SISP2012_UE e contesto globale - Società Italiana di Scienza Politica
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SISP2012_UE e contesto globale - Società Italiana di Scienza Politica
XXVI CONVEGNO SISP UNIVERSITÀ DI ROMA III 13-15 SETTEMBRE 2012 Lo sviluppo dell'Unione Europea e la sua crisi nel contesto globale Roberto Castaldi1 Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant'Anna, Pisa First draft. Commenti benvenuti: [email protected] Abstract Il paper intende da un lato evidenziare la necessità metodologica di analizzare l'interazione tra diversi livelli e settori di analisi nello studio del processo di unificazione europea, e dall'altro proporre di interpretare l'intero processo di unificazione europea come la risposta europea all'evoluzione del contesto globale, ed in particolare alla perdita di centralità dell'Europa seguita al passaggio dal sistema europeo al sistema mondiale e bipolare degli Stati dopo il 1945. Verrà utilizzato lo schema interpretativo crisi-iniziativa-leadership per analizzare la costante interazione tra il livello di analisi mondiale, europeo e nazionale nel determinare tempi e agenda del processo di unificazione europea in alcuni dei suoi passi più salienti, includendo i successi e gli insuccessi. Infine verranno analizzate le modalità con cui la crisi finanziaria scoppiata negli USA nel 2008 si è "trasferita" in Europa investendo e mettendo a rischio la tenuta dell'Unione Monetaria. 1 Desidero ringraziare gli amici Piero Esposito e Francesco Pigozzo per gli utili commenti a una precedente versione del paper e per l'indicazione di alcuni dati a sostegno delle tesi qui sostenute, di cui sono comunque il solo responsabile. %1 Introduzione La tradizione storiografica tedesca della politica di potenza, da Ranke a Dehio, ha sempre denunciato i tentativi di produrre delle "storie nazionali" incentrate su narrazioni interamente domestiche2. Tuttavia, il nazionalismo metodologico, denunciato da Beck (cfr. Beck 2000: 21-4, che ha il merito di valorizzare ed estendere intuizioni di Martins 1974: 276 e sgg, e Smith 1983: 263), non domina solo negli studi storiografici, ma più in generale nelle scienze sociali. Il tentativo di analizzare le realtà sociali ad un unico livello di analisi continua così ad essere dominante, perfino nello studio di processi complessi e di lungo periodo. Nella letteratura di Relazioni Internazionali si è sviluppato un dibattito sulla questione dei livelli di analisi4, ma più rivolto a mettere in rilievo le diverse potenzialità dello studio dell'uno o dell'altro livello, e la possibilità di sviluppare differenti teorie ai vari livelli, volte a spiegare processi e fenomeni specifici. Si tratta di riflessioni assai utili, ma che non esauriscono la questione, tralasciando il tema dell'interazione tra i diversi livelli nell'analisi dei sistemi internazionali. Il processo di unificazione europea costituisce un utile esempio dell'importanza di considerare l'interazione tra diversi livelli di analisi: solo così infatti è possibile comprenderne tempi e natura. Seguendo la distinzione proposta da Buzan e Little (2000: cap. 4) per individuare i diversi livelli, è possibile considerare l'Unione Europea come un sub-sistema regionale del sistema internazionale mondiale, e in tale subsistema possiamo distinguere tra le dinamiche legate all'interazione degli Stati membri con le istituzioni europee e fra loro, e le dinamiche interne ai vari Stati membri. L'interazione tra queste dinamiche e l'evoluzione del sistema mondiale è a sua volta cruciale per comprendere l'evoluzione del processo di unificazione europea. In maniera analoga le principali tradizioni teoriche di Relazioni Internazionali tendono a formulare ipotesi alternative rispetto alla prevalenza di un settore di analisi sull'altro, mettendo di volta in volta in evidenza il ruolo del settore politico-militare, o di quello economico, o di quello culturale e inter-soggettivo, piuttosto che tentare di analizzare la loro interazione. In un certo senso, sono ipotesi che replicano con contenuti diversi il tentativo marxista di identificare un settore come strutturale e gli altri come sovra-strutture, sia pure dotate di autonomia relativa, ma in ultima istanza e nel lungo periodo in qualche modo dipendenti dall'evoluzione del settore strutturale. Anche nell'ambito delle teorie dell'integrazione la tradizione realista da un lato e quella liberale - e specialmente il liberal intergovernmentalism - sottolineano la prevalenza del settore e quindi delle motivazioni e delle logiche politica o economica rispettivamente. In questa sede si sostiene invece un approccio incentrato sul pluralismo metodologico e teorico, fondato sul presupposto che non sia opportuno dare per scontato che in ogni tempo e in ogni luogo lo stesso settore abbia avuto carattere strutturale, ovvero che tutte le dinamiche strutturali di cambiamento abbiano sempre origine nelle evoluzioni di quel settore, ma che sia opportuno valutare 2 Per un'analisi delle maggiori figure di tale tradizione in Italia cfr. Pistone 1969, 1977 e 1978. Molti lavori successivi di Beck approfondiscono questa critica e le contrappongono la proposta del "cosmopolitismo metodologico", su cui vedi in particolare Beck 2006, Beck e Sznaider 2006, Beck 2012. 4 Su tale questione si sono soffermati in particolare alcuni autori della English School e del costruttivismo sociale: cfr. Ruggie 1989, Onuf 1995; Wendt 1999, Buzan e Little 2000 . 3 %2 l'eventuale predominanza di un settore di volta in volta alla luce del processo storico studiato e delle interazioni empiricamente verificabili tra i vari settori. Il paper analizza il processo di unificazione europea in rapporto all'evoluzione del sistema mondiale da questa duplice prospettiva, volta a mettere in rilievo l'interazione tra diversi livelli e settori di analisi e l'impossibilità di assegnare priorità ad uno solo di essi. La comprensione dei tempi e degli esiti delle varie fasi dell'unificazione europea richiede infatti un'analisi attenta dell'evoluzione delle dinamiche politiche, economiche e culturali al livello del sistema mondiale, del sistema europeo, e degli Stati membri - nonché della loro reciproca interazione. La tesi interpretativa qui proposta è che l'avvio dell'unificazione europea sia stata la risposta europea all'evoluzione del contesto globale, ed in particolare alla perdita di centralità dell'Europa seguita al passaggio dal sistema multipolare europeo al sistema mondiale bipolare dopo il 1945. Lo schema interpretativo crisi-iniziativaleadership5 aiuta ad analizzare la costante interazione tra il livello di analisi mondiale, europeo e nazionale nel determinare tempi e agenda del processo di unificazione europea in alcuni dei suoi passi più salienti, comprendendone i successi e gli insuccessi. 1. Lo sviluppo dell'unificazione europea Il tema dell'unità europea è presente nella letteratura politica da secoli (cfr. almeno Croce 1932, Chabod 1964, Spadolini 1984; per la prima occorrenza dell'espressione "Stati Uniti d'Europa" cfr. Hugo 1849-1875: 220), e ha acquisito salienza politica dopo la Prima guerra mondiale, con la formazione delle prime organizzazioni europeiste come Pan-Europa, e l'avvio di riflessioni sul tema nell'ambito della Società delle Nazioni, e da parte di molti leaders europei. Celebre la frase del deputato francese Gaston Riou, fatta propria da Aristide Briandt, secondo cui la scelta per l'Europa è tra "s'unir ou mourir" [unirsi o perire] (Riou 1929). Tuttavia, l'Europa come ente autonomo non esisteva e gli Stati nazionali europei - ancora grandi potenze nell'ambito della transizione dal sistema europeo al sistema mondiale degli Stati - preferirono morire, provocando la Seconda guerra mondiale. La conclusione di questo conflitto segna l'avvio del sistema mondiale bipolare dominato da due soli Stati, gli USA e l'URSS, e la fine della centralità europea. Gli Stati europei perdono un ruolo autonomo e vengono spartiti tra le due super-potenze, impossibilitati perfino a determinare autonomamente il proprio regime interno, oltre che la propria collocazione internazionale e di politica estera. Nelle parole di Einaudi sono "polvere senza sostanza" (cfr. Einaudi 1956: 89). In quelle più recenti di Brzezinski, "protettorati militari de facto" americani o sovietici prima e solo americani poi, a dispetto dei risultati dell'integrazione (cfr. Brzezinski 1997 e Brzezinski 2000-2003: 70). 5 Tale schema interpretativo è stato sviluppato inizialmente da Albertini, e ho cercato poi di renderne esplicite le potenzialità euristiche in alcuni scritti (cfr. Albertini 1966-1999a, 1968-1999b e Castaldi 2007, 2009, 2010b). %3 In virtù degli sviluppi tecnologici e delle loro implicazioni economiche e militari tra la fine del XIX e il XX secolo si è compiuto un mutamento di sistema internazionale con il passaggio dal sistema europeo al sistema mondiale degli stati6. Per ragioni economiche e militari è necessario un territorio ed una popolazione più ampi che in passato per essere grande potenza. Pertanto, le unità del sistema internazionale non sono più gli Stati nazionali di taglia “europea”, ma gli Stati di dimensioni continentali già industrializzati, ovvero gli USA e l'URSS - la Cina e successivamente l'India disponevano fin dall'inizio di tali dimensioni, ma dovevano anzitutto compensare la loro arretratezza economica; perciò la loro attuale ascesa, legata al processo di industrializzazione in corso, non fa che confermare la tesi in questione. Questo mutamento di sistema internazionale - che è il corrispondente a livello mondiale di quella che a un altro livello di analisi viene considerata la crisi degli Stati nazionali europei - costituisce la condizione di possibilità per l'avvio di un processo di unificazione europea. Dopo aver dominato il mondo per alcuni secoli, era difficile per gli europei accettare semplicemente un ruolo da comparse, e nell'ambito dei margini di autonomia a loro disposizione - ciò che limitava automaticamente il campo agli Stati europei occidentali - cercavano mediante l'integrazione di recuperare collettivamente un ruolo autonomo sul piano economico, e in prospettiva politico. Da questa prospettiva il processo di unificazione europea costituisce una risposta da parte degli Stati europei, a livello del sistema regionale, rispetto alle trasformazioni avvenute al livello del sistema internazionale mondiale. Non può quindi essere studiato solo in riferimento ai rapporti tra gli Stati europei e all'evoluzione della loro interazione e delle loro vicende politiche interne. Lo schema interpretativo crisi-iniziativa-leadership aiuta ad analizzare l'interazione tra i diversi livelli e settori di analisi rispetto al processo di unificazione europea. Le crisi specifiche dei poteri nazionali, ovvero l'emergere di problemi percepiti socialmente che non potevano trovare soluzione nel quadro nazionale, costituiscono finestre di opportunità per l'avanzamento del processo di unificazione, e ne determinano la possibile direzione, ovvero il settore: una crisi economica può permettere avanzamenti sul terreno dell'integrazione economica, mentre una militare sull'integrazione militare e politica. L'effettivo sfruttamento di tali finestre di opportunità dipende dal manifestarsi di una iniziativa, ovvero di una proposta di soluzione della crisi mediante un avanzamento dell'unificazione europea - è questo il ruolo giocato in alcune fasi dalle personalità ed organizzazioni federaliste (cfr. Albertini 1966-1999). Ma il successo di qualunque iniziativa dipende a sua volta da due fattori: da un lato la sua effettiva corrispondenza alla crisi dei poteri nazionali socialmente percepita; dall'altro il manifestarsi di una "leadership europea occasionale" che la faccia propria. Per "leadership europea occasionale" Albertini intende una personalità politica (solitamente un primo ministro o un ministro degli esteri) in grado di portare avanti la proposta, porla all'ordine del giorno dell'agenda politica europea, costruire intorno ad essa il consenso necessario alla sua approvazione e successiva ratifica. Il carattere "occasionale" di tale 6 Non è possibile in questa sede soffermarsi sui diversi tipi di mutamento del sistema internazionale e sui metodi peculiari per studiarli (cfr. Gilpin 1981-1995; Watson 1992; Buzan e Little 2000; Castaldi 2002-2007, 2012 in corso di pubblicazione), né sullo specifico passaggio dal sistema europeo al sistema mondiale (su cui cfr. Seeley 1871-1989, Einaudi 1986, Toynbee 1948, Dehio 1948 e 1955, Elias 1989, Spinelli 1991, Albertini 1963-1993, 1999a e 1999b). %4 leadership dipende dal fatto che i leaders politici si occupano essenzialmente di politica nazionale, e il loro obiettivo è normalmente rimanere al governo, e non fare l'Europa; ma possono impegnarsi per fare l'Europa se ritengono che questo sia il loro interesse e il loro dovere7. Tale ruolo di "leadership" potrebbe però essere giocato in una certa misura anche da un'istituzione europea, e man mano che i loro poteri si sono venuti rafforzando questo ruolo è stato in effetti occasionalmente giocato dal Parlamento e dalla Commissione. Così come la proposta federalista può non corrispondere alla crisi, allo stesso modo la leadership europea può non emergere, o non essere sufficientemente forte, o perdere il potere nel corso del tentativo e quindi non durare abbastanza, considerati i tempi lunghi dei meccanismi decisionali europei. Le crisi possono svilupparsi in seguito ad eventi determinatisi a livello mondiale, europeo o di Stati membri. Similmente l'iniziativa e la leadership possono svilupparsi all'interno dell'ambito europeo - e anche qui si può distinguere il livello degli Stati membri da quello delle istituzioni europee - o nell'ambito del sistema mondiale. L'Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica fu creata grazie all'iniziativa e alla leadership americana per gestire i fondi del Piano Marshall con cui gli USA intendevano rispondere al problema della ricostruzione post-bellica europea e al consolidamento dei regimi democratici europei. Tuttavia, mentre le tappe dell'unificazione europea sono state spesso la risposta a crisi conseguenti all'evoluzione del sistema mondiale, raramente l'intervento diretto degli USA ha prodotto risultati significativi. L'OECE ha svolto un ruolo importante nella ricostruzione più che nell'unificazione europea, e la pressione americana sulla Francia per la ratifica della CED non ha avuto gli esiti sperati ed anzi è forse stata controproducente. 1.1. Dai primi tentativi al successo del Mercato Comune Il primo tentativo di riflessione comune sull'unità europea, al Congresso de L'Aia del 1948, prese la forma tradizionale della cooperazione internazionale e portò alla creazione del Consiglio d'Europa. Una grande personalità europeista, Paul-Henri Spaak, venne chiamata a presiedere la sua assemblea parlamentare e subito tentò di trasformarla nel luogo di riflessione e di elaborazione di una costituzione europea (cfr. Spaak 1980: parti III e IV, Pistone 1992). Il fallimento di questo tentativo mostrò da un lato le diffidenze e le resistenze nazionali e segnò l'abbandono sostanziale da parte delle personalità e delle organizzazioni europeiste del quadro offerto dal Consiglio d'Europa, considerato non idoneo allo sviluppo del processo di unificazione europea. Naturalmente, la stessa possibilità di avviare un cammino verso l'unità europea, anche solo da parte degli Stati europei occidentali, richiedeva in primo luogo una riappacificazione strutturale, vincolante e perenne tra la Francia e la Germania. A tal fine Monnet propose di creare un'Autorità sovranazionale per la gestione delle risorse carbosiderurgiche - in primis i bacini della Ruhr e della Saar - per il controllo delle quali Francia e Germania avevano combattuto tre guerre in meno di un secolo. Adenauer e Schuman accettarono l'idea e si arrivò alla 7 Spinelli nella sua azione sembra convinto che le personalità politiche agiscano tenendo conto sia del proprio interesse che dei propri valori e di ciò che ritengono giusto per la collettività, dal momento che cerca sempre di convincere i propri interlocutori che fare l'Europa è tanto loro interesse quanto loro dovere (cfr. Castaldi 2010a). %5 Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 e alla creazione della prima Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio tra Francia, Germania, Italia e Paesi del BENELUX (cfr. Monnet 1976; Albertini 1963-1993 e 1977a ecc.). Sono opportune due considerazioni sulla nascita della prima Comunità: sulla sua natura e sulla sua composizione. Si è trattato solo apparentemente di un'integrazione economica, perché le finalità e le ragioni della scelta di quello specifico settore economico erano eminentemente politiche, come mostra un'analisi attenta della Dichiarazione Schuman (disponibile su http://europa.eu/about-eu/basic-information/symbols/europe- day/schuman-declaration/index_it.htm, consultato il 31 agosto 2012). E si è trattata di una scelta politica e istituzionale altamente innovativa: il quadro istituzionale della CECA era in larga misura federale, coerentemente con la Dichiarazione Schuman che la proponeva come "prima tappa della Federazione europea". L'organo di governo principale era l'Alta Autorità, ovvero l'esecutivo sovranazionale, e la CECA disponeva di poteri di imposizione fiscale e della possibilità di contrarre prestiti - contrariamente alla CEE e ora all'Unione Europea che ha l'obbligo del pareggio di bilancio e non ha capacità impositiva. Il discorso di insediamento di Jean Monnet come Presidente dell'Alta Autorità e il suo primo discorso all'Assemblea Parlamentare della CECA forniscono un'analisi puntuale - sebbene dimenticata come mostra il dibattito contemporaneo sulla crisi del debito sovrano di tali caratteristiche (cfr. Monnet 1955). Lo scoppio della Guerra di Corea, e il timore che un evento simile potesse ripetersi nell'altro Paese diviso in due, la Germania, portò alla richiesta americana di riarmo della Germania occidentale. La Francia e gli altri Stati europei erano ancora timorosi di un esercito tedesco, e Monnet convinse Pleven a lanciare in alternativa la proposta di forze armate europee sotto l'egida di una Comunità Europea di Difesa. Ancora una volta è l'evoluzione della situazione mondiale che comporta una crisi, di carattere militare, che determina il settore rispetto al quale gli Stati europei tentano un avanzamento del processo di unificazione. Il solo avvio del progetto di trasferimento della sovranità nazionale sullo strumento militare al livello europeo costituì una sorta di crisi endogena, ponendo il problema del controllo democratico dell'esercito europeo e delle risorse necessarie ad esso. Si trattava di una crisi sul tema delle istituzioni e della democrazia, e anche la risposta fu su quel terreno in una duplice forma. Da un lato, convinto da Spinelli, De Gasperi propose il progetto di una Comunità Politica Europea (CPE). Dall'altro, la stesura del Trattato-Costituzione di tale Comunità non fu affidata ad una conferenza intergovernativa, ma ad un organo di natura parlamentare, l'Assembla parlamentare della CECA allargata a comprendere il numero di membri previsto per quella della costituenda CED, che prese il nome di Assemblea Ad Hoc - meno impegnativo di Assemblea costituente, sebbene la funzione fosse di fatto quella. L'Assemblea produsse nei tempi previsti un Trattato-Costituzione, che rimase lettera morta a causa della caduta del progetto della CED. Spesso il fallimento della CED è stato liquidato con l'idea che i tempi non fossero maturi, ciò che non spiega tuttavia come sia stato possibile arrivare alla stesura e alla firma del Trattato CED, a far partire subito la procedura costituente volta a realizzare il Trattato-costituzione della CPE, ad ottenere la ratifica di diversi Stati %6 membri prima del blocco francese. Tenendo conto dell'evoluzione a diversi livelli di analisi è possibile offrire una spiegazione più efficace. Sul piano mondiale la crisi militare che aveva dato origine al progetto venne meno con la fine della guerra di Corea. Una guerra in Germania non sembrava più un'eventualità probabile, e questo rendeva meno urgente la creazione dell'esercito europeo e ridava fiato alle resistenze nazionali a cedere la sovranità militare, specialmente in Francia - Paese formalmente vincitore della Seconda guerra mondiale, e ancora dotato di un impero. Sul piano interno alla Francia, ma sempre in relazione all'evoluzione del quadro mondiale, la crisi dell'impero francese catalizzò l'attenzione pubblica, ancora una volta facendo apparire non prioritaria la ratifica della CED in un contesto in cui era sì presente una maggioranza parlamentare favorevole, ma il tema rimaneva divisivo delle forze politiche e dell'opinione pubblica in una fase in cui era opportuna la massima coesione per affrontare la crisi dell'impero, rispetto alla quale anche il mantenimento di una capacità militare autonoma francese era decisiva. L'evoluzione della crisi dell'impero e della politica francese portò a una serie di cambiamenti di governo, fino all'ingresso nel governo dei gaullisti - strenui oppositori dell'esercito europeo perché contrari a rinunciare alla sovranità militare francese - e all'uscita del MRP di Schuman. Inoltre, la morte di Stalin nella primavera del 1954 favorì il diffondersi dell'aspettativa di una fase di distensione nei rapporti est-ovest, rendendo meno urgente - ed anzi per alcuni potenzialmente controproducente - la creazione di un esercito europeo. Quando infine, nell'agosto 1954 venne calendarizzata la discussione sul Trattato CED, il governo francese era diviso al suo interno su tale questione e non era quindi in grado di porre la fiducia. Grazie al voto comune, ma per ragioni ben diverse, di gaullisti e comunisti su una mozione procedurale di rinvio della discussione, l'Assemblea nazionale francese di fatto affossò il Trattato istitutivo della CED8 e la connessa Comunità Politica Europea9. Il fatto che l'unità europea costituisse l'unica prospettiva per allargare i margini di libertà a disposizione nel nuovo sistema internazionale fece sì che una così grave battuta d'arresto del processo non ne abbia segnato la fine. Il termine del Piano Marshall lasciava agli europei la gestione dei loro rapporti economici e, come sottolinea Milward, la fine della garanzia del commercio con la Germania, che era diventata il pivot del commercio europeo (cfr. Milward 2000 e 2002). Fu tale problema a determinare il settore economico, e più specificamente quello commerciale, come il terreno del rilancio europeo. A seguito della Conferenza di Messina si arrivò ai Trattati di Roma nel 1957 e alla creazione della CEE che prevedeva la realizzazione di un mercato comune, con l'abolizione progressiva dei dazi e delle tariffe interni, accompagnata da un'unione doganale, ovvero dalla creazione di dazi e tariffe esterni unici, e da una limitata circolazione dei lavoratori. Il fallimento della CED aveva però inciso: la CEE 8 Il resoconto delle sedute dell'Assemblea che portarono al rigetto del Trattato è disponibile sul sito ufficiale dell'Assemblea stessa: http://www.assemblee-nationale.fr/histoire/ced/sommaire.asp (consultato il 29 agosto 2012). 9 Rispetto alla complessa vicenda della CED cfr. A. Spinelli, Promemoria sul rapporto provvisorio presentato nel luglio 1951 dalla conferenza per l’organizzazione di una Comunità europea di difesa, in A. Spinelli, Una strategia per gli Stati Uniti d’Europa, (a cura di S. Pistone), Bologna, Il Mulino, 1989; D. Lerner and R. Aron, France Defeats EDC, London, Atlantic Press, 1957; M. Albertini, La fondazione dello Stato europeo. Esame e documentazione del tentativo intrapreso da De Gasperi nel 1951 e prospettive attuali, in «Il Federalista», XIX, 1, 1977b; E. Fursdon, The European Defence Community: A History, London and Basingstoke, MacMillan,1980; D. Preda, Storia di una speranza. La battaglia per la CED e la Federazione europea nelle carte della Delegazione italiana (1950-1952), Milano, Jaca Books, 1990; ID. Sulla soglia dell’unione: la vicenda della Comunità politica europea (1952-1954), Milano, Jaca Books, 1994; M. Dumoulin (a cura di), L’echec de la CED (1954), Leçons pour demain ?, Bern, Peter Lang, Euroclio, 1999. %7 viene dotata di un assetto istituzionale più intergovernativo e meno sovranazionale rispetto alla CECA, non gode degli stessi poteri fiscali, e nemmeno di personalità giuridica autonoma. Contemporaneamente Monnet era riuscito a convincere i governi dei Sei a realizzare anche una Comunità Europea per l'Energia Atomica, l'Euratom, nell'ipotesi che lo sviluppo dell'energia atomica risultasse decisivo per l'economia europea, e che in prospettiva si potesse arrivare ad una proprietà europea del materiale fissile e ad un controllo europeo del nucleare anche a fini militari. L'avvento di De Gaulle in Francia frustrò completamente tali aspettative. Il successo della CEE e della Commissione Hallstein nel realizzare rapidamente il Mercato Comune e nel garantire alti tassi di crescita economica spinse ben presto altri Stati europei a richiedere l'adesione, ma il ripetuto veto di De Gaulle all'ingresso britannico fece sì che il primo allargamento si compia solo nel 1973. Forte di questi successi, e delle norme dei Trattati che prevedevano l'avvio del voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio al termine del periodo transitorio di creazione del mercato comune, la Commissione Hallstein lanciò nuove proposte di politiche europee. La Francia di De Gaulle si oppose a tali proposte, e soprattutto all'applicazione del voto a maggioranza qualificata, disertando le riunioni della CEE e aprendo la crisi della sedia vuota, che si concluderà solo con il Compromesso di Lussemburgo del 1966: di fatto un prolungamento del diritto di veto per gli Stati membri. Si tratta in questo caso di una crisi endogena all'integrazione europea, legata alla gradualità prevista rispetto all'applicazione di una norma istituzionale fondamentale dei Trattati. Lo scontro tra nazionalisti ed europeisti trova in questo effetto ritardato del Trattato di Roma un terreno di scontro palese, e vede la vittoria dei primi, grazie all'iniziativa e alla leadership risoluta di De Gaulle. 1.2. Dalla crisi del sistema monetario di Bretton Woods alla caduta del Muro di Berlino: il difficile percorso verso la moneta unica10 Gli anni '70 sono talvolta considerati una fase di stallo o di eurosclerosi. Una più attenta analisi del processo e della sua interazione con gli eventi sul piano mondiale e sul piano interno agli Stati membri aiuta invece a considerarlo un decennio decisivo per il successivo sviluppo del processo fino alla creazione dell'Euro. Nel 1971 la Dichiarazione di Nixon di inconvertibilità del Dollaro in oro segna la fine del sistema monetario di Bretton Woods, e il passaggio epocale dalle parità monetarie fisse a quelle fluttuanti. Da allora gli USA han potuto pagare i propri debiti sostanzialmente stampando dollari, senza che questo causasse una forte perdita di valore da parte del dollaro, grazie al suo ruolo di moneta internazionale e di riserva, ovvero grazie alla domanda mondiale di dollari. Una domanda stabile e rigida, in quanto per accedere al mercato internazionale di beni, in primo luogo il petrolio, era necessario, come è in gran parte ancora adesso, pagare in dollari. Fu così possibile 10 In questa sede mi limito ad un'analisi volta a mostrare l'interazione tra gli sviluppi legati a diversi settori e livelli di analisi. Per una più puntuale analisi del percorso verso la moneta unica e per i relativi riferimenti alla letteratura rilevante cfr. il paper "La moneta unica e l'unione politica" per il panel "La moneta unica e la cittadinanza europea" (disponibile su http://www.sisp.it/files/papers/2012/roberto-castaldi-1376.pdf) da cui è tratto in larga misura il testo di questo paragrafo. %8 aumentare enormemente la massa monetaria in dollari senza necessariamente provocare inflazione interna e svalutazione nel cambio con le altre monete, a differenza di quanto avveniva, e avviene, per tutti gli altri Stati11. Tra le altre implicazioni, tutto questo comportò negli anni Settanta anche una crisi del Mercato comune europeo, che si era retto anche sull’uso del dollaro come moneta di riferimento de facto. Con l'avvento dei cambi flessibili, oscillazioni di cambio significative delle monete europee tendevano a distorcere la concorrenza interna e a mettere in gioco il funzionamento del mercato comune. Tale crisi permise all'iniziativa delle personalità e delle organizzazioni federaliste a favore della moneta unica di entrare nell'agenda politica, fino all'approvazione del Piano Werner per la realizzazione dell'Unione monetaria entro il 1980, approvato nel 1971 (cfr. Steinherr 1994). Il progetto della moneta unica ha rappresentato la risposta strutturale europea al crollo del sistema monetario di Bretton Woods, che ha amplificato il potere di "signoraggio" del dollaro e reso possibile lo sviluppo degli squilibri globali e il peggioramento dei deficit pubblico, commerciale e della bilancia dei pagamenti americano alla base della crisi attuale. E sempre dal piano mondiale, e sempre in relazione a tale crisi, arrivo un nuovo shock esogeno che decretò il fallimento del primo tentativo di unificazione monetaria, la crisi petrolifera del 1973. L'improvviso, enorme e repentino aumento del prezzo del greggio deciso dall’OPEC, cui gli Stati europei non potevano far fronte - come gli USA - solo stampando le loro monete perché, non sorrette dalla domanda internazionale, questo avrebbe comportato inflazione all’interno e svalutazione sul mercato dei cambi. Dovettero effettivamente ‘stringere la cinghia’, pagare di più il petrolio - con tutto ciò che questo comporta in termini di costi di produzione, trasporto, ecc. – e acquistare più dollari per ottenere il petrolio, contribuendo così a sostenere l’economia americana, oltre a quella dei Paesi produttori di greggio. In sostanza lo shock petrolifero comportò un trasferimento di risorse dall'Europa e dal Giappone verso gli Stati Uniti ed i Paesi dell'OPEC. Fu allora che i tassi di disoccupazione tra le due sponde dell’Atlantico cominciarono a differenziarsi strutturalmente a sfavore dell’Europa, e iniziò in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, la perversa spirale tra inflazione, debito pubblico, perdita di competitività e svalutazione della moneta. La crisi petrolifera colpiva i vari Paesi europei in maniera asimmetrica secondo le diverse politiche energetiche ed economiche messe in atto in risposta alla crisi. Germania e Italia costituiscono al riguardo due esempi opposti. La prima prese piena coscienza della nuova situazione e cercò di rispondere alla recessione aumentando la produttività e riducendo le spese. La seconda invece lanciò delle grandi e costose riforme sociali sanità pubblica universale e università di massa - stampando moneta e innescando una spirale di aumento dell'inflazione e del debito pubblico. Lo shock petrolifero comportò una grave e lunga crisi economica che poneva agli europei due opzioni: un’accelerazione verso l’unità, con un grande sforzo di solidarietà tra i vari Paesi con un salto in avanti verso un'unione economica e monetaria per affrontare insieme la nuova situazione; o al contrario una serie di scoordinate risposte nazionali e la rinuncia al Piano Werner. 11 Trattandosi di un tema al di fuori del focus di questo paper non è possibile qui soffermarsi sul fatto che tale vantaggio ha avuto un ruolo decisivo nel permettere agli USA di mantenere un ruolo egemonico nonostante il peso della loro economia rispetto all'economia mondiale decrescesse significativamente. %9 Tra "uno per tutti e tutti per uno" e "ognuno per sé e Dio per tutti", allora le leadership europee scelsero la seconda strada: il progetto di unione monetaria venne accantonato. Ne rimane traccia, oltre che nel dibattito degli anni '70, nella creazione di un sistema di cooperazione monetaria europea, prima il "Serpente monetario europeo" nel 1973 e poi il Sistema Monetario Europeo nel 197912. Lo SME non era in alcun modo assimilabile a un'unione monetaria, né poteva essere considerato come una tappa verso di essa, non essendo previste le successive tappe. Tuttavia, esso serviva a garantire il funzionamento del mercato comune riducendo le oscillazioni di cambio tra le monete europee, e manteneva in piedi con la sua sola esistenza la questione della necessità di una risposta comune europea alle questioni monetarie, e così la possibilità in futuro di riprendere il cammino verso l'unione monetaria. La scelta dell'unità nel 1973 era resa più difficile dal fatto che la CEE aveva appena realizzato il suo primo allargamento, con l'ingresso della Gran Bretagna, della Danimarca e dell'Irlanda. L'ingresso britannico è avvenuto nel 1973, dopo lunga attesa dovuta ai veti di De Gaulle, sulla base del crescente differenziale di crescita economica a favore dei Paesi del Mercato Comune rispetto alla Gran Bretagna (cfr. Milward 2000: cap. 7, e Milward 2002), e quindi di una forte aspettativa che l'ingresso nella CEE avrebbe portato un forte rilancio dell'economica inglese. Lo shock petrolifero del 1973 ha invece portato la più grave crisi economica dal 1929, frustrando tali aspettative diffuse. Sebbene la crisi fosse il frutto di processi del tutto indipendenti dall'adesione britannica alla CEE, la concomitanza con essa ha contribuito certamente allo sviluppo dell'euroscetticismo nei Paesi che hanno aderito nel 1973 - sebbene nel caso dell'Irlanda il forte sviluppo realizzato anche grazie all'utilizzo di fondi comunitari a partire dalla seconda metà degli anni '80 abbia migliorato la situazione in tale Paese. Tutto questo mostra anche l'interazione costante tra i vari settori: eventi nel settore economico hanno effetti rilevanti sul piano politico e culturale, legati alla percezione sociale diffusa. Accanto alla risposta europea nel settore economico, e più specificamente monetario, chiaramente legata alla crisi monetaria mondiale, si manifesta una risposta di natura politico-istituzionale. Il crollo del sistema di Bretton Woods e lo shock petrolifero colpivano in particolar modo l'Europa e mettevano in evidenza la debolezza degli Stati europei e della CEE. Ancora una volta sono le personalità e le organizzazioni europeiste che, in maniera diversa, prendono delle iniziative volte a rafforzare la Comunità da un punto di vista politico-istituzionale. Monnet sottolinea la necessità di governare l'Europa e propone di creare un "governo europeo provvisorio" mediante l'istituzionalizzazione degli incontri al Vertice, fino ad allora occasionali. Si arriva così nel 1973 alla loro istituzionalizzazione de facto mediante la previsione di almeno un incontro in ciascuna presidenza di turno semestrale. Le organizzazioni federaliste rivendicano invece l'elezione diretta del Parlamento Europeo, che viene stabilita nel 1974, e poi realizzata nel 1979. Tali sviluppi sono spesso poco considerati dalla letteratura, anche perché difficilmente inquadrabili nel contesto delle due macro-teorie dominanti sull'integrazione europea, il neo-funzionalismo e il liberal 12 Per un'analisi di questa fase cfr. Mosconi 1980, e per un'accurata ricostruzione del dibattito italiano sulla nascita dello SME e sull'adesione dell'Italia Masini 2004. %10 intergovernmentalism. Secondo quest'ultima teoria le innovazioni istituzionali sono sempre il sottoprodotto di negoziati sulla sostanza economica dell'integrazione, ovvero sul trasferimento al livello europeo di competenze o politiche specifiche, e sono volte semplicemente a garantirne l'efficace applicazione (cfr. Moravcsik 1998). Nulla di ciò è riscontrabile però per l'istituzionalizzazione dei Vertici e l'elezione diretta del Parlamento, essenzialmente estranei al funzionamento del Serpente monetario e dello SME. Allo stesso modo è difficile inserire tali scelte in una logica di tipo neo-funzionalista in assenza di un aumento delle competenze della Comunità. Il Parlamento eletto allora era sostanzialmente privo di poteri ma, forte della sua nuova legittimità democratica, prese l'iniziativa di lanciare un grande progetto di riforma della CEE predisponendo una bozza di Trattato di Unione Europea, noto come Progetto Spinelli, che prevedeva maggiori poteri per esso, la realizzazione del mercato unico, e, a termine, della moneta unica, nonché una maggiore cooperazione sul piano degli affari interni e della politica estera. Una innovazione istituzionale, l'elezione diretta del Parlamento, di fatto scatena una contraddizione politica: l'assenza di poteri per l'unica istituzione rappresentativa e con forte legittimità democratica della Comunità. Da allora in poi tutte le successive riforme istituzionali hanno sempre comportato un graduale aumento dei poteri del P.E. Tuttavia, allora, il Parlamento era effettivamente privo di sostanziali poteri, e quindi non aveva ancora acquisito - come oggi - un ruolo di veto-player nel sistema istituzionale europeo. Questo aiuta a comprendere come, nonostante i sostegni iniziali - in particolare dei Parlamenti italiano e belga e di Miterrand - il suo Progetto non venne ratificato. Tuttavia, l'iniziativa del Parlamento aveva suscitato un dibattito e un'aspettativa sul rilancio della Comunità e sulla riforma istituzionale, così i governi europei si trovarono nell'impossibilità politica di rigettare semplicemente il Progetto Spinelli, senza offrire qualcosa in cambio all'opinione pubblica. Questa situazione aprì la via alla convocazione della prima Conferenza Intergovernativa per la revisione dei Trattati dal 1957 da parte della presidenza italiana, che avvenne con un voto a maggioranza, superando il tentativo di veto britannico ed il Compromesso di Lussemburgo del 1966. Senza il Progetto Spinelli e il sostegno da esso ricevuto dal Parlamento Italiano, che impegnava il governo ad agire durante la Presidenza italiana per favorirne la ratifica e comunque l'avvio di un processo di riforma della CEE, difficilmente il governo italiano avrebbe avuto la forza politica di un tale passo. Anche in questo caso si nota l'interazione di diversi livelli e settori di analisi. Da una parte la dinamica imprevista da parte dei governi - innescata da una decisione istituzionale come l'elezione diretta del Parlamento, pur privo di significativi poteri. Dall'altra gli sviluppi politici interni al Paese che detiene la presidenza di turno, che portano al superamento dell'unanimità e producono come risultato finale un avanzamento sia nel settore economico con il mercato unico, che in quello istituzionale con l'introduzione del voto a maggioranza qualificata. Il liberal intergovernmentalism, che privilegia strutturalmente il settore economico e i governi nazionali come attori centrali del processo, ha difficoltà a spiegare la convocazione della CIG. La convergenza delle preferenze intorno ad un'agenda neo-liberale può contribuire a spiegare il risultato della negoziazione che porta all'Atto Unico e al progetto del Mercato unico, ma non la convocazione della CIG, dal momento che la Gran %11 Bretagna guidata da Mrs. Thatcher aveva la maggiore "intensity preference" neo-liberale, eppure vota contro la convocazione della CIG - addirittura, come ammette lo stesso Moravcsik, per alcuni giorni non è nemmeno chiaro se parteciperà o meno ai suoi lavori (cfr. Moravcsik 1991). Inoltre, nella CIG gioca un ruolo centrale anche la Commissione guidata da Delors. L'Atto Unico Europeo riprende una piccola parte del Progetto del Parlamento, prevedendo la creazione del Mercato Unico e l'introduzione del voto a maggioranza qualificata in Consiglio rispetto alle misure volte a realizzarlo, di fatto ripristinando le norme del Trattato di Roma messe in mora dal Compromesso di Lussemburgo13. Rispetto al successivo sviluppo del processo è diffusa la tesi neo-funzionalista, secondo la quale la creazione del mercato unico ha creato una dinamica a favore della moneta unica come suo necessario completamento (cfr. Sandholtz e Zysman 1989, Tranholm-Mikkelsen 1991, Sandholtz e Sweet e Fliegstein 2001). In un Mercato Unico in cui venga realizzata anche la libera circolazione dei capitali la questione dei cambi è decisiva per evitare fughe di capitali da un Paese all'altro. Il tema dell'integrazione monetaria torna dunque sull'agenda ed il mondo economico preme per la realizzazione dell'unione monetaria (cfr. Collignon e Schwarzer 2002). Ma difficilmente si sarebbe potuti andare oltre un rafforzamento dello SME con vincoli sempre più stretti alle oscillazioni dei cambi e meccanismi più stringenti di intervento di sostegno ai cambi senza il crollo dell'impero sovietico e la prospettiva della riunificazione tedesca. L'interazione tra il livello mondiale, quello europeo e quello nazionale si manifesta in questo caso con grande evidenza. Il crollo dell'impero sovietico rende pensabile la riunificazione tedesca. E in un certo senso la moneta unica è stata resa possibile dalla riunificazione tedesca e viceversa. Inizialmente l’idea di una Germania riunificata ha continuato a suscitare timore in diversi statisti europei, inclusi Miterrand e Andreotti, cui la Germania piaceva così tanto da preferirne due. Ma in assenza di un'opposizione da parte degli USA e dell'URSS, gli Stati europei non potevano impedirla. La moneta unica è stata lo strumento per europeizzare la grande Germania, trasferendo a livello europeo il suo maggior punto di forza, il marco e la sovranità monetaria. Se la force de frappe è il simbolo del potere francese, il marco lo era di quello tedesco, ed era uno strumento assai più utilizzabile ed efficace. Il marco costituiva de facto il fulcro del Sistema monetario europeo (SME) e quando la BundesBank tedesca modificava i tassi di interesse, praticamente tutte le banche centrali europee la seguivano mantenendo invariato il differenziale necessario a mantenere le rispettive valute nell’oscillazione consentita, del 2,25 % rispetto alla parità centrale, all’interno dello SME. In pratica, la banca centrale tedesca era de facto la banca centrale europea e la Germania l’unico Paese europeo dotato di sovranità monetaria. Fortunatamente, il leader tedesco che gestì la riunificazione, Helmut Kohl, fu tanto lungimirante ed europeista da comprendere e condividere i timori europei della grande Germania e da farsi promotore dell’unificazione monetaria europea. Al contempo la riunificazione tedesca costituiva il quadro entro cui era possibile per la Germania accettare di rinunciare al Marco nel quadro ed in cambio di un'integrazione europea più forte. 13 Anche successivamente i contenuti del Progetto Spinelli hanno ispirato le riforme dei Trattati. Ponzano ha osservato che ormai circa l'80 dei contenuti del Progetto è stato inserito con interventi successivi nei Trattati vigenti (cfr. Ponzano 2010). %12 Questo non contraddice l'idea neo-funzionalista che l’Euro fosse l’opportuno coronamento alla creazione del mercato unico, né che il progetto di unificazione monetaria fosse stato inizialmente la risposta europea all’inconvertibilità del dollaro: al contrario. Ma tali ragioni non erano state sufficienti in passato a convincere gli Stati europei, ed in particolare la Francia e la Germania, a cedere la sovranità monetaria, e infatti non era stato inserito fin dall’inizio nel progetto di mercato unico. Per questo si può dire che la caduta del Muro di Berlino e la prospettiva della riunificazione tedesca hanno costituito la ‘crisi’, che ha permesso l’emergere di una leadership europea – di Kohl, Delors e Miterrand – in grado di vincere le resistenze nazionali a tale cessione di sovranità. Che tale crisi, maturata sul piano mondiale, e i suoi effetti sull'Europa sia stata determinante è suggerito dal fato toccato al Trattato di Unione Europea, o progetto Spinelli, approvato dal Parlamento europeo nel 1984, ma che quegli stessi leaders - Kohl, Delors e Miterrand - non approvarono, nonostante non contenesse immediate cessioni di sovranità così evidenti come quelle imposte dall’unione monetaria e dai criteri di convergenza fissati dal Trattato di Maastricht. Già allora, durante il percorso che portò al Trattato di Maastircht, come oggi, proprio dalla Germania venne l'impulso per affiancare all'unione monetaria anche l'unione politica. Durante la negoziazione del Trattato di Maastricht, la Germania stava realizzando contestualmente una riunificazione politica e monetaria e poteva meglio comprenderne il legame strutturale. Un’unione monetaria richiede un certo grado di convergenza economica e finanziaria, che può essere raggiunta dai singoli partecipanti prima dell’avvio dell’unione - come nel caso dell'UEM - o dall’unione nel suo insieme con una condivisione generale dei costi della convergenza - come nella riunificazione politica e monetaria tedesca. Il Trattato di Maastricht fu il prodotto di due CIG parallele, una sull'unione economica e monetaria, e l'altra sull'unione politica. La natura a pilastri del Trattato di Maastricht fu il frutto del successo della prima e del fallimento della seconda. Tuttavia, anche in questo caso è possibile osservare l'interazione tra i diversi settori di analisi, poiché sebbene non vi fu un trasferimento di poteri all'Unione - e quindi non vi fu la creazione di istituzioni e meccanismi decisionali sovranazionali, come sul piano monetario con la BCE tuttavia le furono formalmente assegnate delle competenze concorrenti prima gelosamente custodite dagli Stati membri, come la politica estera e di sicurezza, e la giustizia e gli affari interni. Sebbene inizialmente le nuove competenze fossero gestite a livello meramente intergovernativo, le successive riforme dei Trattati hanno avviato - sebbene non concluso - la loro progressiva comunitarizzazione, prevedendo una maggiore partecipazione al meccanismo decisionale da parte della Commissione, del Parlamento e della Corte di Giustizia. Da Maastricht in poi si manifesta inoltre una dinamica endogena, legata all'allargamento dell'Unione, che rende il mantenimento della regola dell'unanimità su tutte le questioni più rilevanti sempre più paralizzante. Questo porta ad un processo di revisione dei Trattati semi-permanente che si manifesta con la rapida successiva approvazione dei Trattati di Amsterdam, di Nizza e all'avvio di un processo costituente attraverso la Convenzione. Tale dinamica però non risulta sufficientemente forte da portare a decisioni risolutive, in assenza di gravi crisi internazionali. Significativo al riguardo che una delle maggiori innovazioni del Trattato costituzionale, la possibilità di avviare una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa, sia il frutto della risposta franco-tedesca %13 alla spaccatura dell'Unione di fronte alla seconda guerra in Iraq. Anche in questo caso è possibile osservare sia l'interazione tra il sistema mondiale e quello europeo, sia la necessità di una crisi per spingere gli Stati a prevedere dei potenzialmente significativi passi in avanti nell'integrazione in un settore tradizionalmente riservato agli Stati nazionali. La fine di tale crisi e i cambi di governo nei vari Paesi europei aiutano inoltre a spiegare perché tali norme non abbiano ancora trovato alcuna attuazione pratica, non essendo maturata la volontà politica di un gruppo di Stati membri di procedere effettivamente nell'integrazione nel campo della difesa. 2. La crisi economico-finanziaria globale e la contraddizione di una moneta unica in assenza di un governo europeo14 L'unione monetaria non richiede solo la convergenza iniziale, ma anche il suo mantenimento, che può essere messo a rischio sia dagli sviluppi economici endogeni, che da shock esogeni. Questa è la sfida posta oggi all'UEM. La nascita dell'Euro ha creato la situazione contraddittoria di un mercato unico, una moneta unica, e una moltitudine di politiche economiche e fiscali nazionali in assenza di un governo europeo dell'economia. I dibattiti intorno a Maastricht - e la convocazione di due CIG, una sull'unione economica e monetaria e l'altra sull'unione politica - mostrano fin dalla nascita dell'Unione Europea l'esistenza di una certa consapevolezza delle élites politiche e culturali del nesso tra le due, sebbene insufficiente, visto che la CIG sull'unione politica fondamentalmente fallisce. Eppure, vi era una consapevolezza diffusa nelle élites politiche ed economiche ai tempi di Maastricht circa l'impossibilità per la moneta unica di sopravvivere nel lungo periodo in assenza di un'unione politica e di un governo federale, come mostrano ad esempio i dibattiti promossi dall'Institute of Economic Affairs di Londra negli anni '90: Issing e Portillo si schierarono pro e contro la moneta unica, proprio perché essa implicava poi inevitabilmente il completamento dell'unificazione politica dell'Europa (cfr. IEA 1990, Issing 1996, Portillo 1998). Anche in seguito alcuni dei protagonisti dell'unificazione monetaria , come Ciampi, hanno insistito sulla necessità di procedere anche verso l'unificazione politica (cfr. i contributi rispettivi di Bressanelli, Castaldi, Martinico e Pigozzo in Campopiano et al. 2008). L’Euro è nato anche per mettere l’Europa a un bivio, o meglio su un piano inclinato verso la statualità europea. Una moneta unica senza un governo europeo dell’economia non poteva reggere a lungo. Nel frattempo i criteri di convergenza prima e il Patto di stabilità poi dovevano surrogarlo, limitando le sovranità nazionali in materia di bilancio. Tali limiti si sono rivelati insufficienti, anche a causa del fatto che Francia e Germania lo hanno 14 Questo paragrafo ripropone in chiave diversa alcune argomentazioni presentate paper "La moneta unica e l'unione politica" per il panel "La moneta unica e la cittadinanza europea" (disponibile su http://www.sisp.it/files/papers/2012/roberto-castaldi-1376.pdf) da cui è tratto in parte il testo di questo paragrafo, e in cui è offerta un'analisi più ampia degli effetti dell'Euro. %14 violato rapidamente. Tuttavia, l'Euro ha avuto uno straordinario successo, che ha permesso di ignorare queste contraddizioni, tanto che anche il Trattato costituzionale elaborato dalla Convenzione, e poi i Trattati di Lisbona, non hanno previsto la creazione di un potere federale di governo dell'economica o un'attribuzione all'Unione dei poteri fiscali di cui disponeva la CECA. Le resistenze nazionali alla messa in comune di una quota significativa di risorse rimaneva troppo forte, come dimostrano anche le penose trattative sul bilancio dell'UE, da tempo fermo all1% del PIL. La svolta è arrivata ancora una volta da uno shock esogeno, lo scoppio della crisi finanziaria negli USA, ultimo frutto della fine del sistema monetario di Bretton Woods e degli squilibri da essa resi possibili15. La crisi finanziaria è scoppiata negli Stati Uniti a causa di una politica monetaria espansiva che è stata sostanzialmente una costante dal 1971, ma che dopo l'11 Settembre si è accompagnata ad un forte incremento della spesa pubblica, ad una riduzione delle tasse e al conseguente aumento del debito pubblico. A tale crisi si è risposto con ulteriori misure non convenzionali di iniezione di liquidità nel sistema. In un contesto in cui l'economia reale non offre alti rendimenti, una quota significativa di liquidità cerca opportunità di natura speculativa per remunerarsi. Questo ha favorito il passaggio della crisi dagli USA all'Europa, in cui il debito pubblico è nazionale ma la Banca Centrale, pur essendo europea, ha per statuto poteri e compiti più limitati delle tradizionali banche centrali e non si affianca al Tesoro di un governo federale. Va osservato che l'origine della crisi dell'Eurozona ha natura politico-istituzionale, erroneamente percepita come economico-finanziaria, nonostante i fondamentali europei in termini di debito, deficit, riserve e risparmio siano nettamente migliori di quelli americani (cfr. la tabella n. 1 con i dati per il periodo 2007-2011 a p. seguente). La creazione della moneta europea aveva comportato una notevole riduzione fino quasi a una sostanziale scomparsa del differenziale dei tassi di interesse sul debito pubblico dei suoi Paesi membri, lo "spread", nonostante la situazione debitoria dei vari Stati fosse assai differente. Questo ha comportato enormi benefici in termini di riduzione dei costi per il servizio del debito, specialmente per i Paesi maggiormente indebitati, come l'Italia16. La crisi attuale ha nuovamente aumentato lo spread, ma i tassi di interesse rimangono ben al di sotto dei livelli degli anni '80 e dei primi anni '90. In sostanza è un preludio che indica la direzione di marcia dei mercati nel caso di una disgregazione della moneta unica. La Grecia, che è ormai considerata già quasi fuori dall'Euro, ha ormai raggiunto uno spread di oltre 2200 punti base. 15 Non è possibile offrire un'analisi dettagliata del legame tra questi processi così distanti tra loro nel tempo. Sul fatto che il sistema monetario successivo alla fine di Bretton Woods sia la condizione di possibilità della crisi contemporanea c'è però ampia convergenza come mostrano lo Special Report del Council of Foreign Relations, il discorso del Governatore della Banca Centrale cinese, e numerosi articoli di studiosi europei (cfr. Mosconi 2000 e 2009, Jozzo e Mosconi 2006, Dunaway 2009, Xiaochuan 2009, ). 16 Nel paper "La moneta unica e l'unione politica" per il panel "La moneta unica e la cittadinanza europea" (disponibile su http://www.sisp.it/files/papers/2012/roberto-castaldi-1376.pdf) da cui è tratto in parte il testo di questo paragrafo, viene offerta un'analisi dettagliata degli effetti dell'Euro sull'Italia e dell'evoluzione della situazione italiana. %15 Tabella 1 – Andamento di deficit, debito, riserve e risparmi negli Stati Uniti e in Europa (% del PIL, salvo diversamente indicato) 2007 2008 2009 2010 2011 Deficit di bilancio UE27 -0.9 -2.4 -6.7 -6.5 -4.6 Area Euro -0.7 -2.1 -6.4 -6.3 -4.1 USA -2.7 -6.7 -13.0 -10.5 -9.6 Debito pubblico UE27 59.5 64.0 74.4 79.6 82.4 Area Euro 66.4 70.2 79.9 85.7 88.1 USA 67.2 76.1 89.9 98.5 102.9 Riserve (escluso oro) UE27 2.6 2.7 3.4 4.0 4.1 Area Euro 1.5 1.4 1.6 1.9 2.0 USA 0.4 0.5 0.7 0.8 0.9 Riserve (mld di euro) UE27 324.3 337.6 393.5 489.3 516.8 Area Euro 134.2 131.4 139.5 177.9 186.4 USA 41.6 43.7 67.9 89.0 97.0 Risparmi lordi UE27 21.6 20.7 17.9 18.3 19.0 Area Euro 23.1 21.5 18.8 19.4 19.8 USA 14.6 13.4 11.1 12.2 12.2 Risparmi lordi in valore assoluto (mld di euro) UE27 2700.9 2596.2 2133 2270.5 2423.1 Area Euro 2078.6 1986.7 1675.2 1769.9 1857.7 USA 1972.7 1817.1 1500.8 1715.8 1778.7 Fonte: elaborazioni su dati AMECO, Eurostat, ECB, FED Ancora una volta è utile soffermarsi sull'interazione tra gli avvenimenti a vari livelli. La crisi finanziaria americana colpisce inizialmente il sistema bancario europeo e in particolare quello irlandese, maggiormente esposto al crollo dei sub-prime americani. L'assenza di una risposta europea, ed il salvataggio del sistema bancario da parte dello Stato irlandese avvia la crisi del debito sovrano europeo. La scoperta da parte del nuovo governo %16 greco di centro-sinistra guidato da Papandreu che il precedente governo di centro-destra guidato da Karamanlis aveva truccato i conti pubblici per ottenere l'ingresso nella moneta unica, sposta l'asse della crisi verso i Paesi mediterranei. Allora l'intero debito pubblico greco ammontava al 3% del Pil dell'Eurozona (fonte: AMECO) . Era dunque possibile sterilizzare immediatamente la crisi mediante l'acquisto in blocco dell'intero debito pubblico greco, mediante un prestito alla Grecia, ai tassi di interesse di mercato di allora, che erano bassi, e che la Grecia sarebbe stata in grado di ripagare mediante un Piano di austerity meno impegnativo di quello realizzato finora. L'Europa però non è riuscita a decidere e intervenire tempestivamente e la crisi del debito sovrano greco si è avvitata, con un aumento enorme dei tassi di interesse sui titoli di Stato - sui decennali è pari al 25% (dato di inizio agosto 2012) - che rende politicamente e socialmente estremamente difficile qualunque riduzione del debito stesso. Va osservato che, una volta scoperto il buco di bilancio, il debito pubblico greco era comunque il 110% del PIL, ovvero analogo a quello italiano. Questa è stata una delle ragioni del mancato salvataggio iniziale della Grecia, il cui debito pure ammontava solo al 3% del PIL dell'Eurozona: nessuno era disposto a creare un precedente che potesse indurre la speculazione ad attaccare l'Italia e permettesse a questa di richiedere un salvataggio europeo, viste le dimensioni complessive del debito pubblico italiano e il trend negativo dei conti pubblici con il governo allora in carica. In Italia il dibattito pubblico si è soffermato sulle responsabilità della Cancelliera Merkel, attenta alle dinamiche politiche e alle scadenze elettorali interne della Germania, senza interrogarsi adeguatamente sulle responsabilità italiane. Anche successivamente i meccanismi decisionali europei sono stati assai lenti e gli interventi mai decisivi, sebbene gli Stati europei abbiano in realtà speso molto più di quanto sarebbe costato l'iniziale salvataggio greco basti pensare che le risorse teoricamente a disposizione dello European Stability Mechanism ammontano a circa il 5% del PIL dell'Eurozona. La crisi ha così mostrato con chiarezza la zoppia della costruzione dell'unione monetaria e la crisi del debito sovrano ha investito anche altri Paesi europei fino a mettere a rischio la stessa esistenza dell'Eurozona. La contraddizione di una moneta senza governo però investe in modo differenziato i Paesi dell'UE, dal momento che dieci Stati membri non fanno parte dell'Euro, e due di questi, Danimarca e Gran Bretagna17, hanno la possibilità di non aderirvi anche qualora rientrassero nei parametri di convergenza, in virtù di uno specifico opting out. Pertanto, la crisi del debito sovrano ha prodotto anche il risultato politicamente rilevante di mettere in evidenza che l'Euro costituisce la base per un'Europa a due velocità (cfr. Rossolillo 2012). Il trattato per la creazione dello European Stability Mechanism è stato firmato dai soli Paesi dell'Eurozona, mentre l'Euro-Plus Pact e il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell'Eurozona (il cosiddetto Fiscal Compact), ha visto la partecipazione anche di altri Stati membri, ad eccezione della Gran Bretagna e della Repubblica Ceca. Tali 17 La situazione della Gran Bretagna e quella di alcuni Stati americani mostrano con chiarezza la natura politico-istituzionale della crisi. Tra il 2008 e il 2011 il debito pubblico britannico è salito dal 54,8 all'84% del PIL con un aumento di quasi il 30%. Nello stesso periodo il debito spagnolo è salito dal 40,2 al 68,5% del PIL, con un aumento leggermente inferiore a quello inglese ed un debito complessivo nettamente inferiore. Tuttavia, l'attacco speculativo avviene contro la Spagna e non contro la Gran Bretagna. Allo stesso modo non c'è stato contro la California, l'Illinois e altri Stati americani sull'orlo della bancarotta ma inseriti dentro ad un'unione politica e monetaria. %17 strumenti hanno però il limite di essere una prosecuzione della logica di Maastricht: si surroga la creazione di un governo europeo dell'economia mediante vincoli più stringenti sulle politiche di bilancio nazionali, affiancati da strumenti di monitoraggio e sanzioni più automatici e meno sottoposti a decisione politica e da uno strumento di solidarietà e stabilità gestito in maniera intergovernativa e non affidato alla Commissione né sottoposto al controllo del Parlamento europeo. Tutto ciò non ha risolto la crisi: il problema di affiancare alla BCE una qualche forma di governo economico dell'Europa, con adeguati poteri e risorse fiscali, rimane sul campo. Il fatto che lo ESM sia finanziato da fondi provenienti dai bilanci nazionali rischia di aggravare la situazione di alcuni Stati nel momento in cui lo ESM dovesse aiutarne altri. Al contempo è evidente che il 5% del Pil europeo messo a disposizione dello ESM è cinque volte il bilancio europeo, e che la stessa somma sarebbe probabilmente molto più efficace se inserita nel bilancio europeo andando a finanziare investimenti per il rilancio dell'economia europea e/o sostenendo l'emissione di Europrojectbonds ad essi finalizzati. Come ha osservato Fabbrini, l'insuccesso della gestione della crisi del debito sovrano rappresenta un fallimento del metodo intergovernativo, ovvero dei governi nazionali (cfr. Fabbrini 2012a e 2012b). Indicativo il connubio Sarkozy-Merkel, laddove il primo rivendicava l'esigenza di un governo economico per l'Eurozona e la seconda ribadiva che erano loro. Ebbene, il governo intergovernativo dell'Eurozona ha fallito: i governi nazionali non sono in grado con il mero coordinamento di governare l'economia europea. Vi sono state oltre venti riunioni del Consiglio Europeo dedicate alla gestione e soluzione della crisi, evidentemente senza successo. Ma la percezione sociale, alimentata dai media e dalle classi politiche nazionali, è che la crisi e la sua pessima gestione rappresentino un fallimento dell'Europa e del progetto di unità europea. Così le conseguenze economiche e sociali della crisi alimentano le pulsioni alla chiusura e lo sviluppo di forze politiche populiste a livello nazionale, a fronte dello svuotamento della democrazia nazionale, legato alla necessaria e inevitabile cessione di sovranità implicata dall'unione monetaria, resa ancora più evidente dal Fiscal Compact. Né è possibile alcun ritorno indietro: nell'economia globale gli attori principali - USA e BRICs - sono tutti Stati di dimensioni continentali. Nessuno Stato europeo è in grado di competere sull'arena mondiale, e solo uniti hanno la possibilità di sfruttare il loro potenziale comune. L'UE è infatti la seconda economia del mondo, il secondo centro di risparmio e ha un sistema di istruzione di base tra i migliori - sebbene manchi di investimenti mirati su pochi centri di eccellenza in grado di garantire brevetti e ricerca tecnologica avanzata come avviene negli USA. In altre parole, l'UE avrebbe le potenzialità per garantirsi ancora una crescita economica e un ruolo mondiale significativo, ma la sua divisione lo impedisce. Tuttavia, la possibilità di prendere decisioni radicali è spesso legata anche a coincidenze temporali favorevoli. I tempi lunghi dei processi decisionali di riforma e ratifica dei Trattati rendono restii gli Stati ad impegnarsi in presenza di leadership nei principali Paesi prive di un mandato con un adeguato lasso temporale. Al termine del ciclo elettorale che tra il 2011 e il 2013 avrà visto l'insediamento di nuovi governi in Spagna, Francia, Italia e Germania sarà forse più facile impegnarsi in tal senso. Lo sviluppo di un ampio dibattito pubblico in tal %18 senso e la possibilità di abbinare alle elezioni europee del 2014 un referendum consultivo sull'eventuale decisione relativa alle cessioni di sovranità e al trasferimento di poteri finalizzati alla creazione di una più efficace Unione Europea potrebbero costituire un contesto favorevole. 3. Conclusioni La schematica ricostruzione qui proposta - utilizzando lo schema interpretativo crisi-iniziativa-leadership - ha cercato di mettere in rilievo come l'intera evoluzione del processo di unificazione europea sia stata in larga misura legata all'evoluzione del sistema internazionale mondiale. Da un lato l'avvio, il significato storico e la persistenza del processo di unificazione europea possono essere meglio compresi se intesi come la risposta europea ad un mutamento di sistema internazionale che permette solo alle unità di dimensioni continentali di poter aspirare allo status di grande potenza - che determina la polarità del sistema. Ma anche i tempi ed il settore specifico degli avanzamenti del processo sono stati in larga misura la risposta europea a crisi internazionali. Questo suggerisce inoltre l'impossibilità di attribuire una priorità esplicativa ad un settore di analisi piuttosto che ad un altro. La natura militare, economica, o politica della crisi emersa sul piano mondiale ha avuto un ruolo nel determinare il settore della risposta europea. La Guerra di Corea e la richiesta di riarmo tedesco ha costituito la crisi in cui si è sviluppato l'iniziativa di Monnet per la creazione di un esercito europeo. La fine di tale crisi e altri sviluppi sul piano internazionale hanno poi avuto un'influenza decisiva anche nel determinare il fallimento finale di tale iniziativa. La crisi del sistema monetario di Bretton Woods ha favorito le iniziative a sostegno dell'integrazione monetaria, inizialmente frustrate dallo shock petrolifero. Il crollo dell'impero sovietico e del muro di Berlino ha giocato un ruolo decisivo per raggiungere l'unione monetarie e per avviare la discussione sull'unione politica. La seconda guerra in Iraq ha portato alla previsione della possibilità della cooperazione strutturata permanente in materia di difesa, che non è però ancora stata avviata. L'interazione tra il sistema mondiale e il sistema europeo è stata spesso una delle dinamiche propulsive del processo di unificazione europea. Allo stesso tempo sono state messe in rilievo anche dinamiche endogene al sub-sistema europeo che hanno influenzato in modo egualmente significativo lo sviluppo del processo. In tale contesto sono state prese in esame sia le rilevanti evoluzioni interne agli Stati membri, sia quelle dei loro rapporti nel quadro dell'unificazione europea e dei rapporti inter-istituzionali. L'interazione tra l'evoluzione del sistema internazionale - crisi dell'impero francese e morte di Stalin - e le dinamiche politiche interne francesi aiutano a comprendere la caduta del Trattato CED. La dinamica politica europea legata alla contraddizione di un esercito europeo senza un governo europeo ha permesso l'avvio di un processo sostanzialmente costituente finalizzato alla creazione della Comunità Politica Europea, poi caduta insieme alla CED. La dinamica endogena innescata dall'elezione diretta del Parlamento Europeo - resa possibile anche dalla presenza della leadership di Spinelli all'interno del primo %19 Parlamento eletto - ha portato alla creazione del mercato unico e al superamento del principio dell'unanimità rispetto ad esso. La dinamica innescata dall'allargamento ha portato ad una situazione di riforma semipermanente delle istituzioni e dei meccanismi decisionali, sebbene non sia stata sufficientemente forte da portare a risultati decisivi rispetto al superamento del principio dell'unanimità. La contraddizione di una moneta europea senza un governo europeo ha favorito l'avvio di un processo costituente, ma il fatto che l'Euro stesse proteggendo efficacemente l'economia europea rendeva tale contraddizione meno pressante, tanto che non è stata ancora risolta. Lo scoppio della crisi finanziaria negli USA, unita a tale contraddizione, ha favorito l'avvio e l'avvitamento della crisi del debito sovrano, che non può essere intesa meramente come una crisi di natura economica o fiscale, e la cui gestione è stata influenzata significativamente anche delle dinamiche - politiche ed economiche - interne ai Paesi membri. L'interazione tra l'evoluzione del sistema mondiale e le dinamiche europee - interne all'Unione e interne agli Stati membri - sarà decisiva nel determinare le soluzioni che gli europei individueranno ed i loro tempi di attuazione. Bibliografia Albertini, Mario, 1966-1999, La strategia della lotta per l'Europa [1966], in Albertini 1999a. Albertini, Mario, 1968-1999b, L'aspetto di potere nella programmazione europea, in Albertini 1999b. Albertini, Mario, 1977a, La grandezza di Jean Monnet, in «Il Federalista», XIX, 1 (1977), pp. 1-4. Albertini, Mario, 1977b, La fondazione dello Stato europeo. Esame e documentazione del tentativo intrapreso da De Gasperi nel 1951 e prospettive attuali, in «Il Federalista», XIX, 1 (1977), pp. 5-55. Albertini, Mario, 1963-1993, Il federalismo, il Mulino, Bologna. Albertini, Mario, 1999a, Una rivoluzione pacifica, il Mulino, Bologna. Albertini, Mario, 1999b, Nazionalismo e federalismo, il Mulino, Bologna. 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