Settembre 2012
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Settembre 2012
DIPARTIMENTO PER LE PARI OPPORTUNITA’ UILCA DI ROMA E DEL LAZIO Settembre 2012 SPENDING REVIEW DPPO & Redazione Luana BELLACOSA Sabrina DOTTORI Maria Rita GATTI Mirella GORI Giovanna RICCI Rete Fulvia ALLEGRI Sandra APUZZO Paola BOTTA Bianca CUCINIELLO Laura FORIN Raffaella INFELISI Stefania LEONE Belisaria MORESCHINI Nadia PETRINI Carla PROIETTI Stefania SABA Stefania SALVI FilomenaTEDESCHI Pari Opportunità e disabilità In nome delle esigenze dettate dal provvedimento spending review è grave il ridimensionamento dell’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali - deciso dal ministro delle Pari Opportunità Elsa Fornero. È quanto scrivono in una lettera al ministro, le principali Federazioni europee impegnate sul fronte della disabilità, della lotta al razzismo, dei diritti delle donne e delle persone anziane, chiedendo – come già avevano fatto tante associazioni italiane – di mantenere intatto e anzi di potenziare il ruolo dell’Ufficio Nazionale Antiscriminazioni Razziali, che tanto bene ha lavorato in questi dieci anni, costituendo un polo di eccellenza istituzionale, di cui si sentirà acutamente la mancanza. Carlotta Besozzi, direttore dell’EDF (European Disability Forum) così ha scritto al Ministro: «Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la decisione del vostro Governo di ristrutturare l’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e di tagliare il budget ad esso destinato». UILCA Segreteria Regionale Roma e Lazio Via Collina n. 24 00187 Roma Tel. 06 42012215 Fax 06 42012375 È – in ordine di tempo l’ultimo appello lanciato in luglio da numerose sigle dell’associazionismo italiano, tra cui la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) La lettera che fa anche riferimento alla Direttiva del Consiglio d’Europa 2000/43/EC (Council Directive 2000/43/EC of 29 June 2000 implementing the principle of equal treatment between persons irrespective of racial or ethnic origin), insiste sulla necessità di implementare i pari diritti tra tutte le persone. 1 «L’articolo 13 di quella Direttiva – si legge infatti nel messaggio – chiede agli Stati Membri dell’Unione Europea di avviare specifici organismi, utili a promuovere il pari trattamento e a combattere ogni discriminazione, basata sulla razza o sull’origine etnica. Si tratta di strutture estremamente importanti per implementare le leggi antidiscriminatorie, per dare sostegno alle vittime di discriminazioni e per coordinare il lavoro dei Governi e di altri organismi statali in direzione dell’uguaglianza». Oltre all’EDF anche l’ENAR (European Network Against Racism), l’EWL (European Women’s Lobby) e AGE Platform Europe, ovvero le principali Federazioni continentali impegnate rispettivamente sul fronte della disabilità, della lotta al razzismo, dei diritti delle donne e di quelli delle persone anziane, hanno firmato la lettera i cui stralci riportiamo di seguito. «Durante gli ultimi dieci anni – si scrive ancora – l’UNAR ha giocato un ruolo molto importante per l’applicazione concreta, in Italia, della Direttiva Europea sull’uguaglianza, diffondendo buone prassi, sostenendo persone vittime di discriminazioni e creando nuove occasioni di dialogo e positive opportunità per la società italiana». «Possiamo capire – si aggiunge – che in questa grave fase di crisi economica e finanziaria, il vostro Governo debba rivedere i criteri della spesa pubblica e tuttavia un ridimensionamento dell’UNAR rischia di avere un grave impatto sulle capacità dell’Ufficio di continuare le proprie attività, ciò che può ripercuotersi negativamente sulle pari opportunità di tante persone che già stanno pagando fortemente la crisi, a causa della riduzione dei loro redditi, delle pensioni, dei servizi di sostegno e delle opportunità di lavoro, senza parlare dell’aumento di comportamenti discriminatori e di attacchi xenofobi». «Chiediamo quindi al Governo Italiano – conclude la lettera, firmata da Carlotta Besozzi, direttore dell’EDF, Michael Privot, direttore dell’ENAR, Sonja Lokar, presidente dell’EWL e Anne-Sophie Parent, segretario generale di AGE Platform Europe – di assumersi la responsabilità di non ridimensionare l’UNAR e di mantenere la tutela e le pari opportunità per tutte le persone che vivono e lavorano in Italia». Il coordinamento Pari Opportunità e Politiche di genere non può che esprimere il su apprezzamento per i contenuti della lettera che condivide, con l’auspicio che la "ristrutturazione" dell’UNAR non ne comporti l’eliminazione – come pare dovrà avvenire – bensì il potenziamento di un organismo altamente meritevole nel desolante panorama delle inefficienze istituzionali del nostro Paese. (Fonte Lele-news Pari opportunità e disabilità) 2 re la vittima, spesso con ferocia maggiore. Maggiore successo ha la scommessa sul recupero , come il Centro Presunti Autori istituito nel 2007 dall’Osservatorio Nazionale Stalking che ha già risocializzato 200 stalker. L’Italia, patria di agguerriti movimenti femministi durante gli anni ’60 e ’70, ha abrogato il delitto d’onore solo il 5 agosto 1981, vale a dire che fino a quel giorno un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l’onore (per esempio l’omicidio della moglie adultera) era sanzionato con pene attenuate rispetto all’analogo delitto di diverso movente. Oggi che il delitto d’onore cacciato dalla porta principale rientra dalla finestra delle comunità migranti come conflitto generazionale tra padri conservatori e figlie renitenti alla tradizione, le italiane hanno tragicamente imparato a familiarizzare con il termine stalker, un individuo che presenta gravi difficoltà psicologiche ad accettare l’abbandono e perseguita la sua presunta carnefice. I dati dell’Osservat orio rivelano che nel 70% dei casi si tratta di un uomo, nel 95% dei casi è un conoscente della vittima, nell’80% dei casi è un manipolatore affettivo, nel 70% dei casi ha subito un lutto, un abbandono o una separazione significativa mai elaborata. Stalking un’emergenza continua Novanta donne uccise nel 2012 Nel 15% dei casi i delitti sono stati preceduti da denunce. Cresce la preoccupazione per i conflitti padre-figlia all’interno delle comunità di migranti ROMA – Qual è il paese occidentale in cui dall’inizio del 2012 sono state uccise 90 donne, molte delle quali a causa di possessività, gelosia, problematiche legate alla coppia scoppiata? La risposta, fornita dall’Osservatorio Nazionale Stalking, è l’Italia, dove i dati aggiornati al 10 settembre scorso parlano di 10 vittime al mese, molte delle quali assassinate da uomini che conoscevano, in seguito a una separazione o a un rifiuto. Sebbene nel 2011 la cifra fosse addirittura superiore – 127 omicidi – il quadro è tutt’altro che rassicurante. Anche perchè nel 15% dei casi i delitti erano stati preceduti da denunce per stalking. Una decina di rei confessi inoltre, si è tolta la vita dopo l’arresto. Secondo l’Osservatorio, che stima il numero di quelle che subiscono in silenzio per paura di ritorsioni assai superiore a quello delle coraggiose tamburine degli abusi maschili, almeno un persecutore su tre è recidivo e dopo la denuncia o condanna torna a molesta 3 no principalmente al sud: 85,2% in Basilicata, 83,9% in Campania, 82,8% in Molise, 81,7% in Sicilia e 81,3% a Bolzano. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al sud (con un massimo di più di 77% in Molise e Campania e 75,6% in Sicilia) e i più bassi in Toscana (27,7%) e a Trento (31,8%). Per il personale non medico i valori sono più bassi, con un massimo di 87,0% in Sicilia e 82,0% in Molise”. Quale trend per l’obiezione di coscienza sull’aborto I giudici della Corte Costituzionale si sono pronunciati sulla legge n. 194 del 1978, quella che stabilisce le norme per cui si può interrompere una gravidanza, e in particolare sui fattori che legittimano l’aborto nei primi 90 giorni, nell’udienza prevista per il 20 giugno. Sebbene la giurisprudenza sulla materia sia stata confermata e con essa la piena costituzionalità del diritto all’aborto, rimangono forti preoccupazioni in merito all’uso/abuso dell’obiezione di coscienza che chiaramente può comportare una compressione del diritto stesso. A leggere questi dati, pare che la legge 194 sia stata ormai svuotata da anni dall’interno: sempre secondo il Ministero della Salute, infatti, sono obiettori sette medici su dieci, mentre da un’inchiesta dell’Espresso di fine 2011, risulta che i 1.655, non obiettori hanno effettuato nel solo 2009, con le loro (scarse) forze, 118.579 interruzioni di gravidanza. Inoltre, secondo Laiga (l’associazione che riunisce i ginecologi a difesa della 194) i “no” dei medici arriverebbero quasi al 90% del totale, specie se ci si riferisce agli aborti dopo la dodicesima settimana. Nei sette ospedali romani che eseguono aborti terapeutici, i medici disponibili sono due; tre (su 60) al Secondo Policlinico di Napoli. Al Sud ci sono ospedali totalmente “obiettanti”. In altre zone la percentuale di chi rifiuta di interrompere la gravidanza sfiora l’80 per cento, come in Molise, Campania, Sicilia, Bolzano. Siamo sopra l’85% in Basilicata. Non siamo ai livelli della Turchia, dove il premier conservatore Recep Tayyip Erdogan ha sentenziato che “uccidere un bambino nel ventre della madre o dopo la sua nascita è la stessa cosa” scagliandosi persino contro il metodo cesareo, “parto non naturale”. Ma anche in Italia il problema dell’obiezione di coscienza è quanto mai attuale, soprattutto con riferimento all’esercizio del diritto di aborto. Come descritto nella “Relazione del Ministero della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194 del 1978)“, del 4 agosto 2011, “nel 2009 si evince una stabilizzazione generale dell’obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti, dopo un notevole aumento negli ultimi anni. Infatti, a livello nazionale, per i ginecologi si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008 e al 70,7 per cento nel 2009; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,4 per cento nel 2009. Percentuali superiori all’80% tra i ginecologi si osserva- Lazio e Lombardia sembrano casi emblematici di un trend tutto teso a rendere l’esercizio del diritto di aborto un percorso ad ostacoli. Sempre Laiga, infatti, denuncia che “nel Lazio in 10 strutture pubbliche su 31, esclusi gli ospedali religiosi e le cliniche accreditate, non si eseguono interruzioni di gravidanza. Tra queste, 2 sono strutture universitarie (Tor Vergata e S. Andrea), che dunque disattendono anche il compito della formazione dei nuovi ginecologi, sancito dall’articolo 15 della legge 194″ e che nella regione “ha posto obiezione di coscienza il 91,3% dei ginecologi ospedalieri”. L’Associazione che a Roma ha presentato giovedì scorso i risultati di un monitoraggio dello stato di attuazione della legge nel Lazio lancia un avvertimento su come “i numeri sono emblematici della drammaticità della situazione in cui versa la 4 gran parte delle regioni italiane. È emerso che la realtà è ben più grave di quanto riportato nella relazione annuale presentata in Parlamento dal ministro della Salute. C’è un clima di attacco su più fronti alla legge 194 e in generale al diritto alla piena salute riproduttiva, che mette in campo l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza”. Inoltre, i dati sopra indicati sulle percentuali di obiettori comportano anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più limitati medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza, con il rischio concreto di una dequalificazione professionale e conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera. Giova quindi ricordare che l’Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa ha recentemente sottolineato, con la raccomandazione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010, la necessità di affermare il diritto all’obiezione di coscienza insieme con la responsabilità dello Stato, per assicurare che i pazienti siano in grado di accedere a cure mediche lecite in modo tempestivo. Anche in Lombardia si registra lo stesso trend in crescita del numero del personale sanitario e non sanitario che pone obiezioni di coscienza; il 67% dei medici ginecologi, il 47,1% dei medici anestesisti e il 40,3% del personale paramedico. Ora, alla luce di dati così significativi, bisogna sottolineare che il rispetto del diritto di sollevare obiezione di coscienza sia correlato alla tutela del diritto alla salute nelle forme legittimamente determinate dalla legge e dunque anche dell’aborto. Nel caso di specie, si è di fronte a due soggetti, entrambi titolari di diritti soggettivi riconosciuti dalla legge: quello all’interruzione volontaria di gravidanza della donna e quello all’obiezione di coscienza del personale sanitario. Due principi legittimi che idealmente dovrebbero poter convivere affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà: proprio per questo, il diritto all’obiezione di coscienza in materia di aborto è sancito dall’articolo 9 della legge n. 194 prevedendo, al contempo, che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate siano tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. Qui la responsabilità della regione che, competente in materia sanitaria, come stabilito dalla costituzione e della legge più nel dettaglio, deve controllarne e garantirne l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale. Tale situazione ha poi generato e continua a generare un conflitto difficile da gestire tra il primario diritto della donna, in un percorso che è già di per sé psicologicamente complicato, di accedere a determinati servizi previsti dal servizio sanitario nazionale, il dovere dell’ospedale di garantire quel servizio tutelando prima di tutto la salute della donna e quello del medico di “rivendicare“, attraverso l’obiezione di coscienza, una propria libertà morale e religiosa. Consapevoli di tutto ciò, l’Aied (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) e l’Associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica hanno organizzato a Roma, il 22 maggio scorso, giorno del 34° anniversario della 194, un convegno dal titolo “Obiezione di coscienza in Italia. Proposte giuridiche a garanzia della piena applicazione della legge 194 sull’aborto”. In quella sede sono state presentate alcune misure semplici che potrebbero assicurare il servizio pubblico di IGV, garantendo quindi l’esercizio del diritto di aborto, senza allo stesso tempo scalfire il diritto all’obiezione di coscienza. In particolare, le proposte, suggerite pure con una lettera a tutti i Presidenti e assessori alla sanità delle Regioni, concernono la creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza; l’elaborazione di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza; concorsi pubblici riservati a medici non obiettori per la gestione dei servizi di IVG; l’utilizzo dei medici “gettonati” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori; la deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di IVG sono scoperti. (Fonte “www.youtrend.it) 5 stante la ratio dell’art. 5 legge n. 863/1984, che, se le parti concordano per un orario giornaliero inferiore a quello ordinario, di tale orario debba essere determinata la collocazione nell’arco della giornata e che, se parimenti le parti convengono che l’attività lavorativa debba svolgersi solo in alcuni giorni della settimana o dei mese, anche la distribuzione di tali giornate lavorative sia previamente stabilita; dall’accertata illegittimità di tali clausole non consegue l’invalidità del contratto part - time, né la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ma solo l’integrazione del trattamento economico. Tuttavia, se è illegittima la variazione di orario stabilita unilateralmente dal datore di lavoro la lavoratrice non può rispondere con comportamenti negligenti, non collaborativi, ripetutamente inadempienti, idonei a far cessare la fiducia del datore di lavoro nella corretta esecuzione degli obblighi di servizio. Così la Cassazione con la Sentenza n. 14999/2012. Il caso in esame riguarda una dipendente comunale, con orario part time, addetta alla biblioteca. Il Comune decide, in modo unilaterale, l’apertura della biblioteca anche di sabato. La lavoratrice conviene in giudizio, innanzi al Tribunale di Como, il Comune chiedendo che fosse accertato il suo diritto al rispetto dell’orario fissato nel contratto, modificato unilateralmente dal Comune, nonché, la illegittimità di due sanzioni disciplinari di sospensione dal lavoro, una di cinque mesi e l’altra di 10 giorni. Il Tribunale dichiara la nullità della sanzione disciplinare di cinque mesi di sospensione e riducequella di 10 giorni a un solo giorno, rigetta ndo le altre domande di natura risarcitoria nonché la declaratoria di illegittimità della modifica unilaterale dell’orario di lavoro part - time. Con un secondo ricorso, la lavoratrice conviene in giudizio lo stesso Comune, innanzi al Tribunale di Como, chiedendo che fosse accertata la illegittimità della sospensione disciplinare e del licenziamento con preavviso. Il Tribunale di Como dichiara illegittima la sanzione disciplinare di sei mesi di sospensione, ma rigetta l’impugnativa del licenziamento che ritiene legittimo. La Corte di appello di Milano dichiara illegittimo il mutamento dell’orario di lavoro disposto unilateralmente dal Comune e dichiara parimenti illegittima la sanzione SIGLATO L’ACCORDO SUL PIANO STRATEGICO DEL GRUPPO UNICREDIT Il Giorno 15 settembre è stato firmato l’accordo sul piano strategico 2010/2015 il cui contenuto è consultabile sul sito UILCA. Ricordiamo alle lavoratrici optanti al pensionamento con il metodo contributivo (accesso all’esodo esclusivamente volontario per chi ha i requisiti di almeno 35 anni di contributi e 57 di età) di far pervenire alle strutture competenti le manifestazioni di interesse entro il 20 ottobre 2012. DIRITTO DEL LAVORO Alla lavoratrice part time viene cambiato l’orario di lavoro con decisione unilaterale del datore di lavoro La decisione è illegittima ma il lavoratore non può per ritorsione creare disservizi La costante giurisprudenza di legittimità ha affermato che le così dette clausole elastiche, che consentono al datore di lavoro di richiedere “a comando” la prestazione lavorativa dedotta in un contratto part - time, sono illegittime, visto che l’esigenza della previa pattuizione bilaterale della riduzione di orario comporta, 6 disciplinare; quanto all’intimato licenziamento, la Corte di Appello conferma la sentenza di primo grado. Avverso la pronuncia di appello, la lavoratrice ha promosso ricorso per Cassazione, rigettato dalla Suprema Corte. La Corte osserva che la controversia riguarda prioritariamente la modifica dell’orario di la lavoro e il licenziamento che si fonda sulla contestazione di una serie di inadempienze nell’attività della ricorrente quale bibliotecaria. Quanto alla variazione di orario e alla connessa sanzione di 10 giorni di sospensione, la sentenza impugnata, favorevole alla dipendente, è corretta stante l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte in ordine alle cosiddette clausole elastiche. Quanto al licenziamento il giudice di appello individua plurimi profili di negligenza della lavoratrice pervenendo al convincimento, in sintonia con la valutazione del giudice di primo grado, della sussistenza del giustificato motivo soggettivo di recesso. Infatti, la dipendente, a fronte della delibera del Comune di aprire il servizio della biblioteca anche nella giornata del sabato, ha risposto con comportamenti negligenti, non collaborativi, ripetutamente inadempienti, idonei a far cessare la fiducia del datore di lavoro nella corretta esecuzione degli obblighi di servizio. In particolare, risultava provato che la ricorrente ha partecipato ai corsi di formazione solo per 3 ore, assentandosi per gli altri incontri; nel periodo di lavoro ha dato luogo a una serie di disfunzioni del servizio; ha violato gli artt. 17 e 18 del regolamento di catalogazione dei documenti; non ha comunicato i dati statistici richiesti dalla responsabile del sistema bibliotecario; ha gestito in modo disordinato i locali, gli spazi e il patrimonio librario della biblioteca; non ha comunicato la seconda password inserita nel computer, impedendo durante la sua assenza l’uso del computer. I comportamenti contestati denotano evidente intenzionalità e costituiscono gravi inadempimenti per le responsabilità connesse alla posizione occupata, nonché per il danno che il disservizio ha provocato alla funzionalità e all’immagine del Comune. Tali comportamenti della ricorrente non erano giustificati dalla pretesa del Comune di variare l’orario in conseguenza della legittima decisione di aprire la biblioteca al pubblico anche nella giornata del sabato; la lavoratrice, infatti, avrebbe potuto rifiutare motivatamente la prestazione per quel giorno o accettandola, chiedere l’accertamento della sua illegittimità, sempre continuando a rispettare gli essenziali obblighi relativi alla sua posizione di lavoro. (Fonte “StudioLegalelaw.net”) No al licenziamento del lavoratore depresso che non comunica la prosecuzione della malattia Per il contratto collettivo in caso di patologia caratterizzata da ansia e panico il fatto addebitato non si può sanzionare sul piano disciplinare. È illegittimo il licenziamento intimato al dipendente depresso nonostante la mancata tempestiva comunicazione della prosecuzione della malattia: il lavoratore è salvato dalla disciplina collettiva che esclude la sanzionabilità dei comportamenti addebitati in ragione del giustificato impedimento. È quanto disciplina la corte di Cassazione con sentenza 11798/12 pubblicata il 12 luglio. Il lavoratore soffre di disturbi d'ansia, attacchi di panico e labilità emotiva esasperata, situazione che si aggrava nel tempo fino ad evolvere in vera e propria sintomatologia depressiva: in queste condizioni non può essere licenziato, e ciò grazie alla disciplina collettiva; la patologia che influisce sull'equilibrio psicologico, infatti, risulta essere un giustificato impedimento idoneo a escludere la sanzionabilità disciplinare dei fatti addebitati: nel caso di specie, poi, il fatto che la malattia si era già manifestata al tempo del licenziamento risulta essere decisivo. Risulta superato anche il problema della violazione del canone dell'autosufficienza del ricorso in cassazione per mancata produzione documentale. (Fonte “ www.cassazione.net) 7 memorandum fiscale Il CAF UIL di Roma e Provincia vi augura una buona ripresa delle attività e con l'occasione vi ricorda le prossime scadenze fiscali: Mense scolastiche E' possibile presentare la domanda per la riduzione o l'esonero dal pagamento delle quote dovute per il servizio di refezione scolastica a. s. 2012-2013 fino al 30 settembre 2012. Contributo canone di locazione (buono casa) Il termine per presentare la richiesta per il BUONO CASA scade il 30 settembre 2012. ROMA TRE e TOR VERGATA UNIVERSITA' ROMA TRE: L'attestazione ISEEU va richiesta entro il 5 dicembre 2012, il Caf Uil provvederà all'invio telematico del modello. UNIVERSITA' TOR VERGATA: Gli studenti iscritti agli anni successivi al primo ovvero quelli che si immatricolano possono richiedere l'attestazione ISEEU rispettivamente entro il 15 ottobre 2012 ed entro il 15 novembre 2012, il Caf Uil provvederà all'invio telematico del modello. Censimento ATER Il CAF UIL offre assistenza gratuita per la compilazione del censimento ATER. Ti ricordiamo inoltre che sul sito www.cafuilroma.it sono a disposizione informazioni dettagliate su tutti i servizi offerti dal CAF UIL e sulle più importanti novità fiscali. Verifica sul sito gli orari di apertura delle sedi CAF UIL e trova quella più vicina a te! 8