Numero 2 - Licei Camerino

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Numero 2 - Licei Camerino
editoriale
indice
Dove passiamo il nostro tempo libero? Chi
incontriamo e cosa facciamo?
1 Editoriale
Sulle strade passiamo solitamente le nostre
ore di libertà, luogo di espressione che ispira
la musica, come il rap. Un’arte attualmente in
forte ascesa, che compie denunce politicosociali e fa riflettere sulla vita di tutti i giorni.
On the road – inchiesta
2–4 RAP – rhyme and poetry
La febbre del sabato sera
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Street food
6
7 Coca-Cola: marchio da bere
Street feet
8–9
Lo street food accompagna le nostre serate
con gli amici: si mangia per strada da secoli
e in una fase di crisi il cibo di strada abbina
qualità ed economicità e se è vero che noi
“siamo quello che mangiamo” il cibo diventa
il carburante della storia.
Siamo anche andate a chiedere cosa fanno
gli studenti dei nostri licei il sabato sera. E
ospitiamo, per la prima volta, un racconto
inedito, ambientato sulla strada, “on the
road”. Ma questo numero del giornale parla
anche di altro: arte, viaggi, criptografia e
nuove monete digitali.
Con questo numero si conclude il primo anno
del giornale “Ci Vuole Costanza”.
Ci rivediamo l’anno prossimo!
Buone vacanze a tutti!
10–11 Spazio agli artisti
12–13
Narrativa
“Non tornare”
Galleria d’arte moderna
14Fumetti
Recensioni
15Film
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I nostri mostri
Il diario dei tagli
17
I nostri maestri
Costanza da Varano
18
19
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Rampe di lancio
Progettare con Costanza
Viaggio in... Irlanda
Bitcoin: moneta segreta
Eleonora Botticelli & Nice De Blasio
Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14
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on the road
on the road
STREET FOOD
COCA-COLA: marchio da bere
Girando per le grandi metropoli,
ma anche nelle piccole cittadine
di tutto il mondo, ad ogni angolo di
strada notiamo immancabilmente
pizzerie, bar, chioschi e qualsiasi altro
genere di locali consacrati al cibo
take-away. Il take-away, street food
o, in italiano, “cibo da asporto” ci
accompagna nella nostra routine
quotidiana. Nell’immaginario
collettivo questi comodi e veloci
pasti vengono associati alle strade di
grandi metropoli americane, ma, in
realtà, il cibo di strada nasce in Italia
in tempi antichissimi. Negli Stati Uniti e
in tutto il mondo, McDonald’s e Burger
King hanno costruito un
impero basato su patatine,
hamburger e hot-dog,
mentre in Italia lo street
food per eccellenza è la
pizza, che nasce a Napoli
nel 1200 circa. Esistono vari
tipi di pizza, ma il classico
napoletano è la pizza
Margherita, che deve il suo
nome proprio alla Regina Margherita di
Savoia, che visitò la città nel 1889.
Nel corso del tempo ogni regione ha
sviluppato un proprio tipo di pizza o
focaccia: in Sicilia troviamo il Pizzòlu,
una pizza generalmente farcita nel
mezzo; nel Lazio la pizza romana o
Focaccia romana (o ancora Spianata),
generalmente accompagnata dalla
mortadella; nelle Marche invece la
classica Crescia, che le nostre nonne
erano solite mangiare con formaggi
e insaccati caserecci.Altri classici che
non possono mancare nello street food
all’italiana sono la Piadina romagnola,
nota a tutti, e il Supplì, una polpetta
allungata di riso bollito, condito
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con sugo di carne e un dadino di
mozzarella, lasciato raffreddare e poi
passato nelle uova e nel pan grattato,
prima di essere fritto in abbondante
olio, tipico della cucina laziale e non
molto differente dall’Arancino siciliano.
Tipico toscano è il panino con il
Lampredotto, una parte della “trippa”
che prima viene “sbollentata” poi
stufata con gli odori ed infine messa
nel pane che precedentemente era
stato “ammollato” nel suo “sugo”. Altri
classici del take-away all’italiana sono
la Mozzarella in carrozza, i Babbà, il
Timballo di pasta (o frittata di pasta)
e le Sfogliatelle per la Campania, i
Cannoli e le Brioche con
gelato per la Sicilia.
Nelle Marche abbiamo,
oltre alla Crescia, le Olive
all’ascolana, la Crema fritta
e le Crocette in porchetta,
ossia un piatto di molluschi
tipico dell’Anconetano (le
crocette sono conosciute
anche come Garagolo).
Avrete capito, dunque, che i cibi
di strada non sono solo i più recenti
prodotti del McDonald’s, standardizzati
e nocivi, ma sono anche piatti che
risalgono alla più illustre tradizione
italiana, più buoni e salutari (non
parliamoo di calorie ma di qualità) di
quelli delle grandi catene globali di
ristorazione.
Così come l’Italia è riuscita a
promuovere nel mondo le tradizioni
culinarie d’eccellenza grazie a Eataly,
la Regione Marche potrebbe lanciare
all’Expo 2015 un brand di cibo takeaway tutto italiano, partendo dalla
nostra tradizione regionale.
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Lucia Cingolani
Se c’è una bibita
che si trova in
tutte le strade del
mondo, questa
è la Coca-Cola.
Bevanda globale
già dall’inizio del
secolo scorso,
amata dai suoi
fan e destata
dai movimenti
no global, la sua
storia è davvero curiosa: nata come
miscuglio di droghe (cocaina, caffeina,
alcol) la Coca-Cola è diventata
la regina assoluta delle bevande
analcoliche.
• Il 29 maggio l’“Atlanta Daily Journal”
pubblicò la prima inserzione per la
Coca-Cola.
1888 L’imprenditore Asa Griggs Candler
utilizzò la Coca-Cola come rimedio
al suo mal di testa. Nello stesso anno
Pemberton muore.
1891 La ricetta della Coca-Cola viene
venduta a Candler per 2300 dollari, il
quale fonda la Coca-Cola Company.
1895 La Coca-Cola è in vendita in tutti
gli Stati Uniti.
1889 Candler concede per un dollaro
i diritti di imbottigliamento della CocaCola a Benjamin F. Thomas e Joseph
B. Whitehead. Nascono i primi due
stabilimenti a Chattanooga, Tennessee
e Atlanta, Georgia.
1884 Il farmacista Pemberton inventò
1914 Nasce un nuovo design per le
ad Atlanta, in Georgia, una bevanda
bottiglie ideato da Earl R. Dean.
costituita da caffeina, cocaina e alcol: 1919 I Candler vendono The Coca-Cola
la “Pemberton’s French Wine Coca”.
Company per 25 milioni di dollari ad
Fondò una società, insieme al contabile un gruppo finanziario capeggiato dal
Frank Robinson, per commercializzarla.
banchiere di Atlanta Ernest Woodruff.
1885 Il proibizionismo americano vietò
Nello stesso anno il marchio Coca-Cola
l’uso dell’alcol.
è registrato in Italia.
1886
1923 La Coca-Cola diventa marchio
• L’alcol viene sostituito con la cola
mondiale.
(noce africana il cui principio attivo
equivale a quello della caffeina)
In 128 anni la Coca-Cola ha utilizzato
aggiungendo più dosi di cocaina,
differenti slogan, ma tutti sottolineano
zucchero e acidi per coprirne il sapore. il concetto di Coca-Cola come
• L’8 maggio di quell’anno, Pemberton bevanda che rinfresca e riposa mente
propose al sig. Vanable (gestore di
e corpo (come affermato nella prima
un famoso drugstore) di vendere la
pubblicità del 1886). Uno dei primi e
sua nuova bevanda. Nello stesso
più longevi esempi di markenting “da
pomeriggio fu venduto il primo
bere”, con tutti i suoi pregi e i suoi
bicchiere a un nickel (5 cent.).
difetti.
• In seguito il nome “Coca-Cola”, dai
Eleonora Botticelli
suoi due principali ingredienti, le fu dato
da Robinson.
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on the road
on the road
STREET FEET
STREET FEET
“Se si va da qualche parte, non sai se guardare il
panorama o le mie scarpe” (Emis Killa)
Se invece di guardarci in faccia, ci
guardassimo i piedi, ci accorgeremmo
che noi giovani, fra i 15 e i 18 anni,
indossiamo tutti gli stessi tipi di scarpa,
due o tre al massimo: sneakers (della
Nike e della Converse soprattutto)
e anfibi (Doctor Marten’s). Poi c’è
l’eccezione che conferma la regola,
come ad esempio le Creepers, scarpe
degli anni 50, indossate dai Teddy
Boy, o le Jeffrey Campbell, dallo stile
vintage, nate una decina di anni fa a
Los Angeles da una piccola azienda
a conduzione
familiare.
Di scarpe, noi
marchigiani, ce
ne intendiamo:
siamo fra
i maggiori
produttori
europei di
calzature e marchigiani sono alcuni
dei marchi più noti al mondo,
soprattutto nella gamma di lusso, da
Tod’s a Loriblu. Oltre a possederne le
tecniche produttive, dovremmo quindi
conoscere anche la storia delle scarpe.
Secoli calzanti: pillole di storia
Lo sapevate, per esempio, che le prime
forme di scarpa risalgono all’epoca
preistorica? Ebbene sì, esse avevano
l’unico scopo di proteggere i piedi.
Sfortunatamente, queste calzature
non sono arrivate fino a noi, a causa
della deperibilità del materiale con cui
erano fatte (pelli di animali o legno).
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Successivamente, le scarpe si sono
evolute, sono diventate di uso comune
e hanno sviluppato caratteri diversi per
ogni popolazione. Oltre alla funzione
protettiva, in epoca contemporanea
hanno assunto
anche una
funzione estetica
e quindi oggi si
pone maggiore
attenzione alla
loro bellezza,
usando materiali
più pregiati
e soprattutto
aggiungendo
delle
decorazioni.
In epoca antica, i Greci usavano i
“sandali”. Nel XIV secolo, invece, in
Inghilterra e Francia si affermarono le
poulaine, scarpe della nobiltà con la
punta superiore ai 15 cm, la quale era
tanto più lunga quanto più nobile era
la persona che le indossava.
Con l’inizio dell’industrializzazione nel
XIX secolo le scarpe furono prodotte
in serie in fabbrica; in questo periodo
nacque anche la moda degli stivali
corti.
Ma il periodo più rivoluzionario per
le calzature di tutto il mondo è il
ventesimo secolo, quando diventano
dominanti la moda inglese e
soprattutto quella italiana, con la
fioritura delle firme più prestigiose,
come Armani, Valentino, Ferrè e
Versace.
Le scarpe dei giovani
Negli ultimi anni la moda si è
allontanata dalle sue nobili origini e
dà ormai vita a molteplici tendenze,
utilizzando colori, forme, materiali
e tessuti di ogni tipo. Tra i giovani le
marche di scarpe più ricercate, come
abbiamo accennato all’inizio, sono
Nike, Converse e Vans, adatte alla
moda del momento, caratterizzata
da uno stile sportivo e che richiama
sempre più l’hip-hop, confermando
l’attuale tendenza dominante a
riprodurre le mode degli anni 80, dai
fuseaux, che oggi chiamiamo leggins,
ai capelli preferibilmente cotonati e
colorati.
Rebecca Chirielli, Angelica Rango,
Gloria Spitoni
Fino a quando, nel XVII secolo, le
scarpe in Europa vennero disegnate
con tacchi alti, sia per gli uomini sia per
le donne. Il tacco alto è rimasto fino ad
oggi nelle calzature femminili, mentre
talvolta solo in forma di tacco basso in
quelle maschili.
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narrativa
narrativa
“NON TORNARE”
“NON TORNARE”
Il cielo era talmente luminoso che guardarlo
faceva male agli occhi, ma io lo guardavo lo
stesso, per via di questo stormo di uccelli. Qualcosa
li scagliava verso l’alto, dove alcuni rimanevano
sospesi e poi precipitavano assieme agli altri:
scrivendo parole di libertà, in chissà quale lingua di
migrazione.
Parole che dicevano “non tornare”.
Perché, dopotutto, era la miseria, il luogo dove
sarei tornato, se fossi ritornato a casa. La miseria e
la tomba di Chutzpah.
Avevo il suo necrologio. La foto: dove solo l’occhio
strabico lo salvava da quel genere di bellezza
che la gente finisce per condannare. Gli adulti lo
chiamavano David Levi - specialmente quando
stavano per suonargliele.
Se qualcuno osservava che era strano, Chutzpah
rispondeva con un sogghigno che il suo vecchio si
chiamava Elia. Almeno così disse a me - in treno quando ci conoscemmo.
La verità è che mi piaceva guardare Chutzpah. Era
bello da guardare mentre si muoveva.
Potevi vederlo al molo - nell’ora in cui la sirena della
fabbrica levava tutto il sangue alle loro grida e tutti
i giocatori di basket scappavano scompostamente
verso casa, meditando di vie da percorrere per
non essere beccati dagli spioni e di soldi da dare
all’Artista affinché falsificasse loro la giustificazione
per il giorno di scuola marinato.
Potevi vedergli i capezzoli attraverso la canottiera
di cotone. Vedevi come il caldo sembrava
opprimerlo.
I suoi capelli davano sempre l’idea che qualcosa forse un pensiero - ci avesse camminato attraverso
e lui non smetteva di tormentarli.
Aveva disegnato con la polvere di carbone l’area
proprio sotto il canestro perché sembrasse un dito
medio grassoccio che mandava a quel paese
chiunque.
Ero innamorato di lui in maniera tale che gli avrei
dato il mio cuore anche se lui lo avesse voluto per
mangiarselo.
Chutzpah non aveva mai quattrini per comprarsi
il biglietto del treno, così ciò che decisi di fare fu
salire sul treno con due biglietti (due biglietti tutt’e
due timbrati) ogni volta che potevo e sedermi in
quel posto appiccicaticcio che mettono fra il cesso
e l’uscita, sperando che montasse il controllore.
Il giorno in cui finalmente lo fece, vidi Chutzpah
sgattaiolare verso di me, pronto a scendere alla
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fermata successiva, allora gli feci vedere i miei due
biglietti come se fossero una mano particolarmente
fortunata di carte.
Capì al volo e si sedette vicino a me.
L’intelligenza aveva impresso sulla sua faccia come
una promessa fatta a se stesso di diventare molto
bello da grande. E se sapeva che sarebbe morto
giovane, allora non lo dava a vedere.
Guardava sempre, serenamente, verso l’alto. La
cosa che mi colpiva del suo profilo era la linea del
suo naso che riproduceva esattamente quella del
collo: entrambe interrotte brevemente una dal
rilievo del pomo d’Adamo e l’altra da una piccola
gobba. Se uno le avesse prolungate - una verso
l’alto e verso il basso l’altra - è probabile che si
sarebbero incontrate nel punto che il suo occhio
strabico continuava a fissare testardamente.
Non avevo mai parlato con lui.
Vedeva cose che gli altri non vedevano, tuttavia
non sapeva parlarne. Mi disse che la bellezza era il
solo modo che aveva di ribellarsi contro la ribellione
degli altri.
Rimasi colpito.
Fummo d’accordo sul fatto d’incontrarci di nuovo
e mi propose di passare per casa sua, ma io non ne
avevo il coraggio. Suo padre - Elia Levi - era stato
un mio professore di inglese, in primo superiore,
e aveva avuto un suo posto dentro i miei incubi.
Era biondo, amaro e cattivo come l’acqua
tonica, portava stivaletti lucidi che per la forma
ricordavano due musi di squalo e non si poteva
guardarlo negli occhi perché quello che vedevi
sulla sua faccia era solo e semplicemente il suo
sguardo.
I ragazzi lo chiamavano “Mani Nere” perché aveva
sempre tra le mani un giornale che continuava
a tormentare finché i caratteri non gli stingevano
tra le dita. Le sue labbra sembravano due vermi
scovati sotto una pietra.
Se avessi bussato alla sua porta e mi avesse chiesto
che cosa volevo, sarei scappato a gambe levate,
perciò portai con me un libro, da fingere di dover
restituire a Chutzpah, per avere qualcosa da dire.
In treno avevamo parlato dei Vagabondi del
Dharma. Ero sicuro che l’avesse letto, perciò, non
sapendo come attaccare discorso, l’avevo tirato
fuori dallo zaino e lui, appena lo vide, mi chiese “sei
buddhista?” “Non lo so” risposi. Poi scoppiammo a
ridere.
Perciò portai con me la mia copia quel giorno.
Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14
Dopo avermi fatto entrare, Elia Levi continuò
a fissarmi, come se temesse che mi infilassi un
soprammobile nello zaino e scappassi via, mentre
Chutzpah scendeva le scale accompagnato
dal rumore sordo che si fa camminando scalzi e
pestando i talloni.
Avevano una bella casa.
Chutzpah e suo padre avevano la stessa
espressione: come una specie di disprezzo per
l’universo che era solo la loro particolare forma di
pace interiore. Ma a partire dal ciuffo di capelli
corvini - corti attorno alle orecchie e riccioluti sulla
cima della testa - per arrivare al calzino bucato,
Chutzpah era un tale capolavoro di ribellione verso
suo padre che quasi applaudii.
“Luca deve darti un libro” spiegò suo padre e
Chutzpah mi rivolse un’occhiata interrogativa, più
divertito che irritato dalla mia timidezza.
Quando entrambi videro il libro, le loro espressioni
cambiarono. La sottile tensione attorno alle labbra
di Chutzpah - che significava che la sua bocca
non era semplicemente socchiusa, ma che stava
sorridendo - si allentò e scomparve, mentre suo
padre mi strappava il libro di mano.
“Questo è tuo?” domandò a Chutzpah. Non
l’avevo mai visto così arrabbiato. In realtà non
avevo mai visto nessuno arrabbiato come lo era lui
in quel momento.
Poi - senza attendere una risposta - con un gesto
terribilmente atletico glielo sbatté in faccia.
Mezz’ora dopo eravamo sul pontile: Chutzpah che
sputava sangue e si tastava la parte bassa della
faccia come se non fosse sicuro di che genere di
aspetto avesse.
Disse: “Potevi non comprarlo rilegato?”
“Beh, si può sapere che cosa ho fatto di tanto
grave?” trovai finalmente il coraggio di chiedere,
ma quello che ottenni in risposta fu un “Cristo,
lascia perdere le Marlboro: sono sempre tutte nere
sulla punta”. Raccoglievamo mozziconi di sigaretta.
La prima volta che vidi Chutzpah raccattare una
cicca per terra e sbriciolarne il tabacco umido in
un pezzo di carta di giornale mi chiesi inorridito se
l’avrebbe fumata veramente. Più tardi ero troppo
impegnato a cercare di accendermi i fiammiferi
sotto l’unghia del pollice, come faceva lui, per
badarci. A proposito, non è una cosa facile. Una
volta un pezzetto di zolfo mi rimase incastrato sotto
l’unghia, prese fuoco e mi fece un male cane.
Comunque è così che passavamo le giornate:
svolgendo e riavvolgendo una sorta di spirale che
avevamo tracciato attraverso e tutt’attorno a
casa, chiacchierando e raccogliendo cicche.
Chutzpah disse che tutto era cominciato quando
lui era ancora talmente stupido da rispondere
la verità quando suo padre gli chiedeva dove
era stato. Una volta suo padre gli aveva chiesto
che cos’è che voleva fare da grande e quello
che Chutzpah aveva risposto era andare di
città in città, fare lavoretti stagionali finché non
guadagnava abbastanza per poter ripartire di
nuovo e stava per parlargli dei carri merci, che fra
l’altro non sapeva neanche se esistessero ancora,
quando suo padre gli era piombato addosso
strillando “tu vuoi fare il barbone!”.
“Sai come funzionano queste cose” aveva
sospirato Chutzpah. E per via della mia occhiata
interrogativa aggiunse “forse non lo sai”.
Sputò e con un gesto di noncuranza che mi parve
un po’ troppo violento spiegò: “e giù botte per
dritto e per rovescio”.
Era anche scappato di casa, però non voleva
parlarne.
Era arrivato da qualche parte verso Roma, dove
le rotaie del treno luccicavano nella notte da farti
venir voglia di leccarle; ed aveva mangiato una
biscia d’acqua che era bianco e magro come
una trota; e quando lo avevano riacciuffato le
aveva prese, ma non abbastanza da convincerlo a
restare.
Così potevo ben capire come suo padre non
apprezzasse l’autore dei Vagabondi del Dharma e
tutti i barboni di quel genere, da Rimbaud a Woody
Ghutrie.
Aveva fatto una porcata con i suoi soldi (i soldi che
sua madre gli aveva lasciato) sicché Chutzpah non
poteva toccarli fino a dopo la maledetta università,
ma sembrava fregarsene, perché lui mangiava
anche le bisce.
Quando le nostre strade si divisero non avrei mai
immaginato che la sua sarebbe andata in pezzi,
ma così é stato ed è per questo che sono tornato,
anche se gli uccelli dicevano “non tornare”.
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Lucia Giorgi
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galleria d’arte moderna
FUMETTI
Il fumetto è un linguaggio attraverso
il quale si esprimono storie o
rappresentazioni di concetti. Il
fumetto è definito “Arte sequenziale”,
proprio perchè basa la sua forza
sull’associazione del segno alla parola
e della giustapposizione tra queste.
Tra le forme artistiche indicate come
antenate del fumetto, le più importanti
sono probabilmente le narrazioni per
immagini di episodi biblici, soprattutto a
vantaggio di chi non sapeva
leggere e le stampe popolari
diffuse già nel XVI secolo. Il
primo fumetto vero e proprio
nasce nel 1896 quando
Richard Felton Outcault
pubblica per la prima volta
il suo “Yellow Kid” sul “New
York American”. Il 15 ottobre
1905 appare sul “New York
Herald” la prima tavola
della serie “Little Nemo in
Slumberland” di Winsor McCay. Le
avventure vissute dal piccolo Nemo
sono in realtà un sogno e hanno
termine con il suo risveglio. Questo
permette all’autore di rappresentare
storie fantastiche, ambientate in un
mondo surreale. Dal 1938 con il debutto
di “Superman” in “Action Comic”s
n.1 inizia la Golden Age del fumetto
americano (principalmente quello
supereroistico) che dura fino al 1956. In
questo periodo vennero inventati i molti
personaggi protagonisti dei fumetti,
come “Batman e Robin”, ”Flash”,
“Lanterna Verde”, “Capitan America”...
Sempre in questo periodo nacquero i
fumetti di Walt Disney che ogni mese
vendevano più di un milione di copie.
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FILM
Successivamente si sviluppò la Silver
Age caratterizzata da personaggi più
moderni e più vicini ai giovani come
“Amazing Spider-Man”, ”I Fantastici
Quattro”, “Flash”, ”The Incredible Hulk”.
A cavallo con la Silver Age, in Italia,
la produzione di fumetti esplode nel
dopoguerra. L’Italia del Dopoguerra
è impoverita e per evitare di pagare
i diritti delle strisce americane nasce
“l’albo” interamente occupato da
una sola storia di un solo
personaggio. Nel 1948
Gianluigi Bonelli crea “Tex
Willer”, uno dei più famosi
fumetti italiani di tutti i
tempi, tuttora in stampa.
Nel 1962 nasce in Italia il
fumetto noir, il più famoso
è sicuramente “Diabolik”
ideato dalle sorelle Giussani.
Il fumetto è arte, non
possiamo pensare di
racchiuderlo in un solo concetto
della supereroistica. Quando si
parla di fumetto bisogna parlare
anche di: Graphic novel (utilizzato
specialmente nei giornali); Fumetto
realistico; Fumetto umoristico;
Fumetto a scopo commerciale/
pubblicitario/educativo; Manga
(di origine giapponese); Grottesco.
Dagli anni 60 si è anche diffuso il
collezionismo organizzato, con la
pubblicazione di riviste (le fanzines),
l’organizzazione di raduni (le
conventions) e l’apertura di negozi
specializzati (i comic-shops) che
attualmente gestiscono la maggior
parte delle vendite.
Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14
recensioni
Nice De Blasio
Limitless, tratto dal
romanzo “The Dark
Fields” di Alan
Glynn, è un film
del 2011 diretto
da Neil Burger.
Eddie Morra
(Bradley Cooper),
aspirante scrittore
newyorkese,
è affetto dal
“blocco dello scrittore” e la sua
situazione peggiora ancor di più
quando viene lasciato dalla sua
ragazza Lindy (Abbie Cornish). Riesce a
superarlo solamente quando incontra
Vernon Gant (Johnny Whitworth), suo
vecchio amico, che gli regala una
pasticca di NTZ-48 in grado di far
aumentare al massimo le sue capacità
intellettive, senza più limiti. Grazie
all’uso dell’ NTZ-48 diventa uno dei più
grandi manager della Grande Mela ed
è proprio questo ad attirare il magnate
finanziario Carl Van Loon (Robert De
Niro) che lo coinvolge in un’importante
iniziativa economica. Ben presto, oltre
a trovarsi di fronte ai brutali effetti
della droga, si ritroverà anche a dover
scappare da una pericolosa banda di
criminali in cerca dell’NTZ-48.
“Limitless”, ibrido tra realtà e finzione
in cui la fantascienza incontra il thriller,
può essere interpretato come una sorta
di metafora dell’attuale società in cui,
erroneamente, non ci si accontenta
mai e non ci si sente all’altezza, talvolta
arrivando a scegliere la strada che a
prima vista sembrerebbe più semplice.
Diretto da Niki
Caro, North
Country è
ambientato in un
freddo Minnesota
del 1989. Il gelo
non è solo quello
della neve,
che suggella la
scenografia, ma
è anche quello
del clima sociale che grava sulla vita
delle donne, protagoniste di questo
lungometraggio che si contraddistingue
per affrontare con rude efficacia il
problema della violenza contro il gentil
sesso. Nei primi fotogrammi del film, la
protagonista, Josey, viaggia sulle note
di una melodia country, simbolo di una
libertà temporanea, limitata all’asfalto
che sta percorrendo. La donna sta
scappando, con i suoi due figli, da una
situazione che la opprime: un marito
violento che la picchia. Quello che
Josey non sa è che si sta dirigendo, a
ritmo di una canzone country, verso un
inferno ancora più rovente: una miniera.
Il vero orrore di questo ambiente non
consiste nella pesantezza del lavoro,
piuttosto si cela dietro i volti disgustati
di uomini sporchi di polvere e nelle
condizioni delle donne che vi lavorano.
“North Country” fa luce sulle condizioni reali
di molte donne, che vengono personificate
e racchiuse in quell’involucro di valori che
è Josey. Il messaggio principale dell’opera
di Caro, che viene espresso da ogni suo
colore, personaggio e musica, è che una
donna viene più spesso punita per le sue
virtù che per i suoi vizi.
Laura Vissani
Sandra Caballina
Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14
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i nostri mostri
i nostri maestri
IL DIARIO DEI TAGLI
COSTANZA DA VARANO
“Ho trasformato il mio corpo nel mio
diario. È una cosa che facevano
i marinai, con tatuaggi dai precisi
significati. Quando vivi un momento
particolare, per ricordarlo, lo incidi
sulla tua pelle: non importa se da solo
con un coltello o coll’aiuto di un artista
professionista.”
Il celebre attore Johnny Depp
(“Edward mani di forbice”, “Pirati dei
Caraibi”), idolo dei teenager, parla
così dei suoi tatuaggi e degli episodi di
autolesionismo da lui vissuti.
Ma cosa si cela dietro le sue cicatrici?
Cosa l’ha spinto – e spinge molte altre
persone – ad impugnare degli oggetti
affilati (come lamette, coltelli, forbici,
fermagli, chiodi o pezzi di vetro) per
procurarsi del dolore, senza avere
l’intenzione di uccidersi?
Questo fenomeno – definito cutting
(dall’inglese “tagliarsi”) – non riguarda
solamente le celebrità (come Johnny
Depp o Lady Diana) ma anche
e soprattutto gli adolescenti (e in
particolare le ragazze) i cui atti di
autolesionismo deliberati e ripetitivi
iniziano generalmente – ma non a caso
– attorno ai tredici anni. A quell’età,
il nostro corpo comincia a cambiare,
ad essere amato e rifiutato allo stesso
tempo, ad essere percepito come il
terreno dove germoglia il desiderio
sessuale e dove si radicano l’identità
e il carattere, campo di battaglia
quotidiano.
Con il cutting gli adolescenti cercano
una disperata via d’uscita dalla fatica
di diventare grandi e tentano di
affermare se stessi attraverso l’unica
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cosa su cui sentono di esercitare un
controllo: il loro corpo. Alla sofferenza
psicologia, al dolore mentale,
all’angoscia sostituiscono, tagliandosi,
un intenso dolore fisico, che li distoglie
dai loro sentimenti. Anzi i tagli sembrano
quasi espellere disperazione, tristezza,
solitudine e rabbia verso se stessi e gli
altri, procurando una sensazione di
sollievo o addirittura euforia. Coloro che
si sentono vuoti e inutili possono, inoltre,
attraverso i tagli, percepire di esistere e
di essere vivi.
La scelta di ferire la pelle non è
casuale: la pelle rappresenta, infatti,
il confine tra il mondo esterno e
quello interno. In particolare sono
braccia, gambe e pancia le zone più
ferite, sia perché sono più facilmente
raggiungibili, sia perché sono più
facilmente occultabili.
Coloro che si tagliano, infatti, provano
vergogna per gesti che potrebbero non
essere compresi o addirittura suscitare
ribrezzo ma contemporaneamente
desiderano di essere scoperti ed aiutati
dai familiari, dei quali cercano di
attirare l’attenzione, lasciando segni
inequivocabili del loro comportamento.
I cutter, inoltre, si affezionano alle loro
ferite, tanto che spesso rifiutano le cure
mediche, se non sono strettamente
necessarie, perché potrebbero
privarli di cicatrici che sono per loro
testimonianza di sofferenze, paure e
disagi inconfessabili e togliendogli il
controllo esclusivo su un corpo che è
diventato il loro diario segreto.
Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14
Barbara Butucea
Ad dominum Oddantonium illustris Comitis Urbini natum versus ed intelligente da tutta la popolazione
o magne decus Hesperiae, Montefeltrica proles,
e da personaggi illustri dell’epoca.
ecce Varanea tua quam Constantia mittit.
Nel 1441 compose la prima opera di cui
“si possa fissar la data”, come rivela B.
Feliciangeli nel “Giornale storico della
letteratura italiana” del 1894: si tratta
di una lettera alla parente Cecilia
Gonzaga.
A quattordici anni scrisse orazioni latine
a Bianca Maria Visconti, al duca Filippo,
ad Alfonso re di Napoli e al futuro
marito Alessandro Sforza, ottenendo da
queste la fama.
Costanza scrisse altre epistole come
quella alla ammirata parente di Verona
Isotta Nogarola, a cui dedicò anche un
carme (una poesia) in venti esametri in
cui la mise a confronto con Catullo.
L’8 Dicembre 1444 sposò Alessandro
Sforza dal quale ebbe due figli: Battista
Umanista e letterata, Costanza Varano e Costanzo.
(1426–1447), figlia di Piergentile da
Ella fu giudicata moglie e sovrana
Varano ed Elisabetta di Galeazzo
devota, premurosa nei confronti
Malatesta, appartiene a una delle
del marito ed abile nel mantenere
più illustri famiglie del centro Italia, i
il controllo degli affari durante la
Varano, che alla fine del Duecento,
sua assenza. La morte di Costanza,
con il declino dei Comuni, acquistarono avvenuta il 13 Luglio 1447, provocò
potenza, riuscendo per tre secoli a dare grande costernazione nella
lustro a Camerino.
popolazione.
La prima infanzia di Costanza fu
“Quanto ci rimane dell’illustre donna
segnata da tragici lutti familiari. La
è d’assai per farci acquistare pieno
sua istruzione fu affidata alla nonna,
concetto del suo valore letterario
Battista da Montefeltro, alla madre e a non meno che delle belle qualità,
Guidantonio conte di Urbino. Ella studiò ond’ebbe l’animo adorno”, sottolinea
autori latini come Cicerone, Virgilio e
Pia Mestica Chiappetti nella “Vita di
Agostino, autori greci e i padri della
Costanza Varano” (1871).
Chiesa, che le fornirono una vasta
erudizione. Successivamente si dedicò
anche agli studi di scienza, logica e
Eleonora Colonnelli e Eleonora Ribichini
astrologia.
Ella fu perciò considerata donna bella
Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14
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rampe di lancio
rampe di lancio
PROGETTARE CON COSTANZA
Viaggio in IRLANDA
La Scuola dell’Autonomia sollecita
tutte le componenti della comunità
educante ad investire nella qualità
dell’insegnamento, affinché l’Istituzione
scolastica sia un vero sistema formativo
integrato con il contesto in cui si trova.
I Licei di Camerino anche quest’anno
hanno elaborato un ricco Piano
dell’Offerta Formativa, attivando una
pluralità di Progetti.
Il Liceo Classico ha promosso progetti
inerenti l’educazione alla legalità ed
alla cittadinanza attiva, tra cui visite
guidate presso la Casa Circondariale di
Camerino e l’ex carcere di S. Severino
ed un incontro in ricordo dei martiri
delle foibe e dell’esodo giulianodalmata, con esuli testimoni del fatto.
Il Liceo Scientifico prosegue con
successo la collaborazione con
il corso di laurea in Matematica
dell’Università degli Studi di Camerino,
organizzando dei seminari quali quello
tenuto dalla prof.ssa Benvenuti : “I
numeri della bellezza: architettura e
design.” Nell’ambito del Piano Lauree
Scientifiche, invece, la stessa prof.ssa
Benvenuti ha parlato di “Geometrie
non Euclidee” ed il prof. Toffalori di
“Numeri e Crittografia”. I nostri alunni
si sono poi cimentati nelle “Olimpiadi
della Matematica”, “Matematica
senza frontiere” e nei “Giochi
Internazionali della Matematica” indetti
dall’Università Bocconi. Hanno infine
potuto visitare il CERN.
Il Liceo delle Scienze Umane ha attivato
il progetto “English as a game” che
prevede uno stage presso la Scuola
dell’infanzia e la Scuola primaria.
Il Liceo Linguistico si è proposto di
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ampliare la conoscenza delle lingue
straniere con corsi pomeridiani di
cinese e spagnolo. Inoltre ha promosso
soggiorni studio in Irlanda e in Germania.
Liceo delle Scienze umane e Liceo
linguistico, insieme, hanno realizzato
un progetto dal titolo“Migrazione/
Integrazione”, per sensibilizzare gli
studenti alla cultura della diversità e al
pluralismo culturale. Per approfondire
questo tema è stata invitata una delle
esponenti di spicco della letteratura
migrante, Gabriella Kuruvilla, che
ha presentato il suo ultimo romanzo
”Milano, fin qui tutto bene”.
Il Liceo Sportivo ha promosso diverse
attività di Educazione fisica.
Quest’anno, sotto la guida
dell’insegnante di canto e musica
Vincenzo Pierluca, è nato il Coro
dell’Istituto. Tutti gli studenti interessati,
inoltre, hanno potuto esprimere le loro
potenzialità comunicative attraverso
il Corso di Teatro e il progetto “Fare
Danza”, sfociato in uno spettacolo
rappresentato al teatro “Marchetti”
“Sarà perché ti am(av)o” in cui i giovani
attori hanno dato vita alle tematiche
dibattute nell’ambito del progetto
Malamoreno. Importanti inoltre i
progetti alla Camera dei Deputati,
“English for you” (FSE) e Leonardo.
Ricordiamo infine il giornale di istituto
“Ci Vuole Costanza”, caratterizzato
dalla fondamentale autonomia degli
allievi che vi hanno collaborato.
I cinque indirizzi del liceo hanno
collaborato alla realizzazione di questi
progetti come le cinque dita di una
mano.
Se è vero che le lingue si imparano
viaggiando, allora i viaggi studio nelle
città straniere per apprendere la lingua
parlata in quel luogo, sono il miglior
modo di studiare le lingue a scuola. A
febbraio, noi alunni del liceo linguistico
e liceo di scienze umane siamo stati in
Irlanda. Tutti noi partecipanti abbiamo
alloggiato a coppie nelle case delle
famiglie irlandesi, le quali hanno
contribuito a rendere il nostro soggiorno
più confortevole possibile. Inoltre ciò ci
ha permesso di stare a stretto contatto
con la cultura locale, i cibi, gli usi, i
costumi: il miglior modo per rendere più
efficace l’apprendimento della lingua.
Abbiamo seguito le lezioni dei docenti
madre lingua nei pressi della scuola ISI
Dublin, che ci hanno proposto visite
a musei, quali i Botanic Gardens (i più
antichi giardini botanici d’Europa) e
la National Gallery of Ireland, dove
abbiamo ammirato quadri di Vermeer
e Rembrandt, fra gli altri. Mentre nella
Dublin City Gallery The Hugh Lane
Collection abbiamo potuto ammirare
capolavori di pittori francesi quali Manet,
Monet, Degas, Renoir e Morisot. Al
Trinity College, conosciuto per essere il
luogo dove ha studiato il noto scrittore
Oscar Wilde, abbiamo visitato alcune
delle strutture che esso ospita, come
per esempio: ”The books of Kells”, una
biblioteca grandissima e molto antica.
Abbiamo visitato anche la Guinness, una
della più antiche birrerie del mondo, e il
castello di Kilkenny, un bellissimo luogo
che si trova in prossimità del mare. Si è
trattato senza dubbio di un’esperienza
in cui è stato possibile unire “l’utile al
dilettevole”. Infatti, oltre che divertente,
essa è stata un’opportunità per
accrescere le nostre conoscenze, non
solo linguistiche ma anche relazionali
e culturali, avendo potuto apprendere
anche modi di vita ed abitudini diverse
rispetto a quelle del nostro Paese.
Viaggiare, migrare, cambiare
Il viaggio è una continua scoperta: un susseguirsi di emozioni che stordiscono chi
viaggia, con sensazioni mai provate. Durante un viaggio posti mai visitati possono
diventare “casa” da un giorno all’altro. È ciò che narrano le autrici del libro di
racconti “Pecore nere” (Ed. Laterza), Igiaba Scego, Gabriella Kuruvilla, Ingy
Mubiayi e Laila Wadia: tutte italiane immigrate di seconda generazione, ovvero
figlie di immigrati, ma nate e cresciute in Italia. La Scego in particolare scrive un
racconto concentrato sulla “Dismatria”, che consiste nella perdita di contatto con
la madrepatria in seguito all’abbandono del paese di origine. Le protagoniste
del racconto, donne di origine somala, immigrate a Roma, pur di non rassegnarsi
all’idea di aver abbandonato definitivamente il paese di origine, preferiscono non
disfare le valigie. Alla fine, però, un fatto inaspettato cambierà le cose.
Perché viaggiare, sostiene l’autore di “Viaggiare e non partire” Andrea Bocconi,
non significa improvvisarsi turisti per pochi giorni o mesi, ma essere consapevoli che
partire significa cambiamento, svolta, andare alla scoperta dell’ignoto.
Arianna Matarrese
Prof.sse Mosciatti e Miliani
Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14
Giovanna Cesanelli
Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14
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rampe di lancio
BITCOIN
IL BITCOIN
Scordatevi l’odore dei soldi: la
“moneta del futuro” è digitale.
Si tratta del Bitcoin: la prima valuta
mondiale “digitale e decentralizzata”,
proposta, nel 2009, dal matematico
Satoshi Nakamoto.
Diversamente dalle valute tradizionali,
il Bitcoin è una “criptovaluta”, cioè non
è emessa da una banca centrale, ma
“creata” dai computer dei suoi utenti,
attraverso un processo chiamato mining,
che consiste nell’estrazione di codici.
Lo scopo del Bitcoin – osserva
il professore di economia,
Giuseppe Travaglini – è
creare un sistema di scambi
parallelo a quello tradizionale
e indipendente dalle istituzioni,
dove la moneta ritorni a svolgere
solamente il ruolo che le è più consono:
quello di mezzo di pagamento.
Nonostante le aspirazioni dei suoi
ideatori, non è tuttavia da escludersi
che il Bitcoin sia venuto a rivestire
anche il ruolo di mezzo per speculare.
Anzi, alcuni esperti collegano la
volatilità di questa valuta all’ingerenza
dei grandi speculatori.
Non è questa l’opinione del professor
Travaglini, che ribatte: “è il mercato ad
attribuire un valore alla moneta: finché
non si creerà un mercato stabile, il
valore del Bitcoin rimarrà variabile”.
D’altra parte – continua – l’attrazione
che il Bitcoin esercita risiede nel
suo essere un sistema alternativo:
nel momento in cui diventasse
“main-stream”, secondo Travaglini,
perderebbe interesse.
Sicuramente lo perderebbe per coloro
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che si servono del Bitcoin per l’“opacità”
e la complessità del sistema, cioè coloro
che sono coinvolti in traffici illeciti come
il riciclaggio di denaro ed il commercio
di droghe. Emblematico è il caso di
Silk Road: un sito che commerciava
narcotici, pornografia ed armi,
accettando esclusivamente pagamenti
in Bitcoin. La scandalo fu tale che
gli Stati Uniti decisero di perseguire
penalmente l’uso di Bitcoin: come se si
trattasse di soldi falsi.
Secondo le aspirazioni dei suoi ideatori,
il Bitcoin dovrebbe essere piuttosto
la moneta di coloro che portano
avanti transazioni internazionali,
poiché permetterebbe loro
di evitare tasse di cambio e
conversioni.
I Bitcoin (ed i loro sottomultipli:
i Satoshi) possono essere inoltre
acquistati o venduti in cambio di valuta
tradizionale, come accadeva nella
piattaforma di trading (cambio) Mt.
Gox, la cui chiusura ha recentemente
scosso il mondo del web.
Sebbene gli esperti ritengano che il
Bitcoin rimarrà lontano dalle persone
comuni finché il sistema rimarrà così
complesso, persino nelle Marche –
a Jesi – esiste un negozio di generi
alimentari (Mamatierra) che accetta
pagamenti in Bitcoin.
Per giustificare la sua scarsa diffusione
alcun esperti hanno ipotizzato che il
Bitcoin potrebbe essere semplicemente
un pioniere nel campo delle valute
virtuali ed essere presto superato da un
rivale più user-friendly.
Ci Vuole Costanza n.2, a.1, a.s. 2013/14
Lucia Giorgi