Materiale didattico 11
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Materiale didattico 11
Computo delle sillabe e definizione del verso Per evitare errori nell’individuazione del verso, si parta dalla sillaba su cui cade l’ultimo accento tonico presente nel verso e le si aggiunga idealmente una sillaba in più; es: se l’ultimo accento tonico cade sulla 6° sillaba, il verso (6+1=7) sarà un settenario; se l’ultimo accento tonico cade sulla 8° sillaba, il verso (8+1=9) sarà un novenario. Questo vale sia nel caso in cui dopo l’ultimo accento tonico vi sia effettivamente una sillaba (v. piano), sia se ve ne siano due (v. sdrucciolo) sia se non ve ne sia nessuna (v. tronco). Es. Sem|pre | ca|ro | mi | fu | que|st’er|mo | col|le Ei | fu.| Sic|co|me im|mo|bi|le Da|to il| mor|tal| so|spi|ro, Stet|te| la| spo|glia im|me|mo|re Or|ba| di| tan|to| spi|ro, Co|sì| per|cos|sa, at|to|ni|ta La| ter|ra al| nun|zio| sta (settenario sdrucciolo) (settenario piano) (“ sdrucciolo) (“ piano) (“ sdrucciolo) (settenario tronco) Fenomeni di adeguamento alla misura Adeguamento nella parola Sineresi: Né più mai toccherò le sacre sponde Dieresi: le porche con sua marra paziente (quando la dieresi: quando alle vocali a-e-o segue una vocale accentata es. poèta. Quando il dittongo ha inglobato una consonante intermedia poi scomparsa es. reìna) Aferesi: chè il passero saputo in cor già gode Sincope: S’i’ fosse foco arderei ‘l mondo Apocope: e poi nell’ira del cercar suo vano Protesi: forse cui Guido vostro ebbe a disdegno (Inf. X) Epentesi: S’i’ fosse morte, andarei da mi’ padre/similemente faria da mi’ madre Epitesi: a dimandarla umilmente chi fue (Par. XXI) Adeguamento fra due parole contigue Elisione: s’aprì si chiuse nella notte nera Sinalefe: la terra ansante, livida, in sussulto Dialefe: là | ove terminava quella valle (Inf. I) (quando la dialefe: quando l’ultima sillaba della prima parola è accentata es. non mutò / aspetto. Quando la prima parola è un monosillabo es. O / anima cortese) La rima Per rima si intende il ripetersi dei suoni vocalici e consonantici terminali di due o più versi a partire dall’ultima vocale tonica • • Saltàre e ballàre rimano Temère e prèndere non rimano, perché pur terminando entrambe in ere, non hanno gli stessi suoni dopo l’accento tonico. Rima perfetta: si ha quando i suoni sono identici Es. amore/dolore , vita/smarrita Rima baciata (o accoppiata) AA BB : si ha quando rimano fra loro due versi consecutivi O cavallina, cavallina storna A che portavi colui che non ritorna A (Giovanni Pascoli, La cavallina storna, vv.11-12) Es.: Vuo’ tu moglier pigliare? Non ti convien curare D’averla molto bella Chè vuol troppa guardia ella a a b b (La scelta della moglie F. Da Barberino) Rima alternata AB AB AB: si ha quando i versi in rima si alternano ossia il primo rima col terzo, i il secondo col quarto etc. Forse perché della fatal quiete A tu sei l’imago, a me sì cara vieni B o sera! E quando ti corteggian liete A le nubi estive e i zefiri sereni B (Ugo Foscolo, Alla sera, vv.1/4) Es.: Quel rosignol, che sì soave piagne, forse i suoi figli o sua cara consorte, di dolcezza empie il cielo e le campagne con tante note sì pietose e scorte A B A B (Petrarca Canzoniere) Rima incrociata (o abbracciata, o chiusa) ABBA: si ha quando il primo verso rima col quarto e il secondo col terzo Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono A di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core B in sul primo giovenile errore B quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono A (Francesco Petrarca, Canzoniere vv.1/4) Es.: Solo e pensoso i più deserti campi Vo misurando a passi tardi e lenti, e gli occhi porto per fuggire intenti ove vestigio uman la rena stampi A B B A Rima incatenata ABA BCB CDC (detta anche terza rima dantesca): le rima sono a catena Es.: Nel mezzo del cammin di nostra vita A Mi ritrovai per una selva oscura B Chè la diritta via era smarrita A Ah quanto a dir qual era è cosa dura B Esta selva selvaggia e aspra e forte C Che nel pensier rinnova la paura B (Dante) Rime ripetute (o replicate) ABC ABC: quando un gruppo di rime si sussegue nello stesso ordine Es.: La testa or fino e calda neve in volto A Ebeno i cigli e gli occhi eran due stelle, B onde Amor l’arco non tendeva in fallo C perle e rose vermiglie, ove l’accolto A dolor formava ardenti voci e belle; B fiamma i sospir, le lagrime cristallo C (Tetrarca, Canzoniere CLVII) Rime invertite ABC CBA: quando si susseguono specularmene Es.: Mostrasi sì piacente a chi la mira A Che dà per li occhi una dolcezza al core B Che ‘ntender no la può chi no la prova C E par che da la sua labia si mova C Un spirito soave pien d’amore B Che va dicendo a l’anima: Sospira A (Dante, Tanto gentile) Rima interna: si ha quando la rima non cade alla fine del verso ma al suo interno Es.: Carlotta canta, Speranza suona. Dolce e fiorita Si schiude alla breve romanza di mille promesse la vita (Gozzano) Rima al mezzo si ha quando la fine di un verso rima con la metà del successivo Es.:Mai non vo’ più cantar com’io soleva Ch’altri no m’intendeva; ond’ebbi scorno: e puossi in bel soggiorno esser molesto (Petrarca) Se il suono tra 2 o più parole non è perfettamente uguale si ha la rima imperfetta o quasi rima. Si distingue tra assonanza e consonanza. ASSONANZA – è la ripetizione, a partire dalla vocale accentata di vocali identiche ma diverse consonanti: Come i giri di ruote della pompa. Un giro: un salir d’acqua che rimbomba. (Eugenio Montale, Casa sul mare, vv.5-6) Il vento soffia e nevica la frasca. e tu non torni ancora al tuo paese! Quando partisti come son rimasta! (Giovanni Pascoli, Lavandare, vv.7-9) CONSONANZA – è la ripetizione, a partire dalla vocale accentata di consonanti identiche ma diverse vocali: …traversando l’alte nebulose; hai le penne lacerate dai cicloni, ti desti a soprassalti. (Eugenio Montale, Ti libero la fronte dai ghiaccioli, vv.2/4) E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia (Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto, vv.13-14) Versi sciolti – quando i versi sono versi liberi, cioè non sono legati da alcuno schema di rima e le rime vengono distribuite liberamente in base alle esigenze espressive o ritmiche. Questo tipo di verso cominciò a fiorire nel Cinquecento (in particolare l’endecasillabo) come imitazione della poesia classica che non conosceva la rima come elemento conclusivo del verso, ma entra effettivamente in uso nell’Ottocento con Leopardi e si afferma soprattutto nel Novecento con Gabriele D’Annunzio.