Numero 2 - Licei Camerino
Transcript
Numero 2 - Licei Camerino
editoriale indice Dove passiamo il nostro tempo libero? Chi incontriamo e cosa facciamo? 1 Editoriale Sulle strade passiamo solitamente le nostre ore di libertà, luogo di espressione che ispira la musica, come il rap. Un’arte attualmente in forte ascesa, che compie denunce politicosociali e fa riflettere sulla vita di tutti i giorni. On the road – inchiesta 2–4 RAP – rhyme and poetry La febbre del sabato sera 5 Street food 6 7 Coca-Cola: marchio da bere Street feet 8–9 Lo street food accompagna le nostre serate con gli amici: si mangia per strada da secoli e in una fase di crisi il cibo di strada abbina qualità ed economicità e se è vero che noi “siamo quello che mangiamo” il cibo diventa il carburante della storia. Siamo anche andate a chiedere cosa fanno gli studenti dei nostri licei il sabato sera. E ospitiamo, per la prima volta, un racconto inedito, ambientato sulla strada, “on the road”. Ma questo numero del giornale parla anche di altro: arte, viaggi, criptografia e nuove monete digitali. Con questo numero si conclude il primo anno del giornale “Ci Vuole Costanza”. Ci rivediamo l’anno prossimo! Buone vacanze a tutti! 10–11 Spazio agli artisti 12–13 Narrativa “Non tornare” Galleria d’arte moderna 14Fumetti Recensioni 15Film 16 I nostri mostri Il diario dei tagli 17 I nostri maestri Costanza da Varano 18 19 20 Rampe di lancio Progettare con Costanza Viaggio in... Irlanda Bitcoin: moneta segreta Eleonora Botticelli & Nice De Blasio Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 1 on the road on the road STREET FOOD COCA-COLA: marchio da bere Girando per le grandi metropoli, ma anche nelle piccole cittadine di tutto il mondo, ad ogni angolo di strada notiamo immancabilmente pizzerie, bar, chioschi e qualsiasi altro genere di locali consacrati al cibo take-away. Il take-away, street food o, in italiano, “cibo da asporto” ci accompagna nella nostra routine quotidiana. Nell’immaginario collettivo questi comodi e veloci pasti vengono associati alle strade di grandi metropoli americane, ma, in realtà, il cibo di strada nasce in Italia in tempi antichissimi. Negli Stati Uniti e in tutto il mondo, McDonald’s e Burger King hanno costruito un impero basato su patatine, hamburger e hot-dog, mentre in Italia lo street food per eccellenza è la pizza, che nasce a Napoli nel 1200 circa. Esistono vari tipi di pizza, ma il classico napoletano è la pizza Margherita, che deve il suo nome proprio alla Regina Margherita di Savoia, che visitò la città nel 1889. Nel corso del tempo ogni regione ha sviluppato un proprio tipo di pizza o focaccia: in Sicilia troviamo il Pizzòlu, una pizza generalmente farcita nel mezzo; nel Lazio la pizza romana o Focaccia romana (o ancora Spianata), generalmente accompagnata dalla mortadella; nelle Marche invece la classica Crescia, che le nostre nonne erano solite mangiare con formaggi e insaccati caserecci.Altri classici che non possono mancare nello street food all’italiana sono la Piadina romagnola, nota a tutti, e il Supplì, una polpetta allungata di riso bollito, condito 6 con sugo di carne e un dadino di mozzarella, lasciato raffreddare e poi passato nelle uova e nel pan grattato, prima di essere fritto in abbondante olio, tipico della cucina laziale e non molto differente dall’Arancino siciliano. Tipico toscano è il panino con il Lampredotto, una parte della “trippa” che prima viene “sbollentata” poi stufata con gli odori ed infine messa nel pane che precedentemente era stato “ammollato” nel suo “sugo”. Altri classici del take-away all’italiana sono la Mozzarella in carrozza, i Babbà, il Timballo di pasta (o frittata di pasta) e le Sfogliatelle per la Campania, i Cannoli e le Brioche con gelato per la Sicilia. Nelle Marche abbiamo, oltre alla Crescia, le Olive all’ascolana, la Crema fritta e le Crocette in porchetta, ossia un piatto di molluschi tipico dell’Anconetano (le crocette sono conosciute anche come Garagolo). Avrete capito, dunque, che i cibi di strada non sono solo i più recenti prodotti del McDonald’s, standardizzati e nocivi, ma sono anche piatti che risalgono alla più illustre tradizione italiana, più buoni e salutari (non parliamoo di calorie ma di qualità) di quelli delle grandi catene globali di ristorazione. Così come l’Italia è riuscita a promuovere nel mondo le tradizioni culinarie d’eccellenza grazie a Eataly, la Regione Marche potrebbe lanciare all’Expo 2015 un brand di cibo takeaway tutto italiano, partendo dalla nostra tradizione regionale. Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 Lucia Cingolani Se c’è una bibita che si trova in tutte le strade del mondo, questa è la Coca-Cola. Bevanda globale già dall’inizio del secolo scorso, amata dai suoi fan e destata dai movimenti no global, la sua storia è davvero curiosa: nata come miscuglio di droghe (cocaina, caffeina, alcol) la Coca-Cola è diventata la regina assoluta delle bevande analcoliche. • Il 29 maggio l’“Atlanta Daily Journal” pubblicò la prima inserzione per la Coca-Cola. 1888 L’imprenditore Asa Griggs Candler utilizzò la Coca-Cola come rimedio al suo mal di testa. Nello stesso anno Pemberton muore. 1891 La ricetta della Coca-Cola viene venduta a Candler per 2300 dollari, il quale fonda la Coca-Cola Company. 1895 La Coca-Cola è in vendita in tutti gli Stati Uniti. 1889 Candler concede per un dollaro i diritti di imbottigliamento della CocaCola a Benjamin F. Thomas e Joseph B. Whitehead. Nascono i primi due stabilimenti a Chattanooga, Tennessee e Atlanta, Georgia. 1884 Il farmacista Pemberton inventò 1914 Nasce un nuovo design per le ad Atlanta, in Georgia, una bevanda bottiglie ideato da Earl R. Dean. costituita da caffeina, cocaina e alcol: 1919 I Candler vendono The Coca-Cola la “Pemberton’s French Wine Coca”. Company per 25 milioni di dollari ad Fondò una società, insieme al contabile un gruppo finanziario capeggiato dal Frank Robinson, per commercializzarla. banchiere di Atlanta Ernest Woodruff. 1885 Il proibizionismo americano vietò Nello stesso anno il marchio Coca-Cola l’uso dell’alcol. è registrato in Italia. 1886 1923 La Coca-Cola diventa marchio • L’alcol viene sostituito con la cola mondiale. (noce africana il cui principio attivo equivale a quello della caffeina) In 128 anni la Coca-Cola ha utilizzato aggiungendo più dosi di cocaina, differenti slogan, ma tutti sottolineano zucchero e acidi per coprirne il sapore. il concetto di Coca-Cola come • L’8 maggio di quell’anno, Pemberton bevanda che rinfresca e riposa mente propose al sig. Vanable (gestore di e corpo (come affermato nella prima un famoso drugstore) di vendere la pubblicità del 1886). Uno dei primi e sua nuova bevanda. Nello stesso più longevi esempi di markenting “da pomeriggio fu venduto il primo bere”, con tutti i suoi pregi e i suoi bicchiere a un nickel (5 cent.). difetti. • In seguito il nome “Coca-Cola”, dai Eleonora Botticelli suoi due principali ingredienti, le fu dato da Robinson. Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 7 on the road on the road STREET FEET STREET FEET “Se si va da qualche parte, non sai se guardare il panorama o le mie scarpe” (Emis Killa) Se invece di guardarci in faccia, ci guardassimo i piedi, ci accorgeremmo che noi giovani, fra i 15 e i 18 anni, indossiamo tutti gli stessi tipi di scarpa, due o tre al massimo: sneakers (della Nike e della Converse soprattutto) e anfibi (Doctor Marten’s). Poi c’è l’eccezione che conferma la regola, come ad esempio le Creepers, scarpe degli anni 50, indossate dai Teddy Boy, o le Jeffrey Campbell, dallo stile vintage, nate una decina di anni fa a Los Angeles da una piccola azienda a conduzione familiare. Di scarpe, noi marchigiani, ce ne intendiamo: siamo fra i maggiori produttori europei di calzature e marchigiani sono alcuni dei marchi più noti al mondo, soprattutto nella gamma di lusso, da Tod’s a Loriblu. Oltre a possederne le tecniche produttive, dovremmo quindi conoscere anche la storia delle scarpe. Secoli calzanti: pillole di storia Lo sapevate, per esempio, che le prime forme di scarpa risalgono all’epoca preistorica? Ebbene sì, esse avevano l’unico scopo di proteggere i piedi. Sfortunatamente, queste calzature non sono arrivate fino a noi, a causa della deperibilità del materiale con cui erano fatte (pelli di animali o legno). 8 Successivamente, le scarpe si sono evolute, sono diventate di uso comune e hanno sviluppato caratteri diversi per ogni popolazione. Oltre alla funzione protettiva, in epoca contemporanea hanno assunto anche una funzione estetica e quindi oggi si pone maggiore attenzione alla loro bellezza, usando materiali più pregiati e soprattutto aggiungendo delle decorazioni. In epoca antica, i Greci usavano i “sandali”. Nel XIV secolo, invece, in Inghilterra e Francia si affermarono le poulaine, scarpe della nobiltà con la punta superiore ai 15 cm, la quale era tanto più lunga quanto più nobile era la persona che le indossava. Con l’inizio dell’industrializzazione nel XIX secolo le scarpe furono prodotte in serie in fabbrica; in questo periodo nacque anche la moda degli stivali corti. Ma il periodo più rivoluzionario per le calzature di tutto il mondo è il ventesimo secolo, quando diventano dominanti la moda inglese e soprattutto quella italiana, con la fioritura delle firme più prestigiose, come Armani, Valentino, Ferrè e Versace. Le scarpe dei giovani Negli ultimi anni la moda si è allontanata dalle sue nobili origini e dà ormai vita a molteplici tendenze, utilizzando colori, forme, materiali e tessuti di ogni tipo. Tra i giovani le marche di scarpe più ricercate, come abbiamo accennato all’inizio, sono Nike, Converse e Vans, adatte alla moda del momento, caratterizzata da uno stile sportivo e che richiama sempre più l’hip-hop, confermando l’attuale tendenza dominante a riprodurre le mode degli anni 80, dai fuseaux, che oggi chiamiamo leggins, ai capelli preferibilmente cotonati e colorati. Rebecca Chirielli, Angelica Rango, Gloria Spitoni Fino a quando, nel XVII secolo, le scarpe in Europa vennero disegnate con tacchi alti, sia per gli uomini sia per le donne. Il tacco alto è rimasto fino ad oggi nelle calzature femminili, mentre talvolta solo in forma di tacco basso in quelle maschili. Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 9 narrativa narrativa “NON TORNARE” “NON TORNARE” Il cielo era talmente luminoso che guardarlo faceva male agli occhi, ma io lo guardavo lo stesso, per via di questo stormo di uccelli. Qualcosa li scagliava verso l’alto, dove alcuni rimanevano sospesi e poi precipitavano assieme agli altri: scrivendo parole di libertà, in chissà quale lingua di migrazione. Parole che dicevano “non tornare”. Perché, dopotutto, era la miseria, il luogo dove sarei tornato, se fossi ritornato a casa. La miseria e la tomba di Chutzpah. Avevo il suo necrologio. La foto: dove solo l’occhio strabico lo salvava da quel genere di bellezza che la gente finisce per condannare. Gli adulti lo chiamavano David Levi - specialmente quando stavano per suonargliele. Se qualcuno osservava che era strano, Chutzpah rispondeva con un sogghigno che il suo vecchio si chiamava Elia. Almeno così disse a me - in treno quando ci conoscemmo. La verità è che mi piaceva guardare Chutzpah. Era bello da guardare mentre si muoveva. Potevi vederlo al molo - nell’ora in cui la sirena della fabbrica levava tutto il sangue alle loro grida e tutti i giocatori di basket scappavano scompostamente verso casa, meditando di vie da percorrere per non essere beccati dagli spioni e di soldi da dare all’Artista affinché falsificasse loro la giustificazione per il giorno di scuola marinato. Potevi vedergli i capezzoli attraverso la canottiera di cotone. Vedevi come il caldo sembrava opprimerlo. I suoi capelli davano sempre l’idea che qualcosa forse un pensiero - ci avesse camminato attraverso e lui non smetteva di tormentarli. Aveva disegnato con la polvere di carbone l’area proprio sotto il canestro perché sembrasse un dito medio grassoccio che mandava a quel paese chiunque. Ero innamorato di lui in maniera tale che gli avrei dato il mio cuore anche se lui lo avesse voluto per mangiarselo. Chutzpah non aveva mai quattrini per comprarsi il biglietto del treno, così ciò che decisi di fare fu salire sul treno con due biglietti (due biglietti tutt’e due timbrati) ogni volta che potevo e sedermi in quel posto appiccicaticcio che mettono fra il cesso e l’uscita, sperando che montasse il controllore. Il giorno in cui finalmente lo fece, vidi Chutzpah sgattaiolare verso di me, pronto a scendere alla 12 fermata successiva, allora gli feci vedere i miei due biglietti come se fossero una mano particolarmente fortunata di carte. Capì al volo e si sedette vicino a me. L’intelligenza aveva impresso sulla sua faccia come una promessa fatta a se stesso di diventare molto bello da grande. E se sapeva che sarebbe morto giovane, allora non lo dava a vedere. Guardava sempre, serenamente, verso l’alto. La cosa che mi colpiva del suo profilo era la linea del suo naso che riproduceva esattamente quella del collo: entrambe interrotte brevemente una dal rilievo del pomo d’Adamo e l’altra da una piccola gobba. Se uno le avesse prolungate - una verso l’alto e verso il basso l’altra - è probabile che si sarebbero incontrate nel punto che il suo occhio strabico continuava a fissare testardamente. Non avevo mai parlato con lui. Vedeva cose che gli altri non vedevano, tuttavia non sapeva parlarne. Mi disse che la bellezza era il solo modo che aveva di ribellarsi contro la ribellione degli altri. Rimasi colpito. Fummo d’accordo sul fatto d’incontrarci di nuovo e mi propose di passare per casa sua, ma io non ne avevo il coraggio. Suo padre - Elia Levi - era stato un mio professore di inglese, in primo superiore, e aveva avuto un suo posto dentro i miei incubi. Era biondo, amaro e cattivo come l’acqua tonica, portava stivaletti lucidi che per la forma ricordavano due musi di squalo e non si poteva guardarlo negli occhi perché quello che vedevi sulla sua faccia era solo e semplicemente il suo sguardo. I ragazzi lo chiamavano “Mani Nere” perché aveva sempre tra le mani un giornale che continuava a tormentare finché i caratteri non gli stingevano tra le dita. Le sue labbra sembravano due vermi scovati sotto una pietra. Se avessi bussato alla sua porta e mi avesse chiesto che cosa volevo, sarei scappato a gambe levate, perciò portai con me un libro, da fingere di dover restituire a Chutzpah, per avere qualcosa da dire. In treno avevamo parlato dei Vagabondi del Dharma. Ero sicuro che l’avesse letto, perciò, non sapendo come attaccare discorso, l’avevo tirato fuori dallo zaino e lui, appena lo vide, mi chiese “sei buddhista?” “Non lo so” risposi. Poi scoppiammo a ridere. Perciò portai con me la mia copia quel giorno. Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 Dopo avermi fatto entrare, Elia Levi continuò a fissarmi, come se temesse che mi infilassi un soprammobile nello zaino e scappassi via, mentre Chutzpah scendeva le scale accompagnato dal rumore sordo che si fa camminando scalzi e pestando i talloni. Avevano una bella casa. Chutzpah e suo padre avevano la stessa espressione: come una specie di disprezzo per l’universo che era solo la loro particolare forma di pace interiore. Ma a partire dal ciuffo di capelli corvini - corti attorno alle orecchie e riccioluti sulla cima della testa - per arrivare al calzino bucato, Chutzpah era un tale capolavoro di ribellione verso suo padre che quasi applaudii. “Luca deve darti un libro” spiegò suo padre e Chutzpah mi rivolse un’occhiata interrogativa, più divertito che irritato dalla mia timidezza. Quando entrambi videro il libro, le loro espressioni cambiarono. La sottile tensione attorno alle labbra di Chutzpah - che significava che la sua bocca non era semplicemente socchiusa, ma che stava sorridendo - si allentò e scomparve, mentre suo padre mi strappava il libro di mano. “Questo è tuo?” domandò a Chutzpah. Non l’avevo mai visto così arrabbiato. In realtà non avevo mai visto nessuno arrabbiato come lo era lui in quel momento. Poi - senza attendere una risposta - con un gesto terribilmente atletico glielo sbatté in faccia. Mezz’ora dopo eravamo sul pontile: Chutzpah che sputava sangue e si tastava la parte bassa della faccia come se non fosse sicuro di che genere di aspetto avesse. Disse: “Potevi non comprarlo rilegato?” “Beh, si può sapere che cosa ho fatto di tanto grave?” trovai finalmente il coraggio di chiedere, ma quello che ottenni in risposta fu un “Cristo, lascia perdere le Marlboro: sono sempre tutte nere sulla punta”. Raccoglievamo mozziconi di sigaretta. La prima volta che vidi Chutzpah raccattare una cicca per terra e sbriciolarne il tabacco umido in un pezzo di carta di giornale mi chiesi inorridito se l’avrebbe fumata veramente. Più tardi ero troppo impegnato a cercare di accendermi i fiammiferi sotto l’unghia del pollice, come faceva lui, per badarci. A proposito, non è una cosa facile. Una volta un pezzetto di zolfo mi rimase incastrato sotto l’unghia, prese fuoco e mi fece un male cane. Comunque è così che passavamo le giornate: svolgendo e riavvolgendo una sorta di spirale che avevamo tracciato attraverso e tutt’attorno a casa, chiacchierando e raccogliendo cicche. Chutzpah disse che tutto era cominciato quando lui era ancora talmente stupido da rispondere la verità quando suo padre gli chiedeva dove era stato. Una volta suo padre gli aveva chiesto che cos’è che voleva fare da grande e quello che Chutzpah aveva risposto era andare di città in città, fare lavoretti stagionali finché non guadagnava abbastanza per poter ripartire di nuovo e stava per parlargli dei carri merci, che fra l’altro non sapeva neanche se esistessero ancora, quando suo padre gli era piombato addosso strillando “tu vuoi fare il barbone!”. “Sai come funzionano queste cose” aveva sospirato Chutzpah. E per via della mia occhiata interrogativa aggiunse “forse non lo sai”. Sputò e con un gesto di noncuranza che mi parve un po’ troppo violento spiegò: “e giù botte per dritto e per rovescio”. Era anche scappato di casa, però non voleva parlarne. Era arrivato da qualche parte verso Roma, dove le rotaie del treno luccicavano nella notte da farti venir voglia di leccarle; ed aveva mangiato una biscia d’acqua che era bianco e magro come una trota; e quando lo avevano riacciuffato le aveva prese, ma non abbastanza da convincerlo a restare. Così potevo ben capire come suo padre non apprezzasse l’autore dei Vagabondi del Dharma e tutti i barboni di quel genere, da Rimbaud a Woody Ghutrie. Aveva fatto una porcata con i suoi soldi (i soldi che sua madre gli aveva lasciato) sicché Chutzpah non poteva toccarli fino a dopo la maledetta università, ma sembrava fregarsene, perché lui mangiava anche le bisce. Quando le nostre strade si divisero non avrei mai immaginato che la sua sarebbe andata in pezzi, ma così é stato ed è per questo che sono tornato, anche se gli uccelli dicevano “non tornare”. Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 Lucia Giorgi 13 galleria d’arte moderna FUMETTI Il fumetto è un linguaggio attraverso il quale si esprimono storie o rappresentazioni di concetti. Il fumetto è definito “Arte sequenziale”, proprio perchè basa la sua forza sull’associazione del segno alla parola e della giustapposizione tra queste. Tra le forme artistiche indicate come antenate del fumetto, le più importanti sono probabilmente le narrazioni per immagini di episodi biblici, soprattutto a vantaggio di chi non sapeva leggere e le stampe popolari diffuse già nel XVI secolo. Il primo fumetto vero e proprio nasce nel 1896 quando Richard Felton Outcault pubblica per la prima volta il suo “Yellow Kid” sul “New York American”. Il 15 ottobre 1905 appare sul “New York Herald” la prima tavola della serie “Little Nemo in Slumberland” di Winsor McCay. Le avventure vissute dal piccolo Nemo sono in realtà un sogno e hanno termine con il suo risveglio. Questo permette all’autore di rappresentare storie fantastiche, ambientate in un mondo surreale. Dal 1938 con il debutto di “Superman” in “Action Comic”s n.1 inizia la Golden Age del fumetto americano (principalmente quello supereroistico) che dura fino al 1956. In questo periodo vennero inventati i molti personaggi protagonisti dei fumetti, come “Batman e Robin”, ”Flash”, “Lanterna Verde”, “Capitan America”... Sempre in questo periodo nacquero i fumetti di Walt Disney che ogni mese vendevano più di un milione di copie. 14 FILM Successivamente si sviluppò la Silver Age caratterizzata da personaggi più moderni e più vicini ai giovani come “Amazing Spider-Man”, ”I Fantastici Quattro”, “Flash”, ”The Incredible Hulk”. A cavallo con la Silver Age, in Italia, la produzione di fumetti esplode nel dopoguerra. L’Italia del Dopoguerra è impoverita e per evitare di pagare i diritti delle strisce americane nasce “l’albo” interamente occupato da una sola storia di un solo personaggio. Nel 1948 Gianluigi Bonelli crea “Tex Willer”, uno dei più famosi fumetti italiani di tutti i tempi, tuttora in stampa. Nel 1962 nasce in Italia il fumetto noir, il più famoso è sicuramente “Diabolik” ideato dalle sorelle Giussani. Il fumetto è arte, non possiamo pensare di racchiuderlo in un solo concetto della supereroistica. Quando si parla di fumetto bisogna parlare anche di: Graphic novel (utilizzato specialmente nei giornali); Fumetto realistico; Fumetto umoristico; Fumetto a scopo commerciale/ pubblicitario/educativo; Manga (di origine giapponese); Grottesco. Dagli anni 60 si è anche diffuso il collezionismo organizzato, con la pubblicazione di riviste (le fanzines), l’organizzazione di raduni (le conventions) e l’apertura di negozi specializzati (i comic-shops) che attualmente gestiscono la maggior parte delle vendite. Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 recensioni Nice De Blasio Limitless, tratto dal romanzo “The Dark Fields” di Alan Glynn, è un film del 2011 diretto da Neil Burger. Eddie Morra (Bradley Cooper), aspirante scrittore newyorkese, è affetto dal “blocco dello scrittore” e la sua situazione peggiora ancor di più quando viene lasciato dalla sua ragazza Lindy (Abbie Cornish). Riesce a superarlo solamente quando incontra Vernon Gant (Johnny Whitworth), suo vecchio amico, che gli regala una pasticca di NTZ-48 in grado di far aumentare al massimo le sue capacità intellettive, senza più limiti. Grazie all’uso dell’ NTZ-48 diventa uno dei più grandi manager della Grande Mela ed è proprio questo ad attirare il magnate finanziario Carl Van Loon (Robert De Niro) che lo coinvolge in un’importante iniziativa economica. Ben presto, oltre a trovarsi di fronte ai brutali effetti della droga, si ritroverà anche a dover scappare da una pericolosa banda di criminali in cerca dell’NTZ-48. “Limitless”, ibrido tra realtà e finzione in cui la fantascienza incontra il thriller, può essere interpretato come una sorta di metafora dell’attuale società in cui, erroneamente, non ci si accontenta mai e non ci si sente all’altezza, talvolta arrivando a scegliere la strada che a prima vista sembrerebbe più semplice. Diretto da Niki Caro, North Country è ambientato in un freddo Minnesota del 1989. Il gelo non è solo quello della neve, che suggella la scenografia, ma è anche quello del clima sociale che grava sulla vita delle donne, protagoniste di questo lungometraggio che si contraddistingue per affrontare con rude efficacia il problema della violenza contro il gentil sesso. Nei primi fotogrammi del film, la protagonista, Josey, viaggia sulle note di una melodia country, simbolo di una libertà temporanea, limitata all’asfalto che sta percorrendo. La donna sta scappando, con i suoi due figli, da una situazione che la opprime: un marito violento che la picchia. Quello che Josey non sa è che si sta dirigendo, a ritmo di una canzone country, verso un inferno ancora più rovente: una miniera. Il vero orrore di questo ambiente non consiste nella pesantezza del lavoro, piuttosto si cela dietro i volti disgustati di uomini sporchi di polvere e nelle condizioni delle donne che vi lavorano. “North Country” fa luce sulle condizioni reali di molte donne, che vengono personificate e racchiuse in quell’involucro di valori che è Josey. Il messaggio principale dell’opera di Caro, che viene espresso da ogni suo colore, personaggio e musica, è che una donna viene più spesso punita per le sue virtù che per i suoi vizi. Laura Vissani Sandra Caballina Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 15 i nostri mostri i nostri maestri IL DIARIO DEI TAGLI COSTANZA DA VARANO “Ho trasformato il mio corpo nel mio diario. È una cosa che facevano i marinai, con tatuaggi dai precisi significati. Quando vivi un momento particolare, per ricordarlo, lo incidi sulla tua pelle: non importa se da solo con un coltello o coll’aiuto di un artista professionista.” Il celebre attore Johnny Depp (“Edward mani di forbice”, “Pirati dei Caraibi”), idolo dei teenager, parla così dei suoi tatuaggi e degli episodi di autolesionismo da lui vissuti. Ma cosa si cela dietro le sue cicatrici? Cosa l’ha spinto – e spinge molte altre persone – ad impugnare degli oggetti affilati (come lamette, coltelli, forbici, fermagli, chiodi o pezzi di vetro) per procurarsi del dolore, senza avere l’intenzione di uccidersi? Questo fenomeno – definito cutting (dall’inglese “tagliarsi”) – non riguarda solamente le celebrità (come Johnny Depp o Lady Diana) ma anche e soprattutto gli adolescenti (e in particolare le ragazze) i cui atti di autolesionismo deliberati e ripetitivi iniziano generalmente – ma non a caso – attorno ai tredici anni. A quell’età, il nostro corpo comincia a cambiare, ad essere amato e rifiutato allo stesso tempo, ad essere percepito come il terreno dove germoglia il desiderio sessuale e dove si radicano l’identità e il carattere, campo di battaglia quotidiano. Con il cutting gli adolescenti cercano una disperata via d’uscita dalla fatica di diventare grandi e tentano di affermare se stessi attraverso l’unica 16 cosa su cui sentono di esercitare un controllo: il loro corpo. Alla sofferenza psicologia, al dolore mentale, all’angoscia sostituiscono, tagliandosi, un intenso dolore fisico, che li distoglie dai loro sentimenti. Anzi i tagli sembrano quasi espellere disperazione, tristezza, solitudine e rabbia verso se stessi e gli altri, procurando una sensazione di sollievo o addirittura euforia. Coloro che si sentono vuoti e inutili possono, inoltre, attraverso i tagli, percepire di esistere e di essere vivi. La scelta di ferire la pelle non è casuale: la pelle rappresenta, infatti, il confine tra il mondo esterno e quello interno. In particolare sono braccia, gambe e pancia le zone più ferite, sia perché sono più facilmente raggiungibili, sia perché sono più facilmente occultabili. Coloro che si tagliano, infatti, provano vergogna per gesti che potrebbero non essere compresi o addirittura suscitare ribrezzo ma contemporaneamente desiderano di essere scoperti ed aiutati dai familiari, dei quali cercano di attirare l’attenzione, lasciando segni inequivocabili del loro comportamento. I cutter, inoltre, si affezionano alle loro ferite, tanto che spesso rifiutano le cure mediche, se non sono strettamente necessarie, perché potrebbero privarli di cicatrici che sono per loro testimonianza di sofferenze, paure e disagi inconfessabili e togliendogli il controllo esclusivo su un corpo che è diventato il loro diario segreto. Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 Barbara Butucea Ad dominum Oddantonium illustris Comitis Urbini natum versus ed intelligente da tutta la popolazione o magne decus Hesperiae, Montefeltrica proles, e da personaggi illustri dell’epoca. ecce Varanea tua quam Constantia mittit. Nel 1441 compose la prima opera di cui “si possa fissar la data”, come rivela B. Feliciangeli nel “Giornale storico della letteratura italiana” del 1894: si tratta di una lettera alla parente Cecilia Gonzaga. A quattordici anni scrisse orazioni latine a Bianca Maria Visconti, al duca Filippo, ad Alfonso re di Napoli e al futuro marito Alessandro Sforza, ottenendo da queste la fama. Costanza scrisse altre epistole come quella alla ammirata parente di Verona Isotta Nogarola, a cui dedicò anche un carme (una poesia) in venti esametri in cui la mise a confronto con Catullo. L’8 Dicembre 1444 sposò Alessandro Sforza dal quale ebbe due figli: Battista Umanista e letterata, Costanza Varano e Costanzo. (1426–1447), figlia di Piergentile da Ella fu giudicata moglie e sovrana Varano ed Elisabetta di Galeazzo devota, premurosa nei confronti Malatesta, appartiene a una delle del marito ed abile nel mantenere più illustri famiglie del centro Italia, i il controllo degli affari durante la Varano, che alla fine del Duecento, sua assenza. La morte di Costanza, con il declino dei Comuni, acquistarono avvenuta il 13 Luglio 1447, provocò potenza, riuscendo per tre secoli a dare grande costernazione nella lustro a Camerino. popolazione. La prima infanzia di Costanza fu “Quanto ci rimane dell’illustre donna segnata da tragici lutti familiari. La è d’assai per farci acquistare pieno sua istruzione fu affidata alla nonna, concetto del suo valore letterario Battista da Montefeltro, alla madre e a non meno che delle belle qualità, Guidantonio conte di Urbino. Ella studiò ond’ebbe l’animo adorno”, sottolinea autori latini come Cicerone, Virgilio e Pia Mestica Chiappetti nella “Vita di Agostino, autori greci e i padri della Costanza Varano” (1871). Chiesa, che le fornirono una vasta erudizione. Successivamente si dedicò anche agli studi di scienza, logica e Eleonora Colonnelli e Eleonora Ribichini astrologia. Ella fu perciò considerata donna bella Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 17 rampe di lancio rampe di lancio PROGETTARE CON COSTANZA Viaggio in IRLANDA La Scuola dell’Autonomia sollecita tutte le componenti della comunità educante ad investire nella qualità dell’insegnamento, affinché l’Istituzione scolastica sia un vero sistema formativo integrato con il contesto in cui si trova. I Licei di Camerino anche quest’anno hanno elaborato un ricco Piano dell’Offerta Formativa, attivando una pluralità di Progetti. Il Liceo Classico ha promosso progetti inerenti l’educazione alla legalità ed alla cittadinanza attiva, tra cui visite guidate presso la Casa Circondariale di Camerino e l’ex carcere di S. Severino ed un incontro in ricordo dei martiri delle foibe e dell’esodo giulianodalmata, con esuli testimoni del fatto. Il Liceo Scientifico prosegue con successo la collaborazione con il corso di laurea in Matematica dell’Università degli Studi di Camerino, organizzando dei seminari quali quello tenuto dalla prof.ssa Benvenuti : “I numeri della bellezza: architettura e design.” Nell’ambito del Piano Lauree Scientifiche, invece, la stessa prof.ssa Benvenuti ha parlato di “Geometrie non Euclidee” ed il prof. Toffalori di “Numeri e Crittografia”. I nostri alunni si sono poi cimentati nelle “Olimpiadi della Matematica”, “Matematica senza frontiere” e nei “Giochi Internazionali della Matematica” indetti dall’Università Bocconi. Hanno infine potuto visitare il CERN. Il Liceo delle Scienze Umane ha attivato il progetto “English as a game” che prevede uno stage presso la Scuola dell’infanzia e la Scuola primaria. Il Liceo Linguistico si è proposto di 18 ampliare la conoscenza delle lingue straniere con corsi pomeridiani di cinese e spagnolo. Inoltre ha promosso soggiorni studio in Irlanda e in Germania. Liceo delle Scienze umane e Liceo linguistico, insieme, hanno realizzato un progetto dal titolo“Migrazione/ Integrazione”, per sensibilizzare gli studenti alla cultura della diversità e al pluralismo culturale. Per approfondire questo tema è stata invitata una delle esponenti di spicco della letteratura migrante, Gabriella Kuruvilla, che ha presentato il suo ultimo romanzo ”Milano, fin qui tutto bene”. Il Liceo Sportivo ha promosso diverse attività di Educazione fisica. Quest’anno, sotto la guida dell’insegnante di canto e musica Vincenzo Pierluca, è nato il Coro dell’Istituto. Tutti gli studenti interessati, inoltre, hanno potuto esprimere le loro potenzialità comunicative attraverso il Corso di Teatro e il progetto “Fare Danza”, sfociato in uno spettacolo rappresentato al teatro “Marchetti” “Sarà perché ti am(av)o” in cui i giovani attori hanno dato vita alle tematiche dibattute nell’ambito del progetto Malamoreno. Importanti inoltre i progetti alla Camera dei Deputati, “English for you” (FSE) e Leonardo. Ricordiamo infine il giornale di istituto “Ci Vuole Costanza”, caratterizzato dalla fondamentale autonomia degli allievi che vi hanno collaborato. I cinque indirizzi del liceo hanno collaborato alla realizzazione di questi progetti come le cinque dita di una mano. Se è vero che le lingue si imparano viaggiando, allora i viaggi studio nelle città straniere per apprendere la lingua parlata in quel luogo, sono il miglior modo di studiare le lingue a scuola. A febbraio, noi alunni del liceo linguistico e liceo di scienze umane siamo stati in Irlanda. Tutti noi partecipanti abbiamo alloggiato a coppie nelle case delle famiglie irlandesi, le quali hanno contribuito a rendere il nostro soggiorno più confortevole possibile. Inoltre ciò ci ha permesso di stare a stretto contatto con la cultura locale, i cibi, gli usi, i costumi: il miglior modo per rendere più efficace l’apprendimento della lingua. Abbiamo seguito le lezioni dei docenti madre lingua nei pressi della scuola ISI Dublin, che ci hanno proposto visite a musei, quali i Botanic Gardens (i più antichi giardini botanici d’Europa) e la National Gallery of Ireland, dove abbiamo ammirato quadri di Vermeer e Rembrandt, fra gli altri. Mentre nella Dublin City Gallery The Hugh Lane Collection abbiamo potuto ammirare capolavori di pittori francesi quali Manet, Monet, Degas, Renoir e Morisot. Al Trinity College, conosciuto per essere il luogo dove ha studiato il noto scrittore Oscar Wilde, abbiamo visitato alcune delle strutture che esso ospita, come per esempio: ”The books of Kells”, una biblioteca grandissima e molto antica. Abbiamo visitato anche la Guinness, una della più antiche birrerie del mondo, e il castello di Kilkenny, un bellissimo luogo che si trova in prossimità del mare. Si è trattato senza dubbio di un’esperienza in cui è stato possibile unire “l’utile al dilettevole”. Infatti, oltre che divertente, essa è stata un’opportunità per accrescere le nostre conoscenze, non solo linguistiche ma anche relazionali e culturali, avendo potuto apprendere anche modi di vita ed abitudini diverse rispetto a quelle del nostro Paese. Viaggiare, migrare, cambiare Il viaggio è una continua scoperta: un susseguirsi di emozioni che stordiscono chi viaggia, con sensazioni mai provate. Durante un viaggio posti mai visitati possono diventare “casa” da un giorno all’altro. È ciò che narrano le autrici del libro di racconti “Pecore nere” (Ed. Laterza), Igiaba Scego, Gabriella Kuruvilla, Ingy Mubiayi e Laila Wadia: tutte italiane immigrate di seconda generazione, ovvero figlie di immigrati, ma nate e cresciute in Italia. La Scego in particolare scrive un racconto concentrato sulla “Dismatria”, che consiste nella perdita di contatto con la madrepatria in seguito all’abbandono del paese di origine. Le protagoniste del racconto, donne di origine somala, immigrate a Roma, pur di non rassegnarsi all’idea di aver abbandonato definitivamente il paese di origine, preferiscono non disfare le valigie. Alla fine, però, un fatto inaspettato cambierà le cose. Perché viaggiare, sostiene l’autore di “Viaggiare e non partire” Andrea Bocconi, non significa improvvisarsi turisti per pochi giorni o mesi, ma essere consapevoli che partire significa cambiamento, svolta, andare alla scoperta dell’ignoto. Arianna Matarrese Prof.sse Mosciatti e Miliani Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 Giovanna Cesanelli Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 19 rampe di lancio BITCOIN IL BITCOIN Scordatevi l’odore dei soldi: la “moneta del futuro” è digitale. Si tratta del Bitcoin: la prima valuta mondiale “digitale e decentralizzata”, proposta, nel 2009, dal matematico Satoshi Nakamoto. Diversamente dalle valute tradizionali, il Bitcoin è una “criptovaluta”, cioè non è emessa da una banca centrale, ma “creata” dai computer dei suoi utenti, attraverso un processo chiamato mining, che consiste nell’estrazione di codici. Lo scopo del Bitcoin – osserva il professore di economia, Giuseppe Travaglini – è creare un sistema di scambi parallelo a quello tradizionale e indipendente dalle istituzioni, dove la moneta ritorni a svolgere solamente il ruolo che le è più consono: quello di mezzo di pagamento. Nonostante le aspirazioni dei suoi ideatori, non è tuttavia da escludersi che il Bitcoin sia venuto a rivestire anche il ruolo di mezzo per speculare. Anzi, alcuni esperti collegano la volatilità di questa valuta all’ingerenza dei grandi speculatori. Non è questa l’opinione del professor Travaglini, che ribatte: “è il mercato ad attribuire un valore alla moneta: finché non si creerà un mercato stabile, il valore del Bitcoin rimarrà variabile”. D’altra parte – continua – l’attrazione che il Bitcoin esercita risiede nel suo essere un sistema alternativo: nel momento in cui diventasse “main-stream”, secondo Travaglini, perderebbe interesse. Sicuramente lo perderebbe per coloro 20 che si servono del Bitcoin per l’“opacità” e la complessità del sistema, cioè coloro che sono coinvolti in traffici illeciti come il riciclaggio di denaro ed il commercio di droghe. Emblematico è il caso di Silk Road: un sito che commerciava narcotici, pornografia ed armi, accettando esclusivamente pagamenti in Bitcoin. La scandalo fu tale che gli Stati Uniti decisero di perseguire penalmente l’uso di Bitcoin: come se si trattasse di soldi falsi. Secondo le aspirazioni dei suoi ideatori, il Bitcoin dovrebbe essere piuttosto la moneta di coloro che portano avanti transazioni internazionali, poiché permetterebbe loro di evitare tasse di cambio e conversioni. I Bitcoin (ed i loro sottomultipli: i Satoshi) possono essere inoltre acquistati o venduti in cambio di valuta tradizionale, come accadeva nella piattaforma di trading (cambio) Mt. Gox, la cui chiusura ha recentemente scosso il mondo del web. Sebbene gli esperti ritengano che il Bitcoin rimarrà lontano dalle persone comuni finché il sistema rimarrà così complesso, persino nelle Marche – a Jesi – esiste un negozio di generi alimentari (Mamatierra) che accetta pagamenti in Bitcoin. Per giustificare la sua scarsa diffusione alcun esperti hanno ipotizzato che il Bitcoin potrebbe essere semplicemente un pioniere nel campo delle valute virtuali ed essere presto superato da un rivale più user-friendly. Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14 Lucia Giorgi