LE FIGURE RETORICHE DEL SIGNIFICANTE E ELEMENTI DI
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LE FIGURE RETORICHE DEL SIGNIFICANTE E ELEMENTI DI
LE FIGURE DEL SIGNIFICANTE Le figure del significante sono piuttosto semplici da rintracciare: si tratta di vedere le parole innanzitutto come cose che hanno delle caratteristiche diverse o simili fra di loro, indipendentemente dall’oggetto che esse richiamano alla mente. Meglio fare qualche esempio: possiamo cogliere la somiglianza fra parole come MANTIDE MALEDETTA, MERAVIGLIOSA. Tutte le parole iniziano, infatti, con la stessa lettera, la M. Tale operazione si può effettuare anche se non si conosce il significato delle parole: in VERGARE VINDICI VOCABOLI si coglie la stessa iniziale V, anche se forse non si sa che queste parole significano “scrivere parole vendicative”. Questa figura retorica del significante si chiama allitterazione; altre figure retoriche del significante sono l'assonanza [V.], l' iterazione [V.] e l'onomatopea [V.]. L’ALLITTERAZIONE CONSISTE NELLA PRESENZA PREPONDERANTE DI UNA CONSONANTE IN PARTICOLARE, NON NECESSARIAMENTE ALL’INIZIO DELLE PAROLE, MA ANCHE ALL’INTERNO DI ESSE. Per esempio, le parole MANTIDE, MALEDETTA, MERAVIGLIOSA, sono allitteranti: iniziano, infatti, con la stessa lettera, la M. L'allitterazione si può facilmente individuare anche se non si conosce il significato delle parole: in VERGARE VINDICI VOCABOLI si coglie la stessa iniziale V, anche se forse non si sa che queste parole significano “scrivere parole vendicative”. Inoltre, questa figura retorica del significante può essere riconosciuta anche in una lingua straniera che non si è mai appresa: I WANDER WHAT THE WORLD WOULD BE, contiene evidentemente la W; L’EMPECHENT DE MARCHER, comprende il nesso CH. Ecco qualche esempio in ambito poetico: CADDI COME CORPO MORTO CADE, c’è un’allitterazione della C iniziale; LA CACCIA AFFACCENDATA, l’allitterazione della C è all’interno delle parole; DI ME MEDESMO MECO MI VERGOGNO, c’è un’allitterazione della M iniziale; A MEZZA VIA COME NEMICO AMATO, l’allitterazione della M è all’interno delle parole. L’ASSONANZA CONSISTE NELLA PRESENZA, NELLA PARTE FINALE DI PAROLE DI UN VERSO O DI VERSI SUCCESSIVI O DI UNA FRASE, DI VOCALI POSTE NELLA STESSA SEQUENZA. Le parole in questione, però, non devono avere la stessa desinenza, altrimenti ci sarebbe la rima. Quindi mORTO fa rima con pORTO, ma è in assonanza con cOrpO, spOrcO, amOrfO, perché le vocali sono uguali, ma le consonanti diverse. Quindi nel verso CADDI COME CORPO MORTO CADE, cOrpO e mOrtO sono in assonanza. L’assonanza viene utilizzata spessissimo nelle canzoni proprio al posto della rima. Una recente canzone, per esempio, declama: “la mia ragazza è strAnA / non dice che mi AmA / però quando ho un problEmA / lei è qui vicina / la mia ragazza mEnA”. Si noti inoltre che le consonanti che formano le desinenze sono solo M e N, per cui si ottiene anche un effetto senz'altro allitterante e consonante, perché esiste appunto identità di consonanti nella sillaba finale. Ricapitolando, sono in assonanza: strAnA e AmA; problEmA e mEnA; sAnE e mArE; pErA e mElA; AmOrE e cArOtE. Vale a dire che in queste parole le vocali sono nello stesso ordine, mentre le consonanti sono differenti. L’ITERAZIONE È SEMPLICEMENTE LA RIPETIZIONE DELLA STESSA PAROLA. L'iterazione è una figura retorica del significante che si usa comunemente anche nella lingua parlata, ad esempio come forma del superlativo assoluto: dolce dolce ha la stessa valenza di dolcissimo, molto dolce. L’iterazione è presente nei versi Ogne dolcezza, ogne pensiero umile, e Tanto gentile, tanto onesta pare, ed è alla base di diverse figure retoriche come l'epanalessi [Pape Satan, Pape Satan aleppe] e l'anafora [V.]: la ripetizione delle parole ha il chiaro intento di rafforzare e sottolineare il concetto che si vuole esprimere. L’ONOMATOPEA È UNA PAROLA CHE ESPRIME UN SUONO. L'onomatopea è una figura retorica del significante che cerca di esprimere un suono attraverso una parola. Onomatopee sono tutti i versi degli animali (bau/abbaiare, miao/miagolare, muu/muggire ecc.), ma anche suoni infantili: il din don dan delle campane, il drin drin del campanello (si noti come si tratti spesso di parole iterate). Anche molte parole di senso compiuto sono onomatopee: sussurrare, mormorare, sciacquio, sciabordio, tintinnio, rimbombare ecc. Si rintraccia l'onomatopea nei versi: C’è un breve gre gre di ranelle, E sussurrano dormi, Lo sciabordare delle lavandare, con tonfi spessi e lunghe cantilene, Sentivo un fru fru tra le fratte [nel quale si riconoscono altre figure retoriche del significante: l'iterazione, l’allitterazione del nesso FR (FRu FRu tRa le FRatte), nonché l’assonanza di A ed E (trA lE frAttE)]. *** SI HA L'ENJAMBEMENT QUANDO ALLA FINE DI UN VERSO C'È UNA PAROLA STRETTAMENTE COLLEGATA DA UN NESSO LOGICO CON UNA PAROLA DEL VERSO SUCCESSIVO L'enjambement è frequentissimo in poesia (e solo in poesia). Il ritmo di lettura di una lirica è conferito, come nella prosa, dalla punteggiatura, pertanto, spesso, le pause non corrispondono alla fine dei versi e la lettura continua nel verso o nei versi successivi. Se le parole alla fine di un verso e all'inizio del verso successivo hanno un legame logico grammaticale (soggetto-verbo, sostantivoaggettivo, ecc.) devono essere lette di seguito: in questo caso si ha l'enjambement. Anche se non sempre, l'intento dell'enjambement può specificatamente essere quello di riferirsi al concetto di lunghezza. Ecco alcuni esempi particolarmente significativi: e dietro le venia sì lunga tratta / di gente, ch'io non averei creduto / che morte tanta n'avesse disfatta. Dante afferma che ha visto sì lunga tratta di gente, una fila talmente lunga di persone, che non avrebbe mai creduto ne fossero morte tante. L'enjambement si trova fra il primo e il secondo verso e intende rendere, attraverso la lunghezza del verso, l'estensione del corteo dei dannati. Ecco un altro esempio simile, tratto da Foscolo: e quando dal nevoso aere inquiete / tenebre e lunghe all'universo meni, Anche in questo caso si passa dal significante, la sistemazione 'fisica' dei vocaboli, al significato delle parole: le buie sere invernali appaiono interminabili e tempestose, quindi si parla di inquiete tenebre e lunghe. Un ultimo esempio, tratto da L'infinito di Leopardi, è utile per far notare il preziosismo stilistico dell'autore. Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete/ io nel pensier mi fingo L'enjambement, presente in interminati / spazi di là da quella, e anche in e sovrumani / silenzi qui viene utilizzato per sottintendere il concetto di infinito, in cui gli spazi non hanno confini visibili e i silenzi sono tali da non essere comprensibili alla sensibilità umana. LA RIMA Sono in rima due parole che hanno la desinenza (cioè la parte finale) uguale. Esistono diversi tipi di rima: la rima baciata è la rima fra due versi consecutivi (AA, BB); la rima alternata è la rima fra i versi dispari e i versi pari (AB, AB); la rima incrociata è la rima fra il primo e il quarto verso e fra il secondo e il terzo verso di una quartina (ABBA); la rima incatenata (o terzina dantesca) consiste nel far rimare il verso centrale di una strofa con il primo e il terzo verso della strofa successiva, in modo da ottenere un effetto, appunto, a catena (ABA BCB CDC ecc.); la rima interna (o rima al mezzo) consiste nel far rimare due termini dei quali almeno uno non è alla fine di un verso. Per esempio Passata è la tempesta / odo augelli far festa, e la gallina/. Viene utilizzata alfine di cambiare ritmo; la rima ipermetra consiste nel far rimare le due sillabe toniche di una parola piana e di una sdrucciola, senza tenere conto dell’ultima sillaba della parola sdrucciola. Esempio Ah l’uomo che se ne va sicuro / agli altri ed a se stesso amico / e l’ombra sua non cura che la canicola. LA STROFA LA STROFA È UN INSIEME DI VERSI, PERLOPIÙ COSTRUITA SU SCHEMI CODIFICATI. Una lirica può essere costituita da una o più strofe, cioè raggruppamenti di versi delimitati da uno spazio bianco di separazione. Nella versificazione tradizionale le strofe erano costituite osservando rigidi schematismi, messi in discussione già dall'Ottocento (si pensi alla canzone libera leopardiana) e spesso trascurati nell'ambito della poesia contemporanea. Esistono diversi tipi di strofe: distico, formato da due versi, spesso in rima baciata (V.rima); terzina, formata da tre versi. Può avere diversi schemi come nel sonetto (V.), oppure essere codificata come nella terzina incatenata o terzina dantesca (V. rima); quartina, formata da quattro versi. Nel sonetto ha schema fisso in rima alternata o incrociata (V.rima); sestina, formata da sei versi, spesso endecasillabi in varia rima; ottava, formata da otto versi, perlopiù endecasillabi nella forma dell'ottava cavalleresca, tipica del '400 e del '500. Comprende una sestina in rima alternata (V.rima) e un distico in rima baciata (V.rima).