redemption song

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redemption song
progetto
IN MOVIMENTO
tracce provvisorie, senza esiti prevedibili
Iª mossa:
REDEMPTION SONG
ROSSOLEVANTE / di e con:
Silvia Cattoi
Juri Piroddi
Yamina
Naima (voce off)
+ various guests
contatti:
associazione rossolevante
via bellavista, 4 – RRR 35
08048 – arbatax (og)
333 33 46 667 ■ 333 79 63 711
[email protected] ■ www.rossolevante.it
REDEMPTION SONG
Quanto mi piacerebbe poter togliere, come lo sdentato la dentiera
che mette in un bicchiere d’acqua accanto al letto, togliere il mio
cervello dalla sua scatola, togliere il mio cuore troppo pulsante,
questo povero fesso che fa troppo bene il suo dovere, togliere il mio
cervello e il mio cuore e immergerli, questi due poveri miliardari, in
soluzioni rinfrescanti mentre io dormirei come il bambino che non
sarò mai più.
Albert Cohen, Il libro di mia madre.
PRESENTAZIONE DEL PROGETTO
All’inizio c’era un’idea, qualcosa di vago, come una sensazione a cui uno non sa
dare forma.
C’era la voglia di parlare di Dio [sic].
Dall’altra c’era il desiderio di esplorare un linguaggio nuovo per noi.
Che cosa è questo Dio ? Cosa cerchiamo in questo Padre che si è dimenticato di
noi, ma di cui tutti sembrano non dimenticarsi mai ?
Cosa cerchiamo in questo esser-ci, in questo mondo, in questa vita che è nostra,
ma non ci appartiene mai fino in fondo ?
Da dove vengono i nostri figli, cos’è questo qualcosa che non ha nome eppure c’è,
e una volta almeno lo abbiamo toccato con le dita della nostra anima ?
Cos’è che chiamiamo anima ?
Che senso ha il nostro viaggio su questa terra, che cosa inseguiamo ?
Noi occidentali, cresciuti nostro malgrado in una “cultura del senso” – secondo la
quale la vita è vivibile solo se inscritta in un orizzonte di senso – siamo totalmente
disorientati.
Le nostre domande vagano affannose e senza risposta in una terra ormai
abbandonata dal suo cielo.
Vogliamo provare, tra l’altro, a materializzare in scena questa indifferenza della
terra: una terra che ogni istante ribadisce l’estraneità dell’evento umano che essa
ospita a sua insaputa e a cui invia solo messaggi di insignificanza.
Ma come parlare di tutto questo, con quale linguaggio, con quale modalità. Quali
saranno i necessari “correlativi oggettivi” scenici che saremo in grado di mettere a
punto ?
Allora ci siamo interrogati (ma si è trattato di un domandare innervato dalla pratica
quotidiana del mestiere) su quello che ci interessa a questo punto della nostra vita
artistica. Il tempo passa - siamo al dunque - ci sono cose che non smettiamo di
sognare, e forse dopo sarà troppo tardi per tradurle in atti compiuti. E allora
facciamole ora, qui e adesso, anche se sembra tutto difficile, complicato - ma non
al di sopra delle nostre forze.
Siamo partiti da qualcosa di estremamente concreto: abbiamo cominciato a
elaborare una serie di sequenze fisiche (danze) che pensiamo possano in qualche
modo dialogare con il materiale testuale raccolto.
Sì, materiale, come i resti di una demolizione: schegge, residui, scarti. Frammenti
di testo.
Frantumi raccolti da luoghi diversi: Ivan Viripaev (Genesis n° 2), Cormac McCarthy,
Chuck Palahniuk, Alfred Jarry, Tom Stoppard, il Nuovo e l’Antico Testamento,
Sant’Agostino, i clown-barboni di Beckett, Albert Cohen, Luc Boltanski, gli opuscoli
domenicali prodotti da predicatori pazzi, born again, episcopali, pentecostali,
avventisti del settimo giorno …
Un impasto tutto ancora da verificare per davvero sulla scena.
Vediamo dei microfoni.
Vediamo attori-marionette (do you remember Takeshi Kitano’s Dolls ?).
Sentiamo già delle gocce di sudore acido che cadono.
Sentiamo grida di gioia. E grida di dolore. Molta, molta sofferente ironia.
E poi una colonna sonora da brivido. Musica a palla per danzare l’impossibilità di
trovare, oggi, un senso.
“Il nostro cuore è come un uccello rinchiuso in una gabbia – ci raccontano i Sufi –
quando tu balli il cuore canta. E poi sale in cielo”.
Anche se Dio non ci perdonerà, noi possiamo perdonare Lui.
Dobbiamo dimostrare a noi stessi si essere più grandi di Dio.
Dovremmo perdonare Dio.
Per averci fatti bassi. Grassi. Poveri.
Dovremmo perdonare Dio per averci dato la calvizie.
La fibrosi cistica. La leucemia.
Dovremmo perdonarlo per la Sua indifferenza.
Per averci abbandonati:
noi, il piccolo esperimento per l’ora di scienze che Dio ha fatto e
dimenticato, lasciandolo ammuffire.
I pesci rossi di Dio, trascurati al punto da dover mangiare la
nostra stessa merda depositata sul fondo.
Chuck Palahniuk