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Pubblicazione trimestrale del servizio volontario internazionale - Anno XXVIII - Aprile 2015 - Sped. in abb. post.art. 20/c. - L. 662/96 - Fil. di Brescia Autorizz. del Tribunale di Brescia n° 64/89 del 12/02/1989
In caso di mancata consegna rinviare all’UFFICIO POSTALE DI BRESCIA CMP detentore del conto per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.
Servizio Volontario Internazionale
esserci
01
PARTENZE
LE MICRO
Le micro sono un semplice strumento per
sostenere insieme il peso di uno sviluppo più giusto.
Sostieni lo SVI attraverso le micro!
BURUNDI
Attivazione di campi modello – € 1000
Tra le associazioni di agricoltori i cui membri si sono dimostrati seriamente interessati alle attività del progetto
e soprattutto al corso di formazione, ne saranno scelte
alcune cui sarà proposto di creare in un loro appezzamento di terreno un campo modello che sarà coltivato seguendo tutte le tecniche apprese e in cui saranno
piantate anche le piantine di agro-forestry provenienti
dal vivaio SVI e che favoriranno l’arricchimento dei principi nutritivi del terreno.
UGANDA – Iriiri – Distretto di Napak
Riabilitazione di 14 granai per lo stoccaggio
del surplus di granaglie. (€ 50 cadauna) – € 700
Una delle problematiche principali durante la stagione
della secca (che va da novembre a marzo) è quella di
stoccare il surplus alimentare prodotto durante la stagione delle piogge.
Questa micro punta alla riabilitazione di 14 granai/cisterna che durante gli anni hanno subito dei danneggiamenti per mettere in condizione le 7 comunità beneficiarie di
stoccare al meglio il proprio surplus.
UGANDA – Kapedo
Costruzione di un piccolo laboratorio per il filtraggio
e il confezionamento di miele selezionato – € 1500
Per contribuire al miglioramento della qualità e della
commercializzazione del miele, prodotto dagli apicoltori
locali, abbiamo bisogno di un laboratorio in cui filtrare e
confezionare il miele selezionato.
VENEZUELA – Las Amazonas
Costruzione di un barile di compostaggio
per un orto famigliare – € 250
Nell’appoggio agli orti famigliari continuiamo a sperimentare sempre nuove tecniche, una tra le tante è un
sistema di compostaggio in barile per ottenere il compost più rapidamente e di miglior qualità. Grazie al tuo
appoggio potrai aiutare una famiglia a produrre un buon
concime per alimentare la terra quindi ottenere verdure
più sane per la salute di tutta la famiglia.
VENEZUELA – San Félix
Realizzazione di una Bottega Solidale – € 600
Con il gruppo di salute integrale Salud y Vida del quartiere La Victoria si vuole realizzare una Bottega Solidale,
in cui preparare e vendere a prezzo solidale prodotti di
medicina naturale, oltre che a preparati e strumenti per
curare in maniera biologica gli orti organici.
VENEZUELA – Las Claritas
Fornire materiali per il corso di taglio e cucito – € 500
Grazie al vostro contributo 14 donne potranno usufruire
dei materiali necessari per apprendere a confezionare i
propri vestiti e imparare a produrli per altre persone, fornendo un valido aiuto alla crescita personale e all’ autonomia delle donne che partecipano al corso.
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EDITORIALE
A CUORE APERTO
Gioie e dolori dell’essere segretario SVI
Da qualche minuto è passata mezzanotte, è tardi, ma
non riesco ancora a dormire per l’emozione di questa
serata. La luna è limpida, il vento, che soffiando un
giorno intero ha spazzato il cielo rendendo tutto più
vicino e nitido, si ritira.
Oggi il consiglio dello SVI ha fatto un passo importante
verso chi ci sta vicino, ma è diverso da noi. Da diversi
anni si parla di condividere gli spazi della nostra quotidianità con altre ONG simili a noi, che condividono
gli ideali e che, a tratti, hanno percorso insieme a noi
il sentiero che ci ha portato qui. Stasera in consiglio si
è deciso di stringerci (in tutti i sensi) a MMI e SCAIP un
po’ di più. Ottimo!
Sono segretario dello SVI da un anno e mezzo circa,
non mi aspettavo un carico di lavoro così importante e anche se sto facendo del mio meglio mi accorgo
spesso di non essere il segretario migliore che lo SVI
potrebbe avere: mi spiace molto e sto cercando di migliorare.
Chi fa parte dell’ Ufficio di Presidenza e del Consiglio
come me fa del suo meglio per perseguire ciò che
sembra giusto per dare continuità a questa “vita” che ci
vede uniti da oltre 40 anni.
A volte ci riesce bene, altre volte meno, ma tutte le decisioni vengono valutate e prese per il bene dell’ Organismo.
Stiamo cercando nuove forme di finanziamento attraverso esperienze di volontariato meno totalizzanti
dell’esperienza SVI, ma chi lo sa… potremmo uscirne
molto più ricchi di quanto ci aspettiamo.
Stiamo provando a rivitalizzare il corso, che per tanto
tempo è stato il nostro biglietto da visita, e che in questi anni sta attraversando una crisi profonda.
Queste nuove attività e le altre che continuiamo a mettere in cantiere hanno bisogno di energia e di creatività. Non ci mancano né la prima né la seconda, ma potrebbe mancarci la resistenza?
Forse sì, soprattutto se continuerà ad esistere una estenuante e strisciante cultura del non detto, anzi del “non
chiesto”!
Tante volte mi sono arrabbiato sentendo racconti di
persone che si aspettavano risposte dal Consiglio o da
qualche altro organo dello SVI. La rabbia che provavo
era dovuta ad un senso di inadeguatezza che sembrava
poter essere addossata a chi doveva prendere decisioni. Non mi piace arrabbiarmi: non è una reazione che
fa parte del mio carattere e volevo capire il perché di
questa emozione. Andando più a fondo nella riflessione (grazie a coloro che mi hanno aiutato nell’elabora-
zione di questa convinzione) mi sono accorto che nello
SVI spesso le persone pretendono una risposta senza
aver fatto nessuna domanda. Come si può pretendere
una risposta senza aver formulato una domanda e poi
incolpare chi non avrebbe risposto di non aver dato
una risposta?
Non sto dicendo che lo “SVI” risponde sempre o che
non ci siano seri problemi di comunicazione delle informazioni, questi problemi ci sono. Ma ci sono anche
persone, in tutti i ruoli, che usano il chiaroscuro delle
comunicazioni per poter dire che le comunicazioni
non sono arrivate, o che non erano chiare come sarebbero dovute essere. A queste persone non posso che
dire se qualcosa non è chiaro CHIEDETE!
Se a qualche domanda non è stata data risposta entro i
tempi che vi aspettavate CHIEDETE DI NUOVO!
Non sprechiamo le nostre energie aspettando risposte
a domande che non abbiamo formulato! Costruiamo
fiducia attraverso il dialogo e la trasparenza!
Impieghiamo le nostre energie per raggiungere insieme un obiettivo che abbiamo condiviso, che ci siamo
raccontati e nel quale crediamo!
Usiamo le nostre energie per fare lo SVI come ci piacerebbe!
Giacomo Costa
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esserci
02
Micro
03
Editoriale
A cuore aperto
04
05
Terre d’Africa
Due passi sotto lo stesso cielo
06
Progetti
Burundi – Mamma mia che forza
queste donne!
07
Dossier
“Charlie Hebdo”, libertà di espressione,
califfato e terrorismo
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14
“Nessuno è separato da nessuno.
Nessuno lotta per se stesso. Tutto è uno.”
(Frida Khalo)
esserci a cura del
Servizio Volontario Internazionale
S.V.I.
V.le Venezia, 116
25123 Brescia
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Numero chiuso in redazione il 10 marzo 2015.
Il prossimo numero uscirà a luglio 2015.
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Sommario
Non solo SVI
Chiude Multimondo, ma la porta per la
solidarietà rimane aperta
Una maglia verde per difendere la libertà
d’espressione
Servizio Civile
Sensazioni
Scossa di luce
Scegli una partenza intelligente
19
5x1000
20
SVI Italia
21
Vita dello SVI
22
Parole
Noi e la terra
23
Suggestioni
Cd - Lorenzo 2015 CC
Libro - Il meraviglioso mago di OZ
Film - Tutti i santi giorni
Web - http://dreamersatwork.org/
Gruppo di redazione
Direttore Responsabile Claudio Donneschi;
Coordinamento di Redazione: Lia Guerrini;
Gruppo di Redazione: Francesca Belotti,
Irene Lorandi, Claudia Pisano, Gabriele
Smussi
Realizzazione grafica: Daniela Mena, Elena
Viscardi (Progetto grafico); Lia Guerrini
(immagini)
Photo copertina: Maurizio Pedercini
Tipografia:
GAM - Rudiano (Bs)
5 per mille
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Stampato su carta riciclata ecologica
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usando energia pulita.
TERRE D’AFRICA
DUE PASSI SOTTO
LO STESSO CIELO
In Africa si dice che “mille passi cominciano sempre da uno”…
…e in Africa c’è sempre qualcuno
che cammina.
Lungo i sentieri, nella foresta, sul
ciglio della strada, sull’asfalto, nel
deserto, lungo il fiume. Per pochi
minuti, per lunghe ore. Sotto il sole,
mentre piove, dall’alba al tramonto, di giorno o di notte. In testa un
cappello, del cibo, della legna, una
tanica d’acqua piena o vuota. Legato alla schiena un bambino, il peso
della vita in divenire. Sulle spalle un
sacco di mais o il fardello ingeneroso di un passato che è presente.
A piedi nudi, disarmati contro una
madre terra a volte ingenerosa. Con
scarpe di qualsiasi numero o per lo
più con le ciabatte di plastica colorata comprate al mercato.
C’è chi va verso la città, chi verso
i campi, c’è chi va a scuola, chi a
prendere l’acqua. C’è chi parte, chi
torna e chi non ritornerà.
I passi delle donne poi, sono carichi di un’eleganza innata, sfiorano
il suolo e passano leggeri in armonia con la natura, senza disturbare,
prevaricare, marciare o schiacciare.
Non fanno rumore, lasciano spazio
alle melodie cantate e alle risate.
Sono passi dipinti, di madri instancabili e coraggiose, “Più che regine.
Fiere, dignitose e al contempo umili
ma senza complessi.” E.Kidanè
Camminando il tempo prende il ritmo del passo, scorre sincero senza
le lusinghe dell’infinito e l’impazienza di ciò che non è ancora accaduto.
Chi sa come camminare non ha il
respiro affannato, ha il tempo per
la parola e per l’ascolto, per i salu-
“Tanto per cominciare siamo responsabili della strada che percorriamo”
R. Kapuscinski
ti e i convenevoli, per le pause e i
silenzi. Ha tempo da dedicare, con
lo sguardo, a ciò che lo circonda,
osserva il sole per conoscere il tempo nel giorno, il vento e le nuvole
per sapere se daranno pioggia, gli
alberi per orientarsi, gli uccelli per
intravedere il futuro. Il mondo non
va troppo veloce quando si cammina. Chi cammina sa che ognuno ha
il suo passo, che alcune impronte
lasceranno un segno, altre, le più,
svaniranno dimenticate.
Chi sa come camminare ricorda e
rispetta la strada conosciuta, batte i passi come un pianista, in successione, i tasti ebano e avorio del
brano amato e prova fermento e timore per il sentiero che ancora non
conosce.
Chi cammina sa che “la strada che
si percorre è importante, poiché ogni
passo ci avvicina all’incontro con l’altro.” Quale altra meta.
In Africa quando cammini non sei
mai solo, sempre discretamente
accompagnato, non se la sentono
di abbandonarti così estraneo, così
bianco, così smarrito, a volte così
fuori posto.
Chi cammina sa che c’è sempre
strada da percorrere ma, come recita un proverbio partorito nella culla
dell’umanità: “La strada non è mai
troppo lunga quando si è in buona
compagnia.” Quanto è importante
chi mi sta accanto e quanto posso
esserlo io per lui.
Camminare ci fa sentire vivi, creatori di passi, i polmoni si riempiono
d’aria respiriamo polvere e paure. Il
cuore batte, scorre sangue, ragione
e libertà. Tutto è in movimento.
In un tempo lontano, nella notte
dei tempi, un pastore senegalese
Wolof guardando il cielo compose
questo canto: “Quando Iddio creò il
mondo, volle che in esso le cose fossero diverse tra loro e così tante quante
sono le stelle del cielo. E quando creò
l’Africa di tutte queste cose differenti
non volle dimenticarne nessuna.”
A noi che abbiamo intrapreso viaggi più o meno lunghi e camminato
su terre distanti e incomprese la
speranza di non aver percorso milioni di chilometri senza essere andati da nessuna parte.
Irene Lorandi
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BURUNDI
PROGETTI
MAMMA MIA CHE
FORZA QUESTE DONNE!
Il futuro nelle mani delle donne del Burundi
È un anno cruciale questo: un anno che può rafforzare
il passo incerto verso la pace duratura, oppure far ripiombare il paese nel delirio della guerra. In villaggio la
gente continua a vivere la propria giornata senza grossi
cambiamenti, se non qualche parola in più che parla di
carta di identità, necessaria per avere il diritto di voto in
tarda primavera. Si partirà dai seggi comunali, per arrivare al presidente.
La radio parla e parla…tutti fermi ad ascoltare il radiogiornale alle ore classiche. Appuntamento a cui non
manca nessuno. Forse l’unica vera “puntualità spacca
minuto” che ho visto da queste parti. Il mondo si ferma,
una sola voce in stereofonia che esce da tutte le case,
bar, tasche, caschi...
Notizie di accusa al governo, di persone antigovernative sparite, di giovani armati pronti a prendere possesso
del Paese in caso di sconfitta del presidente, battaglie
sul confine con il Congo…cosa c’è di vero in mezzo a
tutte ste notizie? In fondo questa radio, l’unica che arriva fino a Mivo, è antigovernativa…
Di vero, forse, c’è la stanchezza della gente, e la preoccupazione. La voglia di pace, ma anche quella di potere. Dannato potere, e dannato denaro, dio osannato
dei poveri di spirito. L’ONU che lascia il Paese alla vigilia
di Natale con una festa da far venir voglia di sputare in
faccia a qualcuno. Meglio che se ne vadano mi dico…
a 30 mila dollari al mese di paga mi chiedo cosa cavolo ci fanno qui, rinchiusi nelle loro ville piene di servitù
in stile neocolonialista della cooperazione business dei
nostri tempi.
Quale messaggio stiamo dando a questa gente? È una
domanda che mi pongo spesso. Cosa pensano veramente di noi, amici e partner di una chiesa locale ricca,
vergognosamente attaccata ad un poter temporale che
fa rabbrividire, vergognare ed allontanare dalla Chiesa.
Cosa pensano di noi, ricchi bianchi che seppur cerchiamo di vivere una vita modesta e semplice in un villaggio
lontano dalla capitale, mai riusciremo minimamente ad
avvicinarci ad un tenore di vita così incomprensibile.
Ed allora…in quali mani si trova il futuro di questa gente se non nelle loro stesse mani? Come potremo mai
noi, così distanti, cambiare le loro condizioni di vita?
Neppure le capiamo! Pretendere di cambiarle poi! Che
arroganza! Basterebbe un lampo di lucidità per capire
un briciolo di quello che loro vivono!
Ed allora, non possiamo altro che accettare il fatto che
non saremo noi bianchi i salvatori del mondo, anzi! Accettare che siano loro, gli stessi beneficiari delle nostre
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attività più o meno riuscite, più o meno apprezzate, a
scegliere in quale direzione camminare, a che ritmo,
quando fermarsi, quando voltarsi, quando sputarci in
faccia. Accettare.
Accettare il fatto che seppur tante volte ci viene da pensare che la nostra cultura millenaria è immensamente
migliore della loro…ci stiamo sbagliando. È diversa,
con i suoi pro e i suoi contro. E, in fondo, l’unica cosa
che possiamo fare grazie a questa opportunità di vivere
in un contesto così incomprensibile, è sederci e osservare. Attendere se loro attendono, camminare se loro
camminano, ascoltare se loro parlano. Umiltà.
Scendere un istante dal nostro trono di superiorità,
guardare la forza di queste donne infaticabili, super
motore di questo popolo, zappatrici di terreni, trasportatrici di tutto, cuoche per un esercito ma con solo quattro fagioli, commercianti, sottomesse. Mamma mia che
forza queste donne!
Ecco nelle loro mani ruvide, piccole, callose, ma potenti.
E’ nelle loro mani questo paese. Unghie smaltate dalla
fatica della quotidianità, unghie che agguantano con
forza il futuro di questo popolo. Unghie da dipingere
con i colori rossi e verdi di queste bellissime colline.
Francesco Lancini
“È nelle loro mani questo paese”
DOSSIER
“CHARLIE HEBDO”,
LIBERTÀ DI ESPRESSIONE,
CALIFFATO E TERRORISMO
“Non è incredibile tutto quello che può contenere una matita?”
In seguito alle diverse operazioni
estere in Africa ed in Medio Oriente, la Francia è stata minacciata a
più riprese da parte di gruppi terroristici islamici e numerosi progetti
di attentati erano stati sventati prima della fucilata a Charlie Hebdo.
Il giornale è stato regolarmente
oggetto di minacce e spesso chiamato in causa dall’estrema destra.
Con una linea apertamente atea
ed anticlericale ha sempre criticato
la religione, in particolare i fondamentalismi, uno dei suoi cavalli di
battaglia, ed è stato a più riprese
processato in seguito all’azione di
associazioni cristiane (fra le quali
l’AGRIF – “Alleanza generale contro il
razzismo e per il rispetto dell’identità
francese e cristiana”) e mussulmane.
Nel 2006 il settimanale generava
polemiche per aver pubblicato
dodici caricature del profeta Maometto già apparse nel giornale
danese “Jyllands-Posten” e veniva
portato davanti alla giustizia dalla
“Unione delle organizzazioni islamiche francesi” e dalla ”Lega islamica
mondiale”. Nel 2011, dopo la pubblicazione di un numero speciale
intitolato “Charia Hebdo”, che criticava la vittoria del partito islamico
“Ennahdha” in Tunisia, le minacce
contro il giornale satirico si erano
intensificate ed i suoi locali erano
stati il bersaglio di un incendio criminale provocato dal lancio di bottiglie Molotov. Da quella data i locali della redazione erano stati messi
regolarmente sotto la protezione
delle forze dell’ordine.
Nel gennaio del 2013 il giornale
pubblicava un numero fuori serie in
due parti, la “Vita di Maometto”, nel
quale la vita del profeta dell’Islam
veniva raccontata in fumetti dal
disegnatore Charbonnier (assassinato il 7 gennaio 2015). Nel 2013
“Al Qaeda nella Penisola Arabica”
(AQPA) pubblicava sulla rivista online “Inspire” una lista che designava
undici personalità occidentali “ricercate morte o vive per crimini contro l’islam” e Charbonnier era nella
lista. Il 7 gennaio 2015, il mattino
della sparatoria, veniva pubblicato
il numero di Charlie Hebdo con la
caricatura (a firma Luzier) di Michel
Houellebecq, l’autore del romanzo
“Soumission” pubblicato lo stesso
giorno, ed alcuni disegni di Charbonnier dal titolo “Nessun attentato
in Francia”, nei quali un mussulmano
armato dichiarava “Abbiate pazienza, abbiamo tempo fino a fine gennaio per presentare i nostri auguri …”.
“Il pretesto è la satira su Maometto,
ma dietro al pretesto c’è la consapevolezza che colpire un giornale
è colpire un luogo sacro della civiltà occidentale, un luogo in cui si
incontrano la libertà di espressione
e la pubblica opinione, elementi indispensabili di ogni democrazia”, affermava il direttore di “Repubblica”
Ezio Mauro. E continuava evidenziando che il giornale laico da lui
diretto ha sempre criticato ogni forma di integralismo religioso, ogni
confusione tra le fedi e lo Stato, ogni
prevaricazione portata nel nome
di Dio – qualunque Dio – dentro il
discorso politico. Ricordava anche
che “la laicità comporta a mio parere degli obblighi, tra cui quello di non
irridere i sentimenti più sacri degli altri, siano essi maggioritari nel Paese
o espressioni di minoranze, … Critiche alla religione, strumentalizzata
come ideologia o ridotta a politica,
sì! Irrisione dei simboli religiosi e delle fedi dei cittadini no, perché nella
libertà reciproca quei liberi cittadini
hanno diritto che venga rispettato
ciò che hanno di più sacro”.
Il commando parigino non ha agito
come dei kamikaze, ma come dei
jihadisti del Califfato, freddi come i
tagliatori di teste, uomini addestra7
DOSSIER
ti e non semplici fanatici, ci ricorda
Bernardo Valli. I vignettisti Wolinski
(80 anni), Cabut (76 anni), Verlhac
(57 anni) ed il direttore del giornale,
Charbonnier, erano i disegnatori
più famosi di “Charlie Hebdo” e non
risparmiavano le caricature di Maometto ai mussulmani, ma neppure
quelle del Papa ai cattolici o quelle
dei rabbini (o dei dirigenti israeliani) agli ebrei.
La strage di “Charlie Hebdo” è avvenuta in un momento in cui il problema della presenza islamica in
Francia viene dibattuto con passione. Si pensi, al riguardo, al grande
successo dei libri “Suicidio francese”
di Eric Zemmour e “Sottomissione”
di Michel Houellebecq. Quali i messaggi veicolati da tali pubblicazioni? Il “Front National” di Le Pen ha
approfittato dell’eccidio di Parigi
per proporre un irrigidimento delle
politiche di immigrazione e l’introduzione della pena di morte per i
terroristi.
Sotto le raffiche di due AK-47 sono
cadute le colonne francesi di quella forma di libertà di pensiero che
si chiama satira. “Charlie Hebdo” si
scagliava contro l’oscurantismo religioso, senza distinzioni. La strage
ha colto di sorpresa, nonostante
tanti segnali, e non solo in Francia,
annunciassero attentati imminenti.
Mostrare o censurare le vignette? Non tutti i giornali occidentali,
pur considerando come barbarie
l’attentato di Parigi e difendendo il
diritto del settimanale francese di
fare satira come vuole e su quello
che vuole, hanno ripubblicato le
vignette messe sotto accusa dagli
estremisti islamici.
Come dimenticare, al riguardo,
il dibattito acceso scaturito dalla
pubblicazione nel 2010 da parte
di Julian Assage nel sito WikiLeaks
di 251.000 documenti diplomatici
statunitensi, molti dei quali etichettati come “confidenziali” o “segreti”,
ripresi da importanti testate internazionali? “La libertà di espressione
non è un diritto acquisito da praticare solo nei giornali e nelle aule dei
tribunali, è un fatto, un principio che
trascende tutte le scartoffie legali e
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che … pur con tutte le contraddizioni
e progressive limitazioni, … rende il
mondo occidentale un mondo libero”, affermava Roberto Saviano.
Quanti giornalisti sono stati uccisi l’anno scorso? Sessantasei
sono morti e 168 sono stati arrestati! Abbiamo già scordato l’assassinio nel 2004 del regista Theo van
Gogh in Olanda (come ritorsione
contro alcune immagini mostrate
nel suo film “Submission”) ed il tentativo di ammazzare il vignettista
danese Kurt Westergaard nel 2010,
per aver disegnato una caricatura
del profeta Maometto? E che dire
di Bob Rugurika, direttore di “Radio
Publique Africaine”, un’emittente
privata molto ascoltata in Burundi,
fermato ed incriminato per complicità in assassinio e violazione di
segreto istruttorio (non avendo voluto rivelare ai magistrati l’identità
della fonte delle sue informazioni)
in relazione alla pubblicazione di
una ricostruzione fornita da un presunto membro di un commando
che avrebbe ucciso tre missionarie
italiane a Bujumbura il 7 settembre
2014?
“La rivendicazione della libertà di
espressione contro ogni forma di violenza è sacrosanta, ma terribilmente
impegnativa”, affermava Stefano
Rodotà. Il Papa in gennaio 2015
ha indicato quello che gli sembra
essere un limite insuperabile: le
parole aggressive contro la religione altrui, contro qualsiasi fede
religiosa. “Oggi il mondo dovrebbe
sentire forte e chiara la voce dei mussulmani moderati, razionali e aperti
al dialogo. Loro, più di chiunque altro, potrebbero restituire all’Europa
traumatizzata l’equilibrio perduto.
Dovrebbero essere loro a ricordare
a tutti che questa non è una guerra
tra l’Islam ed il Cristianesimo (o l’Ebraismo), ma tra fanatici estremisti
e chi crede che la tolleranza non è
solo un’espressione vuota, ma l’unico
modo per garantire la vita nella moderna realtà multi-culturale, multirazziale e multi-religiosa”, affermava
David Grossman
Il dibattito scaturito in seguito alla
carneficina di Charlie Hebdo sull’i-
“Ieri, oggi, domani”
slam non può essere disgiunto da
quanto si sta verificando ad opera
dell’ISIS ed alcune precisazioni e
chiarimenti sono al riguardo più
che opportune.
Iraq, da al Zarqawi all’Isis: dieci
anni di jihad e tagliatori di teste
Le radici dell’ISIS risalgono agli
anni ’90, quando nell’Iraq settentrionale Abu Musab al-Zarqawi cercò di crearsi una piccola porzione di
potere, sulla scia ideologica tracciata da Bin Laden che stava diventando il paladino nel mondo islamico
dei movimenti jihadisti. Con l’operazione “Iraqi Freedom” (seconda
guerra del Golfo), un conflitto bellico iniziato il 20 marzo 2003 (con
l’invasione dell’Iraq da parte di una
coalizione multinazionale guidata
dagli Stati Uniti d’America) e terminato il 15 dicembre 2011 (con il
passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità irachene da parte
dell’esercito americano), il potere di
al-Zarqawi aumentò.
L’obiettivo principale dell’invasione
della coalizione era stato la deposizione di Saddam Hussein, già da
tempo visto con ostilità dagli Stati
Uniti per vari motivi: timori (poi rivelatisi infondati) su un suo ipotetico tentativo di dotarsi di armi di
distruzione di massa, il suo presunto appoggio al terrorismo islamico
(mai confermato) e l’oppressione
dei cittadini iracheni con una dittatura sanguinaria. L’obiettivo fu
raggiunto rapidamente: il 15 aprile
2003 tutte le principali città erano
nelle mani della coalizione ed il 1°
maggio il presidente statunitense
Bush proclamò concluse le operazioni militari su larga scala. Tuttavia
“La rivendicazione della libertà
di espressione contro ogni forma
di violenza è sacrosanta,
ma terribilmente impegnativa”
saggio trasmesso da un’emittente
radio del Qatar, Osama Bin Laden
avrebbe nominato al-Zarqāwī “comandante (emiro) di Al Qaeda in
Iraq”.
Il giordano Abū Mus‘ab al-Zarqāwī
è considerato da molti come leader
di “Jamā‘at al-Tawh ̦īd wa l-Jihād”
(“Gruppo per l’Unità [e Unicità di Dio]
e il Jihād”), una rete insurrezionale
operante in Iraq che poi diventerà
lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS o ISIL). Secondo alcuni
rapporti egli fu arrestato dal governo iraniano e, insieme a molti altri
sospetti alti membri di Al Qaeda, fu
offerto al governo statunitense nel
quadro di un accordo che non fu
però mai portato a conclusione.
Abū Muș‘ab al-Zarqāwī venne ucciso durante un attacco aereo congiunto compiuto da forze statunitensi e giordane il 7 giugno 2006 in
una casa vicino a Ba‘qūba. Secondo
quanto riferito da fonti militari USA,
al-Zarqāwī (che era l’uomo più ricercato in Iraq) sarebbe sopravvissuto alle immediate conseguenze
dell’attacco, morendo poi subito
dopo in seguito alle ferite riportate. Per il Pentagono l’uccisione di
al-Zarqāwī costituì un grave colpo
all’insurrezione e si auspicava che
la sua morte avesse un effetto demoralizzante sugli insorti iracheni, anche se il numero due di Al
Qaeda, il medico egiziano Ayman
al-Zawāhirī preannunciava che il
posto di al-Zarqāwī sarebbe stato
presto occupato da altri “eroici combattenti”.
Dopo l’uccisione di al-Zarqawi si restò senza un capo. Dal 2006 al 2010,
con Al Masri e Omar Al Baghdadi,
cominciò a ventilarsi l’idea di uno
Stato islamico, un Al Qaeda nella
terra dei due fiumi. Nato in Egitto, Abū Ayyūb al-Mașrī - nome di
battaglia che significa “Abū Ayyūb
(Padre di Giobbe), l’Egiziano” - aderì
alla Fratellanza Musulmana. Membro dal 1982 della “Jihad islamica
egiziana”, si addestrò in Afghanistan
e partecipò alla guerra d’Iraq come
membro di Al Qaeda, succedendo nella leadership ad al-Zarqāwī.
Venne ucciso in uno scontro con
soldati statunitensi e iracheni il 18
aprile 2010. Abū ‘Omar al-Qurashī
al-Baghdādī fu il leader dello Stato
Islamico dell’Iraq e del Levante dal
2006 al 2010, organizzazione terroristica attiva in Iraq e Siria. Succeduto ad al-Zarqāwī, venne ucciso in
uno scontro con soldati americani
ed iracheni il 18 aprile 2010 insieme
ad Abū Ayyūb al-Mașrī.
Fra il 2006 ed il 2010 si cominciò
a parlare di Stato islamico in Iraq.
Dopo l’uccisione di Al Masri e Omar
Al Baghdadi nel 2010, ci si trovò ancora una volta senza capo ed emerse la figura di Abu Bakr al-Baghdadi, un terrorista iracheno, “califfo”
dell’autoproclamato Stato Islamico,
entità statuale non riconosciuta
sita tra l’Iraq nord-occidentale e la
Siria orientale. È il leader dell’ISIS.
Ma il vero capo non è al-Baghdadi,
ma sembrerebbe un colonnello
irakeno che apparteneva alla guardia presidenziale, molto noto negli ambienti diplomatici ma poco
per la stampa. È grazie a lui ed alla
conoscenza che ha degli arsenali
dell’area che lo Stato islamico si è
armato. Abu Bakr al-Baghdadi, nel
giugno 2014 ha unilateralmente
proclamato la nascita di un califfato nei territori caduti sotto il suo
controllo. Prima della proclamazione del califfato, si faceva chiamare
“Stato Islamico dell’Iraq e della Siria”
(abbreviato ISIS) oppure “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” (abbreviato ISIL).
DOSSIER
il conflitto si tramutò poi sia in una
guerra di liberazione dalle truppe straniere, considerate invasori
da alcuni gruppi armati, sia in una
guerra civile fra varie fazioni.
Essendoci stata l’invasione degli
infedeli, al-Zarqawi iniziò ad organizzare operazioni di guerriglia (approfittando anche del fatto che gli
americani avevano sciolto l’esercito
irakeno), per combattere l’occupazione statunitense dell’Iraq ed il
governo irakeno sciita sostenuto
dagli USA dopo il rovesciamento di
Saddam Hussein. Nel 2004 accadde
un fatto importante. Al Qaeda non
aveva un capo sul terreno e Bin Laden era scomparso nelle grotte delle montagne di Tora Bora, faceva
dei comunicati ma non operava sul
campo. Ecco allora che in quell’epoca Al Qaeda perdeva consensi e
si affacciò al-Zarqawi, i cui metodi
furono addirittura giudicati troppo
violenti dagli stessi membri di Al
Qaeda. Egli cercava di ampliare il
proprio potere non solo combattendo contro gli americani, ma anche contro gli irakeni che non condividevano il suo punto di vista.
Un’ipotesi accreditata ritiene che
al-Zarqāwī abbia avuto, fino alla
sua uccisione, più potere di Bin Laden a causa della sua maggiore visibilità come leader dell’insurrezione contro i militari USA e il governo
provvisorio dell’Iraq, considerando
inoltre la possibilità infondata che
Bin Laden non fosse più in vita o
che fosse impossibilitato a comunicare con i suoi seguaci. Il 21 ottobre
2004 al-Zarqāwī annunciò ufficialmente la sua lealtà ad Al Qaeda
ed il 28 dicembre 2004, in un mes-
L’ISIS in azione in Siria e nel nord
Africa e la nascita del Califfato
A partire dal 2012, lo Stato Islamico
dell’Iraq è intervenuto nella guerra
civile siriana contro il governo di
Bashar al-Assad, e nel 2013, avendo
conquistato una parte del territorio siriano (con capitale Raqqa), ha
cambiato nome divenendo “Stato
Islamico dell’Iraq e della Siria” (ISIS).
Nel 2014 l’ISIS ha espanso il proprio
controllo in territorio iracheno (con
la presa di Mossul in giugno), proclamando la nascita del Califfato il
29 giugno 2014. Le rapide conquiste territoriali dell’ISIS hanno finito
per attirare la preoccupazione della
9
DOSSIER
“non in mio nome”
comunità internazionale, spingendo gli USA e altri Stati occidentali
e arabi ad intervenire militarmente
contro l’ISIS con bombardamenti
aerei in Iraq da agosto 2014 e in Siria da settembre 2014.
Dapprima alleato di Al Qaeda, rappresentata in Siria dal fronte alNusra, l’ISIS se ne è definitivamente
distaccato nel febbraio 2014, diventandone il principale concorrente
per il primato nel jihad globale.
Così, a partire da ottobre 2014, altri
gruppi jihadisti esterni all’Iraq e alla
Siria hanno dichiarato la loro affiliazione all’ISIS, assumendo il nome di
“province” (wilayah) dello Stato Islamico: tra queste, si sono particolarmente distinte per le loro attività
la provincia del Sinai, attiva nella
regione egiziana del Sinai, e le Province libiche di Barqa eTripoli, che
controllano la città di Derna e parte
della città di Sirte in Libia. L’ONU e
alcuni singoli Stati hanno esplicitamente fatto riferimento allo Stato
Islamico come ad un’organizzazione terroristica, così come i mezzi
d’informazione in tutto il mondo.
Come ricordava Stefano Citati su
“Il fatto quotidiano” del 20 agosto
2014, il padre putativo dei tagliatori di teste dell’ISIS è stato alZarqawi, il capo-guerrigliero legato
ad Al Qaeda che seminò il terrore in
Iraq anche per cercare di rubare la
leadership del movimento integralista islamico a Bin Laden. Anche lui
10
e i suoi uomini postavano su Internet le immagini delle decapitazioni (Nick Berg, sgozzato nel 2004) e
altri prigionieri ‘giustiziati’ (Quattrocchi & Co.). Erano video ‘primitivi’
ma l’impatto mediatico già efficacissimo. Ora sono tornate a rotolare le teste nella polvere del Medio
Oriente e non solo (Daniel Pearl fu
scannato in Pakistan nel 2002), per
mano dei ‘nipoti’ di al-Zarqawi che
si sono evoluti mediaticamente e
iconograficamente: il “Jihadi John”,
il boia dell’ISIS, colui che taglia
la gola agli ostaggi americani ed
inglesi ed è apparso spesso con
un cappuccio nero sulla testa,
parla un buon inglese (con accento
arabo-londinese) ed è stato identificato in Mohammed Enwazi, un
27enne londinese laureato in informatica, cittadino britannico, un
tranquillo ragazzo mussulmano occidentale descritto come religioso
ma non estremista.
Il 2011 è stato un anno importante,
noto per le “primavere arabe”. L’unica vera rivoluzione è stata quella
tunisina, che è riuscita a scardinare
Ben Alì (che era stato messo in piedi dal governo italiano di Craxi) ed
ad effettuare il cambio di regime.
Era stato in Tunisia che si era scesi in
piazza per chiedere pane, lavoro e
dignità ed in quel Paese c’era stato
il fallimento di Al Qaeda. In Egitto,
invece, avvenne un colpo di Stato
ed i militari usarono Mubarak come
capro espiatorio.
In Siria la rivolta agli inizi fu simile a
quella della Tunisia e furono i poveri a scendere per primi in piazza, ma
in seguito potentati stranieri presero il sopravvento e ci fu una fase di
caos. Ci fu il tentativo di un gruppo
di ribelli che contrastò il presidente
Bashar al-Assad, ma poi il sopravvento fu preso da gruppi jihadisti.
Dall’Iraq ci si spostò in Siria e questi
gruppi sono riusciti a coagulare attorno alle loro idee (che non sono di
spodestare Assad, ma di creare uno
Stato islamico) tutte le forze estremiste del mondo mussulmano, che
hanno interpretazioni del Corano
non ritenute ortodosse: oggi, per
esempio, all’interno dell’ISIS c’è anche un battaglione ceceno.
L’avanzata dell’ISIS da un punto di
vista militare in Siria è stupefacente
(lo stesso ISIS non se lo immaginava) ed ad un certo punto ci si è trovati vicini all’Iraq, dove la situazione era allo sbando. In Iraq era stata
data priorità agli sciiti da parte degli
americani e l’ISIS, sunnita, riuscì a
conquistare parte del territorio, anche prendendolo ai curdi. Banche
sono state svaligiate, tecnici sono
stati chiesi alla Libia per sfruttare i
pozzi petroliferi caduti sotto il loro
controllo, ci sono stati rapimenti ed
il grande business delle armi.
In giugno 2014 Al Baghdadi si è
proclamato califfo di questo Stato islamico, che è così entrato in
una nuova fase. Da quel momento
è stata creata una struttura di governo (con un rappresentante per
controllare il territorio siriano ed un
altro per quello irakeno), sono state istituite forze di polizia distinte
dall’esercito ed anche una milizia
religiosa caratterizzata anche da atteggiamenti grotteschi: sono stati,
per esempio, vietati gli occhiali da
sole, perché non si ha diritto di opporsi al sole che è un dono di Dio.
Si è anche deciso di battere moneta
(non cartamoneta ma soltanto metallica, perché la cartamoneta non
c’era all’epoca del Profeta) e questo
per istituzionalizzare lo Stato islamico.
È anche nata l’esigenza di relazio-
Quali prospettive dopo gli attentati in Francia?
Dietro agli attentati in Francia ci
sono delle problematiche geopolitiche che sorpassano grandemente il quadro locale. Il deterioramento del conflitto israelo-palestinese
alimenta da tempo importanti frustrazioni nell’insieme del mondo
mussulmano. La disgregazione dello Stato irakeno, dopo il catastrofico
intervento statunitense del 2003 e
l’incapacità della comunità internazionale di sbarazzare la Siria dal suo
dittatore sanguinario hanno aperto nella regione un boulevard alle
orde barbare del cosiddetto Stato
islamico ed ad Al Qaeda. Mentre
gli interventi dell’esercito francese
in Iraq ed in Mali attirano in modo
particolare le folgori dei terroristi
sulla Francia, questi avvenimenti
sottolineano anche l’ampiezza dei
problemi francesi accumulati in più
di tre decenni di crisi.
Si era già verificato con Khaled
Kelkal, originario della regione lionese e principale organizzatore di
una serie di attentati nel 1995. Nel
2012 Mohamed Merah aveva seminato la desolazione nella regione di Tolosa e l’anno scorso Mehdi
Nemmouche, abitante di Roubaix,
assassinava a sangue freddo quattro persone nel Museo ebraico di
Bruxelles. In gennaio 2015 i fratelli
Kouachi hanno massacrato dodici
persone alla redazione di Charlie
Hebdo ed il loro complice Amedy Coulibaly quattro altre, perché
ebree, all’Hyper Cacher della porta
di Vincennes, a Parigi, così come
una giovane poliziotta a Montrouge.
Si tratta di assassini che hanno suscitato la grande ammirazione di
un numero non trascurabile di giovani nei licei e collegi francesi. Nello
stesso tempo 400 francesi combatterebbero in Siria o in Iraq e 1.000
altri cercherebbero di raggiungerli.
La Francia, d’altra parte, non è il solo
Paese interessato dal fenomeno del
terrorismo. Nel 2004 l’attentato di
Madrid, perpetrato da mussulmani
marocchini, era stato ancora più
sanguinoso con circa 200 morti.
Anche Londra era stata duramente colpita nel 2005. In proporzione
alla loro popolazione, inoltre, il Belgio e la Danimarca conterebbero
più jihadisti della Francia in Siria ed
in Iraq. Ma al di là delle condizioni
economiche e sociali oggettive,
aggravate in questi ultimi anni dalla crisi ed austerità, le frustrazioni
sono probabilmente esacerbate in
Francia per le contraddizioni sempre più flagranti fra le ambizioni
ostentate dal Paese della Rivoluzione francese (in modo particolare in
merito all’eguaglianza) e l’incapacità crescente di un modello sociale a
incapace di soddisfare questa promessa.
DOSSIER
ni internazionali e si è cercata una
certa alleanza con i talebani dell’Afghanistan ed i sunniti del territorio
controllato dallo Stato islamico.
Sono relazioni che all’epoca attuale
sembrerebbero comunque congelate. Vale anche la pena ricordare il
collegamento dell’ISIS con il gruppo terrorista somalo Al Shabab, ma
soprattutto con il nigeriano Boko
Haram (quello venuto alla ribalta
per il rapimento di più di 200 studentesse), perché tale movimento
controlla le rotte degli stupefacenti e la Nigeria è il luogo di transito
della droga anche sub-americana.
Boko Haram, poi, non controlla soltanto il traffico degli stupefacenti,
ma anche quello delle armi e dei
migranti. In Libia dove c’era stata
una destrutturazione del potere
militare l’ISIS, ben organizzato militarmente, ha avuto gioco forza.
“libertà”
Se si condivide questa diagnostica, la risposta a questi avvenimenti
non può e non deve essere puramente di ordine pubblico. Bisogna
contemporaneamente attaccarsi
al crimine ed alle cause del crimine, come affermava il Primo Ministro inglese Tony Blair (“Tough on
crime and on the cause of crime”),
prendendo in esame il mercato del
lavoro, accentuando la lotta contro
la disoccupazione e le discriminazioni, oltre ad attuare una adeguata politica dell’alloggio, limitando
la segregazione spaziale, ed una
politica educativa per sradicare i
fallimenti scolastici. Tutto questo
solleva inevitabilmente il problema del livello globale delle spese
pubbliche. Il denaro non è tutto,
ma con l’abbassamento della spesa
pubblica programmato in Francia
dal governo nel quadro del patto
per la responsabilità. non sarà certamente possibile ridurre queste
fratture aperte e la traiettoria programmata dovrà pertanto essere
rimessa in discussione.
Gabriele Smussi
“L'obiettivo principale dell'invasione
della coalizione era stato
la deposizione di Saddam Hussein”
11
NON SOLO SVI
CHIUDE MULTIMONDO,
MA LA PORTA
PER LA SOLIDARIETÀ
RIMANE APERTA
L’ assemblea dell’Associazione Multimondo, che gestisce il negozio di via Forcello a Brescia,
ha recentemente deliberato di terminare, nella prossima estate, la sua attività
La ragione prevalente è motivata
dalle difficoltà determinate dalla
lunga crisi economica generale.
Non è esagerato dire che continuare l’attività per sei anni dall’inizio
della congiuntura sfavorevole è
stato un atto coraggioso ed impegnativo. Il merito va tutto e solo
al folto gruppo di volontarie (con
qualche volontario) che settimana
dopo settimana ha “tenacemente
tenuto duro”.
Una motivazione di fondo ha sostenuto le volontarie: la solidarietà,
vissuta quasi come un obbligo morale, verso gli artigiani ed i contadini delle aree impoverite del Mondo.
La storia delle botteghe del Commercio Equo e Solidale di Informondo e Multimondo giungerà così fra
pochi mesi al termine. La chiusura è
certo una sconfitta ma una sconfitta “esterna”. L’azione “interna”, ossia
quella di chi vi ha operato è stata
prudente quanto rigorosa. Gli acquirenti però hanno dovuto, poco
alla volta, orientare i loro acquisti in
modo più convenzionale ed è giunto il momento di prenderne atto in
modo definitivo.
L’idea però del Commercio equo
e solidale è stata, ed è valida. Essa
non ha subìto la sconfitta. Gli artigiani e i contadini poveri sono stati
remunerati in modo da far vivere le
loro famiglie in modo dignitoso. Bisogna ricordare che il prezzo di acquisto dei loro prodotti non è stato
12
imposto dalle multinazionali ma è
stato concordato con i lavoratori.
Insomma il Commercio equo è
stato ed è un cammino di liberazione e di dignità.
L’idea del Commercio Equo poi,
grazie anche a Multimondo-Informondo, si è diffusa in parecchi paesi della provincia dove sono sorte varie botteghe. Consideriamo
inoltre che i prodotti “Equo” sono
da tempo reperibili sulle scaffalature della grande distribuzione: è
stato una “contaminazione” positiva. Multimondo chiuderà ma altre
botteghe continueranno sia in città
che in provincia.
In città ricordiamo innanzitutto la
storica e accattivante bottega di via
San Faustino e in provincia “Il Cerchio” di Desenzano, ricco di dinamismo e con il quale c’è sempre stata
sinergia.
Prima però di pensare al momento della chiusura è importante
sapere che fino a Pasqua la bottega di via Forcello (via Cremona)
funzionerà a pieno ritmo sia con
gli oggetti di artigianato che con
i prodotti alimentari, le cui scadenze sono lunghissime.
L’invito ai lettori di “Esserci” è
quindi quello di visitare la bottega nelle prossime settimane.
Il legame solidale verso i poveri
non sia interrotto ma potenziato
in questo periodo.
Dopo Pasqua, poi, ci sarà la speciale vendita con sconti molto, molto
forti. Particolare beneficio avranno gli amanti degli oggetti artigianali ricchi di raffinata bellezza.
Aldo Ungari
“Dietro ogni prodotto. Questa maglietta è il risultato di una catena solidale”
NON SOLO SVI
UNA MAGLIA VERDE
PER DIFENDERE LA
LIBERTÀ D’ESPRESSIONE
Bob Rugurika e la morte delle tre suore missionarie saveriane
Si chiama Bob Rugurika ed è il direttore della Radio Pubblique Africaine
(RPA) di Bujumbura. Incarcerato il
20 gennaio 2015 per aver investigato sulla morte di tre suore missionarie saveriane uccise il 7 settembre
2014, viene ora ritenuto da tutti il
baluardo della libera informazione
in Burundi e la sua radio ha acquisito il ruolo di portavoce per chi di
voce non ne ha. Considerata dal
partito al potere una radio anarchica e violenta, questa segue il partito politico dell’opposizione MSD
(Mouvement pour la solidarieté
et la Démocratie). La colpa del
giornalista è quella di aver trovato
un membro del gruppo esecutore
dell’assassinio delle tre religiose e
di averne trasmesso la testimonianza tramite i suoi microfoni, mantenendo per questo l’anonimato
richiesto in questa delicata situazione, avendo ricevuto delle minacce di morte dai mandanti dell’esecuzione in caso di pentimento.
Le accuse rivolte a Bob Rugurika
sono quelle di violazione della solidarietà pubblica, violazione della riservatezza delle indagini, protezione di un criminale e complicità in
omicidio. La totale assenza di prove
e la mobilitazione delle persone,
così come quello del Parlamento
Europeo (tramite la risoluzione comune dell’11 febbraio 2015), induce a pensare che questo arresto sia
dovuto al fatto che il coraggioso
giornalista ha pestato i piedi alle
persone sbagliate, come per esempio Adolphe Nshimirimana, inviato
della Presidenza della Repubblica
per missioni speciali, nonché ex-
capo dei Servizi Segreti burundesi.
L’uccisione di Suor Olga Raschietti,
Suor Lucia Pulici e Suor Bernadetta
Boggian a Kamenge, un quartiere
nel nord della capitale burundese,
ha suscitato in Bob Rugurika un
sospetto che lo ha indotto a indagare al di là delle fonti ufficiali e dei
media tradizionali, che riportavano
l’unica versione approvata dal governo che ha dichiarato come assassino Claude Butoyi, un ragazzo
con problemi mentali trovato nella
sua casa in possesso di una copia
delle chiavi per aprire una delle
porte del convento dove le tre vittime vivevano. Il motivo della furia
omicida è che la congregazione alla
quale le tre vittime appartenevano aveva in passato costruito delle case su un terreno di proprietà
dell’assassino.
Altre fonti, invece, riportano che
le suore erano a conoscenza di
particolari informazioni segrete
che riguardavano principalmente
alcuni traffici illegali del già citato
Adolphe Nshimirimana. Quest’ultimo, infatti, proprietario di un
ospedale nei pressi del convento,
importava farmaci senza pagare le
tasse doganali, dichiarando che il
destinatario degli stessi fosse il dispensario parrocchiale vicino al suo
ospedale. A bordo dei veicoli della
parrocchia, inoltre, Nshimirimana
trasportava illegalmente minerali
dal Congo facendoli passare come
aiuti umanitari.
Le suore erano pronte a denunciare
questi fatti, ma sono state messe a
tacere nell’unico modo in cui, troppo spesso, si ricorre per cancellare
“Bob Rugurika”
voci scomode, soprattutto in un
periodo delicato come può essere
quello pre-elettorale in un paese
ancora instabile come il Burundi.
Bob Rugurika è stato incarcerato
a Bujumbura prima e a Muranvya
poi ed è in questa che ha trovato
la solidarietà di tante persone che
nelle suo coraggio hanno letto verità. Le stesse persone, aiutate anche
dal quotidiano locale Iwacu, hanno
creato un link (iwacu-burundi.org/
la-liberte-pour-bob/) dal quale si
può aderire all’appello per la liberazione di Bob Rugurika, che hanno
indossato una maglia verde, per ricordare e ricordarsi che c’è ancora
speranza. La speranza che la libertà
d’espressione possa sopravvivere ai
bavagli, alla censura e perfino alla
morte.
Francesca Belotti
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SERVIZIO CIVILE
SENSAZIONI
Ci sono cose che non si riescono a spiegare, ma Laura prova lo stesso
a farci capire il suo anno in Brasile con il Servizio Civile
L’altro giorno stavo tornando a casa la sera e, al momento di aprire la porta ho visto una luce chiara sulle
scale dell’entrata. Mi sono girata, ho guardato in alto
e ho visto una luna bellissima, quasi piena, che faceva cosí tanta luce che sembrava addirittura piú forte di
quella dei lampioni. La prima cosa che ho pensato é
stata: “Con questa luna, a quest’ora starei facendo um
banho nel Caité!”. E oltre a pensarlo, senza accorgemene, l’ho detto ad alta voce e mia mamma mi guarda e
dice: “Tu sei tutta matta!”.
Sì, andare a farsi un bagno di notte in un fiume dell’Amazzonia forse non è la più saggia delle idee, specialmente se per arrivarci devi passare in mezzo alla foresta
piena di insetti e serpenti (che notoriamente attaccano
più di notte che di giorno), illuminata solo dalla luce
della luna che a stento si riesce a infilarsi tra i rami.
Ma ci sono cose che non si riescono a spiegare. La
sensazione meravigliosa di andare al fiume di notte,
tuffarsi nell’acqua tiepida, guardarsi in giro e sentire
solo il rumore delle foglie e dei grilli che cantano. Poi
alzi la testa e vedi sempre quella stessa luna, che fino a
pochi metri prima era nascosta dagli alberi, che adesso è enorme, illumina tutto e si riflette nell’acqua in un
gioco di luci e ombre che non avevo mai visto prima.
Sono cose che noi, o almeno io, faccio fatica a notare
quando sono in Italia o in altri posti urbanizzati, perché ho la testa occupata con un milione di altre cose,
la maggior parte delle quali futili. Ma sono cose che ti
fanno capire quanto la vita sia bella nei suoi particolari
piú semplici e che, a volte, fermarsi e ossevare intorno
in silenzio sia la fonte di momenti di allegria e serenità.
Alla formazione finale del Servizio Civile eravamo dieci
ragazzi appena tornati da Brasile, Mozambico ed Ecuador, e mi ricordo di Deborah che, cucinando la sera, si
è guardata in giro e ha detto: “Ma che bello avere delle
padelle non arrugginite ed i coltelli che tagliano!”. Sono
cose che sembrano insignificanti, ma quando una
persona ha vissuto per quasi un anno in un paese dove
le risorse materiali sono scarse, ci fa un sacco caso! Mi
ricordo quando io sono tornata da un’altra esperienza
di sei mesi a Capo Verde, e appena arrivata a casa ho
abbracciato la lavatrice perché non ne potevo piú di
lavare i panni a mano! Penso alla prima volta che sono
entrata in un supermercato in Italia, che ho visto tutti
questi scaffali pieni di cose, di mille marche differenti
e mi sono chiesta: “Ma perché? Cosa ce ne facciamo di
tutta questa roba?”.
Sí, perché ci sono dei beni materiali (LA LAVATRICE!!!) di
14
cui ho sentito la mancanza quando ero in Amazzonia,
ma ci sono moltissimi pú aspetti immateriali che ho
trovato là e che qua mi mancano un sacco.
Prima di tutto la semplicità e la felicità di vivere delle
persone. Uno degli ultimi giorni in cui ero in Brasile una
mia amica mi ha chiesto: “Ma perché ti piace tanto stare qua? Noi pensiamo che l’Europa sia il massimo!”. E io
le ho risposto senza pensare: “La felicità delle persone!”.
Perché specialmente quando inizi a viaggiare nelle piccole comunità rurali, ci sono famiglie che vivono in situazioni veramente difficili, famiglie che lottano tutti
i giorni per mangiare, eppure hanno sempre un gran
sorriso stampato in faccia.
Sicuramente quello che mi mancherà di piú sono le
persone che ho incontrato, i loro sorrisi e quei momenti di bellissima semplicità che ho condiviso con loro.
Se dovessi descrivere il mio Servizio Civile in un parola
direi proprio: SENSAZIONI.
Laura Visentin
“Laura Visentin impegnata in un
incontro formativo in Brasile”
SERVIZIO CIVILE
SCOSSA DI LUCE
il viaggio di Alessandra, in Servizio Civile con lo SVI in Brasile
Alessandra Fauri in un momento
animativo in Brasile
Quante volte in questo mio viaggio
mi sono sentita come interdetta,
spaesata, confusa, quasi scioccata
perché impreparata a fare i conti
con una realtà che non immaginavo
certo così distante da me.
E forse questa è stata la sfida più
grande: abituarmi, cercare di capire
per cominciare ad accettare, farmi
posto e creare il mio spazio, portare
avanti il mio lavoro e i miei obiettivi
nonostante dall’altra parte non incontrassi il feedback sperato. E non
è stato facile…non è stato facile per
me convivere e combattere con il sapore amaro della delusione.
Non avevo messo in conto di poter
incontrare tali difficoltà nell’instaurare relazioni, non immaginavo che
la distanza culturale poteva tradursi
in tale solitudine.
L’ho desiderato e voluto così tanto questo anno di servizio civile
che probabilmente l’ho caricato di
aspettative e responsabilità per il futuro della mia vita.
Sono sincera quando dico che per
me partire avrebbe potuto significare fare una scelta di vita, di quelle abbastanza forti, che danno un
taglio netto al tipo di esistenza che
si vuole condurre. Partivo quindi disposta al sacrificio, libera dal passato per sperimentarmi totalmente su
nuovi sentieri.
Nelle difficoltà la frase di una preghiera mi ha dato l’ispirazione e da
quel momento ha fatto da leitmotiv alla mia avventura: “Eu não recebi nada do que pedi…mas eu recebi
tudo de que precisava” (non ho ricevuto nulla di ciò che ho chiesto…
ma ho ricevuto tutto ciò di cui avevo
bisogno).
Ricordo ancora la mattina in cui è
stata letta questa preghiera dalla
direttrice pedagogica della scuola
agricola ECRAMA, dove ho collaborato per buona parte del mio ser15
SERVIZIO CIVILE
vizio. Mi trovavo circa a metà percorso, periodo di passaggio che ho
vissuto come momento di “crisi”. E
questa frase è penetrata in me come
un fulmine a ciel sereno, è stata una
scossa, ma di luce. Ho provato a rileggere con nuove lenti i fatti accaduti, le insoddisfazioni, le paure e le
sfide che sentivo vicine e sono riuscita a dare un significato a ciò che
stavo vivendo.
E’ stato allora che ho capito quanto poteva essere un’occasione per
me…per vedere realmente a che
punto sono della mia vita, quanto
ancora ho bisogno di migliorare, di
quanta forza ho bisogno se voglio
realizzare qualcosa. Da qui in poi ho
deciso di prendere ogni compito e
responsabilità affidatami come opportunità per mettermi alla prova.
Se anche non ricevevo sostegno e
approvazione da coloro per cui mi
impegnavo io continuavo a propormi, senza stancarmi di riprovare,
perché ci credevo e volevo contri-
buire, volevo fare la mia parte. Del
resto è per quello che ero arrivata
fin lì…sebbene tentata, sentivo un
obbligo in me che non mi lasciava
gettare la spugna. Ero lì per loro e
in loro dovevo trovare il senso del
mio stare.
Lì ho imparato a costruire, quel costruire che è fatto di “giorno dopo
giorno” come dice il cantautore
Niccolò Fabi. Un costruire che è accettare le inconciliabili diversità,
è rinunciare alla perfezione che
avevamo in testa.
È un agire più “sporco”, è l’abbraccio
del sogno alla realtà.
Vi chiederete perché mi soffermo
a parlare tanto di questo e non dei
sorrisi dei bambini o dei profumi
della foresta amazzonica. Ebbene,
forse ciò di cui ho scritto è stato l’aspetto più nuovo e imprevisto che
ha caratterizzato il mio viaggio. Questo non significa che non ci siano
state gioie, incontri speciali, abbracci fraterni! Sarò sempre debitrice a
questo popolo brasiliano che mi
ha insegnato cos’è l’accoglienza,
resterò eternamente commossa
dalla loro gentilezza. Mi hanno
insegnato e aiutato a crescere, ma
senza sentire il peso del giudizio e
dell’efficienza immediata…tranquilli mi hanno accompagnato in questo
mio cammino di apprendimento.
Mi sento più matura e consapevole
di me. Mi porto dentro quella calma
sana che è superamento dell’angoscia e mi sembra di poter affrontare
le sfide della vita con animo più sereno.
Auguro a tutti di uscire e conoscere per continuare quell’unico vero
viaggio che è la scoperta di chi
siamo.
Vi lascio alcune parole a mio parere
molto significative sul senso del partire.
Partire è anzitutto uscire da sé. Rompere quella crosta di egoismo
che tenta di imprigionarci nel nostro IO.
Partire è smetterla di girare intorno a noi,
come se fossimo al centro del mondo e della vita.
Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi
del piccolo mondo cui apparteniamo:
qualunque sia l’importanza di questo mondo,
l’umanità è più grande ed è essa che dobbiamo servire.
Partire non è divorare chilometri, attraverso i mari,
volare a velocità supersoniche.
Partire è anzitutto aprirci agli altri,
scoprirli, farsi loro incontro.
Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre,
significa avere il fiato di un buon camminatore.
Felice chi comprende e vive questo pensiero:
“Se non sei d’accordo con me, tu mi fai più ricco”.
È possibile viaggiare da soli.
Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio
è quello della vita ed esso esige dei compagni.
Beato chi si sente eternamente in viaggio
e in ogni prossimo vede un compagno desiderato.
Helder Camara
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Alessandra Fauri
SERVIZIO CIVILE
SCEGLI UNA PARTENZA
INTELLIGENTE
Lo SVI mette a disposizione 11 posti per il Servizio Civile Nazionale in Italia e all’estero
Se hai tra i 18 e i 29 anni, se anche tu
credi che un altro mondo è possibile
e vuoi impegnarti in prima persona
contro la povertà e le sue cause ti
proponiamo un percorso dal forte
valore umano e un’esperienza altamente formativa per diventare protagonista della speranza sulla strada
della solidarietà.
Il Servizio Civile, regolamentato dalla legge n. 64/01 e svolto su base volontaria, è un’esperienza formativa
e di crescita personale ed è espressione di una difesa della patria che
è condivisione dei valori comuni e
fondanti l’ordinamento democratico. Tale esperienza di solidarietà
nazionale o internazionale punta a
sviluppare nei giovani un senso di
cittadinanza attiva.
Il Servizio Civile:
• ha durata di 12 mesi;
• prevede un contributo mensile
di 433,86 euro (i volontari in SCV
all’estero hanno diritto inoltre a 15
euro di indennità giornaliera, arrivando quindi a un totale di circa
900 euro);
• prevede un impiego di circa 30-35
ore settimanali;
• è riconosciuto valido ai fini del trattamento previdenziale;
• prevede una assicurazione contro
infortuni, malattia e RCT;
• solo per l’estero prevede: il vitto,
l’alloggio, i viaggi e le vaccinazioni.
Tutti i volontari opereranno nell’ambito del progetto “Caschi bianchi:
interventi umanitari in aree di crisi”
organizzato da Focsiv.
Lo SVI per il 2015 mette a disposizione 10 posti per il Servizio Civile
all’estero:
America Latina: 2 posti Brasile, Santa Luzia do Parà; 2 posti Colombia,
Norcasia; 2 posti Venezuela, Caracas
Africa: 2 posti Uganda, Kampala
Europa: 2 posti Romania, Niculesti
ed 1 posto per il Servizio Civile in
Italia (a Brescia).
Sul nostro sito www.svibrescia.it si
possono trovare le schede dettagliate dei progetti, di cui diamo una
breve sintesi qui sotto.
Per maggiori informazioni:
[email protected] o telefonare
allo 030.3367915
Santa Luzia do Parà - Brasile
Ambito: educazione/ambiente
Il progetto vuole garantire una formazione professionale a 120 giovani
agricoltori e realizza corsi di formazione per i piccoli agricoltori e per i
membri di associazioni e cooperative
formate da popolazioni autoctone
e afro discendenti. La formazione
mette un forte accento sull’agro-ecologia e sulla convivenza armoniosa
nell’ambiente amazzonico. Inoltre il
progetto vuole fornire un supporto
formativo permanente ai piccoli agricoltori per la gestione organizzativa
e amministrativa della proprietà famigliare e delle organizzazioni di cui
fanno parte.
Norcasia – Colombia
Ambito: educazione/agricoltura
Il progetto mira a garantire la formazione e l’affiancamento professionale a 60 giovani, interessati a specializzarsi in ambito agro-zootecnico.
Si lavora sull’apprendimento di tecniche di coltivazione e allevamento
efficienti ed eco-sostenibili, in grado
di consentire la naturale riproducibilità delle risorse nel lungo termine. Inoltre si lavora per favorire il
raggiungimento della sostenibilità
17
delle attività agro-zootecniche realizzate a livello familiare.
SERVIZIO CIVILE
Caracas – Venezuela
Ambito: protagonismo giovanile
Il progetto cerca di promuovere la
costituzione di comitati giovanili
all’interno dei consigli comunali a
San Juan e Paraiso, nel centro di Caracas, composti da rappresentanti
dei giovani residenti nei quartieri. Si
attua un programma di formazione
alla leadership giovanile per almeno
50 giovani di San Juan e El Paraìso
negli ambiti dell’istruzione, la sanità,
il lavoro, l’ambiente e la ricreazione.
Inoltre il progetto cerca di favorire
lo sviluppo e la gestione di progetti
sociali nelle comunità da parte dei
giovani dei quartieri coinvolti.
Kampala – Uganda
Ambito: educazione
Il progetto promuove l’inclusione, la
parità e l’educazione di 93 bambini e
ragazzi disabili mentali e fisici accolti
18
nel centro di Kireka Home in modo
che essi possano rendersi, dove possibile, indipendenti e inseriti nella
società locale. Inoltre il progetto
supporta il completamento del percorso scolastico primario e secondario di 3.400 alunni della scuola di Luzira gestita da Emmaus Foundation;
in questa scuola si lavora per far sì
che i ragazzi apprendano un mestiere e possano trovare un lavoro nella
capitale ugandese.
Niculesti – Romania
Ambito: educazione/disabilità
Il progetto propone momenti di
socialità tra bambini rom e rumeni
e, contestualmente, un supporto
extrascolastico, didattico e ludico,
ai bambini di età compresa tra i 6
e gli 11 anni. Si realizzano attività
extracurriculari come corsi propedeutici di musica, canto, educazione
ambientale ecc., volte ad arricchire
l’offerta didattica scolastica e a promuovere una reale integrazione dei
bambini di etnia rom. Infine si promuove la socialità e l’autonomia di
20 adulti affetti da handicap, fisici
o psichici e l’interazione degli stessi
con adulti e bambini, all’interno di
un contesto protetto.
Brescia – Italia
Ambito: educazione alla cittadinanza attiva
Il progetto si rivolge a studenti e
insegnanti di 50 tra scuole e centri
di aggregazione giovanile (CAG) di
Brescia e provincia in attività di tipo
educativo sui temi di Expo 2015 e in
particolare sulla filiera sostenibile
del cibo, sicurezza alimentare e sana
alimentazione al fine di ridurre i
comportamenti di spreco alimentare. Inoltre si cerca di raggiungere la
popolazione del territorio di Brescia
e Provincia (in particolare i genitori
degli alunni e studenti coinvolti dal
progetto) con informazione e sensibilizzazione sui temi trattati con i
ragazzi.
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COSA ABBIAMO FATTO
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CONTINUA AD AIUTARCI!
19
SVI ITALIA
FEEDING THE PLANET
Il 4 giugno 2015 anche SVI presente a EXPO
Durante i mesi dell’Esposizione
Universale, il “Sistema Brescia x
Expo 2015” si è riservato, all’interno
del palinsesto di eventi organizzati
da Padiglione Italia, sei giornate dedicate a rappresentare la provincia
di Brescia, il suo territorio e le sue
eccellenze.
Anche SVI, insieme a Medicus Mundi Italia e SCAIP, ha aderito all’Associazione Temporanea di Scopo
promossa da vari enti bresciani per
l’organizzazione di queste giornate
all’EXPO di Milano e finalmente, nei
giorni scorsi, abbiamo avuto notizia che la nostra proposta è stata
approvata!
Ci fa molto piacere sapere che su
sei giornate una verrà dedicata alla
cooperazione e speriamo di potervi
portare quindi i nostri temi e la nostra idea di cosa significa “Nutrire il
Pianeta”.
Abbiamo infatti promosso, presso
Expo, il progetto che con le ong
bresciane stiamo realizzando in
Mozambico: combattere la malnutrizione coltivando e trasformando
la frutta, specialmente l’anacardo, il
mango e gli agrumi.
Molte parole e tanta retorica si stanno spendendo intorno allo slogan
“Nutrire il Pianeta - Energia per la
vita”: obesità nei paesi occidentali
e malnutrizione nel sud del mondo
non sono le due facce dello stesso
problema, la seconda è una vera ingiustizia e come tale va combattuta, ed è quanto, quotidianamente e
modestamente, cerchiamo di fare
attraverso i nostri progetti.
Queste sono le idee che vorremmo
portare ad EXPO 2015, vi invitiamo
a venire a trovarci nella giornata del
4 giugno negli spazi tra il Padiglione Italia e l’Albero della Vita.
A breve su www.svibrescia.it e sui
nostri social troverete tutti gli aggiornamenti e i dettagli organizzativi.
Federica Nassini
ERO STRANIERO
E MI AVETE ACCOLTO
Firmato un protocollo di collaborazione con la cooperativa Mosaico di Lumezzane
E’ davvero con molto piacere che
vi raccontiamo che i presidenti di
SVI e della cooperativa Mosaico nei
giorni scorsi hanno firmato un accordo di collaborazione per quanto
riguarda le problematiche relative i
richiedenti asilo, i rifugiati e la protezione umanitaria, temi che stanno assumendo anche in Provincia
di Brescia particolare rilievo.
Come primo passo SVI ha messo a
disposizione della cooperativa Mosaico un appartamento a Sarezzo,
in cui da alcuni giorni sono ospitati sei cittadini stranieri richiedenti
protezione internazionale secondo
l’accordo firmato tra la Prefettura
di Brescia e l’Associazione Comuni
20
Bresciani.
Mosaico viceversa si è impegnata
ad attivare un progetto di accoglienza nei confronti dei profughi
ospitati cercando di coinvolgere il
contesto locale e il territorio.
A partire da queste prime azioni
speriamo di poter presto mettere in
moto una buona collaborazione sui
temi dell’accoglienza e dell’integrazione dei cittadini stranieri presenti
nelle nostre zone, ma anche sull’informazione e sensibilizzazione rivolte alla popolazione bresciana.
Crediamo che SVI in tanti anni di
esperienze nel Sud del mondo abbia maturato competenze nell’incontro e nel dialogo tra culture,
ora è davvero arrivato il momento
di spenderle sul nostro territorio,
dove spesso la mancanza di una
“lingua comune” crea problemi e
incomprensioni che si potrebbero
evitare.
Alcuni nostri volontari si stanno già
impegnando nel progetto di Sarezzo, mentre altri sono attivi in contesti che vedono la presenza dei
richiedenti asilo, in particolare in
alcuni alberghi di Brescia e nel territorio di Zone, in collaborazione con
la Caritas Diocesana. A tutti loro va
il nostro grande ringraziamento.
Federica Nassini
1
VOLONTARI IN ARRIVO
E PARTENZA
Tra gennaio e febbraio è tornato
in Italia per un breve periodo di
vacanza Stefano Verzeletti, volontario in Zambia. Buon proseguimento per questo ultimo periodo
di mandato.
A febbraio è venuto a trovarci
Francesco Lancini, che ora è tornato in Burundi per concludere il
progetto. Buon lavoro e a presto!
Nello stesso mese è rientrato per
un breve periodo di riposo anche
Fabio Poli, volontario in Uganda,
a Kapedo, che ora ha già ripreso le
sue attività. Buona continuazione!
A fine febbraio hanno concluso il
loro impegno di Servizio Civile in
Brasile Alessandra Fauri e Laura
Visentin. Grazie per il bellissimo
lavoro svolto!
Il 6 aprile è partito per lo Zambia
Claudio Triani, a lui un in bocca al
lupo per un buon inizio mandato.
2
SVI ITALIA
Il 12 e il 20 febbraio si sono svolti
insieme alle altre Ong bresciane
due Open Day informativi sul
Servizio Civile presso l’Informagiovani e presso il CSV di Brescia.
Il 24 febbraio lo SVI ha partecipato
all’Officina del Volontariato organizzata dal CSV presso la Facoltà
di Medicina di Brescia, insieme ad
altre associazioni bresciane.
VITA DELLO SVI
VITA DELLO SVI
Il 24 febbraio grande successo di
pubblico per lo spettacolo teatrale
Label. Questioni di etichetta, organizzato da SVI insieme alle altre
Ong bresciane, Scaip e MMI, ad Ipsia Acli, alla Fondazione Piccini e al
Cmd di Brescia.
Il 26 e il 27 febbraio le nostre serviziociviliste rientrate hanno partecipato ai due giorni di formazione
insieme ai “Caschi Bianchi” delle altre Ong bresciane, a Rezzato
presso il Convento dei Frati Minori.
Il 26 febbraio si è svolta l’Assemblea dei Soci SVI.
1 marzo grande successo dello
Spiedo organizzato dal Gruppo
SVI di Palazzolo. Grazie davvero
a tutti coloro che hanno dato una
mano, da una parte e dall’altra del
tavolo.
Il 3 marzo si è tenuto un Open Day
informativo, insieme a tutte le
Ong di Brescia, sul Servizio Civile a
Coccaglio.
Il 20 marzo si è tenuta la rappresentazione teatrale Semillas. Il
Salvador di Marianella e Oscar
Romero, patrocinato anche dallo
SVI, presso la Chiesa di San Cristo
a Brescia.
Anche quest’anno si è svolta la
Campagna “Abbiamo Fatto l’Uovo”, in rete con le Ong amiche
Scaip e MMI, per raccogliere fondi
per i progetti in Africa e America
Latina, offrendo buonissime uova
di cioccolato prodotte artigianalmente dalle “Sorelle Righetti” di
Brescia.
Dall’11 aprile al 19 aprile, tutti
i giorni dalle 16 alle 19:30, l’appuntamento è con l’imperdibile
Mostra Mercato l’Arte si fa pane,
giunta alla 16.a edizione. Stampe,
carte geografiche, atlanti, quadri,
oggeti di antiquariato, argenteria,
pizzi e biancheria, ceramiche, francobolli, monete e banconote, cartoline, modernariato e il mercatino
del libro usato vi attendono presso
la sede SVI, in Viale Venezia 116.
ll 28 aprile ultimo appuntamento
della rassegna teatrale Scelte di
Palco, con La Scelta, h. 20:45 al
Teatro Sant’Afra.
Il 16 e 17 maggio in tante piazze di Brescia e provincia l’appuntamento sarà con Abbiamo riso
per una cosa seria, la campagna
nazionale della Focsiv, che vede lo
SVI impegnato in prima linea. Un
pacco di riso arborio italiano da 1
Kg, disponibile su offerta di 5 euro.
Sul nostro sito troverete tutte le
postazioni. Vi aspettiamo!
21
PAROLE
NOI
E LA TERRA
Francesca ha finito il suo mandato di volontaria in Uganda…
e ora continua a regalarci le sue parole dall’Italia
Forse, a lungo andare, l’isolamento
dal resto del mondo, per noi che
dal resto del mondo proveniamo,
ci chiede troppo. Le distanze ci
schiacciano la testa con la forza del
tempo contro la terra.
E noi la respiriamo, questa terra
rossa, che penetra nei polmoni
stringendoli dall’interno, dando
una scossa ogni volta che tentano
di allargarsi un po’.
E noi la mastichiamo, questa terra,
la ingoiamo mischiata al fango e al
sangue.
Ti fa male, mentre scende a fatica,
attirata dal vigore che la risucchia
verso lo stomaco.
E ci cospargiamo i capelli, con questa terra appiccicosa, li ungiamo
come si ungono i pensieri per evitare che volino troppo in là.
E ce la spalmiamo sulla pelle, questa terra, come fosse una crema
protettiva che ci difenda dal dolore, senza accorgerci, invece, che
il dolore è dentro di noi e, quindi,
la pellicola di terra non permette
alla sofferenza di liberarsi, dandole
quindi la scusa di prosperare sulle
spalle delle nostre anime inquiete.
E ce la passiamo sulle mani, questa
terra, le frizioniamo con vigore, per
rimuovere tutto ciò che è superfluo, inutile.
E ce la passiamo sulle mani per
lavarcele, per accettare la nostra
sconfitta rispetto al corso del tempo. Per lasciare che le cose vadano
come devono e non come vorremmo noi.
22
E ci sporchiamo i piedi, con questa
terra, affondando il passo fino alle
caviglie. Difficile muoversi perché
qualcosa ti trattiene lì e ti chiama
sempre più prepotentemente verso il centro della crosta. Appena
cerchi di muovere un passo, cadi
perché l’equilibrio è vacillante.
era solo un tratto del cammino e
non la meta del viaggio.
E allora, quando ti viene in mente
che il resto del mondo è ancora là
ad attendere il tuo ritorno, un brivido ti scorre lungo la schiena, perché sai che è venuto il momento di
decidere.
Allora ti rialzi, a fatica, ma appena
alzi la testa ti accorgi che la terra,
questa terra rossa, è avanzata sugli
stinchi ed è vicinissima alle ginocchia. Sempre più difficile muoversi.
E allora pensi che potresti restare
lì per il resto della tua vita. Senti il
pulsare di questa terra, senti le radici dei suoi alberi che ti trattengono.
Anche il cielo, sopra la tua testa, appare più basso di quello che ricordavi.
E allora costruisci lì la tua casa, il tuo
altare, la tua vita, scordando le tue
origini, scordando che questa terra
E decidere non è mai facile, a volte
non vorremmo farlo perché gli errori poi non perdonano, e perché
rimettersi in cammino e, magari,
cadere di nuovo, costa tanta fatica.
Ma sappiamo che è la nostra vita,
è il nostro cammino, è il nostro
viaggio alla scoperta di noi stessi, e
quindi, magari, troviamo un motivo
per riprenderlo dove l’avevamo lasciato.
“Senti il pulsare di questa terra, senti le radici
dei suoi alberi che ti trattengono”
Francesca Belotti
SUGGESTIONI
LORENZO
CHERUBINI
JOVANOTTI
Lorenzo 2015 CC
Universal
2015
LYMAN FRANK BAUM
Il meraviglioso
mago di OZ
1 ed. originale 1900
PAOLO VIRZÌ
Tutti i santi giorni
Italia
2012
dreamersatwork.org
Ad un certo punto si perde il conto dei
generi musicali, dei suoni, delle suggestioni, musicali e culturali, che Jovanotti
usa, cita e rimastica in “Lorenzo 2015
CC”. All’inizio, al primo ascolto, sembra
un giro in moto attraverso paesaggi tra
loro molto diversi. Poi lo ascolti con calma, e si rivela per quello che è: un disco
di canzoni-canzoni, basato su poche
semplici cose, che vengono colorate e
stratificate. E’ un distillato di pop. Non
solo nel senso della musica, ma proprio della popular culture. Vi piaccia o
meno, “Lorenzo 2015 cc” è uno di quei
dischi che non lasciano indifferenti, perché Jovanotti ad ogni
album sposta il tiro, va in nuovi
territori che non ti aspetti, e li fa
suoi con naturalezza. E in Italia a
fare così non c’è nessun altro.
Tempo fa, aggirandomi tra gli scaffali
di una biblioteca, sono ‘inciampata’ in
un classico della letteratura per ragazzi
e ho deciso di lasciarmi sorprendere,
dopo anni, da personaggi e vicende
che, a dir il vero, avevo un po’ dimenticato. Ho trascorso così alcune ore
piacevoli, leggere, con il sorriso e la sensazione di tepore che si prova tornando
a casa. Il viaggio della piccola Dorothy
iniziato dopo un ciclone, l’incontro
con chi , astuto e sveglio, pensa di
non avere un cervello, un taglia legna
nostalgico di un cuore che andava solo
risvegliato, un mago realmente meraviglioso, perché riesce senza magie
strane a esaudire desideri, e infine
il leone codardo che beve coraggio fino all’ultima goccia. È una
storia che consiglio di leggere a
piccoli e grandi.
Ivano Fossati cantava una canzone
magnifica, “La costruzione di un amore”. Questo film – che si presenta come
lieve e semplice, ma che è anche forte
e bello – racconta quanto sia difficile,
e straordinaria, la costruzione di quella
fragile architettura della felicità che
è un amore. Parla di gente come noi,
questo film. Di gente che si crede fallita,
perché non è diventata consigliere di
Obama, e magari fa un lavoro minuscolo, invisibile. Racconta gente che ha
l’arte preziosa della modestia, scomparsa dalla nostra terra e dal nostro tempo
come le farfalle, o i papaveri. Racconta
di due che si amano, e
amandosi si proteggono e si perdonano. Anche se ognuno ragiona
a modo suo, ed è un
modo diversissimo da quello
dell’altro.
Chi sono oggi i sognatori, al di là dei
luoghi comuni? Cosa sentono? In quali
valori credono? E cosa li fa andare, a
volte, in direzione ostinata e contraria?
Ritratti di scrittori, professori, musicisti,
dirigenti, giornalisti, volontari, amministratori, migranti, viaggiatori o semplici
sognatori. Racconti di scelte fatte da chi
ama l’Italia e il mondo, anche quando le
cose non vanno come vorrebbe. Racconti di chi, con la voglia
di non arrendersi e con la capacità
di guardare avanti, fa sperare in
un futuro migliore. Uno sguardo
curioso e aperto, al di là di preconcetti e luoghi comuni.
da Rockol.it
Claudia Pisano
Giovanni Bogani
Nahimana
23
«Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura.
Molti puzzano perché tengono lo stesso vestito per settimane.
Si costruiscono baracche nelle periferie.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro
affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano in 2 e cercano una stanza con uso cucina.
Dopo pochi giorni diventano 4, 6, 10.
Parlano lingue incomprensibili, forse dialetti.
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina; spesso davanti alle chiese
donne e uomini anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.
Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti.
Le nostre donne li evitano sia perché poco attraenti e selvatici, sia perché è voce
diffusa di stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro.
I governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non
hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel paese per lavorare e quelli che
pensano di vivere di espedienti o, addirittura, di attività criminali».
Fonte: Relazione dell’Ispettorato per l’immigrazione
del Congresso degli Stati Uniti sugli immigrati italiani, ottobre 1919.
i la solidarietà tra
con lo SVI per vivere da protagonist
i popoli