Leonardo da Vinci

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Leonardo da Vinci
I CODICI LEONARDESCHI
Di tutta la produzione di Leonardo ci restano ancora, fortunatamente, oltre cinquemila pagine di appunti, circa un quinto
della sua produzione, scritti con la sua inconfondibile scrittura speculare, orientata da destra a sinistra. Può essere che
utilizzasse questo stratagemma solo per divertimento, poiché era un appassionato di giochi d'ingegno e di barzellette.
Questa enorme massa di scritti, sicuramente la più consistente del periodo rinascimentale, è restata coinvolta, dopo la
morte di Leonardo, in incendi, ed è stata oggetto di rapina e di atti di vandalismo.
Quando Leonardo morì lasciò tutte le sue pagine al suo fedele discepolo Francesco Melzi, che le conservò con cura, ma
alla sua morte i suoi eredi diedero inizio alla dispersione di questo importantissimo e immenso materiale; addirittura, non
avendone compreso l'importanza, inizialmente lasciarono gli scritti in un sottotetto, per poi regalarli o cederli a poco
prezzo ad amici o collezionisti.
Grandi responsabilità del rimescolamento delle carte ha lo scultore seicentesco Pompeo Leoni, che, con l'intenzione di
separare i disegni artistici da quelli tecnologici e di unificare le pagine scientifiche, smembra parte dei manoscritti
originali, tagliando e spostando le pagine così da formare due grandi raccolte: il Codice Atlantico e la Raccolta di
Windsor. Proseguendo con lo stesso sistema Leoni compone almeno altri quattro fascicoli.
Dal 1637 al 1796 parte dei manoscritti è ospitata nella Biblioteca Ambrosiana, da cui però Napoleone li fa trafugare al suo
arrivo a Milano. Nel 1851 solo una parte di essi tornano a Milano; altri restano a Parigi, e altri ancora in Spagna, dove
alcuni verranno ritrovati solo nel 1966.
1.
ATTEGGIAMENTO UNIVERSALISTICO fondamentale nel rinascimento: per dominare razionalmente la realtà si deve
conoscerla in tutti i suoi aspetti, in tutte le sue forme, senza limitazioni specialistiche. Non solo incarna l’ideale dell’artista
completo che supera i confini di una sola arte, riuscendo ad essere perfetto anche nelle altre, ma s’interessò di anatomia, di
botanica di astronomia, di meccanica, di zoologia.
2.
VALORE DELL’ESPERIENZA L’originalità e l’importanza degli studi leonardeschi sta soprattutto nel capovolgimento
totale del metodo. Leonardo, infatti, non accetta acriticamente i dogmi scientifici tramandati dall’antichità; non accetta la
scienza come teoria, come legge astratta, considerandola “vana e piena di errori” se non nata dall’esperienza, “madre di ogni
certezza”, intesa sia come sperimentazione (cioè riproduzione in laboratorio di fenomeni naturali) sia come studio meticoloso
e scientifico della realtà in tutte le sue forme. Ha inizio con Leonardo quel metodo sperimentale, che sarà la base della
“scienza nuova” galileiana, per il quale dall’esperienza, dall’osservazione diretta dei fenomeni della natura, si può giungere a
stabilire le leggi immutabili che li regolano, comprendendole mentalmente.
CRONOLOGIA DELLE OPERE E COMMENTO
Battesimo di Cristo
1470-75 Uffizi,
180x152,5
FINO AL
1482
FIRENZE
Annunciazione 147275 Uffizi, 100x221,5
Collabora col maestro Verrocchio all’opera dove dipinge l’angelo
reggitunica, l’acqua che lambisce le caviglie dei personaggi e il
paesaggio sullo sfondo. L’angelo ha, infatti, nella delicatezza dei tratti,
nei riflessi dei capelli (il “lustro” lo chiamerebbe Leonardo),
nell’intensità espressiva, alcuni dei caratteri fondamentali del pittore;
mentre il paesaggio, con il fiume che si allontana tra rive rocciose
sfumando e, quanto più aumenta la distanza, confondendosi con gli
altri elementi naturali, è pervaso da una luce densa e vibrante.
Pur essendo ancora presenti elementi propri dell’iconografia
tradizionale (come la collocazione dell’angelo a sinistra e della Vergine
a destra), la concezione è del tutto nuova. Innanzi tutto l’ambientazione
avviene in un giardino fiorito e non in un chiostro lontano dalla vita del
mondo, come nel Beato Angelico. Il prato è ricco di piante e di fiori
reali, non per gusto fiammingo, ma per la precisione con cui il nostro
occhio può percepire gli oggetti vicini piuttosto che quelli lontani,
perchè la ragione deve osservare il mondo sottoponendolo ad analisi
scientifica, non guardarlo superficialmente. Tutto deve essere certo e
reale e, infatti, le ali dell’angelo sono, non più simboliche, ma
“battenti”, colte un attimo prima che si ripieghino in riposo. La
Madonna, posta al limite di una cavità d’ombra, ascolta le parole divine
e già mostra, con la mano sinistra, la propria consapevole accettazione:
si viene così precisando la poetica leonardiana degli “affetti”, la
necessità di rivelare chiaramente ciò che i personaggi stanno pensando.
Sono inoltre presenti altri elementi che il pittore svilupperà
successivamente: la luce e la prospettiva. La luce non è piena, ma
attenuata, così da ammorbidire i tratti; è la luce di un’ora già vicina al
crepuscolo, tanto cara a Leonardo poiché “sul far della sera i visi di
FINO AL
1482
uomini e donne” acquistano “grazia e dolcezza”. Per quanto riguarda
invece la prospettiva, essa è tradizionale nella zona anteriore: i conci
del bugnato, il marciapiede ammattonato, il basamento del leggio,
l’apertura nel muretto indicano la convergenza verso il punto di fuga
collocato al centro. E’ dunque prospettiva lineare; tuttavia, al di là del
muretto, la profondità spaziale è resa mediante il degradare progressivo
dei colori. Leonardo cioè scopre oltre alla prospettiva lineare, quella
cromatica e aerea: via via che si allontanano, i colori diminuiscono
d’intensità e i volumi di precisione, perché fra loro e il nostro occhio
s’interpone l’aria in spessore sempre maggiore. E’ evidente la
differenza con opere quasi coeve come “La Primavera” del Botticelli
dove protagonista è la linea; qui la linea è usata solo per alcuni
particolari, mentre protagonista è la vastità spaziale
Adorazione dei Magi
1481 Uffizi, 243x246
FIRENZE
1482-1498
MILANO
Si fa precedere da una
lunga lettera di
presentazione
indirizzata a Ludovico
Sforza dove si ritrae più
come ingegnere che
come artista, sapendo
che in quella società la
novità delle invenzioni,
l’ingegnosità delle
tecniche contavano più
dell’astratto pensiero
dei filosofi. In
quell’ambiente si
occupa di ingegneria,
idraulica, scienze
naturali, anatomia,
raccogliendo una massa
enorme di appunti e
utilizzando sempre il
disegno come
strumento d’indagine
valido per tutte le
discipline.
La Vergine delle
Rocce
1483 Louvre 198x123
Incarico ricevuto dai monaci di San Donato a Scopeto lasciata
incompiuta forse a causa della sua partenza per Milano. La forma quasi
quadrata della tavola permette a Leonardo di organizzare la
composizione secondo le diagonali, il cui punto di incontro cade nella
testa della Madonna. Lei, arretrata rispetto ai Magi inginocchiati e
adoranti, costituisce il vertice di una piramide, alla quale dà movimento
rotatorio orientandosi leggermente con le gambe verso sinistra e
volgendosi, come il Bambino, verso destra (il contrapposto
leonardiano). La costruzione prospettica è sottolineata dai due alberi
posti sulla stessa linea di fuga; essi hanno un significato simbolico: la
palma e l’alloro indicano rispettivamente il martirio e la vittoria e il
trionfo sulla morte. L’artista sviluppa il tema più come “epifania” o
manifestazione del divino, che come “adorazione” andando diritto al
significato religioso più profondo. L’epifania è fenomeno, anzi una
serie incalzante di fenomeni, che sorprende, emoziona, suscita reazioni
diverse, mette in moto tutta la realtà, rende visibile il linguaggio dei
gesti e dei volti: una ressa di persone agitate, gesticolanti, prostrate e
cavalli che imbizzarriscono al fenomeno dell’apparizione divina.
Quest’impeto, questo fervore, con tutta la sua varietà psicologica, è il
tema fondamentale, non la narrazione del fatto; per questo mancano
alcuni elementi usuali dell’iconografia tradizionale: per esempio la
capanna, il bue e l’asinello e lo snodarsi del corteo (come in Gentile da
Fabriano).
Sono rappresentati, davanti ad un panorama roccioso, seduti ai bordi di
un piccolo specchio d’acqua, la Madonna, il piccolo San Giovanni in
preghiera, un angelo e il Bambino Gesù benedicente. Da un punto di
vista compositivo, le quattro figure sacre si dispongono agli estremi
delle diagonali interne di un quadrilatero, dal quale si alza una forma
piramidale il cui vertice è costituito dalla testa della Vergine. Lo
schema geometrico è sapientemente animato dalla complessa
articolazione dei corpi: lo slancio in avanti del piccolo Battista,
l’atteggiamento della Madonna che tiene una mano maternamente
appoggiata sulle sue spalle, mentre con l’altra avanza a coprire la testa
di Gesù; Egli, accavallando le gambe e appoggiandosi a terra con la
mano sinistra, si volge a benedire con la destra, mentre l’angelo,
guardando obliquamente verso l’esterno, indica Giovanni. Si
percepisce un movimento rotatorio che significa l’inserimento del
gruppo divino nello spazio circostante, nel mondo. Per conseguenza,
affinché il rapporto con l’ambiente sia totale, si viene sempre più
eliminando la linea di contorno che è viceversa limite, confine,
divisione. Lo “sfumato” leonardesco, invece, permette di passare
senza violenza da un volume ad un altro. Lo sfondo roccioso deserto è
realizzato con la prospettiva aerea: la misura delle distanze in
profondità secondo il colore e la densità dell’atmosfera interposta, in
modo tale che tutte le cose appaiano avvolte, velate, sfumate. La luce,
come nell’Annunciazione, è crepuscolare e doppia: da sinistra e dal
fondo, questa tanto più visibile perché giunge attraverso l’oscurità della
grotta. Un’ultima osservazione riguarda la ricerca dell’umano
(conoscibile e comprensibile) anche nel divino: scompare, infatti,
l’aureola medievale, simbolo di santità e della luce divina, che il
Quattrocento aveva razionalizzato dandole forma di superficie circolare
in prospettiva.
Il grande dipinto cominciò a deperire pochi anni dopo, forse per l’uso
di una nuova tecnica da parte dell’autore (tempera all’uovo su un
arriccio duro e levigato), escogitata per avere modo di ritornare sul già
fatto, per correggere e mutare. Leonardo muta l’iconografia
tradizionale secondo la quale Cristo è colto nell’atto di istituire il
sacramento dell’Eucarestia (la benedizione del pane e del vino) e
Giuda siede dall’altra parte dei commensali, da solo (come in Andrea
del Castagno e in Domenico Ghirlandaio) e rappresenta i dodici
apostoli tutti dalla stessa parte del tavolo, sei alla destra e sei alla
sinistra del Cristo, raffigurando il momento in cui Gesù ha appena
annunciato il tradimento di Giuda. Le sue parole si propagano da un
capo all’altro del tavolo generando angoscia, disapprovazione e stupore
incredulo nei discepoli che, in una sorta di moto ondoso, divergono da
Gesù raggruppandosi a tre a tre, e in questo loro allontanarsi isolano la
figura del Redentore che si erge possente, eroica e nobilmente calma
allo stesso tempo, al centro della complessa composizione. La sala è
rappresentata con la prospettiva lineare, ma di là dalle tre finestre
aperte (su quella centrale si staglia la testa del Cristo), torna la distesa
profonda degli spazi con il cielo chiaro che sovrasta le colline ondulate
e che sostituisce l’antica aureola come segno della divinità di Gesù. In
quest’opera Leonardo riesce a rappresentare il pensiero e le emozioni
con il linguaggio dei corpi, delle mani, dei volti, studiati fin nei minimi
particolari anche nei disegni che hanno preceduto la raffigurazione
pittorica. Leonardo diceva che il buon pittore deve sapere dipingere
due cose: “l’omo e il concetto della mente sua”
Invasione francese del Ducato di Milano  Leonardo fugge e si reca a Mantova e poi a Venezia
Cenacolo
1495-97 refettorio S.M.
delle Grazie, 460x880
1499
La Battaglia di
Anghiari
1503
1503
FIRENZE
Nel 1503 la Signoria fiorentina a ffidò a Leonardo l’incarico di
dipingere, su una parete dell’attuale “Salone dei Cinquecento” in
Palazzo Vecchio la Battaglia di Anghiari, combattuta e vinta dai
fiorentini nel 1440 contro i Visconti mentre sull’altra parete
Michelangelo avrebbe dovuto rappresentare la Battaglia di Cascina
contro i Pisani e in particolare il momento in cui i pisani tendono
un’imboscata ai fiorentini che si stavano bagnando nell’Arno per
mitigare la calura estiva. Sarebbero stati così messi a confronto i due
maggiori artisti fiorentini dell’epoca, due personalità diverse e
contrastanti. I termini della relazione e dell’antitesi tra i due maestri
possono essere espressi in questo modo: Leonardo o “il sentimento
della natura”, quello per cui sentiamo il ritmo della nostra vita pulsare
all’unisono con quello del cosmo; Michelangelo o “il sentimento
morale”, quello per cui cerchiamo di riscattare dalla natura
un’esistenza spirituale che è soltanto nostra e che ci lega a Dio. Ma in
realtà non sono due diverse concezioni del mondo, bensì due momenti
distinti e complementari dell’esistenza umana, quello che ci porta a
confonderci con la natura e quello che ci spinge a separarcene e a
trascenderla. A quanto apprendiamo dalle fonti, Leonardo tentò di
attuare probabilmente la tecnica ad encausto, fissata a fuoco, quella
tecnica che ci permette ancora di conservare, dopo duemila anni, gli
affreschi romani. La prova dette buon esito ma quando applicò il
procedimento sulla grande superficie muraria, accendendo dei fuochi
alla base, mentre la zona inferiore si seccò regolarmente, quella in alto,
non raggiunta sufficientemente dal calore, colò rovinosamente. Quanto
restava scomparve sotto gli affreschi con i quali il Vasari, nel 1557,
rivestì la sala. Possiamo avere un’idea delle due opere dalle copie dei
cartoni preparatori realizzate da Rubens (Leonardo) e da Aristotele da
Sangallo (Michelangelo). Leonardo vuole evidenziare il senso
vorticoso, il moto, la violenza della zuffa e le alterazioni prodotte su
uomini e animali dalla ferocia dello scontro, insistendo sul dato
emozionale e psichico M. invece pone l’accento sulla rappresentazione
dei vigorosi corpi nudi, fissati in pose varie e contorte.
Il quadro più celebre del mondo mostra una giovane donna, forse
Monna Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo, ricco
mercante fiorentino. Lei è in posa al di qua di un parapetto, mentre alle
sue spalle si dipana la più grandiosa visione geologica mai immaginata.
Non è un paesaggio veduto né un paesaggio fantastico: è l’immagine
della “natura naturans”, del farsi e disfarsi, del ciclico trapasso della
materia dallo stato solido al liquido, all’atmosferico. I contorni sfumati
Inizia la Gioconda
1503-06 Louvre 77x53
Sant’Anna, la Vergine
e il Bambino
1503-13,Louvre
168,5x130
1506
MILANO
1513
ROMA
1516
FRANCIA
2 maggio
1519
della figura fondono Monna Lisa con questo paesaggio ed esprimono
quella palpitazione, quella penetrazione nell’atmosfera, che fanno della
Gioconda una persona umana nella più alta accezione rinascimentale,
cioè completamente inserita nel mondo naturale. Il tenue sorriso di lei e
il suo sguardo, che sembra seguire lo spettatore comunque esso si
sposti, derivano il loro fascino in gran parte dallo sfumato, da questo
passaggio chiaroscurale, morbido e graduale che, togliendo al volume
rappresentato il contorno nitido, lo inserisce nell’ambiente circostante,
facendolo vibrare dolcemente. Leonardo, infatti, ha nascosto i lati della
bocca e gli angoli degli occhi nell’ombra ottenendo l’impossibilità di
poterne afferrare i contorni precisi e, raffigurando il viso di tre quarti,
ha reso anche la rotazione per cui, alla fine, ella sembra pulsare e
vibrare come se fosse viva e respirasse. Il sorriso comunque, che ha
tanto fatto parlare di sé come un unicum misterioso non è un
eccezione: sorridono ad esempio i Kouroi arcaici greci e anche qui il
sorriso esprime una condizione di perfetto equilibrio con il mondo
naturale; non è espressione di gioia, un sentimento umano transitorio,
ma di una serena tranquillità di chi domina con la ragione.
La composizione e la tecnica esecutiva di quest’opera mostrano
comunque due caratteri fondamentali della poetica di Leonardo: il
contrapposto e lo sfumato. Per contrapposto s’intende un
bilanciamento delle masse corporee che hanno subito una torsione (una
rotazione cioè secondo due sensi opposti) attorno ad un asse. La
Vergine, infatti, ha le gambe volte a sinistra, mentre il suo busto volge
a destra. Lo sfumato invece consiste sia nel passaggio graduale e
impercettibile dall’ombra alla luce, ottenuto sfumando il segno, sia
nella perdita graduale della precisione dei contorni che non sono netti e
continui, ma delineati da infinite linee spezzate.
Compie importanti studi geologici e ideologici nelle vali lombarde, prepara i piani per le
canalizzazioni dell’Adda
A Roma forse completa la Gioconda per Giuliano de’ Medici, fratello del pontefice Leone X e suo
protettore e c’è chi, infatti, vuole identificare la donna con Isabella Gualandi, una gentildonna
napoletana che era in relazione con i Medici.
Su invito del re Francesco I si reca in Francia.
Muore ad Amboise sulle rive della Loira nel Castello reale di Cloux.