Pansa… ci marcia un po

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Pansa… ci marcia un po
In attesa di un autunno che non arriva, si affaccia, puntuale, in libreria, l’ennesimo volume di
Giampaolo Pansa: “Eia eia alalà, controstoria del fascismo”, edito da Rizzoli.
Questo ottantenne così prolifico mi fa un po’ invidia, lo confesso: negli ultimi 4 anni ben 8 libri, 2
all’anno, implacabile. E con lui Camilleri (novantenne!) del quale, se ho ben contato, sono uscito 30
titoli nello stesso periodo.
Se, però, per il siciliano è lecito pensare ad un “aiutino” in stile dumasiano, quella del casalese è
tutta farina del suo sacco, anche se – diciamo la verità – è un sacco rovistato e rivoltato fino in fondo.
È il caso di questo volume che, per oltre la metà, ripropone storie e personaggi già visti ne “La notte
dei fuochi”, con uno schema narrativo (la lettera che dà l’incipit alla storia, un personaggio che la
introduce, etc) anch’esso già noto. Ciò che mi sembra disdicevole è che qui spesso ci sia un vero e
proprio copia-incolla che non fa onore a un così strapagato autore.
Non voglio annoiare nessuno, e nemmeno infierire, ma, giusto per darvene un’idea, in calce riporto
due brani “a confronto”, tra i tanti citabili: giudicate voi…
E veniamo al libro; ingannevole, se vogliamo, anche nel titolo “controstoria del fascismo”, ché, di
360 pagine complessive 230 sono dedicate al periodo tra il 1919 e il 1925 (e saccheggiano il citato
precedente), e solo un centinaio (aggiunte alla bell’e meglio) parla di tutto il resto, dal 1927 al 1945.
Tralasciando queste ultime, dove l’A. “paga pegno” con la storia della giovane ebrea, dei cattivi
tedeschi e loro alleati della RSI, dico due parole a proposito della parte più corposa del volume, che
è anche quella più “in linea” con i miei interessi.
Praticamente si tratta della storia di Cesare Forni, capo riconosciuto dei fascisti lomellini, presente
in prima fila in mille azioni squadriste, fino ad avere un ruolo determinante in occasione delle
giornate di Milano dell’inizio agosto ’22, quando fu stroncato il cosiddetto “sciopero legalitario”
ultima prova di resistenza del social-comunismo agonizzante.
Personaggio che meriterebbe un discorso a parte (1), e che qui ricorre nella trama del libro, che
ricostruisce la vita di Edoardo Magni, ricco possidente terriero del Casalese: la sua esperienza
bellica, i suoi amori, il suo filofascismo.
Ho detto “filo”, perché questo è un altro bluff sul quale gioca il battage pubblicitario fatto intorno al
libro e nel quale sono caduti molti recensori, che ho il fondato sospetto il volume non lo abbiano
nemmeno sfogliato.
Magni non è un “fascista”: non è squadrista, non si iscrive al Partito, sta alla finestra, (la sua è una
“militanza nascosta” dice Pansa): si limita, in nome del proprio meschino interesse di bottega, a
finanziare, se richiesto, Forni (dal cui carisma è, peraltro, soggiogato).
I “fascisti” sono altri, e, guarda caso, scarsi di portafoglio:
–
l’edicolante sotto i Portici, diciottenne all’epoca dello squadrismo, ma che il papà dell’A.
ricorda bene: “era quello che si chiama un osso da mordere, ma tanto duro da romperti i
denti…pur essendo piccoletto, non aveva paura di nessuno. Stava sempre un passo avanti
agli altri camerati. Il primo ad attaccare e l’ultimo a ritirarsi… Non assaliva mai gli anziani
e le donne, ma per gli altri avversari non mostrava misericordia”.
Giacinto Reale
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–
Giovanni Passerone: “…in guerra, a 20 anni, aveva fatto parte degli Arditi… ferito due
volte… due medaglie d’argento e la promozione a Tenente… aveva il fisico giusto per
diventare un capo squadrista. Era alto, magro, muscoloso ma segaligno… infine era un
uomo di poche parole. In un epoca in cui andavano di moda i discorsi interminabili, a lui
non piaceva concionare, preferiva agire… Nel 1962 il vecchio leone campava lavorando da
cameriere a Torino, in un bar di piazza Carlo Felice… Se scopriva che dei clienti erano
monferrini, si presentava scandendo: “Sono il Comandante Passerone !”
Apro una parentesi (scusatemi, ma questa non è una “recensione” in senso tecnico, sono, piuttosto le
mie impressioni di lettura): Pansa è imbattibile della fattura di questi “bozzetti” dei suoi personaggi.
Quello di Passerone ve l’ho dato; poi c’è Cesare Forni: “Cesare aveva un aspetto difficile da
dimenticare. Alto un metro e novanta, atletico, biondo, occhi azzurri, un volto paffuto, le
occhiaie pesanti, le palpebre panciute. Era un cacciatore di donne senza complessi e molto
fortunato… aveva dalla sua il coraggio e la forza fisica. I socialisti non osavano attaccarlo
perché avrebbero rischiato grosso”; Amerigo Dumini: “era il classico toscanaccio… Un tipo
alto, robusto, le spalle un po’ curve, il volto bello e volgare, il pizzo alla moschettiera,
esuberante, l’aria scanzonata, il sorriso beffardo, sempre vestito con eleganza”; Augusto
Turati: “asciutto, il viso scarno e pallido, un gran naso alla savonarola, non amava le mute
da squadrista. Preferiva vestire abiti borghesi di buon taglio, camicie nere di seta… il
carattere era intonato all’abbigliamento. Turati appariva freddo, distaccato, sempre un po’
scettico”; Aldo Finzi: “era un giovane alto, asciutto, bello e sempre elegante. Aveva fama di
essere un fascista intransigente e violento… piaceva molto alle donne, e non si sottraeva
alle avventure”.
Con loro tanti altri… c’è forse, in queste descrizioni qualche cedimento alla vena narrativa, qualche
dettaglio che non quadra con le foto disponibili, però, nell’insieme, hanno un loro valore e servono
ottimamente allo scopo di creare “l’ atmosfera”.
Torniamo alla storia: Edoardo Magni non è un fascista, ma è anche lui un “tombeur de femmes”:
largo spazio hanno le sue avventure femminili, anche con qualche pruriginoso dettaglio e qualche
cedimento – azzardo – alla fantasia e alla modernità dei tempi di oggi: una delle sue amanti ha ben
due avventure lesbiche… nel 1920, a Mortara! Mi sembra, in verità, poco verosimile…
Ho detto che la storia di Cesare Forni e quella dello squadrismo lomellino sono più che lo “sfondo”
del racconto. Inevitabile, quindi, qualche giudizio di valore dell’A. su questo fascismo delle origini…
e qui le sorprese non mancano.
Innanzitutto l’affermazione che: “la storia del fascismo sta già per intero nel suo inizio, lo
squadrismo”, affidata all’edicolante di cui ho detto, ma – pare di capire – condivisa da Pansa che fa
felice il sottoscritto, che, modestamente, qualcosa di molto simile aveva già accennato nella schedina
biografica qua sotto.
Poi, il riconoscimento dell’esistenza di una violenza – e non da poco – socialista nel biennio rosso,
contro la quale si erse la reazione fascista, a difesa delle persone (interventisti, ex combattenti,
mutilati, non “rinunciatari”) e della libertà (di non scioperare, di non aderire alla Lega, di essere –
anche – “padrone” della propria terra, spesso acquistata a prezzo di sacrifici e destinata ai figli).
All’epoca si disse che il fascismo “quasi impaurito dall’altrui violenza, si fece violenza esso
stesso”, Pansa scrive che: “il rosso produsse il nero”.
Da ultimo, il riconoscimento della eccezionale “tempra” di quei primi fascisti (e qui indulgo
Giacinto Reale
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all’autocitazionismo: ne avevo scritto in un mio precedente pezzo qui su Ereticamente: “Le camere
del lavoro, il coraggio dei fascisti, i Martini Henry e altro…”):
“Quel che avvenne il 20 novembre 1920 sorprese tutta la città. In via Filippo Mellana, a
Palazzo Lanza, si trovarono 14 uomini. Il più conosciuto era De Vecchi, arrivato apposta da
Torino. Gli altri 13 erano tutti giovani di fegato che avevano combattuto nella guerra
mondiale e si sentivano pronti ad opporsi alla marea montante del nostro bolscevismo.
Se ci rifletto oggi, a tanti anni di distanza, resto sempre colpito dal numero molto esiguo
dei primi squadristi della mia città. Quando li confronto con la folla di socialisti che
riempiva Piazza del Cavallo, per festeggiare la conquista del Comune, mi sembrano dei
nani così pazzi da assalire un gigante.
Ma era questa la loro forza: andare in pochi contro molti. L’arma più forte di cui
disponevano era l’assurdo coraggio.
I socialisti non si aspettavano di averli addosso. Per arroganza, per ignavia, per eccessiva
presunzione, li sottovalutavano e li irridevano. Ma proprio questo atteggiamento li avrebbe
persi”.
Fin qui ci siamo: fuor di luogo mi sembra ogni ulteriore discorso – seppure accennato e in forma
dubitativa – tendente a stabilire un parallelo tra quell’Italia e questa di oggi. Qui, certamente,
ragioni “di mercato” hanno prevalso sul buon senso dell’A.
Quella squadrista fu un’avventura irripetibile; se vogliamo trovare un precedente pensiamo al
garibaldinismo; poi, basta… e non parliamone più.
PS: io, per ora, deluso, mi sono fermato a pag 235, al 1927… se qualcuno arriva fino in fondo,
potrebbe completare il lavoro…
RICICLAGGIO
esempio nr. 1
(La notte dei fuochi): “Il diretto arrivò a Milano alle 13,40. I tre dissidenti scesero e si avviarono al
cancello d’uscita. C’era un gran via vai di gente, più o meno come oggi. Sala abbracciò Forni e si
allontanò in compagnia di un conoscente. Arrivati al cancelletto, Forni e Giroldi consegnarono
all’addetto il biglietto di viaggio e si incamminarono verso l’atrio della stazione”.
(Eia eia alalà): “Il diretto giunse alla stazione centrale di Milano alle 13,40. I tre dissidenti scesero
dal convoglio e si avviarono al cancello di uscita. C’era un grande via vai di gente in partenza o in
arrivo. Sala salutò Forni e Giroldi, poi si allontanò in compagnia di un conoscente. Al cancelletto
Cesare e Guido consegnarono all’addetto il biglietto di viaggio e si diressero verso l’atrio della
stazione”
Giacinto Reale
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esempio nr 2
(La notte dei fuochi): Alle 21,30 ebbe inizio il capitolo mondano della giornata mussoliniana. Con il
Veglione Tricolore Italianissimo al Teatro comunale, anch’esso imbandierato. Tutti i palchi, meno
uno, erano aperti e zeppi di belal genet. L’unico chiuso era quello riservato al Comune. Il Sindaco
socialista, Antonio Alimonda, l’aveva lucchettato e fatto presidiare da due Carabinieri. Ma un paio
degli squadristi di Magnaghi risolsero il problema in un amen: ordinarono alla Benemerita di levarsi
dai piedi e spalancarono la porta del ‘palco con una spallata.
(Eia eia alalà): “…alla sera ebbe inizio il capitolo mondano. Nel Teatro comunale di Mortara era
previsto il Veglione Tricolore Italianissimo. Tutti i palchi erano aperti e pieni di bella gente. L’unico
chiuso era quello riservato al Municipio. Il Sindaco socialista, Antonio Alimonda, l’aveva lucchettato
e fatto presidiare da due Carabinieri. Ma un paio di squadristi risolsero il problema in un amen:
ordinarono alla Benemerita di levarsi dai piedi e spalancarono la porta del ‘palco con una “pallata”.
Giacinto Reale
NOTE
(1)Su Cesare Forni, vedasi: Pierangelo Lombardo, “Il ras e il dissidente, Cesare Forni e il fascismo
pavese dallo squadrismo alla dissidenza”, Roma 1998; sul fascismo pavese: Arturo Bianchi, “Storia
del fascismo pavese”, Pavia 2004 (anastatica); sulla storia del Conte Carminati Brambiulla e della
sua compagna, alla quale Pansa dedica molte pagine, è stato scritto un libro giallo: Umberto De
Agostino, “La contessa nera, Lomellina 1921”, Genova 2014
Giacinto Reale
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