germogli africani

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germogli africani
Pubblicazione trimestrale del servizio volontario internazionale - Anno XXV - Maggio 2012 - Sped. in abb. post.art. 20/c. - L. 662/96 - Fil. di Brescia Autorizz. del Tribunale di Brescia n° 64/89 del 12/02/1989
In caso di mancata consegna rinviare all’UFFICIO POSTALE DI BRESCIA CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.
Servizio Volontario Internazionale
esserci
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GERMOGLI
AFRICANI
LE MICRO
BURUNDI
MIVO – NGOZI
Realizzare un vivaio di piante azoto-fissanti – € 500
Il feroce disboscamento sta causando la progressiva
erosione del suolo. Con il tuo aiuto implementeremo
un vivaio per introdurre nella zona 10.000 piantine in
grado di arricchire e proteggere il terreno.
MOZAMBICO
MOCODENE - INHAMBANE
Implementare un corso di potatura e innesti – € 450
Per avere un frutteto non basta piantare gli alberi,
occorre saperli curare. Per questo, desideriamo fornire
agli agricoltori che riceveranno le nostre piantine da
frutta le conoscenze necessarie per ricavare il massimo
dai loro campi.
UGANDA
KAPEDO E KARENGA – KARAMOJA
Ristrutturare la futura sede del progetto di Kotido
– € 10.000
Lo SVI, presente in Karamoja dal 1984, sta per concludere il suo intervento a Iriiri, ma ha già ricevuto una
richiesta di aiuto: più a nord, la diocesi di Kotido ha
messo a disposizione un edificio, che però necessita di
ristrutturazioni. Grazie al tuo aiuto potremo avviare un
nuovo progetto a favore dei contadini karimojong!
VENEZUELA
LAS AMAZONAS – CIUDAD GUAYANA
Realizzare 10 orti famigliari – € 500
Continua la distribuzione di sementi alle famiglie della
comunità e agli studenti della scuola Zamora. Grazie al
tuo aiuto, potranno coltivare ortaggi biologici, migliorando la loro alimentazione.
VENEZUELA
BARRIO LIBERTADOR II – SAN FELIX
Realizzare un corso di formazione per un gruppo di
salute integrale – € 150
In questo settore della città opera un gruppo di promotrici sociali, già formate su salute integrale e organizzazione di comunità. Con il tuo contributo potremo
aiutare il gruppo a consolidarsi.
VENEZUELA
LAS CLARITAS
Realizzare un corso di manualità artigianale – € 400
L’obiettivo è formare le donne in modo che possano
svolgere una semplice attività artigianale, per creare
reddito e aiutare la famiglia. Aiutaci a sostenere la loro
emancipazione!
Le micro sono un semplice strumento per
sostenere insieme il peso di uno sviluppo più giusto.
Sostieni lo SVI attraverso le micro!
[ph Damiano Rossi]
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ZAMBIA
MUMENA E MATEBO – SOLWEZI
Costruire un tetto per il laboratorio di produzione
delle tegole – € 250
Le tegole realizzate dagli studenti andranno a sostituire la paglia che ora copre i tetti delle loro piccole
abitazioni. La tua solidarietà può aiutarci a offrire agli
studenti un luogo più accogliente.
EDITORIALE
LA DECRESCITA IMPOSTA
Sulla via del rigore per soddisfare i mercati finanziari, il calo delle risorse pubbliche
mette a rischio il volontariato internazionale. Nel rinnovare il nostro impegno, chiediamo ai lettori
di farsi portavoce dei valori di giustizia che perseguiamo da più di quarant’anni.
Giornali e TV continuano a essere
occupati quasi interamente dalla
crisi, tra mercati, spread, rendimenti di borsa e pesanti ricadute sul mondo del lavoro (tema
quest’ultimo che tocca ormai
buona parte delle famiglie dei
paesi occidentali). I nostri governanti sono disorientati e preoccupati, non è chiaro se per le conseguenze patite dalle famiglie o se
per l’incapacità a individuare un
percorso che li mantenga a galla,
senza farne ulteriormente precipitare l’indice di gradimento presso
gli elettori.
Per la verità, già da tempo esiste
una corrente di pensiero di alcuni
illuminati economisti che ci avverte sull’impossibilità di portare ancora avanti una logica dello sviluppo basata sulla continua crescita
dei consumi; questo percorso non
può che portarci, presto o tardi, a
un punto di criticità insostenibile
per il pianeta. Essi ci invitano ad
agire nella logica della decrescita,
un concetto sul quale anche la nostra piccola testata si è spesa con
alcune riflessioni di Aldo Ungari.
Tuttavia, a quanto pare l’unica
decrescita alla quale i governi
occidentali sembrano pensare è
quella dei fondi da destinare alle
politiche sociali e, fra queste, alla
cooperazione allo sviluppo, rendendo la vita ancora più difficile
a coloro che subiscono maggiormente il peso dell’ingiusta distribuzione mondiale della ricchezza
(il sud del mondo).
In questo contesto, è sempre più
impegnativo portare avanti le nostre attività di aiuto allo sviluppo
in Africa e America Latina, soprattutto perché l’accesso alle risorse
economiche è arduo. La possibilità stessa di proseguire nella nostra attività è a rischio; di conseguenza, abbiamo sempre bisogno
di contare sul sostegno e la vicinanza degli amici che ci conoscono e conoscono le nostre attività,
persone semplici, consapevoli
dell’importanza di non interrompere quei processi di aiuto che
riusciamo a sviluppare in sinergia
con le comunità povere d’Africa e
America Latina.
Desidero pertanto chiedere ai lettori di esserci di aumentare il loro
sforzo nel sostenere l’organismo,
se possibile sollecitando amici e
conoscenti a starci vicino e sostenerci; il semplice passaparola di
chi apprezza l’operato delle nostre
volontarie e dei nostri volontari è
la migliore campagna di comunicazione e raccolta fondi possibile.
Da parte nostra, non cesseremo di
assicurare un impegno continuo,
proponendo stimoli nuovi, nella
logica di favorire la cooperazione
fra i popoli ed equilibri meno ingiusti degli attuali.
È proprio in questa direzione che
si muovono i nostri ultimi sforzi
editoriali [maggiori info all’interno
e su www.svibrescia.it].
Il primo ha l’obiettivo di aprire una
finestra su quelli, volutamente,
che abbiamo titolato “Germogli
Africani”: questo è infatti il titolo del libro bilingue che rivisita il
lavoro svolto dallo SVI in Uganda,
nella regione del Karamoja, uno
degli impegni più significativi della nostra storia.
Il secondo contributo editoriale,
ancora dedicato all’Africa, vuole
presentare ai lettori una vicenda
esemplare, il percorso compiuto
dall’amico Gino Filippini: un impegno personale di quarant’anni, passando per quasi tutte le
esperienze africane dello SVI, per
approdare infine alla baraccopoli
di Korogocho. Non a caso, chi lo
ha conosciuto proprio durante
quest’ultima esperienza, lo ricorda come il seminatore; dalla sua
generosità sono davvero spuntati
tanti e promettenti germogli africani
Infine, potete sostenerci partecipando alla Festa SVI!, da venerdì
8 a domenica 10 giugno, presso il
piazzale della locomotiva del Castello di Brescia: momenti di condivisione, riflessione e convivialità
per proseguire il cammino con il
sud del mondo.
Mario Rubagotti
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esserci
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Editoriale
La decrescita imposta
05
Passione d’Africa
Karibu!
06
08
Progetti
Mozambico – Come gli africani
Zambia – Il vento fa il suo giro
10
Socio FOCSIV
Verso il 2015
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“Aiutare a sognare è diventato
il mio mestiere”:
mestiere”: un libro per
proseguire l’opera di Gino Filippini
(www.svibrescia.it)
esserci a cura del
Servizio Volontario Internazionale
S.V.I.
V.le Venezia, 116
25123 Brescia
tel. 030 3367915
fax 030 3361763
www.svibrescia.it
E-mail:
[email protected]
[email protected]
Numero chiuso in redazione il 24 maggio 2012.
Il prossimo numero uscità a settembre 2012.
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Sostenibilità
Una via campesina per l’Europa
La nuova corsa all’oro
Dossier
Germogli africani
Progetti – Venezuela
Io sono SAPAGUA!
Il dono delle piccole cose
Oltre la merce
SVI Italia
News
La festa SVI!
19
Campagne
Supercent
Una scelta di buon senso
21
Medio Oriente
Il diritto all’insurrezione
22
La Parola
Ripartire dal Concilio
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Suggestioni
CD - Little broken hearts
Libri - La follia di Dio
Film - Mare deserto
Web - www.camminacammina.wordpress.com
Gruppo di redazione
Direttore responsabile: Claudio Donneschi; Coordinamento di redazione: Michele Vezzoli; Gruppo di redazione: Federico
Bonzi, Sandro De Toni, Lia Guerrini, Claudia
Pisano, Gabriele Smussi.
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Viscardi (progetto grafico), Michele Vezzoli
(immagini).
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Stampato su carta riciclata ecologica
Revive Pure Natural Offset,
usando energia pulita.
PASSIONE D’AFRICA
KARIBU!
“Tu hai lasciato la tua casa e tu sei nella tua casa”, proverbio africano.
“Accoglienza significa tante cose,
ma soprattutto esprime disponibilità a offrire attenzione e ascolto, a regalare gesti concreti anche in modo
semplice; è una parola concreta perché traduce quello che esprime in
gesti e simboli”, (J. P. Piessou).
Quante volte, ho pronunciato e
sentito le parole “Odi, odi” – l’equivalente mal tradotto del nostro “È
permesso?” – e, altrettante volte, la
risposta, il solare ed eloquente “Karibu!”, che non è “Avanti, ti do’ il permesso di entrare”, ma è: benvenuto,
ti accolgo, con le braccia, la mente
e il cuore aperto; vieni e prendi posto nella mia casa, che ora è anche
la tua.
Di seguito, i riti dell’accoglienza:
all’ospite è offerto immediatamente
uno sgabello, un posto per sedere e
poi i membri della famiglia porgono
i loro saluti, stringendo le mani. Offrire una cosa o salutare una persona a due mani esprime la totalità e la
pienezza del gesto; si dà tutto quello
che si ha, senza riserva.
Nel momento del saluto, l’inchino.
“L’inchino rappresenta il gesto del
rispetto e della venerazione. È uno
degli importanti gesti di rispetto e
considerazione insegnati fin dalla
più tenera età. Un gesto che mette
la memoria, la storia e la prospet“Vieni e prendi posto nella mia casa,
che ora è anche tua”
tiva (il futuro) in rapporto tra loro,
dicendo in modo implicito che ogni
essere umano è un anello della catena. In Africa si dice che chi non sa
accogliere non sa vivere, né sperare.
L’accoglienza è una bellissima occasione per celebrare la propria vita e
quella altrui”, (P. Anastasio Kahango
in “La scorza, il legno, il cuore”).
La prima cosa che si offre è il cibo e
se qualcuno deve cucinarlo, qualcun
altro intrattiene il benvenuto perché
il primo dono è quello del tempo:
per l’ospite c’è una completa disponibilità, senza dare mai l’impressione che si abbia fretta o altro da fare.
Il primo e più importante ospite di
una famiglia africana è l’Antenato,
depositario della memoria; gli si offre da bere ogni volta che lo si invoca come protettore della famiglia o
della casa. Spesso l’Africa è definita
culla dell’umanità, nell’accezione di
generatrice dei primi esseri umani;
in questa sede, culla è facilmente accostabile al gesto primario e amorevole di chi accoglie un nuovo figlio.
Ti accolgo così come sei. Senza riserve. Chissà, sarà forse questa una delle sensazioni più forti e inspiegabili
che hanno affascinato e affascinano
i viaggiatori d’Africa?
Jean Pieree Piessou, mediatore culturale, studioso e artista, in un suo
articolo intitolato “La calebasse e la
NOSTALGIA
Da Mivo, Burundi, Nicoletta
Quartini
Mentre un discepolo stava
facendo i vespri serali, un
rospo cominciò a gracchiare. Il
discepolo gettò un sasso per
farlo tacere, e così fu.
Una voce dall’alto allora disse:
“Credi che le tue preghiere
siano migliori di quelle del
rospo?”.
Dopo un anno dalla mia partenza, la domanda che mi assilla maggiormente è cosa mi
manca di più dell’Italia; sabato
mi è stata fatta nuovamente e
questa volta la risposta è venuta da sé. “Il silenzio”, ho detto
distrattamente.
L’interlocutore mi ha guardato
perplesso, alla ricerca di indizi.
Allora ho cercato di spiegarmi.
Leggi l’articolo completo su
www.svibrescia.it
moka del caffè” offre un’interessante lettura multiculturale dell’accoglienza.
“Tra la moka del caffè italiana e la
calebasse Africana del Benin e del
Togo – recipiente ricavato dalla zucca scavata – non c’è alcuna sostanziale differenza. Entrambi gli oggetti
richiamano al grande valore dell’accoglienza e alla centralità dell’ospite
nella casa e nella famiglia. I due oggetti sono differenti nella loro composizione, ma ciò non toglie nulla a
quanto rappresentano e continuano a rappresentare. Potrei anche
dire che la moka nelle famiglie italiane, come la calebasse in quelle
africane, rappresenta un oggetto
magico, che sa coniugare la realtà
con l’immaginazione e il desiderio
dell’incontro con l’Altro.”
Irene Lorandi
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SOSTENIBILITÀ
UNA VIA CAMPESINA PER L’EUROPA
La Commissione Europea si appresta a modificare la Politica Agricola Comunitaria – PAC,
mantenendosi nel solco liberista degli ultimi 30 anni.
L’alternativa, per il nord e il sud del mondo, è la tutela dell’agricoltura contadina.
Intervista* a Fabrizio Garbarino dell’Associazione Rurale Italiana, membro di Via Campesina – Europa.
Ci battiamo ormai da una quindicina
d’anni perchè la PAC prenda in carico
le istanze dell’agricoltura contadina,
quella europea, ma di riflesso quella
di tutto il mondo. Noi crediamo che
una riforma radicale della PAC possa aiutare sia i nostri territori, sia i
paesi in via di sviluppo dove i nostri
prodotti, pesantemente foraggiati,
vengono esportati distruggendo le
economie locali.
Non siamo per l’abolizione della politica agricola, anzi: l’agricoltura dovrebbe essere un problema di tutti,
non soltanto degli operatori del settore; crediamo quindi che le politiche
pubbliche se ne debbano far carico.
Con l’entrata nell’Unione Europea dei
paesi dell’est abbiamo acquisito circa
sei milioni di contadini; vogliamo che
questi numeri rimangano tali, perchè
tanti contadini determinano un territorio socialmente vivo e la rinascita
dei mercati locali.
L’agricoltura contadina
produce ricchezza e relazioni,
al sud
6 e al nord del mondo
[ph Damiano Rossi]
Nella vostra riflessione è centrale il
concetto di sovranità alimentare:
di cosa si tratta?
La sovranità alimentare è il dirittodovere dei territori di coltivare e consumare il proprio alimento. Si tratta
di ribaltare il paradigma in base al
quale sono altri – il mercato mondiale, le politiche della Banca Mondiale
e del Fondo Monetario Internazionale – che decidono cosa i contadini
debbano coltivare.
Pensiamo che sia un problema dei
paesi in via di sviluppo, ma in realtà
è ormai pesantemente presente nei
nostri territori perchè i contadini europei devono sottostare a politiche
che distruggono la sovranità alimentare.
L’agricoltura potrebbe essere l’ancora di salvezza per i giovani posti
di fronte alla crisi europea dell’industria e dei servizi, ma la tendenza è esattamente opposta:
dal 2003 al 2010 il settore
agricolo ha subito una concentrazione
spaventosa,
con la scomparsa del 20%
delle imprese.
Credo che l’agricoltura possa
essere una grande opportunità; lo posso dire con cognizione di causa perchè assieme ad altre persone abbiamo
creato nel 2001 una cooperativa agricola nella langhe
piemontesi, dove alleviamo
capre.
Il fatto che l’agricoltura sia
ormai un settore quasi complemente appannaggio di
persone anziane sta moritificando i territori a livello di
frizzantezza culturale. Se l’agricoltura tornasse a essere
una priorità non solo sarebbe
un’ancora, ma un modo per
rilanciare il territorio e l’economia.
ASCOLTA LE INTERVISTE SU
VIA CAMPESINA EUROPA E
IL LAND-GRAB:
su www.svibrescia.it è disponibile il file audio delle
interviste complete riportate
in queste pagine.
L’attuale impianto della PAC permette di inondare i paesi del Sud
del mondo con prodotti agricoli
sotto-costo, grazie ai sovvenzionamenti diretti alle grande industrie
dell’export. E’ un circolo vizioso
che stronca i piccoli contadini del
sud e rende quelli del nord degli
assistiti, in balia dei prezzi definiti
su mercati internazionali.
E’ possibile rompere questo schema?
L’Associazione ha prodotto centinaia
di documenti nei quali dimostriamo
che se le sovvenzioni per l’esportazione venissero arrestate, quest’agricoltura energivora e distruttiva dell’economia dei paesi in via di sviluppo
smetterebbe di funzionare. L’agricoltura contadina in questi anni ha
comunque resistito; basterebbe, non
tanto sovvenzionare, quanto equiparare a livello legislativo l’agricoltura
contadina e quella industriale.
Lo stesso problema delle migrazioni
è legato a paesi in via di sviluppo che
vedono la propria agricoltura distrutta. Si tratta di un circolo vizioso, creato dal capitale e dal neo-liberismo;
si potrebbe staccare la spina a questa
politica, basterebbe volerlo, con un
importante mobilitazione anche delle persone comuni. I quarantacinque
miliardi di euro della PAC sono soldi
nostri; vogliamo che vengano spesi
diversamente, in quanto cittadini europei.
SOSTENIBILITÀ
LA NUOVA CORSA ALL’ORO
È la corsa alla terra nei paesi del sud del mondo: dal 2001 un’area grande come l’Europa orientale
(227 milioni di ettari) è stata venduta o affittata a investitori istituzionali, la maggior parte
negli ultimi due anni. Intervista* a Elisa Bacciotti, responsabile delle campagne di Oxfam Italia.
“La nuova corsa all’oro. Lo scandalo dell’accaparramento delle terre
nei paesi del Sud del mondo” è un
rapporto di Oxfam pubblicato nel
settembre del 2011. Da cosa deriva questo rinnovato interesse degli investitori per l’agricoltura?
La crisi finanziaria scoppiata nel 2008
ha portato molti investitori internazionali, sia pubblici, sia privati a considerare l’investimento in terra come
sicuro perchè la terra è scarsa. Essendo un bene in esaurimento diventerà
sempre più prezioso; si investe su un
bene scarso, il cui valore aumenterà.
Ci sono però altri fattori molto importanti.
La terra viene utilizzata per produrre
cibo, ma anche per seminare colture
impiegate nella produzione di energia (sono i cosiddetti agrocarburanti
o biocarburanti). Alcuni stati, in particolare l’Unione Europea e gli Stati
Uniti, hanno incentivato la produzione di agrocarburanti e questo ha
provocato una nuova corsa alla terra
non per produrre cibo e sfamare le
persone, ma per sfamare i serbatoi
delle nostre macchine. Considerando che il pieno di un SUV può assorbire l’equivalente della produzione
agricola necessaria per sfamare una
persona per un anno intero, possiamo capire l’impatto che il land-grab
può avere sulla sicurezza alimentare
nel mondo.
Molte Associazioni della società civile come Oxfam criticano il
fenomeno degli investimenti sui
terreni agricoli del Sud del mondo,
ma secondo gli economisti neoliberisti gli investimenti giocano
un ruolo decisivo per lo sviluppo e
per ridurre la povertà.
Se fatto secondo certi criteri – innanzitutto la sostenibilità e la creazione
di sviluppo in loco – l’investimento
nel sud del mondo è un fattore posi-
L’accaparramento dei terreni da parte degli speculatori
mette a rischio la sovranità alimentare degli africani
tivo. Il problema della povertà globale non può essere risolto attraverso
la donazione di aiuti; l’investimento,
fatto da imprese e soggetti di varia
natura, è importante. Lo sviluppo
non è solo economico, ma anche
umano. Alcuni investimenti fatti
negli ultimi anni per creare le filiere
locali, come nel caso del commercio
equo e solidale, sono meritori.
In questo caso si distingue però tra
l’investimento ai fini di una produzione sostenibile e il land-grabbing che
letteralmente porta via la terra sotto i piedi di chi la abita, in un modo
irrispettoso dei diritti umani e non
tenendo conto del consenso delle
persone che quella terra la abitano
da decenni e la lavorano per assicurarsi una vita dignitosa. In alcuni casi
si tratta di un’esproprazione contraria
ai diritti umani. Il land-grabbing è un
nuovo colonialismo; questa nuova
corsa all’oro che è la corsa alla terra
non è un fattore di sviluppo.
I governi dei paesi del Sud del
mondo, anziché attuare politiche
di sviluppo centrate sull’autonomia e la sovranità alimentare, finiscono con lo svendere i terreni alle
multinazioni, ai fondi sovrani e ai
grandi investitori stranieri.
Cosa si può fare per frenare il fenomeno del’accaparramento di
terre?
I casi di studio che abbiamo illustrato
nel rapporto “La nuova corsa all’oro”
(disponibile sul sito di Oxfam Italia)
evidenziano il ruolo dei governi del
sud del mondo o meglio: sono fondamentali le élite di questi governi
che dispongono formalmente del
potere di alienare la terra, al di là dei
diritti consuetudinari più o meno
formalizzati delle persone che ci vivono. Tra le raccomandazione che
facciamo nel rapporto ce ne sono sia
ai compratori – essenzialmente chiediamo loro di astenersi dal comprare
questo tipo di terreni – sia ai governi,
che dovrebbero evitare di vendere
la terra con metodi e pratiche non
rispettosi dei diritti umani.
La comunità internazionale qualcosa
sta già facendo perchè il Comitato
sulla sicurezza alimentare mondiale
– l’organo delle Nazioni Unite che decide le principali strategie sul tema –
ha promulgato il 12 maggio le linee
guida per l’acquisizione responsabile
della terra, linee che dovrebbero guidare l’azione di governi e imprese. È
un primo passo concreto, importante e necessario; il limite è che si tratta
di regole volontarie, mentre la società civile chiede che prima possibile
siano promosse linee vincolanti.
* Interviste a cura di
Bendinelli/Vezzoli
7
MOZAMBICO
PROGETTI
COME GLI AFRICANI
Sapete quelli che vi dicono che per gustare pienamente un viaggio in Africa
devi vivere proprio come loro, alla loro maniera? Lasciate perdere, sono tutte balle!
Prendete voi una chapa (i taxi di qua),
che non è altro che un pick-up aperto senza alcun appiglio, con minimo
vent’anni e 300.000 chilometri nel
motore. Salgono dalle quindici alle
venticinque persone (con relativi bagagli) e gli unici che riescono a sedersi
e ancorarsi con le mani sono i cinque
o sei passeggeri al bordo del cassone.
Gli altri? Viaggiano in piedi, appesi, aggrappati al vicino che si aggrappa al
vicino che si aggrappa al vicino che si
aggrappa a quello seduto sul cassone
sperando che non sia una vechietta di
settant’anni, perché se gli scappa la
presa finiamo giù, tutti insieme, come
dei birilli. Se poi le strade sono sterrate, piene di buche e le macchine viaggiano senza luci e per frenare l’autista
deve mettere fuori il piedino perché i
freni si sono rotti anni addietro, ecco,
capite allora che il suggerimento di
muoversi in Africa proprio come fanno
gli africani lascia un po’ a desiderare.
Oppure, per immedesimarsi con gli
africani, perchè non provare a portare il secchio dell’acqua in testa, come
fanno le donne di qua? Se lo fanno
loro lo potrò fare anch’io! Balle, appunto! Primo: il secchio pieno di acqua in
equilibrio sulla testa è impossibile da
tenere, men che meno mentre cammini. Secondo: se anche riesci a tenerlo
in equilibrio, finché cammini per una
cinquantina di metri va tutto bene,
ma se devi fare mezzo chilometro o
più allora il collo comincia a maledirti,
mentre senti i dischi vertebrali che si
C’ERA UNA VOLTA
UN PEZZO DI LEGNO
Da Iriir, Uganda, Michela Gazzetta
ogni giorno, in ciascuna tappa,
proponeva la rappresentazione
della favola di Pinocchio. I 10 ciclisti
indossavano una maglia rosa che
riportava un consiglio verde: “Save
the environment, plant more trees”
[salva l’ambiente, pianta più alberi]
e passeggiando in bicicletta si
capisce quanto sia importante che
questo venga fatto al più presto.
Dopo mesi di preparativi, il 16 aprile è partito da Kotido il 1° Karamoja
tour: la carovana della Cooperazione Italiana ha toccato i distretti
ugandesi nei quali 5 ONG italiane
(tra cui lo SVI) stanno realizzando
un progetto di emergenza.
Insieme ai ciclisti viaggiava una
compagnia teatrale ugandese che
Leggi l’articolo completo su
www.svibrescia.it
schiacciano uno sull’altro. Quando poi
ti senti dire, “Non ti preoccupare, siamo arrivati” e te lo ripetono per i successivi due chilometri, lascia perdere il
secchio e inizia a benedire l’acqua che
esce dal rubinetto.
Tuttavia, c’è una cosa che mi piace fare
come loro e con loro ed è andare per
le comunità e vedere se quello che insegniamo durante i corsi di agricoltura
viene messo in pratica.
Allora scopri quello che ha provato a
fare inserti di varie piante da frutta e
ti mostra, tutto soddisfatto, il proprio
lavoro. C’è chi ha sentito del vicino che
ha fatto il corso di formazione e allora
ti chiede se può partecipare anche lui;
c’è anche chi ha fatto un orticello, proprio come aveva visto fare durante il
corso o chi, invece, con manie di grandezza, ne ha fatto uno in stile Valle-degli-Orti. Gli chiedi allora come riesce a
dare da bere a tutta quella terra e lui
risponde che ha l’acqua vicino a casa,
ma non devi dimenticarti di tradurre
perchè per loro vicino significa circa
700 metri!
Infine, può capitare di visitare una
comunità per un incontro, fissato alle
nove del mattino, che inizia alle undici, ma che si protrae per tre ore rispetto alla mezz’ora che avevi pianificato;
ma nel frattempo le donne hanno cucinato un pranzetto niente male, che
consumiamo tutti insieme e non fa
niente se cè sempre quella maledetta
sabbia che s’infila dappertutto, anche
nel cibo cucinato (basta masticare
adagio) o se il mio dialogo con la gente che non sa il portoghese si limita
alle tre parole di scizua che sono riuscito a imparare.
Non fa niente, perché quando mi sentono parlare scizua ridono del mio accento e del fatto che secondo loro sto
imparando benissimo la loro lingua.
Loro sono contenti; e io pure. Un abbraccio dal Mozambico,
Luca Turelli
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Karamoja: un tour ciclistico-teatrale
per sensibilizzare sui problemi ambientali
PROGETTI
ZAMBIA
IL VENTO FA IL SUO GIRO
Passaggio di consegne a Mutanda: Caterina Becorpi è sostituita da Stefano Verzelletti.
Inizia una nuova avventura, nel segno della continuità di relazioni vere e intense.
Il vento
Carezze rotonde
portano via il pensiero,
calore tenero
e oscillazione delicata
creano le note.
La mente si perde consapevole
nelle risposte in divenire
alle domande sospese
nella vela sospinta
della leggerezza indefinita,
verso la boa che si dovrà girare
dopo il quotidiano.
Siamo ad aprile e da circa un mese
e mezzo la casa di Mutanda è abitata da un nuovo inquilino, che
dall’Italia ha scelto l’Africa come sua
dimora per i prossimi tre anni... è arrivato Stefano!
Il suo arrivo significa però anche
partenza, poiché il mio tempo a
Mutanda nell’ambito di questo
progetto è giunto alla fine; il tempo
scivola tra le mani e gli imprevisti
della vita lo fanno scorrere ancora
più velocemente, mescolando vorticosamente le sensazioni, che alla
fine risultano come una nebulosa
opaca il cui significato è tutto da
decifrare...
Il cuore e la mente mi portano altrove, ma in questo momento di bilancio posso dire che l’esperienza con
lo SVI mi ha cambiata: io che ero
tutta professionalità e obiettivi specifici ho dovuto fare bruscamente
marcia indietro e accettare notevoli
compromessi derivanti dalla condivisione della quotidianità con i
colleghi; ma, allo stesso tempo, ho
anche potuto sperimentare da parte di chi segue il progetto dall’Italia
quell’umanità e quella comprensione che difficilmente si trovano in un
Il supporto all’agricoltura resta uno degli obiettivi
primari dello SVI in Zambia
ambiente di lavoro tout court...
Lasciare il progetto Zambia dello
SVI non si traduce necessariamente
nel lasciare il paese. In questa parte di mondo potrebbe ancora andare avanti la mia vita; il rapporto
con le persone che ho conosciuto a
Mutanda continuerà ad accompagnarmi e finché potrò supporterò
al meglio chi è arrivato, nella consapevolezza delle difficoltà, ma anche delle cose buone che si stanno
realizzando.
Il freddo intanto sta arrivando prima del tempo e nonostante il sole
sia piacevolmente caldo il vento
spazza gli alberi, i campi e le strade,
lasciandomi addosso un brivido costante; guardo dalla finestra dell’ufficio e penso che mi mancherà il
rumore dei banani attraversati dai
vortici d’aria, così come mi mancherà il cielo stellato, nero come la
pece una volta calato il sole.
Tra poco sarà il momento dei bagagli, dei saluti – tristi e allegri,
contemporaneamente – e delle
raccomandazioni; ma un sorriso
in particolare metterò nella borsa
e una risata gustosa mi riscalderà
durante il lungo viaggio, per ricordarmi della storia di una donna
che con tenacia ha camminato per
affermare il proprio diritto alla vita
e ancora oggi, nonostante tutto, la
affronta con gioia e gratitudine...
Caterina Becorpi
9
SOCIO FOCSIV
VERSO IL 2015
Il count down volge alla fine: entro quella data, fissata dal Vertice di capi di Stato e di Governo
nell’epocale Dichiarazione del Millennio, dovremmo raggiungere gli 8 Obiettivi di Sviluppo del Millennio.
Un parziale successo, anzi, uno scandaloso immobilismo dei governi.
A soli tre anni da quella scadenza vincolante per assicurare un futuro sostenibile alle popolazioni povere dei Sud
del mondo, ma anche a quelle dei paesi ricchi del Nord, la disillusione e lo
scoraggiamento fanno breccia nella
società civile internazionale che tanto
si è battuta in questi 12 anni per spronare i governi nazionali a mantenere
gli impegni assunti nel 2000.
Pur consapevoli della parzialità dei
risultati attesi con l’adozione dei Millenium Development Goals (MDGs)
– basti pensare che il primo di essi si
accontenta di dimezzare il numero dei
poveri e degli affamati sul pianeta,
consegnando deliberatamente al loro
destino mezzo miliardo di persone
che nel 2015 continuerebbero a subire le conseguenze dell’ingiusta distribuzione della ricchezza e del cibo – i
rappresentanti delle Organizzazioni
Non Governative di tutto il mondo si
sono battuti affinché fossero raggiunti almeno quei poco ambiziosi traguardi.
Qualche risultato è stato conseguito;
tuttavia, la mappa a macchia di leopardo dei successi registrati nella decade passata lascia troppi buchi neri
(come è stato riconosciuto nel 2010,
durante il vertice di verifica voluto
dalle Nazioni Unite). È decisamente
aumentato il numero di bambini e
bambine che vanno a scuola, soprattutto nell’Africa sub-sahariana; rispetto al 1990 i malati di AIDS sono calati
del 30%; la distribuzione di zanzariere
ha contribuito significativamente a
calmierare la malaria; la percentuale
di persone con accesso all’acqua potabile è notevolmente cresciuta nelle
zone rurali e si è stabilizzata al 94% in
quelle urbane; la deforestazione ha
diminuito i suoi ritmi insostenibili.
Tuttavia, di fronte a tutto questo il
solo dato relativo al numero di persone che ancora vivono in estrema
povertà basta a inchiodare al banco
degli imputati i Governi inadempienti, i potentati economici e gli affaristi
criminali. Oggi, 1,4 miliardi di persone vivono scandalosamente con
meno di 2 dollari al giorno; 1 miliardo circa di persone lottano contro
la fame e la malnutrizione cronica.
Il 60% dei bambini del sud est asiatico è sottopeso; nei paesi poveri la
percentuale di bambine senza scolarizzazione è 3,5 volte superiore a
quella relativa ai paesi ricchi. I disabili, le donne e le fasce più vulnerabili
delle popolazioni dei Sud del mondo
restano ai margini dei progressi ottenuti e patiscono evidenti discriminazioni e vessazioni; la possibilità di
disporre di un medico durante la
gravidanza è doppia per le donne
dei paesi ricchi; i bambini che muoiono prima dei 5 anni di vita diminuisce, ma in modo insufficiente:
ogni 6 secondi un bambino soccombe alla malnutrizione e alle malattie.
Questo quadro, appena tratteggiato,
lascia intuire la preoccupazione con la
quale nel 2010 il Segretario Generale
ONU, Ban Ki Moon, si è rivolto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
chiedendo un colpo di reni e una significativa inversione di tendenza per
recuperare negli ultimi 5 anni i ritardi
accumulati. La retorica delle diplomazie internazionali, con in bella mostra
quella del nostro paese, ha risposto
ancora una volta con una piena adesione verbale senza minimamente agire per tradurre in scelte e programmi
concreti le altisonanti dichiarazioni. Al
vertice fissato per il prossimo 2013, al
fine di valutare le ultime proiezioni sui
risultati degli MDGs, non si potrà che
sancire il loro parziale successo o forse, per meglio dire, la loro totale insufficienza e inadeguatezza rispetto alle
pur ribassate aspettative.
Per questo, oggi, la società civile internazionale e alcuni Governi dei paesi poveri, stanno adoperandosi per
proporre nuovi obiettivi e nuove strategie per il post-2015. Fra le tante, ci
piace sostenere quella avanzata dal
governo della Colombia per proseguire nella lotta alle povertà fissando
degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile
(SDGs) che ripropongano ai decisori
mondiali l’assoluta necessità di dotare la comunità internazionale di mete
vincolanti per consentire a noi e alle
generazioni future di continuare ad
abitare questo nostro pianeta in pace
e in armonia con il creato.
Sergio Marelli
Segretario Generale
FOCSIV
10
DOSSIER
GERMOGLI AFRICANI
Tra gli infiniti problemi che affliggono l’Africa, si muovono anche speranze di cambiamento.
Doppio focus sull’Africa: da un lato, l’eterna promessa di progresso delle democrazie parlamentari;
dall’altro, il libero accesso a un bene fondamentale, la terra, per le donne africane.
IL CAMBIAMENTO PASSA ANCHE
PER L’URNA
Nel 2012 si susseguiranno molte
elezioni nell’Africa sud-Sahariana;
il rischio che si svolgano nell’indifferenza generale è pari a zero.
Tranne alcune eccezioni, il tasso di
partecipazione è sempre stato alto,
come le speranze suscitate dalla
democrazia. D’altro canto, i presidenti africani hanno la tendenza ad
attardarsi al potere oltre il dovuto,
mentre i tassi di crescita economica
del PIL, seppure elevati – 6% i media – registrano uno scarso impatto
sul livello di vita delle popolazioni;
in questa situazione, il desiderio di
cambiamento degli africani passa
soprattutto dalle urne.
In alcuni casi gli scrutini sono stati accompagnati da violenze, ma
si è trattato di eccezioni (come in
Costa d’Avorio, dove la crisi postelettorale ha causato 3.000 morti).
Ogni anno una decina di elezioni si
svolgono senza incidenti e il 2012
dovrebbe confermarlo. L’avvicinarsi
delle scadenze fa comunque salire
la tensione anche nei paesi più stabili, nei quali l’alternanza democratica è rispettata dai vari candidati.
In Senegal le presidenziali del 26
febbraio scorso si sono svolte nella calma generale, dopo le violenze
che hanno segnato la candidatura
del presidente uscente: Abdoulaye
Wade (85 anni), al potere dal 2000,
si presentava per un terzo mandato
nonostante la Costituzione lo vieti.
Per Macky Sall è stato un trionfo:
il nuovo presidente ha ottenuto al
secondo turno il 66% dei voti. Ora,
ha di fronte diverse emergenze,
come la crisi alimentare nel nord
del paese, dove circa 800.000 persone sono a rischio-fame a causa
della siccità.
In Mali Amadou Toumani Touré
avrebbe dovuto lasciare il potere
dopo le presidenziali di aprile. Tut-
tavia, in marzo c’è stato un golpe
dell’esercito e, un mese dopo, i civili sono ritornati al potere. Al presidente ad interim, Dioncounda Traorre, è stato affidato il compito di
portare il paese alle elezioni entro
40 giorni.
Altri paesi restano in zone d’ombra.
In Angola José Eduardo Dos Santos (69 anni), è al potere dal 1979;
il paese è in pace dal 2003 e sono
programmate le elezioni presidenziali nel 2012. Si svolgeranno regolarmente?
In Zimbabwe la situazione sembra
bloccata: il governo di Harare mostra una facciata di ottimismo, ma
lo spettro delle elezioni del 2008 e
dei successivi disordini non è stato
dimenticato. Nonostante le buone
parole del presidente Robert Mugabe (87 anni), si teme una reazione autoritaria di fronte a un possibile cambiamento di rotta politica.
La libertà e l’indipendenza, tanto
Lavorare la terra non significa accedere alla sua proprietà per molte donne africane
[ph dossier di Damiano Rossi]
11
DOSSIER
acclamate da Mugabe, saranno rispettate?
In altri paesi africani i processi elettorali potrebbero provocare violenze. Il Kenya ritornerà alle urne per
le legislative e le presidenziali alla
fine del 2012. Nonostante il ritorno del multipartitismo nel 1991, la
politica è ancora un affare etnico e
dopo le ultime elezioni ci sono stati
più di 1.500 morti (i cui responsabili
potrebbero comparire davanti alla
Corte Penale Internazionale prima
degli scrutini).
Come si svolgerà lo scrutinio presidenziale del prossimo novembre
in Sierra Leone, paese segnato da
una guerra civile con un altissimo
numero di vittime (50.000 morti
fra il 1991 ed il 2002)? A causa delle
violenze fra i partigiani delle varie
fazioni, da settembre a dicembre
2011 gli assembramenti politici
sono stati proibiti.
In Ghana le elezioni dovrebbero
svolgersi in dicembre, con tensioni
fra i vari partiti politici.
In Somalia, nell’agosto del 2012 è
prevista un’alternanza politica che
non dovrebbe implicare consultazioni nazionali, anche se il periodo
di transizione, instaurato nel quadro di un processo di pace imposto
dalla comunità internazionale, non
ha interrotto insurrezioni e lotte in
varie zone del paese.
TERRA E LIBERTÀ (NEGATA)
Le donne africane forniscono il
70% della produzione alimentare
12
del continente, costituiscono circa
la metà della manodopera agricola
e si occupano dell’80-90% della trasformazione, immagazzinamento e
trasporto degli alimenti. Tuttavia,
secondo Joan Kagwanja, esperta
dell’ONG Alleanza per una rivoluzione verde in Africa – AGRA, “Le
donne molto spesso non hanno
diritto alla proprietà fondiaria”.
Questo diritto è generalmente riservato al capofamiglia e le donne
vi hanno accesso solo attraverso
l’intermediazione di un parente di
sesso maschile; inoltre, sono obbligate a consegnare a un uomo il
ricavato della vendita dei prodotti
agricoli, senza poter decidere del
suo uso.
Secondo uno studio effettuato in
Zambia, più di un terzo delle vedove è stato privato dell’accesso alla
terra dopo la morte del marito. “È
questa dipendenza dagli uomini
che rende vulnerabili numerose
donne africane”, spiega ad Afrique
Renouveau la signora Kagwanja.
L’AIDS ha reso ancora più fragili i
diritti delle donne: le vedove, i cui
mariti sono morti a causa della malattia, sono spesso accusate di aver
introdotto il contagio in famiglia;
per questa ragione è accaduto che
le loro terre e i loro beni fossero
confiscati.
Di fronte a questa situazione, i militanti stanno lottando per far adottare o rafforzare leggi che contrastino norme sociali e pratiche tra-
L’80% della trasformazione dei prodotti agricoli
è realizzata dalle donne
dizionali. I ricercatori dell’Istituto
internazionale di ricerca sulle politiche alimentari – IFPRI di Washington osservano che la marginalizzazione delle donne in Africa è
un problema antico. Prima della
colonizzazione la proprietà e l’accesso alle terre assumevano varie
forme, ma essenzialmente spettavano a stirpi, clan e famiglie, sotto
il controllo di capi maschi. I membri
di una stirpe o di un clan dovevano consultare il loro capo prima di
utilizzare le terre. Fatta eccezione
per alcune comunità madrilineari,
i diritti fondiari spettavano soltanto
ai figli maschi. Prima del matrimonio, una donna poteva accedere
alla terra del padre, ma in numerose comunità perdeva questo diritto
sposandosi; infatti, si supponeva
che avrebbe avuto accesso ai terreni del marito o della famiglia del
coniuge. Quando il marito moriva,
le sue terre spettavano però ai figli
o a un parente di sesso maschile.
La colonizzazione ha portato in
Africa i regimi fondiari occidentali;
oggi, parecchi paesi africani applicano tanto il diritto tradizionale
della proprietà fondiaria quanto i
modelli occidentali.
Per garantire alle donne l’accesso
alla terra è stato proposto di separare la proprietà delle terre dal loro
utilizzo; in ogni caso l’uomo non
avrebbe il diritto di vendere senza
l’accordo della o delle mogli ed eredi (il Ghana dispone di una normativa simile).
Le proposte di cambiamento,
comunque, sono difficili da mettere in pratica. In Uganda, per
esempio, Uganda Land Alliance ha
fatto pressione affinché i titoli di
proprietà fossero intestati contemporaneamente a uomini e donne; il
progetto di legge non è mai stato
adottato.
In Mozambico gruppi della società
civile hanno fatto adottare nel 1997
una legge che garantiva alle donne
l’accesso alle terre, ma l’applicazione è risultata molto difficile: i tribunali consuetudinari, ai quali fa appello la maggior parte delle donne
DOSSIER
In alcuni paesi africani l’accesso alla terra per le donne
è garantito dalla legge, ma il cammino è ancora lungo
in ambito rurale, considerano ancora l’uomo come il capofamiglia e,
pertanto, detentore della proprietà
sulle terre.
In Ghana la legge del 1985 sulla
successione e quella relativa all’obbligo di dichiarazione del capo famiglia miravano ad assicurare la
sicurezza delle vedove e dei figli.
Se un uomo moriva senza lasciare
testamento, la legge sulla successione sanciva che i suoi beni sarebbero stati ripartiti equamente fra
la vedova, i figli e gli altri membri
della famiglia allargata. Tuttavia,
secondo uno studio realizzato dalla FAO, poche donne erano al corrente di queste leggi e le pratiche
tradizionali continuavano a regolamentare il diritto all’eredità.
Come democratizzare il sistema
di distribuzione delle terre? Secondo la signora Kagwanja dell’AGRA, le donne vorrebbero che i loro
diritti fondamentali fossero iscritti
nella Costituzione e che la legge
garantisse senza ambiguità l’uguaglianza. Inoltre, le istituzioni giuridiche dovrebbero agire con equità,
rispettando le donne. “Le istituzioni
sono molto centralizzate” - sottolineava Kagwanja - “gli uomini sono
alla testa dei meccanismi di regola-
mentazione del litigio e i ricorsi in
giustizia sono molto costosi e intimidatori”.
Sicuramente è necessario un vasto
cambiamento culturale. Da interviste effettuate, sembrerebbe che gli
uomini non siano molto recettivi
all’idea che le donne possano prendere decisioni in merito alla gestione dei terreni. È un paradosso! Il
lavoro delle donne è essenziale per
la produttività ed è informalmente
riconosciuto, ma le terre sono al di
fuori della loro portata giuridica.
Ci sono comunque stati alcuni
progressi. In Swaziland le donne
non possono essere proprietarie
di terre, in quanto considerate alla
stregua dei minori; tuttavia, alcune
donne sieropositive che non avevano più accesso alle terre dopo la
morte del marito sono riuscite a negoziare con una donna capo-clan,
affinché convincesse gli altri capiclan maschi a fornire loro le terre
da utilizzare per soddisfare i propri
bisogni.
In Rwanda nel 1999 il governo ha
adottato in campo ereditario una
legge che conferisce alle donne gli
stessi diritti degli uomini, in netto
contrasto con le norme tradizionali;
così, le vedove e gli orfani del genocidio del 1994 hanno potuto otte-
nere i terreni e i beni loro confiscati
in precedenza.
Numerosi organismi delle Nazioni
Unite – la FAO, il Fondo di sviluppo
delle Nazioni Unite per le donne, il
Programma delle Nazioni Unite per
lo Sviluppo – si sono uniti a organismi non governativi per sensibilizzare le donne sui loro diritti. Una
delle strategie adottate è stata migliorare il loro ruolo nelle attività
di trasformazione agricola, rafforzando la centralità delle contadine
nella produzione e nella sicurezza
alimentare.
La giusta rivendicazione dei diritti delle donne in campo agricolo non può essere disgiunta dalle
lotte contro le nuove forme di colonialismo che stanno colpendo i
paesi africani, fra le quali l’accaparramento di terre da parte di
investitori locali o internazionali [il
land grab], finalizzato alla produzione di prodotti alimentari. Questa problematica sta minando alla
base la possibilità di perseguire l’obiettivo della sovranità alimentare,
rendendo difficile ai paesi africani
produrre quello che consumano e
consumare quello che producono.
Gabriele Smussi
13
VENEZUELA
PROGETTI
IO SONO SAPAGUA!
25 anni non sono uno scherzo.
Lo sanno bene, le donne di SA.PA.GUA che sono qui di fronte a noi, oggi,
con gli occhi lucidi e il sorriso, orgogliose ed emozionate nel giorno in cui si celebra la loro storia.
SAPAGUA significa Salud para Guayana, salute per Guayana, la terra
che ci ospita, in Venezuela; non è
una terra facile: qui, 25 anni fa morivano di dissenteria centinaia di
bambini e altrettanti per denutrizione. Eppure, è anche una terra ricca di risorse e di desiderio di riscatto, dove, 25 anni fa, queste donne
non sono state rimaste a guardare,
ma hanno scelto di fare!
È così che hanno iniziato, con l’aiuto di esperti di medicina naturale e di un programma di recupero
della denutrizione, a insegnare alle
mamme come curare i bambini con
le piante e con rimedi a portata di
mano (e di tasche), camminando
nei barrios per portare salute e speranza, partendo dalla convinzione
che la salute è primaria e deve essere un diritto di tutti.
Eccole qui: Gisela, Ligia, Rosa, Petra
iniziarono 25 anni fa, fianco a fianco
coi volontari dello SVI, con corsi su
alimentazione sana, prevenzione
delle malattie più comuni e salute integrale, organizzando gruppi,
moltiplicando le conoscenze acquisite, preparando prodotti naturali a
prezzo solidale; e ancora lo stanno
facendo!
Nelly, Efigenia, Elena, Marilena,
tante le strade percorse, gli eventi, i corsi, le conferenze, le riunioni
mensili che continuano, oggi come
allora.
Ascoltarle raccontare questi anni
è un regalo, guardare negli occhi
queste donne volontariamente impegnate per la salute della Guayana,
senza ricevere nulla in cambio, se
non la soddisfazione di avere contribuito a migliorare le condizioni di
vita di una famiglia, di un bambino,
di una mamma e molte volte a salvarla, qualcuna di queste vite.
14
Oggi ci sono tante persone nel salone, ad applaudire queste donne; tanta gente che, in un modo o
nell’altro, ha preso parte alla storia
di SAPAGUA ed è bello vedere con
i propri occhi il senso del costruire
insieme, del sentirsi parte di un ideale più grande, vedere gente che si
riabbraccia, che guarda le fotografie ed esclama “Qui c’ero anch’io!”
Ed è meraviglioso osservare i nuovi
gruppi, che si sono formati negli ultimi due anni, accompagnati da noi
volontari. È bello scrutarli ad uno
ad uno, capire il significato della
continuità e accorgersi che stanno
scoprendo il senso di appartenenza a un’organizzazione, a un movimento popolare fatto di persone
Le donne di SAPAGUA 25 anni fa
hanno deciso di fare la differenza
esattamente come loro, che provengono dagli stessi barrios, con
le stesse difficoltà e opportunità.
Donne proprio uguali a loro, comuni e semplici, un giorno di 25 anni fa
hanno deciso di fare la differenza!
Mentre accendo le candeline della
torta, nella mia privilegiata posizione di spettatrice, mi guardo intorno. Questi volti, queste donne e
mani che si tengono strette le une
alle altre, come le mani del logo
dell’organizzazione... Penso che siamo ciò che facciamo e tutte loro,
oggi più che mai, sono qualcuno,
sono SAPAGUA!
Lia Guerrini
PROGETTI
VENEZUELA
IL DONO DELLE
PICCOLE COSE
In Italia pensavo di avere uno stile di vita abbastanza semplice e sobrio:
stufa a legna per scaldarsi, pochi acquisti, l’indispensabile, eppure... mi sbagliavo,
e su quante cose ci si ricrede durante l’esperienza del volontariato!
In Venezuela la vita può esser ancora
più semplice (e umile), come le persone che ci abitano.
Questa è la loro ricchezza.
All’inizio si fa un po’ fatica, vengono
a mancare comodità e abitudini, ma
col passare dei mesi ci si rende conto
che queste mancanze in realtà sono
preziose opportunità per cambiare
prospettiva. Solo il tempo, i momenti
di condivisione con le persone e l’avvicinarsi al loro mondo permettono
di cogliere questa ardua proposta,
che fa traballare la terra sotto i piedi.
Per me, ha significato cambiare i paradigmi della cultura che mi ha formato e in cui mi sono riconosciuta
fino a poco tempo fa; ha significato
cambiare la quantità per la qualità e
imparare ad apprezzare le cose più
semplici, proprio perché qui anche
quelle considerate scontate e banali
in realtà non lo sono e per ottenerle
si fatica.
Occorre apprezzare e valorizzare lo
sforzo che le persone fanno quotidianamente, la passione che mettono nel cambiamento che viene loro
proposto. Così, un piatto di riso con
le carote e i fagiolini, cucinato da una
delle donne che partecipa ai corsi di
alimentazione sana – vive in un rancho di lamiera e spesso non ha neppure i soldi per pagarsi un biglietto
dell’autobus per andare dal dottore
– diventa più prezioso di un’aragosta; ascoltare i drammi di vite non
raccontate è un regalo; salutare i
vicini al mattino e al ritorno, la sera,
ti fa sentire che condividi la stessa
strada e un po’ le vite che ci abitano.
Gesti piccoli che da noi sono superati, ma che non smettono di avere
valore, cui probabilmente, con la cri-
L’attenzione all’ambiente, per esempio attraverso
il riciclaggio, è centrale nei progetti venezuelani
si in corso nel nostro mondo, siamo
chiamati a ritornare.
Non si tratta di mera nostalgia verso un’epoca - più umana e solidale
anche tra sconosciuti - che non ho
vissuto, abbandonata in nome di un
progresso che inevitabilmente ci ha
reso più individualisti; non si tratta
solo di un auspicio personale per la
nostra società, quella decrescita di
cui tanto si parla… Piuttosto, vuol
dire apprezzare e condividere la
semplicità, proprio quei piccoli gesti
che ti permettono di accogliere una
maniera differente di fare le cose.
Tirando le somme, sono queste le
piccole cose che permettono di parlare la lingua della cultura in cui ci
si trova a operare come volontari; è
l’unico modo affinché le proposte
di cambiamento siano comprese,
interiorizzate e attuate in modo sostenibile.
Apprendere ad amare il dono delle
piccole cose le rende grandi; è un
altro dei regali di questa Terra, che
porterò nella valigia al mio ritorno.
SEMI, CULLA DI SOGNI
Da Las Amazonas, Venezuela,
Giovanna Ferrari
C’è davvero molto da imparare dalla terra.
Un’importante occasione
è stata la Feria de la semilla
campesina a Sanare, un paesino a piedi delle Ande. In questo luogo così piccolo è nata
la proposta del programma
governativo Todas la manos
a la siembra. Il momento più
emozionante è stato sicuramente il trueque (baratto) di
sementi: ci siamo scambiati
semi per semi, senza l’uso del
denaro, proprio per sottolineare che le sementi, come il
cibo, non possono sottostare
alle leggi del mercato.
Leggi l’articolo completo su
www.svibrescia.it
Claudia Marini
15
VENEZUELA
PROGETTI
OLTRE LA MERCE
Qualche giorno fa al Centro de Formaciòn Guayana – che collabora con lo SVI ormai da diversi anni –
è risuonata nella nostra testa una sveglia all’ascoltare la frase “El conocimiento no tiene proprietario”:
ci siamo resi conto che siamo totalmente assuefatti al modello in cui siamo cresciuti.
Secondo Paolo Romagnosi
Las Claritas è un posto
che accoglie
accoglie,, sentimenti,
percorsi, storie
[ph Ginammi]
Infatti, proveniamo da una cultura
dove tutto viene scambiato secondo le regole del mercato e ormai ci
siamo abituati a un’idea mercantilistica anche del sapere; la conoscenza
è una merce come un’altra e quindi
soggetta alle regole di compravendita. In questa modo possono accedere a questa conoscenza sono
le persone che godono di una certa
disponibilità economica, escludendo
di fatto i meno abbienti. La conoscenza andrebbe invece condivisa,
in maniera tale che sia accessibile a
tutti e raggiunga il maggior numero
di persone.
A pochi giorni di distanza abbiamo
visto che questa non era solo una
bella frase, buttata lì in un’oratoria,
ma qualcosa di concreto, messo in
pratica, se non da tutti, da alcune
persone che hanno vissuto in prima
persona i benefici di questo passaggio del sapere.
Parte del nostro lavoro come volontari a Las Claritas è negli orti, scolari
e famigliari; rappresentano un’occasione per parlare di alimentazione
sana e problemi ambientali. Questa
proposta è qualcosa di nuovo per le
persone del posto, abituate principalmente a lavorare in miniera; se ci
aggiungiamo l’idea di non utilizzare
16
pesticidi e diserbanti, per praticare
invece un modello di agricoltura biologica, ecco che la cosa si complica.
Tuttavia, non siamo dei Don Quijote lanciati contro i mulini a vento:
sappiamo infatti che è possibile realizzare questi orti perché ci sono
esperienze simili, anche vicino a Las
Claritas. Cercando qualcuno in grado di aiutarci con gli orti, abbiamo
incontrato persone che hanno una
conoscenza slegata da studi accademici, ma acquisita faticosamente
con l’esperienza diretta, frutto della
capacità di osservazione e interpretazione della natura. Queste persone
si sono rese disponibili a dedicare
tempo ed energie, a condividere ciò
che hanno appreso, senza un ritorno
economico.
È importante però essere obbiettivi
e vedere i problemi che questo modello pone. Ci troviamo infatti nella
situazione di cercare informazioni
in internet; in questi casi dobbiamo
verificare con attenzione la fonte
dell’informazione, infatti può capitare di imbattersi in persone che si
inventano esperti in agricoltura biologica, oppure erboristi.
Mentre scriviamo questo articolo ci
ritorna alla memoria quel “Vedrete che alla fine dei tre anni sarà più
LA FORBICE
TRA NORD E SUD
Paolo Romagnosi, 4 anni a Las
Claritas (Venezuela), fotografati
nei racconti de “La polvere rossa”.
Viviamo due schizofrenie molto
forti: nel mondo occidentale
abbiamo tempi molto accelerati e un completo coma delle
relazioni umani; in America
Latina è l’esatto contrario: i tempi
sono lentissimi, però c’è un
vivere relazioni che è addirittura
ingombrante.
Uscendo di casa, facevo ottocento metri per andare da
Manuela e organizzare il lavoro
della giornata e ci impiegavo
due ore. La sera, capitava spesso
di trovarci in trenta persone – di
estrazione profondamente diversa: il commerciante, la puttana, il
minatore, la donna di casa – e si
discuteva per ore su quello che
avevo detto il Presidente, su cosa
aveva fatto il parlamento, sulla
crisi europea.
Questi esempi rendono bene la
forbice che si è creata tra i grandi
valori, le cose fondamentali che
devono caratterizzare la vita
comunitaria e quello che effettivamente non c’è più nel nostro
occidente.
Ascolta l’intervista completa su
www.svibrescia.it
quello che vi portate a casa di quello
che avrete dato”, commento spesso
pronunciato dai volontari rientrati.
Siamo qui solo da sei mesi e alcune
frasi captate si sono già fissate in noi,
facendoci capire che è possibile vivere secondo un altro modello.
Valentina Cavanna
ed Emanuele Terzi
Per restare sempre informato sulle nostre
attività iscriviti alla newsletter visitando
il sito www.svibrescia.it
1.
VISITE AI PROGETTI
Nel mese di maggio Claudio Chiappa,
coordinatore dei progetti SVI in Africa, si
è recato a Mutanda (Zambia), dove operano i volontari Stefano Verzeletti e Caterina Becorpi, coadiuvati dalla burundese
Gahimbare Maria Goretti. L’inserimento
di Stefano, arrivato in Zambia a fine febbraio, procede positivamente, mentre sta
terminando l’esperienza di Caterina. Nel
progetto sono ora attesi nuovi volontari.
Mario Rubagotti visiterà nel mese di giugno il progetto di Mivo (Burundi) in una
fase delicata della sua evoluzione; il nostro consigliere Massimo Ginammi farà
altrettanto con i progetti di Ciudad Guayana e Las Claritas (Venezuela).
2.
VOLONTARI IN TRANSITO
Lo scorso maggio è tornata in Italia per
una breve vacanza Giovanna Ferrari,
operativa nel progetto di Las Amazonas
(Venezuela). Giovanna ha incontrato la
Commissione Venezuela e il Consiglio
SVI, esprimendo soddisfazione per il lavoro fin qui svolto; si presentano infatti
interessanti prospettive di sviluppo.
3.
PROGETTI
Grazie al finanziamento del Comune di
Brescia è al via un nuovo progetto in
Burundi che coivolgerà nei prossimi
due anni cinque ONG bresciane (SVI,
SCAIP, MMI, FONTOV e FONSIPEC) presso
le Diocesi di Ngozi, Muyinga e Kirundo.
Si tratta di un passo ulteriore verso un
maggior coordinamento tra queste organizzazioni, anche in seguito all’esperienza analoga che si sta svolgendo in
Mozambico.
4.
ATTIVITÀ NEL TERRITORIO
Il 24 maggio 2012 si è svolta presso la
sede di Viale Venezia la consueta Assemblea ordinaria dei soci per l’approvazio-
ne del bilancio. In un momento delicato
come l’attuale, l’Assemblea chiama tutti
i soci e amici a un ulteriore impegno per
continuare a camminare a fianco delle
comunità povere dell’Africa e dell’America Latina.
Il 26 maggio è terminato il Corso di
formazione SVI al volontariato internazionale: i 18 partecipanti al 1° anno
sono invitati a continuare il percorso che
riprenderà in ottobre, mentre i 14 del 2°
anno potranno collaborare all’interno
delle Commissioni, in attesa dell’eventuale impegno in prima fila in un progetto.
Si è conclusa con buoni risultati “L’Arte si
fa pane”, la tradizionale mostra-mercato
di oggetti d’arte e antiquariato organizzata dallo SVI per auto-finanziare i progetti. La mostra è stata inaugurata il 14
aprile con la visita del Sindaco di Brescia,
Adriano Paroli. Un caloroso ringraziamento ai volontari che hanno curato con
impegno e passione questa 13° edizione, agli artisti e ai tanti amici che hanno offerto gli oggetti. Il nostro più vivo
ringraziamento a quanti hanno visitato
la mostra e portando a casa un libro o
un’opera d’arte hanno trasformato l’arte
in pane: un aiuto concreto alle comunità dell’Africa e dell’America Latina con le
quali stiamo camminando.
Il 19 e 20 maggio si è svolta la campagna
di sensibilizzazione per il diritto al cibo
della FOCSIV, “Abbiamo riso per una
PUBBLICAZIONI
Il 4 maggio è stato presentato
all’Istituto Pastori di Brescia il libro
“Germogli africani. Agroforestry
in Karamoja, un’esperienza di cooperazione e incontro fra culture”
di Bronzini, Bonomo e Piazza. Il libro,
edito da SVI e illustrato con gli splendidi scatti di Damiano Rossi, illustra il
lavoro svolto, approfondisce aspetti
della cultura locale e ripercorre la nostra presenza in Karamoja. Ulteriori
presentazioni sono state realizzate
presso il Centro Sociale “28 maggio”
di Rovato e a Ghedi, in quest’ultimo
caso all’interno di una serie di eventi
dedicati alla memoria di Luigi Bezzi
(il volontario, scomparso nel 2005,
fu uno tra i primi a dare vita all’esperienza in Karamoja).
SVI ITALIA
VITA DELLO SVI
cosa seria”. Grazie a circa 500 volontari,
amici e gruppi missionari è stato possibile allestire in provincia di Brescia un
centinaio di postazioni per distribuire
10.600 kg di riso. Si tratta di un buon risultato, che permetterà alle volontarie a
ai volontari SVI di continuare a contribuire alle necessità di molte popolazioni nel
sud del mondo.
5.
8-9-10 GIUGNO:
LA FESTA SVI!
Si stanno svolgendo in questi giorni gli
ultimi preparativi della Festa SVI che si
svolgerà presso il Castello di Brescia. Per
l’occasione abbiamo organizzato una
lotteria a premi (puoi richiederne un
blocchetto presso la nostra segreteria e
aiutarci così a distribuire i biglietti). Alla
Festa SVI condivideremo momenti di
convivialità, grazie alla gastronomia tipica e alle serate in musica e di intrattenimento per i bambini, ma anche di
approfondimento: nella giornata di sabato 9, a partire dal mattino, si svolgerà
un convegno-tavola rotonda presso i
Padri Saveriani, sul tema del rapporto tra
cooperazione e immigrazione. Assieme
ad altre 12 ONG lombarde festeggeremo
inoltre i 40 anni della FOCSIV, la Federazione degli Organismi Cristiani di Servizio Volontario Internazionale di cui lo SVI
è socio fondatore.
Lo SVI ha collaborato inoltre alla
realizzazione del libro “Africa:
sognare oltre l’emergenza. Gino
Filippini, quarant’anni a fianco
degli ultimi”. Presso la libreria delle
Paoline, editrice del volume, si è
svolta la prima presentazione, seguita da incontri a Rezzato (il paese
di Gino), all’Università Cattolica di
Brescia e a Iseo.
Queste opere sono acquistabili
presso le librerie, ma anche nella
nostra sede, con la possibilità di
riceverle con spedizione postale (le
spese di invio sono a carico dell’acquirente).
Info e contatti: Stefano Savardi,
030.3367915, [email protected].
17
SVI ITALIA
LA FESTA SVI!
Venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 giugno presso il piazzale della locomotiva in Castello, a Brescia,
ci sarà la Festa SVI. Tra convivialità e riflessione, desideriamo far conoscere e sostenere
l’operato dei nostri volontari e volontarie.
Si tratta per noi della prima esperienza e il timore di essersi imbarcati in un’impresa superiore alle
nostre forze è grande: sono poche
le persone disponibili a impegnarsi per molte ore, nel corso di tre
giorni e gli aspetti organizzativi
sono molteplici, ma i volontari non
si lasciano intimorire dalle difficoltà. La riuscita dipenderà da molti
fattori: il meteo, la pubblicità, il numero di collaboratori, ecc. Eppure,
allo SVI siamo abituati alle sfide,
mettendo in campo tutto ciò che
possiamo in termini di riflessione
e buona volontà per affidarci poi,
ma dovremmo dire soprattutto,
alla Provvidenza: fatto quel che
si deve, accadrà quel che ci verrà
concesso.
Qual è lo scopo della Festa SVI?
Lo SVI è un piccolo organismo che
conta molto sull’autofinanziamento: occorre innanzitutto far
conoscere quanto di buono i nostri volontari e le nostre volontarie
riescono a fare nel mondo, con l’aiuto di Dio. Poi, dobbiamo chiedere sostegno alle persone di buona
volontà, affinché ci aiutino a continuare il nostro impegno. Infine, la
festa sarà un’occasione di incontro
e scambio: accanto a un banchetto per illustrare le nostre attività,
avremo il piacere di ospitare alcune associazioni di migranti, desiderose di farsi conoscere e dialogare con gli ospiti della festa.
Ci saranno occasioni di convivialità, grazie alla gastronomia tipica
delle feste popolari e intrattenimenti per le famiglie, in particolare per i bambini, con l’aiuto
del Gruppo Scuola SVI, di Baba
18
Intrattenimento e riflessione,
scambio e interazione culturale
saranno al centro della Festa SVI
Jaga, del Teatro Telaio e altri gruppi volontari che hanno dato la loro
disponibilità. Non mancherà la
musica serale, con gruppi emergenti e affermati. Sarà possibile
visitare il Castello, grazie alla guida dell’Associazione Speleologica
Bresciana (è indispensabile prenotarsi per formare piccoli gruppi).
Avremo persino un paio di prestigiatori per l’intrattenimento dei
bambini!
Inoltre, non potevamo rinunciare
all’opportunità per fare della Festa
SVI un’occasione di riflessione. Ed
ecco allora l’idea di invitare la cittadinanza e gli altri organismi di
volontariato internazionale di ispirazione cristiana a festeggiare la
ricorrenza del quarantesimo della
fondazione della FOCSIV (Federazione Organismi Cristiani Servizio
Internazionale Volontario). Per
questa ragione abbiamo organizzato un convegno nella giorna-
ta di sabato 9 giugno (mattina
e primo pomeriggio), in cui porre
in discussione un tema per noi di
estrema attualità: il rapporto fra
cooperazione e immigrazione.
Nello scorso anno abbiamo affrontato questo tema internamente
allo SVI; ora allarghiamo la platea
del dibattito. Il convegno si svolgerà nella sala Romanino del Centro
Saveriano di Animazione Missionaria – CSAM in via Piamarta, 9
in città, presso il complesso San
Cristo dei Missionari Saveriani (il
centro, in Zona a Traffico Limitato,
dispone di un ampio parcheggio; i
visitatori possono accedervi transitando obbligatoriamente per il
varco di piazza Tebaldo Brusato.
Tuttavia, suggeriamo a chi può di
utilizzare mezzi pubblici e biciclette: rispettiamo l’ambiente!).
Mario Piazza
CAMPAGNE
SUPERCENT
È un supereroe sui generis: è piccolo, proprio come un centesimo;
è semplice, come può esserlo un disegno a matita su foglio di carta;
pensa positivo, perché crede che insieme si possa ricominciare, a partire dalle piccole cose.
Nell’attuale periodo di crisi economica emerge un incremento del disagio, soprattutto nelle famiglie dove è
a rischio o è venuta meno la fonte di reddito.
In questo contesto, Fondazione Opera Caritas San Martino e Congrega della Carità Apostolica hanno inteso
rendere ancora più feconda la loro azione, con spirito di collaborazione e cooperazione, unendo sforzi e
competenze in un progetto comune, sotto l’egida della
Caritas diocesana.
É nato così il progetto Supercent che consiste nella raccolta su vasta scala di piccole erogazioni di denaro,
effettuate dagli utenti dei servizi bancari. Queste
piccole erogazioni comportano per i singoli donatori
un modestissimo esborso, ma possono dar luogo, se
unite tra loro, a un’importante risorsa per i casi di povertà più urgenti.
Le somme raccolte confluiranno in un apposito fondo
finalizzato a rispondere in modo capillare ai bisogni di
singoli e famiglie nel fare fronte alla crisi sempre più
drammatica.
Le erogazioni fin qui effettuate hanno permesso di aiutare 34 famiglie presenti nei diversi paesi della Diocesi di Brescia; le urgenze maggiori hanno riguardato le
spese per l’affitto e le utenze domestiche, la salute e gli
alimentari.
Per facilitare la risposta delle molte persone che hanno raccolto l’appello “Aiutami ad aiutare le famiglie in
difficoltà nel far fronte alle spese per casa, cibo, salute”,
Supercent propone una nuova modalità di adesione:
l’autorizzazione permanente di addebito (modulo
RID). Questo strumento permette infatti di far crescere
il Fondo di microbeneficenza in un modo ancora più
semplice e comodo: basta compilare il modulo RID,
che può essere scaricato dal sito internet della campagna (www.supercent.it) o ritirato presso la Caritas Diocesana di Brescia. In questo modo si darà alla propria
banca l’ordine di effettuare una donazione che sarà
ripetuta mensilmente e senza alcun costo aggiuntivo
per il donatore. Il modulo RID dev’essere consegnato al
proprio sportello bancario, oppure alla Caritas Diocesana di Brescia, anche tramite la parrocchia.
L’operazione di addebito può riguardare anche pochi spiccioli – semplici briciole – che però, mese dopo
mese, si trasformeranno in un aiuto prezioso per chi
vive una situazione di bisogno.
A sostegno della campagna è stata realizzata una
sequenza di quattro spot, con la regia di Claudio
Uberti e l’apporto dell’Ufficio Comunicazioni della Diocesi di Brescia. Gli spot, visibili anche su www.svibrescia.it, raccontano la storia di un bambino e della sua
famiglia alla scoperta del valore dei centesimi: le monetine, apparentemente senza valore, sono in grado di
fare la differenza se si mettono insieme.
Supercent è un’occasione per coinvolgere le nostre
comunità, affinché prendano consapevolezza, anche
attraverso piccoli segni, dell’urgenza di sostenere le famiglie in difficoltà.
La campagna prosegue ora anche nella Diocesi di Bergamo, grazie alla Caritas locale, con le stesse finalità e
modalità operative.
19
CAMPAGNE
UNA SCELTA DI BUON SENSO
È ancora possibile fermare l’acquisto dei cacciabombardieri F-35: se abbiamo dei soldi,
questi servono per aiutare le persone e le famiglie che oggi non ce la fanno da sole, questa è la priorità.
Intervista* a Flavio Lotti, Coordinatore nazionale della Tavola per la Pace.
È un fatto grave, perchè siamo in assenza di progettualità politica. Nel
caso della difesa, governo dei tecnici
vuol dire appaltare le questioni della sicurezza ai militari, corresponsabili dello spreco avuto in questi
anni. Se il nostro paese ha ancora
oggi 180.000 soldati, pur impiegandone militarmente dai 10 a 30.000,
è dovuto anche alla responsabilità
dei militari, e tra questi Di Paola.
Immagine tratta da www.opalbrescia.org
Nel mese di aprile il Parlamento
ha votato una mozione che obbliga il governo a subordinare
qualunque decisione relativa
all’acquisto di armi, inclusi i cacciabombardieri F-35, alla ridefinizione degli assetti e degli obiettivi delle nostre forze armate.
Cos’è accaduto?
Si tratta innanzitutto di un primo
risultato, frutto della grande mobilitazione che c’è stata e che dovrà
continuare a esserci per impedire
l’acquisto dei cacciabombardieri
F35; ci consente di avere altro tempo, per far crescere nell’opinione
pubblica la conoscenza delle gravi
scelte che questo governo intende
fare: decine di migliaia di miliardi
rischiano di essere buttati per l’acquisto di armi inutili, bruciando
una parte importante di risorse che
ci servirebbero per uscire dalla crisi.
20
Il modello militare che il Ministro Di
Paola ha in mente è estremamente
aggressivo: è quello delle guerre
che si stanno combattendo ancora oggi in Afganistan e che si sono
combattute il Libia e Iraq. Non è il
modello dell’ONU, del peacekeeping
e delle missioni di pace, ma della
guerra aperta su vasta scala che per
essere combattutta ha bisogno di
cacciabombardieri e portaerei, anche perchè si tratta di guerre che ci
si prepara a combattere lontano dai
nostri confini, a dispetto dell’art. 11
della Costituzione.
Nella storia della Repubblica non
è mai accaduto che Ministro della
Difesa fosse un militare, l’Ammiraglio Di Paola.
È capitato in una sola altra occasione, negli anni ‘80 e per un breve
periodo.
Dal 2007 al 2012 i fondi destinati
dall’Italia a sanità, istruzione, politiche sociali, non autosufficienza e giovani si sono ridotti da 1
miliardo e mezzo di euro a 0,193
miliardi. Nel nome della ricetta
della Banca Centrale Europea
il governo chiede sacrifici alle
classi medie, ma nel 2012 l’Italia
spenderà 23 miliardi di euro per
la difesa; e l’eventuale programma per l’acquisto di 90 bombardieri F-35 costerà altri 10 miliardi, esclusa la manutenzione.
Sono previste penali per recedere dal contratto di acquisto degli
F-35?
Non ci sono ancora penali perchè
non abbiamo firmato niente; abbiamo quindi la possibilità di invertire
la rotta e impedire questo enorme
spreco di denaro pubblico. Per farlo
e per avere successo abbiamo bisogno che tante persone alzino la
voce.
Abbiamo la necessità di fare qualcosa che non ho bisogno di definire pacifista: è una scelta di buon
senso. Se abbiamo dei soldi, questi
servono per creare nuovi posti di
lavoro e aiutare le persone e le famiglie che oggi non ce la fanno da
sole, questa è la priorità.
*Ascolta l’intervista completa su
www.svibrescia.it
MEDIO ORIENTE
DIRITTO ALL’INSURREZIONE
SIRIA – L’uragano di obici che si è abbattuto sui quartieri di Homs, sulla piccola Zabadani,
su Idib e Duma ha evidenziato la rabbia di un clan dispotico che, di fronte a un avvenire incerto,
teme di perdere quello di cui si è appropriato: un paese intero, le sue risorse e ricchezze.
Di fronte a tale odio, come non comprendere il processo di autodifesa che
si è affermato, a partire dalle coraggiose defezioni dei soldati? I massacri, le torture di bambini, gli stupri, le
famiglie oltraggiate o straziate hanno
portato all’autodifesa popolare. Le
defezioni si sono moltiplicate, quelle
provenienti dall’esercito e quelle dei
giovani che rifiutano la leva.
L’8 febbraio 2012 l’ONG “Medici senza
frontiere”, appoggiandosi a 16 testimonianze, denunciava: “La Siria diventa un gigantesco centro di detenzione; il semplice fatto di essere ferito
porta a essere sospettato e accusato:
si viene sospettati prima di essere dei
bisognosi di cure”. Resistere a questo
terrore è possibile soltanto con l’adesione massiccia della popolazione; da
diversi mesi i comitati locali hanno
organizzato mobilitazioni e dal dicembre 2011è stato lanciato un movimento di disobbedienza civile. Con
lo stesso sostegno sociale, medici siriani, assistenti e studenti in medicina
hanno messo in piedi coordinamenti
sanitari per assicurare le cure ai feriti,
in condizioni drammatiche: garage,
cucine e cantine sono diventati luoghi
nei quali effettuare interventi senza
anestesia, senza materiale e farmaci.
Troppo spesso i commentatori dei
mezzi di comunicazione parlano della Siria, non delle siriane e dei siriani.
Mettendo in rilievo l’importante posizione regionale del paese, la geopolitica sostituisce l’analisi e la comprensione delle ragioni dell’insurrezione.
Questa sollevazione è partita dalla
periferia – Deraa, dove la popolazione
è scesa nelle strade dopo aver constatato che numerosi bambini erano
stati torturati nel marzo 2011 – fino ai
quartieri popolari di Damasco e Aleppo.
In questa repubblica socialista, dalle
caratteristiche monarchiche, alla morte del padre dittatore Hafez Al-Assad
il clan ha scelto un erede presenta-
bile dal punto di vista diplomatico, il
quale ha accentuato le controriforme
neoliberali, iniziate a metà degli anni
‘90. C’è stata una nuova alleanza fra
i corrotti che occupavano le strutture statali e i capitalisti provenienti
dal partito Baas e dal settore privato.
La reticella di sicurezza minima (per
esempio, i beni alimentari distribuiti a
basso prezzo) si è ben presto bucata
e la popolazione contadina ha iniziato
a impoverire e migrare verso le città.
Dall’inizio del 2011 si è costruito un
fronte sociale e politico anti-dittatoriale, per definizione eterogeneo, la
cui forza risiede nel suo radicamento
in seno alle varie fasce sociali. Questa
è stata l’origine del processo insurrezionale, il cui obiettivo era rovesciare il
potere dispotico che occupa il paese.
Quest’ultimo è sempre stato stabile,
soprattutto grazie al rispetto diplomatico manifestato dalle potenze occidentali: a titolo d’esempio, nel 2008
Bachar Al-Assad fu invitato a Parigi
alla sfilata militare del 14 luglio e troneggiava accanto a Mubarak e al presidente francese. Il governo israeliano
era conscio che, al di là della retorica
antisionista, il regime di Damasco assicurava la tranquillità sulla frontiera
del Golan e il governo russo poteva
disporre di un accesso all’unica base
navale militare nella regione, quella di
Tartus, oltre a un mercato d’esportazione per le proprie armi.
Questa configurazione è stata messa
in discussione dalla rivolta popolare.
Alcuni si sono dimostrati molto reticenti nel sostenere gli insorti, adducendo la possibilità che i Fratelli Mussulmani potrebbero disporre di una
influenza maggioritaria nel quadro di
una democrazia liberale. Quando un
popolo si solleva contro una dittatura,
opponendosi a grande maggioranza
a qualsiasi intervento militare straniero, si conquista attraverso terribili sofferenze il diritto di decidere il proprio
avvenire. Riuscendo a far valere i propri diritti, il popolo siriano può sfuggire agli scontri confessionali attizzati
dall’attuale regime, che sta tenendo
in ostaggio sunniti, aluiti, sciiti, curdi
e diverse correnti cristiane (drusi e armeni ortodossi).
Perché le conquiste possano diventare definitive è necessario abbattere
la dittatura e ogni reticenza di fronte
a questo obiettivo significa rifiutare al
popolo insorto l’insieme dei diritti che
possono derivare da una vittoria antidittatoriale; detto in altri termini: vuol
dire sostenere il clan Assad e i suoi
accoliti, assumendosene le responsabilità.
Gabriele Smussi
27 febbraio 2012, centro di Idlib, Siria:
palazzo danneggiato dai bombardamenti dell’esercito siriano
(ph AP / Rodrigo Abd)
21
LA PAROLA
RIPARTIRE DAL CONCILIO
50 anni fa Giovanni XXIII apriva il Concilio Vaticano II. In una lettera di alcune settimane fa, il nostro Vescovo Luciano
invitava la Diocesi e, in particolare, i Presbiteri a diffondere la conoscenza dei lavori conciliari,
a partire da semplici forme di catechesi. Conversazione con Fratel Tommaso Bogliacino di Eremo Betania.
Per molti, il Concilio ha sancito una
netta discontinuità rispetto al passato,
recuperando in primo luogo la centralità della Parola.
Tuttavia, la sensazione è che le comunità parrocchiali continuino a disconoscere la Parola, vittime di letture moraleggianti e superficiali, incapaci di
coglierne le sfumature alla luce delle
sottostanti categorie linguistiche, storiche e di senso del greco e dell’ebraico, stravolte in adattamenti improvvisati.
Come colmare questo divario tra la Parola e la nostra comprensione?
Preferisco, come Papa Giovanni, usare la
parola rinnovamento, con delle linee di
discontinuità, ma soprattuto di riscoperta del Vangelo. Per colmare il divario tra la
Parola e la nostra comprensione occorre
cercare di vivere il fatto che la parola di
Dio è la parola di un amico a degli amici (Dei Verbum): il Verbo si è fatto carne,
fratello, amico. La centralità della Parola e
dell’Evangelo non è fatta, secondo il Concilio, di formule, idee esatte e dogmi, ma
di eventi che permettono di fare incontri.
Prima del Concilio si temeva la Parola,
anche perchè troppo ricondotta al libro,
alla parola definitiva, intoccabile perchè
scritta da Dio. Eravamo e siamo tutt’ora
una religione del Libro; il Concilio ha rinnovato questa visione, spingendoci verso il mistero di persone che s’incontrano.
Per la comprensione servono inoltre traduzioni più attente e fedeli al testo originario; soprattutto è utile non fermarsi
alla formula statica, cercando invece un
ascolto d’amicizia. Nella Parola si scopre
il viso di Gesù Cristo, che è colui che la
compie pienamente. Ecco perchè consideriamo i Vangeli il compimento della
Bibbia: non si conosce Cristo se non si
conosce la Parola e viceversa.
Più che comprendere la Parola dobbiamo
farla e questo passa per un ascolto comunitario, ma soprattutto per la realizzazione della parola in persone evangeliche.
Secondo il Concilio non sono determinanti le formule, le verità da catechismo
o il primato delle preoccupazione moralistica: un’evangelizzazione nuova dei cristiani passa prima di tutto per la capacità
di capire e sentire le sofferenze, le gioie,
le speranze, il vissuto concreto delle persone (Gaudium et spes).
Una seconda, grande frattura segnata
dal Concilio è il recupero dell’idea di
una comunità che concelebra la liturgia e, a partire da questa condivisione,
rilancia la propria conversione (andare oltre). Il messale si è arricchito di
svariate formule e sfumature e spesso,
anche della possibilità di improvvisare, seppure con parole pertinenti al
momento liturgico.
Perchè durante la liturgia spesso non
c’è traccia di questo arricchimento, di
questa varietà, di questa comunità
concelebrante?
La religione e la fede possono essere
vissute come una questione di riti e formule, verità provenienti dall’alto, misteri
posti al di sopra, se non contro, l’uomo. Il
cristianesimo diventa allora un insieme
Betania è un luogo di accoglienza, riposo e riflessione
22
di idee che devono essere trasmesse soprattutto dal prete o dal Vescovo, la celebrazione diventa un rito che sacralizza
e salva: è il rito stesso che conta ed è il
prete che fa la messa.
Il Concilio invita al contrario a scoprire la
Liturgia, una celebrazione tra amici, nel
mistero di un banchetto gratuito, un’alleanza nel cibo e nella bevanda che va oltre
le apparenze. L’Amico non si vede con gli
occhi del corpo, ma è presente nella comunità che si riunisce, s’incontra e prega.
Si ha paura di parlare di concelebrazione,
ma sono tutti i cristiani a concelebrare,
non come presbiteri, ovviamente, ma
con ruoli diversi, dove ognuno ha voce
e svolge un diverso servizio, riconosciuto come proprio (il lettorato, la preghiera
dei fedeli, ecc.).
A dimostrazione che è sempre un problema di relazione, sono le persone che fanno la differenza, anche nella Liturgia, riuscendo ad arricchirla e a renderla diversa
a seconda dei momenti e dei periodi del
calendario liturgico.
Certo, il clima si è fatto pesante, sembra
tornare a dominare la paura, il ritorno alla
Legge, al dominio esclusivo del prete nella Liturgia. Lo stesso momento liturgico è
vissuto ancora come minaccia e sentito
come assoluto. È proprio in questo clima
che occorre educare a vivere la Liturgia
e la Parola, nel rispetto del rituale e oltre
esso, mettendoci il cuore, sottolineando
segni, gesti e preghiere che stimolino la
partecipazione di tutti.
EREMO BETANIA si rivolge a
chiunque sia alla ricerca di una
sosta, individualmente o a piccoli
gruppi; qui, la quotidianità è fatta
di piccoli gesti, di semplicità laboriosa, di convivialità e condivisione. Per chi è sfiduciato, in situazione di disagio o affaticato, Betania
(Pratello di Padenghe, Brescia)
offre la possibilità di rimettersi in
ascolto.
Info e contatti:
www.sites.google.
com/site/eremobetania/
[email protected]
SUGGESTIONI
ASCOLTARE
NORAH JONES
Little broken hearts
Blu Note
2012
LEGGERE
ALBERTO MAGGI
La follia di Dio
Il Cristo di Giovanni
Cittadella Editrice
2010
VEDERE
EMILIANO BOS
E PAUL NICOL
Mare Deserto
2011
NAVIGARE
www.camminacammina.
wordpress.com
Norah Jones e il musicista-produttore Brian Burton – in
arte Danger Mouse – lo scorso autunno si sono chiusi in
uno studio a Los Angeles e in due mesi, ispirandosi alle
reciproche esperienze, hanno scritto partendo da zero
testi e musiche per dodici brani, registrando l’album
“Little broken hearts”. Come se non bastasse, hanno
suonato tutti gli strumenti; difficile da credere, stando
al risultato, che non sembra frettoloso, né improvvisato.
Molto curati gli arrangiamenti, con abbondanza di archi
e chitarre acustiche spesso in primo piano. La voce di
Norah Jones, sempre calma e ispirata, disegna melodie
con quel modo consapevole di cantare che a volte è
quasi un sussurro, come nel brano di apertura “Good
morning” che fa subito capire che siamo al cospetto di
un album che vale la pena ascoltare con cura.
La scelta di “Happy pills” come primo singolo non sembra molto convincente, ma all’interno dell’album si
possono trovare momenti alti e intensi, come
la splendida ballata “4 broken hearts”, l’affascinante e ipnotica “After the fall” o la bellissima
“Miriam”, uno di quei brani che viene voglia di
riascoltare subito.
Questo quinto album solista di Norah Jones
risulta prezioso, perché ha il raro pregio di
essere raffinato e semplice al tempo stesso.
Ci vorrebbe uno storico* per scovare le ragioni che, a un
certo punto del nostro cristianesimo, hanno fatto sparire la Storia dal vangelo raccontato nelle nostre parrocchie. Purtroppo, questo furto ha spalancato le porte a
una interpretazione infantile della questione Gesù di
Nazaret. La figura di un rabbi che non aveva studiato al
seguito di nessun altro rabbi e che si prendeva la libertà
di infrangere uno dopo l’altro gli equilibri di potere di
una chiesa che si frapponeva tra Dio e l’uomo, si riduce alla statuetta di un bimbo nato in una capanna per
intenerire il mondo col proprio sacrificio (abbastanza
incomprensibile a questo punto). Prima di morire per
i nostri peccati Gesù muore assassinato perché parla il
linguaggio di una verità intollerabile (e incomprensibile) non solo per i potenti del tempo, infatti “Neppure i
suoi fratelli credevano in lui” (Gv 7,5) e “Molti dei suoi
discepoli si allontanarono e non andavano più con lui”
(Gv 6,66).
Il Vangelo di Giovanni sconta ancora oggi la radicalità
del messaggio (non ha un suo anno liturgico ed è offerto ai fedeli a spizzichi e bocconi): nessuna chiesaistituzione può essere mediatrice tra Dio e l’uomo; è la vicenda di Cristo che costituisce il ponte
tra l’ecclesia-comunità e Dio. “Se lo lasciamo
fare... tutti crederanno in lui!” (Gv 11,48), diranno
allarmati sommi sacerdoti e farisei al tribunale
del sinedrio; lasciare libero Gesù significherebbe la bancarotta dell’istituzione religiosa. Tutto
il mondo religioso si pone all’erta, pronto a
cogliere i segnali della venuta dell’atteso
Messia, per eliminarlo.
Avete presente la storia della rana bollita?* A furia di
stare a mollo in pentola non si accorge che la temperatura si alza e piano piano finisce con lo svenire, salvo
rendersi conto, ormai troppo tardi, di essere cotta a
puntino; proprio come le nostre coscienze, annegate
nell’indifferenza dall’industria dell’informazioneintrattenimento.
Un anno fa partiva dalle coste della Libia assediata
dalla guerra un gommone di profughi, destinazione
l’Italia. Sono in 73 e non hanno molti viveri, perché
credono che il viaggio durerà meno di un giorno. Finiranno alla deriva, col motore spento, senza bussola
e cellulare (buttati in mare dal capitano, impaurito
dall’arrivo di un elicottero, arrivato per gettare sei
bottigliette d’acqua e due pacchetti di biscotti e poi
ripartito). In un tratto di mare solcato da decine di navi
della NATO e nonostante l’allarme della guardia costie-
ra italiana, resteranno a morire in questo mare deserto
di umanità.
Questo documentario della televisione svizzera, visibile sul web (http://www.rsi.ch/) ha cercato e raccolto
i 9 superstiti, sparsi tra Italia, Tunisia e Norvegia. Il 24
marzo 2012 l’inchiesta è stata proiettata nella sede
del Consiglio d’Europa, a Strasburgo; durante un’Assemblea
plenaria dello stesso è stato approvato un rapporto che inizia
a identificare le responsabilità
per i profughi abbandonati nel
Mediterraneo, ma è molto più arduo il
percorso da fare per ricostruire un’umanità ferita a morte, la stessa che riempie gli
occhi incerti e stupefatti dei 9 superstiti.
Un gesto riparatore, una ricucitura, tikkun olam nella
tradizione giudaica*: decine di persone che per fermare l’involuzione culturale di questo paese hanno deciso
di partire e incontrarsi, camminando. Cinque piccoli
torrenti che hanno scelto di confluire il 5 luglio all’Aquila, simbolo del degrado di uno Stato lontano dai
cittadini e di un riscatto sempre possibile. Le partenze
vanno da nord a sud: Reggio Calabria, Messina, Genova, Venezia, Santa Maria di Leuca (Le), Roma; l’iniziativa
replica il viaggio Milano-Napoli effettuato da circa 700
persone nel 2011. Le adesioni formali sono centinaia:
enti locali, associazioni, comitati, semplici cittadini, il
mondo della cultura e del sociale.
Chi ha provato a mettersi sui sentieri con l’unico obiet-
tivo di passare alcuni giorni camminando,
liberandosi dall’ansia di controllo e potere
della prestazione, sa che nel percorso tracciato dal proprio corpo nello spazio e nel tempo si nasconde una dimensione sorprendente
di riflessione e di incontro. Le Tribù d’Italia, che
hanno avviato nel 2009 un percorso di scambio
e confronto culturale a tutto campo, hanno
ragione: camminare è ricucire fratture, col
paesaggio, con la natura, con gli altri e noi
stessi. È nei gesti semplici che si annidano i
cambiamenti rivoluzionari.
Nicola Minessi
*peruanoclandestino
23
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PARTECIPA ALLA FESTA SVI!
Venerdì 8, sabato 9, domenica 10 giugno
Piazzale della Locomotiva
Castello di Brescia
Intrattenimento per i bambini, musica e gastronomia, riflessione e
scambio interculturale con la presenza delle Associazioni dei migranti:
trovi il calendario degli appuntamenti all’interno di esserci e su
www.svibrescia.it.
i la solidarietà tra
con lo SVI per vivere da protagonist
i popoli