una ricerca interessante è anche quella che mira a definire le condizioni in cui si realizza una conversazione: secondo il filosofo americano Grice la logica che governa la conversazione è fondata sul principio di cooperazione. Un aspetto molto importante del parlato è la deissi cioè l’insieme dei riferimenti allo spazio, al tempo e alle persone. Già la differenza tra i pronomi e gli aggettivi dimostrativi è di carattere deittico: “questo” si riferisce a cosa o persona vicina a chi parla, “quello” si riferisce a cosa o persona lontana da chi parla. Deittica è anche la differenza tra gli articoli determinativi o indeterminativi, in quanto i primi si riferiscono ad una cosa o persona nota all’ascoltatore, mentre gli indeterminativi ad una cosa sconosciuta. Questa distinzione ci porta a contrapporre due concetti molto importanti per l’analisi pragmatica del discorso: dato e nuovo, di solito l’analisi procede per aggiunta progressiva di elementi nuovi a quelli già conosciuti. La distinzione si sovrappone parzialmente ad un’altra: quella tra tema e rema (topic e coda). I nostri enunciati sono costruiti su qualcosa, in genere dato, che ne costituisce il tema, di cui si afferma qualcos’altro, che in genere è nuovo. Il tema non deve per forza coincidere con il soggetto, ma in italiano, grazie ad un processo chiamato dislocazione a sinistra, di solito si trova all’inizio della frase. Pagina 13 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Sotto questo profilo di analisi, gli enunciati orali sono considerati ed analizzati come quelli scritti. Un testo orale o scritto si definisce in ragione della sua coerenza rispetto ai codici linguistici ed extralinguistici. La linguistica testuale studia i fenomeni di testualità, cioè le regolarità e le condizioni che trasformano una serie di frasi in una successione coerente che chiamiamo testo. Rientra qui anche lo studio dei generi letterari, che sono una specifica categoria di testi per i quali sono state già individuate delle specifiche caratteristiche. 17 CORPORA DI TESTI ORALI E SCRITTI La variazione non si può studiare nel suo aspetto macro, perché sarebbe necessaria una quantità molto vasta di materiale. Si ricorre allora ad alcuni insiemi di testi (enunciati tanto orali che scritti), che forniscono il materiale per ricerche di taglio svariato, senza che ogni volta sia necessaria la raccolta personale del materiale di base. Fin dagli accademici della Crusca, i lessici e le grammatiche sono stati basati su un corpus di testi considerati autorevoli. La raccolta di enunciati orali e la loro archiviazione è stata resa possibile dall’invenzione di forme di registrazione della voce (il grammofono, il registratore). Per la realizzazione di un “corpus” si è cominciato dai più semplici “corpora” letterari; in Italia l’opera canonica è ormai la LIZ (letteratura italiana Zanichelli), un cdrom in cui sono raccolti oltre 800 opere di letteratura italiana. Una prima limitazione di tali corpora è rappresentata dalla finezza dell’analisi informatica dei testi stesi e dalla funzionalità dei motori di ricerca: se un testo è rimasto grezzo, pura trascrizione della pagina a stampa,l’analisi che se ne può fare sul disco o sulla rete è sostanzialmente la stessa che è permessa dal libro. Dall’altro la raccolta non ha opere letterarie che non siano di pubblico interesse, anche se molto ricche dal punto di vista linguistico. Il Centro dell’Opera del Vocabolario del nostro Consiglio Nazionale delle Ricerche, riprendendo i precedenti lavori dell’Accademia della Crusca, sta realizzando un vocabolario dell’italiano antico basato su un corpus tendenzialmente completo di testi anteriori al 1379. Molto più complesso è il problema dei corpora di lingua parlata. Anche se accettiamo di produrre un corpus che rifletta il parlato di una sola località le difficoltà sono alte. Di fatto finora ci si accontenta di corpora di parlato rappresentativi di situazioni particolari. In conclusione, è molto probabile che la linguistica venga a dipendere sempre più dalla disponibilità di corpora. 18 TIPOLOGIA DELLE VARIETÀ ROMANZE La linguistica moderna, come abbiamo già detto, ha sviluppato molto l’analisi tipologica. Da molto tempo, ad esempio, si è osservato che i principali elementi costitutivi della frase, cioè il soggetto (S), l’oggetto (O) e il verbo (V) nelle diverse lingue si dispongono reciprocamente in maniera diversa e che questo ordine è connesso ad altre caratteristiche della lingua. Le lingue romanze si norma prescrivono l’ordine SVO, ma questa non era la norma del latino, dove S e O potevano stare in qualsiasi ordine e V era solitamente alla fine della frase. L’efficienza del sistema dei casi rendeva Pagina 14 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro possibile, certamente più in sede letteraria che nel parlato, di separare il sostantivo dall’aggettivo ad esso coordinato. La perdita delle definizioni casuali dovette essere in relazione con un irrigidimento dell’ordine delle parole, perché altrimenti la comunicazione sarebbe stata seriamente compromessa. Se nelle proposizioni principali le lingue romanze condividono l’ordine SVO, non è sempre così negli altri casi. Nelle interrogazioni, ad esempio, il francese standard richiede l’inversione obbligatoria del soggetto rispetto al verbo. Alla luce di questa osservazione si possono ricercare altre lingue romanze con l’obbligo di inversione e creare così un’analisi tipologica. Si è osservato che nelle lingue romanze delle origini la prima posizione della frase deve essere occupata da un elemento accentato (un pronome personale tonico come “me” piuttosto che uno atono come “si”). Questo obbligo si è attenuato nel corso del medioevo, ma in momenti diversi da lingua a lingua. Le lingue romanze sono passate lentamente dal tipo che all’inizio della frase non accettava i pronomi atoni a quello che ammette un attacco atono. Per l’antico francese e l’antico provenzale è stata avanzata l’ipotesi che si trattasse di lingue tipologicamente “verb second” ovvero con il verbo obbligatoriamente nella seconda posizione della frase. In italiano questa collocazione è stata debolmente obbligatoria. La situazione del francese antico si può definire come tendenza a mettere ad inizio della frase il tema, cui seguiva subito il verbo. Da alcuni secoli il francese non solo ha abbandonato l’obbligo di avere il verbo in seconda posizione, ma ne ha assunto un altro: il soggetto deve essere sempre espresso, se non è costituito da un sostantivo, deve esserci almeno un pronome. Il soggetto è obbligatorio anche se generico. L’italiano non ha condiviso questa caratteristica né in passato né oggi. Questa situazione è analoga a quella delle altre lingue romanze standard. Vi è dunque all’interno della Romània una contrapposizione tra lingue a soggetto obbligatorio (francese) e lingue a soggetto non obbligatorio (tutte le altre). Il panorama tipologico, a livello dialettale, è diverso da quello a livello standard ed il tipo a soggetto obbligatorio è molto più diffuso di quanto si possa pensare. Un altro esempio dell’importanza di includere i dati dialettali nel nostro quadro è quello dell’oggetto marcato. Quando l’oggetto è un essere umano definito, lo spagnolo lo fa precedere da “a” (Pedro quiere a Dolores – Pedro ama Dolores). Nulla di simile si ha in italiano o in francese, ma è errato pensare che lo stagnolo sia un tipo isolato, i dialetti italiani meridionali hanno infatti lo stesso fenomeno. Questi esempi ci permettono di capire come la tipologia sia per definizione un sistema classificatorio senza necessaria relazione con l’origine e la storia delle lingue interessate. Ma se noi consideriamo congiuntamente tipologia e storia, viene alla luce un’ulteriore dimensione dinamica della linguistica. Pagina 15 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Parte C 19 La storia delle lingue romanze LE LINGUE ROMANZE NEL 1600 E NEL 1100 Nell’analisi storica della distribuzione geografica delle lingue romanze prendiamo in esame due momenti importanti: il 1600 e il 1100. Attorno al 1600 l’isoglossa che separa le lingue romanze da quelle non romanze non doveva essere molto diversa da quella odierna dalla Manica fino all’Istria, ma nell’ultima sua parte meridionale includeva anche la fascia dell’Istria ed almeno una parte di quella della Dalmazia, sino a Dubrovnik. Quest’area, successivamente passata allo sloveno e soprattutto al croato, usava o il dalmatica o il veneziano, portatovi dal dominio politico della Serenissima. Attorno al 1100 l’isoglossa romanzo-germanica era invece diversa. Ad oriente e a nord rimanevano ancora isole linguistiche romanze, anche se l’antico confine romano lungo il Reno e il Danubio era stato perduto da tempo. Al Nord in Germania, Austria e Svizzera; ancora più a nord l’Inghilterra che era stata conquistata dai Normanni (anglo-normanno). È probabile che alcune città fossero ancora in parte bilingui e che nelle campagne ci fossero nuclei di contadini di lingua romanza. La penisola Iberica era dominio arabo e la lingua romanza era ridotta alla minoranza. Nel levante esistevano stati latini a seguito delle crociate, in cui il romanzo conviveva con le lingue indigene, soprattutto arabe. Infine nella Tunisia centrale vi era una parlata afroromanzo. 20 LA RICONQUISTA DELLA SPAGNA E DELLA SICILIA Nell’alto medioevo l’espansione rapidissima dell’Islam ha eroso molta parte della Romània meridionale. L’antica Africa romana, invasa dagli arabi fin dal sec. VII, sembra aver perduto abbastanza rapidamente l’uso di un afroromanzo che certamente era in formazione. Nel sec XII ne rimaneva una piccola isola attorto a Gâfsa, nella Tunisia centrale interna. In Africa accanto all’arabo è sopravvissuto il bèrbero, che continua la lingua parlata anticamente dai Libici e dai Nubidi. Nel 711 un esercito musulmano, formato da arabi e berberi, traversò lo stretto che sarà chiamato di Gibilterra e vinse in battaglia l’esercito del re visigoto di Spagna; il re scomparve in battaglia l’esercito e il regno cedette completamente agli spauriti ma arditi gruppi di invasori. In circa 20 anni gli arabi avevano conquistato non solo la penisola iberica, ma avevano lanciato numerose incursioni nella Francia meridionale; furono fermati solo nel 732 da Carlo Martello. La Francia rimase così cristiana, malgrado i transitori insediamenti musulmani in Provenza e nella Alpi. L’Islam avrebbe conservato, invece, parte della Spagna fino al 1492. La conquista musulmana non comporto comunque né conversione all’Islam né la perdita della parlata romanza. Tutto ciò ch imponevano i nuovi padroni era una tassa, per il resto gli spagnoli si limitavano a vivere la vita di tutti i giorni. Per chi decideva di convertirsi il solo problema linguistico era che la lingua del testo sacro da latina diventava araba. Malgrado ciò la situazione linguistica andò mutando. L’arabo godeva del prestigio dato dall’essere la lingua del potere e quella di una civiltà divenuta Pagina 16 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro splendida in breve tempo, inoltre continuavano a giungere immigrati da tutte le regioni dell’Islam, soprattutto di lingua araba o berbera. Poiché le popolazioni cristiane delle montagne del nord della penisola si erano dopo poco tempo ribellate ai musulmani ed avevano formato i primi nuclei di ciò che saranno gli staterelli dell’Asturia, Castiglia, Navarra, Aragona e della Catalogna, i cristiani delle vaste aree dominate dai musulmani avevano anche la possibilità di emigrare verso nord, ritornando tra i propri connazionali. Chi restava in paese arabo continuando a professare la religione cristiana veniva chiamato mozàrabo, continuando a parlare le loro varietà romanze. Vi era dunque una situazione di convivenza tra gente che parlava arabo, gente che parlava berbero e gente che parlava dialetti mozaràbici. Intanto il romanzo era rimasto negli stati cristiani del nord, che si erano formati proprio nelle regioni più marginali, più arretrate, meno latinizzate e meno colte dell’antica Spagna visigota. Poiché si trattava di una zona montagnosa, in cui le comunicazioni erano difficili, questi dialetti presentavano differenze. Si tratta, da occidente a oriente, del galego, dell’asturiano, del leonese, del castigliano, del navarro, dell’aragonese e del catalano. Tra il castigliano e il navarro si trova l’area basca, un’area allora più estesa di quella attuale. I regni cristiani del nord hanno combattuto con gli arabi e a poco a poco sono riusciti ad espandersi verso sub. La riconquista fu lenta, ma attorno al 1250 agli arabi non restava altro che il piccolo regno di Granada, che sarà conquistato dai re cattolici nel 1492. I moriscos, musulmani rimasti in terra cristiana e battezzati furono espulsi solo dopo il 1600. Poiché la Riconquista avvenne in fasi che corrispondevano allo spostamento verso sud di uno spazio sostanzialmente disabitato e poiché nel sud la popolazione cristiana e romanza diminuì sempre più fino a scomparire del tutto in Andalusia, le parlate romanze dei territori riconquistati non continuano quelle degli indigeni. Ne risulta che il tipo linguistico romanzo che finì per dominare fu quello castigliano. Dalla Galizia si estese verso sud il portoghese; asturiano e leonese rimasero chiusi nell’area originale, come il navarro; l’aragonese occupò una striscia di poco spessore dal nord al sud e fu presto invaso di tratti castigliani; solo il catalano conservò una sua autonomia dai Pirenei fino ad Alicante. Il castigliano era il più originale dei romanzi del nord, quello che si distaccava da tutti gli altri. Si creò così un cuneo linguistico tra i dialetti iberoromanzi occidentali e quelli orientali, che non erano privi i affinità. Non conoscevano ad esempio il dittonga mento spontaneo, mentre il castigliano si: [portoghese novo, catalano nou, castigliano nuevo da latino novu; portoghese e catalano pedra mentre castigliano piedra da latino petra]; conservavano la f iniziate latina mentre il castigliano la trasformava in aspirata h e poi in Ø e così via. In generale i dialetti mozaràbici condividevano i tratti conservatori, ma essi sono scomparsi ed il tipo castigliano è diventato dominante. Particolarmente importante è il caso dell’Andalusia, riconquistata tardi e quando le relative parlate mozarabiche erano ormai scomparse. La romanizzazione della regione è dunque dovuta ad immigrazione dal nord: si è determinato un gruppo di dialetto di base castigliana ma non privi di innovazioni importanti. Poiché l’America fu scoperta nello stesso 1492 ed è stata colonizzata da spagnoli che potevano partire solo dal porto andaluso di Siviglia, la lingua romanza che si è diffusa in America è proprio uno spagnolo di timbro andaluso. Pagina 17 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Per quanto riguarda il caso della Sicilia, l’invasione araba dell’isola ha inizio nell’827 e si conclude con la conquista completa nel 902. L’isola, appartenente all’impero bizantino, era di lingua greca nella parte orientale e latina in quella occidentale. Come in Spagna vi furono emigrazioni di cristiani e immigrazioni di arabi e berberi e soprattutto conversioni. Quando, nel XI secolo i bizantini e poi i normanni intrapresero la riconquista completata nel 1091, rimanevano ad oriente popolazioni di lingua greca, specialmente nella zona di Messina, ma non si è sicuri che ad occidente vi furono popolazioni di lingua romanza. Alla riconquista solo una parte dei ceti alti musulmani si trasferirono in Africa. All’immigrazione di nuovi signori si aggiunse quella di numerosi contadini ed artigiani. Mentre i dominatori erano spesso galloromanzi, questi immigrati provenivano dall’Italia meridionale ed anche centrale e in buon numero anche dal nord. Alcune colonie hanno conservato fino ad oggi un dialetto di tipo settentrionale, come appare a Piazza Armerina e Nicosia. Nell’isola si è formata una varietà romanza che probabilmente è coagulata attorno alla parlata degli indigeni, ma con apporto degli immigrati e le conseguenze di una generale mescolanza. Il dialetto siciliano appare meno differenziato di quanto ci si possa aspettare in un’isola molto vasta e montagnosa. 21 COME FURONO SCRITTE LE LINGUE ROMANZE Tutto quello che sappiamo delle lingue romanze antiche lo apprendiamo dai testi scritti, dal momento che le varietà parlate sono andate perdute per sempre. Lo studio delle lingue nel passato deve cercare in primo luogo di interpretare correttamente i testi scritti e di ricavarne informazioni sul parlato corrispondente. Sorgono in questo caso alcune problematiche, la prima di queste riguarda la corretta corrispondenza delle grafie. I primi scrittori romanzi avevano di certo imparato a scrivere in latino ed è dunque ovvio che ne seguissero le consuetudini. Il latino utilizza un alfabeto di 23 lettere (A B C D E F G H I K L M N O P Q R S T V X Y Z) a cui, nell’are anglonormanna si aggiungeva la W per rendere la bilabiale che esisteva nei nomi anglosassoni. Il problema della mancata espressione della quantità vocalica non aveva più importanza, dato che le lingue romanze non sfruttavano le opposizioni di durata, ma restava l’uso ambiguo di V sia per la vocale [u] che per la semiconsonante [w]; e di I sia per la vocale [i] che per la semiconsonante [j]. Molto tarda è stata la normalizzazione degli accenti, che risalgono all’apex che i latini ponevano a volte sulla vocale per indicare che era lunga. Nella grafia delle lingue romanze (escluso il francese), l’accento segnala solo quale sia la vocale tonica e viene usato, secondo regole fissate tra il sei e il settecento, soltanto quando la posizione dell’accento non è quella normale. Il francese fa invece dell’accento un uso diacritico (per distinguere tra e ed ε toniche, per indicare che la e atona non è ə, e così via). La più semplice via di uscita dal problema dei rapporti tra grafia tradizionale (latina) e lingua evoluta (romanza) era di conservare le grafie, mutandone il valore. In francese tutte le u lunghe erano diventate [ʯ] e le u brevi [o]: per la prima vocale non c’era nessun segno disponibile, ma bastò lasciare la grafia u che veniva letta come [ʯ]. Pagina 18 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Il latino aveva una sola s, quella sorda, ma le lingue romanze possedevano ora anche la corrispondente sonora [z], che si trova solo all’interno di parola. In mancanza di segni appositi o la differenza rimase inespressa o si usò -ss- per indicare la sorda. I romani per scrivere le consonanti nasali M ed N usavano una abbreviazione: il titulus (un trattino più o meno curvo sulla lettera precedente) così annus si poteva scrivere ānus e poi an̄us. Nello spagnolo antico la doppia n era diventata [ɲ] e così le grafie nn e ñ furono usate come grafie della palatale e la seconda divenne generale nel XVI secolo. Anche nel caso delle consonanti palatali provenienti dagli sviluppi di C e G seguite da vocale anteriore, di norma si sono seguite le grafie che per parole corrispondenti usava il latino, che però leggeva queste consonanti come velari. In Italia si scrive Cicerone ma non si legge, come avrebbero fatto i latini, [kikerone]. Poiché gli sviluppi romanzi sono stati divergenti, queste antiche grafie hanno assunto valori diversi nelle diverse tradizioni scrittorie romanze. Così la grafia ci, ce vale [ʧ] in italiano, valeva [ʦ] in francese, in spagnolo e in portoghese antichi e poi è diventata [s] in francese e portoghese moderni mentre è [θ] in spagnolo moderno. Nel sistema grafico latino X serviva poco. Il francese antico usò x come abbreviazione per us e ne resta ancora oggi traccia nei plurali -eux, -aux. In altre tradizioni grafiche x fu usata normalmente per il suono romanzo [ʃ], mentre nei latinismi era letta [ks]. Nel cinquecento in spagnolo [ʃ] è diventata [χ], così come [ʤ] che era scritto j e dopo un periodo di oscillazione nella grafia spagnola ha sostituito x, salvo che nel nome Mexico. Per le velari palatali [k] e [g] davanti ad e, i il francese, lo spagnolo e altre varietà hanno trovato una soluzione comoda. Poiché le consonanti labiodentali antiche [kw] e [gw] erano quasi sparite, le grafie que e qui potevano essere usate per [k + e, i] e gue, gui per [g + e, i]: così in francese antico abbiamo que [ke]. Lo spagnolo ha avuto il problema dell’oscillazione grafica tra b e u, v dovuta alla confusione degli esiti di B e V latine. Nei testi antichi si trova spesso b quando ci si aspetteremmo v. Il problema è stato risolto nel 1726 generalizzando la forma latina corrispondente a ciascuna parola. Un’altra soluzione possibile era l’uso di qualche segno grafico inutile dell’alfabeto latino con funzione diacritica, cioè per indicare il valore di altri segni vicini. Nell’alfabeto latino H non corrispondeva ad un suono, come tale essa fu usata in romanzo per indicare, in combinazione di altre lettere, suoni estranei al latino. Così dh esprime la d fricativa [δ], sh esprime [ʃ],invece ch è usato in francese antico per esprimere [ʧ]. Il toscano e poi l'italiano hanno fatto la scelta opposta: ch e gh esprimono rispettivamente le velari sorda [k] e sonora [g] e non le palatali. Restava infine la possibilità di usare combinazioni di antichi segni grafici per realizzare nuovi suoni. Il latino aveva una sola s, quella sorda, ma le lingue romanze possedevano ora anche la corrispondente sonora [z].L'italiano non intervenne ma altrove si ricorse alla soluzione che -ss- = [s] mentre -s- = [z], soprattutto in spagnolo. Per esprimere invece le nuove affricate [ts] e [dz] l'italiano ricorse a z senza distinzione tra sorda e sonora, altrove si usarono ts e tz, la distinzione fu resa possibile dall'introduzione di una piccola z sottoforma di cediglia sotto la c (ç). Pagina 19 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Non vennero invece inventati nuovi simboli grafici, fatta eccezione per w e ç. Il che dimostra quanto la scrittura sia conservatrice. Il sommarsi di interventi etimologici e di mutamenti fonetici che la grafia non seguiva, ha prodotto un sempre maggiore distacco tra grafia e pronuncia. 22 I PRIMI TESTI ROMANZI Nell'alto medioevo la lingua normalmente scritta è il latino, ma può capitare che, in riferimento alle competenze di chi scrive questi testi tradiscano fenomeni romanzi. Capita spesso che nomi di luogo o di oggetti avessero di latino soltanto le desinenze e qualche aggiustamento grafico, ma siano di fatto romanzi. Il primo caso in cui sia sicuro che chi scrive abbia piena coscienza di opporre due sistemi linguistici è quello dei Giuramenti di Strasburgo. Nell'alleanza stipulata tra i due fratelli Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo contro l'altro fratello, ognuno dei due sovrani aveva usato, per meglio farsi comprendere la lingua prevalente nell'esercito dell'altro. È importante notare che fosse chiaro per Ludovico e Carlo quanto diversi fossero dal latino il francese e il tedesco. In italiano il primo caso in cui è certo che chi scrive vuole opporre al latino il volgare come due sistemi distinti è quello della testimonianza capuana del 960, in cui il giudice trascrive nel suo testo latino la testimonianza così come è stata espressa. Nella penisola iberica l'uso scritto del volgare appare per la prima volta in un documento molto modesto in cui un frate annota una lista di formaggi che aveva concesso in cambio di alcuni lavori. Verso l'anno mille troviamo, invece, un testo in cui frasi intere romanze si inseriscono in un testo latino, nelle Glosse emilianensi. Si susseguono poi, nella storia, testi in cui iniziano a comparire le varie lingue romanze, sia in compagnia al latino, sia da sole. 23 LE TRADIZIONI SCRITTORIE (LETTERARIE E NON) La Paleografia è la scienza che studia le scritture, essa è in grado di individuare con una certa approssimazione il tempo e l'ambiente in cui un manoscritto è stato prodotto. Ciò è possibile grazie alla natura tradizionale della scrittura, tanto meglio che nel medioevo le persone in grado di scrivere erano ben poche e si riunivano negli stessi luoghi, gli scriptoria, in cui si diffondevano le stesse norme e convenzioni. Così, una volta individuata una tradizione grafica, basta trovare un testo scritto in quel modo, di cui si sia certi della provenienza e della datazione per collocare nel tempo e nello spazio l'intera tradizione. La constatazione dell'esistenza di scuole di scrittura può indurre a pensare che esistessero tradizioni riguardo la forma linguistica, e che venissero tramandate parallelamente. I linguisti si sono interessati a trovare tradizioni nei testi, ma anche in quelli già datati, collocati geograficamente era difficile rintracciarne. Si partiva dall'ipotesi che ogni autore avesse usato la propria varietà locale, ma si è dovuto ammettere che chi scrive non traduce sulla carta il proprio idioletto e neanche il dialetto, ma si inserisce in una tradizione più ampia, che Pagina 20 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro tende ad eliminare non solo i tratti individuali, ma anche quelli considerati troppo locali. Si è così giunti alla nozione di scripta, come tradizione linguistica scritta, caratteristica di una data area. Parlando di scriptae non ci riferiamo soltanto alla lingua della letteratura, ma anche a quella delle scritture private o pubbliche. Si sono costituite, nel corso dei secoli, solide e durevoli tradizioni di scrittura che, dal punto di vista linguistico presentano tratti locali, ma divenuti normali ben al di là dell'area dove erano usati nel parlato. Non è dunque possibile rintracciare come testimonianze del parlato i testi scritti. L'analisi linguistica deve tener conto del filtro degli scripta. 24 I MUTAMENTI DEL SISTEMA FONOLOGICO DAL LATINO ALLE LINGUE ROMANZE Già i primi testi romanzi rivelano sistemi linguistici diversi da quelli del latino, da cui hanno avuto origine. La differenza comincia fin dal sistema delle vocali. In latino esistevano 10 fonemi vocalici distinti tra loro per apertura e durata. Nessuna lingua romanza funzionalizzava in questo modo la durata, i sistemi romanzi sono basati più che altro sul grado di apertura. Per quanto riguarda le vocali toniche, il sistema più diffuso è quello detto “romanzo comune”, che è alla base della penisola iberica e della Francia e della maggior parte delle varietà italiane. Le corrispondenze con il sistema latino sono: Ī ↓ i Ĭ ↘ Ē ↙ Ĕ ↓ ε e Ă ↘ Ā ↙ a Ŏ ↓ ɔ Ō ↘ Ŭ ↙ Ū ↓ u o In Sardegna, in una fascia della Basilicata e probabilmente in Africa vige il sistema “sardo”, nel quale ogni coppia di vocali si è fusa in un solo fonema: Ī ↘ Ĭ ↙ Ē ↘ i Ĕ ↙ Ă ↘ ε Ā ↙ Ŏ ↘ a Ō ↙ Ŭ ↘ ɔ Ū ↙ u Nei Balcani e quindi nelle varietà romene, ma anche in una piccola zona della Basilicata orientale vi è uno schema misto detto “sistema romeno”: Ī ↓ i Ĭ ↘ Ē ↙ e Ĕ ↓ ε Ă ↘ Ā ↙ Ŏ ↘ a Ō ↙ Ŭ ↘ ɔ Ū ↙ u Un quarto sistema vocalico detto “siciliano”, interessa Sicilia, Calabria Meridionale e Salento: Ī ↘ Ĭ ↓ i Ē ↙ Ĕ ↓ ε Ă ↘ Ā ↙ a Pagina 21 di 38 Ŏ ↓ ɔ Ō ↘ Ŭ ↓ u Ū ↙ Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Le vocali toniche delle lingue romanze sono state esposte al dittongamento, ma il fenomeno si presenta diverso a seconda delle aree interessate. Il toscano, e quindi l'italiano standard dittonga le vocali medio-basse (ε ed ɔ) solo se si trovano in sillaba libera1 ad esempio dal latino MĔLE→miele, FŎCU→fuoco. Il francese dittonga anch'esso le vocali in sillaba libera, ma sia quelle mediobasse che quelle medio-alte (e ed o) ad esempio da HABĒRE→aveir→avoir. In castigliano il dittongamento interessa solo le vocali medio-basse ma è indifferente che esse appartengano a sillabe libere o bloccate. Oltre a questi tipi di dittongamento ne esiste un altro, risultante da armonizzazione o metafonesi. In italia meridionale abbiamo ad esempio da ε→ie, e da ɔ→uo solo se la vocale finale latina era Ī oppure Ŭ. Un altro caso di armonizzazione è la nasalizzazione, vale a dire l'adeguamento delle vocali alle condizioni di pronuncia della successiva consonante nasale2. In francese antico tutte le vocali seguite da consonante nasale sono più o meno leggermente nasalizzate. Sulla natura dell'accento latino ci sono state discussioni accese tra chi lo considera di natura musicale (la vocale tonica sarebbe stata pronunciata su un tono più alto delle altre) e chi lo ritiene di natura espiratoria (la vocale tonica sarebbe stata prodotta con una più forte emissione di fiato). In ogni caso, il passaggio alle lingue romanze implica un accento sensibilmente espiratorio. Questo ha come conseguenza l'indebolimento delle vocali atone. La posizione dell'accento rimane di norma quella originale latina in latino vigeva una regola semplice: l'accento cadeva sulla penultima sillaba, a meno che la vocale di questa non fosse breve in tal caso passava sulla terzultima. Nel latino di età imperiale si sono verificati alcuni fenomeni che hanno comportato lo spostamento dell'accento. Ecco i tre principali: 1. Nel latino al tempo di Augusto (I sec. dC) se la vocale breve era seguita da una occlusiva e da una R essa non diventava lunga per posizione. I risultati di queste parole nelle lingue romanze mostrano che ad un certo punto,le penultime sono state considerate lunghe e l'accento è passato dalla terzultima alla penultima sillaba. Il fatto che alcune di queste parole siano sdrucciole in italiano significa solo che si tratta di parole di tradizione non popolare, ma di prestiti dotti dal latino, ad esempio la coppia intero – integro in cui la prima è la forma popolare, la seconda è quella colta. 2. In latino i verbi composti con prefisso preposizionale applicavano la regola dell'accento e spesso la vocale breve divenuta atona si modificava. Nel tardo latino imperiale a causa dell'indebolimento del senso del rapporto tra quantità ed accento, l'accento è stato riportato là dove si trovava e il romanzo riflette questa nuova posizione, a volte è stata addirittura restituita la vocale del verbo semplice. A questo punto c'erano parole piane con la penultima vocale breve, dunque la regola dell'accento non valeva più. 3. Il caso più grave di spostamento dell'accento è quello che coinvolge le numerose parole latine in cui la penultima vocale Ĕ oppure Ŏ era preceduta da I oppure E senza che si formasse dittongo (si trovava dunque in iato). Per la 1 Una sillaba è libera se termina in vocale, bloccata se termina in consonante (es: pa-ne o car-ne) 2 Nelle consonanti nasali m, n ed ɲ l'aria viene emessa parte dalla bocca e parte dal naso. Anticipando il movimento del velo palatino che divide il naso dalla bocca, l'aria esce già durante la pronuncia della vocale precedente che si nasalizza. Pagina 22 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro regola dell'accento era quest'ultima vocale a portarlo. Verso la fine del periodo imperiale, tutti questi iati sono stati risolti: le E e I della prima delle due sillabe in questione sono divenute semivocali, poiché un accento non può stare su una semivocale si è spostato sulla vocale successiva. Questa piccola modifica ha portato diverse conseguenze. L'unica palatale del sistema latino /j/ scritta I o J occorreva ad inizio di parola o tra vocali. Adesso la lingua si trovava ad avere moltissime /j/ dopo consonante. Queste nuove semivocali hanno modificato quasi senza eccezione la consonante che precedeva, determinando la formazione di nuove consonanti palatali. Per quanto riguarda la semivocale W in origine occorreva soprattutto nelle labiovelari, spesso la labiovelare si è conservata, altre volte è diventata velare. Un altro importante fenomeno del consonantismo romanzo è stata la lenizione che ha colpito le consonanti intervocaliche nella penisola iberica, in Francia e nell'Italia settentrionale. In generale il quadro è: pp→p kk→k tt→t t→d,δ,Ø p→b,v k→g,γ,Ø b→b,v,β,Ø g→g,γ,Ø d→d,δ,Ø Si può riassumere dicendo che le sorde doppie diventano semplici, le sorde semplici diventano sonore, le sonore diventano fricative o dileguano. In latino alcune consonanti potevano trovarsi in fine di parola, le più frequenti sono -m ed -s. La prima serviva ad indicare la maggior parte degli accusativi singolari, nonché alcune terminazioni verbali della prima persona singolare. La seconda era ancora più frequente, in molti nominativi plurali e in tutti gli accusativi plurali nonché nella 2 singolare e 1 plurale dei verbi. Della -m non rimane alcuna traccia nelle parole a più sillabe, mentre nei monosillabi a volte scompare altre viene sosituita da -n, soprattutto nella Romània occidentale. 25 I MUTAMENTI DEL SISTEMA MORFO-SINTATTICO DAL LATINO ALLE LINGUE ROMANZE DECLINAZIONE - Il latino possedeva le declinazioni, sia al plurale che al singolare si distinguevano sei casi con terminazioni parzialmente diverse in corrispondenza di diverse funzioni sintattiche. Dal punto di vista formale questo sistema non era affatto perfetto, a volte si hanno infatti stesse forme per casi diversi, altre alcuni casi erano sovraccarichi di funzioni. Ma poiché il latino si serviva anche di preposizioni lo si può definire un sistema in evoluzione, al quale i cambiamenti fonetici di cui abbiamo parlato dettero una bella scossa. In gran parte delle lingue romanze non troviamo forma delle declinazioni, abbiamo una forma per il plurale ed una per il singolare, derivata spesso dall'accusativo latino. Diverso è stato per il gallo-romanzo francese e occitano, dove troviamo, in epoca medievale, una declinazione bicasuale, con la distinzione tra caso retto (con funzione di soggetto e vocativo) e caso obliquo (con tutte le altre funzioni). In questa fase dunque l'accusativo ha assorbito tutte le funzioni sintattiche meno quelle del nominativo e del vocativo. Nella seconda parte del medioevo sia l'occitano che il francese hanno eliminato la declinazione, quasi sempre a vantaggio della forma dell'obliquo. In realtà il francese andava perdendo le -s finali e quindi la distinzione tra i LA Pagina 23 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro due casi diventava problematica, poiché andavano a coincidere anche le forme di singolare e plurale il numero doveva essere dedotto dal contesto. I PLURALI - L'analisi dei plurali italiani non è semplice da spiegare. Se amici sembra provenire naturalmente dal latino AMICI, con la palatalizzazione di -ci che in latino si leggeva [ki], al femminile dovremmo trovare amice, mentre abbiamo la velare. In realtà la -s del plurale prima di cadere da forma ad una [j] ed il dittongo aj che ne risultava poteva dar forma alla palatalizzazione di c+e,i. I GENERI - Il latino aveva tre generi: maschile, femminile e neutro. Il neutro è stato eliminato da quasi tutte le lingue romanze, ma in una fascia dell'Italia centrale i dialetti distinguono tra sostantivi in -u, quelli che in latino erano maschili, e sostantivi in -o, di origine neutra. Al singolare il neutro latino spesso era marcato dalla terminazione -um tanto al nominativo che all'accusativo, sicché per la perdita della consonante finale veniva ad identificarsi con la forma del maschile; al plurale i neutri al nominativo e all'accusativo avevano uscita in -a, che li accomunava invece ai singolari femminili. L'ARTICOLO E I DIMOSTRATIVI - Il latino non aveva nessun articolo, né definito né indefinito. Tutte le lingue romanze li posseggono invece entrambi. L'articolo determinativo romanzo proviene di norma dalle forme del pronome dimostrativo latino ILLE. Le forme italiane, in particolare provengono da ILLU, ILLE → il, lo ILLA → la ILLI → i, gli ILLAE → le. L'origine è la stessa in tutte le lingue romanze tranne che in sardo ed in alcune varietà catalane in cui IPSE → sa. La posizione dell'articolo non è sempre la stessa, il rumeno ad esempio esso segue il nome come un enclitico. L'articolo indeterminativo è sempre derivante da UNU e sempre anteposto. Per i pronomi dimostrativi il latino aveva un sistema a tre gradi di vicinanza, in corrispondenza alle tre persone verbali: la prima, si riferiva ad una cosa vicina al parlante, la seconda, si riferiva ad una cosa vicina a chi ascolta e la terza, si riferiva ad una cosa lontana dai due interlocutori. Questo sistema a tre gradi si conserva solo in spagnolo, portoghese, catalano, sardo e in alcuni dialetti dell'Italia meridionale. SISTEMA VERBALE E PERIFRASI - Il verbo latino si classificava in quattro coniugazioni, distingueva tre diàtesi (attiva, deponente3 e passiva),tre tempi principali (presente, passato e futuro),due aspetti (perfettivo e imperfettivo),tre modi (indicativo, congiuntivo e imperativo), e tre persone nel singolare più tre nel plurale; aveva inoltre forme non finite: tre infiniti (presente, passato e futuro), tre participi (presente, passato e futuro), un supino, un gerundio e un gerundivo. l'intero sistema è stato scardinato e ricostruito in buona parte mediante perifrasi ORDINE DELLE PAROLE – In latino l'ordine delle parole era piuttosto libero, in quanto l'indicazione della funzione attraverso le desinenze permetteva perfino di separare il sostantivo dall'aggettivo che ad esso si riferiva. Una situazione diversa caratterizza le lingue romanze. La posizione dell'articolo rispetto al nome è fissa; l'aggettivo può essere separato dal nome solo in alcune espressioni ma di norma segue il nome (se lo precede ha un valore semantico diverso) ; i quantificatori e gli aggettivi negativi precedono il sostantivo cui si 3 I verbi deponenti non avevano l'attivo ma solo il medio, identico alle forme del passivo, ed esprimevano azioni che operavano sul soggetto stesso, ad esempio “morire” Pagina 24 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro riferiscono; la posizione del determinante si è fissata dopo il determinato (la casa di mio padre). Similmente nel gruppo verbale l'oggetto segue il verbo, così come gli altri complementi; gli ausiliari precedono il participio e l'avverbio segue il verbo. Quanto alla posizione di quest'ultimo nella frase di norma segue il soggetto e precede l'oggetto. In conclusione l'ordine delle parole delle lingue romanze risulta diverso da quello latino SUBORDINAZIONE - Dopo un'importante serie di verbi il latino rendeva la proposizione subordinata con il soggetto in accusativo e il verbo all'infinito, nessuna lingua romanza continua nelle sue forme parlate questo tipo di costruzione, che è stata sostituita da QUOD seguito dal verbo in modo finito da cui provengono le frasi italiane con che + indicativo o congiuntivo. 26 ALCUNI MUTAMENTI NELLA STORIA DEL FRANCESE E DELLO SPAGNOLO Nei loro secoli di storia le lingue romanze non sono rimaste intatte, ne è prova i numerosi prestiti lessicali, ma anche i mutamenti fonetici e morfosintattici. Il francese e lo spagnolo hanno modificato molto la situazione medievale, al contrario dell'italiano, in cui si possono leggere opere medievali senza troppi problemi, nel francese se non si ha una specifica competenza delle lingue antiche la lettura risulta impossibile. Alcuni esempi di mutamenti che hanno reso il francese classico e moderno differente da quello medievale si possono rintracciare nell'indebolimento delle uscite consonantiche in -t, -s ed -nt che avevano importanti funzioni morfologiche. La caduta della -s rimane nello scritto per la distinzione tra il singolare e il plurale, mentre nel parlato si indebolisce, ad eccezione dei casi di liaison. La distinzione del numero però è troppo importante perchè se ne possa fare a meno, così si aggiunge un elemento che precede il nome, spesso l'articolo. La perdita di -s ha gravi conseguenze anche nella coniugazione verbale, dal momento che le prime 3 persone del presente finiscono per avere lo stesso suono, anche questa volta il recupero avviene tramite un nuovo elemento a sinistra, il pronome soggetto a cui si fa ricorso tutte le volte che è necessario fino a diventare obbligatorio. Quando la distinzione dei numeri dei nomi e quella delle persone nei verbi vengono espresse non più mediante desinenza ma mediante un elemento prefissale a sinistra, il francese muta la sua natura anche dal punto di vista tipologico. Inoltre nei testi medievali era assai frequente l'ordine OVS, questa caratteristica si perde man mano che il soggetto diventa sempre più frequente e poi obbligatorio a sinistra del nome. Anche lo spagnolo subì enormi mutamenti alla fine del medioevo. Lo spagnolo medievale usava l'opposizione tra sorde e sonore non solo nelle occlusive ma anche nelle affricate e nelle fricative. Il sistema entra in crisi perchè entra in crisi la distinzione di sonorità: in ogni coppia l'elemento sonoro confluisce in quello sordo. In epoca moderna, in conseguenza di questi mutamenti, lo spagnolo che già possedeva un sistema vocalico più semplice di quello di molte altre lingue sorelle, semplifica anche il sistema consonantico, che finisce per usare l'opposizione tra sorde e sonore soltanto per le occlusive, ha solo un'affricata Pagina 25 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro e possiede un fonema sconosciuto alle altre lingue romanze; per un totale di 17 fonemi o ancor meno in alcune regioni. 27 IL RAPPORTO CONTINUO CON IL LATINO Il rapporto delle lingue romanze con il latino non è solo un rapporto di filiazione, in quanto le prime derivano dal secondo, ma anche di influenza ininterrotta nei secoli del latino sulle lingue figlie, in ragione del fatto che il latino è rimasto lingua della scuola, della chiesa e della cultura per tantissimo tempo. Solo il romeno rimase al margine perché nei Balcani la lingua della chiesa ortodossa è il greco o lo slavo ecclesiastico. Lo status del latino però è cambiato nel corso dei secoli, all'inizio si poteva considerare il registro alto di un sistema diastratico e diafasico il cui le divergenze andavano accentuandosi fino ad arrivare in pieno medioevo ad una situazione di diglossia, man mano il latino passava allo status di lingua straniera, ma conservando ancora il prestigio culturale e quello religioso. L'esempio evidente di questo rapporto di dominanza è la presenza di prestiti lessicali. Bisogna distinguere tra termini latini di origine patrimoniale, che sono stati continuamente presenti nella lingua parlata e sono riconoscibili in quanto hanno subito mutamenti fonetici caratteristici della lingua romanza, e prestiti che erano assenti dalla lingua parlata e vi sono rientrati come colti o semicolti, non subendo evidenti mutamenti. Ad esempio “orecchio” da AURICULA ma “auricolare”. Solo una piccola parte dei prestiti latini viene assunta dalle lingue romanze senza alcun adattamento. Si tratta per lo più di termini religiosi o scientifici. La possibilità di prendere a prestito termini latini, sempre a disposizione delle lingue romanze, ha prodotto un gran numero di coppie di parole che hanno la stessa origine ma diversa trafila storica, una volta patrimoniale e l'altra di prestito. Ad esempio: angoscia e angustia, comprare e comparare, mezzo e medio. Il rapporto secolare con il latino come lingua di superstrato culturale ha infine un altro significato per le lingue romanze, esso infatti diventa lingua centripeta con la tendenza a far somigliare le lingue romanze tra loro. 28 IL RAPPORTO CON IL GRECO Il latino aveva avuto per secoli rapporti con il greco e ne aveva assorbito non pochi elementi che poi restituiva non come grecismi ma come parte integrante del patrimonio latino. In epoca altomedievale il greco antico aveva conosciuto una certa evoluzione e in questa situazione continuò ad influire sul latino, anche per il prestigio politico e culturale di Bisanzio. Attraverso il latino sono dunque pervenute alle lingue romanze molte parole di origine bizantina, in genere come prestiti colti. Alla rilevanza politica ed amministrativa dei bizantini dobbiamo parole come duca, despota, catasto. Accanto a questi termini penetrati dal greco alle lingue romanze in genere, vi sono alcuni grecismi locali nella aree in cui il greco è un importante sostrato, come in Sicilia e nell'Italia meridionale. Pagina 26 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro 29 IL RAPPORTO CON L'ARABO Le parlate arabe della penisola arabica avevano avuto contatto con il latino perchè l'impero romano aveva posseduto per secoli una fascia settentrionale del deserto. Ma si trattava di un popolo lontano. Le cose cambiano con l'immediata espansione che già nel 711 portò gli eserciti arabi alla conquista della penisola iberica. Questo processo storico ridusse di molto l'area della Romània e creò in Spagna, in Sicilia e nella altre aree di meno stabile conquista una vera e propria Romània arabica. L'arabizzazione era stata così profonda che in molte aree al momento della riconquista non c'erano più persone di lingua romanza e dopo la riconquista la popolazione indigena adottò lentamente il romanzo. In queste aree l'arabo è un vero e proprio sostrato delle lingue romanze. Ma l'influsso linguistico arabo ha altri due canali: da un lato l'interesse dei latini per la scienza araba, dall'altro il commercio mediterraneo tra paesi arabi e paesi romanzi. La riconquista della Spagna ha determinato fenomeni di ripopolamento e di cambio di lingua su tale scala che le parole di origine araba sono numerosissime. Poche e discusse sono le influenze sintattiche, per lo più si parla di influsso lessicale e comporta sistematici adattamenti, sia perchè l'arabo possiede solo 3 vocali, sia perchè possiede consonanti ignote alle lingue romanze, che vengono sostituite con quelle che hanno luogo di articolazione vicino ad esse. Il tratto più caratteristico è che gli arabismi iberici integrano l'articolo arabo “al”. Pertanto quasi tutti gli arabismi spagnoli cominciano per a- assente nelle parole corrispondenti entrate in Sicilia. 30 I PRESTITI INTERNI Nei più di mille anni di storia le lingue romanze sono state in costante rapporto tra di loro, questo rapporto ha però avuto nel tempo significative differenze di intensità e soprattutto mutamenti nei rapporti di prestigio. In una prima fase medievale, dall'epoca carolingia fino al 1400, il francese antico ha avuto un prestigio particolare, strettamente collegato alla civiltà feudale e cortese. Al di là della letteratura la prova della dominanza del francese si rintraccia nella quantità di prestiti che questa lingua dona alle lingue romanze occidentali (eccezion fatta per il romeno), ma anche alle lingue non romanze, nei dialetti tedeschi, nel neerlandese e nel medioinglese. L'italiano medievale ha moltissimi francesismi, molti dei quali riferibili alla vita di corte, come conte, contea, damigella (damoiselle), destriero (destrier). I francesismi si riconoscono perchè formalmente si sottraggono alle norme di evoluzione fonetica dal latino all'italiano e seguono invece quelle dal latino al francese. I dialetti italiani meridionali e siciliani, esposti all'influenza diretta dei Normanni hanno, oltre ai francesismi generali, parecchi loro prestiti come jardinu, buccirìa (macelleria). Assai più ridotta, ma non trascurabile, è nella stessa epoca l'influenza dell'occitano, dovuta al prestigio della poesia lirica. Ne è esempio da parola speranza da esperansa. Pagina 27 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Le conquiste che la casa d'Aragona fece nel meridione d'Italia e nelle isole durante gli ultimi secoli del medioevo ci hanno portato, inoltre, un gruppo di catalanismi che a volte resta nei dialetti, altre giunge a penetrare nell'italiano. Ne sono esempio parole come addunàrisi (da adonarse), muccaturi (da mocador), ma anche aguzzino. Con la fortuna europea di Petrarca e Boccaccio ed in secondo luogo anche di Dante, comincia attorno al 1400 una fase di grande prestigio dell'italiano, che dura fino a Tasso e, limitatamente nel teatro, fino a Goldoni o Puccini. Ne sono un esempio i numerosi italianismi che in questo periodo rientrano nelle altre lingue come adagio, opéra nel francese, banca, belleza nello spagnolo. Nel Cinque e Seicento si afferma anche la fortuna europea dello spagnolo, legata al predominio politico e militare, ma anche alla moda e alla cultura ne sono esempi alfiere, baciamano, bizzarro, creanza... Dal 1500 in poi anche il portoghese esercita una certa influenza sulle altre lingue, soprattutto come mediatore di americanismi. Dal 1700 il francese torna ad essere in tutta Europa una lingua dominante nelle relazioni internazionali, nella vita aristocratica e nella cultura, mantenendo questo prestigio fino alla prima guerra mondiale, soppiantato poi dall'inglese. Questa nuova influenza giunge fino al romeno, il quale, ristabiliti i contatti con l'occidente, trae dal francese molte parole utili alla vita moderna. 31 LA ROMANIZZAZIONE DELL'AMERICA LATINA E GLI AMERICANISMI Nella storia moderna delle lingue romanze, la loro diffusione in America è un grande fenomeno, poiché ha coinvolto milioni di persone di lingue diverse in spazi molto ampi. La premessa è data dall'arrivo di Cristoforo Colombo a Guanahanì e la scoperta successiva di Haiti e Cuba. I primi insediamenti furono di pochi spagnoli e gli indigeni furono decimati in breve tempo da malattie e lavoro forzato. Fin dal 1513 si pose il problema di portare nelle isole caraibiche gli africani, da utilizzare come forza lavoro. Gli indigeni vennero dunque sostituiti, ma prima fornirono agli spagnoli le denominazioni di piante, animali e cose che questi non avevano mai visto. Così parole come canoa, hamaca, patata, tabaco, entrarono dalla lingua arawak a quella spagnola e poi gli spagnoli stessi le portarono nel resto dell'America, dove altri indigeni avevano già atri nomi per quelle cose. Le cose iniziarono a cambiare quando Hernan Cortés abbatté l'impero azteco e conquistò il Messico, nel 1521. Questa volta gli spagnoli dovevano confrontarsi con un paese sviluppato e molto popolato. Ancora nel 1821, quando il Messico divenne indipendente, la popolazione era per lo più formata da indios e meticci, con una minoranza europea. Una successiva fase della conquista fu la spedizione che permise a Francisco Pizarro la conquista degli Inca della zona centrale delle Ande. Nella zona andina si parlava e si parla ancora soprattutto il quechua, da cui si ebbero pure molti prestiti nei nomi di animali come alpaca, condor, lama e puma. La conquista si estese man mano anche nelle aree secondarie, fermandosi solo dove la foresta amazzonica era impenetrabile o dove gli spagnoli incontravano i portoghesi. Queste colonie furono organizzate in viceregni direttamente dipendenti dalla Spagna. Dalle autorità spagnole dipendevano dunque milioni di indigeni, di cui la maggiorparte contadini. Prima del problema Pagina 28 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro dell'insegnamento della lingua fu affrontato quello della conversione al cristianesimo. L'evangelizzazione fu ad opera di alcuni frati, che imparavano ad esprimersi nelle lingue indigene, ma dopo la conversione la comunità parlava lo spagnolo e la liturgia era in latino. Lo spagnolo era comunque la lingua del potere e della scuola, che fu impiantata molto presto. Si mise così in moto un processo di bilinguismo che portò presto al cambio di lingua che non è ancora completo dopo cinque secoli. In generale il sistema morfologico e fonologico dello spagnolo non è stato intaccato, non essendo presente un sostato indigeno. Questo non significa che lo spagnolo d'America sia identico a quello della penisola iberica. Esso ha infatti un carattere molto andaluso. La ragione di ciò è che la maggior parte di immigrati proviene dall'Andalusia, dunque il il tipo linguistico americano che si è costituito nei primi decenni dopo la conquista è di base andalusa ed è rimasto bene o male tale. Lo spagnolo d'America non è una varietà compatta, esistono varietà regionali che fanno capo ai grandi centri come città del Messico, Caracas, Bogotà, Lime, Buenos Aires. La loro diversità dipende da fenomeni introdotti dalle differenti lingue indigene. 32 IL RAPPORTO CON IL TEDESCO E L'INGLESE In epoca moderna sono cambiati i rapporti delle lingue romanze tra di loro e con le altre lingue non romanze. Se il contatto e l'influenza del tedesco nella fase di invasione è stata molto importante, assai più scarsa invece è dal medioevo in poi. Per lo più si limitano a quelle zone di vicinanza geografica e comunque si tratta per lo più di parole dialettali. Un'area di contatto è quella della contea delle Fiandre, la cui popolazione era per lo più fiamminga, ma il territorio era Francese durante il medioevo e il francese era la lingua amministrativa fino al 1350. Le fiandre erano un paese ricco sia per la produzione tessile che per quella delle armi. Si sono diffusi così, sia in francese che in altre lingue, parole come arazzo o archibugio. Interessante è la provenienza della parola dollaro: nel Cinquecento l'imperatore germanico cominciò a coniare una grossa moneta d'argento che si chiamò Thaler dalla zona in cui venne battuta. La moneta ebbe lunga diffusione e il nome si diffuse sia come taler che come daler. In Italia la moneta fu conosciuta nella forma austriaca quindi come tàllero, ma in America arrivò la forma neerlandese e così la moneta degli Stati Uniti è il dollar. La Lingua germanica che ha avuto più contatti con quelle romanze dal medioevo in poi è l'inglese. Se in epoca medievale il rapporto è a tutto vantaggio per il francese, che dà all'inglese numerosi prestiti, la situazione si inverte soprattutto a partire dal secolo XVIII. Gli anglicismi erano un tempo adattati alle condizioni dell'italiano, ma il loro ingresso in gran numero e la capacità di resistenza alla forma originaria hanno reso più raro l'adattamento. Questo è invece indispensabile nei verbi. Per quanto riguarda il problema del genere e del numero le parole inglesi non hanno trovato una soluzione coerente. Più complesso il problema semantico, in quanto spesso un prestito entra in una nuova lingua solo con uno dei suoi significati. Pagina 29 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro 33 GLI INFLUSSI ESTERNI SUL ROMENO La storia dei paesi romeni è stata del tutto diversa da quella delle regioni romanze dell'Europa occidentale, ne derivano influssi diversi si superstrato o adstrato. Nei primi secoli dopo il 274 la popolazione di lingua latina suì invasioni e violenze da parte dei Germani e di vari popoli della steppa. Furono soprattutto le invasioni slave del secolo VI in poi che formarono dei veri e propri insediamenti e frammentarono i gruppi romanzi. Esse imposero una variante dello slavo antico come lingua della chiesa cristiana ortodossa e poi delle cancellerie dei principi. Questo slavo ecclesiastico può essere paragonato agli effetti che ebbe in latino in occidente sulle lingue romanze. L'alfabeto cirillico fu però abbandonato dalla Romania solo nel 1860. Lo strato più antico degli slavismi è quello che è comune alle quattro varietà romene, riguarda concetti centrali ed è rintracciabile prima del 1000. Nei secoli XI e XV lo slavo esercita una maggiore pressione sulla lingua della politica, della società, della cultura e della religione. Molti termini sono poi caduti in disuso, altri sono entrati a far parte di altre lingue come cimitero. In una fase successiva gli slavismi entrano in romeno soprattutto dalle lingue slave dei paesi vicini come il bulgaro, il serbo e l'ucraino.Nel complesso si calcola che gli slavismi compongono circa il 14% del lessico romeno attuale. Per tutto il medioevo è stato assai importante, per il romeno, l'influsso del greco; i grecismi risultano da contatti personali (matrimoni..) che aumentano dopo la conquista turca di Costantinopoli. Per quanto riguarda i germanismi, essi sono dovuti all'esposizione delle invasioni germaniche, che hanno lasciato forme antiche ma anche dialettali. Per citare ancora contatti con la lingua turca e l'ungherese. 34 LESSICOGRAFIA STORICA ED ETIMOLOGIA Il Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1612 è il primo dei grandi lessici della tradizione lessicografica. Ha carattere normativo, ovvero vuole determinare l'uso stabilendo cosa è lecito dire e cosa invece no, servendosi di testi antichi citati di volta in volta come esempio. Per questa ragione si sono cominciate a raccogliere attestazioni di parole in testi antichi di scrittori di riconosciuta qualità letteraria. Poiché però in Spagna e in Francia ci si riferiva anche a parole di uso di corte, già nell'ottocento esistono per tutte le lingue romanze vocabolari basati su criteri non letterari. La tendenza è quella di creare un vocabolario contenente tutte le parole di una lingua in tutti i loro significati possibili. I vocabolari di questo genere non hanno più scopi normativi, essi sono invece strumenti di studio del lessico nel tempo e nello spazio. Lo studio della variazione diacronica è difatti molto importante per queste opere. Ormai molti vocabolari segnano la data di apparizioni di un dato termine. Queste datazioni sono sempre posteriori alla data in cui si è cominciato ad usare una parola, soprattutto perchè una parola viene attestata dopo che il suo uso è stato consolidato, per quanto posteriori sono estremamente significative. In realtà non basta datare le parole, bisognerebbe datare anche i significati. Se si considera la parola fucile il senso documentato nel Trecento è quello, Pagina 30 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro oggi storico, di acciarino, mentre il senso attuale di arma da fuoco risale al Seicento. Si entra così nel campo dell'etimologia, il settore della linguistica che studia l'origine delle parole di una varietà linguistica. Bisogna distinguere tra etimologia immediata ed etimologia remota. La prima indica quale sia la forma e quale il senso della parola che ha dato origine al termine che ci interessa nella lingua da cui trae origine la varietà che studiamo; dunque l'etimologia latina è la più prossima a molte parole delle lingue romanze, ma esistono anche etimi italiani in francese o spagnolo, o viceversa. Le parole di una lingua si raggruppano in famiglie lessicali, ma la loro storia può essere molto complessa. Per stabilire l'etimo di una parola è indispensabile conoscere le forme ed i significati in tutta la storia documentabile, la distribuzione nello spazio oggi e nel passato, tutte le parole che ne costituiscono la famiglia nelle varietà che studiamo e che la posseggono. Parte D 35 L'origine delle lingue romanze IL ROMANZO PRIMA DELLA DOCUMENTAZIONE ROMANZA Non è facile indicare quando è nata una lingua, la coscienza dei parlanti, infatti, non è tale da distinguere che il parlato di un dato momento è differente da quello dell'anno prima. Sorgono grandi difficoltà nel rintracciare mutamenti nella lingua avvenuti prima dei primi testi romanzi, scartando l'ipotesi che i testi latini antecedenti siano in realtà testi romanzi in veste latina. Per prima cosa però è facile rintracciare singoli fenomeni romanzi in nomi di persona o di luogo contenuti in testi che sono il latino, ma sono scritti da persone che del latino non avevano la piena competenza, notando le differenze tra uno scrittore e un altro. Si possono infatti notare dittongamenti o elisioni negli stessi nomi e presumere che quel fenomeno fosse in uso nella lingua romanza del posto e che fosse sfuggito a chi doveva scrivere quel testo in latino. Si ha dunque una documentazione diretta non di testi romanzi veri e propri, ma di fenomeni romanzi contenuti in testi latini. Si può anche seguire un'altra via, il recupero attraverso la comparazione e la ricostruzione di fenomeni non documentati. Il principio di base è quello che se un fenomeno innovativo appare in più varietà e si può escludere che una varietà l'abbia trasmesso orizzontalmente alle altre, è lecito ipotizzare che tutte lo abbiano autonomamente ereditato da una varietà più antica, anche se non si ha prova diretta). Se seguiamo il caso dell'articolo determinativo, come già detto esso deriva per la maggior parte delle lingue romanze dal dimostrativo latino ILLE, mentre altre lo fanno risalire all'altro dimostrativo IPSE, ma il latino non aveva alcun articolo determinativo che precedeva il nome. È dunque ipotizzabile che in una situazione temporale precedente la separazione delle varie lingue romanze fosse presente questo fenomeno. Sono però comunque ipotesi, perchè non ci sono attestazioni documentate. Pagina 31 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro 36 IL LATINO E LA SUA DIFFUSIONE ANTICA Il latino, la lingua madre delle lingue romanze, appartiene alla famiglia linguistica indoeuropea. In origine era parlato solamente a Roma e in qualche località vicina. Nella penisola erano diffuse altre varietà indoeuropee abbastanza affini al latino, chiamate italiche. Ne facevano parte l'umbro e l'osco. Un'affinità minore legava il latino con altre due varietà indoeuropee parlate in latino: il siculo ed il venetico. Esistevano però in Italia anche altre lingue indoeuropee, come il celtico, il greco, il messapico; ed altre non indoeuropee, come il ligure, il retico, l'etrusco, il sicano, l'elimo e il punico. L'espanstione continentale del latino è stata condizionata dal grandioso estendersi del dominio politico della città di Roma. Attorno al 300 avanti Cristo il territorio romano non comprendeva che il Lazio e poche terre attorno, ma 200 anni dopo il territorio di dominio si era esteso sproporzionatamente. La latinizzazione di questi territori immensi, le cui popolazioni avevano lingue molto diverse e diversi gradi di civilizzazione è stato un processo secolare. Esso consistette da una parte nella emigrazione in tutto l'impero di persone che parlavano il latino come lingua madre, ma anche e soprattutto nel cambio di lingua da parte degli indigeni e non è stato promosso da una cosciente politica linguistica. Vi sono testimonianze del fatto che i Romani considerassero l'uso del latino un privilegio e ne fossero addirittura gelosi, come della cittadinanza romana. Il primo contatto dei popoli d'Italia e di quelli provinciali con il latino fu attraverso la presenza vittoriosa dell'esercito romano, ma gli eserciti si stabilivano lungo i confini, dunque la presenza delle truppe è un mezzo di latinizzazione sulla frontiera. Altrettanto importante fu la penetrazione dei mercati romani, che a volte precedette la conquista. Roma creò un enorme mercato unico che oltre alla circolazione delle cose premetteva libero scambio di persone e dunque di lingue. Anche l'imponente rete stradale costruita per scopi militari e di dominio si rivelò un ottimo strumento di diffusione delle lingue. Più tardi un importantissimo fattore fu la rete di rapporti tra le comunità cristiane che divennero latine da greche. Ma il fatto decisivo è comunque che gli indigeni abbiano deciso di adottare la lingua latina. Il potere romano si basava sull'appoggio delle classi alte indigene, l'integrazione era possibile, ma presupponeva l'adozione dei valori della civiltà romana e tra questi, la lingua. Inoltre il prestigio della cultura romana era incomparabile con quello delle culture indigene. Riaffermato continuamente dalla diffusione di scuole latine. La scomparsa delle lingue preromane fu comunque molto lenta, mentre la latinizzazione delle campagne deve essere stata completata soltanto in parallelo alla loro cristianizzazione, che è stata lenta ed indipendente dall'esistenza o della caduta dell'impero. 37 LE VARIETÀ DEL LATINO Alcuni scrittori parlano esplicitamente di differenze all'interno del latino. Cicerone sa già che nella conversazione familiare si fa un uso più rilassato Pagina 32 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro della lingua, ed allude alla parlata della plebe come distinguibile da quella delle persone di classe più alta, ma non è chiaro se si tratti di vere e proprie varietà o solamente usi stilistici differenti. Nei testi pervenuti, però, non possibile rintracciare queste differenze, dunque la loro collocazione nello spazio ci risulta complicata. Si tratta non solo di testi di alta letteratura ma anche di altri che ci informano delle variazioni linguistiche. Vanno poi tenuti in conto i testi di carattere pratico, dai trattati veterinari a quelli di cucina, che sono ben lontani dalla letteratura alta, ma che hanno comunque una datazione ed una collocazione nello spazio difficile. Le indagini che sono state condotte sulla lingua delle iscrizioni delle maggiori provincie non hanno portato alla luce sostanziali differenze. La stessa lingua dei cristiani, per qualche decennio considerata dagli studiosi quasi una varietà a sé, non ha altra particolarità al di fuori dei tecnicismi religiosi, in modo analogo a quanto avviene nei gerghi di mestiere. Le fonti ci documentano buona parte dei fenomeni di cambiamento che ritroviamo nelle lingue romanze, e altri che non riappariranno, ma essi affiorano in tutte le provincie, senza rapporto evidente con la futura distribuzione dello spazio romanzo. Il linguista tedesco Hugo Schuchardt tra il 1866-68 riunì una serie di indicazioni sotto un' etichetta di latino volgare. Questa denominazione però da adito ad errori. Essa fa pensare ad uno sviluppo diacronico continuo dal latino arcaico a quello volgare fino alle lingue romanze, rispetto alle quali il latino romanzo sarebbe una cristallizzazione data dalle letterature classiche; in questo modo il latino volgare finisce per essere quello vero, mentre quello dei classici una lingua artificiale. D'altro canto questa distinzione può anche far pensare che il latino volgare sia una forma diversa di latino, in cui vi sono tutti gli errori che poi rimarranno nelle lingue romanze. In realtà l'impero romano non ha conosciuto nessuna diglossia, bensì una situazione del tutto diversa: una lingua dominante, il latino, mentre si estendeva nello spazio e assorbiva intere popolazioni attraverso il cambio di lingua, conservava una sostanziale omogeneità, che non era certo una totale immobilità nel tempo e nello spazio ma non dava luogo ad avvertibili varietà locali. Per quanto riguarda la variazione diacronica, non c'è dubbio che la lingua del tardo impero, il tardo latino, non fosse identica alla lingua del tempo di Cicerone e Cesare. Il racconto di una pellegrinaggio in Terrasanta del 400 dettato da una nobildonna non è da leggere come un testo volgare, ma come un esempio efficace del latino tardo di una signora non di basso ceto e non incolta, ma che è lontana dalla tradizione letteraria del tempo. I presentimenti delle future lingue romanze non vi mancano, ma non sono neanche netti. Insomma il tardo latino è una lingua che conserva quasi del tutto l norma classica, ma conosce anche realizzazioni parlate che rappresentano una variazione. Il senso di appartenenza ad un' unica comunità controlla lo scostamento eccessivo dalla regola. Dunque le lingue romanze non provengono dal latino del volgo, come non provengono da quello dei classici, ma da questo complesso e variegato insieme del latino tardo. Pagina 33 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro 38 I SOSTRATI DEL LATINO Il latino tardo si differenziava da quello arcaico e poi da quello classico, oltre che per i cambiamenti interni avvenuti nei molti secoli della sua storia, anche per effetto dei rapporti con le altre lingue. La maggior parte delle persone che nell'impero romano parlavano latino, avevano cambiato la loro lingua durante la loro vita oppure eran discendenti di qualcuno che aveva cambiato lingua. È dunque presumibile che il latino mostri le conseguenze di questa situazione, cioè degli effetti di sostràto. Vale a dire mutamenti indotti da una lingua che viene abbandonata nella lingua che ad essa si sovrappone. Nell'Italia antica il latino si è sovrapposto a lingue affini, come l'osco-umbro o lingue del tutto diverse come l'etrusco. Per quanto concerne l'osco, esso aveva in comune con il latino una serie di parole in cui ad una -B- latina corrispondeva una -f- osca. Dunque in forme come RUBEN (porpora) e RUFUS (rosso) è facile ipotizzare che il secondo termine latino sia un prestito osco. Ma non è facile distinguere tra un prestito (che deriva da un adstrato) o un relitto (che deriva da un sostrato). Un altro fenomeno conosciuto è il passaggio MB → mm ed ND → nn nei dialetti dell'Italia meridionale e in Sicilia. Ne sono esempio PALUMBA → palomma o QUANDO → quanno. L'area di diffusione moderna del passaggio corrisponde parzialmente all'area in cui duemila anni fa era parlato l'osco. Si è dunque concluso che il fenomeno romanzo è una conseguenza del sostrato osco; quando chi parlava osco passò a parlare latino conservò la vecchia pronuncia, che è poi stata trasmessa dal latino della zona osca al romanzo. Quanto agli etruschi, la cui lingua non aveva alcuna affinità con il latino, la loro relazione con Roma era stata nei primi tempi della città strettissima. Gli ultimi re di Roma sono appunto stati etruschi e lo stesso alfabeto latino viene dall'Etruria. Per quanto riguarda il lessico, dall'etrusco al latino sono passati molte parole, tra cui nomi di persona o altre come popolo o persona (legata però al teatro con il senso di maschera). Ma prestiti del genere vanno considerati di adstrato. In conclusione, se è incerto se il latino avesse o meno subito mutamenti fonetici a causa delle lingue indigene alle quali si era sovrapposto, è invece sicuro che il lessico latino era stato arricchito da nuovi termini corrispondenti alla flora, alla fauna, ai prodotti, alle pratiche agricole ed artigianali, ed insomma alla civiltà e cultura dei paesi conquistati e sottomessi. 39 GLI ADSTRATI DEL LATINO Si ha influenza di adstrato quando la lingua che dà ha un rapporto paritario con quella che riceve, dunque in questo caso non si tratta delle lingue cui il latino si è sostituito, ma quelle con le quali aveva strette relazioni. Sul latino incisero molto due lingue che rimasero sempre di adstrato: il greco e il germanico. Nella Roma arcaica l'incidenza greca è appena meno forte di quella etrusca, il latino ha parole di origine greca fin dalle origini e non si tratta di parole marginali ma relative all'alimentazione come GARUM (salsa di pesce), OLIVA; o termini marinareschi come GUBERNARE (governare la nave). Pagina 34 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro Più tardi, in epoca classica, abbiamo un'altra ondata di influenza greca, i Romani sono affascinati dai Greci e da loro fanno persino derivare la letteratura, la filosofia e la retorica. Le persone romane colte spesso parlavano il greco o avevano studiato in Grecia. Si capisce perchè molte parole colte come IDEA, POESIS, MUSICA, PHILOSOPHIA siano grecismi puri e semplici come anche SCHOLA, GRAMMATICA, PALAESTRA. Ma accanto al grecismo dei ceti colti vi è anche quello popolare, introdotto da immigrati dall'oriente e dagli schiavi. Il bilinguismo fu così diffuso da introdurre in latino persino elementi morfologici come il suffisso nominale -ICUS (COMICUS, TRAGICUS), quello verbale -ISSARE, -IZARE. I rapporti popolari tra latini e greci spiegano poi una terza ondata di grecismi, legati alla diffusione del cristianesimo. La nuova fede era nata tra gli Ebrei, ma si era presto diffusa in greco tra i greci. Anche in occidente la religione si diffuse e la lingua dei riti rimase il greco per più di un secolo, finché andarono prevalendo i fedeli che non parlavano il greco e il rito fu fatto in latino. Non sorprende che il latino dei cristiani sia pieno di grecismi, come EVANGELIUM, ECCLESIA, EPISCOPUS, e anche ANGELUS e DIABOBUS. La competizione tra greco e latino in età imperiale fu tale che il latino si plasmò molto intimamente sull'altra grande lingua dell'impero. Ci si è anche chiesti se il greco, che aveva da sempre l'articolo determinativo (ricavato da un dimostrativo), non abbia potuto fornire un modello alla creazione dell'articolo in latino. Si ha dunque l'impressione che le due lingue in molti casi esprimessero con i propri materiali una struttura divenuta analoga, che sarebbe il segno più forte di una compenetrazione effettiva e profonda. Quanto al germanico, il rapporto con i romani si può far risalire verso la fine del II sec. avanti Cristo, per poi entrare in contatto definitivo successivamente. Fin da Tacito è evidente l'ammirazione che i romani avevano nei confronti dei germani, visti come barbari amanti della libertà. Dal III sec. dopo Cristo ebbero inizio le invasioni barbariche, che portarono alla creazione dei regni ostrogoto in Italia, franco in Francia, visigoto in Spagna. Bisogna anche in questo caso distinguere strati diversi di germanismi. Un certo numero di termini germanici entrano già nel latino imperiale come BURGUS, HARPA, MACHIO (muratore). I prestiti più tardi, quelli entrati quando i germani costituivano già il ceto dominante dei nuovi regni, vanno considerati per lo più effetti di superstrato, cioè di una lingua che si impone come usata da un gruppo sociale superiore, ma i cui parlanti finiscono per adottare la lingua delle genti soggette. Nell'ultima fase imperiale cominciano a diffondersi anche nomi di persona germanici, che poi dilagano nell'alto medioevo, anche qui con differenze tra paese e paese, tra regione e regione. 40 TEORIE ED IPOTESI SUL PASSAGGIO DAL LATINO AL ROMANZO Il latino, come abbiamo visto fino ad ora, era cambiato nel tempo, ma era pur sempre rimasto latino. Eppure verso l'anno 800 la gente non sentiva più di parlare latino. Tutto ciò è piuttosto scontato, ma bisogna ancora trovare una spiegazione al frazionamento del latino in un gruppo di lingue differenti non solo dal latino stesso, ma anche tra di loro. LA CORRUZIONE BARBARICA – Fin dal sec. XV è stata presa in considerazione la tesi delle invasioni barbariche. Le lingue romanze vengono così considerate forme Pagina 35 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro corrotte di latino, imbarbarite dalla mescolanza etnica e linguistica delle invasioni; la pluralità delle lingue romanze corrisponderebbe alla pluralità di genti germaniche che hanno corrotto ognuna a suo modo il latino. Ma questa spiegazione viene confutata ad esempio dalla scomparsa della declinazione nominale, che invece era presente in tutte le lingue germaniche. LA DIGLOSSIA – Sempre al 1400 risale una spiegazione alternativa, che ipotizza nel mondo antico una permanente diglossia, cioè l'esistenza già nella Roma classica di una lingua alta, della letteratura, e una bassa, che gli studiosi moderni chiamano volgare. Mentre la prima si sarebbe cristallizzata nell'immobilità della grammatica, la seconda si sarebbe sviluppata nelle lingue romanze. Ma anche questa ipotesi è da scartare, perché non spiega l'articolazione del mondo linguistico romanzo in varietà diverse. IL SOSTRATO – Un' ipotesi del 1881 circa attribuisce il peso decisivo nella formazione delle lingue romanze ai sostrati prelatini. Non è improbabile che alcuni mutamenti romanzi abbiano la loro la loro remota origine in fenomeni di sostrato, ma non solo la loro storia successiva è tutta interna alla storia delle rispettive lingue romanze, ma essi sono comunque una parte limitata dei fenomeni che hanno trasformato il latino nelle lingue romanze. L'EPOCA DELLA LATINIZZAZIONE DELLE PROVINCIE – Nel 1884 Grober collega la differente fisionomia delle lingue romanze alla stadio di sviluppo raggiunto dal latino alla data della prima latinizzazione delle provincie corrispondenti. Il primo ostacolo a questa teoria è che anche questa presuppone che il latino imperiale fosse assai differenziato al suo interno, in rapporto alla successione diacronica della latinizzazione delle provincie. Inoltre la latinizzazione è un fenomeno di lunga durata, che comincia al momento della conquista di una provincia ma a volte non era ancora terminato quando l'impero crollò; ed è impensabile che il latino di una provincia non abbia risentito degli sviluppi che avvenivano altrove. È vero che qualche conferma l'ipotesi l'ha trovata nella constatazione che nelle tradizioni linguistiche coloniali la fase di una costituzione di una tradizione locale è importante, sicché la lingua della colonia conserva a volte qualche tratto diatòpico e diacronico, che dipende dall'epoca in cui si è costituita la tradizione e dalla provenienza dei colonizzatori. Questa teoria non va dunque considerata del tutto errata. I LIVELLI LINGUISTICI DELLA LATINIZZAZIONE – Nel 1936 von Wartburg si muove in quest'ultima direzione. Oppone una Romània occidentale, che sarebbe stata romanizzata dall'alto, e una Romània orientale, romanizzata dal basso. Ai primi sarebbe arrivata la lingua della grammatica, ai secondi quella dei contadini e dei soldati, dunque un latino molto meno regolato. A questa bipartizione si sarebbe aggiunta e sovrapposta l'influenza dei diversi superstrati germanici, producendo risultati eterogenei. Ma von Wartburg si limita a generalizzazioni senza compiere approfonditi studi in merito. IL PROTO-ROMANZO – In direzione opposta si muovono le teorie di Hall e de Dardel. Se noi compariamo tra di loro le lingue romanze con lo stesso metodo con cui compariamo le lingue germaniche come da queste ricostruiamo il germanico comune, da quelle ricostruiremo la rispettiva lingua madre,il proto-romanzo. Questo non risulta identico al latino: ha in più i tratti comuni delle lingue romanze ma inesistenti in latino (l'articolo), ed in meno i tratti esistenti in latino ma che le lingue romanze non permettono di ricostruire. Questa proto-lingua ricostruita è dunque il presupposto teorico delle lingue romanze storiche. Ma non esistendo documentazione non è possibile verificare Pagina 36 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro dove questa lingua ricostruita si scosti da quella storica. In fine, mentre in genere il frazionamento delle altre protolingue viene giustificato a ipotetiche migrazioni di gruppi parlanti, nel caso romanzo non vi sono migrazioni che possano spiegare formazioni di lingue romanze diverse. L'ipotesi proto-romanza ha una sua coerenza astratta ma non supera la verosimiglianza storica. Oltretutto non si capisce dove questa lingua vada collocata nel tempo e nello spazio. Né spiega soddisfacentemente la frammentazione linguistica coessenziale al passaggio dal latini al romanzo. L' INVENZIONE DEL LATINO MEDIEVALE – Ha avuto recentemente fortuna una altra tesi, dell'inglese Wright, secondo il quale quello che va spiegato non sono le lingue romanze, naturale evoluzione del latino, ma il latino medievale, che non è la continuazione diretta del latino scritto antico. Secondo Wright fino all'epoca di Carlomagno chi scriveva produceva testi romanzi sotto una veste grafica latina, presentando un distacco tra grafia e pronuncia. Purtroppo i dotti della corte di Carlomagno credettero bene di restaurare il latino: di fatto” inventarono” il latino medievale. Ne consegui che venne a mancare il consueto modo di scrivere il romanzo necessitando nuove grafie. Tutto ciò è avvenuto verso il 1200. Che una lingua non si legga come si scrive è vero fino ad un certo punto, e non si capisce come la grafia latina potesse coprire la fonetica e la grammatica romanza. Questa tesi della non corrispondenza tra grafia e pronuncia potrebbe essere sostenuta in qualsiasi periodo e la linguistica latina finirebbe in crisi. QUALCHE IPOTESI CONCLUSIVA – Un primo difetto di tutte queste teorie è la loro unilateralità, ed il più o meno forte distacco dal contesto della generale ricerca storica. Accettiamo come punti di partenza che il passaggio dal latino alle lingue romanze è un processo storico complesso e deve essersi svolto coerentemente ad altri processi storici. Il latino imperiale era la lingua di una comunità estesa e complessa dal punto di vista sociale, economico, culturale e religioso; essa fu adottata da masse sempre maggiore di alloglotti attraverso un processo di cambio di lingua che era cominciato ma non sempre concluso. Malgrado tutto,la forza centripeta che avvolgeva l'impero era abbastanza forte da generare una coesione effettiva, ma l'unità del latino imperiale non fu mai considerata in pericolo.si trattava,invece, di una unità che tollerava un forte grado di variazione diatòpica e diatràtica. Gli influssi delle lingue di sostrato e quelle di adstrato potevano essere assorbiti senza difficoltà in questo sistema complesso ma coeso. Le variazioni fonetiche da esso introdotte restavano fenomeni locali e substandard, i prestiti o relitti lessicali entravano a far parte della lingua comune, anche al di fuori dell'area di acquisizione. Attorno al 500 dC cambiò qualcosa al di fuori della lingua,l'impero di occidente era scomparso, finchè papa leone e CarloMagno nel natale dell'anno 800 lo tradussero di nuovo in realtà. Questo era però l'ideale di persone colte, la realtà di tutti andava cambiando: gli orizzonti della vita politica, sociale ed economica si erano ristretti. Per fare un esempio nel regno dei franchi non si guardava più a Roma, il punto di riferimento era la corte itinerante del re franco. L'Italia si spezzava tra aree bizantine e aree longobarde. I mercati si restrinsero a loro volta. Il “mondo” si era fatto molto più piccolo e diverso per gruppi diversi, la patria ideale, Roma, faceva posto alla patria reale. Il modello di prestigio a cui i parlanti ispiravano il loro comportamento non era più Pagina 37 di 38 Linguistica Romanza Corso introduttivo Alberto Varvaro unitario o colto, era la lingua usata dai gruppi di potere, cioè un latino substandard in quanto parlato da alloglotti. Così la variazione linguistica fu sottratta al controllo di una norma unitaria, le nuove norme,invece, autorizzavano fenomeni che erano stati semplici variazioni. Le forze centrifughe si rafforzarono e quelle centripete si indebolirono. In meno di due secoli le lingue romanze avevano individualità distinte, collegate a nuove identità sociali, a nuovi sensi di appartenenza ad una comunità che non era più da tempo quella romana. Rimaneva il guscio del latino scritto e letterario, che non era certo uscito indenne dal processo appena descritto, ma restava ancora comprensibile ovunque a coloro che avevano studiato. Quando Carlomagno e i suoi dotti promossero una riforma di questo latino e lo resero più aderente alla norma antica, questo equilibrio si spezzò: le lingue romanze acquisirono identità piena e la diversità, che esisteva da tempo, diventò evidente a tutti. Pagina 38 di 38