Verticale Cabernet Sauvignon DoctorWine mar

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Verticale Cabernet Sauvignon DoctorWine mar
La Verticale
Cabernet Sauvignon Collezione De Marchi, il SuperCab
Francesco Annibali 09-03-2016
Un viaggio a ritroso attorno a uno dei più grandi bordolesi italiani che è anche una indagine su uno dei termini
- Supertuscan - più equivocati del vino.
Eppure ci fu un periodo nel quale il termine Supertuscan non era fuorilegge sul suolo
italico. Cosa che forse lascerà basiti gli appassionati più giovani, abituati a inscatolarlo
nel campo semantico dell’inautentico, dell’inattuale, quando non dell’artefatto.
Tempi nei quali il termine veniva utilizzato come testimone di una rivoluzione positiva,
una liberazione dalla dittatura di disciplinari di produzione mal scritti, fatti su misura per
compiacere produttori senza scrupoli e imbottigliatori ai quali della qualità non
importava un bel niente.
Erano gli anni Ottanta e Novanta.
Un po’ come se, fra venti anni, i termini ‘vino biodinamico’ e ‘vino naturale’ dovessero essere associati a
scorciatoie produttive, furbacchiate legate alla moda, tentativi di imporre gusti non piacevoli.
Ed è significativo come uno dei più rivoluzionari uomini del vino toscano (e dunque italiano tout court), Paolo
de Marchi, a capo di tutto, qui a Isole e Olena, adesso sia percepito dagli appassionati come uomo della tradizione.
Ma questa è un’altra storia.
Nato a Torino da una famiglia originaria di Lessona, cittadina viticola ai piedi delle Alpi, Paolo prosegue con la
sua attività vinicola una tradizione secolare: già da metà Ottocento il cugino del bisnonno, Felice Sperino,
produceva un fine Nebbiolo dalle vecchie vigne di Proprietà Sperino. Vigne abbandonate dalla famiglia dopo la
Seconda Guerra Mondiale, quando il padre di Paolo acquistò Isole e Olena in Toscana. Era il 1956.
Da studente di Agronomia all’Università di Torino nei primi anni Settanta, Paolo lavorò come apprendista in
California, assorbendo quell'atmosfera di cambiamento che trasformò la regione americana nella realtà attuale.
Dopo la laurea, nel 1976, Paolo venne pienamente coinvolto nella proprietà di famiglia a Isole e Olena,
concentrando i suoi sforzi nella ristrutturazione dei vigneti e perseguendo la sua idea di qualità.
Il principale interesse era il sangiovese, e quel capolavoro che è il Cepparello è il risultato del suo lavoro in questa
direzione. Ma un interesse che non ne esaurisce l’attività.
Isole e Olena si trova al centro del Chianti Classico, sul versante occidentale, a metà strada fra Firenze e Siena.
La proprietà si estende per circa 320 ettari, dei quali 56 vitati a bacca rossa (con sangiovese, canaiolo, syrah,
cabernet sauvignon, cabernet franc) e bianca (chardonnay, malvasia, trebbiano) e 15 ettari di oliveti, ad
un'altitudine di 350-480 metri, su terreni composti prevalentemente da galestro, alberese e calcare.
Isole, l'attuale sede dell'azienda, divenne una vera fattoria nel Settecento, ma solo a metà degli anni Cinquanta la
famiglia De Marchi ne divenne proprietaria, insieme all’annesso borgo mezzadrile di Olena, uniti sotto il nome
di Isole e Olena.
In particolare, negli anni Settanta i primi sforzi lavorativi furono incentrati sulla selezione clonale aziendale di
sangiovese e la conseguente vinificazione in purezza, al fine di comprenderne appieno le potenzialità. Il risultato
fu un vino, il Cepparello, poi divenuto – come si accennava – il vino di punta dell'azienda, e che prende il nome
da un piccolo ruscello che scorre a valle delle vigne.
Contemporaneamente – anticipando ciò che in seguito sarebbe stata chiamata
'zonazione' dagli esperti – furono mappati i terreni aziendali, attraverso lo studio delle
caratteristiche di ciascuno per individuarne la vocazione alle diverse varietà di uva. La
maggiore conoscenza delle relazioni tra terreno e genetica dettò i nuovi criteri da
seguire per gli impianti: al sistema di coltivazioni promiscue tipiche della mezzadria
fu affiancata la sperimentazione di moderni sistemi a più alta densità.
Contemporaneamente vennero selezionati e reimpiantati i cloni aziendali selezionati
più adatti e furono ricostruiti i vecchi terrazzamenti nel totale rispetto del suolo. Per questo lavoro Isole e Olena
è da annoverare nel ristretto numero di aziende che hanno apportato una decisiva svolta qualitativa nel Chianti
Classico.
A seguito del lavoro svolto, l'uvaggio storico del Chianti Classico fu gradualmente modificato, eliminando le uve
bianche ma conservando il canaiolo - anche questo proveniente da selezionati cloni aziendali - e aggiungendo
piccole percentuali di syrah, piantato a inizio anni Ottanta, per dare al taglio finale equilibrio e armonia. Così il
Chianti Classico diventò progressivamente un vino più corposo e adatto all'invecchiamento, pur conservando il
suo carattere tradizionale di vino fine, fresco e piacevole da bere.
A metà degli anni Ottanta furono piantati cabernet sauvignon e chardonnay che, assieme al syrah, furono vinificati
in purezza, e etichettati nella linea chiamata “Collezione De Marchi”, successivamente variato in “Collezione
Privata”.
DoctorWine: Non crede che negli ultimi anni i bordolesi toscani abbiano riguadagnato la meritata reputazione?
Paolo De Marchi: La reputazione varia in base alle zone. Credo che vadano distinte quella classiche da quelle
nuove. Non credo che le zone costiere, con Bolgheri, Suvereto, ecc…, abbiano realmente mai perso reputazione:
rappresentano una costante stabile in Toscana. Discorso diverso per quelle classiche, come il Chianti.
Effettivamente nel primo decennio degli anni Duemila abbiamo visto un calo di interesse, contemporaneamente
a quello che molti chiamano “il ritorno del sangiovese”. Non credo che in Chianti il ritorno di attenzione sui
cabernet sia generalizzato, ma che riguardi alcune etichette in particolare. A Isole e Olena ho da sempre avuto il
sangiovese come interesse e obiettivo prioritario. Le indubbie necessità di aiuto durante il lavoro effettuato negli
anni Ottanta mi avevano spinto ad impiantare syrah, proprio per cercare qualcosa che in un assemblaggio
rispettasse di più i nostri vitigni.
DW: Se per aiutare il sangiovese impiantò syrah, per quale motivo impiantò cabernet?
PDM: Per tenere la porta aperta a un cambio di disciplinare che all’epoca sembrava orientato a forzare verso l’uso
dei bordolesi. Per fortuna ciò non è avvenuto. Confermo che, fortunatamente, il nostro Cabernet Sauvignon è
senza dubbio tra quelli che godono del ritorno di interesse verso i bordolesi.
DW: Sicuramente. Ma resto dell’idea di un visto in pesante credito di fama.
PDM: Sono d’accordo su questo punto. A fine anni Novanta il Cabernet Sauvignon stava rischiando di dare ombra
al Cepparello. Non avevo mai voluto dare al Cabernet Sauvignon un prezzo superiore al Cepparello, poi vedevo
regolarmente sul mercato e sugli scaffali un prezzo anche 30-40% più alto. È il potere del gusto internazionale su
quello dato dal sangiovese. Ma è una cosa che io non ho mai voluto ben accettare. Siamo in Chianti e il sangiovese
deve essere rispettato. Con l’uscita del Cabernet Sauvignon 1997 e gli altissimi punteggi, ho deciso di
“nascondere” un po’ il vino, di non metterlo nelle degustazioni e di evitarne la promozione. Il messaggio era e
resta sempre lo stesso: che il nostro vino di punta è il Cepparello.
DoctorWine: Stavamo parlando del suo Cabernet Sauvignon. Ha qualche riferimento in
giro per il mondo per il cabernet?
Paolo De Marchi: Mi piacciono i vini buoni del mondo, ma come riferimento ho le nostre
uve con la loro espressione di cosa siamo stati capaci di fare in quella particolare annata,
sempre unica.
DW: A suo parere il termine Supertuscan si addice a vini come il suo Cabernet?
PDM: Non sono mai stato innamorato di questo nome. Oggi viene percepito dal
consumatore internazionale come l’assemblaggio sangiovese/bordolesi e da quello italiano come una ambiziosa
furbata. La storia vera è che Supertuscan indica un vino di qualità superiore e di un prezzo superiore a quelle Doc
concepite con disciplinare errato. I vini chiamati Supertuscan nacquero come reazione da parte dei migliori
produttori a disciplinari che tutelavano chi lavorava male. Ma c’è un forte equivoco di fondo.
DW: Quale?
PDM: Che Supertuscan non dice cosa è quel vino, ma cosa non è: non è un vino
Doc.
DW: Erbaceo quasi assente e sfumatissimo, note floreali accanto ai frutti neri,
tannino robusto e terroso ma saporito: è questo l’identikit del grande Cabernet
chiantigiano?
PDM: Direi di sì. Aggiungerei che è un vino chiantigiano anche per la sana
acidità che dona trasparenza e sostiene il palato. Questo marchio di zona risulta evidente in assaggio comparativo
Cabernet del Chianti/Bordeaux. In quel caso il più basso pH dei Cabernet del Chianti emerge in tutta la sua
evidenza.
Ed eccoci alla degustazione del Cabernet Sauvignon.
Il primo vigneto fu sovrainnestato, con materiale massale proveniente da vigneti eccelsi di Bordeaux, su una vigna
vecchia di canaiolo nel 1984. Successivamente nel 1987 fu impiantato un nuovo vigneto, sempre a cabernet
sauvignon, cui seguirono altri piccoli appezzamenti negli anni Novanta, stavolta con l’aggiunta di piccole quantità
di cabernet franc, merlot e petit verdot.
Le viti sono potate a guyot semplice e si nutrono di un terreno argillo-calcareo e argillo-scistoso, il galestro, con
una densità d’impianto che va da 4.000 a 7.300 viti per ettaro.
La macerazione avviene in tino di legno di rovere francese, con rimontaggi e délestage, e svinatura dopo 28-30
giorni.
L’affinamento è in barrique di rovere francese, con circa il 50% di legno nuovo, per 24-30 mesi, a secondo
dell’annata. L’imbottigliamento è generalmente a 3 anni di età, con successivo affinamento in bottiglia,
solitamente di almeno 2 anni.
Collezione Privata 2011
Cabernet Sauvignon Toscana Igt
Isole e Olena Rubino nero con riflessi porpora. Compresso al naso ma non sfocato, nota di legno da smaltire (vaniglia), poi
una nota vegetale molto dolce, cioccolato amaro. Palato pieno, tannino a strati, finale rinfrescante, proprio sapido. Nulla
a che vedere con la nota di lacca asciutta dei Supertuscan meno ispirati. Olive nere e pan di spezie con ossigenazione.
Acidità un po’ amara ma piacevole. Impiega molti minuti ad assestarsi nel bicchiere. In fase embrionale.
Collezione Privata 2010
Cabernet Sauvignon Toscana Igt
Rubino nero con riflessi porpora. Stupendo profumo di viole (proprio il floreale del sangiovese come prima impressione)
e cioccolato amaro, molto austero; palato succoso, centro bocca con tannino multistrato, finale rinfrescante. Molto più
territoriale che varietale. Con l’ossigenazione cresce costantemente in definizione. Tannino granuloso.
Collezione De Marchi 2004
Cabernet Sauvignon Toscana Igt
Rubino nero con riflessi porpora e bordo rubino/granato. Inchiostro, cassis, erbe aromatiche, di incredibile
gioventù per un vino di 10 anni. Palato di attacco abbastanza sciolto per un Cabernet toscano (ma senza
raggiungere lo struggente dinamismo di Alceo), poi il tannino nel finale ancora frena. Attendere. Molto ricco ma
pieno di guizzi. Bottiglia fuori commercio.
Collezione De Marchi 1999
Cabernet Sauvignon Toscana Igt
Nonostante il colore sia quasi intatto, si tratta del primo vino che si può considerare di aprire. Molto compatto al
naso, molto vivo al palato, con una vena di sapidità irresistibile, tannini rinfrescanti. Cassis, sigaro toscano, viole,
cassetto della nonna, ma dovete attenderlo nel bicchiere. Fruttato e dinamico come tutti i migliori vini di una
annata eccezionale per i grandi vini rossi. Un millesimo che svela il carattere di estrema austerità, quasi
‘monastica’, e di sapida compattezza del vino. Di nuovo: non un grande dinamismo, ma una notevole vitalità.
Bottiglia fuori commercio.
Collezione De Marchi 1998
Cabernet Sauvignon Toscana Igt
Nero granato lucido. Proprio muto al naso al primo impatto. Impiega tantissimo ad aprirsi. Molto fine: salvia,
alloro, cioccolato amaro, violette (mi rendo conto che di solito si usano altri descrittori per un Cabernet), palato
di attacco fruttato, poi un tannino tosto ben legato con l’acidità (a differenza del 1993, dove l’acidità tende a
isolarsi). Severo ma non duro. Finale austero. Doti strutturali, qui come in tutti gli altri campioni, imponenti. Un
monolite di cemento di fronte all’ossigenazione che lascia il dubbio che si tratti di un vino – per quanto mi riguarda
non emozionantissimo – che nelle migliori annate forse arriva all’apice dopo 25-30 anni. Bottiglia fuori
commercio.
Collezione De Marchi 1993
Cabernet Sauvignon Toscana Igt
Nero rubino granato profondo, opaco. Alloro, liquirizia dolce, menta, ma tende a sfocarsi e a perdere pulizia.
Acidità vetrosa e tannino duro tipico dei 1993, centro di notevole frutto e finale che si svuota appena. Tabacco da
pipa e sandalo con ossigenazione. Toscana pura, con quel carattere floreale di tutti i più grandi vini – al netto del
vitigno – di questa zona benedetta. In linea generale un vino che sicuramente piacerà anche a chi non è fan del
vitigno. Bottiglia fuori commercio.