Settembre 2012

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Settembre 2012
DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO
Settembre 2012
SPENDING REVIEW
DPPO & Redazione
Luana BELLACOSA
Sabrina DOTTORI
Maria Rita GATTI
Mirella GORI
Giovanna RICCI
Rete
Fulvia ALLEGRI
Sandra APUZZO
Paola BOTTA
Bianca CUCINIELLO
Laura FORIN
Raffaella INFELISI
Stefania LEONE
Belisaria MORESCHINI
Nadia PETRINI
Carla PROIETTI
Stefania SABA
Stefania SALVI
FilomenaTEDESCHI
Pari Opportunità e disabilità
In nome delle esigenze dettate dal provvedimento spending review è
grave il ridimensionamento dell’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali - deciso dal ministro delle Pari Opportunità Elsa Fornero.
È quanto scrivono in una lettera al ministro, le principali Federazioni
europee impegnate sul fronte della disabilità, della lotta al razzismo,
dei diritti delle donne e delle persone anziane, chiedendo – come già
avevano fatto tante associazioni italiane – di mantenere intatto e anzi
di potenziare il ruolo dell’Ufficio Nazionale Antiscriminazioni Razziali,
che tanto bene ha lavorato in questi dieci anni, costituendo un polo di
eccellenza istituzionale, di cui si sentirà acutamente la mancanza.
Carlotta Besozzi, direttore dell’EDF (European Disability Forum) così ha
scritto al Ministro:
«Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la decisione del
vostro Governo di ristrutturare l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e di tagliare il budget ad esso destinato».
UILCA
Segreteria Regionale
Roma e Lazio
Via Collina n. 24
00187 Roma
Tel. 06 42012215
Fax 06 42012375
È – in ordine di tempo l’ultimo appello lanciato in luglio da numerose
sigle dell’associazionismo italiano, tra cui la FISH (Federazione Italiana
per il Superamento dell’Handicap)
La lettera che fa anche riferimento alla Direttiva del Consiglio d’Europa
2000/43/EC (Council Directive 2000/43/EC of 29 June 2000 implementing the principle of equal treatment between persons irrespective
of racial or ethnic origin), insiste sulla necessità di implementare i pari
diritti tra tutte le persone.
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«L’articolo 13 di quella Direttiva – si legge infatti nel messaggio – chiede agli Stati Membri dell’Unione Europea di avviare specifici organismi, utili a promuovere il pari trattamento e a combattere ogni discriminazione, basata sulla razza o sull’origine etnica.
Si tratta di strutture estremamente importanti per implementare le leggi antidiscriminatorie, per dare sostegno alle vittime di discriminazioni e per coordinare il lavoro dei Governi e di altri organismi statali in direzione dell’uguaglianza».
Oltre all’EDF anche l’ENAR (European Network Against Racism), l’EWL (European Women’s Lobby) e AGE Platform Europe, ovvero le principali Federazioni continentali impegnate rispettivamente sul fronte della disabilità, della lotta al razzismo, dei diritti delle
donne e di quelli delle persone anziane, hanno firmato la lettera i cui stralci riportiamo di
seguito.
«Durante gli ultimi dieci anni – si scrive
ancora – l’UNAR ha giocato un ruolo molto importante per l’applicazione concreta,
in
Italia,
della
Direttiva
Europea
sull’uguaglianza, diffondendo buone prassi, sostenendo persone vittime di discriminazioni e creando nuove occasioni di
dialogo e positive opportunità per la società italiana». «Possiamo capire – si aggiunge – che in questa grave fase di crisi
economica e finanziaria, il vostro Governo
debba rivedere i criteri della spesa pubblica e tuttavia un ridimensionamento
dell’UNAR rischia di avere un grave impatto sulle capacità dell’Ufficio di continuare le proprie attività, ciò che può ripercuotersi
negativamente sulle pari opportunità di tante persone che già stanno pagando fortemente la crisi, a causa della riduzione dei loro redditi, delle
pensioni, dei servizi di sostegno e delle opportunità di lavoro, senza parlare dell’aumento
di comportamenti discriminatori e di attacchi xenofobi».
«Chiediamo quindi al Governo Italiano – conclude la lettera, firmata da Carlotta Besozzi,
direttore dell’EDF, Michael Privot, direttore dell’ENAR, Sonja Lokar, presidente dell’EWL e
Anne-Sophie Parent, segretario generale di AGE Platform Europe – di assumersi la responsabilità di non ridimensionare l’UNAR e di mantenere la tutela e le pari opportunità
per tutte le persone che vivono e lavorano in Italia». Il coordinamento Pari Opportunità
e Politiche di genere non può che esprimere il su apprezzamento per i contenuti della
lettera che condivide, con l’auspicio che la "ristrutturazione" dell’UNAR non ne comporti
l’eliminazione – come pare dovrà avvenire – bensì il potenziamento di un organismo altamente meritevole nel desolante panorama delle inefficienze istituzionali del nostro Paese.
(Fonte Lele-news Pari opportunità e disabilità)
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re la vittima, spesso con ferocia maggiore. Maggiore successo ha la scommessa
sul recupero , come il Centro Presunti
Autori istituito nel 2007 dall’Osservatorio
Nazionale Stalking che ha già risocializzato 200 stalker.
L’Italia, patria di agguerriti movimenti
femministi durante gli anni ’60 e ’70, ha
abrogato il delitto d’onore solo il 5 agosto
1981, vale a dire che fino a quel giorno
un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l’onore (per esempio l’omicidio della
moglie adultera) era sanzionato con pene
attenuate rispetto all’analogo delitto di
diverso movente. Oggi che il delitto
d’onore cacciato dalla porta principale
rientra dalla finestra delle comunità migranti come conflitto generazionale tra
padri conservatori e figlie renitenti alla
tradizione, le italiane hanno tragicamente imparato a familiarizzare con il termine stalker, un individuo che presenta
gravi difficoltà psicologiche ad accettare
l’abbandono
e perseguita
la sua presunta carnefice.
I
dati
dell’Osservat
orio rivelano
che nel 70%
dei casi si
tratta di un
uomo,
nel
95% dei casi
è un conoscente della
vittima,
nell’80% dei casi è un manipolatore affettivo, nel 70% dei casi ha subito un lutto, un abbandono o una separazione significativa mai elaborata.
Stalking
un’emergenza continua
Novanta donne
uccise nel 2012
Nel 15% dei casi i delitti sono stati preceduti da denunce. Cresce la preoccupazione per i conflitti padre-figlia all’interno
delle comunità di migranti
ROMA – Qual è il paese occidentale in cui
dall’inizio del 2012 sono state uccise 90
donne, molte delle quali a causa di possessività, gelosia, problematiche legate
alla coppia scoppiata? La risposta, fornita
dall’Osservatorio Nazionale Stalking, è
l’Italia, dove i dati aggiornati al 10 settembre scorso parlano di 10 vittime al
mese, molte delle quali assassinate da
uomini che conoscevano, in seguito a
una separazione o a un rifiuto.
Sebbene nel 2011 la cifra fosse addirittura superiore – 127 omicidi – il quadro è
tutt’altro che rassicurante. Anche perchè
nel 15% dei casi i delitti erano stati preceduti da denunce per stalking. Una decina di rei confessi inoltre, si è tolta la vita dopo l’arresto. Secondo l’Osservatorio,
che stima il numero di quelle che subiscono in silenzio per paura di ritorsioni
assai superiore a quello delle coraggiose
tamburine degli abusi maschili, almeno
un persecutore su tre è recidivo e dopo
la denuncia o condanna torna a molesta
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no principalmente al sud: 85,2% in Basilicata, 83,9% in Campania, 82,8% in Molise,
81,7% in Sicilia e 81,3% a Bolzano. Anche
per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di
77% in Molise e Campania e 75,6% in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7%) e a
Trento (31,8%). Per il personale non medico
i valori sono più bassi, con un massimo di
87,0% in Sicilia e 82,0% in Molise”.
Quale trend per
l’obiezione di coscienza sull’aborto
I giudici della Corte Costituzionale si sono
pronunciati sulla legge n. 194 del 1978,
quella che stabilisce le norme per cui si può
interrompere una gravidanza, e in particolare sui fattori che legittimano l’aborto nei
primi 90 giorni, nell’udienza prevista per il
20 giugno. Sebbene la giurisprudenza sulla
materia sia stata confermata e con essa la
piena costituzionalità del diritto all’aborto,
rimangono forti preoccupazioni in merito
all’uso/abuso dell’obiezione di coscienza che chiaramente può comportare una
compressione del diritto stesso.
A leggere questi dati, pare che la legge 194
sia stata ormai svuotata da anni dall’interno:
sempre secondo il Ministero della Salute,
infatti, sono obiettori sette medici su
dieci, mentre da un’inchiesta dell’Espresso
di fine 2011, risulta che i 1.655, non obiettori hanno effettuato nel solo 2009, con le loro
(scarse) forze, 118.579 interruzioni di gravidanza.
Inoltre,
secondo
Laiga (l’associazione che riunisce i ginecologi a
difesa della 194) i “no” dei medici arriverebbero quasi al 90% del totale, specie
se ci si riferisce agli aborti dopo la dodicesima settimana. Nei sette ospedali romani che eseguono aborti terapeutici, i medici disponibili sono due; tre (su 60) al Secondo Policlinico di Napoli. Al Sud ci sono ospedali totalmente “obiettanti”. In altre zone
la percentuale di chi rifiuta di interrompere la
gravidanza sfiora l’80 per cento, come in Molise, Campania, Sicilia, Bolzano. Siamo sopra
l’85% in Basilicata.
Non siamo ai livelli della Turchia, dove il
premier conservatore Recep Tayyip Erdogan ha sentenziato che “uccidere un bambino nel ventre della madre o dopo la sua nascita è la stessa cosa” scagliandosi persino
contro il metodo cesareo, “parto non naturale”. Ma anche in Italia il problema
dell’obiezione di coscienza è quanto mai attuale,
soprattutto
con
riferimento
all’esercizio del diritto di aborto. Come descritto nella “Relazione del Ministero della
Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194 del 1978)“, del 4 agosto 2011, “nel 2009 si evince una stabilizzazione generale dell’obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti,
dopo un notevole aumento negli ultimi anni.
Infatti, a livello nazionale, per i ginecologi si è passati dal 58,7 per cento del
2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5
per cento del 2007, al 71,5 per cento del
2008 e al 70,7 per cento nel 2009; per
gli anestesisti, negli stessi anni, dal
45,7 per cento al 51,7 per cento. Per il
personale non medico si è osservato un
ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005
al 44,4 per cento nel 2009. Percentuali
superiori all’80% tra i ginecologi si osserva-
Lazio e Lombardia sembrano casi emblematici di un trend tutto teso a rendere
l’esercizio del diritto di aborto un percorso ad
ostacoli. Sempre Laiga, infatti, denuncia che
“nel Lazio in 10 strutture pubbliche su
31, esclusi gli ospedali religiosi e le cliniche accreditate, non si eseguono interruzioni di gravidanza. Tra queste, 2
sono strutture universitarie (Tor Vergata
e S. Andrea), che dunque disattendono anche il compito della formazione dei nuovi
ginecologi, sancito dall’articolo 15 della legge
194″ e che nella regione “ha posto obiezione di coscienza il 91,3% dei ginecologi
ospedalieri”. L’Associazione che a Roma ha
presentato giovedì scorso i risultati di un
monitoraggio dello stato di attuazione
della legge nel Lazio lancia un avvertimento su come “i numeri sono emblematici della
drammaticità della situazione in cui versa la
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gran parte delle regioni italiane. È emerso
che la realtà è ben più grave di quanto riportato nella relazione annuale presentata in
Parlamento dal ministro della Salute. C’è
un clima di attacco su più fronti alla legge
194 e in generale al diritto alla piena salute riproduttiva, che mette in campo l’uso
strumentale dell’obiezione di coscienza”.
Inoltre, i dati sopra indicati sulle percentuali
di obiettori comportano anche conseguenze
oggettivamente pesanti sui sempre più limitati medici non obiettori, che spesso
si ritrovano relegati a occuparsi quasi
esclusivamente di interruzioni di gravidanza, con il rischio concreto di una dequalificazione professionale e conseguenti effetti penalizzanti sulle loro
stesse possibilità di carriera.
Giova quindi ricordare che l’Assemblea
parlamentare del Consiglio di Europa ha
recentemente sottolineato, con la raccomandazione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010, la necessità di affermare il
diritto all’obiezione di coscienza insieme
con la responsabilità dello Stato, per assicurare che i pazienti siano in grado di
accedere a cure mediche lecite in modo
tempestivo.
Anche in Lombardia si registra lo stesso
trend in crescita del numero del personale
sanitario e non sanitario che pone obiezioni
di coscienza; il 67% dei medici ginecologi, il 47,1% dei medici anestesisti e il
40,3% del personale paramedico.
Ora, alla luce di dati così significativi, bisogna sottolineare che il rispetto del diritto
di sollevare obiezione di coscienza sia
correlato alla tutela del diritto alla salute nelle forme legittimamente determinate
dalla legge e dunque anche dell’aborto. Nel
caso di specie, si è di fronte a due soggetti,
entrambi titolari di diritti soggettivi riconosciuti
dalla
legge:
quello
all’interruzione volontaria di gravidanza della
donna e quello all’obiezione di coscienza del
personale sanitario. Due principi legittimi che
idealmente dovrebbero poter convivere affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà: proprio per questo, il diritto
all’obiezione di coscienza in materia di
aborto è sancito dall’articolo 9 della
legge n. 194 prevedendo, al contempo,
che gli enti ospedalieri e le case di cura
autorizzate siano tenuti in ogni caso ad
assicurare l’espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della
gravidanza. Qui la responsabilità della regione che, competente in materia sanitaria,
come stabilito dalla costituzione e della legge
più nel dettaglio, deve controllarne e garantirne l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale. Tale situazione ha poi generato e continua a generare un conflitto
difficile da gestire tra il primario diritto
della donna, in un percorso che è già di per
sé psicologicamente complicato, di accedere a determinati servizi previsti dal servizio sanitario nazionale, il dovere
dell’ospedale di garantire quel servizio
tutelando prima di tutto la salute della
donna e quello del medico di “rivendicare“, attraverso l’obiezione di coscienza,
una propria libertà morale e religiosa.
Consapevoli di tutto ciò, l’Aied (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) e l’Associazione Luca Coscioni
per la libertà della ricerca scientifica
hanno organizzato a Roma, il 22 maggio
scorso, giorno del 34° anniversario della
194, un convegno dal titolo “Obiezione
di coscienza in Italia. Proposte giuridiche a garanzia della piena applicazione
della legge 194 sull’aborto”. In quella sede sono state presentate alcune misure
semplici che potrebbero assicurare il servizio
pubblico di IGV, garantendo quindi l’esercizio
del diritto di aborto, senza allo stesso tempo
scalfire il diritto all’obiezione di coscienza. In
particolare, le proposte, suggerite pure
con una lettera a tutti i Presidenti e assessori alla sanità delle Regioni, concernono la creazione di un albo pubblico dei
medici obiettori di coscienza; l’elaborazione
di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza; concorsi pubblici riservati a medici non obiettori per la
gestione dei servizi di IVG; l’utilizzo dei medici “gettonati” per sopperire urgentemente
alle carenze dei medici non obiettori; la deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di IVG sono scoperti.
(Fonte “www.youtrend.it)
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stante la ratio dell’art. 5 legge n. 863/1984,
che, se le parti concordano per un orario
giornaliero inferiore a quello ordinario, di tale orario debba essere determinata la collocazione nell’arco della giornata e che, se parimenti le parti convengono che l’attività lavorativa debba svolgersi solo in alcuni giorni
della settimana o dei mese, anche la distribuzione di tali giornate lavorative sia previamente stabilita; dall’accertata illegittimità
di tali clausole non consegue l’invalidità del
contratto part - time, né la trasformazione
in contratto a tempo indeterminato, ma solo
l’integrazione del trattamento economico.
Tuttavia, se è illegittima la variazione di orario stabilita unilateralmente dal datore di
lavoro la lavoratrice non può rispondere con
comportamenti negligenti, non collaborativi,
ripetutamente inadempienti, idonei a far
cessare la fiducia del datore di lavoro nella
corretta esecuzione degli obblighi di servizio. Così la Cassazione con la Sentenza n.
14999/2012. Il caso in esame riguarda una
dipendente comunale, con orario part time,
addetta alla biblioteca. Il Comune decide, in
modo unilaterale, l’apertura della biblioteca
anche di sabato. La lavoratrice conviene in
giudizio, innanzi al Tribunale di Como, il
Comune chiedendo che fosse accertato il
suo diritto al rispetto dell’orario fissato nel
contratto, modificato unilateralmente dal
Comune, nonché, la illegittimità di due sanzioni disciplinari di sospensione dal lavoro,
una di cinque mesi e l’altra di 10 giorni. Il
Tribunale dichiara la nullità della sanzione
disciplinare di cinque mesi di sospensione e
riducequella di 10 giorni a un solo giorno,
rigetta ndo le altre domande di natura risarcitoria nonché la declaratoria di illegittimità
della modifica unilaterale dell’orario di lavoro part - time. Con un secondo ricorso, la
lavoratrice conviene in giudizio lo stesso
Comune, innanzi al Tribunale di Como, chiedendo che fosse accertata la illegittimità
della sospensione disciplinare e del licenziamento con preavviso. Il Tribunale di Como dichiara illegittima la sanzione disciplinare di sei mesi di sospensione, ma rigetta
l’impugnativa del licenziamento che ritiene
legittimo. La Corte di appello di Milano dichiara illegittimo il mutamento dell’orario di
lavoro disposto unilateralmente dal Comune
e dichiara parimenti illegittima la sanzione
SIGLATO L’ACCORDO SUL
PIANO STRATEGICO DEL
GRUPPO UNICREDIT
Il Giorno 15 settembre è stato firmato
l’accordo sul piano strategico 2010/2015 il
cui contenuto è consultabile sul sito UILCA.
Ricordiamo alle lavoratrici optanti al pensionamento con il metodo contributivo (accesso all’esodo esclusivamente volontario
per chi ha i requisiti di almeno 35 anni di
contributi e 57 di età) di far pervenire alle
strutture competenti le manifestazioni di interesse entro il 20 ottobre 2012.
DIRITTO DEL LAVORO
Alla lavoratrice part time viene
cambiato l’orario di lavoro con
decisione unilaterale del datore di
lavoro
La decisione è illegittima ma il
lavoratore non può per ritorsione
creare disservizi
La costante giurisprudenza di
legittimità ha affermato che
le così dette clausole elastiche, che consentono al datore di lavoro di richiedere “a comando” la prestazione lavorativa dedotta in
un contratto part - time, sono illegittime, visto che l’esigenza della previa pattuizione
bilaterale della riduzione di orario comporta,
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disciplinare; quanto all’intimato licenziamento, la Corte di Appello conferma la sentenza di primo grado. Avverso la pronuncia
di appello, la lavoratrice ha promosso ricorso per Cassazione, rigettato dalla Suprema
Corte. La Corte osserva che la controversia
riguarda
prioritariamente
la
modifica
dell’orario di la lavoro e il licenziamento che
si fonda sulla contestazione di una serie di
inadempienze nell’attività della ricorrente
quale bibliotecaria. Quanto alla variazione di
orario e alla connessa sanzione di 10 giorni
di sospensione, la sentenza impugnata, favorevole alla dipendente, è corretta stante
l’orientamento giurisprudenziale di questa
Corte in ordine alle cosiddette clausole elastiche. Quanto al licenziamento il giudice di
appello individua plurimi profili di negligenza
della lavoratrice pervenendo al convincimento, in sintonia con la valutazione del
giudice di primo grado, della sussistenza del
giustificato motivo soggettivo di recesso. Infatti, la dipendente, a fronte della delibera
del Comune di aprire il servizio della biblioteca anche nella giornata del sabato, ha risposto con comportamenti negligenti, non
collaborativi, ripetutamente inadempienti,
idonei a far cessare la fiducia del datore di
lavoro nella corretta esecuzione degli obblighi di servizio. In particolare, risultava provato che la ricorrente ha partecipato ai corsi
di formazione solo per 3 ore, assentandosi
per gli altri incontri; nel periodo di lavoro ha
dato luogo a una serie di disfunzioni del servizio; ha violato gli artt. 17 e 18 del regolamento di catalogazione dei documenti;
non ha comunicato i dati statistici richiesti
dalla responsabile del sistema bibliotecario;
ha gestito in modo disordinato i locali, gli
spazi e il patrimonio librario della biblioteca;
non ha comunicato la seconda password inserita nel computer, impedendo durante la
sua assenza l’uso del computer. I comportamenti contestati denotano evidente intenzionalità e costituiscono gravi inadempimenti per le responsabilità connesse alla posizione occupata, nonché per il danno che il
disservizio ha provocato alla funzionalità e
all’immagine del Comune. Tali comportamenti della ricorrente non erano giustificati
dalla pretesa del Comune di variare l’orario
in conseguenza della legittima decisione di
aprire la biblioteca al pubblico anche nella
giornata del sabato; la lavoratrice, infatti,
avrebbe potuto rifiutare motivatamente la
prestazione per quel giorno o accettandola,
chiedere l’accertamento della sua illegittimità, sempre continuando a rispettare gli essenziali obblighi relativi alla sua posizione di
lavoro.
(Fonte “StudioLegalelaw.net”)
No al licenziamento
del lavoratore depresso che non comunica la prosecuzione della malattia
Per il contratto collettivo in caso di patologia
caratterizzata da ansia e panico il fatto addebitato non si può sanzionare sul piano disciplinare.
È illegittimo il licenziamento intimato al dipendente depresso nonostante la mancata
tempestiva comunicazione della prosecuzione della malattia: il lavoratore è salvato dalla
disciplina collettiva che esclude la sanzionabilità dei comportamenti addebitati in ragione del giustificato impedimento. È quanto disciplina la corte di Cassazione con sentenza
11798/12 pubblicata il 12 luglio.
Il lavoratore soffre di disturbi d'ansia, attacchi di panico e labilità emotiva esasperata,
situazione che si aggrava nel tempo fino ad
evolvere in vera e propria sintomatologia
depressiva: in queste condizioni non può essere licenziato, e ciò grazie alla disciplina
collettiva; la patologia che influisce sull'equilibrio psicologico, infatti, risulta essere un
giustificato impedimento idoneo a escludere
la sanzionabilità disciplinare dei fatti addebitati: nel caso di specie, poi, il fatto che la
malattia si era già manifestata al tempo del
licenziamento risulta essere decisivo. Risulta
superato anche il problema della violazione
del canone dell'autosufficienza del ricorso in
cassazione per mancata produzione documentale.
(Fonte “ www.cassazione.net)
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memorandum fiscale
Il CAF UIL di Roma e Provincia vi augura una buona ripresa
delle attività e con l'occasione vi ricorda le prossime scadenze fiscali:
Mense scolastiche
E' possibile presentare la domanda per la riduzione o l'esonero dal pagamento
delle quote dovute per il servizio di refezione scolastica a. s. 2012-2013 fino
al 30 settembre 2012.
Contributo canone di locazione (buono casa)
Il termine per presentare la richiesta per il BUONO CASA scade il 30 settembre 2012.
ROMA TRE e TOR VERGATA
UNIVERSITA' ROMA TRE: L'attestazione ISEEU va richiesta entro il 5 dicembre 2012, il Caf Uil provvederà all'invio telematico del modello.
UNIVERSITA' TOR VERGATA: Gli studenti iscritti agli anni successivi al primo
ovvero quelli che si immatricolano possono richiedere l'attestazione ISEEU rispettivamente entro il 15 ottobre 2012 ed entro il 15 novembre 2012, il
Caf Uil provvederà all'invio telematico del modello.
Censimento ATER
Il CAF UIL offre assistenza gratuita per la compilazione del censimento
ATER.
Ti ricordiamo inoltre che sul sito www.cafuilroma.it sono a disposizione informazioni dettagliate
su
tutti
i
servizi
offerti
dal
CAF
UIL
e
sulle
più
importanti
novità
fiscali.
Verifica sul sito gli orari di apertura delle sedi CAF UIL e trova quella più vicina a te!
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