La mia controstoria d`Italia che darà fastidio a sinistra

Transcript

La mia controstoria d`Italia che darà fastidio a sinistra
Torna Bertinotti: esce il libro del Subcomandante Fausto
In Abruzzo casa-museo dedicata al poeta romano Ovidio
Ne La discorde amicizia (Ediesse) è raccolto uno scambio epistolare tra Fausto Bertinotti e Riccardo Terzi tra
la nascita del governo Monti e le elezioni politiche del 2013. L’ex presidente della Camera e segretario di
Rifondazione si è cimentato in un testo che, come dice il titolo, vuole testimoniare la necessità per la sinistra
di organizzarsi come campo plurale, nel quale sappiano convivere diverse culture politiche.
L’associazione Porfinium onlus ha iniziato a L’Aquila la realizzazione di una casa museo dedicata a
Publio Ovidio Nasone. L’obiettivo è quello di terminare l’opera entro il 2017. Una domus italica
capace di raccontare, ai futuri visitatori, la vita del grande poeta, i suoi studi, le sue opere e i suoi
amori. Un luogo ospitale, dove le emozioni cattureranno l’interesse dei visitatori di tutto il mondo.
Giampaolo Pansa
IL NUOVO LIBRO
La mia controstoria d’Italia
che darà fastidio a sinistra
In «Sangue sesso soldi» Pansa riscrive (controcorrente) il periodo 1946-2013:
il fascismo, la Liberazione, il terrorismo, Tangentopoli, il Cavaliere, la crisi
Per gentile concessione dell’autore e dell’editore, pubblichiamo ampi stralci dell’introduzione al nuovo libro
di Giampaolo Pansa, che uscirà l’11 settembre. Si intitola «Sangue sesso soldi», ed è una personale rilettura di
sessant’anni di storia italiana, scritto da uno dei testimoni più autorevoli e apprezzati del panorama italiano. Il volume (edito da Rizzoli, 450 pagine, 19 euro, disponibile anche in e-book) è suddiviso in 8 parti: una
per ogni decennio dal Dopoguerra a oggi. La narrazione
di Pansa è personale, imperniata su figure minori attor::: segue dalla prima
GIAMPAOLO PANSA
:::
no alle quali scorre il grande racconto della storia d’Italia. Il giornalista e scrittore rivive così, da testimone diretto, l’infanzia sotto il fascismo (nella foto Olycom, il
Duce), le ansie del dopoguerra (De Gasperi, Ansa), la
transizione. E poi il boom, gli anni Sessanta, il terrorismo vissuto al «fronte», il caso Moro, il crac Ambrosiano, l’era Agnelli (foto Olycom), Falcone e Borsellino,
Tangentopoli, l’arrivo del Cav (il predellino, foto Ansa).
L’ultimo capitolo è l’oggi: la grande crisi, le strambe elezioni 2013, la sorte di Berlusconi, la morte di Andreotti.
LA SCHEDA
.
(...) le abbiamo dimenticate. Eppure
anche nel nostro passato più vicino
campeggiano un’infinità di tombe e di
lapidi funerarie. E ancora oggi gli assassini stanno in agguato ovunque,
pronti al delitto. Il sesso, praticato, esibito o narrato è un’altra delle nostre
bandiere. I media ci presentano di
continuo storie di letto che un tempo
restavano confinate nelle chiacchiere
private. L’erotismo è diventato fonte di
nevrosi incontrollabili. Ha perso la
normalità allegra di un tempo. Produceansia, stress,contrastiofferti alpubblico. Il gioco che ho conosciuto nella
mia giovinezza si è tramutato in una
contesa furiosa, capace di causare persino movimenti di piazza. Come accade oggi per le nozze tra gay.
I soldi sono sempre stati un’ossessione non soltanto individuale, ma
prima ancora pubblica. La voglia di arricchirsi in modo illecito ha intossicato
la vita politica trascinandola nel baratro della criminalità. Gli anni di Tangentopoli, con i tanti processi e le molte vittime, ci hanno svelato un’Italia ributtante. Abbiamo vissuto una tragedia che continua ancora e azzera la
credibilità delle istituzioni. La sobrietà,
una virtù che i partiti dovrebbero considerare il bene più prezioso, si dissolve ogni giorno sotto lo tsunami di una
corruzione invincibile e volgare.
Quando è cominciato questo inferno? A mio parere, subito dopo la fine
della seconda guerra mondiale, in
un’Italia che sembrava destinata a diventare all’istante una democrazia
perfetta. Soltanto in seguito ci siamo
resi conto che era un traguardo impossibile. Per un motivo che oggi mi sembra più evidente di allora: venivamo da
L’AUTORE
Giampaolo Pansa, nato a Casale
Monferrato nel 1935, è uno dei
più affermati giornalisti italiani.
Ha lavorato per giornali come
«La Stampa», il «Corriere della
Sera», «Repubblica», «Espresso». Oggi è editorialista di «Libero». Ha inoltre pubblicato saggi e
romanzi riscuotendo grande successo di pubblico
I LIBRI
Tra i suoi libri più importanti,
pubblicati con Sperling&Kupfer e
Rizzoli, «Il sangue dei vinti», «La
grande bugia», «I gendarmi della
memoria», «I tre inverni della
paura», «Il revisionista», «Poco o
niente», «Tipi sinistri», «Carta
straccia», «La guerra sporca dei
partigiani e dei fascisti» e «La Repubblica di Barbapapà»
SANGUE, SESSO, SOLDI
L’11 settembre uscirà il suo ultimo libro «Sangue sesso soldi»
(edito da Rizzoli, 450 pagine, 19
euro, disponibile anche in ebook). Qui Giampaolo Pansa,
con la sua prosa affilata e il suo
spirito da bastian contrario, dà
una personale rilettura della storia italiana dal 1946 a oggi
vent’anni di fascismo. La dittatura non
era stata una parentesi, un incidente
passeggero, bensì una condizione di
normalità, accettata senza problemi.
TUTTI FASCISTI
C’è una verità che non si vuole ammettere: siamo stati quasi tutti fascisti.
Lo sono stato anch’io, almeno nei due
anni iniziali di scuola elementare. Ho
cominciato a frequentare la prima
classe nell’ottobre del 1941. Ero un
bambino magro, dalle gambe lunghe,
sempre vestito con decoro. Così voleva
mia madre Giovanna che aveva un negozio di mode e credo mi abbia cucito
di malavoglia la divisa da Figlio della
Lupa. Per ordine del regime, la dovevano portare tutti i maschi dai 6 agli 8 anni, in attesa di diventare Balilla. La divisa consisteva in una camicia nera, attraversata da due fasce bianche incrociate e da un cinturone alto e anch’esso
bianco, pantaloni corti di panno ruvido grigioverde, lo stesso colore dei calzettoni. E infine il fez, un piccolo copricapo di feltro nero a forma di cono
tronco, che terminava con un fiocco.
Conservo una fotografia del Pansa Figlio della Lupa, forse scattata da mio
padre Ernesto. Sul retro c’è una data,
scritta a penna: 10 giugno 1943. Era il
terzo anniversario della nostra entrata
in guerra. (...)
Di diverso dal Duce e dal fascismo
non esisteva nulla. Nella nostra piccola città si sapeva tutto di tutti. Ma non si
conoscevano oppositori del regime. Di
certo qualcuno che non la pensava come Mussolini c’era, ma se ne stava al
coperto per non rischiare il carcere e la
disapprovazione di una maggioranza
molto vasta. Dopo la fine della guerra e
il crollo definitivo del fascismo, si è
scritto tanto sulla presenza di un’opposizione clandestina. Però questa si
trovava soltanto nelle carceri. Dove
stavano rinchiusi, spesso da anni, i pochissimi avversari del regime. Oppure
nelle cellule invisibili dei comunisti, gli
unici ad aver conservato un minimo di
organizzazione politica.
Esiste una prova del fatto che l’Italia
fosse un paese quasi del tutto fascista,
per convinzione, per obbligo o per
quieto vivere. È una prova indicibile, e
infatti non viene mai ricordata. Poiché
suscita sempre un sentimento profondo di vergogna. Nel settembre 1938 il
regime aveva emanato le leggi razziali,
un complesso di norme infami destinate a colpire gli ebrei. Anche nella mia
città viveva da secoli una comunità
israelitica che si ritrovava in una splendida sinagoga oggi restaurata. Era
composta da persone che conoscevamo tutti: il commerciante ebreo, l’insegnante ebreo, il medico ebreo, il
pensionato ebreo. Ma contro quelle
leggi nessuno protestò, s’indignò, si
rammaricò. E ci fu anche qualcuno
che si congratulò con il Duce.
Lo stesso silenzio inerte accolse le
razzie degli ebrei, destinati ai campi di
sterminio nazisti. A Casale Monferrato
iniziarono nel febbraio 1944 e vennero
completate in aprile. Alla cattura degli
israeliti, in gran parte donne e uomini
anziani, provvedevano agenti di polizia del commissariato cittadino. Gli arrestati venivano rinchiusi nel piccolo
carcere che sorgeva in fondo alla strada dove abitavo. Di qui erano inviati al
campo di transito allestito a Fossoli, in
Emilia. E di lì partivano per le camere a
gas di Auschwitz e di altri luoghi infernali. (...)
L’Italia si è scoperta antifascista soltanto dopo il 25 aprile 1945. Una volta
conclusa la guerra, i pochi che nell’ottobre di due anni prima si erano dati
alla macchia, e avevano combattuto
da partigiani, si trovarono circondati
da una marea di ribelli della venticinquesima ora. Gente che aveva scoperto la lotta per la libertà solo quando
l’Italia era ritornata libera. Grazie ai
soldati inglesi, americani e di tante altre nazionalità che, per salvarci da una
dittatura, si erano sacrificati a migliaia
nella lenta avanzata dalla Sicilia verso
il Nord. Da quel momento diventammo una democrazia con più partiti e
un’Assemblea costituente eletta il 2
giugno 1946, incaricata di scrivere la
Costituzione. (...)
Tutto bene? Per niente. La democrazia è un mestiere che non s’impara
in quattro e quattr’otto. Soprattutto in
un paese distrutto dalla guerra che dopo vent’anni di dittatura scopre
l’asprezza della battaglia tra i partiti.
Accadde così nell’Italia che all’inizio
del 1948 si avviava alle prime elezioni
destinate a decidere il nostro avvenire,
ancora in bilico tra una democrazia liberale e un regime autoritario guidato
dai comunisti. In tempi di massiccio
assenteismo elettorale, è giusto ricordare quanti andarono ai seggi il 18
aprile 1948: il 92,2 per cento degli aventi diritto al voto.
Il racconto che i lettori troveranno in
questo libro s’inizia con il confronto
tra i protagonisti di quella battaglia politica, le due figure simbolo del primo
dopoguerra: Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti. Sono loro a introdurci
in una lunga storia che arriva ai giorni
nostri. E al caos brutale che rende un
inferno questo 2013. Perché ho deciso
di ripercorrere sessant’anni di vita italiana? (...) A incitarmi è la paura che mi
ispira il futuro. Non il mio, quello personale, di un signore ben al di là dei settant’anni. Mi inquieta l’avvenire del
nostro paese, oggi immerso in una crisi destinata a durare per un tempo lun-
CULTURA
Venerdì 6 settembre 2013
29
@ commenta su www.liberoquotidiano.it
Incidente diplomatico
Salta il «prestito»
dell’Annunciazione
di Botticelli a Israele
“
go e a diventare sempre più pesante.
Invece il passato mi appare meno carico di pericoli del futuro. I rischi che abbiamo corso negli ultimi decenni li abbiamo comunque superati. Mentre le
sorprese cattive che ci attendono al
varco sono una gigantesca nuvola nera
che incombe sulle nostre vite e può generare il peggio. Ecco perché il tempo
trascorso mi sembra ben più rassicurante del tempo che ci aspetta.
IL PASSATO CHE TORNA
(...) Ho preferito un racconto molto
personale. Mettendo in ordine cronologico una sequenza di eventi politici,
sociali, di costume, di vita vissuta e dei
personaggi che li rappresentavano.
Non tutti, perché sarebbe stato impossibile. Ma soltanto quelli che consideravo i più adatti a rievocare le fasi a mio
avviso degne di ricordo all’interno di
una lunga vicenda. Ogni evento ha dato origine a una storia, proprio come
quelle che il re della filastrocca chiede
alla sua serva di raccontargli.
Voglio fermarmi un istante sulla faccenda della narrazione personale. (...)
Qualcuno mi accuserà di presunzione
per aver sopravvalutato la biografia di
Giampaolo Pansa? Può essere un rimprovero fondato. Ma replico presentando l’attenuante dell’età. Ho scoperto che, con l’avanzare degli anni, è difficile sottrarsi al proprio passato. Ritorna a galla di continuo, bussa alla nostra
porta e pretende di essere ascoltato.
È per questo che, invecchiando, ripensiamo sempre più spesso ai nostri
genitori. Li rivediamo come erano da
giovani e, insieme, ritorniamo con la
memoria alla nostra infanzia e poi
all’adolescenza. Con tutto quello che
le accompagna: gli amici, i maestri che
ci hanno aiutato a crescere, anche
quelli indiretti, come i libri e i giornali
Doveva partire ieri, il dipinto dell’«Annunciazione di San Martino alla Scala» di Sandro
Botticelli dalla Galleria degli Uffizi di Firenze,
dove è custodito, per essere esposto da lunedì
prossimo nel museo di Gerusalemme in base
ad accordi culturali tra l’Italia e Israele.
Ma all’ultimo, come si legge in una nota del
Mibac «il Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali e del Turismo, in accordo con il Go-
Q Siamo su un terreno
che spingerà molti
a rinfacciarmi
di aver scritto
un libro di destra.
Voglio subito dire
che l’etichetta
non mi spaventa.
Anzi, la considero
una medaglia,
se per destra s’intende
l’opposto di una sinistra
culturale marmorea
e bugiarda che per anni
ha spacciato una
lettura della storia
italiana inquinata
dal partito preso.
E seguita a spacciarla
con la boria
di chi si difende
aggrappandosi
al complesso
dei migliori. Ossia
alla convinzione
di essere il meglio fico
del bigoncio e di saperla
più lunga di tutti
GIAMPAOLO PANSA
.
verno, rende noto che alcune riflessioni consigliano in questo momento di non spostare
l’opera». Per spiegare l’«incidente» il ministero ha spiegato che «nella consapevolezza
dell’importanza delle relazioni culturali tra i
due Paesi si provvederà, in un breve periodo,
all’esposizione di un’opera dall’alto contenuto artistico e culturale».
L’«Annunciazione di San Martino alla Scala»,
che abbiamo letto, la scoperta del sesso, le donne amate. L’aver scelto la
parte del testimone mi ha spinto ad
andare controcorrente rispetto a molte sacre scritture di storia contemporanea. L’avevo già fatto a proposito della
guerra civile, attraverso una serie di libri iniziata con I figli dell’Aquila e Il
sangue dei vinti. Un’esperienza che ha
segnato la mia età matura, ben più di
quanto mi aspettassi.
Dieci anni fa non mi rendevo conto
di fare del revisionismo scandaloso.
Ma quando mi hanno osteggiato, e aggredito anche con azioni violente, per
quel peccato imperdonabile, ne sono
stato contento. Perché ho compreso di
aver battuto una strada che quasi nessuno voleva percorrere. Avevo infranto una cortina di bugie, eretta da tanti
sepolcri imbiancati. Politici, intellettuali, docenti di storia, direttori di giornale e opinionisti che per ottusità culturale e opportunismo ideologico non
accettavano che qualcuno rifiutasse la
grande bugia sulla Resistenza. Una
finzione messa sugli altari dentro una
teca di vetro. E da venerare con un culto quasi religioso. Officiato con rigore
maniacale dai tanti che ho chiamato,
ricorrendo a un’immagine beffarda, i
Gendarmi della memoria.
Pure questo libro è un testo revisionista. Lo è per due motivi. Prima di tutto perché inserisce nella narrazione di
molti eventi importanti anche vicende
in apparenza minori e personaggi sconosciuti. I racconti che qui troverete
consentono di osservare la storia italiana di tanti decenni non soltanto
guardando verso l’alto, a personaggi
che tutti conoscono, ma pure verso il
basso. Ho tentato di farlo attraverso le
figure di donne e di uomini che l’accademia non considera mai degne di
menzione. Mentre possono aiutarci a
dipinto murale, che misura 243x555cm ed è
databile al 1481, è una delle opere più emblematiche (e danneggiate) di Sandro Botticelli.
Sarebbe dovuta rimanere a Gerusalemme per
alcuni mesi. La presentazione del dipinto era
prevista il prossimo 17 settembre, alla presenza del ministro italiano dei beni culturali
Massimo Bray e del suo omologo israeliano,
signora Limor Livnat.
sbirciare la grande storia da una prospettiva insolita che ne rivela aspetti
sconosciuti. Un esempio per tutti? La
mostruosa epidemia dell’Eternit rievocata attraverso una vicenda vera
narrata da un amico della mia città che
ha perso la madre e la moglie uccise
dall’amianto.
REVISIONISTA? SÌ
Esiste poi un secondo motivo che
mi spinge ad affermare il revisionismo
di questo racconto. Qui siamo su un
terreno che spingerà molti a rinfacciarmi di aver scritto un libro di destra.
Voglio subito dire che l’etichetta non
mi spaventa. Anzi, la considero una
medaglia, se per destra s’intende l’opposto di una sinistra culturale marmorea e bugiarda che per anni ha spacciato una lettura della storia italiana inquinata dal partito preso. E seguita a
spacciarla con la boria di chi si difende
aggrappandosi al complesso dei migliori. Ossia alla convinzione di essere
il meglio fico del bigoncio e di saperla
più lunga di tutti. A questi pennacchioni rossi o rossicci non piaceranno i giudizi che qui troverete. Ne elenco qualcuno. Alcide De Gasperi ha salvato la
libertà dell’Italia e non era affatto un
lacchè del governo americano. Una
vittoria del Fronte popolare guidato da
Palmiro Togliatti e da Pietro Nenni
avrebbe imprigionato il nostro paese
dentro un regime succube dell’Unione Sovietica. L’aiuto degli Stati Uniti
nel 1947 e nel 1948 ha impedito che
molti italiani morissero di fame e di
freddo. Il miracolo economico non è
stato il trionfo del capitalismo selvaggio e del consumismo. Ma il risultato
del lavoro e della tenacia di tanti signori nessuno che cercavano un minimo
di benessere. Il Sessantotto si è rivelato
un tragico bluff che ha distrutto la no-
stra università. E ha dissolto il principio di autorità indispensabile a qualsiasi ordinamento sociale. La borghesia di sinistra non era per niente illuminata e saggia. Disprezzava chi non apparteneva ai suoi clan, odiava i poliziotti, urlava: «Basco nero –il tuo posto
è al cimitero». E firmava appelli mortuari contro il commissario Luigi Calabresi, ritenuto a torto l’assassino
dell’anarchico Giuseppe Pinelli.
La Meglio gioventù spaccava il cranio agli avversari a colpi di spranga e di
chiavi inglesi. Il terrorismo rosso esisteva e non era affatto un’invenzione
delle destre reazionarie. I brigatisti
erano militanti in carne e ossa che volevano distruggere il capitalismo ammazzando cristiani senza colpa. L’editore Giangiacomo Feltrinelli non è stato eliminato dalla Cia americana, ma si
è ucciso nell’inseguire il sogno folle di
una rivoluzione proletaria. Un paradosso per un miliardario com’era lui.
L’avvocato Agnelli era di certo un gran
signore, ma copriva le mazzette pagate
ai politici pure dalla Fiat. La violenza
verbale era ed è ancora il tratto distintivo dei giornali ritenuti progressisti,
per niente diversi dai fogli di centrodestra, e spesso peggiori. La decadenza
dell’Italia di oggi non è dovuta soltanto
a Silvio Berlusconi, ma va messa in
conto all’intero sistema politico. E
dunque anche a una sinistra inconcludente e incapace di essere all’altezza
delle sfide che ci attendono. (...) Per
questo è lecito domandarsi dove stia
andando la nostra repubblica. Verso il
baratro che di solito inghiotte le nazioni ormai prive di coraggio e incapaci di
curare i propri mali? Oppure saprà ritrovare la fiducia e la forza che l’hanno
aiutata a superare tante crisi? Spero
che i lettori di Sangue, sesso, soldi non
cerchino una risposta da me.