Anonymous: è una questione di potere

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Anonymous: è una questione di potere
Anonymous: è una questione di potere
di Ilaria Rebecca Bonelli
"Anonymous è un termine dal duplice significato. Come fenomeno di Internet
afferisce al concetto di singoli utenti o intere comunità online che agiscono
anonimamente in modo coordinato, solitamente con un obiettivo concordato
approssimativamente. Può anche essere inteso come firma adottata da unioni di
hacktivists, i quali intraprendono proteste e altre azioni sotto l'appellativo fittizio di
“Anonymous”. Più genericamente, indica i membri di alcune sottoculture di Internet.
« We're Anonymous. We're legion. We don't forgive. We don't forget. Expect us! »"
(fonte: Wikipedia )
E' ormai qualche mese che leggo notizie di Anonymous, che provo a capire che cosa
sia e tento di spiegarlo. Leggere quello che fa', leggere i comunicati, i commenti,
capire come opera, chi siano i suoi nemici e i suoi amici e interpretare i suoi simboli,
mi ha permesso di costruire un immagine di lui, per quanto intuitiva e alquanto
personale su cui fare un ragionamento, che, premetto con cautela, non si fonda su
informazioni certe, per quanto siano state rintracciate anche nella sedicente, non più
seducente, stampa ufficiale.
Qual è il senso del suo percorso, dei suoi obiettivi? Come si è organizzato? è
gerarchico? E' un organismo auto-organizzato? c'è un Uno, un capo, o tutti sono dei
numeri uno? E' contemporaneamente uno e tanti? In ogni nazione si sta
specializzando, si sta territorializzando o rimane globale? E' un organo anti-statale?
Anti censura, anti imperialista? No TAV, anticlericale, antifascista, anti-settarista, è
apolitico, trasversale a tutte le categorie?
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Si muove e fa sentire il suo potere nel campo della comunicazione, da anni lo spazio
prescelto delle lotte politiche e sociali più importanti, luogo dei dibattiti politici, delle
tribune elettorali, oltre che strumento per muovere le masse, per incanalarle,
manipolarle: il network della comunicazione è il villaggio globale del sociologo
canadese Marshall Mc Luhan dove siamo interconnessi per tribu, come neuroni di un
grande cervello1. Tutt'ora domina la televisione, ma una parte della società critica, si
serve del canale internet per interagire con la realtà: internet che ne offre un ritratto, un
possibile riflesso più congruente a ciò che viviamo realmente. Secondo infatti il
successore di Mc Luhan, Derrick de Kerckhove, siamo tutti globalizzati, individui
globali, e interconnessi tramite mezzi di comunicazione come internet e i mezzi
satellitari. De Kerckhove è interessato a studiare le psicotecnologie, i mezzi di
comunicazione che estendono non solo le nostre capacità intellettuali, ma anche la
nostra psicologia, e dove possiamo scorgere le rappresentazioni più attuali del nostro
modo di percepire, pensare e relazionarsi2.
Internet è diventato spazio di riappropriazione del potere popolare, lì le istituzioni sono
più fragili, chi conosce i mezzi per aggirarle, per invaderle, acquista un potere
impressionante.
Un tentativo recente di controllare internet sono stati il disegno di legge SOPA in USA
e l'Accordo commerciale-plurilaterale ACTA, che ha coinvolto anche l'Unione Europea,
un tentativo per tutelare il diritto d'autore, ovvero la fruizione controllata delle opere
intellettuali e culturali anche su internet. E' stato chiuso il sito più importante e usato
per
fruire
di
contenuti
condivisi
(i.e.
in
streaming)
e
scaricare
video
(http://www.megavideo.com/), Youtube ha subito parecchie restrizioni, è stata
minacciata l'esistenza di Wikipedia, tutelata dalla licenza Creative Commons,
strumenti ormai nazionalpopolari di fruizione libera e gratuita della cultura.
1 Mc Luhan, Mashall, Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore, Milano, 1967.
2 Derrick De Kerckhove, La pelle della cultura. Un'indagine sulla nuova realtà elettronica, a cura di Christopher Dewdney.
Costa & Nolan, Genova, 1996.
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Internet, da una parte permette di mantenere la possibilità di informarsi criticamente,
dall'altra di crearsi delle "possibilità", di viaggio, di acquisto, di lettura, di percorsi di vita
inediti, di avere uno spazio di esplorazione e perfino un "lato oscuro".
Questi ultimi provvedimenti legislativi e accordi internazionali hanno spinto alla
contrarietà una fetta consistente di popolazione, che ha visto la propria libertà di
informazione fortemente limitata e controllata.
Tutto ciò ha infastidito quella parte di mondo abituata (o illusa) di poter accedere
illimitatamente alle informazioni e al sapere, in relazione alle proprie risorse e ai propri
mezzi.
E' l'opinione di una società liberalista (la nostra) fondata sulla difesa del valore della
libertà del singolo, che, in forma teorica, è onnicomprensiva; quindi un opinione severa
che non sopporta o che prova fastidio al suono di parole come "censura", "limite",
"velo", "blocco", "oscurantismo". L'opinione comune, ma è troppo scontato dirlo, è
sempre e progressivamente più facilmente ingannabile da parole svuotate di
significato, ma applicate ad ogni settore del vivere quotidiano, quali "libertà di
espressione", "di stampa", "di movimento", quali "democrazia", quali "trasparenza",
"onestà", "politica" etc, che
contraffanno aberranti manovre politiche sociali e
soprattutto economiche, oscurando e confondendo l'informazione main stream.
C'è ancora molta gente che è illusa di potersi informare, di potersi muovere nella
chiarezza, di poter pensare il mondo e se stesso in autonomia, e che si stupisce e si
infastidisce leggendo certe notizie quali la chiusura di Megavideo e Wikipedia.
E' chiaro che per molti di noi la notizia di SOPA, PIPA 3, ACTA4 non rappresenta uno
scandalo isolato, ma è da collocare nella sequela di macchinazioni volte alla
limitazione della libera circolazione del sapere, alla monetizzazione dello scambio e
della fruizione della cultura.
3 http://en.wikipedia.org/wiki/Stop_Online_Piracy_Act
4 http://en.wikipedia.org/wiki/Anti-Counterfeiting_Trade_Agreement
3
Chi invece inorridisce di fronte a fatti internazionali che parlano di censura e
privazione, mi chiedo, come reagirebbe se prendesse consapevolezza dell'inganno e
della manipolazione dietro ciò che credevamo essere la fonte ufficiale, libera e
democratica, del
nostro “sapere”, espressione della nostra apertura e levatura
culturale e politica?
Ora capisco perchè molti non ci vogliano pensare.
In questo teatrino dell'equivoco, della bugia, del vero che si mescola con il falso,
merita attenzione la battaglia di Anonymous, che dal popolo di internet attualmente è il
più conosciuto e il più temuto fenomeno comunicativo transnazionale del momento.
Anonymous si presenta come il paladino contro ipocrisie, colui che colpisce le strutture
mediatiche più subdole e incoerenti, strutture che esercitano il loro potere,
discriminano, grazie alla censura. Anonymous sembra rappresentare il potere che le
masse non hanno, compensa il senso di impotenza.
Anonymous è un sanzionatore, si arroga poteri simili a quelli delle forze dell'ordine,
sanziona, chiude, redarguisce, ammonisce, segnala, controlla, spia, si auto-autorizza
nell'accesso ad alcuni spazi privati, incute terrore, non è una persona singola
individuabile, ma è mascherato da una sorta di divisa, in cui il singolo non è
importante.
Nonostante le analogie, la sua è una scelta molto più consapevole di chi fa il lavoro
del poliziotto, basti pensare al diverso grado di rischio nello stare da una o dall'altra
parte, o al tipo di ricompensa nell'affrontare i rischi del mestiere, al tipo di "protezione"
o "tutela". Ha dichiarato che non esiste una gerarchia verticistica, ognuno si autoelegge Anonymous, nella misura in cui se la sente ad affrontare il rischio di essere
illegale, di eleggersi al di sopra della legge, in un campo che, a quanto pare, non è
ancora sovra-regolamentato (mi riferisco a internet), paragonandolo al resto degli
ambiti del vivere quotidiano.
Nonostante il piacere di identificarsi con qualcuno/nessuno che difende il valore della
libertà, nell'accezione più ampia, e il piacere di notare la fragilità della corazza
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istituzionale, marcia e corrotta, mi sono chiesta che tipo di rischio c'è quando
qualunque persona si elegge paladino del bene comune, paladino di una, e dico una,
concezione di libertà, per quanto possa essere di ampio respiro e di ampia
condivisione.
Mi chiedo che rischio c'è per chi non ha potere, e non ha modo di averne, se non
come massa informe, se qualcuno si incarica di essere Altro rispetto allo Stato.
Ora c'è Anonymous, una specie di supereroe misterioso, vestito di nero che difende i
deboli. Un eroe che non ha nazionalità, un eroe globale. Ha scelto il colore nero che lo
rappresenta, il colore di chi non vuole apparire, di chi vuole passare inosservato, ma è
anche il colore della notte, dell'oscuro, di ciò che non può essere controllato, dell'uno e
della moltitudine, dell'ombra e dell'imprevedibile.
Anonymous riassume la contropartita alle frustrazioni di potere e alla sensazione di
essere stati ingannati e traditi da coloro che dovrebbero rappresentare le parti sociali,
da coloro che hanno il potere di fare e di mostrare ciò che può avere consensi
elettorali. In questo processo di identificazione inizio a pensare: "Cari uomini del
potere, uomini dell'economia, della politica, della finanza, sappiate che ora anche noi
abbiamo qualcuno che di tutela disinteressatamente, che lavora contro di voi, che si
nasconde, vi controlla e non ama essere controllato. Non preoccupatevi, ci pensiamo
noi a raddrizzare il mondo". In quel teatrino di logge e cavernicole segrete, corridoi
pieni di porte chiuse, e cunicoli, dove si decide il vero destino di un paese, ci sentiamo
profondamente traditi e ingannati, ignari delle vere motivazioni, dei veri scopi della
politica, ed ecco che compaiono gli attivisti, sempre più neri, sempre più esperti,
sempre più consapevoli dell'inganno, di cui si vestono e si armano per riproporlo in
senso contrario.
Anonymous quindi ci fa sentire nuovamente potenti, ci illude di avere un potere, uno
strumento di controllo su chi ci controlla. Anonymous ci illude di contrastare l'inganno e
la censura, ci illude di poter invadere ciò da cui ci sentiamo invasi e controllati, ci porta
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a rivalutare il luogo di internet, il luogo privilegiato della libertà di movimento e di
pensiero, il luogo d'incontro tra le diversità, il luogo dello scambio per eccellenza.
Anonymous è parte della filosofia del Creative Commons che è anche la filosofia
dell'Open Source, una filosofia che mal si incastra in un sistema come quello
capitalista che, nonostante nasca sulle basi del liberismo, si trova profondamente in
difficoltà, oggi come oggi, a gestire la complessità, la pluralità, la libera circolazione del
sapere e della critica al sapere.
Internet è lo squarcio di sapere che la gente può vivere liberamente, dove ritrova la
maggior parte dei contenuti interessanti e di attualità in circolazione, dove può fruire di
contenuti altrimenti irraggiungibili e dove si verifica la congiunzione di contributi
culturali globalizzati e allo stesso tempo ben armonizzati, nella più totale eterogeneità
linguistica, contenutistica, stilistica; questo spazio, esempio di liberalismo, di sistema
complesso che si autorganizza, è attualmente il campo di battaglia più feroce, in cui si
sta svolgendo lo scontro tra le forze politiche ed economiche (attraverso testi
legislativi, accordi economici e accordi internazionali come il SOPA, PIPA),
rappresentate anche dall'FBI, e dalla Polizia Postale, a cui risponde il popolo degli
hacher-attivisti, come Anonymous, da qualche mese dichiarata in un report
dell'Organizzazione del Trattato Atlantico organizzazione terrorista.
Forse è strano che non abbiano regolamentato il tutto molto prima. Mi chiedo come sia
stato possibile aver visto tutti quei film, gratuitamente, aver ascoltato così tanta musica
senza dover necessariamente pagare tasse a qualche tramite.
Scaricare file sarà ancora possibile, ma sarà comunque una azione illegale e per
questo perseguibile, ma d'ora in poi anche la condivisione, lo sharing, se non
esplicitamente voluto (attraverso la scelta di proteggere la propria opera con una delle
formule di licenza Creative Commons), sarà impossibile, dati i controlli e i conseguenti
oscuramenti.
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Mi convinco sempre di più che gli spazi di libertà, nella società in cui viviamo, non
sono gli spazi della marginalità, della solitudine, dell'allontanamento dalla macchina
sociale e istituzionale, ma coincidono sempre di più con gli spazi dell'illegalità. La
tendenza politica attuale non legge la realtà, non si sforza di capire quali siano le
tendenze già in azione, si ostina a voler semplificare, ridurre, per poter controllare
meglio.
Ma non si torna indietro. Il messaggio quindi qual è? Sii illegale, così sarai libero? sii
libero, ma attento che sarai illegale? Quindi ci tocca scegliere, tra legalità o libertà?
Cosa ci resta da fare per sostenere la politica della libera circolazione del sapere,
quello per cui si batte Anonymous e che sembra la mela della contesa tra tendenze
politiche opposte?
Non ci rimane altro che diffondere tra artisti, intellettuali e fruitori, la cultura della
condivisione (i.e. sharing) e del baratto, che predilige il rapporto diretto tra
artista/intellettuale e fruitore, il rapporto che è una condizione sine qua non, di tutto ciò
che non è strettamente autoreferenziale.
La lettura della realtà è sempre più incoraggiante a mio avviso, infatti lo sfrenato
individualismo sta lasciando spazio al tessuto delle relazioni minime tra le persone,
relazioni non più istituzionali, non più solo strumentali, ma a cui viene attribuita una
importanza affettiva e simbolica.
Scrive Wu Ming sul blog di Wu Ming Foundation:
Tra i tanti esempi di battaglie inutili e disgraziate - ingaggiate nelle peggiori condizioni
e scegliendo le strategie più controproducenti - combattute dallo stesso manageriato
globale che ama citare Sunzi, spicca la "lotta alla pirateria musicale", che spesso è
stata una guerra contro Internet tout court e, soprattutto, contro il pubblico. E' ormai
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parere diffuso che tale offensiva - in corso da quasi un decennio - si stia concludendo
col suicidio dell'industria discografica.
Anziché fluire da monte a valle, aprirsi, innovare, intercettare in modo creativo prassi
che si andavano diffondendo a macchia d'olio (la masterizzazione domestica di cd, lo
scambio di file nelle reti peer-to-peer), i discografici hanno scelto la battaglia in campo
aperto... contro i propri clienti.
Repressione, minacce, denunce, tecnologie anti-copia, tasse su cd vergini e
masterizzatori, lobbying per ottenere inasprimenti legislativi; i ras del disco hanno fatto
il possibile per attrarre l'odio del pubblico, del consumatore di musica. Oggi sono visti
come villains, gabellieri, parassiti, le loro prese di posizione sono accolte come l'arrivo
dello Sceriffo di Nottingham alla festa di compleanno dei coniglietti.
"Cavalcando l'onda", rinunciando a parte dei profitti facili e a breve termine garantiti fin
lì dal monopolio delle tecnologie, le major della musica avrebbero certamente limitato i
danni, e forse a quest'ora avrebbero quadrato il cerchio di una "riconversione". La
vittoria perfetta si ottiene evitando lo scontro. Soprattutto se il nemico è elusivo,
inquantificabile, abile nell'usare stratagemmi, e se si muove a proprio agio in un
territorio ancora non mappato e in costante mutamento. E a maggior ragione se quel
"nemico", in
realtà, è il soggetto da cui dipendi e che ti tiene in vita. Che senso ha minacciare e
querelare una persona per poi, dopo un istante, blandirla affinché compri il tuo
prodotto? E' più plausibile che il minacciato si convinca della necessità di boicottarti, o
addirittura sabotarti.
(L'immagine è fin troppo consueta, ma non possiamo fare a meno di usarla: segare il
ramo su cui si è seduti.)
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Gli spazi che le major non hanno occupato sono oggi colonizzati da altri soggetti,
come MySpace e altri social network, e la gente continua a scambiarsi musica in rete.
Il cd è considerato un supporto moribondo, il consumo di musica è sempre meno
incentrato sull'acquisto di un prodotto discografico, e sempre più sull'interazione tra
fruizione in rete ed esecuzioni dal vivo. Interazione su cui le major non hanno
investito, preferendo la repressione.
Eppure, che quella strategia fosse sbagliata e autolesionista era chiaro dal momento
in cui le major fecero chiudere il primo Napster (2000). Gli osservatori più attenti - nel
cui novero immodestamente ci poniamo - lo fecero notare subito e senza indugi.
Il fatto che quei manager si siano lanciati a capofitto in un'impresa tanto squinternata e
infausta è la riprova che Sunzi non l'hanno letto, e se l'hanno letto non l'hanno capito.
(fonte: http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giap1_IXa.htm#suntzu).
Wu Ming è clemente, dice che non è stato capito quale sia il bene e quindi il loro
interesse a lungo termine, come in verità insegna Sun Tzu, vero e proprio saggio di
riferimento preso a prestito, in forma spicciola, anche da molti occidentali come
vademecum per la lotta strategica in vista di una carriera imprenditoriale ambiziosa.
Wu Ming ha ragione se dice che l'errore delle major è quello di non saper vedere a
lungo termine, di non saper guardare al guadagno nel lungo termine, ma solo alla
soluzione più semplice e di breve realizzazione. Non mette in luce che questa è la
corretta
interpretazione
dell'uomo
capitalista
(e
aggiungo
individualista) che
programma il suo successo, e il successo delle sue attività esattamente per la durata
della breve vita sua e al
massimo dei suoi figli. Il futuro è comunque un futuro a breve termine se pensato sul
corso di una, massimo due generazioni: sembra che il concetto di futuro, quello su cui
si fondava il capitalismo, che sovvertiva senza remore il tempo ciclico, si sia ristretto a
quello prossimo recente. Senza più il calmo e rassicurante tempo ciclico, senza più
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respirare a pieni polmoni il futuro lontano verso cui dirigersi a tutta velocità, non ci
rimane nient'altro da fare che tornare al Carpe Diem, al presente, all'ora e subito, alla
vita e alla lotta, all'amore e alla resistenza, alle persone e alle reali necessità: torniamo
a essere umani, torniamo a noi.
Posted by Antropocosmos http://www.antropocosmos.org/?p=571
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