Nella tangentopoli ischitana il nome di D`Alema
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Nella tangentopoli ischitana il nome di D`Alema
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23.02.76 ANNO LXIII N.74 MARTEDì 31.03.2015 SECOLODITALIA.IT EDITORIALE Nella tangentopoli ischitana il nome di D’Alema: «Mette le mani nella merda» Spunta il nome di Massimo D’Alema nell’inchiesta sulle tangenti per la metanizzazione a Ischia che in queste ore ha portato all’arresto del sindaco Giusy Ferrandino, del Pd, e di altre 8 persone, tra le quali alcuni dirigenti dell’ufficio tecnico del comune isolano ed i rappresentanti della Clp-Concordia, colosso modenese legato alle cooperative rosse. In una delle intercettazioni ambientali dell’11 marzo 2014, uno degli arrestati, Francesco Simone, dirigente della CPL chiama in causa D’Alema mentre parla con il responsabile commerciale della coop, Nicola Verrini, sottolineando la necessità di «investire negli Italiani Europei (la fondazione presieduta dall’ex-leader dei Ds, ndr) dove D’Alema sta per diventare Commissario Europeo» dal momento che «… D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi ci ha dato delle cose». Una conversazione che di Redazione per il gip «appare di estremo rilievo». L’ex-premier definisce «scandalosa ed offensiva» la divulgazione di brani intercettati non attinenti all’indagine e nega qualsiasi scambio di favori con la Coop rossa, pur riconoscendo di averle venduto 2000 bottiglie di vino da lui prodotto e un imprecisato numero di libri editi dalla fondazione. La presa di distanza di D’Alema è quasi obbligata se si considera che il nome della Clp-Concordia figura anche nei verbali riempiti dalle dichiarazioni di Antonio Iovine, alias ‘o Ninno, già inafferrabile boss dei casalesi e dallo scorso anno collaboratore di giustizia. Iovine cita la coop modenese in riferimento ai subappalti per i lavori di metanizzazione di 6 comuni della provincia di Caserta, tra cui Casal di Principe, negli anni che vanno dal 2000 al 2003, svelando gravi anomalie (poi riscontrate) nell’esecuzione dei lavori. Anomalie in grado di causare danni alla popolazione. Anche in quel caso, emerge il ruolo del partito di D’Alema, allora rappresentato su quel territorio da Lorenzo Diana, senatore impegnato nella commissione parlamentare antimafia. A fare il nome di Diana è lo stesso ufficio legale della Cpl Concordia in una richiesta di rettifica inviata al Fatto Quotidiano.it, in cui tra l’altro si legge: «Da ultimo ribadiamo che fra coloro che negli anni hanno sollecitato il nostro intervento per lo sviluppo del difficile territorio campano è stato Lorenzo Diana (…) il quale ha partecipato più volte alle assemblee di Cpl Concordoa, vive dal 1994 sotto scorta ed è uno dei pochi politici citati da Roberto Saviano in “Gomorra” come persona fortemente impegnata nella lotta alle mafie». PRIMO PIANO IL MODELLO SARKOZY PUÒ FAR TORNARE A VINCERE IL CENTRODESTRA IN ITALIA di Italo Bocchino 2 La vittoria di Nicolas Sarkozy alle elezioni dipartimentali francesi andrebbe presa a modello dal centrodestra italiano per tornare a vincere. Il risultato è netto, con l’Ump che conquista il 70% dei dipartimenti, lasciando il resto ai socialisti del presidente Francois Hollande, che ne aveva... ROSY BINDI ATTACCA RENZI: «STAI CANCELLANDO LA NOSTRA RAGION D’ESSERE» di Redazione 3 Dire che ci siano fibrillazioni a poche ore dalla direzione del Pd è dire poco. Dopo Pippo Civati, che ha annunciato di non partecipare alla “conta” sull’Italicum, invitando le altre minoranze a fare altrettanto, non cedendo agli aut aut di Renzi... I NUMERI NON PERDONANO: ECCO PERCHÉ RENZI E I SUOI DICONO “BUGIE” di Valeria Gelsi 6 Un tour nelle capitali «europee e mondiali» per raccontare il Jobs Act. Lo ha annunciato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, sostenendo che «diversi amministratori italiani e europei di multinazionali dicono che siamo tornati tra i paesi in cui si può investire, siamo tornati competitivi»... 2 IL MODELLO SARKOZY PUÒ FAR TORNARE A VINCERE IL CENTRODESTRA IN ITALIA di Italo Bocchino La vittoria di Nicolas Sarkozy alle elezioni dipartimentali francesi andrebbe presa a modello dal centrodestra italiano per tornare a vincere. Il risultato è netto, con l’Ump che conquista il 70% dei dipartimenti, lasciando il resto ai socialisti del presidente Francois Hollande, che ne aveva il doppio. Resta a bocca asciutta Marin Le Pen, che con il suo Front National non conquista neanche un dipartimento nonostante il 25% dei voti. Le lezioni che vengono dalla Francia sono almeno tre: vince la destra di governo, perde la destra estrema, per vincere serve uno spostamento a destra. La prima e la seconda lezione sono utili per riflettere sui rapporti nel centrodestra italiano, dove l’ascesa mediatica e nei sondaggi della Lega di Matteo Salvini ha spostato l’asse verso una destra antieuropea ed estrema per la quale sarà impossibile avere i numeri per governare senza allearsi con l’area moderata e favorevole all’Europa. La Lega può portare voti all’alleanza del centrodestra, ma per contribuire a farlo vincere deve far comprendere agli elettori che la sua posizione, pur risultando più estrema, giungerà ad una mediazione nell’ambito di una coalizione. Senza questo presuppo- di Lando Chiarini LA NOTIZIA «AVEVA LA BARBA LUNGA»: CONDANNATO IN CINA A 6 ANNI DI CARCERE. È UIGHURO di Liliana Giobbi sto Salvini rischia di fare la fine della Le Pen, prendendo tanti voti senza poi governare nulla. La terza lezione riguarda i contenuti programmatici. Sarkozy per vincere si è dovuto spostare a destra, puntando su due argomenti: identità nazionale e sicurezza legata al tema dell’immigrazione. Per far percepire appieno questo spostamento politico in gran parte dei dipartimenti non si è presentato come Ump (Unione per un movimento popolare), ma come Unione per la destra. La sua identità nazionale è diversa dalla Le Pen, non vuole la Francia fuori dall’Europa unita, ma la vuole identitaria nel con- testo comunitario. La sua politica per la sicurezza è contro l’immigrazione clandestina, ma declinata senza alcuna ombra xenofoba. La svolta di Sarkozy potrebbe quindi rappresentare il modello da importare per far tornare a vincere il centrodestra in Italia. I soggetti alternativi alla sinistra e diversi dalla Lega sono ormai frammentati (da Silvio Berlusconi a Raffaele Fitto, da Giorgia Meloni a Flavio Tosi e Angelino Alfano), ma se trovassero un percorso unitario per costruire una sorta di federazione simile all’Ump francese potrebbero – ovviamente senza escludere la Lega – tornare ad essere maggioranza. Murialdi ex-Cda Rai – al solo scopo di accontentare il Pci. Successivamente, con il Cda nel frattempo ridotto a cinque e tutto di nomina (e di revoca) da parte dei presidenti di Camera e Senato, l’avvento del sistema bipolare trasformò la lottizzazione da scienza esatta in pratica a rischio errori, abbagli ed approssimazioni. Il trasformismo politico di cui cominciarono a riempirsi le cronache dei partiti con cambi di casacca in dosi sempre più massicce, trovò nella Rai il suo riflesso professionale. Ed il rapporto tra politica e la più importante azienda culturale nazionale s’invertì completamente: non era più il partito a lottizzare ma il lottizzato a scegliere il lottizzatore. L’antica concorrenza tra i partiti stava lasciando il posto allo scontro tra schieramenti sul conflitto d’interesse, abilmente declinato negli ultimi vent’anni come interesse al conflitto al solo scopo di conservare alla sinistra «l’argenteria di famiglia» (copyright Giuliano Amato). La lottizzazione dalla quale dice di volerci liberare Renzi è in realtà da tempo una foto assai ingiallita. Andando alla polpa, il premier ha introdotto la figura dell’amministratore delegato, proposto dal Cda ma votato dal Tesoro, cioè dal governo. E questo rende la foto della Rai addirittura color seppia dal momento che da almeno trent’anni la giurisprudenza costituzionale è coerentemente attestata sulla Rai del Parlamento. Renzi, insomma, ci sta provando e ancora una volta con astuzia inversamente proporzionale alla lungimiranza che è lecito attendersi da un uomo di governo. In realtà, il premier non vuole liberare la Rai dai partiti, che da un pezzo non ci sono più. La vuole solo per sé come tappa ulteriore del suo percorso di potere. Un uomo solo al tele-comando. RENZI, UN UOMO SOLO AL TELECOMANDO: LA RIFORMA RAI SERVE SOLO A QUESTO Per dirla in poche parole, la cosiddetta riforma della Rai voluta da Renzi non solo non libera la Rai dai partiti ma addirittura la rinfila nelle grinfie del governo. Un vero passo in avanti – si fa per dire – se solo si considera che dalla riforma del 1975 alla Gasparri del 2004, passando per la Mammì del 1990 e la legge 206 del ’93, il filo conduttore è sempre consistito nel considerare il Parlamento l’editore del servizio pubblico radiotelevisivo. Una scelta che nella Prima Repubblica comportò come effetto collaterale (ma non per questo indesiderato) la lottizzazione di tutto il lottizzabile: dai tg alle reti, ai conduttori. Si salvarono per miracolo solo le previsioni del tempo. Il sistema raggiunse la sua perversa perfezione con la realizzazione della terza rete, nata – come raccontain Maledetti Professori un uomo di sinistra come Paolo MARTEDì 31.03.2015 Due uighuri, marito e moglie, sono stati condannati a sei e due anni di prigione in Cina per aver esibito simboli della loro fede religiosa, la barba lunga. Secondo il quotidiano China Youth Daily i due sono stati arrestati e processati a Kashgar, nel nordovest della Cina, per «aver suscitato polemiche e creato problemi». Il giornale aggiunge che il marito, di 38 anni, «si stava facendo crescere la barba dal 2010» e che la moglie «portava un velo che le copriva il volto e indossava un burqa». Kashgar è un centro culurale della minoranza etnica uighura, originaria della provincia del Xinjiang. Gli uighuri sono turcofoni e musulmani e dal 2009 sono in rivolta contro il governo di Pechino, che accusano di lasciarli ai margini della vita economica e sociale per favorire la maggioranza di etnia “han”. Dal 2009 decine di persone sono morte in scontri a sfondo etnico, mentre arresti e processi sono centinaia. Secondo le organizzazioni umanitarie l’anno scorso sono state condotte nel Xinjiang oltre 40 esecuzioni capitali. Pechino sostiene che nella regione sono attivi gruppi estremisti legati all’ internazionale islamica del terrore. Gli esuli uighuri ribattono che si tratta di esagerazioni volte a giustificare la repressione cinese. Per gli uighuri i dati sono drammatici, negli ultimi mesi si arriva a un totale di oltre 50 tra condanne ed esecuzioni, che probabilmente rappresentano solo una frazione del numero totale. In giugno, in due diversi processi, sono state comminate un totale di 12 condanne alla pena capitale, mentre 13 condannati sono stati messi a morte. In agosto, la stampa governativa ha annunciato l’avvenuta esecuzione di otto persone. In settembre sono state comminate tre condanne a morte per l’attentato del primo marzo a Kunming, nella Cina meridionale. MARTEDì 31.03.2015 ROSY BINDI ATTACCA RENZI: «STAI CANCELLANDO LA NOSTRA RAGION D’ESSERE» 3 di Redazione Dire che ci siano fibrillazioni a poche ore dalla direzione del Pd è dire poco. Dopo Pippo Civati, che ha annunciato di non partecipare alla “conta” sull’Italicum, invitando le altre minoranze a fare altrettanto, non cedendo agli aut aut di Renzi., anche Rosy Bindi si scaglia contro Renzi, in particolare con i forti limiti dell’Italicum, che boccia senza appello. «Non faccio parte della direzione del partito ma mi sento impegnata in Parlamento a modificare una legge elettorale che presenta ancora limiti molto forti. Auspico perciò che in direzione si faccia un confronto vero e approfondito sui diversi nodi ancora aperti e non l’ennesima conta per una ratifica di scelte che non producono le riforme istituzionali di cui ha bisogno il Paese e la nostra democrazia. Le riforme servono ma vanno fatte bene pensando al futuro e non alle convenienze del presente». Parole forti e chiare. Come chiari sono i limiti che la Bindi rileva riguardo la legge elettorale, una delle riforme, appunto, fatte in fretta e male. «L’abbinamento tra riforma della Costituzione e riforma elettorale con il premio alla lista smentisce la ragion d’essere del Pd che era nato per rafforzare la democrazia dell’alternanza e il bipolarismo, e prefigura una democrazia più povera nelle garanzie istituzionali e nel pluralismo politico». Le parole di Rosy Bindi, deputata Pd e presidente della commissione Antimafia, a poche ore dalla riunione della direzione Pd serviranno a dare uno scossone alla minoranza interna al partito di Renzi? La partita è tutta da giocare, ma intanto la Bindi stigmatizza tutti i punti critici dell’Italicum secondo Renzi. «La legge elettorale presenta ancora limiti molto forti – sottolinea – Ritengo essenziale restituire il premio di maggioranza alla coalizione e non basterà diminuire il numero dei capilista bloccati». Diversamente, «il premio alla lista e non anche alla coalizione, unito alla soglia del 3%, nell’attuale contesto politico rende impossibile ricostruire forti campi politici alternativi e facilita la formazione del partito unico della nazione che con una sola Camera sede della fiducia al governo, diventa un partito pigliatutto e ha vita facile a trattare con tante piccole minoranze in lotta tra loro». Sull’Italicum si prospetta un’altra inutile votazione- farsa. La minoranza sa già che non potrà fare nulla, così sposta lo scontro alla Camera. «La trasformazione della direzione in un plebiscito e aut aut non aiuta affatto e di per sé costituisce una risposta definitiva alle richieste di confronto venute da più parti. Facciamo le proposte in Aula, in coerenza con quanto accaduto in Senato: riproponiamo la questione complessiva delle riforme, come peraltro avevo chiesto si facesse anche per il voto finale in Aula sulla riforma costituzionale», propone Civati. La seconda proposta alle minoranze è poi quella di par- lare con voce sola: «Facciamo un unico intervento che ci rappresenti (e lascio volentieri la parola): definiamo una volta per tutte il campo di chi è in minoranza, perché le ambiguità di questi mesi non hanno fatto altro che creare confusione. Una minoranza che non si preoccupi delle sigle e dei posizionamenti, ma dei contenuti e della qualità della nostra democrazia. Non interessata ai posti, ma al pluralismo e alle garanzie». Gli uni contro gli altri armati, renziani e esponenti della minoranza Pd si preparano a darsi battaglia. L’esito è scontato (Renzi ha una vastissima maggioranza) ma il clima è infuocato: la minoranza insiste nel chiedere profonde modifiche alla legge elettorale che sta per arrivare all’esame della Camera, ma gli uomini di Renzi chiudono a ogni proposta di cambiamento. Per alcuni l’esito della votazione, però, non è scontato, come per un altro degli oppositori di Renzi, Corradino Mineo. «Non sono sicuro che questo pomeriggio in direzione Pd il voto sia scontato. Anche i bersaniani si sono convinti che questa è la loro ultima battaglia. Non so se il testo passerà così», argomenta Mineo intervenendo ad Agorà su Raitre. DIREZIONE PD, CIVATI : «NON PARTECIPO AL VOTO SULL’ITALICUM. NIENTE AUT AUT» di Augusta Cesari «Non partecipo al voto di oggi», in una direzione trasformata in «plebiscito e aut aut» e «facciamo le proposte in aula». A poche ore dalla riunione della direzione Pd sulle riforme e la legge elettorale il clima non è dei migliori. Pippo Civati scrive a Rosy Bindi, Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Alfredo D’Attorre, Francesco Boccia e Stefano Fassina. «Alle minoranze del Pd» il deputato avanza due proposte. La prima è non partecipare al voto in programma, la seconda è: «Facciamo un unico intervento che ci rappresenti (e lascio volentieri la parola)». 4 I GAY ADESSO SI SENTONO VITTIME DEI FASCISTI E… DI BENITO MUSSOLINI di Francesco Signoretta Aiuto, i fascisti. Aiuto, il fantasma di Mussolini. «La teoria gender è una bugia inventata di sana pianta come il complotto demoplutogiudaicomassonico degli anni ’30 di mussoliniana memoria. Anche allora era tutta un’invenzione ma fece danni enormi». Lo afferma il presidente di Gaynet Italia, Franco Grillini, secondo il quale «il cardinal Caffarra pronuncia fatwe assai poco equilibrate contro un nemico inesistente. “In Europa il riconoscimento dei diritti delle persone Lgbt è realtà ormai da decenni mentre l’Italia rimane un’isola infelice dove è difficile persino parlare di divorzio breve, di fine vita dignitoso, di diritti dei conviventi», commenta Grillini. «Forse Caffarra – conclude Grillini – non si è ancora accorto che il mondo è cambiato e non esiste più la Santa inquisizione che inventava streghe che palesemente non esistevano». «Una colonizzazione ideologica della scuola da cui ogni genitore e anche ogni insegnante, che abbia a LA NOTIZIA FORZA ITALIA, GELMINI: «SARKOZY È IL MODELLO, SALVINI NON DETTA LA LINEA» di Gabriele Alberti cuore l’educazione vera dei ragazzi, dovrebbe dissentire. Una scelta grave, fatta senza alcun coinvolgimento delle famiglie»: così Bologna Sette, il settimanale diocesano allegato ad Avvenire, boccia un’iniziativa del liceo Galvani, dove è stata programmata una serie di incontri sulla “Differenza di genere”, progetto del “Cassero gruppo scuola Arcigay”. Il genitore di una studentessa ha inviato a Bologna Sette e agli altri genitori della classe della figlia, la ‘4/a G’, una lettera di protesta per l’iniziativa, perché con l’espressione “identità di genere” – afferma – “si allude all’insegnamento dei principi dell’ideologia gender, che mira a qualificare il genere sessuale non sulla base della fisiologia della persona ma sul presupposto psicologico e culturale che ciascuno deve poter liberamente scegliere il proprio genere a prescindere dal dato fisico e naturale”. In precedenza, il cardinale Carlo Caffarra, nella veglia delle Palme con i giovani, aveva affermato che «esiste oggi una cataratta che può impedire di vedere la realtà dell’amore. È l’ideologia del gender, che vi impedisce di vedere lo splendore della differenza sessuale». SCUOLA, UNA PROF TIRA UN BANCO CONTRO L’ALUNNA E LE FRATTURA DUE COSTOLE di Ginevra Sorrentino Scuola, in aula come sul ring: a Tolentino (Macerata) una ragazzina di seconda media finisce in ospedale con due costole fratturate e un’ematoma. In base a quanto denunciato dalla madre ai carabinieri, la responsabilità sarebbe della insegnante di lingua straniera che le avrebbe scagliato contro un banco in uno scatto d’ira. Accade nell’Istituto comprensivo “Lucatelli” di Tolentino, e a quanto pare è solo l’ultimo e più grave episodio che ha per protagonista una docente ritenuta troppo aggressiva, già al centro delle proteste dei ragazzi e destinataria di un provvedimento di censura da parte della dirigente scolastica, Mara Amico. L’insegnante si sarebbe difesa sostenendo che la ragazzina aveva un atteggiamento «ostile», ma il referto del pronto soccorso zittisce qualunque argomento. Annulla MARTEDì 31.03.2015 recriminazione. qualunque Smorza qualsiasi giustificazione o rivendicazione: due costole rotte e un’ematoma, con 30 giorni di prognosi per l’adolescente. Il fatto risale al 4 marzo scorso, ma se ne è avuta notizia solo in queste ore, dopo la denuncia della madre della minore. Pochi i particolari che trapelano su questa vicenda delicata. Si sa che il sabato seguente dell’episodio i compagni di classe dell’adolescente hanno chiesto e ottenuto, spalleggiati dai genitori, di uscire prima da scuola saltando la le- zione di lingue. E che la dirigente scolastica aveva già informato l’Ufficio scolastico regionale degli strani metodi dell’insegnante, prima del banco tirato addosso all’alunna. La docente è stata convocata dall’Usr per i primi di aprile, e anche la Amico sarà ascoltata dai dirigenti Ufficio. Un caso inquietante destinato ad aggiungersi ai fatti di cronaca “scolastica”, sempre più al centro delle cronache quotidiane per storie di ordinaria follia maturate nel disagio e sfociate nella sopraffazione fisica e nella umiliazione psicologica. Una dimensione, quella della scuola, che solo a ripercorrere gli episodi degli ultimi mesi, tra bullismo giovanile e violenza adulta, risulta degradata al punto tale da far sembrare tutta quella nutrita letteratura cinematografica dedicata al crimine tra i banchi, eloquenti docureality ante litteram… Il periodo non facile di Forza Italia, le riflessioni sul futuro del partito e la tattica per le Regionali dominano il dibattito interno al partito di Silvio Berlusconi. «Il partito non è un condominio. Basta litigi, discutiamo di problemi seri», è il richiamo fatto dal Quotidiano nazionale di Maria Stella Gelmini che interviene sulle parole pronunciate da Paolo Romani a proposito di un partito «allo sbando». La Gelmini difende Romani, commentando: «Ha usato toni duri, ma in buona fede ha voluto dare un contributo al dibattito nel partito», spiega ammettendo che il «momento è difficile. Ne abbiamo passate tante, ma siamo resilienti». Alla domanda se ci sarà l’alleanza di Fi con la Lega di Matteo Salvini, Gelmini risponde: «Non è questo il punto. Forza Italia deve avere una linea politica chiara, tornare in mezzo alla gente e rimarcare la propria identità. Salvini è la destra. Noi vogliamo restare ancorati al Partito popolare europeo, non uscire dall’euro. Il nostro modello è l’Ump di Sarkozy, non la destra di Marine Le Pen». Riguardo alle alleanze e al futuro del centrodestra la Gelmini aggiunge: «Con Salvini si può essere alleati, ma non detta lui la linea, siamo noi l’architrave della coalizione di centrodestra, non il contrario». Alle Regionali, aggiunge, «se si trova l’equilibrio giusto, bene. Altrimenti andremo da soli. Le Regionali non sono il nostro obiettivo, noi pensiamo alle Politiche, torneremo un grande partito. Costituiremo l’Ump italiana. Per la Gelmini, Berlusconi resta il leader: «Solo lui per 20 anni ha tenuto unito il centrodestra. E ora dialoga sia con Salvini sia con Ncd». MARTEDì 31.03.2015 I CENTRI SOCIALI SI COPRONO DI VERGOGNA: INSULTI ALLA MEMORIA DI ALMIRANTE 5 di Annamaria Gravino Non sono riusciti a far saltare il convegno e così hanno cercato di rovinarlo. Ma anche in questo hanno fallito. Gli antagonisti di Trento si sono nuovamente scagliati contro l’incontro in memoria di Giorgio Almirante, promosso in occasione del centenario della nascita, anche alla luce del legame particolare che lo legava al territorio e che è stato ripercorso nel libro Giorgio Almirante e il Trentino Alto Adige. Il convegno è lo stesso che si sarebbe dovuto tenere il 12 dicembre, ma che saltò quando il fronte antifascista cavalcò pretestuosamente la coincidenza con l’anniversario della strage di Piazza Fontana e la Regione fece marcia indietro ritirando la concessione della sala. Stavolta non c’era “scusa” a cui appellarsi e il convegno si è svolto regolarmente, per altro con grande partecipazione. Agli antagonisti, dunque, non è rimasto che percorrere la strada che sono soliti imboccare in queste si- tuazioni: tentare di far saltare l’appuntamento con l’intimidazione. E dunque è stato convocato l’immancabile corteo antifascista, che è arrivato fin davanti alla regione, dove si stava svolgendo l’incontro organizzato da Alessandro Urzì, Claudio Taverna e Cristiano de Eccher, con il patrocinio della Fondazione Alleanza Nazionale. Davanti alla sede della Regione gli antifascisti, una cinquantina in tutto, hanno trovato un imponente presenza delle forze dell’ordine e l’unica cosa che sono riusciti a fare è stata imbrattare la facciata del palazzo con della vernice rossa, «come il sangue dei partigiani uccisi da Almirante», è stata la farneticante rivendicazione che hanno affidato a una loro pagina web. «Più che antifascisti, direi che erano sono i soliti sbandati dei centri sociali, che qui comunque sono piuttosto attivi», ha commentato Urzì, chiarendo che questo episodio conferma come a dicembre la coincidenza del convegno con l’anniversario della strage di Piazza Fontana fosse «solo un pretesto», una strumentalizzazione. BOSSI: ESPELLERE DAL PARTITO SPETTA A ME, TOSI MI SCRIVA E LO FACCIO RIENTRARE di Priscilla Del Ninno L’allontanamento di Tosi? Uno «svarione». Così Umberto Bossi stigmatizza con poche, ma efficaci parole, l’interminabile polemica a distanza tra Matteo Salvini e il sindaco di Verona, in rotta di collisione fino all’istante prima dell’addio al partito del primo cittadino scaligero. E rispolverando sapienza politica e saggezza da consumato leader, il senatùr argomenta pure il giudizio tranchant ri- servato alla bagarre tra i due separati in casa del Carroccio, arrivati al divorzio politico tutt’altro che consensuale. «Non butto fuori chi è con noi da 20 anni. E prima di farlo uscire semmai – ha spiegato Bossi – avrei fatto l’accordo con Forza Italia nel Veneto; ora c’è il rischio che lo faccia lui». Parole da vecchia volpe della politica che, archiviati il cielodurismo d’accatto della prima ora, si dimostra oggi più incline al ragionamento strate- gico e alla decisione ponderata. Un Bossi, dunque, portavoce di parole salutate con sorpresa, perché dette da un suo «nemico», dallo stesso Flavio Tosi, che ha ringraziato e rilanciato sottolineando che «la decisione di buttarmi fuori è stata del segretario Salvini», come a dire: qualunque recriminazione deve essere indirizzata a lui. E ancora, non pago, spariglia le carte sul tavolo il decano del Carroccio e rilancia: «Se Tosi mi scrive, lo faccio rientrare», ha chiosato Bossi a Bergamo nel corso della festa per i 30 anni della Lega. Ma sull’argomento Salvini non retrocede di un passo, anzi. «Non provo rabbia verso chi esce dalla Lega, è gente che fa tristezza: faranno la fine dei vermi come chiunque esce dalla Lega», ha elevato al cubo il tono delle polemiche il leader della Lega parlando sul palco, a Bergamo, e riferendosi chiaramente ai parlamentari legati a Flavio Tosi fuoriusciti dal Carroccio. «Ti possono promettere una montagna di soldi, campagne elettorali costose – ha proseguito Matteo Salvini – ma serate come questa non te le possono dare. Mi dispiace per loro – ha quindi concluso rincarando la dose – perché in Veneto andiamo a stravincere». E sul finale, a chi gli chiede di commentare le dichiarazioni di Bossi a riguardo, liquida laconico: «Bossi? È libero di pensare quello che vuole»… 6 I NUMERI NON PERDONANO: ECCO PERCHÉ RENZI E I SUOI DICONO “BUGIE” di Valeria Gelsi Un tour nelle capitali «europee e mondiali» per raccontare il Jobs Act. Lo ha annunciato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, sostenendo che «diversi amministratori italiani e europei di multinazionali dicono che siamo tornati tra i paesi in cui si può investire, siamo tornati competitivi». È stato poi a un incontro con le categorie che Poletti ha sostenuto che «quest’anno per le assunzioni ci sono 1,9 miliardi di sgravi e questo potrebbe portare fino a un milione di posti di lavoro», che è un «numerone, ma – ha detto il ministro del Lavoro – i primi sintomi ci sono». Stando ai dati presentati dall’Ufficio parlamentare di bilancio, però, la realtà sarebbe diversa e la riforma del lavoro non sarebbe affatto quel successo che il governo va propagandando. Una denuncia ar- rivata da Renato Brunetta, sottolineando che «come si sa, con le bugie non si va lontano». «Ricordiamo ancora una volta a Renzi le sue stesse parole, pronunciate a Londra il 1° aprile 2014: “Vedrete nei prossimi mesi come il cambiamento nel mercato del lavoro porterà l’Italia a tornare sotto il 10% nel tasso di disoccupazione“. È passato un anno e siamo ancora ben lontani da questo mirabolante obiettivo. Basta prendere in giro gli italiani», ha detto il capogruppo di Forza Italia alla Camera, spiegando che «sui 79mila nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato sbandierati da Renzi e Poletti – ha aggiunto Brunetta – ormai l’imbroglio è stato svelato». Brunetta ha presenta quindi il resoconto dell’Ufficio parlamentare di bilancio, chiarendo che «i punti critici» sono cinque: 1) Diffondere i dati sui nuovi contratti e non sulle cessazione. Una scelta cui si aggiunge la “furbizia” di usare per i confronti «l’orizzonte temporale di volta in volta più utile». 2) I dati sulle nuove assunzioni si riferiscono a gennaio-febbraio. Se ne ricava, ha spiegato Brunetta, che le assunzioni «sono frutto delle decontribuzioni» e «non certo del contratto a tutele crescenti del Jobs act», entrato in vigore a marzo. 3) La differenza tra le nuove assunzioni a fine febbraio 2015 «differisce di molto poco» rispetto al febbraio 2014. Inoltre, «i 79.000 contratti in più di Renzi e Poletti» sono la conseguenza dell’attesa delle aziende per l’entrata in vigore delle decontribuzioni. 4) I «“posti fissi in più” non sono nuova occupazione, bensì occupazione so- stitutiva». Infatti «nella quasi totalità dei casi, si tratta di riconversioni di vecchi contratti». 5) «Per la decontribuzione delle nuove assunzioni il governo ha stanziato solo 1,9 miliardi, con un limite di 8.060 euro per ogni unità». «Ma quando le risorse finiranno – ha chiesto Brunetta – cosa succederà?» Ma a definire «operazione maquillage» l’azione di Renzi sul lavoro è anche il senatore del Pd Corradino Mineo. «Sono andato sabato alla manifestazione di Landini. Ho visto tante teste grigie preoccupate su quello che sarà il loro futuro. L’operazione di Renzi sul lavoro è solo maquillage», ha detto Mineo intervenendo ad Agorà su RaiTre, per poi aggiungere che «l’ apprendistato ad esempio è un meccanismo che produce milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. Ma se a noi mancano investimenti e una vera politica industriale che cosa potremmo mai produrre in un mercato globale?». sidente ha consentito a molti, che non avevano neanche una base personale e politica, di ricoprire ruoli istituzionali e non. Oggi quelle stesse persone non capiscono che, a fronte di un leader forte che la sinistra ha trovato, bisognerebbe tenere il partito unito anche per contrastare l’ascesa del centrodestra di Salvini». Una disamina che non fa sconti, quella proposta dalla Polverini intervenendo ad Agorà su Rai Tre, dove la deputata di Forza Italia, in un parallelo con le elezioni dipartimentali francesi, ha peraltro sostenuto: «Domenica la Francia ci ha insegnato che se esiste un centrodestra moderato, anche la destra estrema arretra. Invece, in Forza Italia si continua a discutere e a litigare». E a proposito di non fare sconti a nessuno, dopo gli affondi introduttivi, la Polverini ha concluso il suo intervento al talk show di Raitre affidando alla chiosa la stoccata finale: «In una prima fase, quella che riguardava la discussione sulle primarie, ho condiviso la battaglia che Fitto voleva portare avanti», ha riconosciuto la deputata, «ma la politica é molto fluida, dinamica e cambia continuamente. Ci siamo trovati, infatti, di fronte ad un momento delicato per la scelta del Capo dello Stato, ma purtroppo siamo stati distratti in beghe interne togliendo forza al partito prima ancora che a Berlusconi che, comunque, credo stia elaborando la modalità con cui tornare in campo. Del resto – ha quindi concluso sardonicamente l’esponente azzurra – quando ha fatto un passo indietro ed ha lasciato il partito ad Alfano siamo scesi all’11 per cento»… POLVERINI: «BASTA BEGHE, BERLUSCONI È LA VERA VITTIMA DELLA GUERRA INTERNA» di Redazione Renata Polverini si associa all’sos lanciato da Paolo Romani. E rilancia sull’invito all’unitarietà di intenti, o quanto meno alla sintesi moderata, sostenuto con lo sfogo dei giorni scorsi dal capogruppo al Senato. «Purtroppo in Forza Italia – affida la sua recriminazione a una nota la deputata forzista – come del resto sta accadendo in tutti i partiti, ci sono delle fibrillazioni interne che, nel corso del tempo, si sono acuite perché Berlusconi, a causa delle note vicende, non è potuto essere costantemente presente». Un approccio soft, quello dell’esponente azzurra ed ex leader dell’Ugl, prodromico all’esortazione alla cautela e all’unitarietà che segue a stretto giro. In questo momento, prosegue infatti la Polverini, «è necessario mettere da Editore SECOLO D’ITALIA SRL Fondatore Franz Turchi parte i rancori e gli interessi personali perché sono convinta che con il dialogo e la discussione interna si possano ritrovare le condizioni per proseguire e ricostruire, uniti attorno al Presidente Berlusconi, un nuovo futuro per Forza Italia». In questa direzione – aggiunge quindi la deputata di FI – va lo sfogo del capogruppo al Senato Paolo Romani che ha voluto dare un segnale forte per richiamare tutti all’interno del partito ad un’unità necessaria, soprattutto in vista delle elezioni regionali che saranno un importante banco di prova». Una sfida non soltanto elettorale che il partito affronta in questo momento in cui – denuncia la Polverini – «Berlusconi è vittima di una classe dirigente che non si sta mostrando all’altezza delle sfide che ci attendono. Per tanti anni, il Pre- Consiglio di Amministrazione Tommaso Foti (Presidente) Ugo Lisi (Vicepresidente) Antonio Giordano (AD) Italo Bocchino Antonio Tisci Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23.02.76 MARTEDì 31.03.2015 Direttore Editoriale Italo Bocchino Vicedirettore Responsabile Girolamo Fragalà Vicecaporedattore Francesco Signoretta Redazione via della Scrofa 39 - 00186 Roma 06 68817503 [email protected] Amministrazione via della Scrofa 39 - 00186 Roma 06 68817503 [email protected] Abbonamenti via della Scrofa 39 - 00186 Roma 06 68817503 [email protected]