Seurat, Van Gogh, Mondrian Il Postimpressionismo in Europa

Transcript

Seurat, Van Gogh, Mondrian Il Postimpressionismo in Europa
Scuola Secondaria di I grado
“Augusto Caperle”
Seurat, Van Gogh, Mondrian
Il Postimpressionismo in Europa
Racconti, emozioni e riflessioni
nati dalla visita alla mostra
Classe III B
Anno scolastico 2015 - 2016
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Presentazione
Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno.
V. Van Gogh
Queste parole di Vincent Van Gogh introducono bene il percorso da cui
sono nate le immagini, le riflessioni ed i racconti raccolti in queste
pagine. La visita alla mostra d’arte Seurat, Van Gogh, Mondrian: il
Postimpressionismo in Europa è stata l’occasione per ammirare
splendide opere d’arte. I ragazzi e le ragazze di IIIB le hanno
riprodotte; potete vedere alcuni risultati nella prima parte di questo
lavoro.
Poi è stato loro proposto di trasferire in forma scritta le sensazioni vissute
osservando i dipinti esposti in mostra.
Alcuni hanno scelto il dipinto che più li aveva colpiti e, dopo aver
brevemente riportato i dati dell’opera, si sono ispirati ad esso ed agli
elementi in esso raffigurati per inventare un racconto, dando spazio
alla propria fantasia.
Qualcuno si è, invece, lasciato trasportare dalle emozioni provate
osservando un’opera d’arte, cercando di esprimere a parole il
“sogno” che essa nasconde, e puntando a scoprire, al di là di ogni
conoscenza teorica, il messaggio che l’artista intendeva trasmettere e
che si è conservato lungo i secoli.
Questi sono gli spunti che hanno guidato le ragazze ed i ragazzi che
hanno scritto le pagine che seguono, nate dalla convinzione che un
sogno che anche le parole possono esprimere un sogno: ispirandosi
ad un’opera d’arte, esse sono in grado di ricreare l’atmosfera di un
un’opera, i colori di un cielo o di un prato, le vicende nascoste in una
tela, evocando sentimenti e sensazioni.
Buona lettura.
Le insegnanti di Italiano ed Arte della classe III B
Maria-Cristina Voi e Maddalena Panzieri
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Indice
Presentazione
pag. 1
Immagini
pag. 3
Racconti, emozioni e riflessioni
Il seminatore
di Edoardo Bissoli
pag. 7
In luglio, prima di mezzogiorno
di Laura Ceschi
pag. 10
Domenica a Port en Bessin
di Alessia Mannino
pag. 12
In luglio, prima di mezzogiorno
di Maddalena Mandola pag. 14
Composizione con rosso, giallo e blu
di Tommaso Passarella
pag. 17
La sala da pranzo
di Aurora Tinazzi
pag. 21
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Immagini
Riproduzione di Chiara Todeschini
3
Immagini
Riproduzione di Desirè Tommasi
4
Immagini
Riproduzione di Matteo Verdari
5
Immagini
Riproduzione di Maddalena Mandola
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Racconto
IL SEMINATORE
L’opera che ha catturato maggiormente la mia attenzione durante la
visita guidata alla Gran Guardia è stata Il seminatore di Van Gogh,
realizzata nel 1888 mediante la tecnica ad olio.
Per realizzare il mio racconto ho tratto ispirazione da esso e da un’opera
letteraria.
Il piccolo Mazzarò viveva in una famiglia umile e povera. Fin da quando
aveva mosso i primi passi il bambino aveva trascorso le sue giornate nella
campagna con il papà. Ogni volta che passava il barone Rampallo,
proprietario di centinaia di ettari di terreno, il piccolino lo scrutava e
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sognava di essere un giorno al suo posto. Poi dall’osservazione passò
all’azione e all’età di nove anni venne assoldato nel gruppo di contadini
che coltivavano i terreni del signore.
Iniziò a guadagnare due monete d’argento al giorno che custodiva
gelosamente nelle tasche dei suoi pantaloni, affinché nessuno gliele
potesse rubare.
Ben presto, però, le tasche non furono più sufficienti per contenere il suo
bottino, perciò cominciò ad investire il suo denaro nell’acquisto di
animali e strumenti per la coltivazione. Nel giro di cinque anni il
magazzino era colmo di oggetti, a differenza della sua pancia vuota che
brontolava per tutto il giorno, perché Mazzarò riteneva inutile spendere
del denaro in qualcosa che si deteriora o non può restare per sempre,
come il cibo.
Nel frattempo il barone, come tutti i nobili dalla nascita, stava
sperperando i suoi avere in oggetti effimeri come pellicce, perle e oli
preziosi importati dall’Oriente. Un giorno il re decise che tutti avrebbero
dovuto pagare il doppio la tassa sul raccolto e sui terreni; il signorotto si
disperò e fu costretto a mettere in vendita la sua proprietà per 5000
monete d’argento.
Nessuno aveva il denaro per acquistare quell’immensa distesa di campi,
ma Mazzarò, che aveva risparmiato per i primi vent’anni della sua vita, si
presentò al barone e gli propose di comprare il tutto per 3000 monete
d’argento. Il poveretto, non avendo altra alternativa, si vide costretto a
vendere a pochi soldi all’unico acquirente.
Mazzarò a soli vent’anni diventò un vero latifondista, proprietario di tutti i
campi del paese. Non cambiò, però, le sue abitudine e continuò a
risparmiare, mangiando pane e cipolla e a lavorare dal sorgere al calare
del sole.
Passava, perciò, le sue giornate e nottate nei propri campi, ma ogni
volta che qualcuno cercava di diventare suo amico, rifiutava l’invito e
diceva che non aveva tempo per le chiacchiere perché le parole non
portano soldi.
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Un giorno, passò di lì un pittore che rimase colpito da quell’uomo che
metteva così tanta passione nel suo lavoro, recandosi nel campo al
sorgere del sole e trascorrendo in solitudine le sue giornate. Decise, così,
di fargli un ritratto, che intitolò “Il seminatore”.
Edoardo Bissoli
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Emozioni e riflessioni
IN LUGLIO, PRIMA DI MEZZOGIORNO
Tra le opere d’arte che ho ammirato visitando con la scuola la mostra
Seurat - Van Gogh – Mondrian: il Post-Impressionismo in Europa, una più
delle altre ha attratto la mia attenzione: “In Luglio, prima di mezzogiorno”
di Theo Van Rysselbergh, pittore belga vissuto tra il 1862 e il 1926.
Nel quadro, dipinto con la tecnica del puntinismo, l’artista si sofferma a
descrivere con particolari molto suggestivi una scena di vita quotidiana
che si svolge all’aperto, in un grande giardino con filari di alberi.
Figure femminili in primo piano sono sedute all’ombra di un albero,
attorno ad un piccolo tavolo su cui sono sparsi fiori recisi.
I lunghi e vaporosi vestiti, dai colori tenui, i capelli raccolti in chignon, i
cappelli a larghe tese ornati di nastri, creano l’effetto di una dolce ed
elegante bellezza. Guardando la scena, per un momento, ho
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l’impressione di tornare indietro nel tempo e di scoprire un antico mondo
lontano.
Due giovani donne, intente ad eseguire lavori di cucito o ricamo,
sembrano assorte nel loro lavoro. Un’altra, invece, tiene in mano un
cappello che, chissà, forse cominciava a darle un po’ di fastidio in testa.
Sullo sfondo, ecco altre figure femminili: una sembra passeggiare, mentre
un’altra, seduta, è in parte nascosta dal tronco dell’albero, e un’altra
ancora si nota in lontananza.
Si coglie l’atmosfera di quiete e di serenità che regna in quel luogo, e
che mi fa immaginare una vita pacata, spensierata.
L’erba e le fronde degli alberi, dipinte di giallo, sembrano illuminate dalla
luce del sole, mentre le ombre scure proiettate sul prato rivelano che è
mezzogiorno, perché è a quest’ora che esse si accorciano ed è questo il
momento in cui vengono a trovarsi nella posizione come qui raffigurata.
Gli schizzi di colore chiaro, dipinti qua e là ovunque, sui vestiti, sui tronchi
degli alberi, mi danno la sensazione di qualcosa di vero, di reale. Per un
istante, ho l’impressione di trovarmi lì, di vedere da vicino accendersi e
brillare i magici giochi di luce, creati dal sole che filtra dalle fronde e di
sentire il fruscio delle foglie mosse dal vento.
Laura Ceschi
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Racconto
DOMENICA A PORT EN BESSIN
Dati dell’opera
Autore: Georges Seurat
Titolo: Domenica a Port en Bessin
Data di esecuzione: 1888
Tecnica esecutiva: olio su tela
Vedevo quel porto quasi ogni domenica, arrivavo lì alla mattina e me ne
andavo quando il sole era ormai tramontato da ore. Era quasi un anno
che mi recavo in quel porto, leggevo, dipingevo e mi guardavo intorno.
Ecco le bandiere francesi che sventolavano ovunque, l’aria che sapeva
di sale, l’acqua che non si muoveva, restava immobile.
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Passavo la giornata su quel balconcino seduta ad aspettare. Speravo
ogni volta di vedere mio padre arrivare sulla sua barca da un momento
all’altro. Lui faceva il commerciante e per questo viaggiava molto,
quando tornava mi portava sempre qualche regalo ed io ero felicissima.
Ricordo ancora quei momenti, io e la mamma lì ad aspettarlo, poi così,
all’improvviso ecco la sua nave che spuntava, si fermava e lui che
scendeva. Io correvo gli saltavo in braccio, mi faceva girare in aria e
ridevamo. Tornando a casa gli raccontavo tutto quello che era
accaduto nei mesi in cui era stato via e lui narrava ciò che aveva visto:
era diventato come un rito, per la nostra famiglia.
Un giorno era partito per un viaggio, come sempre; quella volta, però,
non ero andata a salutarlo. Ero arrabbiata e stanca delle sue continue
partenze. Con il passare dei mesi capii sempre di più che forse non lo
avrei mai più rivisto, e questo mi faceva provare un forte dispiacere.
Andavo ad aspettarlo in quel porto, speravo di rivederlo e ogni giorno
che passava mi rendeva sempre più triste. Una mattina all’alba mia
madre volle accompagnarmi per farmi compagnia durante quell’attesa,
ed ecco che la sua grande nave comparve all’orizzonte. Io non credevo
ai miei occhi.
Ormai non speravo più di poterlo rivedere invece scese dalla passerella.
In quel momento capii quanto, fosse stato importante per me quel
periodo, l’ansia dell’attesa ed il rito che scandiva il suo partire e tornare.
Capii quanto fosse importante mio padre.
Alessia Mannino
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Racconto
IN LUGLIO, PRIMA DI MEZZOGIORNO
Insieme alla mia classe, sono andata alla Gran Guardia a visitare la
mostra Seurat- Van Gogh - Mondrian: il Post-Impressionismo in Europa.
Durante la visita ho ammirato un quadro che ha attirato particolarmente
la mia attenzione, questo dipinto s’intitola: In Luglio, prima di
mezzogiorno. È stato realizzato da Théo van Rysselberghe nel 1890, con la
tecnica a piccolo tocco. Oggi viene conservato al museo Kröller Müller
che si trova ad Otterlo, ma è stato portato in Italia per questa mostra.
Erano le sette di mattina di una calda domenica di luglio. Mi svegliai a
causa di uno spiffero d’aria proveniente dalla finestra di camera mia,
che probabilmente era rimasta aperta dalla sera precedente. Dopo
averla chiusa, scesi a fare colazione e quando ebbi finito chiamai la
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domestica perché ripulisse la cucina; infine diedi un’occhiata all’orologio
e andai nella mia stanza a prepararmi per la messa delle otto. Decisi di
indossare un abito leggero perché in quei giorni faceva molto caldo,
scelsi un vestito di colore azzurro fatto di seta, che mi era stato regalato
da mio padre per il mio compleanno. Con esso decisi di indossare un
cappello di paglia a tesa larga con un fiocco turchese per ripararmi dal
sole. Quando fui pronta uscii di casa.
Ad aspettarmi c’era Fiona, una mia cara amica alta, bionda e robusta,
una donna non molto affascinante. Proveniva da una famiglia di
contadini ed aveva sposato un uomo nobile, ma a causa delle sue
origini, a volte, utilizzava un linguaggio poco adeguato all’ ambiente che
frequentava. Notai che indossava un abito di seta rosa e portava anche
lei un capello di paglia con un fiocco color rosa confetto.
Finita la messa decidemmo di andare a trovare Ester, una nostra comune
amica che purtroppo quel giorno era malata. Quando arrivammo lei era
nel giardino della villa che condivideva con i suoi genitori e stava
raccogliendo dei fiori per poi farli essiccare e poter creare, così, delle
tisane. Dopo esserci unite a lei cominciammo a parlare e, quando,
finimmo cercammo un posto all’ombra in cui andare a rilassarci
ricamando. In quel giardino immenso non c’erano alberi da frutto ma
soltanto piante decorative. I domestici che abitavano in casa di Ester e
che quel giorno non lavoravano, passeggiavano nel parco aperto al
pubblico con i loro abiti migliori.
Giunte sotto un grande albero Ester chiamò un maggiordomo e gli
chiese di portare alcune sedie, un tavolino e tre cestini in cui ci fosse il
necessario per ricamare. Subito Fiona, che soffriva molto il caldo, disse di
non voler ricamare e che desiderava soltanto riposare e restare
all’ombra per rinfrescarsi un po’. Qualche minuto dopo il maggiordomo
tornò insieme ad altri due domestici e cominciammo a ricamare.
Dall’altro lato dell’albero era già seduta una signora di cui non vedevo
bene il volto; aveva i capelli neri raccolti e si riparava dal sole con un
cappello. Indossava un abito bordò e mi accorsi che osservava con
attenzione una donna poco distante da noi. Quest’ ultima era una
ragazza alta, snella e bionda, portava un abito bianco con in vita un
fiocco rosso e in testa un cappello che le copriva il viso. In poco tempo,
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però, arrivò l’ora di pranzo e sia io che Fiona dovemmo andarcene, così
salutammo Ester e la ringraziammo.
Tornai a casa e durante il pomeriggio assistetti ad alcune corse di cavalli
insieme a mio padre. Fu una mattina davvero memorabile, ma
purtroppo come tutte le cose finì velocemente.
Maddalena Mandola
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Racconto e riflessioni
COMPOSIZIONE CON ROSSO, GIALLO E BLU
Il 23 febbraio io e la mia classe abbiamo avuto la splendida occasione di
partecipare ad una uscita alla Gran Guardia, per ammirare le opere
esposte alla mostra Seurat- Van Gogh- Mondrian: il Post-Impressionismo in
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Europa. Abbiamo potuto contemplare quadri dai soggetti più svariati,
realizzati con la tecnica a “puntini”, il cui insieme costituisce ritratti di
persone o paesaggi, o creati con l’utilizzo di semplici quadrati e linee,
divenuti mezzi per dar vita alla riproduzione di concetti astratti.
L’opera che mi ha maggiormente colpito e affascinato, perché mi è
sembrata la più particolare, misteriosa e per certi versi diversa dal solito
volto di persona o scena in famiglia più volte visto, è stata Composizione
con rosso giallo e blu di Piet Mondrian, realizzata nel 1928. Ad un primo
sguardo sembra una semplice combinazione di quadrati, alcuni dei quali
riempiti di giallo, blu e rosso, ossia i tre colori primari, con il bianco come
sfondo, spesso considerato la rotazione di tutti essi, intervallati da righe
ampie o sottili di colore nero, di solito visto come l’assenza di ogni
colorazione.
In realtà a me questo dipinto suggeriva molto di più. Mi domandavo
cosa l’autore avesse voluto rappresentare, da cosa fosse stato mosso per
realizzare un tale quadro e cosa avesse voluto raccontare attraverso il
suo pennello. Magari nulla, magari aveva solo voglia di divertirsi o di
ingannarci con le sue linee, magari non voleva esprimere «niente di
diverso da quello che ogni artista cerca: raggiungere l'armonia tramite
l'equilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici. Solo in modo più nitido
e più forte»1, ma, osservandolo, si faceva largo in me un racconto che
emergeva attraverso le righe, gli spazi e i colori dell’opera…
Era un giorno come un altro nella città di Amersfoort e le code d’innanzi
all’ufficio dell’architetto Piet crescevano. La popolazione si era trasferita
dal villaggio, ormai vecchio e senza infrastrutture sufficienti, al nuovo
centro abitato, che aveva molti più servizi da offrire. Ognuno nutriva il
desiderio di costruirsi una vita migliore e il primo passo verso questa
direzione era possedere nuova casa, che fornisse tutti i confort richiesti.
Piet, architetto giovane, ma particolarmente creativo, doveva quindi
soddisfare una per una le pretese dei nuovi arrivati che facevano a gara
per avere abitazioni più lussuose del vicino, come testimonianza del loro
conto in banca. Tutti avevano richieste molteplici e, a volta, addirittura
ridicole per quanto complessamente erano sviluppate.
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Queste parole sono una citazione: furono utilizzate da Mondrian stesso per spiegare le proprie idee artistiche.
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Ma l’architetto fu particolarmente in difficoltà quando, in un giorno di
primavera, si presentò alla sua porta un uomo, Hans-Peter Bremmer,
l’ennesimo benestante importante e famoso. Gli era stata proposta la
realizzazione di una residenza che avrebbe richiesto anni di lavoro e
improvvisamente gli venne l’impulso di rifiutare qualsiasi offerta. Ma
mentre le pretese del signor Bremmer si susseguivano, prendeva forma
nella sua mente il piano edile: una casa quadrata dal tetto rosso, una
piccola, ma moderna vasca per i pesci, una dependance per gli ospiti,
lastre in marmo bianco di Carrara e stradine di cemento e acciaio per
l’esterno. Certo Bremmer pretendeva qualcosa di grandioso, barocco
nelle strutture, ma Piet immaginava in realtà qualcosa di semplice (da
sempre sinonimo di eleganza) e ben congegnato con forme minimali.
Accettò quindi quel lavoro e, tralasciando il resto, decise di dedicarcisi.
In un mese, al di là di ogni previsione, tutto era completato.
Il lavoro, cui si era dedicato giorno e notte, aveva portato in lui ad un
cambio di prospettiva: basta con le solite forme, solo «linee orizzontali e
verticali costruite con coscienza, ma non con calcolo, guidate da un'alta
intuizione, e portate all'armonia e al ritmo»2. Bremmer, inutile dirlo, non
comprese l’idea e si arrabbiò molto per quel progetto che “dei bambini
avrebbero potuto realizzare meglio” …
Come Bremmer, immaginario personaggio, io stesso sono il primo ad
ammettere che a volte, di fronte a queste opere, penso che “ci sarei
riuscito anche io”. In realtà ora credo che fosse difficile comprendere nel
1928 un dipinto del genere, ma che l’essere incompreso non significhi
facilità, bruttezza o inutilità.
Mondrian traeva ispirazione dalla natura e questa è la dimostrazione di
quanto la nostra immaginazione possa spaziare, di quanto possa essere
arte tutto quello che ci circonda. Noi abbiamo il potere di trasformare
alberi o elementi naturali in linee dritte, colori semplici, quadrati e
rettangoli e adesso, guardando il quadro, li vedo. L’artista, attraverso la
sua rappresentazione semplificata, mi ha portato a concepire qualcosa
che non si può esprimere a parole, ma attraverso le emozioni: sono
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Anche queste parole sono una citazione dello stesso Mondrian.
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opere che non vanno spiegate, ma capite con il cuore e chi dice che
“tutti sono in grado di farle” è il primo ad essere ignorante.
Tommaso Passarella
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Racconto
LA SALA DA PRANZO
Paul Signac - La sala da pranzo
olio su tela (1886-1887)
La mia classe era la meno numerosa della scuola, eppure non si faceva
in tempo a chiudere un occhio che già qualcuno combinava un
disastro. Oggi era il turno di Isabelle che, agitata com'era di fronte a un
quadro, ci andò a sbattere con tutta la faccia, facendo scattare
l'allarme.
Sospirando, mi girai sentendomi gli occhi del prof. sulla nuca.
Paul ignac e uno dei più rappresentativi pittori del "Puntillisme",
espressione pittorica che applica le scoperte scientifiche della visione>>
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stava dicendo la guida, che non solo era noiosa come la lezione di
biologia all'ultima ora, ma anche era lenta da far paura, tanto che prima
di iniziare un periodo, passava lo sguardo da noi al quadro almeno due
volte, prima di proseguire.
Il punto, l’elemento più piccolo del linguaggio visivo, nasce dalla
traccia che si lascia su una superficie quando vi si appoggia uno
strumento. La sua espressività, ossia la capacità di trasmettere una
sensazione, deriva dallo strumento usato per crearlo, dalle dimensioni,
dal colore, dal tipo di superficie su cui lo si traccia e dalla pressione della
mano. >> Finì dunque con un gesto della mano molto vago, alzandola
fino a metà spalla; trasudava energia da tutti i pori, non so se mi spiego.
Sul mio bloc-notes avevo solo iniziato col scrivere la data, quando la mia
penna si mosse per scrivere: <<Questo Paul Signac aveva il Parkinson e
quindi dipingeva tutto a puntini. >>
Sentii il mio vicino urtarmi verso sinistra, quindi alzai lo sguardo e vidi che
la classe si stava spostando a un altro quadro, lasciando Paul e la sua
opera tutto solo.
Mi avvicinai per guardarlo meglio, dato che, prima, avevo un ragazzone
di un metro e ottanta davanti, a limitarmi la visuale.
Non sono un critico dell'arte, ma questo quadro non mi faceva questo
gran bell'effetto. Lessi la didascalia " Paul Signac - La sala da pranzo olio
su tela 1886-1887".
Lo guardai meglio.
L’immagine del volto è composta da numerosi punti allineati, ma se si
confrontano le due metà del disegno ci si accorge che la parte sinistra
appare più leggibile di quella destra. La visione ravvicinata del dipinto
mostra la miriade di punti di colore puro, cioè non mescolato con altri,
che il pittore ha disposto molto vicini tra loro, ottenendo un effetto di
vibrazione luminosa. È solo guardando il quadro da una certa distanza
che i puntini si ricompongono e si amalgamano, dando la percezione
delle diverse sfumature di colore e delle forme. Incredibile...
Scrissi sul mio bloc-notes: <<Sala da pranzo: interessante>> ma lo
cancellai subito, non volevo dare l'idea di un mobil-design.
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La parte artistica presente in me se ne andò di lì a breve e fece per
infilare la penna in tasca e riunirsi alla classe, quando sentii un singhiozzo.
Non poteva essere successo nulla di drammatico in meno di cinque
minuti! Eppure quel rumore non veniva da quella direzione, bensì dal...
quadro. Un brivido mi percosse la schiena, mi girai di scatto. Un altro
singhiozzo. Poi vidi la donna dipinta in veste da cameriera chinarsi
sull'esile fanciulla con uno chignon castano ben tirato in testa che era
seduta a capo di un tavolo di un bianco così lucente, che faceva
risaltare ancora di più le lacrime che minacciavano di sgusciare fuori
dagli occhi di lei.
La cameriera, anch'essa rattristata, cercava di consolarla allungandole
di tanto in tanto un fazzoletto bianco dal mucchietto che aveva in
mano. Eppure stava ad una certa distanza dal tavolo, perché, a ogni
suo movimento, l'uomo in primo piano le lanciava un'occhiataccia.
Questo era infagottato in uno smoking terra di Siena bruciata che lo
faceva sembrare una salsiccia, e quello sguardo sciupato e la barba e i
capelli bianchi nascosti sotto un berretto anch'esso marrone lasciavano
intuire che fosse un uomo sulla sessantina.
Fissava la bottiglia di liquore come se contenesse i segreti dell'universo; a
quella angolatura il vetro e il contenuto avevano assunto un colore
Bordeaux. Fumava distrattamente un sigaro che teneva nella mano
destra mentre vicino al braccio sinistro un posacenere marrone era
appoggiato, sul ripiano del tavolo bianco, senza alcuna cura.
Alle spalle della cameriera e dell'uomo il colore della parete appariva lo
stesso della bottiglia di liquore.
Le pesanti tende catrame scuro erano incorniciate da un'aura di
pulviscolo atmosferico,benché fuori il cielo fosse color Kaki.
Ma perché stavo notando tutti quei particolari? E perché qualcuno in
questo museo dovrebbe piangere? Mi girai frustrata per ricongiungermi
alla classe, ma quando mi voltai, sbattei la faccia contro una parete
bordeaux con sopra tre piatti ricamati in oro e verde marino scuro. Ma
come facevo a conoscere tutti quei colori, io, che odio con tutto il mio
cuore l'arte?
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Poi mi accorsi che quel muro e quei piatti li avevo già visti... nel quadro.
Un altro brivido mi percosse la schiena. Se mi fossi girata, avrei trovato
l'uomo-salsiccia e la donna in lacrime. E feci bene i conti, perché quello
che mi presentò davanti fu una fanciulla poco più grande di me con i
tratti del viso aggraziati, se non fosse stato per quella smorfia di dolore
che le faceva socchiudere gli occhi lucidi.
E l'uomo, impassibile, che mi fissava impaziente. <<Hai capito, o ti sei
persa? Voglio altro whisky!>>tuonò. Per un attimo restai inebetita a
guardarlo, poi cominciai a capire, e un brutto presentimento mi affiorò in
mente. Ero la cameriera del quadro. Quella che consolava la giovane
donna. Mi guardai le mani e trovai, fra le dita rosse e rovinate, un
mucchietto di fazzoletti.
<<Ecco...io...>> farfugliai. <<Mia figlia non ha bisogno di una tata, ora
che ha ben 16 anni, fila a portarmi del whisky!>>. Quell'uomo mi
guardava come se fossi una lumaca uscita dal piatto della sua insalata.
Una rabbia incontrollata mi impediva di fare qualsiasi passo, quindi gli
sibilai contro: <<Non è colpa mia se un padre come voi obbliga la figlia a
entrare in convento, per di più quando è innamorata!>>
E io come facevo a sapere quelle cose?
L'uomo mi guardò confuso e poi aggiunse: <<Ho bisogno di altro
whisky>> e ricominciò a fissare la bottiglia. <<Continuare a bere non le
farà altro che male, non le aiuterà certo a ragionare, piuttosto a
prendere decisioni affrettate!>> ribattei.
Un altro singhiozzo. Ora capivo la motivazione di quel pianto silenzioso, e
restai di sasso. Era una condizione drammatica. Osservai di sfuggita la
pianta davanti alla portafinestra, doveva avere un colore verde olivastro,
anche se l'effetto dei puntini mi lasciava perplessa. <<E allora portami del
tè>>, disse. Mi dolevano le gambe, ma mi girai lo stesso in cerca di una
cucina, invano. Sentii la fanciulla singhiozzare e indicarmi dietro di lei,
dove c'erano un tavolino in pizzo e un vassoio con una tazzina bianca,
decorata con ghirigori grigiastri. Presi la tazzina e la misi davanti all'uomosalsiccia; puzzava di fumo e il suo sigaro aveva lasciato un mucchietto di
cenere per terra. Pensai di pulirlo, ma non potevo lasciare la signorina
con il padre: avrebbe potuto scoppiare in lacrime per la scontentezza.
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<<Padre, mi ha chiesto la mano e non posso tirarmi indietro. È un
brav'uomo te lo giuro>> disse con voce ferma, sebbene le tremassero le
mani.
<<Non posso accettarlo, lui non è altro che un ciarlatano>>,
replicò il padre.
La donna, amareggiata, sbarrò gli occhi, anche se per poco, perché poi
cominciò ad assumere una atteggiamento rassegnato, incurvando la
schiena. Qualche ciocca le era sfuggita dallo chignon rigido, quando
con sguardo perso annunciò: <<E convento sia, se è questo che vuole,
padre>>.
Sul viso di quest'ultimo si formò un sorrisetto compiaciuto ma terribile,
date le circostanze<<Non avevo dubbi che mi avresti ascoltato>>.
Cercò con gli occhi il mio sguardo, ma essi scorsero poi sul mio
grembiule, dove un quadernino rosso sbucava dalla tasca; con sguardo
interrogativo lo prese senza ritegno e lo sfogliò, incuriosito.
<<E questo cos'è?>> borbottò, e aggiunse <<Non sapevo sapessi
scrivere>>.
I suoi occhi si sbarrarono, cancellandone le rughe, la curva della bocca
assunse una smorfia di terrore, quindi lesse a voce alta: <<Questo Paul
Signac aveva il Parkinson e quindi dipingeva tutto a puntini.>> Non
potevo trattenermi, quindi mi scappò una risata; il mio bloc-notes rosso
sulla sua faccia pallida risaltava come non mai.
L’uomo si portò una mano al cuore, e si accasciò sullo schienale in preda
a un attacco di tosse, poi si irrigidì e sbatté le mani come un dannato, in
cerca di aria da mettere nei polmoni. Balbettò qualcosa, le sue braccia
si afflosciarono e la testa ebbe un tonfo sordo a contatto con la
superficie del tavolo. E restò immobile, con gli occhi di un nocciola
sbiadito verso il soffitto. Non potevo crederci, quindi feci per prendere il
mio bloc-notes e lo rilessi. Guardai la signorina terrorizzata e aggiunsi:
<<Ho scritto "questo" con la "c" di cammello, ma non si preoccupi, il mio
voto in grammatica è più che sufficiente. Se non altro, ora può sposare il
suo amato.>>
Così dicendo, mi ritrovai di nuovo nel corridoio della mostra, davanti al
quadro di Paul Signac. L’uomo-salsiccia era ancora intento a fissare la
bottiglia, la cameriera stava dritta sulle spalle, e la signorina a capo
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tavola portava ancora i capelli a posto, ma notai una piccola differenza.
Sulla bocca ella aveva un sorrisetto spensierato che faceva pensare
tutt'altro che ad una vita amorosa complicata.
Me la diedi a gambe verso la mia classe e la guida che, ora come non
mai, mi sembrava più che simpatica e gioiosa, posta a confronto con
l'uomo-salsiccia.
Aurora Tinazzi
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