Nella tangentopoli ischitana il nome di D`Alema

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Nella tangentopoli ischitana il nome di D`Alema
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23.02.76
ANNO LXIII N.74
MARTEDì 31.03.2015
SECOLODITALIA.IT
EDITORIALE
Nella tangentopoli ischitana il nome di D’Alema: «Mette le mani nella merda»
Spunta il nome di Massimo D’Alema nell’inchiesta sulle
tangenti per la metanizzazione a Ischia che in queste
ore ha portato all’arresto del sindaco Giusy Ferrandino,
del Pd, e di altre 8 persone, tra le quali alcuni dirigenti
dell’ufficio tecnico del comune isolano ed i rappresentanti della Clp-Concordia, colosso modenese legato alle
cooperative rosse. In una delle intercettazioni ambientali dell’11 marzo 2014, uno degli arrestati, Francesco
Simone, dirigente della CPL chiama in causa D’Alema
mentre parla con il responsabile commerciale della
coop, Nicola Verrini, sottolineando la necessità di «investire negli Italiani Europei (la fondazione presieduta
dall’ex-leader dei Ds, ndr) dove D’Alema sta per diventare Commissario Europeo» dal momento che «…
D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto
con noi ci ha dato delle cose». Una conversazione che
di Redazione
per il gip «appare di estremo rilievo». L’ex-premier definisce «scandalosa ed offensiva» la divulgazione di brani
intercettati non attinenti all’indagine e nega qualsiasi
scambio di favori con la Coop rossa, pur riconoscendo
di averle venduto 2000 bottiglie di vino da lui prodotto
e un imprecisato numero di libri editi dalla fondazione.
La presa di distanza di D’Alema è quasi obbligata se si
considera che il nome della Clp-Concordia figura anche
nei verbali riempiti dalle dichiarazioni di Antonio Iovine,
alias ‘o Ninno, già inafferrabile boss dei casalesi e dallo
scorso anno collaboratore di giustizia. Iovine cita la
coop modenese in riferimento ai subappalti per i lavori
di metanizzazione di 6 comuni della provincia di Caserta, tra cui Casal di Principe, negli anni che vanno dal
2000 al 2003, svelando gravi anomalie (poi riscontrate)
nell’esecuzione dei lavori. Anomalie in grado di causare
danni alla popolazione. Anche in quel caso, emerge il
ruolo del partito di D’Alema, allora rappresentato su
quel territorio da Lorenzo Diana, senatore impegnato
nella commissione parlamentare antimafia. A fare il
nome di Diana è lo stesso ufficio legale della Cpl Concordia in una richiesta di rettifica inviata al Fatto Quotidiano.it, in cui tra l’altro si legge: «Da ultimo ribadiamo
che fra coloro che negli anni hanno sollecitato il nostro
intervento per lo sviluppo del difficile territorio campano è stato Lorenzo Diana (…) il quale ha partecipato
più volte alle assemblee di Cpl Concordoa, vive dal 1994
sotto scorta ed è uno dei pochi politici citati da Roberto
Saviano in “Gomorra” come persona fortemente impegnata nella lotta alle mafie».
PRIMO PIANO
IL MODELLO SARKOZY PUÒ FAR TORNARE
A VINCERE IL CENTRODESTRA IN ITALIA
di Italo Bocchino
2
La vittoria di Nicolas Sarkozy alle elezioni dipartimentali francesi andrebbe presa a modello dal
centrodestra italiano per tornare a vincere. Il risultato è netto, con l’Ump che conquista il 70%
dei dipartimenti, lasciando il resto ai socialisti del
presidente Francois Hollande, che ne aveva...
ROSY BINDI ATTACCA RENZI: «STAI
CANCELLANDO LA NOSTRA RAGION D’ESSERE»
di Redazione
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Dire che ci siano fibrillazioni a poche ore
dalla direzione del Pd è dire poco. Dopo
Pippo Civati, che ha annunciato di non
partecipare alla “conta” sull’Italicum, invitando le altre minoranze a fare altrettanto, non cedendo agli aut aut di Renzi...
I NUMERI NON PERDONANO: ECCO PERCHÉ
RENZI E I SUOI DICONO “BUGIE”
di Valeria Gelsi
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Un tour nelle capitali «europee e mondiali» per
raccontare il Jobs Act. Lo ha annunciato il ministro
del Lavoro Giuliano Poletti, sostenendo che «diversi amministratori italiani e europei di multinazionali dicono che siamo tornati tra i paesi in cui
si può investire, siamo tornati competitivi»...
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IL MODELLO SARKOZY PUÒ FAR TORNARE
A VINCERE IL CENTRODESTRA IN ITALIA
di Italo Bocchino
La vittoria di Nicolas Sarkozy alle elezioni dipartimentali francesi andrebbe presa a modello dal
centrodestra italiano per tornare a
vincere. Il risultato è netto, con l’Ump
che conquista il 70% dei dipartimenti, lasciando il resto ai socialisti
del presidente Francois Hollande,
che ne aveva il doppio. Resta a bocca
asciutta Marin Le Pen, che con il suo
Front National non conquista neanche un dipartimento nonostante il
25% dei voti. Le lezioni che vengono
dalla Francia sono almeno tre: vince
la destra di governo, perde la destra
estrema, per vincere serve uno spostamento a destra. La prima e la seconda lezione sono utili per riflettere
sui rapporti nel centrodestra italiano,
dove l’ascesa mediatica e nei sondaggi della Lega di Matteo Salvini ha
spostato l’asse verso una destra antieuropea ed estrema per la quale
sarà impossibile avere i numeri per
governare senza allearsi con l’area
moderata e favorevole all’Europa. La
Lega può portare voti all’alleanza del
centrodestra, ma per contribuire a
farlo vincere deve far comprendere
agli elettori che la sua posizione, pur
risultando più estrema, giungerà ad
una mediazione nell’ambito di una
coalizione. Senza questo presuppo-
di Lando Chiarini
LA NOTIZIA
«AVEVA LA BARBA LUNGA»:
CONDANNATO IN CINA A 6 ANNI
DI CARCERE. È UIGHURO
di Liliana Giobbi
sto Salvini rischia di fare la fine della
Le Pen, prendendo tanti voti senza
poi governare nulla. La terza lezione
riguarda i contenuti programmatici.
Sarkozy per vincere si è dovuto spostare a destra, puntando su due argomenti: identità nazionale e
sicurezza legata al tema dell’immigrazione. Per far percepire appieno
questo spostamento politico in gran
parte dei dipartimenti non si è presentato come Ump (Unione per un
movimento popolare), ma come
Unione per la destra. La sua identità
nazionale è diversa dalla Le Pen, non
vuole la Francia fuori dall’Europa
unita, ma la vuole identitaria nel con-
testo comunitario. La sua politica per
la sicurezza è contro l’immigrazione
clandestina, ma declinata senza alcuna ombra xenofoba. La svolta di
Sarkozy potrebbe quindi rappresentare il modello da importare per far
tornare a vincere il centrodestra in
Italia. I soggetti alternativi alla sinistra
e diversi dalla Lega sono ormai frammentati (da Silvio Berlusconi a Raffaele Fitto, da Giorgia Meloni a Flavio
Tosi e Angelino Alfano), ma se trovassero un percorso unitario per costruire una sorta di federazione
simile all’Ump francese potrebbero –
ovviamente senza escludere la Lega
– tornare ad essere maggioranza.
Murialdi ex-Cda Rai – al solo scopo
di accontentare il Pci. Successivamente, con il Cda nel frattempo ridotto a cinque e tutto di nomina (e
di revoca) da parte dei presidenti di
Camera e Senato, l’avvento del sistema bipolare trasformò la lottizzazione da scienza esatta in pratica a
rischio errori, abbagli ed approssimazioni. Il trasformismo politico di
cui cominciarono a riempirsi le cronache dei partiti con cambi di casacca in dosi sempre più massicce,
trovò nella Rai il suo riflesso professionale. Ed il rapporto tra politica e
la più importante azienda culturale
nazionale s’invertì completamente:
non era più il partito a lottizzare ma
il lottizzato a scegliere il lottizzatore.
L’antica concorrenza tra i partiti
stava lasciando il posto allo scontro
tra schieramenti sul conflitto d’interesse, abilmente declinato negli ultimi vent’anni come interesse al
conflitto al solo scopo di conservare
alla sinistra «l’argenteria di famiglia»
(copyright Giuliano Amato). La lottizzazione dalla quale dice di volerci liberare Renzi è in realtà da tempo
una foto assai ingiallita. Andando
alla polpa, il premier ha introdotto
la figura dell’amministratore delegato, proposto dal Cda ma votato
dal Tesoro, cioè dal governo. E questo rende la foto della Rai addirittura color seppia dal momento che
da almeno trent’anni la giurisprudenza costituzionale è coerentemente attestata sulla Rai del
Parlamento. Renzi, insomma, ci sta
provando e ancora una volta con
astuzia inversamente proporzionale
alla lungimiranza che è lecito attendersi da un uomo di governo. In realtà, il premier non vuole liberare la
Rai dai partiti, che da un pezzo non
ci sono più. La vuole solo per sé
come tappa ulteriore del suo percorso di potere. Un uomo solo al
tele-comando.
RENZI, UN UOMO SOLO AL TELECOMANDO: LA RIFORMA RAI SERVE SOLO A QUESTO
Per dirla in poche parole, la cosiddetta riforma della Rai voluta da
Renzi non solo non libera la Rai dai
partiti ma addirittura la rinfila nelle
grinfie del governo. Un vero passo
in avanti – si fa per dire – se solo si
considera che dalla riforma del
1975 alla Gasparri del 2004, passando per la Mammì del 1990 e la
legge 206 del ’93, il filo conduttore
è sempre consistito nel considerare
il Parlamento l’editore del servizio
pubblico radiotelevisivo. Una scelta
che nella Prima Repubblica comportò come effetto collaterale (ma
non per questo indesiderato) la lottizzazione di tutto il lottizzabile: dai
tg alle reti, ai conduttori. Si salvarono per miracolo solo le previsioni
del tempo. Il sistema raggiunse la
sua perversa perfezione con la realizzazione della terza rete, nata –
come raccontain Maledetti Professori un uomo di sinistra come Paolo
MARTEDì 31.03.2015
Due uighuri, marito e moglie, sono
stati condannati a sei e due anni di
prigione in Cina per aver esibito simboli della loro fede religiosa, la barba
lunga. Secondo il quotidiano China
Youth Daily i due sono stati arrestati
e processati a Kashgar, nel nordovest
della Cina, per «aver suscitato polemiche e creato problemi». Il giornale
aggiunge che il marito, di 38 anni, «si
stava facendo crescere la barba dal
2010» e che la moglie «portava un
velo che le copriva il volto e indossava
un burqa». Kashgar è un centro culurale della minoranza etnica uighura,
originaria della provincia del Xinjiang.
Gli uighuri sono turcofoni e musulmani e dal 2009 sono in rivolta contro il governo di Pechino, che
accusano di lasciarli ai margini della
vita economica e sociale per favorire
la maggioranza di etnia “han”. Dal
2009 decine di persone sono morte
in scontri a sfondo etnico, mentre arresti e processi sono centinaia. Secondo le organizzazioni umanitarie
l’anno scorso sono state condotte nel
Xinjiang oltre 40 esecuzioni capitali.
Pechino sostiene che nella regione
sono attivi gruppi estremisti legati all’
internazionale islamica del terrore.
Gli esuli uighuri ribattono che si tratta
di esagerazioni volte a giustificare la
repressione cinese. Per gli uighuri i
dati sono drammatici, negli ultimi
mesi si arriva a un totale di oltre 50
tra condanne ed esecuzioni, che probabilmente rappresentano solo una
frazione del numero totale. In giugno,
in due diversi processi, sono state
comminate un totale di 12 condanne
alla pena capitale, mentre 13 condannati sono stati messi a morte. In
agosto, la stampa governativa ha annunciato l’avvenuta esecuzione di
otto persone. In settembre sono
state comminate tre condanne a
morte per l’attentato del primo
marzo a Kunming, nella Cina meridionale.
MARTEDì 31.03.2015
ROSY BINDI ATTACCA RENZI: «STAI
CANCELLANDO LA NOSTRA RAGION D’ESSERE»
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di Redazione
Dire che ci siano fibrillazioni a
poche ore dalla direzione del
Pd è dire poco. Dopo Pippo Civati, che ha annunciato di non
partecipare alla “conta” sull’Italicum, invitando le altre minoranze a fare altrettanto, non
cedendo agli aut aut di Renzi.,
anche Rosy Bindi si scaglia
contro Renzi, in particolare con
i forti limiti dell’Italicum, che
boccia senza appello. «Non
faccio parte della direzione del
partito ma mi sento impegnata
in Parlamento a modificare
una legge elettorale che presenta ancora limiti molto forti.
Auspico perciò che in direzione
si faccia un confronto vero e
approfondito sui diversi nodi
ancora aperti e non l’ennesima
conta per una ratifica di scelte
che non producono le riforme
istituzionali di cui ha bisogno il
Paese e la nostra democrazia.
Le riforme servono ma vanno
fatte bene pensando al futuro
e non alle convenienze del presente». Parole forti e chiare.
Come chiari sono i limiti che la
Bindi rileva riguardo la legge
elettorale, una delle riforme,
appunto, fatte in fretta e male.
«L’abbinamento tra riforma
della Costituzione e riforma
elettorale con il premio alla
lista smentisce la ragion d’essere del Pd che era nato per
rafforzare la democrazia dell’alternanza e il bipolarismo, e
prefigura una democrazia più
povera nelle garanzie istituzionali e nel pluralismo politico».
Le parole di Rosy Bindi, deputata Pd e presidente della commissione Antimafia, a poche
ore dalla riunione della direzione Pd serviranno a dare uno
scossone alla minoranza interna al partito di Renzi? La
partita è tutta da giocare, ma
intanto la Bindi stigmatizza
tutti i punti critici dell’Italicum
secondo Renzi. «La legge elettorale presenta ancora limiti
molto forti – sottolinea – Ritengo essenziale restituire il
premio di maggioranza alla
coalizione e non basterà diminuire il numero dei capilista
bloccati». Diversamente, «il
premio alla lista e non anche
alla coalizione, unito alla soglia
del 3%, nell’attuale contesto
politico rende impossibile ricostruire forti campi politici alternativi e facilita la formazione
del partito unico della nazione
che con una sola Camera sede
della fiducia al governo, diventa un partito pigliatutto e
ha vita facile a trattare con
tante piccole minoranze in
lotta tra loro».
Sull’Italicum si prospetta un’altra inutile votazione- farsa. La
minoranza sa già che non
potrà fare nulla, così sposta lo
scontro alla Camera. «La trasformazione della direzione in
un plebiscito e aut aut non
aiuta affatto e di per sé costituisce una risposta definitiva
alle richieste di confronto venute da più parti. Facciamo le
proposte in Aula, in coerenza
con quanto accaduto in Senato: riproponiamo la questione complessiva delle
riforme, come peraltro avevo
chiesto si facesse anche per il
voto finale in Aula sulla riforma
costituzionale», propone Civati. La seconda proposta alle
minoranze è poi quella di par-
lare con voce sola: «Facciamo
un unico intervento che ci rappresenti (e lascio volentieri la
parola): definiamo una volta
per tutte il campo di chi è in
minoranza, perché le ambiguità di questi mesi non
hanno fatto altro che creare
confusione. Una minoranza
che non si preoccupi delle
sigle e dei posizionamenti, ma
dei contenuti e della qualità
della nostra democrazia. Non
interessata ai posti, ma al pluralismo e alle garanzie». Gli uni
contro gli altri armati, renziani
e esponenti della minoranza
Pd si preparano a darsi battaglia. L’esito è scontato (Renzi
ha una vastissima maggioranza) ma il clima è infuocato:
la minoranza insiste nel chiedere profonde modifiche alla
legge elettorale che sta per arrivare all’esame della Camera,
ma gli uomini di Renzi chiudono a ogni proposta di cambiamento. Per alcuni l’esito
della votazione, però, non è
scontato, come per un altro
degli oppositori di Renzi, Corradino Mineo. «Non sono sicuro che questo pomeriggio in
direzione Pd il voto sia scontato. Anche i bersaniani si
sono convinti che questa è la
loro ultima battaglia. Non so
se il testo passerà così», argomenta Mineo intervenendo ad
Agorà su Raitre.
DIREZIONE PD, CIVATI : «NON PARTECIPO AL VOTO SULL’ITALICUM. NIENTE AUT AUT»
di Augusta Cesari
«Non partecipo al voto di
oggi», in una direzione trasformata in «plebiscito e aut aut»
e «facciamo le proposte in
aula». A poche ore dalla riunione della direzione Pd sulle
riforme e la legge elettorale il
clima non è dei migliori. Pippo
Civati scrive a Rosy Bindi, Pier
Luigi Bersani, Gianni Cuperlo,
Alfredo D’Attorre, Francesco
Boccia e Stefano Fassina. «Alle
minoranze del Pd» il deputato
avanza due proposte. La
prima è non partecipare al
voto in programma, la seconda è: «Facciamo un unico
intervento che ci rappresenti
(e lascio volentieri la parola)».
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I GAY ADESSO SI SENTONO VITTIME
DEI FASCISTI E… DI BENITO MUSSOLINI
di Francesco Signoretta
Aiuto, i fascisti. Aiuto, il fantasma di Mussolini. «La teoria
gender è una bugia inventata di
sana pianta come il complotto
demoplutogiudaicomassonico
degli anni ’30 di mussoliniana
memoria. Anche allora era tutta
un’invenzione ma fece danni
enormi». Lo afferma il presidente di Gaynet Italia, Franco
Grillini, secondo il quale «il cardinal Caffarra pronuncia fatwe
assai poco equilibrate contro
un nemico inesistente. “In Europa il riconoscimento dei diritti
delle persone Lgbt è realtà
ormai da decenni mentre l’Italia
rimane un’isola infelice dove è
difficile persino parlare di divorzio breve, di fine vita dignitoso,
di diritti dei conviventi», commenta Grillini. «Forse Caffarra –
conclude Grillini – non si è ancora accorto che il mondo è
cambiato e non esiste più la
Santa inquisizione che inventava streghe che palesemente
non esistevano». «Una colonizzazione ideologica della scuola
da cui ogni genitore e anche
ogni insegnante, che abbia a
LA NOTIZIA
FORZA ITALIA, GELMINI:
«SARKOZY È IL MODELLO, SALVINI
NON DETTA LA LINEA»
di Gabriele Alberti
cuore l’educazione vera dei ragazzi, dovrebbe dissentire. Una
scelta grave, fatta senza alcun
coinvolgimento delle famiglie»:
così Bologna Sette, il settimanale diocesano allegato ad Avvenire, boccia un’iniziativa del
liceo Galvani, dove è stata programmata una serie di incontri
sulla “Differenza di genere”, progetto del “Cassero gruppo
scuola Arcigay”. Il genitore di
una studentessa ha inviato a
Bologna Sette e agli altri genitori
della classe della figlia, la ‘4/a G’,
una lettera di protesta per l’iniziativa, perché con l’espressione
“identità di genere” – afferma –
“si allude all’insegnamento dei
principi dell’ideologia gender,
che mira a qualificare il genere
sessuale non sulla base della fisiologia della persona ma sul
presupposto psicologico e culturale che ciascuno deve poter
liberamente scegliere il proprio
genere a prescindere dal dato
fisico e naturale”. In precedenza,
il cardinale Carlo Caffarra, nella
veglia delle Palme con i giovani,
aveva affermato che «esiste oggi
una cataratta che può impedire
di vedere la realtà dell’amore. È
l’ideologia del gender, che vi impedisce di vedere lo splendore
della differenza sessuale».
SCUOLA, UNA PROF TIRA UN BANCO CONTRO L’ALUNNA E LE FRATTURA DUE COSTOLE
di Ginevra Sorrentino
Scuola, in aula come sul ring: a
Tolentino (Macerata) una ragazzina di seconda media finisce in
ospedale con due costole fratturate e un’ematoma. In base a
quanto denunciato dalla madre
ai carabinieri, la responsabilità
sarebbe della insegnante di lingua straniera che le avrebbe
scagliato contro un banco in
uno scatto d’ira. Accade nell’Istituto comprensivo “Lucatelli” di
Tolentino, e a quanto pare è
solo l’ultimo e più grave episodio che ha per protagonista una
docente ritenuta troppo aggressiva, già al centro delle proteste dei ragazzi e destinataria
di un provvedimento di censura
da parte della dirigente scolastica, Mara Amico. L’insegnante
si sarebbe difesa sostenendo
che la ragazzina aveva un atteggiamento «ostile», ma il referto
del pronto soccorso zittisce
qualunque argomento. Annulla
MARTEDì 31.03.2015
recriminazione.
qualunque
Smorza qualsiasi giustificazione
o rivendicazione: due costole
rotte e un’ematoma, con 30
giorni di prognosi per l’adolescente. Il fatto risale al 4 marzo
scorso, ma se ne è avuta notizia
solo in queste ore, dopo la denuncia della madre della minore. Pochi i particolari che
trapelano su questa vicenda
delicata. Si sa che il sabato seguente dell’episodio i compagni
di classe dell’adolescente
hanno chiesto e ottenuto, spalleggiati dai genitori, di uscire
prima da scuola saltando la le-
zione di lingue. E che la dirigente scolastica aveva già informato
l’Ufficio
scolastico
regionale degli strani metodi
dell’insegnante, prima del
banco tirato addosso all’alunna.
La docente è stata convocata
dall’Usr per i primi di aprile, e
anche la Amico sarà ascoltata
dai dirigenti Ufficio. Un caso inquietante destinato ad aggiungersi ai fatti di cronaca
“scolastica”, sempre più al centro delle cronache quotidiane
per storie di ordinaria follia maturate nel disagio e sfociate
nella sopraffazione fisica e nella
umiliazione psicologica. Una dimensione, quella della scuola,
che solo a ripercorrere gli episodi degli ultimi mesi, tra bullismo giovanile e violenza adulta,
risulta degradata al punto tale
da far sembrare tutta quella nutrita letteratura cinematografica
dedicata al crimine tra i banchi,
eloquenti docureality ante litteram…
Il periodo non facile di Forza Italia, le riflessioni sul futuro del
partito e la tattica per le Regionali dominano il dibattito interno
al partito di Silvio Berlusconi. «Il
partito non è un condominio.
Basta litigi, discutiamo di problemi seri», è il richiamo fatto dal
Quotidiano nazionale di Maria
Stella Gelmini che interviene
sulle parole pronunciate da
Paolo Romani a proposito di un
partito «allo sbando». La Gelmini difende Romani, commentando: «Ha usato toni duri, ma in
buona fede ha voluto dare un
contributo al dibattito nel partito», spiega ammettendo che il
«momento è difficile. Ne abbiamo passate tante, ma siamo
resilienti». Alla domanda se ci
sarà l’alleanza di Fi con la Lega di
Matteo Salvini, Gelmini risponde: «Non è questo il punto.
Forza Italia deve avere una linea
politica chiara, tornare in mezzo
alla gente e rimarcare la propria
identità. Salvini è la destra. Noi
vogliamo restare ancorati al Partito popolare europeo, non
uscire dall’euro. Il nostro modello è l’Ump di Sarkozy, non la
destra di Marine Le Pen». Riguardo alle alleanze e al futuro
del centrodestra la Gelmini aggiunge: «Con Salvini si può essere alleati, ma non detta lui la
linea, siamo noi l’architrave della
coalizione di centrodestra, non il
contrario». Alle Regionali, aggiunge, «se si trova l’equilibrio
giusto, bene. Altrimenti andremo da soli. Le Regionali non
sono il nostro obiettivo, noi pensiamo alle Politiche, torneremo
un grande partito. Costituiremo
l’Ump italiana. Per la Gelmini,
Berlusconi resta il leader: «Solo
lui per 20 anni ha tenuto unito il
centrodestra. E ora dialoga sia
con Salvini sia con Ncd».
MARTEDì 31.03.2015
I CENTRI SOCIALI SI COPRONO DI VERGOGNA:
INSULTI ALLA MEMORIA DI ALMIRANTE
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di Annamaria Gravino
Non sono riusciti a far saltare il convegno e così hanno cercato di rovinarlo. Ma anche in questo hanno
fallito. Gli antagonisti di Trento si
sono nuovamente scagliati contro
l’incontro in memoria di Giorgio Almirante, promosso in occasione del
centenario della nascita, anche alla
luce del legame particolare che lo
legava al territorio e che è stato ripercorso nel libro Giorgio Almirante
e il Trentino Alto Adige. Il convegno
è lo stesso che si sarebbe dovuto
tenere il 12 dicembre, ma che saltò
quando il fronte antifascista cavalcò
pretestuosamente la coincidenza
con l’anniversario della strage di
Piazza Fontana e la Regione fece
marcia indietro ritirando la concessione della sala. Stavolta non c’era
“scusa” a cui appellarsi e il convegno si è svolto regolarmente, per
altro con grande partecipazione.
Agli antagonisti, dunque, non è rimasto che percorrere la strada che
sono soliti imboccare in queste si-
tuazioni: tentare di far saltare l’appuntamento con l’intimidazione. E
dunque è stato convocato l’immancabile corteo antifascista, che è arrivato fin davanti alla regione, dove
si stava svolgendo l’incontro organizzato da Alessandro Urzì, Claudio
Taverna e Cristiano de Eccher, con
il patrocinio della Fondazione Alleanza Nazionale. Davanti alla sede
della Regione gli antifascisti, una
cinquantina in tutto, hanno trovato
un imponente presenza delle forze
dell’ordine e l’unica cosa che sono
riusciti a fare è stata imbrattare la
facciata del palazzo con della vernice rossa, «come il sangue dei partigiani uccisi da Almirante», è stata
la farneticante rivendicazione che
hanno affidato a una loro pagina
web. «Più che antifascisti, direi che
erano sono i soliti sbandati dei centri sociali, che qui comunque sono
piuttosto attivi», ha commentato
Urzì, chiarendo che questo episodio conferma come a dicembre la
coincidenza del convegno con l’anniversario della strage di Piazza
Fontana fosse «solo un pretesto»,
una strumentalizzazione.
BOSSI: ESPELLERE DAL PARTITO SPETTA A ME, TOSI MI SCRIVA E LO FACCIO RIENTRARE
di Priscilla Del Ninno
L’allontanamento di Tosi? Uno
«svarione». Così Umberto Bossi
stigmatizza con poche, ma efficaci
parole, l’interminabile polemica a
distanza tra Matteo Salvini e il sindaco di Verona, in rotta di collisione fino all’istante prima
dell’addio al partito del primo cittadino scaligero. E rispolverando
sapienza politica e saggezza da
consumato leader, il senatùr argomenta pure il giudizio tranchant ri-
servato alla bagarre tra i due separati in casa del Carroccio, arrivati al divorzio politico tutt’altro
che consensuale. «Non butto fuori
chi è con noi da 20 anni. E prima
di farlo uscire semmai – ha spiegato Bossi – avrei fatto l’accordo
con Forza Italia nel Veneto; ora c’è
il rischio che lo faccia lui». Parole
da vecchia volpe della politica che,
archiviati il cielodurismo d’accatto
della prima ora, si dimostra oggi
più incline al ragionamento strate-
gico e alla decisione ponderata.
Un Bossi, dunque, portavoce di
parole salutate con sorpresa, perché dette da un suo «nemico»,
dallo stesso Flavio Tosi, che ha ringraziato e rilanciato sottolineando
che «la decisione di buttarmi fuori
è stata del segretario Salvini»,
come a dire: qualunque recriminazione deve essere indirizzata a lui.
E ancora, non pago, spariglia le
carte sul tavolo il decano del Carroccio e rilancia: «Se Tosi mi scrive,
lo faccio rientrare», ha chiosato
Bossi a Bergamo nel corso della
festa per i 30 anni della Lega. Ma
sull’argomento Salvini non retrocede di un passo, anzi. «Non provo
rabbia verso chi esce dalla Lega, è
gente che fa tristezza: faranno la
fine dei vermi come chiunque
esce dalla Lega», ha elevato al
cubo il tono delle polemiche il leader della Lega parlando sul palco,
a Bergamo, e riferendosi chiaramente ai parlamentari legati a Flavio Tosi fuoriusciti dal Carroccio.
«Ti possono promettere una montagna di soldi, campagne elettorali
costose – ha proseguito Matteo
Salvini – ma serate come questa
non te le possono dare. Mi dispiace per loro – ha quindi concluso rincarando la dose – perché
in Veneto andiamo a stravincere».
E sul finale, a chi gli chiede di commentare le dichiarazioni di Bossi a
riguardo, liquida laconico: «Bossi?
È libero di pensare quello che
vuole»…
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I NUMERI NON PERDONANO: ECCO PERCHÉ
RENZI E I SUOI DICONO “BUGIE”
di Valeria Gelsi
Un tour nelle capitali «europee e
mondiali» per raccontare il Jobs Act.
Lo ha annunciato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, sostenendo che
«diversi amministratori italiani e europei di multinazionali dicono che
siamo tornati tra i paesi in cui si può
investire, siamo tornati competitivi». È
stato poi a un incontro con le categorie che Poletti ha sostenuto che «quest’anno per le assunzioni ci sono 1,9
miliardi di sgravi e questo potrebbe
portare fino a un milione di posti di lavoro», che è un «numerone, ma – ha
detto il ministro del Lavoro – i primi
sintomi ci sono». Stando ai dati presentati dall’Ufficio parlamentare di bilancio, però, la realtà sarebbe diversa
e la riforma del lavoro non sarebbe
affatto quel successo che il governo
va propagandando. Una denuncia ar-
rivata da Renato Brunetta, sottolineando che «come si sa, con le bugie
non si va lontano». «Ricordiamo ancora una volta a Renzi le sue stesse
parole, pronunciate a Londra il 1°
aprile 2014: “Vedrete nei prossimi
mesi come il cambiamento nel mercato del lavoro porterà l’Italia a tornare sotto il 10% nel tasso di
disoccupazione“. È passato un anno e
siamo ancora ben lontani da questo
mirabolante obiettivo. Basta prendere in giro gli italiani», ha detto il capogruppo di Forza Italia alla Camera,
spiegando che «sui 79mila nuovi posti
di lavoro a tempo indeterminato
sbandierati da Renzi e Poletti – ha aggiunto Brunetta – ormai l’imbroglio è
stato svelato». Brunetta ha presenta
quindi il resoconto dell’Ufficio parlamentare di bilancio, chiarendo che «i
punti critici» sono cinque:
1) Diffondere i dati sui nuovi contratti
e non sulle cessazione. Una scelta cui
si aggiunge la “furbizia” di usare per i
confronti «l’orizzonte temporale di
volta in volta più utile».
2) I dati sulle nuove assunzioni si riferiscono a gennaio-febbraio. Se ne ricava, ha spiegato Brunetta, che le
assunzioni «sono frutto delle decontribuzioni» e «non certo del contratto
a tutele crescenti del Jobs act», entrato in vigore a marzo.
3) La differenza tra le nuove assunzioni a fine febbraio 2015 «differisce
di molto poco» rispetto al febbraio
2014. Inoltre, «i 79.000 contratti in più
di Renzi e Poletti» sono la conseguenza dell’attesa delle aziende per
l’entrata in vigore delle decontribuzioni.
4) I «“posti fissi in più” non sono nuova
occupazione, bensì occupazione so-
stitutiva». Infatti «nella quasi totalità
dei casi, si tratta di riconversioni di
vecchi contratti».
5) «Per la decontribuzione delle
nuove assunzioni il governo ha stanziato solo 1,9 miliardi, con un limite di
8.060 euro per ogni unità». «Ma
quando le risorse finiranno – ha chiesto Brunetta – cosa succederà?» Ma a
definire «operazione maquillage»
l’azione di Renzi sul lavoro è anche il
senatore del Pd Corradino Mineo.
«Sono andato sabato alla manifestazione di Landini. Ho visto tante teste
grigie preoccupate su quello che sarà
il loro futuro. L’operazione di Renzi sul
lavoro è solo maquillage», ha detto
Mineo intervenendo ad Agorà su RaiTre, per poi aggiungere che «l’ apprendistato ad esempio è un meccanismo
che produce milioni di posti di lavoro
in tutto il mondo. Ma se a noi mancano investimenti e una vera politica
industriale che cosa potremmo mai
produrre in un mercato globale?».
sidente ha consentito a molti, che non
avevano neanche una base personale
e politica, di ricoprire ruoli istituzionali
e non. Oggi quelle stesse persone non
capiscono che, a fronte di un leader
forte che la sinistra ha trovato, bisognerebbe tenere il partito unito anche
per contrastare l’ascesa del centrodestra di Salvini». Una disamina che non
fa sconti, quella proposta dalla Polverini intervenendo ad Agorà su Rai Tre,
dove la deputata di Forza Italia, in un
parallelo con le elezioni dipartimentali
francesi, ha peraltro sostenuto: «Domenica la Francia ci ha insegnato che
se esiste un centrodestra moderato,
anche la destra estrema arretra. Invece, in Forza Italia si continua a discutere e a litigare». E a proposito di non
fare sconti a nessuno, dopo gli affondi
introduttivi, la Polverini ha concluso il
suo intervento al talk show di Raitre
affidando alla chiosa la stoccata finale:
«In una prima fase, quella che riguardava la discussione sulle primarie, ho
condiviso la battaglia che Fitto voleva
portare avanti», ha riconosciuto la deputata, «ma la politica é molto fluida,
dinamica e cambia continuamente. Ci
siamo trovati, infatti, di fronte ad un
momento delicato per la scelta del
Capo dello Stato, ma purtroppo siamo
stati distratti in beghe interne togliendo forza al partito prima ancora
che a Berlusconi che, comunque,
credo stia elaborando la modalità con
cui tornare in campo. Del resto – ha
quindi concluso sardonicamente
l’esponente azzurra – quando ha fatto
un passo indietro ed ha lasciato il partito ad Alfano siamo scesi all’11 per
cento»…
POLVERINI: «BASTA BEGHE, BERLUSCONI È LA VERA VITTIMA DELLA GUERRA INTERNA»
di Redazione
Renata Polverini si associa all’sos lanciato da Paolo Romani. E rilancia sull’invito all’unitarietà di intenti, o quanto
meno alla sintesi moderata, sostenuto
con lo sfogo dei giorni scorsi dal capogruppo al Senato. «Purtroppo in Forza
Italia – affida la sua recriminazione a
una nota la deputata forzista – come
del resto sta accadendo in tutti i partiti, ci sono delle fibrillazioni interne
che, nel corso del tempo, si sono
acuite perché Berlusconi, a causa
delle note vicende, non è potuto essere costantemente presente». Un approccio soft, quello dell’esponente
azzurra ed ex leader dell’Ugl, prodromico all’esortazione alla cautela e all’unitarietà che segue a stretto giro. In
questo momento, prosegue infatti la
Polverini, «è necessario mettere da
Editore
SECOLO D’ITALIA SRL
Fondatore
Franz Turchi
parte i rancori e gli interessi personali
perché sono convinta che con il dialogo e la discussione interna si possano ritrovare le condizioni per
proseguire e ricostruire, uniti attorno
al Presidente Berlusconi, un nuovo futuro per Forza Italia». In questa direzione – aggiunge quindi la deputata di
FI – va lo sfogo del capogruppo al Senato Paolo Romani che ha voluto dare
un segnale forte per richiamare tutti
all’interno del partito ad un’unità necessaria, soprattutto in vista delle elezioni regionali che saranno un
importante banco di prova». Una sfida
non soltanto elettorale che il partito
affronta in questo momento in cui –
denuncia la Polverini – «Berlusconi è
vittima di una classe dirigente che non
si sta mostrando all’altezza delle sfide
che ci attendono. Per tanti anni, il Pre-
Consiglio di Amministrazione
Tommaso Foti (Presidente)
Ugo Lisi (Vicepresidente)
Antonio Giordano (AD)
Italo Bocchino
Antonio Tisci
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Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23.02.76
MARTEDì 31.03.2015
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