PINOCCHIO Le avventure di Pinocchio: La via della trasformazione
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PINOCCHIO Le avventure di Pinocchio: La via della trasformazione
PINOCCHIO Le avventure di Pinocchio: La via della trasformazione psichica 1. Introduzione: C’era una volta… Così comincia il racconto di Pinocchio. Come tutte le altre favole o racconti. Con questa espressione l’autore ci fa entrare nel mondo della fantasia, dell’illusione, del non-reale. In un mondo in cui può accadere di tutto e ci si può permettere di tutto: ‘tanto non ci saranno conseguenze!’ E’ con questo atteggiamento infatti che spesso ci si avvicina alle favole, ai miti e ai racconti: come se non avessero nulla a che fare con la verità. O che essi abbiano tutt’al più una funzione edificante, ma che in fondo non abbiano nulla a che fare con il ‘noi stessi’. Il “c’era una volta” come il “in illo tempore” ci trasporta invece su un’altra dimensione di verità. Una verità che vive, è presente al di là dei limiti individuali di spazio e di tempo; una verità su cui si può solo raccontare perché sfugge al pensiero razionale. Essa è una ‘verità’ che vive altresì nel presente, nelle situazioni contingenti della nostra esistenza, come suo sfondo. Come cogliere nelle situazioni attuali la loro realtà più profonda? come cogliere nella storia quotidiana presente lo sfondo da cui emerge e verso cui tende? L’artista, e l’opera creatrice in generale, ha questa prerogativa: cogliere dal vissuto esistenzale lo sfondo in cui vive e da cui deriva come manifestazione di una verità senza spazio e senza tempo. Questa è la ragione per cui l’opera, attorno alla quale ci ritroviamo,‘Le avventure di Pinocchio’, si è diffusa al di là dei limiti del tempo e dello spazio in cui è nata ed è entrata nella vita di culture del mondo. Di quale verità si tratta? E perché, oltre che essersi diffusa in ogni dove, è penetrata e penetra dentro l’anima di ogni lettore? La ragione è, e non può essere altrimenti, che tratta di una verità-realtà che vive dentro di noi: una realtà psichica, la trasformazione. Se confrontiamo l’inizio con la fine del racconto, comprendiamo subito che si tratta del cammino della trasformazione di un burattino che attraverso avventure e disavventure diventa un ragazzo in carne ed ossa, di un essere prodotto per essere guidato da ‘fili’, sociali o psichici che siano, in uno con sentimenti propri. E’ la trasformazione che si estende nella dimensione sia sociale collettiva che in quella interiore individuale: sono due funzioni correlate, poiché la società è fatta di individuo e l’individuo non vive senza società. Come psicologo terrò presente piuttosto la dimensione individuale soggettiva ma il correlato sociale non è difficile intravederlo. Metterò in evidenza alcuni momenti fondamentali e decisivi della trasformazione. Primo momento: la situazione iniziale: il vecchio e il bambino. Nonostante Pinocchio si rivolga a Geppetto come ‘babbo, è chiaro che egli assomigli più ad un vecchio che ad un padre vero e proprio. E’ solo, vecchio, sterile, sia in rapporto alla relazione che in rapporto al generare. Pinocchio invece è ragazzino senza infanzia e senza età. Questo abbinamento vecchio-bambino, è un motivo mitologico frequente e assai diffuso e appare nella coppia ‘senex e puer’. La figura del vecchio rappresenta un doppio aspetto della vita: la saggezza e la decadenza. Il vecchio Geppetto è solo, vecchio in senso di decadente, senza speranza, senza futuro. Eppure è saggio, perché è un buon falegname. Le figure mitologiche di artigiani – fabbro, Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 1 mugnaio, falegname – sono presentate come figure che hanno a che fare con forze demoniache, misteriose, che vanno al di là dell’individuo. Spesso l’artigiano è padre dell’eroe (Tara, padre di Abramo eroe biblico, è costruttore di idoli, frecce, ecc.). Quindi esso si muove in un contesto di forze naturali, le stimola e le stuzzica, le usa a scopi propri, usa il trucco (‘tecne’ significa trucco, mettere a proprio servizio forze che vengono prima e vanno oltre l’individuo). Spesso l’artigiano viene a patto con il ‘diavolo’ per salvare la sua attività, e questo gli costerà tremende lacrime: dovrà rinunciare alla prima cosa che rientrando a casa incontrerà, che guarda caso sarà l’unica figlia. In altri miti l’artigiano è genitore dell’eroe, è come se il padre artigiano consegnasse al figlio il compito di essere l’eroe, colui che porta il rinnovamento, ma che dovrà sopportare un cammino di persecuzione. Ciò significa che penetrando le forze della natura e mettendole a servizio della necessità, non si è esaurito tutta la potenzialità psichica e spirituale inerente ad esse. Non si può toccare il nocciolo della natura impunemente: è per questo che gli antichi artigiani, prima di iniziare la loro opera compiono riti di purificazione. Si preparano, si mettono in relazione con lo ‘sfondo’. Geppetto è saggio della saggezza del suo mestiere, ma forse non saggio del suo essere, dell’essere se stesso. Perché non è felice. E’ triste e solo. Sterile. All’opposto troviamo il puer, la figura del bambino, nella nostra storia nella figura di Pinocchio. Nella mitologia il puer è il rappresentante del nuovo. Normalmente senza padre, spesso senza madre, quindi orfano e altrettanto spesso perseguitato dal dominatore di turno. Vive con la madre o da solo nel bosco, accolto dalla natura- alberi, nutrito dalle piante, aiutato dagli animali. A lui vengono attribuiti due aspetti. Il primo: è portatore anch’esso, come il vecchio, di saggezza, quella saggezza della natura che egli è messo nella necessità-condizione di incontrare, non è ‘sua’, lui è solo il canale attraverso cui la saggezza della natura vuole esprimersi. L’altro aspetto del puer è quello di essere ‘puer aeternus’, un eterno bambino, inconcludente, che si muove sotto la spinta del nuovo come diverso, delle molte cose nuove, della novità per se stessa. Come un automatismo, perché non mediato dal sentimento. La scena iniziale del racconto presenta in ambo i casi, in Geppetto e in Pinocchio, la saggezza e l’impotenza: La saggezza è la capacità di considerare tutte le cose collegate significativamente tra loro e con un Senso: i molti significati che fluiscono e formano il Significato. L’impotenza è all’opposto l’aver perso il filo del senso. Nella nostra storia, uno ha la saggezza ma accompagnata dall’impotenza di chi è alla fine e non vede futuro. La fine della vita è il momento culmine da cui emerge l’illuminazione del senso, qualora lo si abbia cercato. L’altro ha la saggezza della vita che emerge ma è accompagnato dall’impotenza di chi è all’inizio e non ha la capacità di portarla a realizzazione. Se consideriamo questa scena come qualche cosa che avviene sul palcoscenico della nostra anima-psiche, dobbiamo considerare il duo senex-puer come situazione di tensione interiore: da una parte la stagnazione (vecchiaia solitudine e sterilità) e dall’altra il bisogno di novità, cambiamento. Spesso quando ci troviamo in una simile situazione psichica dalla combinazione senex-puer nasce una idea: un’idea pazza! Una idea che ci fa impazzire, che ci rende irrequieti, ci fa muovere a vuoto. Una idea cioè che non ha rapporto o stenta ad avere un rapporto con la realtà. Infatti nasce da una rimozione profonda della emozionalità, che è la forza portante della vita psichica, e di conseguenza sono state tagliate le radici che tiene legato la coscienza alla realtà dello sfondo, quella di sotto e quella di sopra: la naturalità e la spiritualità. E’ avvenuta una scissione che produce degli effetti negativi, una scissione al livello sociale, ma anche una scissione in ciascuno di noi. Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 2 Se si è fatto caso, nel racconto manca qualche cosa che appartiene alla vita normale: la generazione di mezzo: l’adulto. Cioè la capacità di realizzare la saggezza iniziale (il bambino), di immetterla nell’esistere sotto la guida di un processo compiuto, quello del vecchio. Solitudine e tristezza del vecchio significa anche non avere nessuno, come Geppetto, a cui trasmettere la propria saggezza, perché manca la relazione tra le generazioni, sia perché l’uno è inacidito sia perché l’altro indifferente ai valori della saggezza. Un’idea pazza L’eroe di cui il puer è simbolo è sempre un po’ pazzo, fuori degli schemi. Disubbidiente. Spesso usiamo il racconto di Pinocchio per ammonire i piccoli lettori a fare attenzione, essere bravi e obbedienti, “altrimenti … sapete cosa vi può succedere!” Ecco, io non leggo la storia in questo modo, che anzi vorrei fare l’elogio della trasgressione. Infatti, Pinocchio non sarebbe diventato bambino in carne ed ossa se fosse stato un bravo ‘burattino’. Sarebbe rimasto appunto: un burattino in carne ed ossa! Allora sulla via della trasgressione facciamo due osservazioni. Una prima osservazione: Soltanto quando si guarda dentro la situazione di disagio, come Geppetto che vede la sua tristezza e solitudine, che si dà la possibilità al ‘nuovo’ di emergere. Non è neppure detto che sia il protagonista a cercare coscientemente, può essere la noia, l’insofferenza per la situazione, ecc. a spingerlo a fare qualche cosa. Tanto meno si sa o si può prevedere cosa ne potrà venir fuori. Ciò che ne esce non solo è sorprendente ma è il Sorprendente. Il compito sarà quello di rendere ‘umano’ questo sorprendente divino/diabolico. Una seconda osservazione: Geppetto cerca l’incontro con un altro vecchio e scoppia il litigio. E’ vero il litigio viene messo a carico ad un pezzo di legno, che parla, ma questo accade solo quando i due sono insieme. L’uno è specchio dell’altro. La mitologia ci viene in aiuto per comprendere questo aspetto: infatti all’inizio di una creazione, del mondo o di una città, viene sempre registrato un litigio e addirittura una uccisione. Il litigio è l’espressione di una sovrappiù di energia, di una energia rimossa, che si è fatta aggressione e quando si manifesta in un atto creativo conserva la sua caratteristica di aggressività. Anzi spesso la creatività si manifesta, nella sua fase iniziale, attraverso l’aggressività. Il briccone. Nasce un burattino che è vivace come il mercurio, diremo noi. (Già Mercurio! Sappiamo che è il Dio dei ladri, mercanti, messaggero degli dei, colui che scombina e ricombina le situazioni.) Nella mitologia abbiamo anche per questo aspetto una figura particolarmente interessante: il briccone divino. Non c’è dubbio che Pinocchio sia un briccone, scapestrato che fa morire di crepacuore il povero papà! Ma il briccone divino nella mitologia ha una funzione essenziale e appartiene ai miti di creazione.1 Il briccone divino è una figura – per lo più nei miti degli indiani d’America è una volpe (!)- che interviene a disturbare i piani creativi della divinità. Altri miti raccontano che quando Dio volle creare il mondo o l’uomo decise di chiedere aiuto al Diavolo.2 Il Diavolo ha il compito di scendere nel profondo dell’oceano – forse perché Dio non ne è capace, forse perché se lui scendesse non troverebbe più la via per riemergere – per prendere un po’ di 1 Radin racconta i miti del briccone divino, collegato ai miti della creazione. Un mito che poi Kerenyj ha ampliato ad altre mitologie e C.G. Jung ne ha fatto il commento psicologico. 2 M. Eliade, I miti della creazione Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 3 terra, o altre volte un po’ di sabbia. Il diavolo obbedisce ma trattiene un po’ di terra o sabbia per se e con questo disturba il piano divino, troppo perfetto. In questo modo entra il ‘male’ nel mondo, l’unica via che porta alla trasformazione. Una cosa perfetta non si può trasformare. La trasgressione fissa con il tempo alla propria responsabilità. La bugia è legata alle vicende di Pinocchio: sembra non sappia fare altro che dire bugie. Ma dire la bugia è: in primo luogo l’affermazione di se stesso contro una forza che vuole soffocare il ‘se stesso’; per secondo, è la presa di coscienza delle conseguenze. La crescita del naso è una trasformazione vistosa, legata alla vergogna e alla paura. La vergogna è anche una via che rende possibile prendere coscienza di se. La bugia è il passaggio tra il sentimento di onnipotenza ed egocentrismo del bambino e del puer (come tipo psicologico) e il senso di realtà. Tra la volontà o il bisogno di ‘creare’ la realtà come protezione contro una realtà esterna percepita come minacciosa nei confronti del proprio essere nelle sue prerogative individuali soggettive. Diventare umano significa anche riuscire a distinguere fra realtà e fantasia, mettere in relazione queste due dimensioni del conoscere, senza eliminarne nessuna. La fata turchina. E’ il momento decisivo, la chiave di svolta della situazione. Due sono gli elementi di questo momento: la Fata: «una bella bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto» e abita nel bosco ed era in realtà «una buonissima Fata, che da più di mill’anni abitava nelle vicinanze di quel bosco». L’altro elemento che rende determinante il momento è la quercia a cui è impiccato Pinocchio. La fata: Nella mitologia e nei racconto – favole e leggende – il più delle volte si parla di fate, tre o più. E’ fuori dubbio che esse rievocano quelle che nell’antichità greca erano le Moire e presso i Romani le Parche. ‘Fata’ infatti significa ‘destino’. Sono3 coloro che filano sul fuso il filo del destino umano, l’arrotolano sul rocchetto e quando è venuto il momento lo tagliano con la forbice. Hanno a che fare con il ciclo della vita di nascita, vita e morte. Per completare la fisionomia simbolica delle fate occorre anche collegarle alle Keres, divinità infernali della mitologia greca la cui funzione è simile a quella delle Valchirie germaniche: quella di prendersi cura degli eroi agonizzanti sul campo di battaglia. (Pinocchio eroe agonizzante sul capo di battaglia della vita!) La loro natura è collegata alla Madre Terra di cui sono espressione. La Madre Terra è anche la materia originaria, che può sembrare morta ma che porta in se le forze della vita. Queste forze/energie in un meccanismo ascensionale vengono fatte risalire poco a poco dalle profondità della terra alla superficie dove al chiarore della luna diventano spiriti delle acque e della vegetazione. Diventano quindi espressioni del femminile. Abbiamo quindi le caratteristiche della fata turchina: - Il legame con il destino: l’apparizione della fata turchina avviene senza che ci siano preavvisi, e accompagna il protagonista lungo tutte le sue avventure, assumendo forme diverse; - Come le Valchirie o le Keres si prende cura di ‘caduto’ sul campo di battaglia delle furbizie e degli intrighi della vita. - Assume le caratteristiche dello spirito della vegetazione. Queste caratteristiche fanno della fata-bambina – c’è anche il mito della fanciulla divina in compensazione al fanciullo divino, con le caratteristiche di eterno bambino/bambina – il 3 Dizionario die simboli. Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 4 simbolo del femminile – non tanto della Grande Madre – nella sua dimensione ‘materna’, non biologica ma psicologica, cioè nella capacità del femminile di trasformare la realtà mediante il sentimento. Cosa è questo spirito della vegetazione? Sono forze della Madre Terra – psicologicamente, sono le energie psicoidi, tra lo psichico e il biologico, dove emergono come istinti e umori - che seguono un meccanismo insito nella vita stessa, quindi non legato al libero arbitrio, e in questa dinamica, vengono alla consapevolezza assumendo forma di figure femminili. Tutto questo al chiarore della luna. Il chiarore della luna, una luce di riflesso, che lascia sfumati i contorni, refrigerante, simbolizza un modo di presa di coscienza diverso da quello indicato dalla luce del sole, che è diretta, bruciante, che può distruggere quegli aspetti della vita psichica che hanno bisogno di tempo per maturare e definirsi. Questo illustra il processo di consapevolizzazione – di conoscenza – a partire dalle forze della natura in un processo i cui tempi sono determinati soltanto dal processo stesso; un meccanismo autonomo che noi possiamo soltanto riconoscere e seguire. Cosa succede quando questo processo naturale – pagano come pagus: della terra! - viene disturbato o addirittura bloccato? Avviene una scissione pericolosa. A questo proposito ci illustra bene la situazione di un spirito naturale che è stato rimosso la favola Lo spirito nella bottiglia. Un giovane smette di studiare perché il padre non ha soldi (crisi della scuola e crisi dell’ apprendimento quando questo è teorico-intellettuale: cioè non è supportato dalle energie emozionali). Il padre è, guarda caso, un boscaiolo: ha a che fare con la legna, come poi il falegname. Lo manda nel bosco a raccogliere legna: il bosco è interpretato simbolicamente in genere come l’inconscio, ma indicherei piuttosto la parte bio-fisiologica, quella del sistema neurovegetativo, da dove nascono tutti i processi spirituali. Nel bosco ai piedi di un’ antica quercia trova una bottiglia che apre e ne esce uno spirito potente e cattivo, che vuole distruggere il ragazzo. Questo che fa? Parla con lo spirito, ne conosce i segreti, e viene a sapere che lo spirito si può trasformare in qualche cosa di immensamente grande e pericoloso, ma anche di piccolo. Allora il trucco dell’ intelligenza umana – una intelligenza non imparata sui libri – suggerisce allo spirito la sfida: è in grado di ritornare dentro la bottiglia? Ovviamente sì! Afferma lo Spirito e in questa resta prigioniero di nuovo. Lo Spirito da dentro la bottiglia protesta e prega di lasciarlo di nuovo libero. Ma ora avviene un accordo: il ragazzo lo lascia libero a condizione che non gli sia nemico. Lo spirito accetta, viene liberato e fa si che il ragazzo possa studiare, diventare un bravo medico che guarisce ogni malattia, ma solo là dove lo spirito lo permetta. Capita che il giovane medico di successo vada contro questa condizione e lo spirito se ne va. Di quale spirito si tratta? E’ lo spirito vegetativo, uno spirito naturale messo in bottiglia da uno spirito troppo intellettuale, da una spiritualità che ha perso la dimensione naturale, da una spiritualità che viene dal cielo e che opprime la dimensione naturale. (Probabilmente il racconto è una reazione alla cristianizzazione avvenuta con l’oppressione). Si può pensare che sia questo spirito ad animare Pinocchio, a far si che il pezzo di legno parli e saltelli di qua e di là. Pinocchio è vivace come mercurio, il minerale. Lo spirito della favola è proprio lo Spirito Mercurio, il dio, e la figura fondamentale dell’alchimia. L’elemento legno e l’Albero Altro elemento: il legno. Il burattino è di legno e il materiale ha il suo significato: Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 5 Non solo di un’epoca, quella in cui è stato scritto il racconto che non era ancora tecnologica: Come sarebbe oggi il burattino cibernetico? Quali guai combinerebbe un tale burattino? Ma anche perché il legno ci riporta all’albero. L’albero: La simbologia dell’albero è di fondamentale importanza. E’ il simbolo della totalità: cioè di quella realtà totale e completa che vive nell’anima. L’albero cosmico è la rappresentazione visiva e attualizzata della vita nella sua totalità e completezza. Infatti rappresenta: o L’elemento fisico-biologico, umorale, che ha a che fare con i minerali, con un mondo misterioso della materia che non è morta ma è viva del sottosuolo; o Con l’aspetto portante, strutturato, solido, fermo, del fusto o E l’aspetto aereo, Spirituale, immerso e un tutt’uno con l’aria simbolo spirituale, dà asilo agli uccelli come espressione della fantasia e dei pensieri; Ma dove avviene anche la grande trasformazione: la fotosintesi clorofilliana, che è simbolo del processo di trasformazione psichica. Non a caso le apparizioni della madonna in molte leggende avvengono nella chioma dell’albero, e sta a rappresentare l’anima, la parte anima, dello spirito. Esso viene rappresentato alle volte con le radici sulla terra e alle volte con le radici nel cielo: sta a indicare che la terra ha il suo corrispettivo nel cielo, come il buio ha il suo corrispettivo nella luce. Materia e spirito si appartengono. Sia nel racconto di Pinocchio che in quella dello Spirito in bottiglia e in molte altre favole e miti si tratta di una quercia. Simbolo importante per le caratteristiche di longevità e di maestosità. La regina degli alberi. Il momento decisivo di questa combinazione: legno – bosco – albero sta nel fatto che in questo momento si presenta il tema della morte e della rinascita. Pinocchio è appeso all’albero – ricordiamo che nella prima edizione è il burattino che si impicca all’albero degli zecchini, una volta compreso di essere stato ingannato dal gatto e dalla volpe4 – dove muore e poi viene riportato in vita dalla fata Turchina. Riecheggia qui il tema della morte e della resurrezione: l’eroe che si o viene appeso all’albero e attraverso la morte, trova la nuova vita. Attis, figlio di Cibele, reso pazzo dall’attaccamento della madre, si castra sotto un pino. Ogni anno il pino viene adornato e vi viene appeso l’immagine di Attis: con questo rito viene celebrato il mistero della morte e della vita, cioè della trasformazione. Nella iconografia e negli scritti dei primi cristiani si parla dell’Albero della croce a cui è appeso il redentore. Si tratta di un morire ad una esistenza da una parte troppo orizzontale, materiale e unidimensionale, e dall’altra troppo artificiale, costruita, intellettuale, determinata dalla visione metafisica, per rinascere dalle forze della natura, cioè dai processi naturali delle emozioni, verso la spiritualità. Nel racconto di Pinocchio dobbiamo notare anche come il burattino-pezzo di legno, che mostra di avere una vita propria autonoma, uno spirito mercuriale dentro di se, ma che non è in grado di mettersi in relazione di sentimento – mostra di avere soltanto forme reattive di 4 Collodi modificò questa prima versione su pressione degli editori: era infatti troppo macabra questo finale soprattutto in riferimento al pubblico di bambini a cui era destinato. Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 6 comportamento - si ricongiunge con la sua origine, con lo sfondo della sua esistenza, l’albero cosmico, dove trova la nuova vita, cioè capacità di relazione. E’ il momento di svolta, ma il processo non è concluso, anzi è il momento in cui inizia: l’incontro del presente con lo sfondo dove vive il significato. La trasformazione che avviene nell’incontro tra Pinocchio da una parte e l’albero e lo spirito della vegetazione/fata dall’altro, sta in una relazione reciproca: anche la Fata/spirito vegetale passa attraverso una trasformazione. Lo spirito/fata infatti viene risvegliata da un millennio di sonno, appare come una Bambina, poi è una morta e in seguito di nuovo Bambina, più avanti Fata, Sorellina, Signora al circo, Contadina e alla fine appare essa stessa come animale, capretta. I suoi aiutanti sono animali: grillo parlante, corvi, lumaca, ecc.: appare come la signora degli animali. L’ultima apparizione della Fata avviene in sogno, poco prima della trasformazione umana di Pinocchio: è il compimento della trasformazione, la interiorizzazione, mediante la elaborazione onirica della funzione – diremo del Senso – di cui la fata è simbolo. Incontro con gli animali: Dapprima con il gatto e la volpe, poi con il serpente, alla fine diventa egli stesso animale. L’aspetto animale è l’aspetto istintivo. Pinocchio non ha istinti ma solo automatismi, e in quanto tale non ha la capacità di conoscenza, non fa progetti. Non ha la malizia e la furbizia e l’egoismo (il gatto e la volpe) per poter far progetti e far fruttare le risorse che si trova ad avere a disposizione, se non nell’usarle per essere buono, riparare, corrispondere alle attese di chi lo vuole ‘buono’. E’ il conflitto tra natura e cultura: la cultura è legata alla furbizia e alla malizia. Nei miti sopracitati del briccone divino, non a caso esso viene personificato dalla volpe o dall’altra parte dal diavolo. Pinocchio diventa vittima di quell’istinto che non ha. L’istinto ha in se il principio della conoscenza ed ogni istinto è la culla in cui nasce e da cui si sviluppa lo spirito. Il gatto e la volpe - Sono le guide devianti di Pinocchio, apparentemente stanno in opposizione alla Fata, ma essi sono anche, in quanto animali, alla corte della fata. Attraverso la loro azione – ricordiamo la collaborazione del diavolo alla creazione – mettono in moto, animano, la situazione e così facendo provocano il processo. Sono due figure, e questo sta ad indicare non solo la ambiguità della loro funzione ma anche l’ambivalenza. La volpe tra gli animali è quello che incarna l’astuzia, che è la capacità di pensare e riflettere per cogliere gli intrighi nascosti della natura e risolvere le situazioni. La vita riserva trappole, poiché essa è un gioco cieco di vita e morte. L’uomo ha l’intelligenza per riflettere e comprendere, da una parte, per sviluppare la saggezza, ma dall’altra anche per usarle per proprio tornaconto. Il gatto da parte sua è animale ambivalente: domestico e libero, sornione e felino, che quindi può dare calore ma anche uccidere con molta crudeltà. In quanto felino è capace di prendersi ciò di cui ha bisogno. L’accoppiamento di gatto e volpe mette insieme funzioni diverse e complementari: il gatto sembra essere, pur venendo presentato malconcio e cieco, il supporto attivo della volpe che si diletta con le parole. Essi sono due, ma agiscono come fossero uno. Con questo, con la presenza del due, viene messo in evidenza l’ambivalenza, cioè il doppio aspetto dell’istinto quando si presenta alla soglia della coscienza. Il serpente - Un incontro fugace ma particolare è con il serpente. Gli si mette di traverso sulla strada. In quanto burattino di legno manca a Pinocchio anche la spina dorsale e il midollo spinale: gli manca le strutture nervose attraverso cui avviene ogni conoscenza, attraverso cui il sistema nervoso centrale può fare il suo lavoro. Attraverso cui l’individuo sviluppa la sua vita individuale. Il serpente rappresenta un livello ulteriore della vita, un gradino più su dello spirito vegetativo. Esso è animale, segna il passaggio dalla vegetazione all’istinto animale compiuto. Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 7 Il serpente è colui che ‘parla’ con Eva, cioè che verbalizza ed entra in contatto con la coscienza. Ma non ha sistema nervoso centrale, il luogo centrale della elaborazione delle percezioni. Suggerisce a Eva il da farsi per arrivare alla conoscenza del bene e del male, ma egli non ne è capace. Il serpente è simbolo del sistema neurovegetativo, il quale funzione alla stessa maniera del serpente, una forma di vita primordiale. Rappresenta il sistema psicoide, quella realtà che non è più solo biologica ma non ancora psichico, e quindi non sottoposto al libero arbitrio. Poiché il sistema neurovegetativo a cui è legato il sistema psicoide è il luogo dove si costellano i disturbi psicosomatici, mi pare di sentire la risata di sarcasmo del nostro serpente interiore quando noi, in disprezzo della dimensione naturale della vita, sviluppando comportamenti non sani e costruendoci bisogni artificiosi, arriviamo a sviluppare malattie psicosomatiche! E’ proprio una caduta nel fango! L’asino: E’ il secondo momento determinante, il preambolo alla seconda morte che, assieme al pescecane, poterà alla vita nuova. Questa volta però il burattino non è più di legno, ma è un animale, sulla via della umanizzazione. Da sottolineare che in quanto animale rappresenta una forma di vita viva, che si muove autonomamente, guidata dall’istinto. Quindi rappresenta una ‘caduta’ nell’istinto, se fosse una persona umana. Essendo un burattino di legno rappresenta il passaggio alla vita istintiva. Agli automatismi comportamentali di un Pinocchio burattino si sostituiscono ora comportamenti istintivi. Ma anche la figura dell’asino ci suggerisce alcune riflessioni. L’asino è un animale bistrattato. Lo usiamo come simbolo di stupidità, chi a scuola va male è un asino! Ma davvero è così? Nel romanzo-racconto di Apuleio, L’asino d’oro,5 il protagonista è un tipo intellettuale, che attraverso le sue teorie astratte è staccato dalle dirette esperienze di vita. Di ogni cosa, o situazione, ha una teoria ma non ne ha una esperienza diretta, sulla propria pelle. E’ affascinato da ogni nuova scienza esoterica, ma rimane nella considerazione estetica. Pinocchio non è ovviamente un intellettuale ma rappresenta l’anima intellettualistica di chi si nutre di idee astratte, che non nascono dalla esperienza diretta; un pensiero a cui sono state tagliate le radici che lo collegavano con la emozionalità e si è fatto razionalizzazione. Come in Pinocchio, nella sua fase iniziale di burattino di legno, le esperienze passano senza lasciare segno duraturo, senza provocare veri cambiamenti. Il protagonista del romanzo di Apuleio fa un lungo cammino di redenzione, di trasformazione per arrivare alla vera conoscenza. Ma per questo deve imparare a entrare dentro le esperienze di vita, a viverle e soffrirne. Uno dei momenti decisivi è quando si trova trasformato in asino. Nei miti greci l’asino fa parte degli animali che accompagnano Dioniso e quindi associato alla estasi dionisiaca, alla sessualità e alla ebbrezza. Una allegoria della voluttà. Nei miti antichi egizi l’asino è la rappresentazione del Dio Seth, che rappresenta il principio dell’assassinio, della menzogna, della brutalità del male per eccellenza in contrapposizione al dio Osiris, dio della luce. Nella Bibbia troviamo la mula attraverso cui Dio parla con Balaam e gli comunica profezie. Allo stesso modo troviamo come l’asino è l’animale che Cristo cavalca nella sua entrata a Gerusalemme e con cui inizia la sua calata nel regno dei morti. Sappiamo che all’inizio della diffusione del cristianesimo i romani rappresentavano la nuova fede, deridendola, rappresentandola come una figura umana con la testa da asino in croce. Nel medioevo l’asino inizia ad avere caratteristiche e qualità positive: senza pretese, costante e ostinato, sobrio e paziente. 5 Cf. Von Franz, M.L., Die Erlösung des Weiblichen im Manne, Der goldene Esel von Apuleius in tiefenpsychologischer Sicht, Insel Verlag Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 8 Nella astrologia viene associato a Saturno attribuendogli le caratteristiche di istintività impulsiva, depressione creativa, dubbio, tristezza opprimente, sofferenza, sentirsi in prigione, impotenza, disumanizzazione. Nella nostra pratica psicoterapeutica ci troviamo molto spesso di fronte a pazienti in una simile fase di depressione, melanconia, da una parte e dall’altra di fronte a problemi psicosomatici costipazione, paralisi, emicranie, ecc. E’ la fase della depressione creativa, la fase che precede e annuncia un forte impulso creativo. Sono molti gli artisti che prima di dare alla luce la loro creazione passano attraverso una simile fase. Diventare asino significa cadere totalmente in un abbassamento della coscienza, raggiungere il livello animale. E’ un momento di transito verso il vero Se, la completezza della personalità, che ha il compito di congiungere il lato animale, istintivo, con lo spirito che vi abita. Al contrario del protagonista dell’ Asino d’oro’ che si trova in un movimento discensionale, Pinocchio è in fase ascensionale: è infatti il primo momento in cui Pinocchio diventa di carne ed ossa, ha emozioni, sensazioni durature, accoglie le sue sensazioni e ne soffre. Prima di arrivare a questa fase Pinocchio avendo trovato nella fata una cura materna passa un periodo a scuola, è il più bravo. Ma mentre prepara la festa del buon successo si lascia convincere ad andare nel paese dei balocchi. Non è solo il paese del divertimento ma anche di quell’esperienza che la festa del carnevale rappresenta. Il carnevale è il periodo in cui tutto è permesso e ognuno si permette di tutto. Tutto ciò sembra dire che Pinocchio non ha ancora attraversato tutte le fasi della trasformazione per essere un essere umano. Evidentemente non ha vissuto tutto se stesso, il se stesso che gli permetta di combinare la correttezza e la trasgressione, essere cioè umano. La balena. Il motivo mitologico finale: il mare e la balena. Al culmine delle sue avventure il racconto diventa drammatico davvero. C’è qui una diversa partecipazione del lettore alla vicenda. Il confronto con la morte per disperazione del ‘babbo’, il vecchio che va alla ricerca del ‘figlio’, Pinocchio-asino che in quanto animale ha un cuore, ha sentimenti: tutto questo è diverso dallo spirito iniziale dove viene a mancare la risonanza interiore alle vicende. Il culmine, che rappresenta anche la soluzione, so-luzione! come con il tempora lesi dissolve la tensione che lo ha preparato, è rappresentato nuovamente come un momento di passaggio: di morte e vita. Il mare è simbolo dell’origine della vita. Nella simbologia psicologica rappresenta l’inconscio collettivo, il luogo dove si forma e da cui emerge l’Io cosciente. La coppia morte-vita viene personificata dall’abitante per eccellenza degli oceani: il mostro marino. Giona è il personaggio biblico che avendo ricevuto un compito da Dio e ritenendosi inadeguato, anzi avendone paura, scappa, imbarcandosi con dei pescatori. In alto mare scoppia una tempesta e la barca minaccia di affondare. Giona capisce di essere lui la causa e si fa buttare a mare. La barca si salva, arriva la calma, ma lui viene ingoiato da una balena. Passato un po’ di tempo in pancia alla balena – il tempo di riflettere e di ritrovare coraggio – viene risputato sulla spiaggia dalla balena. E Giona va a compiere con successo – ma non senza grandi pericoli e difficoltà – il compito affidatogli dalla Vita. Di fronte al mistero del sole che emerge al mattino e alla sera scompare, di fronte alla nostalgia e alla tristezza della sera che ci mette di fronte al mistero della vita e della morte, i nostri antenati hanno raccontato la loro verità. Secondo l’antico mito il sole, sotto forma di eroe, al tramonto viene ingoiato da un mostro marino, trasportato lungo tutto il tragitto all’incontrario, per rinascere poi al mattino, nuovo. Sempre antico, ma sempre nuovo. Nel Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 9 ventre l’eroe deve subire tormenti, sopportare la prova del fuoco, fino a perdere i capelli (espressione dei propri pensieri). La sofferenza sembra essere la conditio sine qua non per il rinnovamento. Conclusione. Cosa succederà di Pinocchio dal momento che diventa un bambino ‘normale’? Sarebbe proprio a questo punto che la cosa diventerebbe interessante: sarà un bambino ‘bravo’? Quando leggiamo le favole dove il protagonista o la protagonista alla fine trova la sua principessa o il suo principe e la favola termina con le fatidiche parole. ‘…e vissero felici e contenti’, mi chiedo sempre: davvero vissero felici e contenti? Non sarebbe tornare in un mondo di favola? Di illusione? Una vita di coppia non prevede entrare in un paradiso, al contrario, si direbbe. Ma ciononostante la favola dice la verità. Allora dobbiamo correggere la nostra idea di ‘vivere felici e contenti’, e sostituire con ‘siamo capaci di vivere felici e contenti’ perché siamo capaci di vivere con le difficoltà, abbiamo trovato la via per affrontare le difficoltà, non sfuggirle, di soffrire, di affrontare le paure, le rabbie che nascono concretamente nella vita, di coppia o singola, e saper anche gioire ma perché non tentiamo di eliminare la sofferenza. Abbiamo trovato la via della trasformazione. Pinocchio è diventato un bambino normale! Vuol dire forse che è diventato bravo e buono? Collodi mette al centro del compito l’andare a scuola. Forse deriva dal suo tempo – quasi fosse una azione promozionale dell’importanza di andare a scuola. Sembra dire che Pinocchio passi tutte queste avventure perché non è andato, da bravo bambino, a scuola. Ora che è diventato bambino normale ci si aspetta che sia ‘bravo’, vada a scuola, rispetti i genitori, ecc. Ma noi dobbiamo considerare invece il senso profondo del racconto: il burattino è diventato bambino proprio attraverso e grazie alle disavventure. Fosse stato bravo e fosse andato a scuola sarebbe diventato ‘bambino’, in carne ed ossa, padrone del suo istinto, con la conoscenza che viene dal rapporto con la natura e non dall’imparare come mettere in testa conoscenze? Non sarebbe rimasto burattino, magari in carne ed ossa, ma burattino? E’ un elogio alla trasgressione qualora essa venga vissuta come inizio di trasformazione. La trasgressione per se stessa ci lascia al palo di partenza, eterni bambini, incapaci di andare a fondo della realtà interiore. Ma senza trasgressione si resta nella stagnazione psichica e spirituale. La trasgressione è un ‘disordine’ morale, è considerato male. La trasgressione porta nel mondo il ‘male’ (il Diavolo). Può dare scandalo questa idea, ma se consideriamo il male provocato dai movimenti politici-sociali o etici che si proponevano di fondare un mondo perfetto, o la corsa odierna ad eliminare il dolore e la morte dalla nostra vita, allora dobbiamo considerare l’idea della trasgressione come elemento fondamentale per la trasformazione. Un mondo perfetto è disumano. Bambino ‘normale’ significa allora un essere capace di affrontare la vita nelle sue difficoltà, sofferenze, gioie, fatiche. Capace perché si è in relazione con la propria anima, perché si è in relazione con l’anima di tutte le cose. Per arrivare a questo occorre saper accettare e confrontarsi con il limite, travalicare il limite, trasgredire, confrontarsi con il male. Ci resta la grande domanda: quanto di trasgressione e quanto di ‘male’ c’è bisogno per un mondo che rimanga umano? Questa è la domanda che Collodi ci lascia, cosciente oppure no. A me sembra, poiché la vera Verità la si può solo raccontare ma non definire, la si può scoprire ma non insegnare, allora essa si manifesta come capacità di ognuno di scrivere e raccontare la propria storia, la storia della propria di trasformazione. Carraro Lucio, psicoterapeuta, Udelbodenstr. 37 – 6014 Lucerna – 14.9.2013 10