Giallo Oro - Mondolibri

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Giallo Oro - Mondolibri
LIBRO
IN ASSAGGIO
GIALLO ORO
A CURA DI AAVV
1
Avevo lasciato il mio avatar appena fuori dal bosco dei goblin, sotto una quercia.
Quelle creature immonde l’avevano ferito quasi a morte. La giubba di Stormrider era
chiazzata di rosso in più punti, il suo scudo spezzato. La barra di energia ai limiti.
Non aveva più frecce, e doveva ancora passare il Ponte di Beinagor e la Gola degli
Scheletri. Mica una passeggiata. Nel suo inventario non c’erano rimaste più pozioni o
incantesimi di guarigione.
Non ce l’avrebbe mai fatta senza un aiuto. Avevo provato a chiamare Gazza, ma quel
coglione aveva il cellulare spento, o scarico. “L’utente da lei chiamato potrebbe avere
il telefono spento, o disattivo”, aveva detto la solita voce di donna sempre uguale,
registrata, o sintetizzata da un computer. Cazzo, Gazza mi serviva. Volevo dirgli di
far entrare il suo avatar nel gioco, così poteva prestarmi una pozione e magari anche
mezza faretra di frecce. L’avatar di Gazza ne ha sempre in abbondanza. Tanto non se
ne fa niente. Quasi un anno che gioca e non è ancora uscito dal villaggio. Cioè, una
volta l’ha fatto ma, appena fuori dall’incantesimo protettivo di Bonnechance, un troll
di montagna gli ha staccato la testa con un morso e da allora non è più stato lo stesso:
si limita a girare a vuoto intorno alla chiesa e a parlare con gli ospiti della locanda. A
dare consigli che tanto nessuno ascolta. Chi vuoi che stia a sentire un avatar che si
chiama Dulcimer?
Avevo rimesso giù il telefono, con quel suo led azzurro che brillava come se mi
facesse l’occhiolino. Disteso all’ombra della quercia, Stormrider aveva gli occhi persi
nel vuoto. Il suo petto si sollevava troppo spesso.
Il manuale diceva che in questi casi potevi terminare il tuo personaggio e riprendere
dall’ultimo punto di salvataggio. Ma nel mio caso quel punto era venti miglia più a
valle, alle paludi di Ganazer, e non avevo nessuna voglia di farmi nuovamente strada
in mezzo ai boschi infestati di lamie e di goblin.
Una torsione del polso sul mouse. La visuale che ruotava. Il mio eroe adesso mi
guardava col respiro corto. Gli occhi azzurri sembravano fissarmi. Era strano pensare
che quell’avatar, ero io, duplicato nel gioco.
— Maledizione!
Avevo battuto il pugno sulla scrivania, quella stupida scrivania da studente delle
medie che mia mamma non si decideva a cambiare. Tutto quello che potevo fare era
coprirla di adesivi, renderla un po’ meno scema a forza di appiccicarci sopra, anno
dopo anno, personaggi e scene dei Pokémon, e poi di Dragonball, e in- fine di Yu-GiOh, strati su strati, come nel disegno sul libro di geografia, quello che mostra le varie
epoche, o ere, come cacchio si chiamano. La scrivania è un mobile del cazzo, con i
bordi di plastica che saltano via. Il computer invece è proprio il massimo.
Ci ho fatto montare su una scheda Asus Eax X1900 XTX a 650 MHz. Una figata
pazzesca, soprattutto con Doom 3. Ma Everlasting Kingdom per me è il massimo.
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Everlasting Kingdom... Storm...
Stavo lì a guardare Stormrider disteso sotto l’albero, e sono rimasto così per ore,
collegato in rete con altri 352 giocatori, stando al contatore, e nessuno che passasse
vicino a me, nessuno che si fermasse a chiedere se avevo bisogno di qualcosa. Il più
vicino era a venti click di distanza, che ai fini pratici era come se fosse stato su Marte.
Mesi prima avevo avuto una Fenice che potevo mandare in ricognizione, e adesso
avrei potuto usarla per chiamare aiuto. Ma l’avevo scambiata con una minchiata di
anello magico dei Nani, per farmi luce nelle loro miniere. Dimmi adesso a cosa mi
serviva, mentre il mio eroe moriva nella luce del mezzogiorno. Questa della luce di
mezzogiorno era una cosa che mi ha detto Linda, una ragazza che Stormrider ha
incontrato alla locanda del Grifone Rampante. Cioè, l’avatar era una ragazza. Chi c’è
dietro non si sa mai, puoi solo immaginarti che sia in qualche modo simile al
personaggio che ha scelto come avatar. Anche se io, per dire, non è che ho molto in
comune con il povero Stormrider, che è alto e biondo e porta un elmo con due ali,
come il Thor della Marvel.
Linda disse che quello che le piaceva, di quel mondo in cui lei e Storm vivevano, era
come tutto fosse netto, preciso.
— La notte è notte e il giorno è giorno.
— È così anche in quell’altro mondo. Voglio dire, in questo.
Linda fece un gesto di fastidio. — No. Qui le notti sono il regno del Buio, del Male.
I caratteri scorrevano da destra a sinistra, sotto i due personaggi. Le loro parole
apparivano a mano a mano che in questo mondo le nostre dita toccavano le lettere
sulla tastiera.
— Invece il giorno è bellissimo. Azzurro come se la parola azzurro fosse stata
inventata per quei giorni. E la luce del mezzogiorno...
Era passato un lungo momento prima che le parole successive apparissero sullo
schermo: È COME UNA CASCATA D’ORO.
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