L`Iran sorprendente di una grande scrittrice L`umanesimo

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L`Iran sorprendente di una grande scrittrice L`umanesimo
Andrea Camilleri
LA CACCIA AL
TESORO
1
Sellerio
€ 14
Stephenie Meyer
LA BREVE SECONDA
VITA DI BREE TANNER
2
Fazi
€ 16
pagg. 271
100
PUNTI
5
pagg. 215
72
PUNTI
2
3
NEW
ENTRY
Patricia Cornwell
IL FATTORE
SCARPETTA
Mondadori
€ 20
pagg. 417
61
PUNTI
1
4
Gianrico Carofiglio
NON ESISTE
SAGGEZZA
Rizzoli
€ 14
5
pagg. 244
41
PUNTI
6
Massimo Gramellini
L’ULTIMA RIGA DELLE
FAVOLE
Longanesi
€ 16,60 pagg. 258
37
PUNTI
7
Il romanzo
LO SCRITTORE
L’Iran sorprendente
di una grande scrittrice
GROSSI
VANNA VANNUCCINI
ariba Vafi non è una scrittrice iraniana, è
semplicemente una grande scrittrice. ECome un
Uccello in voloè uno dei più bei romanzi letti negli
ultimi anni. È un libro sorprendente, lontano anniluce dai
clichés sull’universo femminile islamico cui siamo abituati.
Un libro poi assolutamente laico: non c’è nessun tipo di Dio
che ti punisca o consoli. La donna sa che se la deve vedere da
sola col marito, con i figli, con il penoso ricordo del padre che
si è spento nella solitudine. Lo fa con acume, ironia e lucidità,
senza autocompiacimento. La sorpresa è ancora più grande
quando si apprende che la scrittrice, ormai pluripremiata e
45enne, aveva smesso la scuola dopo il liceo per lavorare.
Periodicamente però partiva dalla città natale di Tabriz per
andare a Teheran a comprare libri e portare a riviste letterarie
quello che scriveva di nascosto dalla famiglia. Con questo
romanzo, tradotto in modo esemplare, debutta nel mondo
editoriale Ponte 33, una casa editrice creata da tre iraniste che
si propone di mostrare l’Iran sconosciuto all’Occidente –
obbiettivo con questo libro pienamente centrato.
F
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COME UN UCCELLO IN VOLO
di Fariba Vafi
Ponte33, trad. di H. Nazemi e B.M. Filippini, pagg.136, euro 14
La biografia
L’umanesimo rigoroso
di Mario Pannunzio
LUCIO VILLARI
ario Pannunzio chiuse Il Mondo, il giornale che
molti italiani amano come il luogo intellettuale e
politico dove si sono riconosciuti e dal quale hanno
tratto coraggio e speranza, nel 1966, mentre si celebrava il
centenario della nascita di Croce. Quest’anno è Pannunzio a
compiere cento anni, anche se ne ha vissuti poco più della
metà. La sua vita è «un vero unicumnella storia del
Novecento italiano»: questo giudizio di Massimo Teodori
conclude una ben documentata ricerca storica e il racconto
dell’“educazione sentimentale” di Pannunzio, dal
Risorgimento liberaleal Mondo. Il raccordo a Croce fu per
Pannunzio l’occasione di un progetto, del sogno di un
liberalismo di forti radici (l’Illuminismo, il Risorgimento,
l’antifascismo, l’anticomunismo, l’Occidente) e della
attivazione di un coro di studiosi che alla critica della ragione
pratica dell’Italia contemporanea collegassero un
umanesimo militante e la verità morale della giustizia. Fa
bene Teodori a ricordare che Pannunzio volle essere
seppellito con una copia dei Promessi Sposi.
M
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PANNUNZIO
di Massimo Teodori
Mondadori, pagg. 278, euro 19,50
PIETRO
BORSA TITOLI
Uno scrittore di successo, bello e dannato
“che ha tutto quello che si può desiderare” decide
di scomparire per mettersi a fare il lavapiatti
Una storia sulla vocazione artistica e sul rapporto
tra vita quotidiana e ispirazione
Lo scrittore
aiutato
dai numeri
STEFANO BARTEZZAGHI
uella che ha scritto
Massimo Gramellini sarà
ancheL’ultima riga delle
favole(così si intitola il suo
primo romanzo: titolo che
evoca pericolosamente il
sollievo del The end). Ma certo
non sarà questa l’ultima volta
che il racconto si appoggia al
fascino dei numeri ordinali.
Non c’è solo quello che, a
occhio, deve essere stato il
titolo-guida per Gramellini: La
prima sorsata di birra(Philippe
Delerm). Ci sono diverse notti
(La prima notte diquiete,
Zurlini; La dodicesima notte,
Shakespeare;La milleduesima
notte, Joseph Roth); file di
uomini e donne (da: Ilprimo
uomo, Camus; a: L’ultima
donna, Ferreri); moltissime
volte, da The first time I laid eyes
on Terry Lennox... « (Raymond
Chandler) a The Last Time I Saw
Richard(Joni Mitchell). E poi ci
sono tutte le cose che ci
possiamo inventare, nell’attesa
che accadano: La seconda
forchettata di spaghetti, La
terza strada a sinistra, Il
quarto cioccolatino, poi basta,
Più o meno a metà passeggiata,
La penultima parola che mi
hai detto.
Titoli e finali, incipit ed explicit
sono le piccole nascite e le
piccole morti letterarie. L’ultima
riga della favola, in particolare,
contiene una formula rituale su
come poi vissero tutti.
Consegna i bambini al sonno; gli
adulti all’idea che le favole non
possono che finire allo stesso
modo. Ed è per questo che
sono favole.
Q
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MAURIZIO BONO
S
Eogni scrittore ha
un’ossessione, per il
trentaduenne Pietro
Grossi dev’essere la misura. Nel
primo libro, i tre racconti Pugni
che quattro anni fa lo hanno rivelato (finalista allo Strega, best seller imprevisto di stagione, Campiello Europa alla traduzione in
inglese) era la misura per schivare i colpi, sul ring e nella vita. Nel
secondo, il romanzo di biliardo e
destino L’acchito (2007), ancor
più dichiaratamente la distanza
perfetta da percorrere perché ciò
che si mette in moto (là una palla
d’avorio, ma vale tutto il resto)
rimbalzi fermandosi nel punto
prestabilito, come nella vita non
accade mai. Nel nuovo e terzo libro la misura della scrittura di
Grossi torna quella di un “racconto lungo”, solo 64 pagine, sorvegliatissime, per raccontare di
T.J. Martini, scrittore bello e dannato, «tutto ciò che chiunque
avrebbe voluto essere», che per
trovare – ancora – la misura tra sé
e il mondo, sparisce come Salinger, ma con ragioni perfino migliori delle sue.
È insolito, Grossi, tornare alla
brevità col terzo titolo, dopo un
romanzo “vero”.
«Un po’, ma ne sono contento.
Va d’accordo con la mia prima
paura, che è di annoiare, e con la
mia preferenza, tra il togliere e
l’aggiungere, per il togliere. Ma
prima o poi naturalmente mi piacerebbe sporcarmi di più le mani. E questo Martini è anche un
po’ un caso, in origine doveva
stare in una collana di storie a più
mani, l’uscita da solo l’ha conquistata per il titolo…».
In che senso?
«In un incontro in libreria a Palermo su L’acchito il presentatore della serata lo ha definito
“semplice, elegante e difficile da
fare come un buon Martini”. Ho
ringraziato e mi è scappata l’aggiunta: “Veramente un Martini io
ce l’avrei”, il racconto lo avevo
appena finito. Elvira Sellerio, che
ha sempre detestato la parola
“acchito” in copertina, e alla fine
forse aveva ragione, ha detto:
“Bellissimo titolo. Non lo cambi,
mi raccomando”».
Dietro il titolo c’è la storia di
uno scrittore americano di talento che all’apice del successo
mondano e di critica spiega a un
amico e ammiratore più giovane di poter scrivere solo se è innamorato. Poi sparisce e nell’ultima scena, in un diner che sembra dipinto da Hopper, gli confiderà di aver scelto di fare il lavapiatti per salvarsi. Cosa vuol dire, esattamente?
«Posso dire cosa vuol dire per
me, anche se non è tutto. Il racconto permette un certo grado di
ambiguità, i lettori ci vedono cose che neppure tu sai, e alcuni ne
danno una interpretazione un
po’ diversa: è un bene. Io comunque Martini oltre la parola fine
me lo immagino che dopo aver
lavato i piatti torna a casa e scrive,
magari poche pagine alla volta, in
stato di grazia. Smette di stare nel
mondo non perché in crisi, ma
per conservare la vocazione».
Sarà che casualmente è appena stato ristampato nella Biblioteca Minima Adelphi, 64 paginette esatte tra due copertine
scure di piccolo formato proprio
come Martini, Il crollodi Francis
Scott Fitzgerald, che racconta
sotto forma di spietata autobiografia il suo collasso umano e di
autore: a vederli insieme sul
banco di una libreria un lettore
magari fa due più due…
«E fa bene. Conosco bene
quelle pagine e se non mi ci fossi
imbattuto forse Martini non l’avrei scritto. Fitzgerald è il talento assoluto e un mio riferimento,
i suoi sono tra i libri più belli che
abbia mai letto e The Crack-Up
uno straziante piccolo capolavoro sul rapporto tra il mondo
interiore del narratore e quel che
c’è là fuori. Però Martini, mi creda, ha un futuro.
Vuol dire che lo rivedremo
per esteso?
«Questo è complicato. Sto lavorando a diverse cose, una delle
quali più ampia, che si incrocia
un po’ conMartinie per questo, al
momento, l’ho messa da parte».
Da Le cose fondamentali di
Scarpa al Pavolini di Accanto
alla tigre, da Ammaniti al suo
Martini, perché tanti scrittori
scrivono di scrittori? Non sarà
che per un autore giovane,
esaurita l’adolescenza, è l’unica esperienza?
«Un po’ è così, è naturale.
Quello per la scrittura è un
amore violento che ti condiziona, è centrale per la tua relazione con il mondo».
In senso non metaforico, si
può vivere di sola scrittura?
«Al momento ci riesco. La pubblicazione si porta dietro una
quantità di incombenze e di corollari pratici, piccoli lavori collaterali, qualche collaborazione coi
giornali, le presentazioni, gli incontri – ne faccio molti nelle scuole –, la facciata pubblica. Finora