Cesare - De Bello Gallico

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Cesare - De Bello Gallico
Cesare - De Bello Gallico
Libro I
I - La Gallia
Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam
incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum
lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua,
institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis
Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit.
Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a
cultu atque humanitate provinciae longissime absunt,
minimeque ad eos mercatores saepe commeant atque ea
quae ad effeminandos animos pertinent important,
proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt,
quibuscum continenter bellum gerunt. Qua de causa
Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod
fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum
aut suis finibus eos prohibent aut ipsi in eorum finibus
bellum gerunt. Eorum una, pars, quam Gallos obtinere
dictum est, initium capit a flumine Rhodano, continetur
Garumna flumine, Oceano, finibus Belgarum, attingit
etiam ab Sequanis et Helvetiis flumen Rhenum, vergit ad
septentriones. Belgae ab extremis Galliae finibus
oriuntur, pertinent ad inferiorem partem fluminis Rheni,
spectant in septentrionem et orientem solem. Aquitania a
Garumna flumine ad Pyrenaeos montes et eam partem
Oceani quae est ad Hispaniam pertinet; spectat inter
occasum solis et septentriones.
La Gallia nel suo complesso è divisa in tre parti: una è
abitata dai Belgi, una dagli Aquitani, la terza da quelli
che nella loro lingua si chiamano Celti, nella nostra
Galli. Tutte queste popolazioni differiscono tra loro
nella lingua, nelle istituzioni e nelle leggi. Divide i Galli
dagli Aquitani il fiume Garonnna, dai Belgi la Marna e
la Senna. Di tutti questi i più valorosi sono i Belgi,
perché sono i più lontani dalla raffinatezza e dalla civiltà
della provincia, e molto raramente i mercanti si recano
da loro a portarvi quei prodotti che servono ad
effeminari gli animi, e sono i più vicini ai Germani che
abitano oltre Reno, con i quali sono ininterrottamente in
guerra. Questa è la ragione per cui anche gli Elvezi
superano nel valore gli altri Galli, perché quasi ogni
giorno combattono contro i Germani, o tenendoli fuori
dal proprio paese o portando essi la guerra nel loro
paese. Quella parte che, come ho detto, è abitata dai
Galli, inizia dal fiume Rodano; è delimitata dal fiume
Garonna, dall'Oceano, dal paese dei Belgi; dalla parte
dei Sequani e degli Elvezi tocca anche il fiume Reno; si
stende verso settentrione. Il paese dei Belgi comincia
dalla parte estrema della Gallia; tocca il corso inferiore
del fiume Reno, si stende verso settentrione e oriente.
L'Aquitania dal fiume Garonna si stende fino a toccare i
monti Pirenei e quella parte dell'Oceano che volge verso
la Spagna; si stende tra occidente e settentrione.
II - Gli Elvezi lasciano il paese
Apud Helvetios longe nobilissimus fuit et ditissimus
Orgetorix. Is M. Messala, [et P.] M. Pisone consulibus
regni cupiditate inductus coniurationem nobilitatis fecit
et civitati persuasit ut de finibus suis cum omnibus
copiis exirent: perfacile esse, cum virtute omnibus
praestarent, totius Galliae imperio potiri. Id hoc facilius
iis persuasit, quod undique loci natura Helvetii
continentur: una ex parte flumine Rheno latissimo atque
altissimo, qui agrum Helvetium a Germanis dividit;
altera ex parte monte Iura altissimo, qui est inter
Sequanos et Helvetios; tertia lacu Lemanno et flumine
Rhodano, qui provinciam nostram ab Helvetiis dividit.
His rebus fiebat ut et minus late vagarentur et minus
facile finitimis bellum inferre possent; qua ex parte
homines bellandi cupidi magno dolore adficiebantur.
Pro multitudine autem hominum et pro gloria belli atque
fortitudinis angustos se fines habere arbitrabantur, qui in
longitudinem milia passuum CCXL, in latitudinem
CLXXX patebant.
Presso gli Elvezi, Orgetorige fu di gran lunga il più
nobile e ricco. Durante il consolato di Marco Messala e
di Pupio Marco Pisone, indotto dal desiderio del regno
fece una congiura contro i nobili e convinse la sua gente
ad uscire dai loro confini con tutti i loro possessi: era
cosa facilissima, dal momento che eccellevano su tutti
per valore militare, impadronendosi del potere di tutta la
Gallia. Li convinse più facilmente per questo, perché gli
Elvezi sono confinati da ogni parte per la natura dei
luoghi: da una parte dal fiume Reno larghissimo e
profondissimo, che divide il territorio degli Elvezi da
quello dei Germani; dall'altra parte dall'altissimo monte
Iura, che sta tra i Sequani e gli Elvezi; dal terzo lato dal
lago Lemanno e dal fiume Rodano, che divide la
Provenza dagli Elvezi. Per queste ragioni accadeva sia
che potevano sconfinare meno estesamente sia che
potevano portare guerra meno facilmente ai popoli
confinanti; da quella parte uomini ansiosi di combattere
erano travagliati da grande malumore. In ragione poi del
gran numero di uomini e della gloria militare e della
forza, stimavano avere dei confini angusti che si
estendevano in longitudine per 240 mila passi, in
latitudine per 180.
III
His rebus adducti et auctoritate Orgetorigis permoti
constituerunt ea quae ad proficiscendum pertinerent
comparare, iumentorum et carrorum quam maximum
numerum coemere, sementes quam maximas facere, ut
in itinere copia frumenti suppeteret, cum proximis
civitatibus pacem et amicitiam confirmare. Ad eas res
conficiendas biennium sibi satis esse duxerunt; in
tertium annum profectionem lege confirmant. Ad eas res
conficiendas Orgetorix deligitur. Is sibi legationem ad
civitates suscipit. In eo itinere persuadet Castico,
Catamantaloedis filio, Sequano, cuius pater regnum in
Sequanis multos annos obtinuerat et a senatu populi
Romani amicus appellatus erat, ut regnum in civitate sua
occuparet, quod pater ante habuerit; itemque Dumnorigi
Haeduo, fratri Diviciaci, qui eo tempore principatum in
civitate obtinebat ac maxime plebi acceptus erat, ut idem
conaretur persuadet eique filiam suam in matrimonium
dat. Perfacile factu esse illis probat conata perficere,
propterea quod ipse suae civitatis imperium obtenturus
esset: non esse dubium quin totius Galliae plurimum
Helvetii possent; se suis copiis suoque exercitu illis
regna conciliaturum confirmat. Hac oratione adducti
inter se fidem et ius iurandum dant et regno occupato
per tres potentissimos ac firmissimos populos totius
Galliae sese potiri posse sperant.
Spinti da tali motivi e indotti dal prestigio di Orgetorige,
gli Elvezi decisero di preparare ciò che serviva per la
partenza: comprarono quanti più giumenti e carri fosse
possibile, seminarono tutto il grano che gli riuscì di
seminare, per averne a sufficienza durante il viaggio,
rafforzarono i rapporti di pace e di amicizia con i popoli
più vicini. Ritennero che due anni fossero sufficienti per
portare a termine i preparativi: con una legge fissarono
la partenza al terzo anno. Per eseguire tali operazioni
viene scelto Orgetorige, che si assume il compito di
recarsi in ambasceria presso gli altri popoli. Durante la
sua missione, il sequano Castico, figlio di
Catamantalede, che era stato per molti anni signore dei
Sequani e aveva ricevuto dal senato del popolo romano
il titolo di amico, venne persuaso da Orgetorige a
impadronirsi del regno che in precedenza era stato del
padre. Allo stesso modo Orgetorige convince ad analoga
azione l'eduo Dumnorige, al quale dà in sposa sua figlia.
Dumnorige era fratello di Diviziaco, a quel tempo
principe degli Edui e amatissimo dal suo popolo.
Orgetorige dimostra a Castico e a Dumnorige che è assai
facile portare a compimento l'impresa, perché egli stesso
sta per prendere il potere: gli Elvezi, senza dubbio,
erano i più forti tra tutti i Galli. Assicura che con le sue
truppe e con il suo esercito avrebbe procurato loro il
regno. Spinti dalle sue parole, si scambiano giuramenti
di fedeltà, sperando, una volta ottenuti i rispettivi
domini, di potersi impadronire di tutta la Gallia
mediante i tre popoli più potenti e più forti.
IV
Ea res est Helvetiis per indicium enuntiata. Moribus suis
Orgetoricem ex vinculis causam dicere coegerunt;
damnatum poenam sequi oportebat, ut igni cremaretur.
Die constituta causae dictionis Orgetorix ad iudicium
omnem suam familiam, ad hominum milia decem,
undique coegit, et omnes clientes obaeratosque suos,
quorum magnum numerum habebat, eodem conduxit;
per eos ne causam diceret se eripuit. Cum civitas ob eam
rem incitata armis ius suum exequi conaretur
multitudinemque hominum ex agris magistratus
cogerent, Orgetorix mortuus est; neque abest suspicio, ut
Helvetii arbitrantur, quin ipse sibi mortem consciverit.
Un delatore svelò l'accordo agli Elvezi. Secondo la loro
usanza, essi costrinsero Orgetorige a discolparsi
incatenato: se lo avessero condannato, la pena
comportava il rogo. Nel giorno stabilito per il processo,
Orgetorige fece venire da ogni parte tutti i suoi familiari
e servi, circa diecimila persone, nonché tutti i suoi
clienti e debitori, che erano molto numerosi. Grazie a
essi riuscì a sottrarsi all'interrogatorio. Mentre il popolo,
adirato per l'accaduto, cercava di far valere con le armi il
proprio diritto e i magistrati radunavano dalle campagne
una grande moltitudine di uomini, Orgetorige morì. Non
mancò il sospetto, secondo l'opinione degli Elvezi, che
si fosse suicidato.
V
Post eius mortem nihilo minus Helvetii id quod
constituerant facere conantur, ut e finibus suis exeant.
Ubi iam se ad eam rem paratos esse arbitrati sunt,
oppida sua omnia, numero ad duodecim, vicos ad
quadringentos, reliqua privata aedificia incendunt;
frumentum omne, praeter quod secum portaturi erant,
comburunt, ut domum reditionis spe sublata paratiores
ad omnia pericula subeunda essent; trium mensum
molita cibaria sibi quemque domo efferre iubent.
Dopo la morte di Orgetorige, gli Elvezi cercano
ugualmente di attuare il progetto di abbandonare il loro
territorio. Quando ritengono di essere ormai pronti per la
partenza, incendiano tutte le loro città, una dozzina, i
loro villaggi, circa quattrocento, e le singole case private
che ancora restavano; danno fuoco a tutto il grano, a
eccezione delle scorte che dovevano portare con sé, per
essere più pronti ad affrontare tutti i pericoli, una volta
privati della speranza di tornare in patria; ordinano che
Persuadent Rauracis et Tulingis et Latobrigis finitimis,
uti eodem usi consilio oppidis suis vicisque exustis una
cum iis proficiscantur, Boiosque, qui trans Rhenum
incoluerant et in agrum Noricum transierant Noreiamque
oppugnabant, receptos ad se socios sibi adsciscunt.
ciascuno porti da casa farina per tre mesi. Persuadono i
Rauraci, i Tulingi e i Latobici, con i quali confinavano, a
seguire la loro decisione, a incendiare le città e i villaggi
e a partire con loro. Accolgono e si aggregano come
alleati i Boi, che si erano stabiliti al di là del Reno, erano
passati nel Norico e avevano assediato Noreia.
VI
Erant omnino itinera duo, quibus itineribus domo exire
possent: unum per Sequanos, angustum et difficile, inter
montem Iuram et flumen Rhodanum, vix qua singuli
carri ducerentur, mons autem altissimus impendebat, ut
facile perpauci prohibere possent; alterum per
provinciam nostram, multo facilius atque expeditius,
propterea quod inter fines Helvetiorum et Allobrogum,
qui nuper pacati erant, Rhodanus fluit isque non nullis
locis vado transitur. Extremum oppidum Allobrogum est
proximumque Helvetiorum finibus Genava. Ex eo
oppido pons ad Helvetios pertinet. Allobrogibus sese vel
persuasuros, quod nondum bono animo in populum
Romanum viderentur, existimabant vel vi coacturos ut
per suos fines eos ire paterentur. Omnibus rebus ad
profectionem comparatis diem dicunt, qua die ad ripam
Rhodani omnes conveniant. Is dies erat a. d. V. Kal.
Apr. L. Pisone, A. Gabinio consulibus.
Le strade, attraverso le quali gli Elvezi potevano uscire
dal loro territorio, erano in tutto due: la prima, stretta e
difficoltosa, attraversava le terre dei Sequani tra il monte
Giura e il Rodano e permetteva, a stento, il transito di un
carro per volta; inoltre, il Giura incombeva su di essa a
precipizio, in modo tale che pochissimi bastavano
facilmente a impedire il passaggio; la seconda
attraversava la nostra provincia ed era molto più agevole
e rapida, perché tra i territori degli Elvezi e degli
Allobrogi, da poco pacificati, scorre il Rodano, che in
alcuni punti consente il guado. Ginevra è la città degli
Allobrogi più settentrionale e confina con i territori degli
Elvezi, ai quali è collegata da un ponte. Gli Elvezi, per
garantirsi via libera, pensavano di persuadere gli
Allobrogi, che non sembravano ancora ben disposti
verso i Romani, o di obbligarli con la forza. Ultimati i
preparativi per la partenza, stabiliscono la data in cui
avrebbero dovuto riunirsi tutti sulla riva del Rodano:
cinque giorni prima delle calende di aprile, nell'anno del
consolato di Lucio Pisone e A. Gabinio.
VII - Cesare a Ginevra
Caesari cum id nuntiatum esset, eos per provinciam
nostram iter facere conari, maturat ab urbe proficisci et
quam maximis potest itineribus in Galliam ulteriorem
contendit et ad Genavam pervenit. Provinciae toti quam
maximum potest militum numerum imperat (erat omnino
in Gallia ulteriore legio una), pontem, qui erat ad
Genavam, iubet rescindi. Ubi de eius adventu Helvetii
certiores facti sunt, legatos ad eum mittunt nobilissimos
civitatis, cuius legationis Nammeius et Verucloetius
principem locum obtinebant, qui dicerent sibi esse in
animo sine ullo maleficio iter per provinciam facere,
propterea quod aliud iter haberent nullum: rogare ut eius
voluntate id sibi facere liceat. Caesar, quod memoria
tenebat L. Cassium consulem occisum exercitumque eius
ab Helvetiis pulsum et sub iugum missum, concedendum
non putabat; neque homines inimico animo, data
facultate per provinciam itineris faciundi, temperaturos
ab iniuria et maleficio existimabat. Tamen, ut spatium
intercedere posset dum milites quos imperaverat
convenirent, legatis respondit diem se ad deliberandum
sumpturum: si quid vellent, ad Id. April. reverterentur.
Essendo stato annunciato questo a Cesare, cioè che gli
Elvezi tentavano di passare per la nostra provincia, egli
si affrettò a partire dalla città e si diresse verso la Gallia
Ulteriore, a marce il più possibile forzate e giunse a
Ginevra. Ordinò a tutte le province di fornire il numero
più grande possibile di soldati - c'era solamente una
legione in Gallia Ulteriore; ordinò di tagliare il ponte
che era vicino a Ginevra. Quando gli Elvezi vennero
informati del suo arrivo, inviarono presso di lui i legati
più illustri della città, della cui ambasceria Nammeio e
Veruclezio ottenevano il posto di capo, per dire che loro
avevano intenzione di passare per la provincia senza
alcun cattivo proposito, per il fatto che non avevano
nessun'altra via. Lo pregavano di permettere loro di fare
ciò con il suo assenso. Cesare, poiché ricordava che il
console Lucio Cassio era stato ucciso, e il suo esercito
era stato sconfitto dagli Elvezi e soggiogato, non ritenne
di dover cedere; e pensava che, se si fosse concesso a
uomini di animo ostile la facoltà di passare per la
provincia, non si sarebbero astenuti dal recar danno e
offesa. Tuttavia, per aspettare finché non arrivassero i
soldati che aveva richiesto, rispose che avrebbe preso un
giorno per decidere: se volessero una risposta, che
tornassero il 13 aprile.
VIII
Interea ea legione quam secum habebat militibusque, qui Nel frattempo, impiegando la legione al suo seguito e i
ex provincia convenerant, a lacu Lemanno, qui in
soldati giunti dalla provincia, Cesare scava un fossato ed
flumen Rhodanum influit, ad montem Iuram, qui fines
Sequanorum ab Helvetiis dividit, milia passuum XVIIII
murum in altitudinem pedum sedecim fossamque
perducit. Eo opere perfecto praesidia disponit, castella
communit, quo facilius, si se invito transire conentur,
prohibere possit. Ubi ea dies quam constituerat cum
legatis venit et legati ad eum reverterunt, negat se more
et exemplo populi Romani posse iter ulli per provinciam
dare et, si vim facere conentur, prohibiturum ostendit.
Helvetii ea spe deiecti navibus iunctis ratibusque
compluribus factis, alii vadis Rhodani, qua minima
altitudo fluminis erat, non numquam interdiu, saepius
noctu si perrumpere possent conati, operis munitione et
militum concursu et telis repulsi, hoc conatu destiterunt.
erige un muro lungo diciannove miglia e alto sedici
piedi, dal lago Lemano, che sbocca nel Rodano, fino al
monte Giura, che divide i territori dei Sequani dagli
Elvezi. Ultimata l'opera, dispone presidi e costruisce
ridotte per respingere con maggior facilità gli Elvezi, se
avessero tentato di passare suo malgrado. Quando
giunse il giorno fissato con gli ambasciatori ed essi
ritornarono, Cesare disse che, conforme alle tradizioni e
ai precedenti del popolo romano, non poteva concedere
ad alcuno il transito attraverso la provincia e si dichiarò
pronto a impedir loro il passaggio nel caso cercassero di
far ricorso alla forza. Gli Elvezi, persa questa speranza,
cercarono di aprirsi un varco sia di giorno, sia, più
spesso, di notte, o per mezzo di barche legate insieme e
di zattere, che avevano costruito in gran numero, o
guadando il Rodano nei punti in cui era meno profondo.
Respinti dalle fortificazioni e dall'intervento dei nostri
soldati, rinunciarono ai loro tentativi.
IX
Relinquebatur una per Sequanos via, qua Sequanis
invitis propter angustias ire non poterant. His cum sua
sponte persuadere non possent, legatos ad Dumnorigem
Haeduum mittunt, ut eo deprecatore a Sequanis
impetrarent. Dumnorix gratia et largitione apud
Sequanos plurimum poterat et Helvetiis erat amicus,
quod ex ea civitate Orgetorigis filiam in matrimonium
duxerat, et cupiditate regni adductus novis rebus
studebat et quam plurimas civitates suo beneficio habere
obstrictas volebat. Itaque rem suscipit et a Sequanis
impetrat ut per fines suos Helvetios ire patiantur,
obsidesque uti inter sese dent perficit: Sequani, ne
itinere Helvetios prohibeant, Helvetii, ut sine maleficio
et iniuria transeant.
Agli Elvezi rimaneva solo la strada attraverso le terre
dei Sequani; contro il loro volere, però, non avrebbero
potuto passare, perché era troppo stretta. Da soli non
sarebbero riusciti a persuadere i Sequani, perciò
mandarono degli emissari all'eduo Dumnorige, per
ottenere via libera grazie alla sua intercessione.
Dumnorige era molto potente presso i Sequani per il
favore di cui godeva e per le sue elargizioni, ed era
amico degli Elvezi perché aveva preso in moglie una
elvetica, la figlia di Orgetorige; inoltre, spinto dalla
brama di regnare, tendeva a novità politiche e voleva,
mediante i benefici resi, tenere legati a sé quanti più
popoli possibile. Perciò, si assume l'incarico e ottiene
che i Sequani concedano agli Elvezi il permesso di
transito e che le due parti si scambino ostaggi: i Sequani
per non ostacolare gli Elvezi durante l'attraversamento
del paese, gli Elvezi per attraversarlo senza provocare
offese o danni.
X - Cesare arruola nuove legioni
Caesari renuntiatur Helvetiis esse in animo per agrum
Sequanorum et Haeduorum iter in Santonum fines
facere, qui non longe a Tolosatium finibus absunt, quae
civitas est in provincia. Id si fieret, intellegebat magno
cum periculo provinciae futurum ut homines bellicosos,
populi Romani inimicos, locis patentibus maximeque
frumentariis finitimos haberet. Ob eas causas ei
munitioni quam fecerat T. Labienum legatum praeficit;
ipse in Italiam magnis itineribus contendit duasque ibi
legiones conscribit et tres, quae circum Aquileiam
hiemabant, ex hibernis educit et, qua proximum iter in
ulteriorem Galliam per Alpes erat, cum his quinque
legionibus ire contendit. Ibi Ceutrones et Graioceli et
Caturiges locis superioribus occupatis itinere exercitum
prohibere conantur. Compluribus his proeliis pulsis ab
Ocelo, quod est oppidum citerioris provinciae
extremum, in fines Vocontiorum ulterioris provinciae
die septimo pervenit; inde in Allobrogum fines, ab
A Cesare fu annunciato ancora che gli Elvezi avevano in
animo di marciare attraverso i territori dei Sequani e
degli Edui nel territorio dei Santoni, che non sono
distandi dal territorio degli abitanti di Tolosa, che è una
città nella Provenza. Se ciò fosse accaduto, (Cesare)
capiva che sarebbe successo, con gran pericolo per la
Provenza, che avrebbero avuto come confinanti uomini
bellicosi, nemici del popolo Romano, in luoghi estesi e
per soprattutto fertili. Per queste ragioni mise il
luogotenente Tito Labieno a capo delle fortificazioni che
aveva fatto; egli stesso scese in Italia a marce forzate, e
lì arruolò due legioni e (ne) richiamò dai quartieri
invernali tre, che svernavano vicino ad Aquileia, e si
diresse verso la Gallia Ulteriore per la strada più vicina
attraverso Alpi con queste cinque legioni. Qui i Ceutroni
e i Graiceli e i Caturigi, che avevano occupavato le zone
sovrastanti, tentavano di ostacolare l'avanzata
dell'esercito. Dopo essere stati respinti in parecchie
Allobrogibus in Segusiavos exercitum ducit. Hi sunt
extra provinciam trans Rhodanum primi.
battaglie, il settimo giorno arriva nel territorio dei
Vocontii nella Provenza Citeriore da Ocelo, che è il
villaggio più lontano della Provenza Citeriore; quindi
conduce l'esercito nel territorio degli Allobrogi, (e) dagli
Allobrogi ai Segusiani. Questi sono i primi (popoli)
fuori dalla Provincia oltre il Rodano.
XI - Ricorrono a Cesare vari popoli vessati
Helvetii iam per angustias et fines Sequanorum suas
copias traduxerant et in Haeduorum fines pervenerant
eorumque agros populabantur. Haedui, cum se suaque
ab iis defendere non possent, legatos ad Caesarem
mittunt rogatum auxilium: ita se omni tempore de
populo Romano meritos esse ut paene in conspectu
exercitus nostri agri vastari, liberi [eorum] in servitutem
abduci, oppida expugnari non debuerint. Eodem tempore
quo Haedui Ambarri, necessarii et consanguinei
Haeduorum, Caesarem certiorem faciunt sese
depopulatis agris non facile ab oppidis vim hostium
prohibere. Item Allobroges, qui trans Rhodanum vicos
possessionesque habebant, fuga se ad Caesarem
recipiunt et demonstrant sibi praeter agri solum nihil
esse reliqui. Quibus rebus adductus Caesar non
expectandum sibi statuit dum, omnibus, fortunis
sociorum consumptis, in Santonos Helvetii pervenirent.
valign="top">Gli Elvezi avevano già fatto passare alle
loro truppe le strette gole montane e, attraverso le terre
dei Sequani, avevano raggiunto il paese degli Edui e ne
devastavano i campi. Questi, non essendo in grado di
difendere né le loro vite né le loro proprietà, mandarono
ambasciatori a Cesare per chiedere aiuto, supplicando,
dato che loro in tutti i tempi avevano rispettato il popolo
Romano, che i loro campi non venissero devastati, i loro
bambini non fossero resi schiavi e le loro città non
fossero rase al suolo. Contemporaneamente gli Ambarri,
popolo amico ed affine agli Edui, informarono Cesare
che le loro terre erano state devastate ed era per loro
difficile difendere dagli attacchi dei nemici le proprie
città. Nello stesso modo gli Allobrogi, che avevano i
villaggi e i campi oltre il Rodano, fuggirono e si
rifugiarono da Cesare, dicendo che nulla era rimasto
loro se non la terra. A queste notizie Cesare capì di non
dover attendere che gli Elvezi giungessero nelle terre dei
Santoni, dopo aver distrutte tutte le ricchezze degli
alleati di Roma.
XII - Sconfitta degli Elvezi al di qua dall'Arar
Flumen est Arar, quod per fines Haeduorum et
Sequanorum in Rhodanum influit, incredibili lenitate, ita
ut oculis in utram partem fluat iudicari non possit. Id
Helvetii ratibus ac lintribus iunctis transibant. Ubi per
exploratores Caesar certior factus est tres iam partes
copiarum Helvetios id flumen traduxisse, quartam vero
partem citra flumen Ararim reliquam esse, de tertia
vigilia cum legionibus tribus e castris profectus ad eam
partem pervenit quae nondum flumen transierat. Eos
impeditos et inopinantes adgressus magnam partem
eorum concidit; reliqui sese fugae mandarunt atque in
proximas silvas abdiderunt. Is pagus appellabatur
Tigurinus; nam omnis civitas Helvetia in quattuor pagos
divisa est. Hic pagus unus, cum domo exisset, patrum
nostrorum memoria L. Cassium consulem interfecerat et
eius exercitum sub iugum miserat. Ita sive casu sive
consilio deorum immortalium quae pars civitatis
Helvetiae insignem calamitatem populo Romano
intulerat, ea princeps poenam persolvit. Qua in re Caesar
non solum publicas, sed etiam privatas iniurias ultus est,
quod eius soceri L. Pisonis avum, L. Pisonem legatum,
Tigurini eodem proelio quo Cassium interfecerant.
L'Arar è un fiume che confluisce nel Rodano attraverso i
territori degli Edui e dei Sequani, con incredibile
lentezza, tanto che, a prima vista, non si può giudicare in
quale delle due direzioni scorra. Gli Elvezi lo
attraversano con un ponte di barche legate. Quando
Cesare venne informato per mezzo degli esploratori che
tre quarti delle truppe degli Elvezi avevano attraversato
quel fiume, che il (restante) quarto invece era stato
lasciato al di qua del fiume Arar, subito dopo la terza
vigilia, dopo essere partito con tre legioni
dall'accampamento, (Cesare) si diresse verso quel quarto
che non aveva ancora attraversato il fiume. Assaliti
questi, carichi di bagagli e sorpresi, ne massacrò una
gran parte, i rimanenti si dettero alla fuga e si
rifugiarono nelle foreste più vicine. Questo cantone si
chiamava Tigurino; infatti tutta la patria degli Elvezi era
divisa in quattro cantoni. Questo cantone da solo,
essendo uscito dalla patria, aveva assassinato al tempo
dei nostri avi il console Lucio Cassio, e aveva
soggiogato il suo esercito. Così o per la circostanza o
per consiglio degli dei immortali, quella parte della
popolazione elvetica che aveva provocato una famosa
disfatta al popolo romano, quella pagò come
responsabile. E in questo fatto Cesare non vendicò solo
gli affronti pubblici, ma anche (quelli) privati, poiché i
Tigurini uccisero un avo di suo suocero Lucio Pisone,
l'ambasciatore Lucio Pisone, nella stessa battaglia in cui
uccisero Cassio.
XIII
Hoc proelio facto, reliquas copias Helvetiorum ut
consequi posset, pontem in Arari faciendum curat atque
ita exercitum traducit. Helvetii repentino eius adventu
commoti cum id quod ipsi diebus XX aegerrime
confecerant, ut flumen transirent, illum uno die fecisse
intellegerent, legatos ad eum mittunt; cuius legationis
Divico princeps fuit, qui bello Cassiano dux
Helvetiorum fuerat. Is ita cum Caesare egit: si pacem
populus Romanus cum Helvetiis faceret, in eam partem
ituros atque ibi futuros Helvetios ubi eos Caesar
constituisset atque esse voluisset; sin bello persequi
perseveraret, reminisceretur et veteris incommodi populi
Romani et pristinae virtutis Helvetiorum. Quod
improviso unum pagum adortus esset, cum ii qui flumen
transissent suis auxilium ferre non possent, ne ob eam
rem aut suae magnopere virtuti tribueret aut ipsos
despiceret. Se ita a patribus maioribusque suis didicisse,
ut magis virtute contenderent quam dolo aut insidiis
niterentur. Quare ne committeret ut is locus ubi
constitissent ex calamitate populi Romani et
internecione exercitus nomen caperet aut memoriam
proderet.
Dopodiché, per poter raggiungere le rimanenti truppe
degli Elvezi, Cesare ordina di costruire un ponte sulla
Saona e, così, trasborda sull'altra riva le sue truppe. Gli
Elvezi, scossi dal suo arrivo repentino, quando si resero
conto che per attraversare il fiume a Cesare era occorso
un giorno solo, mentre essi avevano impiegato venti
giorni di enormi sforzi, gli mandarono degli
ambasciatori. Li guidava Divicone, già capo degli Elvezi
all'epoca della guerra di Cassio. Divicone parlò a Cesare
in questi termini: se il popolo romano siglava la pace
con gli Elvezi, essi si sarebbero recati dove Cesare
avesse deciso e voluto, per rimanervi; se, invece,
continuava con le operazioni di guerra, si ricordasse sia
del precedente rovescio del popolo romano, sia
dell'antico eroismo degli Elvezi. Aveva attaccato
all'improvviso una sola tribù, quando gli uomini ormai al
di là del fiume non potevano soccorrerla: non doveva,
dunque, attribuire troppo merito, per la vittoria, al suo
grande valore, o disprezzare gli Elvezi, che avevano
imparato dai padri e dagli avi a combattere da prodi più
che con l'inganno o gli agguati. Perciò, non si esponesse
al rischio che il luogo dove si trovavano prendesse il
nome e tramandasse alla storia la disfatta del popolo
romano e il massacro del suo esercito.
XIV
His Caesar ita respondit: eo sibi minus dubitationis dari,
quod eas res quas legati Helvetii commemorassent
memoria teneret, atque eo gravius ferre quo minus
merito populi Romani accidissent; qui si alicuius
iniuriae sibi conscius fuisset, non fuisse difficile cavere;
sed eo deceptum, quod neque commissum a se
intellegeret quare timeret neque sine causa timendum
putaret. Quod si veteris contumeliae oblivisci vellet,
num etiam recentium iniuriarum, quod eo invito iter per
provinciam per vim temptassent, quod Haeduos, quod
Ambarros, quod Allobrogas vexassent, memoriam
deponere posse? Quod sua victoria tam insolenter
gloriarentur quodque tam diu se impune iniurias tulisse
admirarentur, eodem pertinere. Consuesse enim deos
immortales, quo gravius homines ex commutatione
rerum doleant, quos pro scelere eorum ulcisci velint, his
secundiores interdum res et diuturniorem impunitatem
concedere. Cum ea ita sint, tamen, si obsides ab iis sibi
dentur, uti ea quae polliceantur facturos intellegat, et si
Haeduis de iniuriis quas ipsis sociisque eorum intulerint,
item si Allobrogibus satis faciunt, sese cum iis pacem
esse facturum. Divico respondit: ita Helvetios a
maioribus suis institutos esse uti obsides accipere, non
dare, consuerint; eius rem populum Romanum esse
testem. Hoc responso dato discessit.
A tali parole Cesare così rispose: tanto meno doveva
esitare, perché ciò che gli ambasciatori degli Elvezi
avevano ricordato era impresso nella sua mente, e
quanto minore era stata la colpa del popolo romano,
tanto maggior dolore provava lui per la sconfitta: se i
Romani avessero avuto coscienza di qualche torto
commesso, facilmente si sarebbero tenuti in guardia; ma
non pensavano di aver compiuto qualcosa per cui
temere, né di dover temere senza motivo, e questo li
aveva traditi. E se anche avesse voluto dimenticare le
antiche offese, poteva forse rimuovere dalla mente le
recenti? Gli Elvezi, contro il suo volere, non avevano
cercato di aprirsi a forza un varco attraverso la
provincia, non avevano infierito contro gli Edui, gli
Ambarri, gli Allobrogi? Che si gloriassero in modo tanto
insolente e si stupissero di aver evitato così a lungo la
punizione delle offese inflitte, concorreva a uno stesso
scopo: gli dèi immortali, di solito, quando vogliono
castigare qualcuno per le sue colpe, gli concedono, ogni
tanto, maggior fortuna e un certo periodo di impunità,
perché abbia a dolersi ancor di più, quando la sorte
cambia. La situazione stava così, ma lui era disposto a
far pace: gli Elvezi, però, dovevano consegnargli
ostaggi, a garanzia che le promesse le avrebbero
mantenute, e risarcire gli Edui, i loro alleati e gli
Allobrogi per i danni arrecati. Divicone replicò che gli
Elvezi avevano imparato dai loro antenati a ricevere,
non a consegnare ostaggi; di ciò il popolo romano era
testimone. Detto questo, se ne andò.
XV
Postero die castra ex eo loco movent. Idem facit Caesar
equitatumque omnem, ad numerum quattuor milium,
quem ex omni provincia et Haeduis atque eorum sociis
coactum habebat, praemittit, qui videant quas in partes
hostes iter faciant. Qui cupidius novissimum agmen
insecuti alieno loco cum equitatu Helvetiorum proelium
committunt; et pauci de nostris cadunt. Quo proelio
sublati Helvetii, quod quingentis equitibus tantam
multitudinem equitum propulerant, audacius subsistere
non numquam et novissimo agmine proelio nostros
lacessere coeperunt. Caesar suos a proelio continebat, ac
satis habebat in praesentia hostem rapinis,
pabulationibus populationibusque prohibere. Ita dies
circiter XV iter fecerunt uti inter novissimum hostium
agmen et nostrum primum non amplius quinis aut senis
milibus passuum interesset.
Il giorno seguente gli Elvezi tolgono le tende. Lo stesso
fa Cesare e, per vedere dove si dirigevano, manda in
avanscoperta tutta la cavalleria, di circa quattromila
unità, reclutata sia in tutta la provincia, sia tra gli Edui e
i loro alleati. I nostri, inseguita con troppo slancio la
retroguardia degli Elvezi, si scontrano con la cavalleria
nemica in un luogo sfavorevole: pochi dei nostri cadono.
Gli Elvezi, esaltati dal successo, poiché con cinquecento
cavalieri avevano sbaragliato un numero di nemici così
alto, incominciarono a fermarsi, di tanto in tanto, con
maggiore audacia e a provocare con la loro retroguardia
i nostri. Cesare tratteneva i suoi e si accontentava, per il
momento, di impedire al nemico ruberie, foraggiamenti
e saccheggi. Proseguirono per circa quindici giorni la
marcia, in modo che gli ultimi reparti del nemico e i
nostri primi non distassero più di cinque o sei miglia.
XVI
Interim cotidie Caesar Haeduos frumentum, quod essent
publice polliciti, flagitare. Nam propter frigora [quod
Gallia sub septentrionibus, ut ante dictum est, posita
est,] non modo frumenta in agris matura non erant, sed
ne pabuli quidem satis magna copia suppetebat; eo
autem frumento quod flumine Arari navibus subvexerat
propterea uti minus poterat quod iter ab Arari Helvetii
averterant, a quibus discedere nolebat. Diem ex die
ducere Haedui: conferri, comportari, adesse dicere. Ubi
se diutius duci intellexit et diem instare quo die
frumentum militibus metiri oporteret, convocatis eorum
principibus, quorum magnam copiam in castris habebat,
in his Diviciaco et Lisco, qui summo magistratui
praeerat, quem vergobretum appellant Haedui, qui
creatur annuus et vitae necisque in suos habet
potestatem, graviter eos accusat, quod, cum neque emi
neque ex agris sumi possit, tam necessario tempore, tam
propinquis hostibus ab iis non sublevetur, praesertim
cum magna ex parte eorum precibus adductus bellum
susceperit; multo etiam gravius quod sit destitutus
queritur.
Nel frattempo, Cesare ogni giorno chiedeva agli Edui il
grano che gli avevano promesso ufficialmente. Infatti, a
causa del freddo, dato che la Gallia, come già si è detto,
è situata a settentrione, non solo il frumento nei campi
non era ancora maturo, ma non c'era neppure una
quantità sufficiente di foraggio. Del grano, poi, che
aveva fatto portare su nave risalendo la Saona, Cesare
non poteva far uso, perché gli Elvezi si erano allontanati
dal fiume ed egli non voleva perderne il contatto. Gli
Edui rimandavano di giorno in giorno: dicevano che il
grano lo stavano raccogliendo, che era già in viaggio,
che stava per arrivare. Cesare, quando si rese conto che
da troppo tempo si tirava in lungo e che incalzava il
giorno della distribuzione ai soldati, convocò i principi
degli Edui, presenti in buon numero nell'accampamento;
tra di essi c'erano Diviziaco e Lisco. Quest'ultimo era il
"vergobreto" - come lo chiamano gli Edui - ossia il
magistrato che riveste la carica più alta, è eletto
annualmente e ha potere di vita e di morte sui suoi
concittadini. Cesare li accusa duramente: non lo
aiutavano proprio quando il grano non poteva né
comprarlo, né prenderlo dai campi, in un momento così
critico e con il nemico così vicino, tanto più che aveva
intrapreso la guerra spinto soprattutto dalle loro
preghiere. Perciò, si lamenta ancor più pesantemente di
essere stato abbandonato.
XVII
Tum demum Liscus oratione Caesaris adductus quod
antea tacuerat proponit: esse non nullos, quorum
auctoritas apud plebem plurimum valeat, qui privatim
plus possint quam ipsi magistratus. Hos seditiosa atque
improba oratione multitudinem deterrere, ne frumentum
conferant quod debeant: praestare, si iam principatum
Galliae obtinere non possint, Gallorum quam
Romanorum imperia perferre, neque dubitare [debeant]
quin, si Helvetios superaverint Romani, una cum reliqua
Gallia Haeduis libertatem sint erepturi. Ab isdem nostra
consilia quaeque in castris gerantur hostibus enuntiari;
Solo allora Lisco, spinto dal discorso di Cesare, espone
ciò che in precedenza aveva passato sotto silenzio:
c'erano degli individui che godevano di grande prestigio
tra il popolo e che, pur non rivestendo cariche
pubbliche, avevano da privati più potere dei magistrati
stessi. Erano loro a indurre la massa, con discorsi
sediziosi e proditori, a non consegnare il grano dovuto:
sostenevano che, se gli Edui non erano più capaci di
conservare la signoria sul paese, era meglio sopportare il
dominio dei Galli piuttosto che dei Romani; i Romani,
una volta sconfitti gli Elvezi, avrebbero senza dubbio
hos a se coerceri non posse. Quin etiam, quod
necessariam rem coactus Caesari enuntiarit, intellegere
sese quanto id cum periculo fecerit, et ob eam causam
quam diu potuerit tacuisse.
tolto la libertà agli Edui insieme agli altri Galli. E le
stesse persone rivelavano ai nemici i nostri piani e tutto
ciò che accadeva nell'accampamento. Lisco non era in
grado di tenerle a freno, anzi, adesso che era stato
costretto a palesare a Cesare la situazione così critica, si
rendeva conto di quale pericolo stesse correndo. Ecco il
motivo per cui aveva taciuto il più a lungo possibile.
XVIII
Caesar hac oratione Lisci Dumnorigem, Diviciaci
fratrem, designari sentiebat, sed, quod pluribus
praesentibus eas res iactari nolebat, celeriter concilium
dimittit, Liscum retinet. Quaerit ex solo ea quae in
conventu dixerat. Dicit liberius atque audacius. Eadem
secreto ab aliis quaerit; reperit esse vera: ipsum esse
Dumnorigem, summa audacia, magna apud plebem
propter liberalitatem gratia, cupidum rerum novarum.
Complures annos portoria reliquaque omnia Haeduorum
vectigalia parvo pretio redempta habere, propterea quod
illo licente contra liceri audeat nemo. His rebus et suam
rem familiarem auxisse et facultates ad largiendum
magnas comparasse; magnum numerum equitatus suo
sumptu semper alere et circum se habere, neque solum
domi, sed etiam apud finitimas civitates largiter posse,
atque huius potentiae causa matrem in Biturigibus
homini illic nobilissimo ac potentissimo conlocasse;
ipsum ex Helvetiis uxorem habere, sororum ex matre et
propinquas suas nuptum in alias civitates conlocasse.
Favere et cupere Helvetiis propter eam adfinitatem,
odisse etiam suo nomine Caesarem et Romanos, quod
eorum adventu potentia eius deminuta et Diviciacus
frater in antiquum locum gratiae atque honoris sit
restitutus. Si quid accidat Romanis, summam in spem
per Helvetios regni obtinendi venire; imperio populi
Romani non modo de regno, sed etiam de ea quam
habeat gratia desperare. Reperiebat etiam in quaerendo
Caesar, quod proelium equestre adversum paucis ante
diebus esset factum, initium eius fugae factum a
Dumnorige atque eius equitibus (nam equitatui, quem
auxilio Caesari Haedui miserant, Dumnorix praeerat):
eorum fuga reliquum esse equitatum perterritum.
Cesare intuiva che il discorso alludeva a Dumnorige,
fratello di Diviziaco, ma non voleva trattare l'argomento
di fronte a troppa gente; così, si affretta a sciogliere
l'assemblea, ma trattiene Lisco. A tu per tu gli chiede
delucidazioni su ciò che aveva detto durante la riunione.
Lisco parla con maggior libertà e minor timore. Cesare,
poi, prende segretamente informazioni anche da altre
fonti e scopre che era vero: si trattava proprio di
Dumnorige, un individuo di estrema audacia, di gran
credito presso il popolo per la sua liberalità e avido di
rivolgimenti. Per parecchi anni aveva ottenuto a basso
prezzo l'appalto delle dogane e di tutte le altre imposte,
perché nessuno osava fare concorrenza alle sue offerte.
In questo modo aveva aumentato il patrimonio familiare
e si era procurato ingenti mezzi per fare delle
elargizioni. A sue spese finanziava costantemente un
gran numero di cavalieri, che aveva sempre intorno a sé;
inoltre, non solo in patria, ma anche tra le genti
confinanti godeva di molta autorità e, per aumentarla,
aveva dato in sposa sua madre a un uomo molto nobile e
potente della tribù dei Biturigi, aveva preso in moglie
una donna degli Elvezi, aveva fatto maritare una sua
sorella dal lato materno e altre sue parenti con uomini
che appartenevano ad altri popoli. Favoriva gli Elvezi ed
era ben disposto nei loro confronti per ragioni di
parentela; nutriva anche un odio personale nei confronti
di Cesare e dei Romani, perché con il loro arrivo il suo
potere era diminuito e suo fratello Diviziaco aveva
riacquistato la precedente posizione di influenza e di
onore. Nel caso di una sconfitta dei Romani aveva forti
speranze di ottenere il regno con l'appoggio degli
Elvezi; sotto il dominio del popolo romano non poteva
nutrire speranze non solo di regnare, ma neppure di
mantenere l'influenza che aveva. Cesare, continuando
nella sua indagine, veniva anche a sapere che nel
malaugurato scontro di cavalleria di recente avvenuto, il
primo a fuggire era stato Dumnorige con i suoi (infatti,
era lui il comandante della cavalleria che gli Edui
avevano mandato di rinforzo a Cesare): la loro fuga
aveva seminato il panico tra gli altri cavalieri.
XIX
Quibus rebus cognitis, cum ad has suspiciones
certissimae res accederent, quod per fines Sequanorum
Helvetios traduxisset, quod obsides inter eos dandos
curasset, quod ea omnia non modo iniussu suo et
civitatis sed etiam inscientibus ipsis fecisset, quod a
magistratu Haeduorum accusaretur, satis esse causae
arbitrabatur quare in eum aut ipse animadverteret aut
civitatem animadvertere iuberet. His omnibus rebus
Cesare, una volta appurato tutto ciò, poiché ai sospetti si
aggiungevano dati di assoluta certezza (Dumnorige
aveva fatto passare gli Elvezi attraverso i territori dei
Sequani; aveva promosso lo scambio degli ostaggi;
aveva agito sempre senza ricevere ordini da Cesare o dal
suo popolo, anzi a loro insaputa; era, infine, accusato dal
magistrato degli Edui), riteneva che vi fossero motivi
sufficienti per procedere personalmente contro
unum repugnabat, quod Diviciaci fratris summum in
populum Romanum studium, summum in se voluntatem,
egregiam fidem, iustitiam, temperantiam cognoverat;
nam ne eius supplicio Diviciaci animum offenderet
verebatur. Itaque prius quam quicquam conaretur,
Diviciacum ad se vocari iubet et, cotidianis interpretibus
remotis, per C. Valerium Troucillum, principem Galliae
provinciae, familiarem suum, cui summam omnium
rerum fidem habebat, cum eo conloquitur; simul
commonefacit quae ipso praesente in concilio
[Gallorum] de Dumnorige sint dicta, et ostendit quae
separatim quisque de eo apud se dixerit. Petit atque
hortatur ut sine eius offensione animi vel ipse de eo
causa cognita statuat vel civitatem statuere iubeat.
Dumnorige o per invitare il suo popolo a punirlo. A tutte
le precedenti considerazioni, una sola si opponeva:
Cesare aveva conosciuto l'eccezionale devozione verso
il popolo romano, la disposizione davvero buona nei
propri confronti, la straordinaria fedeltà, giustizia e
misura di Diviziaco, fratello di Dumnorige.
Intervenendo contro quest'ultimo, quindi, temeva di
offendere i sentimenti di Diviziaco. Perciò, prima di
muoversi contro Dumnorige, convocò Diviziaco:
allontanati i soliti interpreti, utilizzò, per il colloquio, C.
Valerio Trocillo, principe della provincia della Gallia,
suo parente, nel quale riponeva la massima fiducia.
Cesare inizia subito col ricordare a Diviziaco tutto ciò
che in sua presenza era stato detto su Dumnorige durante
l'assemblea dei Galli e lo mette al corrente delle
informazioni che ciascuno, singolarmente, gli aveva dato
sul conto del fratello. Gli chiede, anzi lo prega di non
offendersi, se lui stesso, aperta un'inchiesta contro
Dumnorige, emetterà un giudizio o inviterà gli Edui a
emetterlo.
XX
Diviciacus multis cum lacrimis Caesarem complexus
obsecrare coepit ne quid gravius in fratrem statueret:
scire se illa esse vera, nec quemquam ex eo plus quam se
doloris capere, propterea quod, cum ipse gratia
plurimum domi atque in reliqua Gallia, ille minimum
propter adulescentiam posset, per se crevisset; quibus
opibus ac nervis non solum ad minuendam gratiam, sed
paene ad perniciem suam uteretur. Sese tamen et amore
fraterno et existimatione vulgi commoveri. Quod si quid
ei a Caesare gravius accidisset, cum ipse eum locum
amicitiae apud eum teneret, neminem existimaturum non
sua voluntate factum; qua ex re futurum uti totius
Galliae animi a se averterentur. Haec cum pluribus
verbis flens a Caesare peteret, Caesar eius dextram
prendit; consolatus rogat finem orandi faciat; tanti eius
apud se gratiam esse ostendit uti et rei publicae iniuriam
et suum dolorem eius voluntati ac precibus condonet.
Dumnorigem ad se vocat, fratrem adhibet; quae in eo
reprehendat ostendit; quae ipse intellegat, quae civitas
queratur proponit; monet ut in reliquum tempus omnes
suspiciones vitet; praeterita se Diviciaco fratri
condonare dicit. Dumnorigi custodes ponit, ut quae agat,
quibuscum loquatur scire possit.
Diviziaco abbracciò Cesare e scoppiò in lacrime:
incominciò a implorarlo di non prendere provvedimenti
troppo gravi nei confronti del fratello. Diceva di sapere
che era vero, ma ne era addolorato più di chiunque altro,
perché a rendere potente Dumnorige era stato proprio
lui, Diviziaco, quando era molto influente in patria e nel
resto della Gallia, mentre suo fratello non lo era affatto a
causa della sua giovane età. Dumnorige, però, si era
servito delle risorse e delle forze acquisite, finendo non
solo per diminuire il favore di cui godeva suo fratello,
ma quasi per rovinare se stesso. Tuttavia, Diviziaco
diceva di essere mosso sia dall'affetto fraterno, sia
dall'opinione della sua gente. Se Cesare condannava
Dumnorige a una pena grave, nessuno avrebbe creduto
all'estraneità di Diviziaco, che aveva una posizione di
privilegio, come amico di Cesare, ragion per cui egli
avrebbe perso l'appoggio di tutti i Galli. Piangendo,
continuava a rivolgergli parole di supplica. Cesare,
prendendogli la destra, lo consola, gli chiede di non
aggiungere altro e gli dichiara che la sua influenza
contava per lui tanto, che avrebbe sacrificato al suo
desiderio e alle sue preghiere sia l'offesa arrecata alla
repubblica, sia il proprio risentimento. Alla presenza del
fratello convoca Dumnorige, gli espone gli addebiti da
muovergli, le cose che aveva capito e quelle di cui il suo
popolo si lamentava. Lo ammonisce a evitare in futuro
tutti i sospetti e gli dice che gli perdonava il passato in
virtù di suo fratello Diviziaco. Lo mette, però, sotto
sorveglianza per poter sapere che cosa facesse e con chi
parlasse.
XXI
Eodem die ab exploratoribus certior factus hostes sub
monte consedisse milia passuum ab ipsius castris octo,
qualis esset natura montis et qualis in circuitu ascensus
qui cognoscerent misit. Renuntiatum est facilem esse.
De tertia vigilia T. Labienum, legatum pro praetore, cum
Nello stesso giorno Cesare venne informato dagli
esploratori che i nemici si erano fermati alle pendici di
un monte a otto miglia dal suo accampamento. Mandò
allora ad accertare quale fosse la conformazione del
monte e se c'era una via d'accesso. Gli riferirono che vi
duabus legionibus et iis ducibus qui iter cognoverant
summum iugum montis ascendere iubet; quid sui consilii
sit ostendit. Ipse de quarta vigilia eodem itinere quo
hostes ierant ad eos contendit equitatumque omnem ante
se mittit. P. Considius, qui rei militaris peritissimus
habebatur et in exercitu L. Sullae et postea in M. Crassi
fuerat, cum exploratoribus praemittitur.
si poteva salire con facilità. Ordina a T. Labieno, legato
propretore, di salire dopo mezzanotte sulla sommità del
monte con due legioni, avvalendosi delle guide che
avevano effettuato il sopralluogo, e gli chiarisce il suo
piano. Lui stesso, dopo le tre di notte, per la stessa via
percorsa dal nemico, muove contro gli Elvezi,
mandando avanti tutta la cavalleria. In avanscoperta, con
gli esploratori, viene spedito P. Considio, che aveva
fama di soldato espertissimo per avere servito prima
nell'esercito di L. Silla e, poi, in quello di M. Crasso.
XXII
Prima luce, cum summus mons a [Lucio] Labieno
teneretur, ipse ab hostium castris non longius mille et
quingentis passibus abesset neque, ut postea ex captivis
comperit, aut ipsius adventus aut Labieni cognitus esset,
Considius equo admisso ad eum accurrit, dicit montem,
quem a Labieno occupari voluerit, ab hostibus teneri: id
se a Gallicis armis atque insignibus cognovisse. Caesar
suas copias in proximum collem subducit, aciem instruit.
Labienus, ut erat ei praeceptum a Caesare ne proelium
committeret, nisi ipsius copiae prope hostium castra
visae essent, ut undique uno tempore in hostes impetus
fieret, monte occupato nostros expectabat proelioque
abstinebat. Multo denique die per exploratores Caesar
cognovit et montem a suis teneri et Helvetios castra,
movisse et Considium timore perterritum quod non
vidisset pro viso sibi renuntiavisse. Eo die quo consuerat
intervallo hostes sequitur et milia passuum tria ab eorum
castris castra ponit.
All'alba, mentre Labieno teneva la sommità del monte e
Cesare non distava più di illecinquecento passi
dall'accampamento dei nemici, ignari, come si seppe in
seguito dai prigionieri, sia del suo arrivo, sia della
presenza di Labieno, Considio a briglia sciolta si
precipita da Cesare e gli comunica che il monte, di cui
Labieno doveva impadronirsi, era nelle mani dei nemici:
lo aveva capito dalle armi e dalle insegne galliche.
Cesare comanda alle sue truppe di ritirarsi sul colle più
vicino e le schiera a battaglia. Labieno aveva ricevuto
ordine di non attaccare finché non avesse visto nei pressi
dell'accampamento nemico le truppe di Cesare: lo scopo
era di sferrare l'assalto contemporaneamente da tutti i
lati. Labieno, perciò, teneva la sommità del monte e
aspettava i nostri, senza attaccare. Solo a giorno già
inoltrato Cesare seppe dagli esploratori che il monte era
in mano ai suoi, che gli Elvezi avevano spostato
l'accampamento e che Considio, in preda al panico,
aveva riferito di avere visto ciò che, in realtà, non aveva
visto. Quel giorno Cesare segue i nemici alla solita
distanza e si ferma a tre miglia dalle loro posizioni.
XXIII
Postridie eius diei, quod omnino biduum supererat, cum
exercitui frumentum metiri oporteret, et quod a Bibracte,
oppido Haeduorum longe maximo et copiosissimo, non
amplius milibus passuum XVIII aberat, rei frumentariae
prospiciendum existimavit; itaque iter ab Helvetiis
avertit ac Bibracte ire contendit. Ea res per fugitivos L.
Aemilii, decurionis equitum Gallorum, hostibus
nuntiatur. Helvetii, seu quod timore perterritos Romanos
discedere a se existimarent, eo magis quod pridie
superioribus locis occupatis proelium non commisissent,
sive eo quod re frumentaria intercludi posse confiderent,
commutato consilio atque itinere converso nostros a
novissimo agmine insequi ac lacessere coeperunt.
L'indomani, considerando che mancavano solo due
giorni alla distribuzione di grano e che Bibracte, la città
degli Edui più grande e più ricca in assoluto, non distava
più di diciotto miglia, Cesare pensò di dover provvedere
ai rifornimenti. Smette di seguire gli Elvezi e si affretta
verso Bibracte. Alcuni schiavi, fuggiti dalla cavalleria
gallica del decurione L. Emilio, riferiscono al nemico la
faccenda. Gli Elvezi, o perché pensavano che i Romani
si allontanassero per paura, tanto più che il giorno
precedente non avevano attaccato pur occupando le
alture, o perché contavano di poter impedire ai nostri
l'approvvigionamento di grano, modificarono i loro
piani, invertirono il senso di marcia e incominciarono a
inseguire e a provocare la nostra retroguardia.
XXIV
Postquam id animum advertit, copias suas Caesar in
proximum collem subduxit equitatumque, qui sustineret
hostium petum, misit. Ipse interim in colle medio
triplicem aciem instruxit legionum quattuor
veteranarum; in summo iugo duas legiones quas in
Gallia citeriore proxime conscripserat et omnia auxilia
conlocavit, ita ut supra se totum montem hominibus
Cesare, quando se ne accorse, ritirò le sue truppe sul
colle più vicino e mandò la cavalleria a fronteggiare
l'attacco nemico. Nel frattempo, a metà del colle
dispose, su tre linee, le quattro legioni di veterani,
mentre in cima piazzò le due legioni da lui appena
arruolate nella Gallia cisalpina e tutti gli ausiliari,
riempiendo di uomini tutto il monte. Ordinò, frattanto,
compleret; impedimenta sarcinasque in unum locum
conferri et eum ab iis qui in superiore acie constiterant
muniri iussit. Helvetii cum omnibus suis carris secuti
impedimenta in unum locum contulerunt; ipsi
confertissima acie, reiecto nostro equitatu, phalange
facta sub primam nostram aciem successerunt.
che le salmerie venissero ammassate in un sol luogo e
che lo difendessero le truppe schierate più in alto. Gli
Elvezi, che venivano dietro con tutti i loro carri,
raccolsero in un unico posto i bagagli, si schierarono in
formazione serratissima, respinsero la nostra cavalleria,
formarono la falange e avanzarono contro la nostra
prima linea.
XXV
Caesar primum suo, deinde omnium ex conspectu
remotis equis, ut aequato omnium periculo spem fugae
tolleret, cohortatus suos proelium commisit. Milites loco
superiore pilis missis facile hostium phalangem
perfregerunt. Ea disiecta gladiis destrictis in eos
impetum fecerunt. Gallis magno ad pugnam erat
impedimento quod pluribus eorum scutis uno ictu
pilorum transfixis et conligatis, cum ferrum se
inflexisset, neque evellere neque sinistra impedita satis
commode pugnare poterant, multi ut diu iactato bracchio
praeoptarent scutum manu emittere et nudo corpore
pugnare. Tandem vulneribus defessi et pedem referre et,
quod mons suberit circiter mille passuum spatio, eo se
recipere coeperunt. Capto monte et succedentibus
nostris, Boi et Tulingi, qui hominum milibus circiter XV
agmen hostium claudebant et novissimis praesidio erant,
ex itinere nostros ab latere aperto adgressi circumvenire,
et id conspicati Helvetii, qui in montem sese receperant,
rursus instare et proelium redintegrare coeperunt.
Romani conversa signa bipertito intulerunt: prima et
secunda acies, ut victis ac submotis resisteret, tertia, ut
venientes sustineret.
Cesare ordinò di allontanare e nascondere prima il suo
cavallo, poi quelli degli altri: voleva rendere il pericolo
uguale per tutti e togliere a ognuno la speranza della
fuga. Spronati i soldati, attaccò. I nostri riuscirono con
facilità a spezzare la falange nemica lanciando dall'alto i
giavellotti; una volta disunita la falange, sguainarono le
spade e si gettarono all'assalto. I Galli combattevano con
grande difficoltà: molti dei loro scudi erano stati trafitti
e inchiodati da un solo lancio di giavellotti; i giavellotti
si erano piegati, per cui essi non riuscivano né a
svellerli, né a lottare nel modo migliore con la mano
sinistra impedita. Molti, dopo avere a lungo agitato il
braccio, preferirono gettare a terra gli scudi e combattere
a corpo scoperto. Alla fine, spossati per le ferite,
incominciarono a ritirarsi e a cercar riparo su un monte,
che si trovava a circa un miglio di distanza; lì si
attestarono. Mentre i nostri si spingevano sotto, i Boi e i
Tulingi, che con circa quindicimila uomini chiudevano
lo schieramento nemico e proteggevano la retroguardia,
aggirarono i nostri e li assalirono dal fianco scoperto.
Vedendo ciò, gli Elvezi che si erano rifugiati sul monte
incominciarono a premere di nuovo e a riaccendere lo
scontro. I Romani operarono una conversione e
attaccarono su due fronti: la prima e la seconda linea per
tener testa agli Elvezi già vinti e respinti, la terza per
reggere all'urto dei nuovi arrivati.
XXVI
Ita ancipiti proelio diu atque acriter pugnatum est.
Diutius cum sustinere nostrorum impetus non possent,
alteri se, ut coeperant, in montem receperunt, alteri ad
impedimenta et carros suos se contulerunt. Nam hoc toto
proelio, cum ab hora septima ad vesperum pugnatum sit,
aversum hostem videre nemo potuit. Ad multam noctem
etiam ad impedimenta pugnatum est, propterea quod pro
vallo carros obiecerunt et e loco superiore in nostros
venientes tela coiciebant et non nulli inter carros
rotasque mataras ac tragulas subiciebant nostrosque
vulnerabant. Diu cum esset pugnatum, impedimentis
castrisque nostri potiti sunt. Ibi Orgetorigis filia atque
unus e filiis captus est. Ex eo proelio circiter hominum
milia CXXX superfuerunt eaque tota nocte continenter
ierunt [nullam partem noctis itinere intermisso]; in fines
Lingonum die quarto pervenerunt, cum et propter
vulnera militum et propter sepulturam occisorum nostri
[triduum morati] eos sequi non potuissent. Caesar ad
Lingonas litteras nuntiosque misit, ne eos frumento neve
alia re iuvarent: qui si iuvissent, se eodem loco quo
Helvetios habiturum. Ipse triduo intermisso cum
omnibus copiis eos sequi coepit.
Così, si combatté su due fronti a lungo e con
accanimento. Alla fine, quando non poterono più
sostenere l'attacco dei nostri, parte degli Elvezi, come
aveva già fatto prima, si mise al sicuro sul monte, parte
si ritirò là dove avevano ammassato i bagagli e i carri. A
dire il vero, per tutto il tempo della battaglia, durata
dall'una del pomeriggio fino al tramonto, nessuno poté
vedere un solo nemico in fuga. Nei pressi delle salmerie
si lottò addirittura fino a notte inoltrata, perché gli
Elvezi avevano disposto i carri come una trincea e
dall'alto scagliavano frecce sui nostri che attaccavano.
Alcuni, appostati tra i carri e le ruote, lanciavano matare
e tragule, colpendo i nostri. Dopo una lunga lotta, i
soldati romani si impadronirono dell'accampamento e
delle salmerie. Qui vennero catturati la figlia di
Orgetorige e uno dei figli. Sopravvissero allo scontro
centotrentamila Elvezi e per tutta la notte marciarono
ininterrottamente. Senza fermarsi mai neppure nelle notti
seguenti, dopo tre giorni giunsero nei territori dei
Lingoni. I nostri, invece, sia per curare le ferite riportate
dai soldati, sia per dare sepoltura ai morti, si attardarono
per tre giorni e non poterono incalzarli. Cesare inviò ai
Lingoni una lettera e dei messaggeri per proibir loro di
fornire grano o altro agli Elvezi: in caso contrario, li
avrebbe trattati alla stessa stregua. Al quarto giorno
riprese a inseguire gli Elvezi con tutte le truppe.
XXVII
Helvetii omnium rerum inopia adducti legatos de
deditione ad eum miserunt. Qui cum eum in itinere
convenissent seque ad pedes proiecissent suppliciterque
locuti flentes pacem petissent, atque eos in eo loco quo
tum essent suum adventum expectare iussisset,
paruerunt. Eo postquam Caesar pervenit, obsides, arma,
servos qui ad eos perfugissent, poposcit. Dum ea
conquiruntur et conferuntur, [nocte intermissa] circiter
hominum milia VI eius pagi qui Verbigenus appellatur,
sive timore perterriti, ne armis traditis supplicio
adficerentur, sive spe salutis inducti, quod in tanta
multitudine dediticiorum suam fugam aut occultari aut
omnino ignorari posse existimarent, prima nocte e
castris Helvetiorum egressi ad Rhenum finesque
Germanorum contenderunt.
Agli Elvezi mancava tutto il necessario per proseguire la
guerra, perciò inviarono degli ambasciatori a offrire la
resa. Cesare era ancora in marcia quando gli si fecero
incontro; si gettarono ai suoi piedi e gli chiesero pace,
piangendo e supplicando. Cesare ordinò agli Elvezi di
aspettarlo dove adesso si trovavano, ed essi obbedirono.
Appena giunto, chiese la consegna degli ostaggi, delle
armi e degli schiavi fuggiti. Mentre gli Elvezi stavano
ancora provvedendo alla ricerca e alla raccolta, scese la
notte, nelle prime ore della quale circa seimila uomini
della tribù dei Verbigeni lasciarono l'accampamento
degli Elvezi e si diressero verso il Reno e i territori dei
Germani: forse temevano di essere uccisi, una volta
consegnate le armi, oppure speravano di salvarsi,
pensando che in mezzo a tanta gente che si era arresa la
loro fuga potesse rimanere nascosta o passare del tutto
inosservata.
XXVIII
Quod ubi Caesar resciit, quorum per fines ierant his uti
conquirerent et reducerent, si sibi purgati esse vellent,
imperavit; reductos in hostium numero habuit; reliquos
omnes obsidibus, armis, perfugis traditis in deditionem
accepit. Helvetios, Tulingos, Latobrigos in fines suos,
unde erant profecti, reverti iussit, et, quod omnibus
frugibus amissis domi nihil erat quo famem tolerarent,
Allobrogibus imperavit ut iis frumenti copiam facerent;
ipsos oppida vicosque, quos incenderant, restituere
iussit. Id ea maxime ratione fecit, quod noluit eum
locum unde Helvetii discesserant vacare, ne propter
bonitatem agrorum Germani, qui trans Rhenum incolunt,
ex suis finibus in Helvetiorum fines transirent et finitimi
Galliae provinciae Allobrogibusque essent. Boios
petentibus Haeduis, quod egregia virtute erant cogniti, ut
in finibus suis conlocarent, concessit; quibus illi agros
dederunt quosque postea in parem iuris libertatisque
condicionem atque ipsi erant receperunt.
Cesare, appena lo seppe, ordinò ai popoli, attraverso i
cui territori erano passati i Verbigeni, di cercarli e di
riportarglieli, se volevano essere giustificati ai suoi
occhi. Trattò come nemici i Verbigeni catturati, mentre
accettò la resa degli Elvezi che gli consegnarono
ostaggi, armi e fuggiaschi. Comandò agli Elvezi, ai
Tulingi e ai Latobici di ritornare nei territori dai quali
erano partiti e, poiché in patria erano andati perduti tutti
i raccolti e non avevano più nulla con cui sfamarsi, diede
disposizione agli Allobrogi di rifornirli di grano. Ordinò
agli Elvezi di ricostruire le città e i villaggi incendiati.
La sua intenzione era, soprattutto, di non lasciare
spopolate le zone dalle quali gli Elvezi si erano mossi:
non voleva che i Germani d'oltre Reno passassero nei
territori degli Elvezi, più fertili, venendo a confinare con
la provincia della Gallia e con gli Allobrogi. I Boi, che
avevano dato prova di grande valore, ottennero il
permesso di stabilirsi nei territori degli Edui, che lo
avevano richiesto. Ai Boi gli Edui diedero campi da
coltivare e, in seguito. concessero parità di diritti e la
stessa condizione di libertà di cui essi stessi godevano.
XXIX
In castris Helvetiorum tabulae repertae sunt litteris
Graecis confectae et ad Caesarem relatae, quibus in
tabulis nominatim ratio confecta erat, qui numerus domo
exisset eorum qui arma ferre possent, et item separatim,
quot pueri, senes mulieresque. [Quarum omnium rerum]
summa erat capitum Helvetiorum milium CCLXIII,
Tulingorum milium XXXVI, Latobrigorum XIIII,
Rauracorum XXIII, Boiorum XXXII; ex his qui arma
ferre possent ad milia nonaginta duo. Summa omnium
fuerunt ad milia CCCLXVIII. Eorum qui domum
Nell'accampamento degli Elvezi vennero trovate e
consegnate a Cesare delle tavolette scritte in caratteri
greci. Si trattava di un elenco nominativo degli uomini
in grado di combattere che avevano lasciato i loro
territori; c'era anche, a parte, una lista riguardante i
bambini, i vecchi e le donne. La somma dei due elenchi
contava duecentosessantatremila Elvezi, trentaseimila
Tulingi, quattordicimila Latobici, ventitremila Rauraci,
trentaduemila Boi. Circa novantaduemila erano, tra di
essi, gli uomini in grado di portare armi. Il totale
redierunt censu habito, ut Caesar imperaverat, repertus
est numerus milium C et X.
ammontava a trecentosessantottomila. Si tenne, per
ordine di Cesare, un censimento generale degli Elvezi
che rientravano in patria: risultarono centodiecimila.
XXX
Bello Helvetiorum confecto totius fere Galliae legati,
principes civitatum, ad Caesarem gratulatum
convenerunt: intellegere sese, tametsi pro veteribus
Helvetiorum iniuriis populi Romani ab his poenas bello
repetisset, tamen eam rem non minus ex usu [terrae]
Galliae quam populi Romani accidisse, propterea quod
eo consilio florentissimis rebus domos suas Helvetii
reliquissent uti toti Galliae bellum inferrent imperioque
potirentur, locumque domicilio ex magna copia
deligerent quem ex omni Gallia oportunissimum ac
fructuosissimum iudicassent, reliquasque civitates
stipendiarias haberent. Petierunt uti sibi concilium totius
Galliae in diem certam indicere idque Caesaris facere
voluntate liceret: sese habere quasdam res quas ex
communi consensu ab eo petere vellent. Ea re permissa
diem concilio constituerunt et iure iurando ne quis
enuntiaret, nisi quibus communi consilio mandatum
esset, inter se sanxerunt.
Terminata la guerra con gli Elvezi, da quasi tutta la
Gallia vennero a congratularsi con Cesare, in veste di
ambasciatori, i più autorevoli cittadini dei vari popoli. Si
rendevano conto che Cesare, con questa guerra, aveva
punito gli Elvezi per le vecchie offese da essi inflitte al
popolo romano, ma ne aveva tratto vantaggio la Gallia
non meno di Roma: gli Elvezi, pur godendo di
grandissima prosperità, avevano abbandonato la loro
terra per portare guerra a tutta la Gallia, conquistarla e
scegliersi per insediamento, tra tutte le regioni del paese,
la zona che avessero giudicato più vantaggiosa e fertile,
assoggettando gli altri popoli con un tributo. Chiesero a
Cesare il permesso di fissare una data per una riunione
generale dei Galli: volevano presentargli delle richieste,
sulle quali c'era completo accordo. Cesare acconsentì e
tutti giurarono solennemente di non rivelare gli
argomenti trattati, se non su incarico dell'assemblea
stessa.
XXXI
Eo concilio dimisso, idem princeps civitatum qui ante
fuerant ad Caesarem reverterunt petieruntque uti sibi
secreto in occulto de sua omniumque salute cum eo
agere liceret. Ea re impetrata sese omnes flentes Caesari
ad pedes proiecerunt: non minus se id contendere et
laborare ne ea quae dixissent enuntiarentur quam uti ea
quae vellent impetrarent, propterea quod, si enuntiatum
esset, summum in cruciatum se venturos viderent.
Locutus est pro his Diviciacus Haeduus: Galliae totius
factiones esse duas; harum alterius principatum tenere
Haeduos, alterius Arvernos. Hi cum tantopere de
potentatu inter se multos annos contenderent, factum
esse uti ab Arvernis Sequanisque Germani mercede
arcesserentur. Horum primo circiter milia XV Rhenum
transisse; postea quam agros et cultum et copias
Gallorum homines feri ac barbari adamassent, traductos
plures; nunc esse in Gallia ad C et XX milium numerum.
Cum his Haeduos eorumque clientes semel atque iterum
armis contendisse; magnam calamitatem pulsos
accepisse, omnem nobilitatem, omnem senatum, omnem
equitatum amisisse. Quibus proeliis calamitatibusque
fractos, qui et sua virtute et populi Romani hospitio
atque amicitia plurimum ante in Gallia potuissent,
coactos esse Sequanis obsides dare nobilissimos civitatis
et iure iurando civitatem obstringere sese neque obsides
repetituros neque auxilium a populo Romano
imploraturos neque recusaturos quo minus perpetuo sub
illorum dicione atque imperio essent. Unum se esse ex
omni civitate Haeduorum qui adduci non potuerit ut
iuraret aut liberos suos obsides daret. Ob eam rem se ex
civitate profugisse et Romam ad senatum venisse
auxilium postulatum, quod solus neque iure iurando
neque obsidibus teneretur. Sed peius victoribus Sequanis
quam Haeduis victis accidisse, propterea quod
Dopo che l'assemblea fu sciolta, si ripresentarono a
Cesare i principi delle varie popolazioni, gli stessi che
già erano venuti da lui. Gli chiesero di poter trattare con
lui, segretamente, di questioni che riguardavano non
solo loro, ma la salvezza comune. Ottenuto il permesso,
si gettarono tutti ai suoi piedi, supplicandolo:
desideravano e si preoccupavano di non fare trapelare
nulla del loro colloquio tanto quanto di vedere esaudite
le proprie richieste, perché erano certi che avrebbero
subito i peggiori tormenti, se la cosa si fosse risaputa.
Parlò a nome di tutti l'eduo Diviziaco: tutta la Gallia era
divisa in due fazioni con a capo, rispettivamente, gli
Edui e gli Arverni. I due popoli si erano contesi
tenacemente la supremazia per molti anni, fino a che gli
Arverni e i Sequani non erano ricorsi all'aiuto dei
Germani, assoldandoli. In un primo tempo, avevano
passato il Reno circa quindicimila Germani; quando,
però, questa gente rozza e barbara aveva incominciato
ad apprezzare i campi, la civiltà e le ricchezze dei Galli,
il loro numero era aumentato: adesso, in Gallia,
ammontavano a circa centoventimila. Gli Edui e i popoli
loro soggetti li avevano affrontati più di una volta, ma
avevano subito una grave disfatta, perdendo tutti i
nobili, tutti i senatori, tutti i cavalieri. In passato, gli
Edui detenevano il potere assoluto in Gallia sia per il
loro valore, sia per l'ospitalità e l'amicizia che li legava
al popolo romano; adesso, invece, prostrati dalle
battaglie e dalle calamità, erano stati costretti dai
Sequani a consegnare in ostaggio i cittadini più insigni e
a vincolare il popolo con il giuramento di non chiedere
la restituzione degli ostaggi, di non implorare l'aiuto del
popolo romano e di non ribellarsi mai alla loro autorità.
Ma lui, Diviziaco, non erano riusciti a costringerlo: tra
tutti gli Edui, era l'unico a non aver giurato, né
Ariovistus, rex Germanorum, in eorum finibus
consedisset tertiamque partem agri Sequani, qui esset
optimus totius Galliae, occupavisset et nunc de altera
parte tertia Sequanos decedere iuberet, propterea quod
paucis mensibus ante Harudum milia hominum XXIIII
ad eum venissent, quibus locus ac sedes pararentur.
Futurum esse paucis annis uti omnes ex Galliae finibus
pellerentur atque omnes Germani Rhenum transirent;
neque enim conferendum esse Gallicum cum
Germanorum agro neque hanc consuetudinem victus
cum illa comparandam. Ariovistum autem, ut semel
Gallorum copias proelio vicerit, quod proelium factum
sit ad Magetobrigam, superbe et crudeliter imperare,
obsides nobilissimi cuiusque liberos poscere et in eos
omnia exempla cruciatusque edere, si qua res non ad
nutum aut ad voluntatem eius facta sit. Hominem esse
barbarum, iracundum, temerarium: non posse eius
imperia, diutius sustineri. Nisi quid in Caesare
populoque Romano sit auxilii, omnibus Gallis idem esse
faciendum quod Helvetii fecerint, ut domo emigrent,
aliud domicilium, alias sedes, remotas a Germanis,
petant fortunamque, quaecumque accidat, experiantur.
Haec si enuntiata Ariovisto sint, non dubitare quin de
omnibus obsidibus qui apud eum sint gravissimum
supplicium sumat. Caesarem vel auctoritate sua atque
exercitus vel recenti victoria vel nomine populi Romani
deterrere posse ne maior multitudo Germanorum
Rhenum traducatur, Galliamque omnem ab Ariovisti
iniuria posse defendere.
consegnato i propri figli in ostaggio. Era fuggito dalla
sua terra ed era venuto a Roma dal senato per chiedere
aiuto, proprio perché solo lui non era vincolato da
giuramenti o da ostaggi. Ma ai Sequani vincitori era
toccata sorte peggiore che agli Edui vinti: Ariovisto, re
dei Germani, si era stabilito nei territori dei Sequani e
aveva occupato un terzo delle loro campagne, le più
fertili dell'intera Gallia; adesso ordinava ai Sequani di
evacuarne un altro terzo, perché pochi mesi prima lo
avevano raggiunto circa ventimila Arudi e a essi voleva
trovare una regione in cui potessero stanziarsi. In pochi
anni tutti i Galli sarebbero stati scacciati dai loro territori
e tutti i Germani avrebbero oltrepassato il Reno. Non
c'era paragone, infatti, tra le campagne dei Galli e dei
Germani, né tra il loro tenore di vita. Ariovisto, poi, da
quando aveva vinto l'esercito dei Galli ad
Admagetobriga, regnava con superbia e crudeltà,
chiedeva in ostaggio i figli di tutti i più nobili e riservava
loro ogni specie di punizione e di tortura, se non
eseguivano gli ordini secondo il suo cenno e volere. Era
un uomo barbaro, iracondo e temerario. Non era
possibile sopportare più a lungo le sue prepotenze. Se
non avessero trovato aiuto in Cesare e nel popolo
romano, a tutti i Galli non restava che seguire la
decisione degli Elvezi: emigrare dalla patria, cercarsi
altra dimora, altre sedi lontane dai Germani e tentare la
sorte, qualunque cosa accadesse. Ma se Ariovisto avesse
avuto notizia di tutto questo, senza dubbio avrebbe
inflitto terribili supplizi agli ostaggi in sua mano. Cesare,
avvalendosi del prestigio suo e dell'esercito oppure
sfruttando la recente vittoria o il nome del popolo
romano, poteva impedire che aumentasse il numero dei
Germani in Gallia e difendere tutto il paese dai torti di
Ariovisto.
XXXII
Hac oratione ab Diviciaco habita omnes qui aderant
magno fletu auxilium a Caesare petere coeperunt.
Animadvertit Caesar unos ex omnibus Sequanos nihil
earum rerum facere quas ceteri facerent sed tristes capite
demisso terram intueri. Eius rei quae causa esset miratus
ex ipsis quaesiit. Nihil Sequani respondere, sed in eadem
tristitia taciti permanere. Cum ab his saepius quaereret
neque ullam omnino vocem exprimere posset, idem
Diviacus Haeduus respondit: hoc esse miseriorem et
graviorem fortunam Sequanorum quam reliquorum,
quod soli ne in occulto quidem queri neque auxilium
implorare auderent absentisque Ariovisti crudelitatem,
velut si cora adesset, horrerent, propterea quod reliquis
tamen fugae facultas daretur, Sequanis vero, qui intra
fines suos Ariovistum recepissent, quorum oppida omnia
in potestate eius essent, omnes cruciatus essent
perferendi.
Quando Diviziaco ebbe finito il suo discorso, tutti i
presenti, tra grandi pianti, iniziarono a chiedere aiuto a
Cesare, il quale notò che solo i Sequani non si
comportavano per nulla come gli altri, ma, senza alzare
lo sguardo da terra, tenevano la testa bassa, tristi.
Stupito, ne chiese loro il motivo. I Sequani non
risposero, continuando a rimanere in silenzio, nello
stesso atteggiamento di tristezza. Più volte Cesare ripeté
la sua domanda, senza ottenere la benché minima
risposta. Intervenne ancora Diviziaco: la sorte dei
Sequani era molto più misera e pesante di quella degli
altri perché non osavano, neppure in una riunione
segreta, lamentarsi e implorare aiuto e rabbrividivano
per la crudeltà di Ariovisto come se fosse lì presente,
anche se era lontano. E poi, perché gli altri, almeno,
avevano la possibilità di fuggire; essi, invece, che
avevano accolto Ariovisto nei loro territori e avevano
visto le loro città cadere nelle sue mani, dovevano
sopportare tormenti d'ogni sorta.
XXXIII
His rebus cognitis Caesar Gallorum animos verbis
confirmavit pollicitusque est sibi eam rem curae
Cesare, sapute queste cose, rinfrancò i Galli con le sue
parole e la promessa che avrebbe preso a cuore la
futuram; magnam se habere spem et beneficio suo et
auctoritate adductum Ariovistum finem iniuriis
facturum. Hac oratione habita, concilium dimisit. Et
secundum ea multae res eum hortabantur quare sibi eam
rem cogitandam et suscipiendam putaret, in primis quod
Haeduos, fratres consanguineosque saepe numero a
senatu appellatos, in servitute atque [in] dicione videbat
Germanorum teneri eorumque obsides esse apud
Ariovistum ac Sequanos intellegebat; quod in tanto
imperio populi Romani turpissimum sibi et rei publicae
esse arbitrabatur. Paulatim autem Germanos consuescere
Rhenum transire et in Galliam magnam eorum
multitudinem venire populo Romano periculosum
videbat, neque sibi homines feros ac barbaros
temperaturos existimabat quin, cum omnem Galliam
occupavissent, ut ante Cimbri Teutonique fecissent, in
provinciam exirent atque inde in Italiam contenderent [,
praesertim cum Sequanos a provincia nostra Rhodanus
divideret]; quibus rebus quam maturrime occurrendum
putabat. Ipse autem Ariovistus tantos sibi spiritus,
tantam arrogantiam sumpserat, ut ferendus non
videretur.
faccenda: aveva fondate speranze che Ariovisto, in
considerazione dei benefici ricevuti e del prestigio di
Cesare, avrebbe posto fine ai suoi torti. Detto ciò,
sciolse l'assemblea. Molte considerazioni, oltre alle
precedenti, lo spingevano a ritenere che fosse necessario
riflettere sulla situazione e occuparsene: primo, vedeva
che gli Edui, più volte definiti dal senato fratelli e
consanguinei, si trovavano sotto il dominio e la schiavitù
dei Germani e capiva che loro ostaggi si trovavano nelle
mani di Ariovisto e dei Sequani, cosa che giudicava una
vergogna per sé e per la repubblica, data la potenza del
popolo romano; secondo, riteneva pericoloso per Roma
che, a poco a poco, i Germani prendessero l'abitudine di
oltrepassare il Reno e di stanziarsi in Gallia in numero
molto elevato. Infatti, stimava che questa gente, rozza e
barbara, una volta occupata tutta la Gallia, non avrebbe
fatto a meno di passare nella nostra provincia e di
dirigersi verso l'Italia, come un tempo i Cimbri ed i
Teutoni, soprattutto tenendo conto che solo il Rodano
divide la nostra provincia dalla regione dei Sequani.
Stimava, dunque, di doversi occupare al più presto del
problema. Ariovisto stesso, poi, aveva assunto una
superbia e una arroganza tale, che non lo si poteva più
sopportare.
XXXIV
Quam ob rem placuit ei ut ad Ariovistum legatos
mitteret, qui ab eo postularent uti aliquem locum
medium utrisque conloquio deligeret: velle sese de re
publica et summis utriusque rebus cum eo agere. Ei
legationi Ariovistus respondit: si quid ipsi a Caesare
opus esset, sese ad eum venturum fuisse; si quid ille se
velit, illum ad se venire oportere. Praeterea se neque
sine exercitu in eas partes Galliae venire audere quas
Caesar possideret, neque exercitum sine magno
commeatu atque molimento in unum locum contrahere
posse. Sibi autem mirum videri quid in sua Gallia, quam
bello vicisset, aut Caesari aut omnino populo Romano
negotii esset.
Perciò, Cesare decise di mandare ad Ariovisto degli
ambasciatori, incaricati di chiedergli che scegliesse un
luogo per un colloquio, a metà strada tra loro: voleva
trattare di questioni politiche della massima importanza
per entrambi. Agli ambasciatori Ariovisto così rispose:
se gli serviva qualcosa da Cesare, si sarebbe recato di
persona da lui; ma se era Cesare a volere qualcosa,
toccava a lui andare da Ariovisto. Inoltre, non osava
recarsi senza esercito nelle zone della Gallia possedute
da Cesare, né era possibile radunare l'esercito senza
ingenti scorte di viveri e grandi sforzi. Del resto, si
domandava con meraviglia che cosa Cesare o, in
generale, il popolo romano avessero a che fare nella sua
parte di Gallia, da lui vinta in guerra.
XXXV
His responsis ad Caesarem relatis, iterum ad eum Caesar
legatos cum his mandatis mittit: quoniam tanto suo
populique Romani beneficio adtectus, cum in consulatu
suo rex atque amicus a senatu appellatus esset, hanc sibi
populoque Romano gratiam referret ut in conloquium
venire invitatus gravaretur neque de communi re
dicendum sibi et cognoscendum putaret, haec esse quae
ab eo postularet: primum ne quam multitudinem
hominum amplius trans Rhenum in Galliam traduceret;
deinde obsides quos haberet ab Haeduis redderet
Sequanisque permitteret ut quos illi haberent voluntate
eius reddere illis liceret; neve Haeduos iniuria lacesseret
neve his sociisque eorum bellum inferret. Si [id] ita
fecisset, sibi populoque Romano perpetuam gratiam
atque amicitiam cum eo futuram; si non impetraret, sese,
quoniam M. Messala, M. Pisone consulibus senatus
censuisset uti quicumque Galliam provinciam obtineret,
Ricevuta tale risposta, Cesare manda di nuovo ad
Ariovisto degli ambasciatori, coi compito di
comunicargli quanto segue: durante il consolato di
Cesare, il senato e il popolo romano lo avevano definito
re e amico. Adesso, poiché così dimostrava a Cesare e al
popolo romano la sua gratitudine, rifiutandosi di venire
a colloquio benché invitato e ritenendo di non dover
discutere o conoscere questioni di interesse comune,
Cesare, allora, gli notificava le proprie richieste: primo,
di non far più passare in Gallia altri Germani; secondo,
di restituire gli ostaggi ricevuti dagli Edui e di
permettere ai Sequani di rendere quelli che detenevano
per ordine suo; infine, di non provocare ingiustamente
gli Edui e di non muovere guerra né a essi, né ai loro
alleati. Regolandosi così, Ariovisto si sarebbe garantito
per sempre il favore e l'amicizia del popolo romano.
Cesare, invece, se non avesse ottenuto quanto chiedeva,
quod commodo rei publicae lacere posset, Haeduos
ceterosque amicos populi Romani defenderet, se
Haeduorum iniurias non neglecturum.
non sarebbe rimasto indifferente alle offese inflitte agli
Edui, perché sotto il consolato di M. Messala e M.
Pisone il senato aveva stabilito che il governatore della
Gallia transalpina doveva difendere gli Edui e gli altri
amici del popolo romano, per quanto ciò rispondesse
agli interessi di Roma.
XXXVI
Ad haec Ariovistus respondit: ius esse belli ut qui
vicissent iis quos vicissent quem ad modum vellent
imperarent. Item populum Romanum victis non ad
alterius praescriptum, sed ad suum arbitrium imperare
consuesse. Si ipse populo Romano non praescriberet
quem ad modum suo iure uteretur, non oportere se a
populo Romano in suo iure impediri. Haeduos sibi,
quoniam belli fortunam temptassent et armis congressi
ac superati essent, stipendiarios esse factos. Magnam
Caesarem iniuriam facere, qui suo adventu vectigalia
sibi deteriora faceret. Haeduis se obsides redditurum non
esse neque his neque eorum sociis iniuria bellum
inlaturum, si in eo manerent quod convenisset
stipendiumque quotannis penderent; si id non fecissent,
longe iis fraternum nomen populi Romani afuturum.
Quod sibi Caesar denuntiaret se Haeduorum iniurias non
neglecturum, neminem secum sine sua pernicie
contendisse. Cum vellet, congrederetur: intellecturum
quid invicti Germani, exercitatissimi in armis, qui inter
annos XIIII tectum non subissent, virtute possent.
Ariovisto replicò così: il diritto di guerra permetteva ai
vincitori di dominare i vinti a proprio piacimento; allo
stesso modo il popolo romano era abituato a governare i
vinti non secondo le imposizioni altrui, ma a proprio
arbitrio. Se Ariovisto non dava ordini ai Romani su
come esercitare il loro diritto, non c'era ragione che i
Romani ponessero ostacoli a lui, quando applicava il
suo. Gli Edui avevano tentato la sorte in guerra, avevano
combattuto ed erano usciti sconfitti; perciò, li aveva resi
suoi tributari. Era Cesare a fargli un grave torto, perché
con il suo arrivo erano diminuiti i versamenti dei popoli
sottomessi. Non avrebbe restituito gli ostaggi agli Edui,
ma neppure avrebbe mosso guerra a essi, né ai loro
alleati, se rispettavano gli obblighi assunti, pagando ogni
anno i tributi. In caso contrario, poco sarebbe servito
loro il titolo di fratelli del popolo romano. Se Cesare lo
aveva avvertito che non avrebbe lasciato impunite le
offese inferte agli Edui, gli rispondeva che nessuno
aveva combattuto contro Ariovisto senza subire una
disfatta. Attaccasse pure quando voleva: si sarebbe reso
conto del valore degli invitti Germani, che erano
addestratissimi e per quattordici anni non avevano mai
avuto bisogno di un tetto.
XXXVII
Haec eodem tempore Caesari mandata referebantur et
legati ab Haeduis et a Treveris veniebant: Haedui
questum quod Harudes, qui nuper in Galliam
transportati essent, fines eorum popularentur: sese ne
obsidibus quidem datis pacem Ariovisti redimere
potuisse; Treveri autem, pagos centum Sueborum ad
ripas Rheni consedisse, qui Rhemum transire conarentur;
his praeesse Nasuam et Cimberium fratres. Quibus rebus
Caesar vehementer commotus maturandum sibi
existimavit, ne, si nova manus Sueborum cum veteribus
copiis Ariovisti sese coniunxisset, minus facile resisti
posset. Itaque re frumentaria quam celerrime potuit
comparata magnis itineribus ad Ariovistum contendit.
Nel momento stesso in cui a Cesare veniva riferita la
risposta di Ariovisto, giungevano emissari da parte degli
Edui e dei Treveri. Gli Edui si lamentavano che gli
Arudi, da poco trasferitisi in Gallia, devastavano il loro
territorio: neppure la consegna degli ostaggi era valsa a
ottenere la pace da Ariovisto. I Treveri, invece, dicevano
che le cento tribù degli Svevi si erano stabilite lungo le
rive del Reno e tentavano di attraversarlo; li guidavano i
fratelli Nasua e Cimberio. Cesare, fortemente scosso
dalle notizie, pensò di dover stringere i tempi per evitare
di incontrare maggiore resistenza, se il nuovo gruppo
degli Svevi si fosse aggiunto alle precedenti truppe di
Ariovisto. Perciò, fatta al più presto provvista di grano,
mosse contro Ariovisto forzando le tappe.
XXXVIII
Cum tridui viam processisset, nuntiatum est ei
Ariovistum cum suis omnibus copiis ad occupandum
Vesontionem, quod est oppidum maximum Sequanorum,
contendere [triduique viam a suis finibus processisse]. Id
ne accideret, magnopere sibi praecavendum Caesar
existimabat. Namque omnium rerum quae ad bellum
usui erant summa erat in eo oppido facultas, idque
natura loci sic muniebatur ut magnam ad ducendum
bellum daret facultatem, propterea quod flumen [alduas]
Dopo tre giorni di marcia gli riferirono che Ariovisto era
partito dai suoi territori già da tre giorni e si dirigeva con
tutte le truppe verso Vesonzione, la più grande città dei
Sequani, per occuparla. Cesare giudicò di dover
impedire a ogni costo che Vesonzione cadesse. Infatti,
nella città si trovava, in abbondanza, tutto ciò che serve
in guerra; inoltre, era così protetta dalla conformazione
naturale, da permettere con facilità le operazioni
belliche: il fiume Doubs la circonda quasi
Dubis ut circino circumductum paene totum oppidum
cingit, reliquum spatium, quod est non amplius pedum
MDC, qua flumen intermittit, mons continet magna
altitudine, ita ut radices eius montis ex utraque parte
ripae fluminis contingant, hunc murus circumdatus
arcem efficit et cum oppido coniungit. Huc Caesar
magnis nocturnis diurnisque itineribus contendit
occupatoque oppido ibi praesidium conlocat.
completamente, come se il suo corso fosse stato
tracciato con un compasso; dove non scorre il fiume, in
una zona che si estende per non più di milleseicento
piedi, sorge un monte molto elevato, la cui base tocca da
entrambi i lati le sponde del Doubs. Un muro circonda il
monte, lo unisce alla città e ne fa una roccaforte. Cesare
qui si diresse, a marce forzate di giorno e di notte.
occupò la città e vi pose un presidio.
XXXIX
Dum paucos dies ad Vesontionem rei frumentariae
commeatusque causa moratur, ex percontatione
nostrorum vocibusque Gallorum ac mercatorum, qui
ingenti magnitudine corporum Germanos, incredibili
virtute atque exercitatione in armis esse praedicabant
(saepe numero sese cum his congressos ne vultum
quidem atque aciem oculorum dicebant ferre potuisse),
tantus subito timor omnem exercitum occupavit ut non
mediocriter omnium mentes animosque perturbaret. Hic
primum ortus est a tribunis militum, praefectis,
reliquisque qui ex urbe amicitiae causa Caesarem secuti
non magnum in re militari usum habebant: quorum alius
alia causa inlata, quam sibi ad proficiscendum
necessariam esse diceret, petebat ut eius voluntate
discedere liceret; non nulli pudore adducti, ut timoris
suspicionem vitarent, remanebant. Hi neque vultum
fingere neque interdum lacrimas tenere poterant: abditi
in tabernaculis aut suum fatum querebantur aut cum
familiaribus suis commune periculum miserabantur.
Vulgo totis castris testamenta obsignabantur. Horum
vocibus ac timore paulatim etiam ii qui magnum in
castris usum habebant, milites centurionesque quique
equitatui praeerant, perturbabantur. Qui se ex his minus
timidos existimari volebant, non se hostem vereri, sed
angustias itineris et magnitudinem silvarum quae
intercederent inter ipsos atque Ariovistum, aut rem
frumentariam, ut satis commode supportari posset,
timere dicebant. Non nulli etiam Caesari nuntiabant,
cum castra moveri ac signa ferri iussisset, non fore dicto
audientes milites neque propter timorem signa laturos.
Nei pochi giorni in cui Cesare si trattenne a Vesonzione
per rifornirsi di grano e di viveri, i Galli e i mercanti,
interrogati dai nostri soldati, andavano dicendo che i
Germani erano uomini dal fisico imponente,
incredibilmente valorosi e avvezzi al combattimento;
spesso li avevano affrontati, ma non erano neppure
riusciti a sostenerne l'aspetto e lo sguardo. Di colpo, in
seguito a tali voci, un timore così grande si impadronì
dei nostri, da sconvolgere profondamente le menti e gli
animi di tutti. Dapprima, si manifestò tra i tribuni
militari, i prefetti e gli altri privi di grande esperienza
militare, che avevano seguito Cesare da Roma per
ragioni di amicizia. Tutti adducevano scuse, chi l'una,
chi l'altra, sostenendo di avere dei motivi che li
costringevano a partire, e ne chiedevano a Cesare il
permesso. Alcuni, trattenuti dalla vergogna, rimanevano,
per non destare sospetti di timore, ma non potevano
contraffare l'espressione del volto, né talora trattenere le
lacrime; al sicuro, nelle loro tende, si lamentavano del
loro destino o compiangevano con i loro amici il
comune pericolo. In ogni angolo dell'accampamento si
facevano testamenti. I discorsi e la paura di questa gente,
a poco a poco, impressionavano anche le persone
provviste di grande esperienza militare: legionari,
centurioni e capi della cavalleria. Chi voleva apparire
meno pusillanime diceva di paventare non tanto il
nemico, quanto la strada molto stretta e l'estensione delle
foreste che li dividevano da Ariovisto, oppure di avere
paura che il frumento non potesse essere trasportato
tanto facilmente. Alcuni avevano addirittura riferito a
Cesare che, all'ordine di togliere le tende e di avanzare, i
soldati non avrebbero obbedito, né levato il campo,
terrorizzati com'erano.
XL
Haec cum animadvertisset, convocato consilio
omniumque ordinum ad id consilium adhibitis
centurionibus, vehementer eos incusavit: primum, quod
aut quam in partem aut quo consilio ducerentur sibi
quaerendum aut cogitandum putarent. Ariovistum se
consule cupidissime populi Romani amicitiam adpetisse;
cur hunc tam temere quisquam ab officio discessurum
iudicaret? Sibi quidem persuaderi cognitis suis poslulatis
atque aequitate condicionum perspecta eum neque suam
neque populi Romani gratiam repudiaturum. Quod si
furore atque amentia impulsum bellum intulisset, quid
tandem vererentur? Aut cur de sua virtute aut de ipsius
diligentia desperarent? Factum eius hostis periculum
patrum nostrorum memoria Cimbris et Teutonis a C.
Cesare, messo in allarme, riunì il consiglio di guerra e
convocò anche i centurioni di ogni grado. Li rimproverò
aspramente, perché, soprattutto, avevano la presunzione
di chiedersi e di rimuginare dove li portasse e con quali
intenzioni. Sotto il suo consolato, Ariovisto aveva
ricercato con molta ansia l'amicizia del popolo romano:
chi poteva immaginarsi che sarebbe venuto meno ai
propri doveri così avventatamente? Dal canto suo, era
convinto che Ariovisto, conosciute le richieste e
constatata l'equità dei patti proposti, non avrebbe
respinto l'appoggio di Cesare e del popolo romano. E se,
spinto da un demenziale impulso, avesse mosso guerra
ai Romani, che cosa mai dovevano temere? Che motivo
c'era di non aver più fiducia nel valore dei soldati o nella
Mario pulsis [cum non minorem laudem exercitus quam
ipse imperator meritus videbatur]; factum etiam nuper in
Italia servili tumultu, quos tamen aliquid usus ac
disciplina, quam a nobis accepissent, sublevarint. Ex
quo iudicari posse quantum haberet in se boni
constantia, propterea quod quos aliquam diu inermes
sine causa timuissent hos postea armatos ac victores
superassent. Denique hos esse eosdem Germanos
quibuscum saepe numero Helvetii congressi non solum
in suis sed etiam in illorum finibus plerumque
superarint, qui tamen pares esse nostro exercitui non
potuerint. Si quos adversum proelium et fuga Gallorum
commoveret, hos, si quaererent, reperire posse
diuturnitate belli defatigatis Gallis Ariovistum, cum
multos menses castris se ac paludibus tenuisset neque
sui potestatem fecisset, desperantes iam de pugna et
dispersos subito adortum magis ratione et consilio quam
virtute vicisse. Cui rationi contra homines barbaros
atque imperitos locus fuisset, hac ne ipsum quidem
sperare nostros exercitus capi posse. Qui suum timorem
in rei frumentariae simulationem angustiasque itineris
conferrent, facere arroganter, cum aut de officio
imperatoris desperare aut praescribere viderentur. Haec
sibi esse curae; frumentum Sequanos, Leucos, Lingones
subministrare, iamque esse in agris frumenta matura; de
itinere ipsos brevi tempore iudicaturos. Quod non fore
dicto audientes neque signa laturi dicantur, nihil se ea re
commoveri: scire enim, quibuscumque exercitus dicto
audiens non fuerit, aut male re gesta fortunam defuisse
aut aliquo facinore comperto avaritiam esse convictam.
Suam innocentiam perpetua vita, felicitatem
Helvetiorum bello esse perspectam. Itaque se quod in
longiorem diem conlaturus fuisset repraesentaturum et
proxima nocte de quarta, vigilia castra moturum, ut
quam primum intellegere posset utrum apud eos pudor
atque officium an timor plus valeret. Quod si praeterea
nemo sequatur, tamen se cum sola decima legione
iturum, de qua non dubitet, sibique eam praetoriam
cohortem futuram. Huic legioni Caesar et indulserat
praecipue et propter virtutem confidebat maxime.
sua efficienza di generale? Ai tempi dei loro padri
avevano già affrontato il pericolo rappresentato da quei
nemici, quando i Cimbri e i Teutoni erano stati sconfitti
da C. Mario e l'esercito si era meritato non meno gloria
del comandante stesso; un pericolo simile lo avevano
corso, e non erano passati molti anni, anche in Italia con
la rivolta degli schiavi, che però si erano avvalsi della
pratica e della disciplina imparate dai Romani. Tali
esempi permettevano di giudicare come sia positiva in sé
la fermezza d'animo: proprio il nemico, temuto a lungo e
senza motivo quando era privo d'armi, lo avevano
successivamente sconfitto quando era armato e già
vincitore. Infine, i Germani erano lo stesso popolo con il
quale gli Elvezi si erano più volte scontrati, non solo nei
propri territori, ma anche nei loro, riportando la vittoria
nella maggior parte dei casi. E gli Elvezi non erano
riusciti a tener testa all'esercito romano. Chi era rimasto
scosso perché i Galli erano stati sconfitti e messi in fuga,
avrebbe scoperto, se si fosse informato, che Ariovisto
aveva logorato i suoi avversari con una guerra di attesa,
tenendosi per molti mesi in un accampamento tra le
paludi, senza esporsi mai. Poi, quando ormai i Galli
disperavano di poter combattere e si erano disuniti, li
aveva assaliti, riuscendo, così, a sconfiggerli grazie ai
suoi calcoli e ai suoi piani più che al suo valore. Ma se
c'era spazio per questi calcoli contro dei barbari privi di
esperienza militare, neppure Ariovisto stesso si illudeva
di poter così sorprendere il nostro esercito. Chi
esprimeva il proprio timore, fingendo di essere
preoccupato per le scorte di grano e per la strada molto
stretta, era un insolente, perché osava negare il senso del
dovere del comandante o addirittura voleva impartirgli
delle direttive. I suoi compiti di comandante erano di
indurre i Sequani, i Leuci e i Lingoni a fornire il grano,
ormai maturo nei campi; quanto alla strada, avrebbero
giudicato tra breve essi stessi. Se si mormorava che i
soldati non avrebbero eseguito gli ordini, né levato il
campo, non se ne curava affatto: conosceva, infatti, casi
di disobbedienza da parte delle truppe, ma si trattava di
comandanti che avevano fallito un'impresa ed erano stati
abbandonati dalla fortuna dei quali era stato scoperto
qualche misfatto e dimostrata l'avidità. Ma tutta la sua
vita comprovava la sua onestà, la guerra contro gli
Elvezi la sua fortuna. Perciò, avrebbe dato subito
l'ordine che voleva rimandare a più tardi: avrebbe levato
le tende la notte successiva, dopo le tre, per accertarsi al
più presto se in loro prevaleva la vergogna, unita al
senso del dovere, oppure la paura. E se, poi, nessuno lo
avesse seguito, si sarebbe messo in marcia, comunque,
con la sola decima legione, su cui non aveva dubbi:
sarebbe stata la sua coorte pretoria. Nei confronti della
decima legione Cesare aveva avuto una benevolenza
particolare e in essa riponeva la massima fiducia per il
suo valore.
XLI
Hac oratione habita mirum in modum conversae sunt
omnium mentes summaque alacritas et cupiditas belli
gerendi innata est, princepsque X. legio per tribunos
militum ei gratias egit quod de se optimum iudicium
Dopo il discorso di Cesare, lo stato d'animo di tutti mutò
in modo sorprendente e in ognuno nacque una gran
voglia di agire, un gran desiderio di combattere. Per
prima la decima legione, attraverso i tribuni militari, lo
fecisset, seque esse ad bellum gerendum paratissimam
confirmavit. Deinde reliquae legiones cum tribunis
militum et primorum ordinum centurionibus egerunt uti
Caesari satis facerent: se neque umquam dubitasse neque
timuisse neque de summa belli suum iudicium sed
imperatoris esse existimavisse. Eorum satisfactione
accepta et itinere exquisito per Diviciacum, quod ex
Gallis ei maximam fidem habebat, ut milium amplius
quinquaginta circuitu locis apertis exercitum duceret, de
quarta vigilia, ut dixerat, profectus est. Septimo die, cum
iter non intermitteret, ab exploratoribus certior factus est
Ariovisti copias a nostris milia passuum IIII et XX
abesse.
ringraziò per lo straordinario apprezzamento ricevuto e
confermò di essere prontissima a scendere in campo. Poi
le altre legioni, con i tribuni militari e i centurioni più
alti in grado, provvidero a scusarsi con Cesare: non
avevano mai nutrito dubbi o timori, né avevano pensato
che la valutazione delle scelte strategiche spettasse a
loro, ma al comandante. Cesare ne accettò le scuse e a
Diviziaco, l'unico a cui riservava la massima fiducia tra i
Galli, chiese l'itinerario da seguirsi per portare l'esercito
in luoghi aperti compiendo un giro di oltre cinquanta
miglia. Come aveva preannunziato, dopo le tre di notte
partì. Il settimo giorno di marcia ininterrotta fu
informato dagli esploratori che le truppe di Ariovisto
distavano dai nostri ventiquattro miglia.
XLII
Cognito Caesaris adventu Ariovistus legatos ad eum
mittit: quod antea de conloquio postulasset, id per se
fieri licere, quoniam propius accessisset seque id sine
periculo facere posse existimaret. Non respuit
condicionem Caesar iamque eum ad sanitatem reverti
arbitrabatur, cum id quod antea petenti denegasset ultro
polliceretur, magnamque in spem veniebat pro suis tantis
populique Romani in eum beneficiis cognitis suis
postulatis fore uti pertinacia desisteret. Dies conloquio
dictus est ex eo die quintus. Interim saepe cum legati
ultro citroque inter eos mitterentur, Ariovistus postulavit
ne quem peditem ad conloquium Caesar adduceret:
vereri se ne per insidias ab eo circumveniretur; uterque
cum equitatu veniret: alia ratione sese non esse
venturum. Caesar, quod neque conloquium interposita
causa tolli volebat neque salutem suam Gallorum
equitatui committere audebat, commodissimum esse
statuit omnibus equis Gallis equitibus detractis eo
legionarios milites legionis X., cui quam maxime
confidebat, imponere, ut praesidium quam amicissimum,
si quid opus facto esset, haberet. Quod cum fieret, non
inridicule quidam ex militibus X. legionis dixit: plus
quam pollicitus esset Caesarem facere; pollicitum se in
cohortis praetoriae loco X. legionem habiturum ad
equum rescribere.
Ariovisto, informato dell'arrivo di Cesare, gli manda
degli ambasciatori: il colloquio sollecitato in precedenza
poteva, per quanto lo riguardava, aver luogo, perché
Cesare si era avvicinato ed egli stimava di non correre
pericolo. Cesare non respinge la proposta, perché
riteneva ormai che Ariovisto avesse riacquistato il buon
senso, visto che offriva spontaneamente ciò che prima
aveva negato, quando ne era stato richiesto. Inoltre,
Cesare nutriva grandi speranze che Ariovisto, in
considerazione dei grandi benefici ricevuti da lui e dal
popolo romano, avrebbe deposto la sua ostinazione, una
volta conosciuto che cosa si voleva da lui. Il colloquio
fu fissato da lì a cinque giorni. Nel periodo di tempo che
lo precedette, si ebbe un'intensa attività diplomatica.
Ariovisto pose come condizione che Cesare non
portasse al colloquio truppe di fanteria, perché temeva di
cadere in un'imboscata: entrambi sarebbero giunti con la
cavalleria, altrimenti non si sarebbe presentato. Cesare
non voleva che, per il frapporsi di un pretesto, il
colloquio saltasse, ma neppure osava mettersi nelle mani
della cavalleria dei Galli; decise, perciò, che la cosa più
conveniente era lasciare a terra i cavalieri Galli e
mettere in sella i soldati della decima legione, nella
quale riponeva la massima fiducia, per avere, se c'era
bisogno di agire, la scorta più leale possibile. Mentre
veniva eseguita l'operazione, uno dei soldati della
decima legione, non senza spirito, disse che Cesare
aveva fatto per loro più di quanto avesse promesso:
aveva detto che li avrebbe presi come coorte pretoria,
adesso li faceva passare addirittura al rango equestre.
XLIII
Planities erat magna et in ea tumulus terrenus satis
grandis. Hic locus aequum fere spatium a castris
Ariovisti et Caesaris aberat. Eo, ut erat dictum, ad
conloquium venerunt. Legionem Caesar, quam equis
devexerat, passibus CC ab eo tumulo constituit. Item
equites Ariovisti pari intervallo constiterunt. Ariovistus
ex equis ut conloquerentur et praeter se denos ad
conloquium adducerent postulavit. Ubi eo ventum est,
Caesar initio orationis sua senatusque in eum beneficia
commemoravit, quod rex appellatus esset a senatu, quod
amicus, quod munera amplissime missa; quam rem et
C'era un'ampia pianura, con un rialzo di terra abbastanza
grande, all'incirca a pari distanza dagli accampamenti di
Ariovisto e di Cesare. Qui, come stabilito, si
incontrarono per il colloquio. A duecento passi dal
rialzo, Cesare fermò i legionari che lo seguivano a
cavallo. Anche i cavalieri di Ariovisto si fermarono alla
stessa distanza. Ariovisto chiese che si parlasse senza
scendere da cavallo e che ciascuno portasse con sé dieci
uomini. Quando giunsero sul posto, Cesare iniziò il suo
discorso ricordando i benefici resi ad Ariovisto da lui e
dal senato: era stato definito re e amico, gli erano stati
paucis contigisse et pro magnis hominum officiis
consuesse tribui docebat; illum, cum neque aditum
neque causam postulandi iustam haberet, beneficio ac
liberalitate sua ac senatus ea praemia consecutum.
Docebat etiam quam veteres quamque iustae causae
necessitudinis ipsis cum Haeduis intercederent, quae
senatus consulta quotiens quamque honorifica in eos
facta essent, ut omni tempore totius Galliae principatum
Haedui tenuissent, prius etiam quam nostram amicitiam
adpetissent. Populi Romani hanc esse consuetudinem, ut
socios atque amicos non modo sui nihil deperdere, sed
gratia, dignitate, honore auctiores velit esse; quod vero
ad amicitiam populi Romani attulissent, id iis eripi quis
pati posset? Postulavit deinde eadem quae legatis in
mandatis dederat: ne aut Haeduis aut eorum sociis
bellum inferret, obsides redderet, si nullam partem
Germanorum domum remittere posset, at ne quos
amplius Rhenum transire pateretur.
inviati doni in abbondanza. Onori del genere toccavano
a poche persone ed i Romani, di solito, li concedevano
in considerazione di servigi eccezionali; Ariovisto,
invece, pur non avendo né titoli, né motivo per
pretendere simili privilegi, li aveva ottenuti grazie al
favore e alla liberalità di Cesare e del senato. E gli
illustrava anche quanto fossero antiche e giuste le
ragioni dei legami che intercorrevano tra i Romani e gli
Edui, quante e quali onorifiche disposizioni il senato
avesse preso nei loro riguardi, come gli Edui avessero
sempre detenuto l'egemonia su tutta la Gallia, ancor
prima di cercare la nostra amicizia. Il popolo romano
voleva, per consuetudine, che gli alleati e gli amici non
solo non perdessero nulla del potere acquisito, ma
vedessero crescere il favore, la dignità, l'onore di cui
godevano: chi poteva, dunque, tollerare che venisse tolto
agli Edui ciò che avevano offerto all'amicizia del popolo
romano? Ribadì, poi, le stesse richieste presentate dai
suoi ambasciatori: che Ariovisto non muovesse guerra
né agli Edui, né ai loro alleati, restituisse gli ostaggi e, se
non poteva rimandare indietro nessuno dei Germani
ormai presenti in Gallia, almeno non permettesse che
altri oltrepassassero il Reno.
XLIV
Ariovistus ad postulata Caesaris pauca respondit, de suis
virtutibus multa praedicavit: transisse Rhenum sese non
sua sponte, sed rogatum et arcessitum a Gallis; non sine
magna spe magnisque praemiis domum propinquosque
reliquisse; sedes habere in Gallia ab ipsis concessas,
obsides ipsorum voluntate datos; stipendium capere iure
belli, quod victores victis imponere consuerint. Non sese
Gallis sed Gallos sibi bellum intulisse: omnes Galliae
civitates ad se oppugnandum venisse ac contra se castra
habuisse; eas omnes copias a se uno proelio pulsas ac
superatas esse. Si iterum experiri velint, se iterum
paratum esse decertare; si pace uti velint, iniquum esse
de stipendio recusare, quod sua voluntate ad id tempus
pependerint. Amicitiam populi Romani sibi ornamento
et praesidio, non detrimento esse oportere, atque se hac
spe petisse. Si per populum Romanum stipendium
remittatur et dediticii subtrahantur, non minus libenter
sese recusaturum populi Romani amicitiam quam
adpetierit. Quod multitudinem Germanorum in Galliam
traducat, id se sui muniendi, non Galliae oppugnandae
causa facere; eius rei testimonium esse quod nisi rogatus
non venerit et quod bellum non intulerit sed defenderit.
Se prius in Galliam venisse quam populum Romanum.
Numquam ante hoc tempus exercitum populi Romani
Galliae provinciae finibus egressum. Quid sibi vellet?
Cur in suas possessiones veniret? Provinciam suam hanc
esse Galliam, sicut illam nostram. Ut ipsi concedi non
oporteret, si in nostros fines impetum faceret, sic item
nos esse iniquos, quod in suo iure se interpellaremus.
Quod fratres a senatu Haeduos appellatos diceret, non se
tam barbarum neque tam imperitum esse rerum ut non
sciret neque bello Allobrogum proximo Haeduos
Romanis auxilium tulisse neque ipsos in iis
contentionibus quas Haedui secum et cum Sequanis
habuissent auxilio populi Romani usos esse. Debere se
Ariovisto dedicò poche parole alle richieste di Cesare,
ma molte ne spese per elencare i propri meriti: aveva
passato il Reno non per volontà sua, ma su richiesta e
invito dei Galli; non aveva certo lasciato la patria e i
congiunti senza viva speranza di forti ricompense; in
Gallia occupava sedi che gli erano state concesse; gli
ostaggi gli erano stati consegnati spontaneamente;
percepiva tributi secondo il diritto di guerra, che i
vincitori sono soliti imporre ai vinti. Non era stato lui ad
aggredire i Galli, ma i Galli lui; tutti i popoli della Gallia
si erano mossi ed erano scesi in campo contro di lui; li
aveva respinti e sconfitti, tutti, in una sola battaglia. Se i
Galli intendevano riprovarci, era pronto a battersi di
nuovo, ma, se desideravano la pace, non era giusto che
si rifiutassero di pagare il tributo fino ad allora versato
volontariamente. L'amicizia del popolo romano doveva
essere per lui non un danno, ma un vanto e una
protezione, e con questa speranza l'aveva richiesta. Se a
causa del popolo romano doveva rimetterci i tributi e
restituire i prigionieri, avrebbe rinunciato all'amicizia di
Roma con lo stesso piacere con cui l'aveva cercata. Se
faceva passare al di qua del Reno molti Germani, era per
difendersi, non per assalire la Gallia: lo testimoniava il
fatto che era venuto solo perché lo avevano chiamato e
non aveva mosso guerra, ma si era difeso. Era giunto in
Gallia prima del popolo romano, il cui esercito, in
precedenza, non era mai uscito dai confini della
provincia della Gallia. Che cosa cercava Cesare, come
mai entrava nei possedimenti di Ariovisto? Questa parte
di Gallia era sua, così come l'altra era nostra. Come non
era ammissibile che i Romani cedessero, se i Germani
avessero attaccato il nostro territorio, così noi, allo
stesso modo, eravamo in torto a interferire nel suo
diritto. Se Cesare dichiarava che gli Edui avevano
ricevuto il titolo di amici dal senato, gli rispondeva che
suspicari simulata Caesarem amicitia, quod exercitum in
Gallia habeat, sui opprimendi causa habere. Qui nisi
decedat atque exercitum deducat ex his regionibus, sese
illum non pro amico sed pro hoste habiturum. Quod si
eum interfecerit, multis sese nobilibus principibusque
populi Romani gratum esse facturum (id se ab ipsis per
eorum nuntios compertum habere), quorum omnium
gratiam atque amicitiam eius morte redimere posset.
Quod si decessisset et liberam possessionem Galliae sibi
tradidisset, magno se illum praemio remuneraturum et
quaecumque bella geri vellet sine ullo eius labore et
periculo confecturum.
non era così barbaro, né sprovveduto da ignorare che gli
Edui non avevano aiutato i Romani nel recente conflitto
con gli Allobrogi, né si erano avvalsi del sostegno del
popolo romano nella lotta contro di lui e i Sequani.
Doveva sospettare che Cesare simulasse questa amicizia
e tenesse in Gallia un esercito con il solo scopo di
sopraffarlo. Se Cesare non si ritirava con le sue truppe
dalle regioni in questione, lo avrebbe considerato non un
amico, ma un nemico. E se lo avesse ucciso, avrebbe
fatto cosa gradita a molti nobili e capi del popolo
romano; lo aveva saputo da loro emissari: con la morte
di Cesare poteva guadagnarsi il favore e l'amicizia di
tutti loro. Ma se Cesare si allontanava e gli concedeva il
libero possesso della Gallia, lo avrebbe ricompensato
ampiamente e gli avrebbe consentito di muovere
qualsiasi guerra volesse, senza travaglio o pericolo
alcuno.
XLV
Multa a Caesare in eam sententiam dicta sunt quare
negotio desistere non posset: neque suam neque populi
Romani consuetudinem pati ut optime meritos socios
desereret, neque se iudicare Galliam potius esse
Ariovisti quam populi Romani. Bello superatos esse
Arvernos et Rutenos a Q. Fabio Maximo, quibus
populus Romanus ignovisset neque in provinciam
redegisset neque stipendium posuisset. Quod si
antiquissimum quodque tempus spectari oporteret,
populi Romani iustissimum esse in Gallia imperium; si
iudicium senatus observari oporteret, liberam debere
esse Galliam, quam bello victam suis legibus uti
voluisset.
Cesare, in risposta, spiegò lungamente ad Ariovisto
perché non poteva venir meno all'impegno preso: né lui,
né il popolo romano avevano l'abitudine di abbandonare
gli alleati molto benemeriti; inoltre, non riteneva che la
Gallia spettasse ad Ariovisto più che al popolo romano.
Q. Fabio Massimo aveva sconfitto gli Arverni e i Ruteni;
il popolo romano li aveva perdonati, non aveva ridotto a
provincia i loro territori, né imposto tributi. Se
occorreva riandare ai tempi più antichi, il dominio del
popolo romano in Gallia era il più giusto; se bisognava
rispettare il decreto del senato, la Gallia doveva
rimanere libera, perché, vinta in guerra da Roma, aveva
voluto mantenere le proprie leggi.
XLVI - Violenze dei soldati di Ariovisto
Dum haec in conloquio geruntur, Caesari nuntiatum est
equites Ariovisti propius tumulum accedere et ad nostros
adequitare, lapides telaque in nostros coicere. Caesar
loquendi finem fecit seque ad suos recepit suisque
imperavit ne quod omnino telum in hostes reicerent.
Nam etsi sine ullo periculo legionis delectae cum
equitatu proelium fore videbat, tamen committendum
non putabat ut, pulsis hostibus, dici posset eos ab se per
fidem in conloquio circumventos. Postea quam in vulgus
militum elatum est qua arrogantia in conloquio
Ariovistus usus omni Gallia Romanis interdixisset,
impetumque in nostros eius equites fecissent, eaque res
conloquium ut diremisset, multo maior alacritas
studiumque pugnandi maius exercitui iniectum est.
Mentre accadevano questi fatti nel colloquio, venne
annunciato a Cesare che i cavalieri di Ariovisto si
stavano avvicinando e cavalcavano verso i nostri
(soldati), scagliavano pietre e dardi contro i nostri.
Cesare cessò di parlare e si recò dai suoi e gli ordinò di
rispondere al nemico lanciando neppure una freccia.
Infatti, sebbene vedesse che la battaglia dei suoi
(soldati) con la cavalleria dei nemici non sarebbe stata di
alcun pericolo, tuttavia non riteneva che si dovesse
attaccar battaglia affinché, sconfitti i nemici, non potesse
esser detto che quelli erano stati circondati perfidamente
dai nostri durante il colloquio. Dopo che si divulgò fra la
massa dei soldati con (usando di) nel colloqui Ariovisto
avesse interdetto ai Romani tutta la Gallia, e i suoi
cavalieri avessero assalito (contro) i nostri, e come ciò
avesse interrotto il colloquio, molto maggior ardore e
maggior brama di combattere invase l'esercito.
XLVII
Biduo post Ariovistus ad Caesarem legatos misit: velle
se de iis rebus quae inter eos egi coeptae neque
perfectae essent agere cum eo: uti aut iterum conloquio
diem constitueret aut, si id minus vellet, ex suis legatis
aliquem ad se mitteret. Conloquendi Caesari causa visa
Due giorni dopo, Ariovisto inviò a Cesare
un'ambasceria: voleva trattare delle questioni di cui
avevano cominciato a discutere senza giungere a una
conclusione: perciò, gli chiedeva di scegliere un giorno
per un nuovo incontro o, se preferiva, di mandare uno
non est, et eo magis quod pridie eius diei Germani
retineri non potuerant quin tela in nostros coicerent.
Legatum ex suis sese magno cum periculo ad eum
missurum et hominibus feris obiecturum existimabat.
Commodissimum visum est C. Valerium Procillum, C.
Valerii Caburi filium, summa virtute et humanitate
adulescentem, cuius pater a C. Valerio Flacco civitate
donatus erat, et propter fidem et propter linguae Gallicae
scientiam, qua multa iam Ariovistus longinqua
consuetudine utebatur, et quod in eo peccandi Germanis
causa non esset, ad eum mittere, et una M. Metium, qui
hospitio Ariovisti utebatur. His mandavit quae diceret
Ariovistus cognoscerent et ad se referrent. Quos cum
apud se in castris Ariovistus conspexisset, exercitu suo
praesente conclamavit: quid ad se venirent? an
speculandi causa? Conantes dicere prohibuit et in
catenas coniecit.
dei suoi in veste di legato. Cesare non vedeva motivo di
riprendere il colloquio, tanto più che il giorno
precedente i Germani non avevano saputo trattenersi dal
lanciare frecce contro i nostri. Riteneva che mandare
uno dei suoi in veste di legato, mettendolo nelle mani di
quegli uomini rozzi, fosse molto pericoloso. La cosa più
utile gli sembrò inviare C. Valerio Procillo, un giovane
di notevolissimo valore e civiltà, figlio di C. Valerio
Caburo, il quale aveva ricevuto la cittadinanza romana
da C. Valerio Flacco: gli dava piena fiducia, conosceva
la lingua gallica, che Ariovisto parlava piuttosto bene
per lunga consuetudine e, infine, i Germani non avevano
motivo di essere scorretti nei riguardi di C. Valerio
Procillo. Con lui inviò M. Mezio, che aveva con
Ariovisto vincoli di ospitalità. Cesare li incaricò di
sentire le proposte e di riferirgliele. Ma quando
Ariovisto li vide nel suo accampamento, alla presenza
del suo esercito cominciò a gridare: cosa venivano a fare
da lui? Volevano spiarlo? I due tentarono di rispondere,
ma Ariovisto li obbligò a tacere e li fece gettare in
catene.
XLVIII
Eodem die castra promovit et milibus passuum VI a
Caesaris castris sub monte consedit. Postridie eius diei
praeter castra Caesaris suas copias traduxit et milibus
passuum duobus ultra eum castra fecit eo consilio uti
frumento commeatuque qui ex Sequanis et Haeduis
supportaretur Caesarem intercluderet. Ex eo die dies
continuos V Caesar pro castris suas copias produxit et
aciem instructam habuit, ut, si vellet Ariovistus proelio
contendere, ei potestas non deesset. Ariovistus his
omnibus diebus exercitum castris continuit, equestri
proelio cotidie contendit. Genus hoc erat pugnae, quo se
Germani exercuerant: equitum milia erant VI, totidem
numero pedites velocissimi ac fortissimi, quos ex omni
copia singuli singulos suae salutis causa delegerant: cum
his in proeliis versabantur, ad eos se equites recipiebant;
hi, si quid erat durius, concurrebant, si qui graviore
vulnere accepto equo deciderat, circumsistebant; si quo
erat longius prodeundum aut celerius recipiendum, tanta
erat horum exercitatione celeritas ut iubis sublevati
equorum cursum adaequarent.
Quel giorno stesso Ariovisto si spostò in avanti e si
stabilì ai piedi di un monte, a sei miglia
dall'accampamento di Cesare. L'indomani transitò con le
sue truppe davanti al campo romano, lo oltrepassò e
pose le tende a due miglia di distanza, con l'intento di
impedire a Cesare di ricevere il grano e i viveri che
venivano forniti dai Sequani e dagli Edui. Da quel
momento, per cinque giorni consecutivi, Cesare
condusse le sue truppe davanti al campo, in formazione
da combattimento, per dare ad Ariovisto la possibilità di
misurarsi con lui, se lo voleva. Ma Ariovisto, per tutti e
cinque i giorni, tenne bloccato il suo esercito
nell'accampamento, limitandosi quotidianamente a
semplici scaramucce di cavalleria. I Germani erano
addestrati in questa tecnica militare disponevano di
seimila cavalieri e di altrettanti fanti molto veloci e forti;
ciascun cavaliere aveva scelto tra tutta la truppa, a
propria tutela, un fante, insieme al quale entrava nella
mischia. I cavalieri si riparavano presso i fanti, che, se
c'era qualche pericolo, si precipitavano; se il cavaliere
veniva ferito piuttosto gravemente e cadeva da cavallo,
lo attorniavano; se dovevano spingersi più lontano o
ripiegare più alla svelta, si erano garantiti con l'esercizio
una tale rapidità, da reggere all'andatura dei cavalli,
tenendosi aggrappati alla criniera.
XLIX
Ubi eum castris se tenere Caesar intellexit, ne diutius
commeatu prohiberetur, ultra eum locum, quo in loco
Germani consederant, circiter passus DC ab his, castris
idoneum locum delegit acieque triplici instructa ad eum
locum venit. Primam et secundam aciem in armis esse,
tertiam castra munire iussit. [Hic locus ab hoste circiter
passus DC, uti dictum est, aberat.] Eo circiter hominum
XVI milia expedita cum omni equitatu Ariovistus misit,
quae copiae nostros terrerent et munitione prohiberent.
Constatato che Ariovisto rimaneva nel suo
accampamento, Cesare, per non vedersi tagliati i
rifornimenti, scelse una zona adatta per porre le tende, al
di là del posto in cui si erano stabiliti i Germani, a una
distanza di circa seicento passi da essi. Schierato
l'esercito su tre linee, giunse al luogo prescelto e ordinò
che le prime due linee rimanessero in armi e che la terza
fortificasse l'accampamento. Il luogo distava, come già
si è detto, circa seicento passi dal nemico. Ariovisto vi
Nihilo setius Caesar, ut ante constituerat, duas acies
hostem propulsare, tertiam opus perficere iussit. Munitis
castris duas ibi legiones reliquit et partem auxiliorum,
quattuor reliquas legiones in castra maiora reduxit.
inviò circa sedicimila uomini senza bagagli e tutta la
cavalleria, per atterrire i nostri e impedire l'opera di
fortificazione. Cesare, non di meno, come aveva in
precedenza stabilito, ordinò alle prime due linee di
respingere il nemico e alla terza di portare a termine i
lavori. Fortificato il sito, con una parte delle truppe
ausiliarie lasciò due legioni e ricondusse nel campo
maggiore le quattro rimanenti.
L
Proximo die instituto suo Caesar ex castris utrisque
copias suas eduxit paulumque a maioribus castris
progressus aciem instruxit hostibusque pugnandi
potestatem fecit. Ubi ne tum quidem eos prodire
intellexit, circiter meridiem exercitum in castra reduxit.
Tum demum Ariovistus partem suarum copiarum, quae
castra minora oppugnaret, misit. Acriter utrimque usque
ad vesperum pugnatum est. Solis occasu suas copias
Ariovistus multis et inlatis et acceptis vulneribus in
castra reduxit. Cum ex captivis quaereret Caesar quam
ob rem Ariovistus proelio non decertaret, hanc
reperiebat causam, quod apud Germanos ea consuetudo
esset ut matres familiae eorum sortibus et
vaticinationibus declararent utrum proelium committi ex
usu esset necne; eas ita dicere: non esse fas Germanos
superare, si ante novam lunam proelio contendissent.
Il giorno successivo, secondo la sua abitudine, Cesare
fece uscire le sue truppe dai due accampamenti, le
schierò a battaglia non molto lontano dal campo
maggiore e diede al nemico la possibilità di combattere.
Quando si rese conto che neppure allora i nemici si
sarebbero fatti avanti, verso mezzogiorno ordinò ai suoi
soldati di rientrare negli accampamenti. Solo allora
Ariovisto inviò una parte delle sue truppe ad assalire il
campo minore. Fino a sera si combatté con accanimento
da ambo le parti. Al tramonto Ariovisto richiamò le sue
truppe, che avevano inflitto ai nostri molte perdite, ma
molte ne avevano subite. Cesare chiese ai prigionieri per
quale motivo Ariovisto non accettasse lo scontro aperto
e ne scoprì la causa: presso i Germani era consuetudine
che le madri di famiglia, consultando le sorti e i vaticini,
dichiarassero se era vantaggioso combattere o no. In
questo caso, il responso era stato il seguente: il destino è
avverso alla vittoria dei Germani, se combatteranno
prima della luna nuova.
LI
Postridie eius diei Caesar praesidio utrisque castris quod
satis esse visum est reliquit, alarios omnes in conspectu
hostium pro castris minoribus constituit, quod minus
multitudine militum legionariorum pro hostium numero
valebat, ut ad speciem alariis uteretur; ipse triplici
instructa acie usque ad castra hostium accessit. Tum
demum necessario Germani suas copias castris
eduxerunt generatimque constituerunt paribus intervallis,
Harudes, Marcomanos, Tribocos, Vangiones, Nemetes,
Sedusios, Suebos, omnemque aciem suam raedis et
carris circumdederunt, ne qua spes in fuga relinqueretur.
Eo mulieres imposuerunt, quae ad proelium
proficiscentes milites passis manibus flentes implorabant
ne se in servitutem Romanis traderent.
Il giorno successivo Cesare lasciò in entrambi gli
accampamenti un presidio a suo parere sufficiente e
dispiegò tutte le truppe degli alleati davanti
all'accampamento minore, ben visibili, sfruttandole per
ingannare il nemico, dato che i legionari erano inferiori
ai Germani, dal punto di vista numerico; sistemato
l'esercito su tre linee, avanzò fino all'accampamento dei
nemici. Solo allora i Germani furono costretti a condurre
fuori le loro truppe e si disposero secondo le varie tribù,
a pari distanza le une dalle altre: gli Arudi, i
Marcomanni, i Triboci, i Vangioni, i Nemeti, i Sedusi,
gli Svevi. Tutto intorno collocarono carri e carriaggi, per
togliere a chiunque la speranza di fuggire. Sui carri
fecero salire le loro donne, che, mentre essi partivano
per combattere, piangevano e con le mani protese li
imploravano di non renderle schiave dei Romani.
LII
Caesar singulis legionibus singulos legatos et
quaestorem praefecit, uti eos testes suae quisque virtutis
haberet; ipse a dextro cornu, quod eam partem minime
firmam hostium esse animadverterat, proelium commisit.
Ita nostri acriter in hostes signo dato impetum fecerunt
itaque hostes repente celeriterque procurrerunt, ut
spatium pila in hostes coiciendi non daretur. Relictis
pilis comminus gladiis pugnatum est. At Germani
celeriter ex consuetudine sua phalange facta impetus
Cesare mise a capo di ciascuna legione i rispettivi legati
e il questore, perché ognuno li avesse a testimoni del
proprio valore; egli stesso guidò l'attacco alla testa
dell'ala destra, perché si era accorto che da quella parte
lo schieramento nemico era molto debole. Al segnale, i
nostri attaccarono con tale veemenza e i nemici si
slanciarono in avanti così all'improvviso e con tale
rapidità, che non si ebbe il tempo di lanciare i
giavellotti. Ci si sbarazzò di essi e si combatté corpo a
gladiorum exceperunt. Reperti sunt complures nostri qui
in phalanga insilirent et scuta manibus revellerent et
desuper vulnerarent. Cum hostium acies a sinistro cornu
pulsa atque in fugam coniecta esset, a dextro cornu
vehementer multitudine suorum nostram aciem
premebant. Id cum animadvertisset P. Crassus
adulescens, qui equitatui praeerat, quod expeditior erat
quam ii qui inter aciem versabantur, tertiam aciem
laborantibus nostris subsidio misit.
corpo, con le spade. I Germani formarono rapidamente,
secondo la loro abitudine, delle falangi e ressero
all'assalto condotto con le spade. Si videro molti soldati
romani salire sopra le varie falangi, strappare via con le
mani gli scudi dei nemici e colpire dall'alto. Mentre l'ala
sinistra dello schieramento nemico veniva respinta e
messa in fuga, l'ala destra con la sua massa premeva
violentemente sui nostri. Il giovane P. Crasso,
comandante della cavalleria, essendo nei movimenti più
libero di chi combatteva nel folto dello schieramento, se
ne accorse e mandò la terza linea in aiuto dei nostri in
difficoltà.
LIII
Ita proelium restitutum est, atque omnes hostes terga
verterunt nec prius fugere destiterunt quam ad flumen
Rhenum milia passuum ex eo loco circiter L
pervenerunt. Ibi perpauci aut viribus confisi tranare
contenderunt aut lintribus inventis sibi salutem
reppererunt. In his fuit Ariovistus, qui naviculam
deligatam ad ripam nactus ea profugit; reliquos omnes
consecuti equites nostri interfecerunt. Duae fuerunt
Ariovisti uxores, una Sueba natione, quam domo secum
eduxerat, altera Norica, regis Voccionis soror, quam in
Gallia duxerat a fratre missam: utraque in ea fuga periit;
duae filiae: harum altera occisa, altera capta est. C.
Valerius Procillus, cum a custodibus in fuga trinis
catenis vinctus traheretur, in ipsum Caesarem hostes
equitatu insequentem incidit. Quae quidem res Caesari
non minorem quam ipsa victoria voluptatem attulit, quod
hominem honestissimum provinciae Galliae, suum
familiarem et hospitem, ereptum ex manibus hostium
sibi restitutum videbat neque eius calamitate de tanta
voluptate et gratulatione quicquam fortuna deminuerat.
Is se praesente de se ter sortibus consultum dicebat,
utrum igni statim necaretur an in aliud tempus
reservaretur: sortium beneficio se esse incolumem. Item
M. Metius repertus et ad eum reductus est.
Questa mossa salvò le sorti della battaglia: i nemici
volsero tutti le spalle e non si fermarono prima di aver
raggiunto il Reno, che distava circa cinque miglia dal
luogo dello scontro. Qui, pochissimi o cercarono di
attraversare il fiume a nuoto, confidando nelle proprie
forze, o scovarono delle imbarcazioni e si misero in
salvo. Tra di loro ci fu Ariovisto, il quale trovò legata
alla riva una piccola barca che gli servì per fuggire; tutti
gli altri Germani furono inseguiti dalla nostra cavalleria
e uccisi. Ariovisto aveva due mogli: una sveva, che si
era portato da casa, l'altra norica, sorella del re
Voccione, che gli era stata inviata dal fratello stesso e
che Ariovisto aveva sposato in Gallia. Entrambe
morirono nella rotta. Delle due figlie, una fu uccisa,
l'altra catturata. C. Valerio Procillo, mentre durante la
fuga veniva portato via dai suoi guardiani legato con
triplice catena, si imbatté proprio in Cesare, che con la
cavalleria stava inseguendo i nemici. Ciò procurò a
Cesare una gioia non minore della vittoria stessa, perché
si vedeva restituito, strappato alle mani del nemico,
l'uomo più onesto della provincia della Gallia, suo
amico e ospite: la Fortuna non aveva voluto togliere
nulla alla sua grande gioia e contentezza e aveva
impedito la morte di C. Valerio Procillo. Il giovane
raccontava che, in sua presenza, erano state consultate
tre volte le sorti per decidere se doveva essere arso sul
rogo subito o in un secondo tempo: era vivo per
beneficio delle sorti. Anche M. Mezio fu ritrovato e
riportato a Cesare.
LIV
Hoc proelio trans Rhenum nuntiato, Suebi, qui ad ripas
Rheni venerant, domum reverti coeperunt; quos ubi qui
proximi Rhenum incolunt perterritos senserunt, insecuti
magnum ex iis numerum occiderunt. Caesar una aestate
duobus maximis bellis confectis maturius paulo quam
tempus anni postulabat in hiberna in Sequanos exercitum
deduxit; hibernis Labienum praeposuit; ipse in
citeriorem Galliam ad conventus agendos profectus est.
Quando al di là del Reno si ebbe notizia della battaglia,
gli Svevi, che erano giunti alle rive del fiume,
incominciarono a ritornare in patria. Non appena gli
Ubi, che abitano nei pressi del Reno, si accorsero che gli
Svevi erano in preda al panico, li inseguirono e ne
uccisero un gran numero. Cesare, che in una sola
campagna aveva concluso due grandissime guerre,
tradusse l'esercito negli accampamenti invernali, nelle
terre dei Sequani, un po' prima di quanto non richiedesse
la stagione. Qui lasciò Labieno come comandante e si
recò in Gallia cisalpina, per tenervi le sessioni
giudiziarie.
Cesare - De Bello Gallico
Libro II
I - La congiura dei Belgi
Cum esset Caesar in citeriore Gallia [in hibernis], ita uti
supra demonstravimus, crebri ad eum rumores
adferebantur litterisque item Labieni certior fiebat
omnes Belgas, quam tertiam esse Galliae partem
dixeramus, contra populum Romanum coniurare
obsidesque inter se dare. Coniurandi has esse causas:
primum quod vererentur ne, omni pacata Gallia, ad eos
exercitus noster adduceretur; deinde quod ab non nullis
Gallis sollicitarentur, partim qui, ut Germanos diutius in
Gallia versari noluerant, ita populi Romani exercitum
hiemare atque inveterascere in Gallia moleste ferebant,
partim qui mobilitate et levitate animi novis imperiis
studebant; ab non nullis etiam quod in Gallia a
potentioribus atque iis qui ad conducendos homines
facultates habebant vulgo regna occupabantur; qui minus
facile eam rem imperio nostro consequi poterant.
Mentre Cesare era negli accampamenti invernali nella
Gallia Citeriore, come sopra abbiamo dimostrato,
frequenti arrivavano delle chiacchiere ad egli, ed era
informato con lettere da Labieno, che tutti i Belgi, che
come abbiamo detto sono la terza parte della Gallia,
congiuravano contro il popolo romano e si scambiavano
prigionieri. Queste erano le ragione della congiura: la
prima poiché temevano che il nostro esercito venisse
spinto contro di loro, una volta pacificata tutta la Gallia;
quindi, perché erano ispirati da alcuni Galli, che, da una
parte, come volevano che i Germani non rimanessero
più in Gallia, così mal sopportavano che l'esercito del
popolo romano svernasse e si stabilisse in Gallia, e altri
di loro per una naturale instabilità desideravano nuovi
domini, e non di meno poiché in Gallia i regni erano
solitamente occupati, quelli che avevano la possibilità di
assoldare più uomini, i quali meno facilmente potevano
conseguire il loro obiettivo sotto il nostro comando.
II
His nuntiis litterisque commotus Caesar duas legiones in
citeriore Gallia novas conscripsit et inita aestate in
ulteriorem Galliam qui deduceret Q. Pedium legatum
misit. Ipse, cum primum pabuli copia esse inciperet, ad
exercitum venit. Dat negotium Senonibus reliquisque
Gallis qui finitimi Belgis erant uti ea quae apud eos
gerantur cognoscant seque de his rebus certiorem
faciant. Hi constanter omnes nuntiaverunt manus cogi,
exercitum in unum locum conduci. Tum vero
dubitandum non existimavit quin ad eos proficisceretur.
Re frumentaria provisa castra movet diebusque circiter
XV ad fines Belgarum pervenit.
Le notizie e la lettera di Labieno spinsero Cesare ad
arruolare in Gallia cisalpina due nuove legioni, e il
legato Q. Pedio, all'inizio dell'estate, ricevette l'incarico
di condurle in Gallia transalpina. Cesare stesso
raggiunse l'esercito non appena cominciò a esservi
foraggio a sufficienza. Ai Senoni e agli altri Galli
confinanti con i Belgi diede incarico di informarsi e di
comunicargli che cosa i Belgi stessero preparando. Tutti,
concordemente, gli riferirono che erano in corso
reclutamenti e che le truppe venivano concentrate in un
sol luogo. Solo allora Cesare ritenne che non c'era da
esitare a muovere contro di loro. Preparate le scorte di
grano, toglie le tende e in circa quindici giorni giunge
nella regione dei Belgi.
III
Eo cum de improviso celeriusque omnium opinione
venisset, Remi, qui proximi Galliae ex Belgis sunt, ad
eum legatos Iccium et Andebrogium, primos civitatis,
miserunt, qui dicerent se suaque omnia in fidem atque
potestatem populi Romani permittere, neque se cum
reliquis Belgis consensisse neque contra populum
Romanum coniurasse, paratosque esse et obsides dare et
imperata facere et oppidis recipere et frumento
ceterisque rebus iuvare; reliquos omnes Belgas in armis
esse, Germanosque qui cis Rhenum incolant sese cum
Il suo arrivo fu improvviso e più rapido di ogni
previsione. I Remi, il popolo belga più vicino alla
Gallia, gli inviarono in veste di ambasciatori Iccio e
Andocumborio, i più insigni tra i cittadini: si ponevano
con tutti i loro beni sotto la protezione e l'autorità del
popolo romano; non avevano condiviso i sentimenti
degli altri Belgi, né aderito alla lega contro Roma; erano
pronti a consegnare ostaggi, a eseguire gli ordini, ad
accogliere i soldati romani nelle loro città. a rifornirli di
grano e di tutto il necessario; gli altri Belgi erano già in
his coniunxisse, tantumque esse eorum omnium furorem
ut ne Suessiones quidem, fratres consanguineosque suos,
qui eodem iure et isdem legibus utantur, unum imperium
unumque magistratum cum ipsis habeant, deterrere
potuerint quin cum iis consentirent.
armi e a essi si erano uniti i Germani stanziati al di qua
dei Reno; li aveva presi tutti una smania e follia tale, che
i Remi non erano riusciti a dissuadere neanche i
Suessioni, dei fratelli, dei consanguinei: eppure avevano
in comune leggi e diritto, dipendevano da un unico
comandante militare e magistrato civile.
IV
Cum ab iis quaereret quae civitates quantaeque in armis
essent et quid in bello possent, sic reperiebat: plerosque
Belgos esse ortos a Germanis Rhenumque antiquitus
traductos propter loci fertilitatem ibi consedisse
Gallosque qui ea loca incolerent expulisse, solosque esse
qui, patrum nostrorum memoria omni Gallia vexata,
Teutonos Cimbrosque intra suos fines ingredi
prohibuerint; qua ex re fieri uti earum rerum memoria
magnam sibi auctoritatem magnosque spiritus in re
militari sumerent. De numero eorum omnia se habere
explorata Remi dicebant, propterea quod
propinquitatibus adfinitatibus quo coniuncti quantam
quisque multitudinem in communi Belgarum concilio ad
id bellum pollicitus sit cognoverint. Plurimum inter eos
Bellovacos et virtute et auctoritate et hominum numero
valere: hos posse conficere armata milia centum,
pollicitos ex eo numero electa milia LX totiusque belli
imperium sibi postulare. Suessiones suos esse finitimos;
fines latissimos feracissimosque agros possidere. Apud
eos fuisse regem nostra etiam memoria Diviciacum,
totius Galliae potentissimum, qui cum magnae partis
harum regionum, tum etiam Britanniae imperium
obtinuerit; nunc esse regem Galbam: ad hunc propter
iustitiam prudentiamque summam totius belli omnium
voluntate deferri; oppida habere numero XII, polliceri
milia armata L; totidem Nervios, qui maxime feri inter
ipsos habeantur longissimeque absint; XV milia
Atrebates, Ambianos X milia, Morinos XXV milia,
Menapios VII milia, Caletos X milia, Veliocasses et
Viromanduos totidem, Atuatucos XVIIII milia;
Condrusos, Eburones, Caerosos, Paemanos, qui uno
nomine Germani appellantur, arbitrari ad XL milia.
Cesare chiese ai Remi quanti e quali popoli si trovassero
in armi e quanto valessero in guerra. Ecco che cosa
seppe: la maggior parte dei Belgi discendeva dai
Germani; anticamente avevano varcato il Reno attratti
dalla fertilità della regione e l'avevano occupata,
scacciando i Galli che l'abitavano; all'epoca dei nostri
padri erano stati gli unici a impedire ai Cimbri e ai
Teutoni, che avevano messo a ferro e fuoco tutta la
Gallia, di penetrare nei loro territori; perciò, memori di
tale impresa, i Belgi si attribuivano un'enorme
importanza ed erano molto fieri della loro forza militare.
Circa il numero dei partecipanti alla lega, i Remi
sostenevano di avere tutti dati sicuri, perché grazie ai
legami di vicinanza e parentela sapevano quanti uomini
ciascun popolo avesse promesso per la guerra
nell'assemblea generale dei Belgi. I più potenti per
valore, prestigio e numero erano i Bellovaci, in grado di
mettere insieme un esercito di centomila uomini; ne
avevano promessi sessantamila scelti e chiedevano il
comando supremo delle operazioni. Loro confinanti
erano i Suessioni, che possedevano territori molto estesi
e fertili. Fu loro re, anche ai nostri giorni, Diviziaco, il
sovrano più potente di tutta la Gallia, sotto il cui
dominio erano cadute molte regioni del paese e,
addirittura, la Britannia; ora regnava Galba: a lui, uomo
giusto e saggio, era stato conferito il comando supremo
per unanime consenso; le loro città erano dodici ed essi
si erano impegnati a fornire cinquantamila uomini, come
pure i Nervi, che tra i Belgi erano i più lontani e
avevano fama di essere i più indomiti; gli Atrebati ne
avevano promesso quindicimila, gli Ambiani diecimila, i
Morini venticinquemila, i Menapi settemila, i Caleti
diecimila, altrettanti i Veliocassi e i Viromandui, gli
Atuatuci diciannovemila; inoltre, si pensava che i
Condrusi, gli Eburoni, i Cerosi e i Pemani,
complessivamente designati con il nome di Germani,
avrebbero fornito circa quarantamila soldati.
V
Caesar Remos cohortatus liberaliterque oratione
prosecutus omnem senatum ad se convenire
principumque liberos obsides ad se adduci iussit. Quae
omnia ab his diligenter ad diem facta sunt. Ipse
Diviciacum Haeduum magnopere cohortatus docet
quanto opere rei publicae communisque salutis intersit
manus hostium distineri, ne cum tanta multitudine uno
tempore confligendum sit. Id fieri posse, si suas copias
Haedui in fines Bellovacorum introduxerint et eorum
agros populari coeperint. His datis mandatis eum a se
dimittit. Postquam omnes Belgarum copias in unum
locum coactas ad se venire vidit neque iam longe abesse
Cesare incoraggiò i Remi e rivolse loro parole di
benevolenza. Ordinò che tutti i senatori si recassero da
lui e che gli fossero consegnati in ostaggio i figli dei più
nobili. Tutte le sue disposizioni vennero puntualmente
eseguite nel giorno fissato. Cesare moltiplicò le
pressioni sull'eduo Diviziaco, spiegandogli quanto fosse
vitale, per la repubblica e l'interesse di tutti, tenere
divise le forze nemiche, per non dover affrontare in un
solo scontro un esercito così numeroso. E ciò era
possibile se gli Edui avessero invaso i territori dei
Bellovaci, incominciando a devastarli. Affidatogli tale
incarico, lo congedò. Quando vide che tutte le truppe dei
ab iis quos miserat exploratoribus et ab Remis cognovit,
flumen Axonam, quod est in extremis Remorum finibus,
exercitum traducere maturavit atque ibi castra posuit.
Quae res et latus unum castrorum ripis fluminis
muniebat et post eum quae erant tuta ab hostibus
reddebat et commeatus ab Remis reliquisque civitatibus
ut sine periculo ad eum portari possent efficiebat. In eo
flumine pons erat. Ibi praesidium ponit et in altera parte
fluminis Q. Titurium Sabinum legatum cum sex
cohortibus relinquit; castra in altitudinem pedum XII
vallo fossaque duodeviginti pedum muniri iubet.
Belgi, concentrate in un unico luogo, muovevano contro
di lui e apprese, su informazione dei Remi e degli
esploratori inviati, che i nemici erano ormai vicini, si
affrettò a tradurre l'esercito al di là del fiume Aisne, che
si trova nei più lontani territori dei Remi, e qui si attestò.
Così difendeva un lato dell'accampamento per mezzo
della riva del fiume, metteva al riparo dai nemici la zona
alle sue spalle e garantiva la sicurezza dei rifornimenti
inviati dai Remi e dagli altri popoli. Sul fiume c'era un
ponte. Su una sponda pone un presidio e lascia,
sull'altra, il legato Q. Titurio Sabino con sei coorti. Dà
ordine di fortificare l'accampamento con un vallo di
dodici piedi d'altezza e una fossa larga diciotto.
VI
Ab his castris oppidum Remorum nomine Bibrax aberat
milia passuum VIII. Id ex itinere magno impetu Belgae
oppugnare coeperunt. Aegre eo die sustentatum est.
Gallorum eadem atque Belgarum oppugnatio est haec:
ubi circumiecta multitudine hominum totis moenibus
undique in murum lapides iaci coepti sunt murusque
defensoribus nudatus est, testudine facta portas
succedunt murumque subruunt. Quod tum facile fiebat.
Nam cum tanta multitudo lapides ac tela coicerent, in
muro consistendi potestas erat nulli. Cum finem
oppugnandi nox fecisset, Iccius Remus, summa
nobilitate et gratia inter suos, qui tum oppido praeerat,
unus ex iis qui legati de pace ad Caesarem venerant,
nuntium ad eum mittit, nisi subsidium sibi submittatur,
sese diutius sustinere non posse.
A otto miglia di distanza dall'accampamento sorgeva
una città dei Remi, chiamata Bibrax. Appena giunti sul
posto, i Belgi cominciarono a stringerla d'assedio con
accanimento. Per quel giorno la città, a stento, resistette.
I Belgi usano la stessa tecnica di assedio dei Galli:
circondano il perimetro delle mura con un gran numero
di uomini e da ogni parte iniziano a lanciare pietre,
costringendo i difensori ad abbandonare i propri posti;
poi formano la testuggine, incendiano le porte e
abbattono le mura. E a Bibrax una tale tecnica era
facilmente attuabile: gli attaccanti che scagliavano pietre
e dardi erano così numerosi, che nessuno dei difensori
poteva rimanere sulle mura. L'arrivo della notte
costrinse i Belgi a interrompere l'assedio. Il Remo Iccio,
persona di nobilissima stirpe, che godeva di molta
influenza tra i suoi e all'epoca era capo della città, inviò
a Cesare un messo, uno degli ambasciatori già mandati
per chiedere la pace: se non gli pervenivano aiuti da
Cesare, non era in grado di resistere più a lungo.
VII
Eo de media nocte Caesar isdem ducibus usus qui nuntii
ab Iccio venerant, Numidas et Cretas sagittarios et
funditores Baleares subsidio oppidanis mittit; quorum
adventu et Remis cum spe defensionis studium
propugnandi accessit et hostibus eadem de causa spes
potiundi oppidi discessit. Itaque paulisper apud oppidum
morati agrosque Remorum depopulati, omnibus vicis
aedificiisque quo adire potuerant incensis, ad castra
Caesaris omnibus copiis contenderunt et a milibus
passuum minus duobus castra posuerunt; quae castra, ut
fumo atque ignibus significabatur, amplius milibus
passuum VIII latitudinem patebant.
Cesare, nel cuore della notte, di rinforzo agli abitanti
manda truppe della Numidia, arcieri cretesi e
frombolieri delle Baleari, sotto la guida dei messi inviati
da Iccio. L'arrivo dei Romani riaccese le speranze dei
difensori e la loro voglia di combattere, mentre per lo
stesso motivo gli assedianti disperarono di poter
prendere Bibrax. Perciò, rimasero per un certo periodo
nei pressi della città, devastando i campi dei Remi e
incendiando tutti i villaggi e gli edifici che avevano
potuto raggiungere, poi, al gran completo, puntarono sul
campo di Cesare e posero le tende a meno di due miglia
di distanza. Il loro accampamento, a giudicare dal fumo
e dai fuochi accesi, si estendeva per più di otto miglia.
VIII
Caesar primo et propter multitudinem hostium et propter
eximiam opinionem virtutis proelio supersedere statuit;
cotidie tamen equestribus proeliis quid hostis virtute
posset et quid nostri auderent periclitabatur. Ubi nostros
non esse inferiores intellexit, loco pro castris ad aciem
instruendam natura oportuno atque idoneo, quod is collis
ubi castra posita erant paululum ex planitie editus
In un primo tempo, considerando sia il numero dei
nemici, sia la loro fama di soldati estremamente
valorosi, Cesare decise di evitare lo scontro aperto. Ogni
giorno, però, con attacchi di cavalleria saggiava il valore
dei nemici e il coraggio dei Romani. Si rese conto che i
nostri non erano inferiori. Il terreno di fronte
all'accampamento era vantaggioso e adatto per schierare
tantum adversus in latitudinem patebat quantum loci
acies instructa occupare poterat, atque ex utraque parte
lateris deiectus habebat et in fronte leniter fastigatus
paulatim ad planitiem redibat, ab utroque latere eius
collis transversam fossam obduxit circiter passuum
CCCC et ad extremas fossas castella constituit ibique
tormenta conlocavit, ne, cum aciem instruxisset, hostes,
quod tantum multitudine poterant, ab lateribus
pugnantes suos circumvenire possent. Hoc facto, duabus
legionibus quas proxime conscripserat in castris relictis
ut, si quo opus esset, subsidio duci possent, reliquas VI
legiones pro castris in acie constituit. Hostes item suas
copias ex castris eductas instruxerunt.
l'esercito, perché il colle su cui si trovava il nostro
campo sovrastava leggermente la pianura, si estendeva
per uno spazio equivalente a quello che poteva occupare
l'esercito in formazione da combattimento, aveva
entrambi i fianchi scoscesi e la cima arrotondata, che
digradava dolcemente verso la pianura. Perciò ordinò di
scavare, alla base di entrambi i fianchi del colle, due
fosse trasversali di circa quattrocento passi, in cima alle
quali comandò di costruire ridotte e collocare macchine
da lancio: voleva evitare che, una volta dispiegate le
truppe, i nostri durante la battaglia venissero aggirati dal
nemico, che era così numeroso. Attuate tali disposizioni,
lasciò nell'accampamento, pronte a intervenire in caso di
necessità, le due legioni arruolate per ultime e schierò di
fronte al campo le altre sei. Allo stesso modo i nemici
fecero uscire le loro truppe e le disposero per lo scontro.
IX
Palus erat non magna inter nostrum atque hostium
exercitum. Hanc si nostri transirent hostes expectabant;
nostri autem, si ab illis initium transeundi fieret, ut
impeditos adgrederentur, parati in armis erant. Interim
proelio equestri inter duas acies contendebatur. Ubi
neutri transeundi initium faciunt, secundiore equitum
proelio nostris Caesar suos in castra reduxit. Hostes
protinus ex eo loco ad flumen Axonam contenderunt,
quod esse post nostra castra demonstratum est. Ibi vadis
repertis partem suarum copiarum traducere conati sunt
eo consilio ut, si possent, castellum, cui praeerat Q.
Titurius legatus, expugnarent pontemque
interscinderent; si minus potuissent, agros Remorum
popularentur, qui magno nobis usui ad bellum gerendum
erant, commeatuque nostros prohiberent.
Tra il nostro esercito e il nemico c'era una palude non
molto estesa. I Belgi aspettavano i Romani al varco; i
nostri, invece, si tenevano armati, pronti ad assalire il
nemico in difficoltà, se avesse tentato per primo il
passaggio. Nel frattempo, le cavallerie dei due eserciti si
scontravano. Nessuno osò attraversare per primo il
fiume, perciò, dopo che i nostri cavalieri ebbero la
meglio, Cesare ricondusse i suoi nell'accampamento. I
nemici si diressero immediatamente al fiume Aisne, che
scorreva - lo si è già detto - dietro il nostro campo.
Trovati alcuni guadi, tentarono di tradurre sull'altra
sponda parte delle truppe. La loro intenzione era, nel
migliore dei casi, di espugnare la ridotta comandata dal
legato Q. Titurio e di distruggere il ponte, altrimenti di
devastare i campi dei Remi, che per noi erano di vitale
importanza al fine di proseguire la guerra, e di tagliarci i
rifornimenti.
X
[Caesar] certior factus ab Titurio omnem equitatum et
levis armaturae Numidas, funditores sagittariosque
pontem traducit atque ad eos contendit. Acriter in eo
loco pugnatum est. Hostes impeditos nostri in flumine
adgressi magnum eorum numerum occiderunt; per
eorum corpora reliquos audacissime transire conantes
multitudine telorum reppulerunt primosque, qui
transierant, equitatu circumventos interfecerunt. Hostes,
ubi et de expugnando oppido et de flumine transeundo
spem se fefellisse intellexerunt neque nostros in locum
iniquiorum progredi pugnandi causa viderunt atque
ipsos res frumentaria deficere coepit, concilio convocato
constituerunt optimum esse domum suam quemque
reverti, et quorum in fines primum Romani exercitum
introduxissent, ad eos defendendos undique convenirent,
ut potius in suis quam in alienis finibus decertarent et
domesticis copiis rei frumentariae uterentur. Ad eam
sententiam cum reliquis causis haec quoque ratio eos
deduxit, quod Diviciacum atque Haeduos finibus
Bellovacorum adpropinquare cognoverant. His
persuaderi ut diutius morarentur neque suis auxilium
ferrent non poterat.
Cesare, informato della situazione da Titurio, portò tutta
la cavalleria, i Numidi armati alla leggera, i frombolieri
e gli arcieri al di là del ponte e marciò contro il nemico.
Lo scontro fu violento. I nostri li assalirono mentre
stavano attraversando il fiume ed erano in difficoltà. Ne
uccisero la maggior parte e respinsero con un nugolo di
frecce gli altri che, con estrema audacia, tentavano di
passare sui corpi dei caduti, circondarono con la
cavalleria e uccisero i primi giunti sull'altra sponda. I
nemici si resero conto di non aver più speranze di
espugnare la città, né di attraversare il fiume e videro
che i nostri non avanzavano, per dare battaglia, su un
terreno sfavorevole. Perciò, dato che anche le loro scorte
di grano incominciavano a scarseggiare, convocarono
l'assemblea e decisero che la cosa migliore era tornare
tutti in patria. Sarebbero accorsi in difesa del primo
popolo attaccato dai Romani: così avrebbero combattuto
nei propri territori, non in quelli altrui, e si sarebbero
serviti delle scorte di grano che avevano in patria.
Giunsero a tale decisione, tra l'altro, perché avevano
saputo che Diviziaco e gli Edui si stavano avvicinando
ai territori dei Bellovaci. E non si poteva convincere
questi ultimi ad attardarsi e a non soccorrere i loro.
XI
Ea re constituta, secunda vigilia magno cum, strepitu ac
tumultu castris egressi nullo certo ordine neque imperio,
cum sibi quisque primum itineris locum peteret et
domum pervenire properaret, fecerunt ut consimilis
fugae profectio videretur. Hac re statim Caesar per
speculatores cognita insidias veritus, quod qua de causa
discederent nondum perspexerat, exercitum
equitatumque castris continuit. Prima luce, confirmata re
ab exploratoribus, omnem equitatum, qui novissimum
agmen moraretur, praemisit. His Q. Pedium et L.
Aurunculeium Cottam legatos praefecit; T. Labienum
legatum cum legionibus tribus subsequi iussit. Hi
novissimos adorti et multa milia passuum prosecuti
magnam multitudinem eorum fugientium conciderunt,
cum ab extremo agmine, ad quos ventum erat,
consisterent fortiterque impetum nostrorum militum
sustinerent, priores, quod abesse a periculo viderentur
neque ulla necessitate neque imperio continerentur,
exaudito clamore perturbatis ordinibus omnes in fuga
sibi praesidium ponerent. Ita sine ullo periculo tantam
eorum multitudinem nostri interfecerunt quantum fuit
diei spatium; sub occasum solis sequi destiterunt seque
in castra, ut erat imperatum, receperunt.
Presa la decisione, prima di mezzanotte i Belgi
lasciarono l'accampamento con grande strepito e
tumulto, senza seguire ordini precisi o comandanti.
Ognuno voleva raggiungere la testa della colonna e si
affrettava a rientrare in patria, tanto che la loro partenza
sembrava piuttosto una fuga. Gli osservatori riferirono
immediatamente il fatto a Cesare, ma egli, temendo una
trappola, poiché non aveva ancora capito il motivo della
loro partenza, trattenne l'esercito e la cavalleria
nell'accampamento. All'alba, quando gli esploratori
confermarono la notizia, Cesare mandò in avanti tutta la
cavalleria agli ordini dei legati Q. Pedio e L.
Aurunculeio Cotta, col compito di ostacolare la
retroguardia nemica. Ordinò al legato T. Labieno di
seguirli con tre legioni. I soldati romani assalirono la
retroguardia avversaria e protrassero l'inseguimento per
molte miglia, facendo strage dei Belgi in fuga. Gli ultimi
della colonna nemica, raggiunti, si fermarono e ressero
con vigore all'urto dei nostri; i primi, invece, ritenendosi
fuori pericolo e non essendo trattenuti né dalla necessità,
né da comandanti, non appena udirono i clamori della
battaglia, ruppero l'ordine di marcia e si diedero tutti alla
fuga, cercando di salvarsi. Così, senza correre alcun
pericolo, i nostri uccisero tanti nemici, quanti ne
consentì la durata del giorno. Al tramonto posero fine al
loro inseguimento e, secondo gli ordini ricevuti,
rientrarono all'accampamento.
XII - L'assedio di Noviodunum
Postridie eius diei Caesar, prius quam se hostes ex
terrore ac fuga reciperent, in fines Suessionum, qui
proximi Remis erant, exercitum duxit et magno itinere
[confecto] ad oppidum Noviodunum contendit. Id ex
itinere oppugnare conatus, quod vacuum ab defensoribus
esse audiebat, propter latitudinem fossae murique
altitudinem paucis defendentibus expugnare non potuit.
Castris munitis vineas agere quaeque ad oppugnandum
usui erant comparare coepit. Interim omnis ex fuga
Suessionum multitudo in oppidum proxima nocte
convenit. Celeriter vineis ad oppidum actis, aggere iacto
turribusque constitutis, magnitudine operum, quae neque
viderant ante Galli neque audierant, et celeritate
Romanorum permoti legatos ad Caesarem de deditione
mittunt et petentibus Remis ut conservarentur impetrant.
Nei giorni successivi, prima che i nemici potessero
ristabilirsi dal loro terrore e dalla loro fuga, Cesare
condusse il suo esercito nel territori dei Suessoni, che
sono vicini ai Remi, e avendo compiuto una lunga
marcia, si ferma alla città di nome Noviodunum. Avendo
tentato di prenderla d'assedio durante la sua marcia,
avendo sentito che aveva difensori insufficienti, non fu
capace di prenderla d'assalto, sul conto della larghezza
del fossato e dell'altezza del muro, nonostante lo
difendessero in pochi. Quindi, dopo aver fortificato
l'accampamento, cominciò ad innalzare le vineae, e a
procurare tutte le cose che fossero necessarie all'assedio.
Nel frattempo tutto l'esercito dei Suessoni, dopo la fuga,
arrivò nella città la notte successiva. Essendo state
innalzate velocemente le vineae contro la città, fatto un
terrapieno, e costruite delle torri, i Galli, sorpresi dalla
grandezza delle opere, come non avevano mai visto o
sentito prima, e colpiti dalla spedizione dei Romani,
mandarono degli ambasciatori a Cesare chiedendo di
arrendersi, e riuscirono in seguito nel richiedere ai Remi
che fossero risparmiati. Cesare, avendo ricevuto come
prigionieri gli uomini più grandi dello Stato, ed anche i
due figli del Re Galba stesso; ed essendo state cacciate
tutte le armi dalla città, concedette ai Suessoni una resa,
e guidò il suo esercito contro i Bellovaci.
XIII
Caesar, obsidibus acceptis primis civitatis atque ipsius
Galbae regis duobus filiis armisque omnibus ex oppido
traditis, in deditionem Suessiones accipit exercitumque
in Bellovacos ducit. Qui cum se suaque omnia in
oppidum Bratuspantium contulissent atque ab eo oppido
Caesar cum exercitu circiter milia passuum V abesset,
omnes maiores natu ex oppido egressi manus ad
Caesarem tendere et voce significare coeperunt sese in
eius fidem ac potestatem venire neque contra populum
Romanum armis contendere. Item, cum ad oppidum
accessisset castraque ibi poneret, pueri mulieresque ex
muro passis manibus suo more pacem ab Romanis
petierunt.
Cesare, ricevuti in ostaggio i cittadini più nobili, tra cui
due figli del re Galba stesso, dopo la consegna di tutte le
armi che vi erano in città, accettò la resa dei Suessioni e
guidò l'esercito contro i Bellovaci, asserragliati con tutti
i loro beni nella città di Bratuspanzio. Quando Cesare e
le sue legioni distavano circa cinque miglia, tutti i più
anziani uscirono dalla città e iniziarono a esprimere, a
parole e con le mani protese verso Cesare, l'intenzione di
porsi sotto la sua protezione e autorità e di non
combattere contro il popolo romano. Allo stesso modo,
quando Cesare si era avvicinato alla città e poneva le
tende, dall'alto delle mura i bambini e le donne, con le
mani protese, secondo il loro costume, chiedevano pace
ai Romani.
XIV
Pro his Diviciacus (nam post discessum Belgarum
dimissis Haeduorum copiis ad eum reverterat) facit
verba: Bellovacos omni tempore in fide atque amicitia
civitatis Haeduae fuisse; impulsos ab suis principibus,
qui dicerent Haeduos a Caesare in servitutem redacto.
Omnes indignitates contumeliasque perferre, et ab
Haeduis defecisse et populo Romano bellum intulisse.
Qui eius consilii principes fuissent, quod intellegerent
quantam calamitatem civitati intulissent, in Britanniam
profugisse. Petere non solum Bellovacos, sed etiam pro
his Haeduos, ut sua clementia ac mansuetudine in eos
utatur. Quod si fecerit, Haeduorum auctoritatem apud
omnes Belgas amplificaturum, quorum auxiliis atque
opibus, si qua bella inciderint, sustentare consuerint.
In loro favore parlò Diviziaco, che dopo la ritirata dei
Belgi aveva rimandato in patria le truppe edue e
raggiunto Cesare: i Bellovaci in ogni circostanza si
erano dimostrati alleati e amici degli Edui; a spingere il
popolo erano stati i capi con i loro discorsi, sostenendo
che gli Edui, ridotti in servitù da Cesare, subivano
umiliazioni e offese di ogni sorta; perciò, si erano
staccati dagli Edui e avevano dichiarato guerra al popolo
romano. I responsabili della decisione, consapevoli del
danno provocato alla loro gente, erano fuggiti in
Britannia. Alle preghiere dei Bellovaci, che chiedevano
a Cesare clemenza e generosità, si aggiungeva
l'intercessione degli Edui. E se Cesare avesse
risparmiato i Bellovaci, avrebbe accresciuto l'autorità
degli Edui presso tutti i Belgi, che erano soliti fornire, in
caso di guerra, truppe e mezzi per farvi fronte.
XV
Caesar honoris Diviciaci atque Haeduorum causa sese
eos in fidem recepturum et conservaturum dixit, et quod
erat civitas magna inter Belgas auctoritate atque
hominum multitudine praestabat, DC obsides poposcit.
His traditis omnibusque armis ex oppido conlatis, ab eo
loco in fines Ambianorum pervenit; qui se suaque omnia
sine mora dediderunt. Eorum fines Nervii attingebant.
Quorum de natura moribusque Caesar cum quaereret, sic
reperiebat: nullum esse aditum ad eos mercatoribus;
nihil pati vini reliquarumque rerum ad luxuriam
pertinentium inferri, quod his rebus relanguescere
animos eorum et remitti virtutem existimarent; esse
homines feros magnaeque virtutis; increpitare atque
incusare reliquos Belgas, qui se populo Romano
dedidissent patriamque virtutem proiecissent; confirmare
sese neque legatos missuros neque ullam condicionem
pacis accepturos.
Cesare disse che, per aumentare il prestigio di Diviziaco
e degli Edui, avrebbe accolto e tenuto sotto la sua
protezione i Bellovaci. Poiché erano un popolo di
grande autorità tra i Belgi e molto numerosi, chiese
seicento ostaggi. Gli furono consegnati insieme a tutte le
armi della città. Da lì passò nella regione degli Ambiani,
che senza indugio si posero con tutti i loro beni sotto la
sua autorità. Gli Ambiani confinavano con i Nervi.
Cesare prese informazioni sul carattere e sui costumi di
quest'ultimi e seppe quanto segue: i mercanti non
avevano alcun accesso e i Nervi non permettevano che si
introducessero vino o altri prodotti di lusso, perché
ritenevano che indebolissero gli animi e diminuissero la
loro forza; gente rude e molto valorosa, accusavano
duramente gli altri Belgi di essersi arresi al popolo
romano e di aver rinnegato la virtù dei padri;
assicuravano che non avrebbero inviato ambascerie. né
accettato la pace, a nessuna condizione.
XVI
Cum per eorum fines triduum iter fecisset, inveniebat ex Cesare, dopo tre giorni di marcia nella regione dei
captivis Sabim flumen a castris suis non amplius milibus Nervi, veniva a sapere dai prigionieri che il fiume
passuum X abesse; trans id flumen omnes Nervios
consedisse adventumque ibi Romanorum expectare una
cum Atrebatibus et Viromanduis, finitimis suis (nam his
utrisque persuaserant uti eandem belli fortunam
experirentur); expectari etiam ab iis Atuatucorum copias
atque esse in itinere; mulieres quique per aetatem ad
pugnam inutiles viderentur in eum locum coniecisse quo
propter paludes exercitui aditus non esset.
Sambre non distava più di dieci miglia dal suo
accampamento: al di là del fiume si erano attestati tutti i
Nervi e aspettavano l'arrivo dei Romani insieme agli
Atrebati e ai Viromandui, loro confinanti (li avevano
persuasi, infatti, a tentare la stessa sorte in guerra);
attendevano anche le truppe degli Atuatuci, che erano in
marcia; le donne e chi, per ragioni d'età, non poteva
essere impiegato in guerra, erano stati ammassati in un
luogo che le paludi rendevano inaccessibile a un
esercito.
XVII
His rebus cognitis, exploratores centurionesque
praemittit qui locum castris idoneum deligant. Cum ex
dediticiis Belgis reliquisque Gallis complures Caesarem
secuti una iter facerent, quidam ex his, ut postea ex
captivis cognitum est, eorum dierum consuetudine
itineris nostri exercitus perspecta, nocte ad Nervios
pervenerunt atque his demonstrarunt inter singulas
legiones impedimentorum magnum numerum
intercedere, neque esse quicquam negotii, cum prima
legio in castra venisset reliquaeque legiones magnum
spatium abessent, hanc sub sarcinis adoriri; qua pulsa
impedimentisque direptis, futurum ut reliquae contra
consistere non auderent. Adiuvabat etiam eorum
consilium qui rem deferebant quod Nervii antiquitus,
cum equitatu nihil possent (neque enim ad hoc tempus ei
rei student, sed quicquid possunt, pedestribus valent
copiis), quo facilius finitimorum equitatum, si praedandi
causa ad eos venissent, impedirent, teneris arboribus
incisis atque inflexis crebrisque in latitudinem ramis
enatis [et] rubis sentibusque interiectis effecerant ut
instar muri hae saepes munimentum praeberent, quo non
modo non intrari sed ne perspici quidem posset. His
rebus cum iter agminis nostri impediretur, non
omittendum sibi consilium Nervii existimaverunt.
Avute tali informazioni, mandò in avanscoperta alcuni
esploratori e centurioni con l'incarico di scegliere una
zona adatta per accamparsi. Al seguito di Cesare c'erano
parecchi Belgi che avevano giurato sottomissione e altri
Galli. Alcuni di essi, come si seppe in seguito dai
prigionieri, dopo aver osservato l'ordine di marcia fin lì
tenuto dal nostro esercito, di notte raggiunsero i Nervi e
riferirono che tra le singole legioni procedeva un gran
numero di salmerie, per cui non era affatto difficile
assalire la prima legione non appena fosse giunta al
campo, mentre le altre erano lontane e i soldati ancora
impacciati dagli zaini. Una volta messa in fuga la prima
legione e saccheggiate le salmerie, le rimanenti legioni
non avrebbero osato opporre resistenza. Un altro
elemento giocava a favore del piano degli informatori:
fin dai tempi più antichi i Nervi non avevano contingenti
di cavalleria (neppure ai giorni nostri si preoccupano di
averne, ma tutta la loro forza risiede nella fanteria); così,
per ostacolare, in caso di razzia, i cavalieri dei popoli
limitrofi, incidevano gli alberi ancora giovani e li
piegavano, costringendo i rami a crescere, fitti, in senso
orizzontale; tra gli alberi, poi, piantavano rovi e arbusti
spinosi in modo che le siepi formassero una barriera
simile a un muro, impedendo non solo il passaggio, ma
anche la vista. Dato che il nostro esercito avrebbe
trovato sulla sua strada tali ostacoli, i Nervi ritennero di
non dover scartare il piano proposto.
XVIII
Loci natura erat haec, quem locum nostri castris
delegerant. Collis ab summo aequaliter declivis ad
flumen Sabim, quod supra nominavimus, vergebat. Ab
eo flumine pari acclivitate collis nascebatur adversus
huic et contrarius, passus circiter CC infimus apertus, ab
superiore parte silvestris, ut non facile introrsus perspici
posset. Intra eas silvas hostes in occulto sese
continebant; in aperto loco secundum flumen paucae
stationes equitum videbantur. Fluminis erat altitudo
pedum circiter trium.
La conformazione naturale del luogo, scelto dai nostri
per l'accampamento, era la seguente: un colle, che
digradava in modo uniforme, scendeva fino alla Sambre,
fiume di cui abbiamo già fatto cenno. Sulla riva opposta,
proprio di fronte, sorgeva un altro colle che aveva
identica pendenza: in basso, per un tratto di circa
duecento passi, era brullo, mentre sulla cima aveva fitti
boschi, impenetrabili alla vista. Qui i nemici si tenevano
nascosti; nella zona senza vegetazione, lungo il fiume, si
vedevano poche squadre di cavalleria. La profondità del
fiume era di circa tre piedi.
XIX
Caesar equitatu praemisso subsequebatur omnibus
copiis; sed ratio ordoque agminis aliter se habebat ac
Belgae ad Nervios detulerant. Nam quod hostibus
adpropinquabat, consuetudine sua Caesar VI legiones
Cesare, mandata in avanti la cavalleria, la seguiva con
tutte le truppe. La disposizione e l'ordine di marcia,
però, erano diversi da quelli che i Belgi avevano riferito
ai Nervi. Infatti, trovandosi in prossimità del nemico,
expeditas ducebat; post eas totius exercitus impedimenta
conlocarat; inde duae legiones quae proxime conscriptae
erant totum agmen claudebant praesidioque
impedimentis erant. Equites nostri cum funditoribus
sagittariisque flumen transgressi cum hostium equitatu
proelium commiserunt. Cum se illi identidem in silvis ad
suos reciperent ac rursus ex silva in nostros impetum
facerent, neque nostri longius quam quem ad finem
porrecta [ac] loca aperta pertinebant cedentes insequi
auderent, interim legiones VI quae primae venerant,
opere dimenso, castra munire coeperunt. Ubi prima
impedimenta nostri exercitus ab iis qui in silvis abditi
latebant visa sunt, quod tempus inter eos committendi
proelii convenerat, ut intra silvas aciem ordinesque
constituerant atque ipsi sese confirmaverant, subito
omnibus copiis provolaverunt impetumque in nostros
equites fecerunt. His facile pulsis ac proturbatis,
incredibili celeritate ad flumen decucurrerunt, ut paene
uno tempore et ad silvas et in flumine [et iam in manibus
nostris] hostes viderentur. Eadem autem celeritate
adverso colle ad nostra castra atque eos qui in opere
occupati erant contenderunt.
Cesare, secondo la sua abitudine, faceva avanzare libere
da carichi le sei legioni, ponendo dietro di esse i bagagli
di tutto l'esercito; le due legioni di recente arruolate
chiudevano lo schieramento e presidiavano le salmerie.
La nostra cavalleria, insieme ai frombolieri e agli arcieri,
attraversò il fiume e si scontrò con i cavalieri avversari. I
nemici sistematicamente si ritiravano nei boschi presso i
loro e, da lì, attaccavano i nostri, che non osavano
inseguire i fuggitivi oltre il limite segnato dalla zona
pianeggiante e senza vegetazione. Nel frattempo, le sei
legioni che erano in testa, tracciato lo spazio, iniziarono
a fortificare il campo. I nemici, nascosti nelle selve,
avevano già formato le linee di attacco e le file,
spronandosi alla lotta: non appena videro i primi carri
del nostro esercito - era il segnale convenuto per
l'attacco - in massa si lanciarono in avanti e puntarono
contro i nostri cavalieri. Li volsero in fuga e dispersero
con facilità, poi scesero di corsa verso il fiume,
velocissimi: sembrava quasi che fossero, nello stesso
istante, sul limitare dei boschi, nel fiume e già addosso
ai nostri. Poi, con altrettanta rapidità, salirono il colle
opposto dirigendosi contro il nostro accampamento e i
legionari intenti ai lavori di fortificazione.
XX
Caesari omnia uno tempore erant agenda: vexillum
proponendum, quod erat insigne, cum ad arma concurri
oporteret; signum tuba dandum; ab opere revocandi
milites; qui paulo longius aggeris petendi causa
processerant arcessendi; acies instruenda; milites
cohortandi; signum dandum. Quarum rerum magnam
partem temporis brevitas et incursus hostium
impediebat. His difficultatibus duae res erant subsidio,
scientia atque usus militum, quod superioribus proeliis
exercitati quid fieri oporteret non minus commode ipsi
sibi praescribere quam ab aliis doceri poterant, et quod
ab opere singulisque legionibus singulos legatos Caesar
discedere nisi munitis castris vetuerat. Hi propter
propinquitatem et celeritatem hostium nihil iam Caesaris
imperium expectabant, sed per se quae videbantur
administrabant.
Cesare si trovò a dover far tutto contemporaneamente:
inalberare il vessillo, con cui si dava l'avviso di correre
alle armi, ordinare gli squilli di tromba, richiamare i
soldati dai lavori, comandare il rientro ai legionari che si
erano un po' allontanati in cerca di materiale, formare la
linea di combattimento, esortare i soldati e dare il
segnale d'attacco. La mancanza di tempo e l'incalzare dei
nemici impedivano di eseguire la maggior parte delle
suddette operazioni. A fronte di tali difficoltà due fattori
erano d'aiuto: primo, la perizia e l'esperienza dei nostri
soldati, che, addestrati dalle precedenti battaglie, erano
in grado di imporsi da soli la condotta necessaria non
meno tranquillamente che se avessero ricevuto precise
istruzioni da altri; secondo, l'obbligo imposto da Cesare
ai vari legati di non allontanarsi dalla propria legione
prima del termine dei lavori. I legati, vista la vicinanza e
la rapidità dei nemici, non stettero ad aspettare ordini da
Cesare, ma prendevano personalmente le disposizioni
che ritenevano opportune.
XXI
Caesar, necessariis rebus imperatis, ad cohortandos
milites, quam [in] partem fors obtulit, decucurrit et ad
legionem decimam devenit. Milites non longiore
oratione cohortatus quam uti suae pristinae virtutis
memoriam retinerent neu perturbarentur animo
hostiumque impetum fortiter sustinerent, quod non
longius hostes aberant quam quo telum adigi posset,
proelii committendi signum dedit. Atque in alteram item
cohortandi causa profectus pugnantibus occurrit.
Temporis tanta fuit exiguitas hostiumque tam paratus ad
dimicandum animus ut non modo ad insignia
accommodanda sed etiam ad galeas induendas scutisque
tegimenta detrahenda tempus defuerit. Quam quisque ab
Cesare, impartiti gli ordini necessari, corse a spronare i
soldati, guidato dal caso: capitò dalla decima legione. Si
limitò a incitare i soldati a ricordarsi dell'antico valore, a
non lasciarsi turbare, a reggere con vigore all'assalto
nemico. Dato che i Nervi erano quasi a tiro e i nostri
potevano colpirli con le frecce, diede il segnale
d'attacco. E poi si precipitò in un'altra direzione, sempre
con lo scopo di incoraggiare i soldati, ma li trovò che
stavano già combattendo. Il tempo fu talmente breve e i
nemici così risoluti che i nostri non riuscirono non solo
ad applicare i fregi, ma neppure a mettersi in testa gli
elmi o a togliere le fodere dagli scudi. Chi tornava dai
lavori si fermò dove capitava, presso le prime insegne
opere in partem casu devenit quaeque prima signa
conspexit, ad haec constitit, ne in quaerendis suis
pugnandi tempus dimitteret.
che vide, per non perdere tempo alla ricerca della sua
unità di appartenenza.
XXII
Instructo exercitu magis ut loci natura [deiectusque
collis] et necessitas temporis quam ut rei militaris ratio
atque ordo postulabat, cum diversae legiones aliae alia
in parte hostibus resisterent saepibusque densissimis, ut
ante demonstravimus, interiectis prospectus impediretur,
neque certa subsidia conlocari neque quid in quaque
parte opus esset provideri neque ab uno omnia imperia
administrari poterant. Itaque in tanta rerum iniquitate
fortunae quoque eventus varii sequebantur.
L'esercito fu schierato tenendo presente non tanto i
dettami della tecnica militare, quanto la conformazione
naturale del luogo, il pendio del colle e le circostanze.
Le legioni, operando separate, resistevano ai nemici in
zone diverse. Siepi fittissime, come si è detto in
precedenza, erano frapposte e impedivano la vista. Non
era possibile predisporre adeguati contingenti di riserva
e provvedere alle necessità di ciascun settore, era
esclusa l'unità di comando. Perciò, in tanta disparità di
situazioni, era inevitabile che la fortuna giocasse ruoli
diversi sul campo di battaglia.
XXIII
Legionis VIIII. et X. milites, ut in sinistra parte aciei
constiterant, pilis emissis cursu ac lassitudine
exanimatos vulneribusque confectos Atrebates (nam his
ea pars obvenerat) celeriter ex loco superiore in flumen
compulerunt et transire conantes insecuti gladiis
magnam partem eorum impeditam interfecerunt. Ipsi
transire flumen non dubitaverunt et in locum iniquum
progressi rursus resistentes hostes redintegrato proelio in
fugam coniecerunt. Item alia in parte diversae duae
legiones, XI. et VIII., profligatis Viromanduis,
quibuscum erant congressae, ex loco superiore in ipsis
fluminis ripis proeliabantur. At totis fere castris a fronte
et a sinistra parte nudatis, cum in dextro cornu legio XII.
et non magno ab ea intervallo VII. constitisset, omnes
Nervii confertissimo agmine duce Boduognato, qui
summam imperii tenebat, ad eum locum contenderunt;
quorum pars ab aperto latere legiones circumvenire, pars
summum castrorum locum petere coepit.
I soldati della nona e della decima legione, schierati
all'ala sinistra, lanciarono i giavellotti e respinsero
rapidamente i nemici che avevano di fronte, gli Atrebati,
rimasti senza fiato per la corsa e sfiniti dalle ferite; li
costrinsero a retrocedere dall'alto fino al fiume e qui,
mentre tentavano il guado e si trovavano in difficoltà, li
inseguirono con le spade in pugno e ne fecero strage.
Poi senza esitazione attraversarono il fiume e
avanzarono, anche se la posizione era sfavorevole; i
nemici, a loro volta, opposero resistenza, riaprendo la
battaglia, ma i nostri li volsero in fuga. E anche in un
altro settore, due legioni, l'undicesima e l'ottava, agendo
separatamente, avevano respinto dalla sommità del colle
i Viromandui, con i quali si erano scontrate, e
combattevano ormai sulla riva del fiume. Ma quasi tutto
l'accampamento sulla fronte e sulla sinistra era rimasto
sguarnito (la dodicesima legione e, non lontano, la
settima avevano preso posto all'ala destra), perciò lì
puntarono tutti i Nervi in formazione compatta, sotto la
guida di Boduognato, il comandante in capo. Parte di
essi iniziò una manovra di aggiramento per sorprendere
le legioni dal fianco scoperto, parte si diresse verso la
sommità del nostro campo.
XXIV
Eodem tempore equites nostri levisque armaturae
pedites, qui cum iis una fuerant, quos primo hostium
impetu pulsos dixeram, cum se in castra reciperent,
adversis hostibus occurrebant ac rursus aliam in partem
fugam petebant; et calones, qui ab decumana porta ac
summo iugo collis nostros victores flumen transire
conspexerant, praedandi causa egressi, cum respexissent
et hostes in nostris castris versari vidissent, praecipites
fugae sese mandabant. Simul eorum qui cum
impedimentis veniebant clamor fremitusque oriebatur,
aliique aliam in partem perterriti ferebantur. Quibus
omnibus rebus permoti equites Treveri, quorum inter
Gallos virtutis opinio est singularis, qui auxilii causa a
civitate missi ad Caesarem venerant, cum multitudine
hostium castra [nostra] compleri, legiones premi et
In quel mentre, rientravano nell'accampamento i nostri
cavalieri e i fanti armati alla leggera, che a essi si erano
affiancati (entrambi erano stati messi in fuga, come
avevamo detto, al primo assalto dei Nervi). Trovandosi
di fronte i nemici, si sbandarono di nuovo, in un'altra
direzione. I caloni, invece, che dalla porta decumana e
dalla sommità del colle avevano visto i nostri, vittoriosi,
portarsi oltre il fiume, uscivano dall'accampamento per
far bottino, ma, dopo essersi voltati e aver scorto i
nemici nel nostro campo, scapparono precipitosamente.
Nello stesso istante si levavano le grida e gli strepiti
degli addetti alle salmerie: in preda al panico, si
lanciarono dove capitava. Scossi da tale confusione, i
cavalieri dei Treveri, che pure rispetto agli altri Galli
godono di una fama di straordinario valore e che erano
paene circumventas teneri, calones, equites, funditores,
Numidas diversos dissipatosque in omnes partes fugere
vidissent, desperatis nostris rebus domum contenderunt:
Romanos pulsos superatosque, castris impedimentisque
eorum hostes potitos civitati renuntiaverunt.
stati mandati dal loro popolo a Cesare come rinforzo,
quando videro il campo romano pieno di nemici, le
legioni pressate da vicino e quasi circondate, i caloni, i
cavalieri, i frombolieri e i Numidi dispersi in fuga
disordinata, si diressero in patria, convinti che la nostra
situazione fosse disperata; al loro popolo annunciarono
che i Romani erano stati sconfitti e debellati e che i
nemici si erano impossessati dell'accampamento e delle
salmerie.
XXV
Caesar ab X. legionis cohortatione ad dextrum cornu
profectus, ubi suos urgeri signisque in unum locum
conlatis XII. legionis confertos milites sibi ipsos ad
pugnam esse impedimento vidit, quartae cohortis
omnibus centurionibus occisis signiferoque interfecto,
signo amisso, reliquarum cohortium omnibus fere
centurionibus aut vulneratis aut occisis, in his primipilo
P. Sextio Baculo, fortissimo viro, multis gravibusque
vulneribus confecto, ut iam se sustinere non posset,
reliquos esse tardiores et non nullos ab novissimis
deserto loco proelio excedere ac tela vitare, hostes
neque a fronte ex inferiore loco subeuntes intermittere et
ab utroque latere instare et rem esse in angusto vidit,
neque ullum esse subsidium quod submitti posset, scuto
ab novissimis [uni] militi detracto, quod ipse eo sine
scuto venerat, in primam aciem processit
centurionibusque nominatim appellatis reliquos
cohortatus milites signa inferre et manipulos laxare
iussit, quo facilius gladiis uti possent. Cuius adventu spe
inlata militibus ac redintegrato animo, cum pro se
quisque in conspectu imperatoris etiam in extremis suis
rebus operam navare cuperet, paulum hostium impetus
tardatus est.
Cesare, terminato il suo discorso alla decima legione, si
diresse verso l'ala destra, dove vide che i suoi erano alle
strette e che i soldati della dodicesima legione, vicini
l'uno all'altro, si impacciavano a vicenda, perché le
insegne erano state raccolte in un sol luogo; tutti i
centurioni e un vessillifero della quarta coorte erano
caduti, il vessillo perduto, quasi tutti i centurioni delle
altre coorti morti o feriti; tra di essi il primipilo P. Sestio
Baculo, soldato di grandissimo valore, non riusciva più a
reggersi in piedi, sfinito com'era dalle numerose e gravi
ferite; gli altri andavano esaurendo le forze e alcuni
della retroguardia, rimasti senza comandanti, lasciavano
la mischia e si sottraevano ai colpi; il nemico non
cessava di avanzare dal basso frontalmente e di premere
dai lati. Quando vide che la situazione era critica e che
non aveva truppe di rincalzo, prese lo scudo a un soldato
della retroguardia (perché era giunto fin lì senza),
avanzò in prima linea, si rivolse ai centurioni
chiamandoli per nome, uno per uno, arringò i soldati e
diede l'ordine di muovere all'attacco e di allargare i
manipoli, perché i nostri potessero usare le spade con
maggior facilità. Il suo arrivo infuse fiducia nei soldati e
restituì loro il coraggio: ciascuno, pur in una situazione
di estremo pericolo, voleva dar prova di valore agli
occhi del comandante, per cui l'impeto dei nemici per un
po' venne frenato.
XXVI
Caesar, cum VII. legionem, quae iuxta constiterat, item
urgeri ab hoste vidisset, tribunos militum monuit ut
paulatim sese legiones coniungerent et conversa signa in
hostes inferrent. Quo facto cum aliis alii subsidium
ferrent neque timerent ne aversi ab hoste
circumvenirentur, audacius resistere ac fortius pugnare
coeperunt. Interim milites legionum duarum quae in
novissimo agmine praesidio impedimentis fuerant,
proelio nuntiato, cursu incitato in summo colle ab
hostibus conspiciebantur, et T.Labienus castris hostium
potitus et ex loco superiore quae res in nostris castris
gererentur conspicatus X.legionem subsidio nostris
misit. Qui cum ex equitum et calonum fuga quo in loco
res esset quantoque in periculo et castra et legiones et
imperator versaretur cognovissent, nihil ad celeritatem
sibi reliqui fecerunt.
Cesare, quando si accorse che anche la settima legione,
lì a fianco, era in difficoltà, comandò ai tribuni militari
di avvicinare gradualmente le due legioni e, operata una
conversione, di muovere all'assalto. La manovra permise
ai soldati di aiutarsi reciprocamente e i nostri, adesso
che non temevano più l'accerchiamento, iniziarono a
resistere con maggior coraggio e a combattere con più
vigore. Nel frattempo, i soldati delle due legioni della
retroguardia, che presidiavano le salmerie, non appena
ebbero notizia dello scontro, raggiunsero di corsa la
cima del colle e lì apparvero ai nemici. E T. Labieno,
conquistato il campo dei Nervi, dopo aver visto dall'alto
che cosa stava accadendo nel nostro, mandò in rinforzo
la decima legione. Dalla fuga dei cavalieri e dei caloni i
soldati si resero conto di come stavano le cose e di quale
minaccia incombesse sul campo, sulle legioni e sul
comandante e si impegnarono al massimo per arrivare al
più presto.
XXVII
Horum adventu tanta rerum commutatio est facta ut
nostri, etiam qui vulneribus confecti procubuissent,
scutis innixi proelium redintegrarent, calones perterritos
hostes conspicati etiam inermes armatis occurrerent,
equites vero, ut turpitudinem fugae virtute delerent,
omnibus in locis pugnae se legionariis militibus
praeferrent. At hostes, etiam in extrema spe salutis,
tantam virtutem praestiterunt ut, cum primi eorum
cecidissent, proximi iacentibus insisterent atque ex
eorum corporibus pugnarent, his deiectis et coacervatis
cadaveribus qui superessent ut ex tumulo tela in nostros
conicerent et pila intercepta remitterent: ut non
nequiquam tantae virtutis homines iudicari deberet ausos
esse transire latissimum flumen, ascendere altissimas
ripas, subire iniquissimum locum; quae facilia ex
difficillimis animi magnitudo redegerat.
Il loro arrivo capovolse la situazione: perfino i nostri
feriti si rialzavano da terra appoggiandosi agli scudi e
riprendevano a combattere. I caloni, avendo visto i
nemici impauriti, affrontavano anche disarmati chi era
armato. I cavalieri, poi, per cancellare la vergogna della
fuga con una prova di valore, in tutte le zone dello
scontro precedevano i legionari. Ma i nemici, anche
ridotti quasi alla disperazione, diedero prova di
grandissimo valore, al punto che i soldati delle seconde
file salivano sui corpi dei primi caduti e da lì
combattevano; abbattuti anch'essi, si formavano mucchi
di cadaveri, dai quali i superstiti, come da un tumulo,
lanciavano frecce sui nostri e scagliavano indietro i
giavellotti da essi intercettati. Non era da ritenersi senza
ragione che uomini così valorosi avessero osato
attraverso un fiume larghissimo, scalare un monte tanto
alto e muovere all'attacco da una posizione
assolutamente sfavorevole: il loro eroismo aveva reso
facili delle imprese estremamente difficili.
XXVIII
Hoc proelio facto et prope ad internecionem gente ac
nomine Nerviorum redacto, maiores natu, quos una cum
pueris mulieribusque in aestuaria ac paludes coniectos
dixeramus, hac pugna nuntiata, cum victoribus nihil
impeditum, victis nihil tutum arbitrarentur, omnium qui
supererant consensu legatos ad Caesarem miserunt seque
ei dediderunt; et in commemoranda civitatis calamitate
ex DC ad tres senatores, ex hominum milibus LX vix ad
D, qui arma ferre possent, sese redactos esse dixerunt.
Quos Caesar, ut in miseros ac supplices usus
misericordia videretur, diligentissime conservavit
suisque finibus atque oppidis uti iussit et finitimis
imperavit ut ab iniuria et maleficio se suosque
prohiberent.
Con la battaglia era pressoché annientata la stirpe e il
nome dei Nervi. I più anziani, che con le donne e i
bambini, come si era detto, si trovavano negli stagni e
nelle paludi, non appena seppero l'esito dello scontro,
considerando che nulla avrebbe ostacolato i vincitori o
tutelato i vinti, con il consenso di tutti i superstiti
mandarono a Cesare dei messi e si arresero.
Menzionando la disfatta subita, gli dissero che di
seicento senatori tre soli erano sopravvissuti e che di
sessantamila uomini in grado di combattere se ne erano
salvati a malapena cinquecento. Cesare, per render
palese la sua clemenza nei confronti dei miseri e dei
supplici, li tutelò con ogni cura, permise ai Nervi di
mantenere territori e città, ingiunse ai popoli limitrofi e
ai loro alleati di non provocare offese o danni.
XXIX
Atuatuci, de quibus supra diximus, cum omnibus copiis
auxilio Nerviis venirent, hac pugna nuntiata ex itinere
domum reverterunt; cunctis oppidis castellisque desertis
sua omnia in unum oppidum egregie natura munitum
contulerunt. Quod cum ex omnibus in circuitu partibus
altissimas rupes deiectusque haberet, una ex parte leniter
acclivis aditus in latitudinem non amplius pedum CC
relinquebatur; quem locum duplici altissimo muro
munierant; tum magni ponderis saxa et praeacutas trabes
in muro conlocabant. Ipsi erant ex Cimbris Teutonisque
prognati, qui, cum iter in provinciam nostram atque
Italiam facerent, iis impedimentis quae secum agere ac
portare non poterant citra flumen Rhenum depositis
custodiam [ex suis] ac praesidium VI milia hominum
una reliquerant. Hi post eorum obitum multos annos a
finitimis exagitati, cum alias bellum inferrent, alias
inlatum defenderent, consensu eorum omnium pace facta
hunc sibi domicilio locum delegerant.
Gli Atuatuci - ne abbiamo parlato prima - stavano
accorrendo con l'esercito al completo in aiuto dei Nervi,
ma, non appena fu loro riferito l'esito dello scontro,
senza neppure fermarsi rientrarono in patria.
Abbandonata ogni città o torre fortificata, si
asserragliarono con tutti i loro beni in una sola
roccaforte, molto ben difesa per posizione naturale. Da
ogni lato la circondavano altissime rupi, da dove la vista
dominava; in un solo punto si apriva un accesso, in lieve
pendio, non più largo di duecento passi: lo avevano
fortificato con un duplice muro, altissimo, e ora vi
collocavano massi enormi e travi molto acuminate. Gli
Atuatuci discendevano dai Cimbri e dai Teutoni, i quali
all'epoca della loro penetrazione nella nostra provincia e
in Italia avevano lasciato al di qua del Reno le salmerie
che non si potevano portare dietro, affidandole a seimila
dei loro, incaricati di custodirle e proteggerle. Costoro,
dopo l'annientamento dei Cimbri e dei Teutoni, per
molti anni tormentati dai popoli di confine, sostennero
guerre attaccando o difendendosi. Fatta la pace, con il
consenso generale delle genti limitrofe, si erano scelti
come sede la regione in cui si trovavano.
XXX
Ac primo adventu exercitus nostri crebras ex oppido
excursiones faciebant parvulisque proeliis cum nostris
contendebant; postea vallo pedum XII in circuitu
quindecim milium crebrisque castellis circummuniti
oppido sese continebant. Ubi vineis actis aggere extructo
turrim procul constitui viderunt, primum inridere ex
muro atque increpitare vocibus, quod tanta machinatio a
tanto spatio institueretur: quibusnam manibus aut quibus
viribus praesertim homines tantulae staturae (nam
plerumque omnibus Gallis prae magnitudine corporum
quorum brevitas nostra contemptui est) tanti oneris
turrim in muro sese posse conlocare confiderent?
In un primo tempo, dopo l'arrivo del nostro esercito, gli
Atuatuci effettuavano spesso sortite e si misuravano con
i nostri in scaramucce di poco conto; in seguito, quando
vennero circondati da un vallo di quindici miglia di
perimetro con numerose ridotte, si tenevano entro le
mura della città. Le vinee erano già state spinte in avanti
e il terrapieno costruito; ma, quando videro che stavamo
preparando, lontano, una torre, dalle mura
incominciarono subito a deriderci e a gridare perché mai
un marchingegno così grande veniva costruito a tanta
distanza: su quali mani e quale forza i Romani, piccoletti
com'erano (tutti i Galli, infatti, per lo più disprezzano la
nostra statura a confronto dell'imponenza del loro
fisico), facevano conto per avvicinare alle mura una
torre così pesante?
XXXI - Gli Aduatici chiedono la resa
Ubi vero moveri et adpropinquare muris viderunt, nova
atque inusitata specie commoti legatos ad Caesarem de
pace miserunt, qui ad hunc modum locuti; non se
existimare Romanos sine ope divina bellum gerere, qui
tantae altitudinis machinationes tanta celeritate
promovere possent; se suaque omnia eorum potestati
permittere dixerunt. Unum petere ac deprecari: si forte
pro sua clementia ac mansuetudine, quam ipsi ab aliis
audirent, statuisset Atuatucos esse conservandos, ne se
armis despoliaret. Sibi omnes fere finitimos esse
inimicos ac suae virtuti invidere; a quibus se defendere
traditis armis non possent. Sibi praestare, si in eum
casum deducerentur, quamvis fortunam a populo
Romano pati quam ab his per cruciatum interfici inter
quos dominari consuessent.
Come videro che esso era spostato, e si stava
avvicinando alle loro mura, spaventati dalla vista nuova
e non abituale, mandarono degli ambasciatori a Cesare
per trattare la pace; i quali parlarono a questo modo; essi
non credono che i Romani non portano la guerra senza
aiuto divino, poiché sono in grado di muovere macchine
di così grande altezza con così grande velocità; essi
dissero che i loro possedimenti erano suoi. Chiedevano e
pregavano una cosa: che se per caso, per la sua
clemenza ed umanità, che essi avevano udito da altri, gli
Aduatuci fossero risparmiati, non fossero privati delle
loro armi. Poiché tutti i popoli con loro confinanti erano
loro nemici, ed invidiavano il loro coraggio; dai quali
essi non si possono difendere prese le armi. Era meglio
per loro, se fossero stati ridotti in quello stato, che
avessero patito qualsiasi destino dal popolo Romano,
piuttosto che essere torturati a morte da coloro tra i quali
erano abituati a dominare.
XXXII
Ad haec Caesar respondit: se magis consuetudine sua
quam merito eorum civitatem conservaturum, si prius
quam murum aries attigisset se dedidissent; sed
deditionis nullam esse condicionem nisi armis traditis.
Se id quod in Nerviis fecisset facturum finitimisque
imperaturum ne quam dediticiis populi Romani iniuriam
inferrent. Re renuntiata ad suos illi se quae imperarentur
facere dixerunt. Armorum magna multitudine de muro in
fossam, quae erat ante oppidum, iacta, sic ut prope
summam muri aggerisque altitudinem acervi armorum
adaequarent, et tamen circiter parte tertia, ut postea
perspectum est, celata atque in oppido retenta, portis
patefactis eo die pace sunt usi.
Alle loro richieste Cesare rispose: avrebbe risparmiato il
popolo degli Atuatuci, per proprio costume più che per
loro merito, se si fossero arresi prima che l'ariete avesse
toccato le mura: ma l'unica condizione di resa era la
consegna delle armi. Si sarebbe regolato come con i
Nervi, ordinando ai popoli confinanti di non infliggere
torti a chi si era arreso al popolo romano. Le parole di
Cesare furono riferite e gli Atuatuci si dichiararono
disposti a obbedire. Dal muro gettarono nel fosso, che
correva davanti alla città, una tale quantità di armi, che il
cumulo raggiungeva quasi la sommità del muro e
l'altezza del nostro terrapieno: e tuttavia - lo si scoprì in
seguito - si erano tenuti e avevano nascosto in città circa
un terzo delle armi. Aperte le porte, per quel giorno
rimasero tranquilli.
XXXIII
Sub vesperum Caesar portas claudi militesque ex oppido
exire iussit, ne quam noctu oppidani a militibus iniuriam
acciperent. Illi ante inito, ut intellectum est, consilio,
quod deditione facta nostros praesidia deducturos aut
denique indiligentius servaturos crediderant, partim cum
iis quae retinuerant et celaverant armis, partim scutis ex
cortice factis aut viminibus intextis, quae subito, ut
temporis exiguitas postulabat, pellibus induxerant, tertia
vigilia, qua minime arduus ad nostras munitiones
accensus videbatur, omnibus copiis repente ex oppido
eruptionem fecerunt. Celeriter, ut ante Caesar
imperaverat, ignibus significatione facta, ex proximis
castellis eo concursum est, pugnatumque ab hostibus ita
acriter est ut a viris fortibus in extrema spe salutis iniquo
loco contra eos qui ex vallo turribusque tela iacerent
pugnari debuit, cum in una virtute omnis spes
consisteret. Occisis ad hominum milibus IIII reliqui in
oppidum reiecti sunt. Postridie eius diei refractis portis,
cum iam defenderet nemo, atque intromissis militibus
nostris, sectionem eius oppidi universam Caesar
vendidit. Ab iis qui emerant capitum numerus ad eum
relatus est milium LIII.
Verso sera Cesare ordinò che le porte venissero chiuse e
che i soldati romani lasciassero la città, perché non si
verificassero atti di violenza nei confronti della
popolazione. Gli Atuatuci, come si capì in seguito,
avevano architettato un piano, pensando che i nostri,
dopo la resa, avrebbero tolto i presidi o, almeno,
avrebbero allentato la sorveglianza. Perciò, con le armi
che si erano tenute e avevano nascosto oppure con scudi
di corteccia o vimini intrecciati, ricoperti di pelli sul
momento, come richiedeva l'esiguo tempo a
disposizione, dopo mezzanotte tentarono in massa
un'improvvisa sortita, puntando contro le nostre
fortificazioni per la via meno erta. Rapidamente, come
da ordine precedente di Cesare, furono fatte segnalazioni
coi fuochi e dalle ridotte più vicine accorsero i nostri. Il
nemico si batté con accanimento, come si addice a
guerrieri valorosi che, costretti a lottare, nel momento
estremo e in una posizione difficile, contro avversari che
scagliavano su di loro frecce dal vallo e dalle torri,
ripongono ogni speranza di salvezza solo nel proprio
valore. Ne furono uccisi circa quattromila, gli altri
vennero ricacciati in città. Il giorno seguente furono
abbattute le porte, ormai sguarnite, e i nostri soldati
entrarono in città. Cesare vendette all'asta tutto quanto il
bottino. I compratori gli riferirono il numero dei
prigionieri: cinquantatremila.
XXXIV
Eodem tempore a P. Crasso, quem cum legione una
miserat ad Venetos, Venellos, Osismos, Coriosolitas,
Esuvios, Aulercos, Redones, quae sunt maritimae
civitates Oceanumque attingunt, certior factus est omnes
eas civitates in dicionem potestatemque populi Romani
esse redactas.
Nello stesso tempo P. Crasso, che era stato mandato con
una legione nelle terre dei Veneti, degli Unelli, degli
Osismi, dei Coriosoliti, degli Esuvi, degli Aulerci e dei
Redoni, popoli marittimi che si affacciano sull'Oceano,
informò Cesare di averli sottomessi tutti all'autorità e al
dominio di Roma.
XXXV
His rebus gestis omni Gallia pacata, tanta huius belli ad
barbaros opinio perlata est uti ab iis nationibus quae
trans Rhenum incolerent legationes ad Caesarem
mitterentur, quae se obsides daturas, imperata facturas
pollicerentur. Quas legationes Caesar, quod in Italiam
Illyricumque properabat, inita proxima aestate ad se
reverti iussit. Ipse in Carnutes, Andes, Turonos quaeque
civitates propinquae iis locis erant ubi bellum gesserat,
legionibus in hiberna deductis, in Italiam profectus est.
Ob easque res ex litteris Caesaris dierum XV supplicatio
decreta est, quod ante id tempus accidit nulli.
Portate a termine tali imprese e pacificata la Gallia, si
diffuse tra i barbari una tale fama di questa guerra, che i
popoli d'oltre Reno inviarono a Cesare ambascerie
impegnandosi alla consegna di ostaggi e all'obbedienza.
Cesare, che aveva fretta di partire per l'Italia e l'Illirico,
invitò i messi delle legazioni a ripresentarsi all'inizio
dell'estate successiva. E, condotte le legioni negli
accampamenti invernali, nelle terre dei Carnuti, degli
Andi, dei Turoni e dei popoli vicini ai luoghi in cui
avevano combattuto, se ne partì per l'Italia. In seguito
alle sue imprese, comunicate per lettera da Cesare
stesso, furono decretati quindici giorni di feste solenni di
ringraziamento, onore mai tributato a nessuno prima di
allora.
Cesare - De Bello Gallico
Libro III
I - Galba libera il passo della Alpi
Cum in Italiam proficisceretur Caesar, Ser. Galbam cum
legione XII et parte equitatus in Nantuates, Veragros
Sedunosque misit, qui a finibus Allobrogum et lacu
Lemanno et flumine Rhodano ad summas Alpes
pertinent. Causa mittendi fuit quod iter per Alpes, quo
magno cum periculo magnisque cum portoriis
mercatores ire consuerant, patefieri volebat. Huic
permisit, si opus esse arbitraretur, uti in his locis
legionem hiemandi causa conlocaret. Galba secundis
aliquot proeliis factis castellisque compluribus eorum
expugnatis, missis ad eum undique legatis obsidibusque
datis et pace facta, constituit cohortes duas in
Nantuatibus conlocare et ipse cum reliquis eius legionis
cohortibus in vico Veragrorum, qui appellatur
Octodurus hiemare; qui vicus positus in valle non magna
adiecta planitie altissimis montibus undique continetur.
Cum hic in duas partes flumine divideretur, alteram
partem eius vici Gallis [ad hiemandum] concessit,
alteram vacuam ab his relictam cohortibus attribuit. Eum
locum vallo fossaque munivit.
Cesare partendo per l'Italia mandò Servio Galba con la
dodicesima legione e parte della cavalleria (nel
territorio) dei Nantuati, Varagri e Deduni, che dal
confine degli Allobrogi e dal lago Lemanno e dal fiume
Rodano si estendono sino alla sommità delle Alpi. Il
motivo di mandar(lo) fu che voleva si rendesse
praticabile la via attraverso le Alpi, dove i mercanti
erano solito andare con grande pericolo e (con) grandi
gabelle. Dette il compito a costui, se avesse pensato che
fosse opportuno, di porre la legione in questi luoghi per
svernare. Fatte alcune battaglie con esito favorevole ed
espugnate moltissime fortezze di quelli, da ogni parte
essendo state mandati a lui ambasciatori e fatta la pace,
Galba stabilì di porre fra i Nantuati due coorti e con le
altre coorti di quella legione di svernare egli stesso nel
cantone dei Varagri, che si chiama Ottoduro; questo
cantone posto nella valle, unita una non grande pianura,
è chiuso da ogni parte da altissimi monti. Questo
essendo diviso dal fiume in due parti, concesse ai Galli
una parte di quel cantone, destinò alle coorti per
svernare l'altra parte lasciata vuota da questi. Rafforzò
quel luogo con un terrapieno ed una fossa.
II - Seduni e Varagri occupano le cime dei monti
Cum dies hibernorum complures transissent
frumentumque eo comportari iussisset, subito per
exploratores certior factus est ex ea parte vici, quam
Gallis concesserat, omnes noctu discessisse montesque
qui impenderent a maxima multitudine Sedunorum et
Veragrorum teneri. Id aliquot de causis acciderat, ut
subito Galli belli renovandi legionisque opprimendae
consilium caperent: primum, quod legionem neque eam
plenissimam detractis cohortibus duabus et compluribus
singillatim, qui commeatus petendi causa missi erant,
absentibus propter paucitatem despiciebant; tum etiam,
quod propter iniquitatem loci, cum ipsi ex montibus in
vallem decurrerent et tela coicerent, ne primum quidem
impetum suum posse sustineri existimabant. Accedebat
quod suos ab se liberos abstractos obsidum nomine
dolebant, et Romanos non solum itinerum causa sed
etiam perpetuae possessionis culmina Alpium occupare
conari et ea loca finitimae provinciae adiungere sibi
persuasum habebant.
Essendo trascorsi molti giorni dei quartieri d'inverno e
avendo comandato di portare lì il frumento,
all'improvviso venne a sapere per mezzo di esploratori
che tutti da quella parte del cantone che aveva concesso
ai Galli, di notte si erano allontanati e che i monti, che
sovrastavano, erano tenuti da un grandissimo numero di
Seduni e Varagri. Per alcuni motivi era accaduto ciò che
(cioè) i Galli all'improvviso prendessero la decisione di
rinnovare la guerra e di assalire la legione: prima di tutto
perché disprezzavano per il piccolo numero la legione e
per di più non numerosissima, essendo state detratte due
coorti ed essendo assenti parecchi che separatamente
erano stati mandati per cercare vettovaglie; allora anche
perché pensavano che non potesse essere sostenuto
neppure il primo loro assalto per la condizione
sfavorevole del luogo, giacché essi correvano giù dai
monti nella valle e scagliavano dardi. Si aggiungeva il
fatto che si dolevano che i loro figli fossero stati
condotti via da loro sotto il titolo di ostaggi e che i
Romani tentassero di occupare le sommità delle Alpi
non solo per i viaggi, ma anche per eterno possesso e
che avevano la convinzione di congiungere a loro quei
luoghi della provincia confinante.
III - Galba convoca l'assemblea
His nuntiis acceptis Galba, cum neque opus hibernorum
munitionesque plene essent perfectae neque de frumento
reliquoque commeatu satis esset provisum quod
deditione facta obsidibusque acceptis nihil de bello
timendum existimaverat, consilio celeriter convocato
sententias exquirere coepit. Quo in consilio, cum tantum
repentini periculi praeter opinionem accidisset ac iam
omnia fere superiora loca multitudine armatorum
completa conspicerentur neque subsidio veniri neque
commeatus supportari interclusis itineribus possent,
prope iam desperata salute non nullae eius modi
sententiae dicebantur, ut impedimentis relictis eruptione
facta isdem itineribus quibus eo pervenissent ad salutem
contenderent. Maiori tamen parti placuit, hoc reservato
ad extremum casum consilio interim rei eventum
experiri et castra defendere.
Ricevute queste notizie, e non essendo stati
compiutamente eseguiti né i lavori dei quartieri
d'inverno né le opere di fortificazione né essendo stato
provveduto sufficientemente riguardo al frumento e al
restante approviggionamento, poiché, avvenuta la resa e
ricevuti gli ostaggi, Galba aveva pensato che non si
dovesse nulla temere riguardo alla guerra, celermente
convocata l'adunanza, cominciò a chiedere i pareri.
Essendo avvenuto contro l'aspettazione così grande di
improvviso pericolo, e già vedendosi pieni di una
moltitudine di armati quasi tutti i luoghi più alti e poiché
non si poteva venire in aiuto né portare
vettovagliamenti, chiuse le vie, e già quasi disperando
della salvezza, in questa adunanza si dicevano parecchi
pareri di tal fatta che, lasciati i bagagli, fatta irruzione,
tendessero alla salvezza per le stesse vie attraverso le
quali erano giunti colà. Tuttavia alla maggior parte
sembrò, riservata questa decisione ad un caso estremo,
di provare frattanto la sorte e di difendere
l'accampamento.
IV - I Romani combattono strenuamente
Brevi spatio interiecto, vix ut iis rebus quas
constituissent conlocandis atque administrandis tempus
daretur, hostes ex omnibus partibus signo dato
decurrere, lapides gaesaque in vallum coicere. Nostri
primo integris viribus fortiter propugnare neque ullum
frustra telum ex loco superiore mittere, et quaecumque
pars castrorum nudata defensoribus premi videbatur, eo
occurrere et auxilium ferre, sed hoc superari quod
diuturnitate pugnae hostes defessi proelio excedebant,
alii integris viribus succedebant; quarum rerum a nostris
propter paucitatem fieri nihil poterat, ac non modo
defesso ex pugna excedendi, sed ne saucio quidem eius
loci ubi constiterat relinquendi ac sui recipiendi facultas
dabatur.
Passato un breve intervallo, così che a stento si dava
tempo a mettere in ordine e ad eseguire quelle cose che
avevano stabilito, dato il segnale, i nemici correvano giù
da tutte le parti, gettavano pietre e giavellotti contro la
palizzata. Dapprima i nostri contrastavano fortemente
essendo integre le forze, e non mandavano invano dal
luogo più alto nessun dardo, come si vedeva una parte di
accampamento priva di difensori essere premuta,
correvano là e portavano aiuto; ma restavano al di sotto
in questo, che i nemici stanchi della lunga durata del
combattimento si ritiravano dalla battaglia e
subentravano altri con forze fresche; per il poco numero
dai nostri nulla di queste cose si poteva fare, e non solo
a colui che era stanco non si dava la possibilità di uscire
dal combattimento, ma al ferito neppure (si dava la
possibilità) di lasciare quel luogo dove si trovava e di
ritirarsi (nell'accampamento).
V
Cum iam amplius horis sex continenter pugnaretur, ac
non solum vires sed etiam tela nostros deficerent, atque
hostes acrius instarent languidioribusque nostris vallum
scindere et fossas complere coepissent, resque esset iam
ad extremum perducta casum, P. Sextius Baculus, primi
pili centurio, quem Nervico proelio compluribus
confectum vulneribus diximus, et item C. Volusenus,
tribunus militum, vir et consilii magni et virtutis, ad
Galbam accurrunt atque unam esse spem salutis docent,
si eruptione facta extremum auxilium experirentur.
Itaque convocatis centurionibus celeriter milites
certiores facit, paulisper intermitterent proelium ac
tantum modo tela missa exciperent seque ex labore
reficerent, post dato signo ex castris erumperent, atque
omnem spem salutis in virtute ponerent.
Si combatteva, ininterrottamente, ormai da più di sei ore
e ai nostri venivano a mancare, oltre alle forze, anche le
frecce. I nemici, premendo con impeto ancora maggiore
sui legionari, sempre più spossati, avevano iniziato ad
abbattere il vallo e a riempire il fossato. La situazione
era ormai agli estremi. P. Sestio Baculo, centurione
primipilo - abbiamo prima ricordato che, durante la
guerra con i Nervi, aveva riportato numerose ferite - e
anche C. Voluseno, tribuno militare, uomo di grande
saggezza e valore, si precipitano da Galba per dirgli che
restava un'unica speranza: tentare una sortita come
ultimo rimedio. Così, convocati i centurioni, Galba dà
rapidamente ordine ai legionari di sospendere per il
momento lo scontro e di limitarsi a evitare i dardi nemici
e a riprendere fiato: poi, al segnale, dovevano erompere
dall'accampamento e porre ogni speranza di salvezza nel
proprio valore.
VI
Quod iussi sunt faciunt, ac subito omnibus portis
eruptione facta neque cognoscendi quid fieret neque sui
colligendi hostibus facultatem relinquunt. Ita commutata
fortuna eos qui in spem potiundorum castrorum venerant
undique circumventos intercipiunt, et ex hominum
milibus amplius XXX, quem numerum barbarorum ad
castra venisse constabat, plus tertia parte interfecta
reliquos perterritos in fugam coniciunt ac ne in locis
quidem superioribus consistere patiuntur. Sic omnibus
hostium copiis fusis armisque exutis se intra munitiones
suas recipiunt. Quo proelio facto, quod saepius fortunam
temptare Galba nolebat atque alio se in hiberna consilio
venisse meminerat, aliis occurrisse rebus videbat,
maxime frumenti [commeatusque] inopia permotus
postero die omnibus eius vici aedificiis incensis in
provinciam reverti contendit, ac nullo hoste prohibente
aut iter demorante incolumem legionem in Nantuates,
inde in Allobroges perduxit ibique hiemavit.
I legionari eseguono gli ordini e si lanciano
immediatamente all'attacco da tutte le porte, senza
lasciare al nemico la possibilità di capire che cosa stesse
accadendo o di riorganizzarsi. Così, capovolte le sorti,
accade che i nemici, già sicuri di aver in pugno
l'accampamento romano, vengono invece circondati da
ogni parte e uccisi. Degli oltre trentamila uomini (tanti
risultavano i barbari che avevano partecipato all'assedio
dell'accampamento romano), i nostri ne uccidono più di
un terzo, costringendo alla fuga gli altri, in preda al
panico, senza permettere loro neppure di attestarsi sulle
alture. Così, messe in rotta e private delle armi le forze
nemiche, i legionari si ritirano nell'accampamento e
nelle fortificazioni. Dopo la battaglia, Galba non voleva
mettere ulteriormente alla prova la fortuna, si ricordava
di aver posto i quartieri d'inverno con ben altre
intenzioni e vedeva di essere incorso in circostanze ben
diverse. Perciò, spinto soprattutto dalla mancanza di
grano e di viveri, il giorno successivo diede fuoco a tutti
gli edifici del villaggio e si incamminò sulla via del
ritorno, verso la provincia; senza che il nemico gli
sbarrasse la strada o ne rallentasse la marcia, guidò la
legione nei territori dei Nantuati e, quindi, degli
Allobrogi dove passò l'inverno.
VII
His rebus gestis cum omnibus de causis Caesar pacatam
Galliam existimaret, [superatis Belgis, expulsis
Germanis, victis in Alpibus Sedunis,] atque ita inita
hieme in Illyricum profectus esset, quod eas quoque
nationes adire et regiones cognoscere volebat, subitum
bellum in Gallia coortum est. Eius belli haec fuit causa.
P. Crassus adulescens eum legione VII. proximus mare
Oceanum in Andibus hiemabat. Is, quod in his locis
inopia frumenti erat, praefectos tribunosque militum
complures in finitimas civitates frumenti causa dimisit;
quo in numero est T. Terrasidius missus in Esuvios, M.
Trebius Gallus in Coriosolites, Q. Velanius cum T. Silio
in Venetos.
Dopo tali eventi, Cesare aveva tutti i motivi di ritenere la
Gallia sottomessa: erano stati battuti i Belgi, scacciati i
Germani, vinti i Seduni sulle Alpi. Così, all'inizio
dell'inverno, partì per l'Illirico, perché voleva
conoscerne i popoli e visitarne le regioni, ma
improvvisamente in Gallia scoppiò la guerra. Eccone il
motivo: il giovane P. Crasso stava svernando con la
settima legione nei pressi dell'Oceano, nella regione
degli Andi. Visto che nella zona il frumento
scarseggiava, Crasso mandò molti prefetti e tribuni
militari presso i popoli limitrofi per procurarsi grano e
viveri. Tra di essi T. Terrasidio fu inviato presso gli
Esuvi, M. Trebio Gallo presso i Coriosoliti, Q. Velanio
con T. Sillio presso i Veneti.
VIII
Huius est civitatis longe amplissima auctoritas omnis
orae maritimae regionum earum, quod et naves habent
Veneti plurimas, quibus in Britanniam navigare
consuerunt, et scientia atque usu rerum nauticarum
ceteros antecedunt et in magno impetu maris atque
aperto paucis portibus interiectis, quos tenent ipsi,
omnes fere qui eo mari uti consuerunt habent vectigales.
Ab his fit initium retinendi Silii atque Velanii, quod per
eos suos se obsides, quos Crasso dedissent,
recuperaturos existimabant. Horum auctoritate finitimi
adducti, ut sunt Gallorum subita et repentina consilia,
eadem de causa Trebium Terrasidiumque retinent et
celeriter missis legatis per suos principes inter se
I Veneti sono il popolo che, lungo tutta la costa
marittima, gode di maggior prestigio in assoluto, sia
perché possiedono molte navi, con le quali, di solito,
fanno rotta verso la Britannia, sia in quanto nella scienza
e pratica della navigazione superano tutti gli altri, sia
ancora perché, in quel mare molto tempestoso e aperto,
pochi sono i porti della costa e tutti sottoposti al loro
controllo, per cui quasi tutti i naviganti abituali di quelle
acque versano loro tributi. I Veneti, per primi,
trattengono Sillio e Velanio, convinti di ottenere,
mediante uno scambio, la restituzione degli ostaggi
consegnati a Crasso. Influenzati dall'autorità dei Veneti,
dato che le decisioni dei Galli sono improvvise e
coniurant nihil nisi communi consilio acturos
eundemque omnes fortunae exitum esse laturos,
reliquasque civitates sollicitant, ut in ea libertate quam a
maioribus acceperint permanere quam Romanorum
servitutem perferre malint. Omni ora maritima celeriter
ad suam sententiam perducta communem legationem ad
P. Crassum mittunt, si velit suos recuperare, obsides sibi
remittat.
repentine, anche i popoli limitrofi trattengono Trebio e
Terrasidio con le stesse intenzioni. Vengono stabiliti,
rapidamente, dei contatti: i principi stringono patti per
non prendere, se non di comune accordo, nessuna
iniziativa e per affrontare insieme l'esito della sorte,
qualunque fosse. Sollecitano gli altri popoli a difendere
la libertà ereditata dai loro padri piuttosto che
sopportare la schiavitù dei Romani. Ben presto tutti i
popoli della costa ne sposano la causa e mandano
un'ambasceria unitaria a P. Crasso: restituisse i loro
ostaggi, se voleva riavere i suoi.
IX
Quibus de rebus Caesar a Crasso certior factus, quod
ipse aberat longius, naves interim longas aedificari in
flumine Ligeri, quod influit in Oceanum, remiges ex
provincia institui, nautas gubernatoresque comparari
iubet. His rebus celeriter administratis ipse, cum primum
per anni tempus potuit, ad exercitum contendit. Veneti
reliquaeque item civitates cognito Caesaris adventu
[certiores facti], simul quod quantum in se facinus
admisissent intellegebant, [legatos, quod nomen ad
omnes nationes sanctum inviolatumque semper fuisset,
retentos ab se et in vincula coniectos,] pro magnitudine
periculi bellum parare et maxime ea quae ad usum
navium pertinent providere instituunt, hoc maiore spe
quod multum natura loci confidebant. Pedestria esse
itinera concisa aestuariis, navigationem impeditam
propter inscientiam locorum paucitatemque portuum
sciebant, neque nostros exercitus propter inopiam
frumenti diutius apud se morari posse confidebant; ac
iam ut omnia contra opinionem acciderent, tamen se
plurimum navibus posse, [quam] Romanos neque ullam
facultatem habere navium, neque eorum locorum ubi
bellum gesturi essent vada, portus, insulas novisse; ac
longe aliam esse navigationem in concluso mari atque in
vastissimo atque apertissimo Oceano perspiciebant. His
initis consiliis oppida muniunt, frumenta ex agris in
oppida comportant, naves in Venetiam, ubi Caesarem
primum bellum gesturum constabat, quam plurimas
possunt cogunt. Socios sibi ad id bellum Osismos,
Lexovios, Namnetes, Ambiliatos, Morinos, Diablintes,
Menapios adsciscunt; auxilia ex Britannia, quae contra
eas regiones posita est, arcessunt.
Informato della situazione da Crasso, Cesare, trovandosi
troppo lontano, si limita a dar ordine, per il momento, di
costruire navi da guerra lungo la Loira, un fiume che
sfocia nell'Oceano, di arruolare rematori dalla provincia
e di procurare marinai e timonieri. Dopo aver
rapidamente provveduto a tutto ciò, non appena la
stagione lo consentì, raggiunse l'esercito. I Veneti e gli
altri popoli, saputo del suo arrivo e rendendosi conto
della gravità del proprio operato - avevano trattenuto e
gettato in catene degli ambasciatori, il cui nome è da
sempre sacro e inviolabile presso tutte le genti intraprendono preparativi di guerra commisurati a un
pericolo così grande, provvedendo in particolare a tutto
ciò che serve alla navigazione, con tanta maggior
speranza di successo, in quanto confidavano molto sulla
conformazione naturale del loro paese. Sapevano,
infatti, che le vie di terra erano tagliate dalle maree e che
i Romani avevano difficoltà di navigazione, per
l'ignoranza dei luoghi e la scarsità degli approdi; inoltre,
confidavano che le nostre truppe, per la mancanza di
grano, non potessero trattenersi a lungo. E anche
ammesso che nessuna delle loro aspettative si fosse
realizzata, disponevano di una marina potente, mentre i
Romani mancavano di una flotta, non conoscevano
neppure i passaggi, gli approdi, le isole delle zone in cui
si sarebbe combattuto; infine - lo capivano perfettamente
- era ben diverso navigare nell'Oceano, così vasto e
aperto, e in un mare chiuso. Prese tali decisioni,
fortificano le città, vi ammassano scorte di grano
provenienti dalle campagne e concentrano il maggior
numero possibile di navi lungo le coste dei Veneti, dove
si pensava che Cesare avrebbe iniziato le operazioni di
guerra. Si aggregano come alleati gli Osismi, i Lexovii, i
Namneti, gli Ambiliati, i Morini, i Diablinti e i Menapi;
chiedono aiuti alla Britannia, situata di fronte alle loro
regioni.
X
Erant hae difficultates belli gerendi quas supra
ostendimus, sed tamen multa Caesarem ad id bellum
incitabant: iniuria retentorum equitum Romanorum,
rebellio facta post deditionem, defectio datis obsidibus,
tot civitatum coniuratio, in primis ne hac parte neglecta
reliquae nationes sibi idem licere arbitrarentur. Itaque
cum intellegeret omnes fere Gallos novis rebus studere
et ad bellum mobiliter celeriterque excitari, omnes
Abbiamo esposto le difficoltà che la guerra presentava,
ma molte erano le ragioni che spingevano Cesare allo
scontro: i cavalieri romani trattenuti contro ogni diritto,
la rivolta dopo la resa, la defezione a ostaggi consegnati,
la coalizione di tante nazioni e, soprattutto, il timore che
gli altri popoli ritenessero lecito agire come i Veneti, se
egli non fosse intervenuto. A Cesare era ben noto che,
per lo più, i Galli amano i rivolgimenti e facilmente e
autem homines natura libertati studere et condicionem
servitutis odisse, prius quam plures civitates
conspirarent, partiendum sibi ac latius distribuendum
exercitum putavit.
prontamente sono disposti a far guerra (del resto, la
natura spinge tutti gli uomini ad amare la libertà e a
odiare la condizione di asservimento). Perciò, prima che
la cospirazione si estendesse ad altri popoli, ritenne
opportuno dividere l'esercito per coprire una zona di
territorio più ampia.
XI
Itaque T. Labienum legatum in Treveros, qui proximi
flumini Rheno sunt, cum equitatu mittit. Huic mandat,
Remos reliquosque Belgas adeat atque in officio
contineat Germanosque, qui auxilio a Belgis arcessiti
dicebantur, si per vim navibus flumen transire conentur,
prohibeat. P. Crassum cum cohortibus legionariis XII et
magno numero equitatus in Aquitaniam proficisci iubet,
ne ex his nationibus auxilia in Galliam mittantur ac
tantae nationes coniungantur. Q. Titurium Sabinum
legatum cum legionibus tribus in Venellos, Coriosolites
Lexoviosque mittit, qui eam manum distinendam curet.
D. Brutum adulescentem classi Gallicisque navibus,
quas ex Pictonibus et Santonis reliquisque pacatis
regionibus convenire iusserat, praeficit et, cum primum
possit, in Venetos proficisci iubet. Ipse eo pedestribus
copiis contendit.
Così, manda il legato T. Labieno con la cavalleria nella
regione dei Treveri, che abitano lungo il Reno. Gli dà
disposizione sia di prendere contatto con i Remi e gli
altri Belgi e di tenerli a dovere, sia di ostacolare i
Germani (si diceva che i Belgi avessero chiesto il loro
aiuto), se, a forza, avessero tentato di attraversare il
fiume su navi. Ordina a P. Crasso di partire per
l'Aquitania alla testa di dodici coorti della legione e di
un buon numero di cavalieri, per evitare che i popoli
aquitani inviassero aiuti ai Galli e che nazioni così
potenti si unissero. Manda il legato Q. Titurio Sabino,
alla testa di tre legioni, nelle terre degli Unelli, dei
Coriosoliti e dei Lexovi con l'ordine di tenerne
impegnate le forze. Al giovane D. Bruto affida il
comando della flotta gallica e delle navi che, dietro suo
ordine, erano state fornite dai Pictoni, dai Santoni e dalle
altre regioni pacificate. Gli ingiunge di partire alla volta
dei Veneti non appena possibile. Cesare vi si dirige con
la fanteria.
XII - Le città aremoriche sono in posizioni vantaggiose
Erant eius modi fere situs oppidorum ut posita in
extremis lingulis promunturiisque neque pedibus aditum
haberent, cum ex alto se aestus incitavisset, quod [bis]
accidit semper horarum XII spatio, neque navibus, quod
rursus minuente aestu naves in vadis adflictarentur. Ita
utraque re oppidorum oppugnatio impediebatur. Ac si
quando magnitudine operis forte superati, extruso mari
aggere ac molibus atque his oppidi moenibus adaequatis,
suis fortunis desperare coeperant, magno numero
navium adpulso, cuius rei summam facultatem habebant,
omnia sua deportabant seque in proxima oppida
recipiebant: ibi se rursus isdem opportunitatibus loci
defendebant. Haec eo facilius magnam partem aestatis
faciebant quod nostrae naves tempestatibus detinebantur
summaque erat vasto atque aperto mari, magnis aestibus,
raris ac prope nullis portibus difficultas navigandi.
I siti delle loro città erano generalmente tali che,
venendo posti sui punti estremi e sui promontori, non
potevano essere né raggiunti da terra quando la marea si
alzava nello spazio di dodici ore, né per navi, poiché,
quando la marea si abbassava di nuovo, le navi si
arenavano nella sabbia. Quindi, in entrambe le
circostanze, l'assedio delle loro città era reso difficile. E
se quando con la grandezza delle opere li superavano di
molto, essendo il mare fermato da terrapieni e dighe, e le
loro mura rese uguali in altezza a quelle della città,
cominciarono a disperdere le loro fortune, portando un
grande numero di navi, delle quali avevano una grande
quantità, portavano via le loro proprietà e si
trasportavano alla città più vicina: di lì si difendevano
con gli stessi vantaggi che avevano in precedenza.
Fecero questo più facilmente durante gran parte
dell'estate, poiché le nostre navi erano tenute indietro
dalle tempeste, e la difficoltà nel navigare era molto
grande in quel mare vasto ed aperto, con le sue forti
maree e i pochissimi porti.
XIII
Namque ipsorum naves ad hunc modum factae
armataeque erant: carinae aliquanto planiores quam
nostrarum navium, quo facilius vada ac decessum aestus
excipere possent; prorae admodum erectae atque item
puppes, ad magnitudinem fluctuum tempestatumque
accommodatae; naves totae factae ex robore ad quamvis
Le navi dei Veneti, poi, erano costruite e attrezzate
come segue: le carene erano alquanto più piatte delle
nostre, per poter resistere con maggior facilità alle
secche e alla bassa marea; le prore erano estremamente
alte e così pure le poppe, adatte a sopportare la violenza
dei flutti e delle tempeste; le navi erano completamente
vim et contumeliam perferendam; transtra ex pedalibus
in altitudinem trabibus, confixa clavis ferreis digiti
pollicis crassitudine; ancorae pro funibus ferreis catenis
revinctae; pelles pro velis alutaeque tenuiter confectae,
[hae] sive propter inopiam lini atque eius usus
inscientiam, sive eo, quod est magis veri simile, quod
tantas tempestates Oceani tantosque impetus ventorum
sustineri ac tanta onera navium regi velis non satis
commode posse arbitrabantur. Cum his navibus nostrae
classi eius modi congressus erat ut una celeritate et pulsu
remorum praestaret, reliqua pro loci natura, pro vi
tempestatum illis essent aptiora et accommodatiora.
Neque enim iis nostrae rostro nocere poterant (tanta in
iis erat firmitudo), neque propter altitudinem facile
telum adigebatur, et eadem de causa minus commode
copulis continebautur. Accedebat ut, cum [saevire
ventus coepisset et] se vento dedissent, et tempestatem
ferrent facilius et in vadis consisterent tutius et ab aestu
relictae nihil saxa et cautes timerent; quarum rerum
omnium nostris navibus casus erat extimescendus.
di rovere, capaci di resistere a qualsiasi urto e offesa; le
travi di sostegno, dello spessore di un piede, erano
fissate con chiodi di ferro della misura di un pollice; le
ancore erano legate non con funi, ma con catene di ferro;
al posto delle vele usavano pelli e cuoio sottile e
morbido - forse perché non avevano lino o non lo
sapevano adoperare oppure, ed è più probabile, perché
ritenevano che le vele non potessero agevolmente
reggere alle tempeste così violente dell'Oceano, al vento
tanto impetuoso e al peso dello scafo. La nostra flotta
negli scontri poteva risultare superiore solo per rapidità
e impeto dei rematori, ma per il resto le navi nemiche
erano ben più adatte alla natura del luogo e alla violenza
delle tempeste. In effetti, le nostre non potevano
danneggiare con i rostri le navi dei Veneti, tanto erano
robuste, né i dardi andavano facilmente a segno, perché
erano troppo alte; per l'identica ragione risultava arduo
trattenerle con gli arpioni. Inoltre, quando il vento
cominciava a infuriare e le navi si abbandonavano alle
raffiche, le loro riuscivano con maggior facilità a
sopportare le tempeste e a navigare nelle secche, senza
temere massi o scogli lasciati scoperti dalla bassa marea,
tutti pericoli che le nostre navi dovevano paventare.
XIV
Compluribus expugnatis oppidis Caesar, ubi intellexit
frustra tantum laborem sumi neque hostium fugam captis
oppidis reprimi neque iis noceri posse, statuit
expectandam classem. Quae ubi convenit ac primum ab
hostibus visa est, circiter CCXX naves eorum
paratissimae atque omni genere armorum ornatissimae
profectae ex portu nostris adversae constiterunt; neque
satis Bruto, qui classi praeerat, vel tribunis militum
centurionibusque, quibus singulae naves erant attributae,
constabat quid agerent aut quam rationem pugnae
insisterent. Rostro enim noceri non posse cognoverant;
turribus autem excitatis tamen has altitudo puppium ex
barbaris navibus superabat, ut neque ex inferiore loco
satis commode tela adigi possent et missa a Gallis
gravius acciderent. Una erat magno usui res praeparata a
nostris, falces praeacutae insertae adfixaeque longuriis,
non absimili forma muralium falcium. His cum funes qui
antemnas ad malos destinabant comprehensi adductique
erant, navigio remis incitato praerumpebantur. Quibus
abscisis antemnae necessario concidebant, ut, cum
omnis Gallicis navibus spes in velis armamentisque
consisteret, his ereptis omnis usus navium uno tempore
eriperetur. Reliquum erat certamen positum in virtute,
qua nostri milites facile superabant, atque eo magis quod
in conspectu Caesaris atque omnis exercitus res
gerebatur, ut nullum paulo fortius factum latere posset;
omnes enim colles ac loca superiora, unde erat
propinquus despectus in mare, ab exercitu tenebantur.
Cesare espugnò parecchie città, ma vedendo che tanta
fatica era vana e che non poteva impedire ai nemici di
fuggire, né danneggiarli, decise di aspettare la flotta.
Non appena questa giunse e fu avvistata, circa
duecentoventi navi nemiche, assai ben equipaggiate e
perfettamente attrezzate, salparono e affrontarono le
nostre; Bruto, che comandava la flotta, non sapeva bene
che cosa fare o quale tattica adottare, e così pure i
tribuni militari e i centurioni a capo di ciascuna
imbarcazione. Sapevano che il rostro non danneggiava
le navi nemiche; se anche avessero costruito delle torri,
non avrebbero comunque raggiunto l'altezza delle poppe
delle navi barbare; dal basso era più difficile che le
frecce andassero a segno, mentre i dardi scagliati dai
Galli risultavano micidiali. L'unica arma di grande
efficacia preparata dai nostri erano falci acutissime,
fissate a lunghi pali, di forma non dissimile dalle falci
murali. Le falci agganciavano le funi che assicuravano i
pennoni agli alberi delle navi, e le tiravano fino a
spezzarle, quando i nostri marinai aumentavano la spinta
sui remi. Troncate le funi, i pennoni inevitabilmente
cadevano e così contemporaneamente, dato che tutta la
forza delle navi dei Galli consisteva nelle vele e
nell'attrezzatura, veniva sottratto alla flotta nemica ogni
vantaggio. Il resto dipendeva dal valore e in ciò i nostri
avevano facilmente la meglio, tanto più che si
combatteva al cospetto di Cesare e di tutto l'esercito, per
cui ogni atto di un certo coraggio non poteva rimanere
nascosto: tutti i colli e le alture circostanti, infatti, da cui
la vista dominava a strapiombo sul mare, erano occupati
dal nostro esercito.
XV
Deiectis, ut diximus, antemnis, cum singulas binae ac
Una volta abbattuti, come abbiamo descritto, i pennoni,
ternae naves circumsteterant, milites summa vi
transcendere in hostium naves contendebant. Quod
postquam barbari fieri animadverterunt, expugnatis
compluribus navibus, cum ei rei nullum reperiretur
auxilium, fuga salutem petere contenderunt. Ac iam
conversis in eam partem navibus quo ventus ferebat,
tanta subito malacia ac tranquillitas exstitit ut se ex loco
movere non possent. Quae quidem res ad negotium
conficiendum maximae fuit oportunitati: nam singulas
nostri consectati expugnaverunt, ut perpaucae ex omni
numero noctis interventu ad terram pervenirent, cum ab
hora fere IIII usque ad solis occasum pugnaretur.
ciascuna nave nemica veniva circondata da due o tre
delle nostre e i soldati romani si lanciavano
all'abbordaggio con grande impeto. Quando i barbari se
ne accorsero, già molte delle loro navi erano state
catturate; non trovando alcun mezzo di difesa contro la
tattica romana, cercavano salvezza nella fuga. Avevano
già orientato le navi nella direzione in cui soffiava il
vento, quando si verificò un'improvvisa, totale bonaccia,
che impedì loro di allontanarsi. La cosa fu del tutto
favorevole per portare a termine le operazioni: i nostri
inseguirono le navi nemiche e le catturarono una a una.
Ben poche, di quante erano, riuscirono a prender terra
grazie al sopraggiungere della notte. Si era combattuto
dalle dieci circa del mattino fino al tramonto.
XVI
Quo proelio bellum Venetorum totiusque orae maritimae
confectum est. Nam cum omnis iuventus, omnes etiam
gravioris aetatis in quibus aliquid consilii aut dignitatis
fuit eo convenerant, tum navium quod ubique fuerat in
unum locum coegerant; quibus amissis reliqui neque quo
se reciperent neque quem ad modum oppida defenderent
habebant. Itaque se suaque omnia Caesari dediderunt. In
quos eo gravius Caesar vindicandum statuit quo
diligentius in reliquum tempus a barbaris ius legatorum
conservaretur. Itaque omni senatu necato reliquos sub
corona vendidit.
La battaglia segnò la fine della guerra con i Veneti e i
popoli di tutta la costa. Infatti, tutti i giovani e anche
tutti gli anziani più assennati e autorevoli si erano là
radunati e avevano raccolto in un sol luogo ogni nave
disponibile. Perduta la flotta, i superstiti non sapevano
dove rifugiarsi, né come difendere le loro città. Perciò,
si arresero con tutti i loro beni a Cesare ed egli decise di
agire con più rigore nei loro confronti, perché i barbari,
per il futuro, imparassero a osservare con maggior
scrupolo il diritto che tutela gli ambasciatori. Così,
ordinò di mettere a morte tutti i senatori e di vendere
come schiavi gli altri.
XVII - La prudenza di Sabino rende baldanzosi i Galli
Dum haec in Venetis geruntur, Q. Titurius Sabinus cum
iis copiis quas a Caesare acceperat in fines Venellorum
pervenit. His praeerat Viridovix ac summam imperii
tenebat earum omnium civitatum quae defecerant, ex
quibus exercitum [magnasque copias] coegerat; atque
his paucis diebus Aulerci Eburovices Lexoviique, senatu
suo interfecto quod auctores belli esse nolebant, portas
clauserunt seque cum Viridovice coniunxerunt;
magnaque praeterea multitudo undique ex Gallia
perditorum hominum latronumque convenerat, quos spes
praedandi studiumque bellandi ab agri cultura et
cotidiano labore revocabat. Sabinus idoneo omnibus
rebus loco castris sese tenebat, cum Viridovix contra
eum duorum milium spatio consedisset cotidieque
productis copiis pugnandi potestatem faceret, ut iam non
solum hostibus in contemptionem Sabinus veniret, sed
etiam nostrorum militum vocibus non nihil carperetur;
tantamque opinionem timoris praebuit ut iam ad vallum
castrorum hostes accedere auderent. Id ea de causa
faciebat quod cum tanta multitudine hostium, praesertim
eo absente qui summam imperii teneret, nisi aequo loco
aut oportunitate aliqua data legato dimicandum non
existimabat.
Mentre succedono queste cose fra i Veneti, Quinto
Titorio Sabino con quelle milizie che aveva ricevuto da
Cesare, arrivò nel territorio dei Venelli. A questi era a
capo Viridovice e teneva il supremo comando di tutte
quelle città che avevano defezionato; da queste aveva
messo insieme un esercito e grandi milizie; e in questi
pochi giorni gli Aulerci, gli Eburevoci e i Lessobi,
avendo ucciso i loro capi poiché non volevano essere
promotori della guerra, chiusero le porte e si unirono a
Viridovice; e inoltre si era raccolta da ogni parte della
Gallia una grande moltitudine di malfattori e ladroni,
che la speranza di predare e il desiderio di combattere
avevano distolto dall'agricoltura e dalla fatica
quotidiana. Sabino se ne stava nell'accampamento in un
luogo adatto per tutte le cose (sotto ogni punto di vista),
poiché Viridovice si era appostato di fronte a lui a due
miglia di distanza e ogni giorno mandava avanti milizie
e offriva la possibilità di combattere, cosicché già
Sabino veniva non solo in disprezzo ai nemici, ma anche
talvolta era oggetto delle critiche dei nostri soldati.
Infatti aveva dato tanta dimostrazione di essere timoroso
che i nemici già osavano avvicinarsi al vallo
dell'accampamento. Faceva ciò per questo motivo
perché pensava che con una così grande moltitudine di
nemici, specialmente essendo assente colui che aveva il
comando supremo, (da) luogotenente non si dovesse
combattere se non in luogo opportuno e data una
qualche sicurezza.
XVIII
Hac confirmata opinione timoris idoneum quendam
hominem et callidum deligit, Gallum, ex iis quos auxilii
causa secum habebat. Huic magnis praemiis
pollicitationibusque persuadet uti ad hostes transeat, et
quid fieri velit edocet. Qui ubi pro perfuga ad eos venit,
timorem Romanorum proponit, quibus angustiis ipse
Caesar a Venetis prematur docet, neque longius abesse
quin proxima nocte Sabinus clam ex castris exercitum
educat et ad Caesarem auxilii ferendi causa
proficiscatur. Quod ubi auditum est, conclamant omnes
occasionem negotii bene gerendi amittendam non esse:
ad castra iri oportere. Multae res ad hoc consilium
Gallos hortabantur: superiorum dierum Sabini cunctatio,
perfugae confirmatio, inopia cibariorum, cui rei parum
diligenter ab iis erat provisum, spes Venetici belli, et
quod fere libenter homines id quod volunt credunt. His
rebus adducti non prius Viridovicem reliquosque duces
ex concilio dimittunt quam ab iis sit concessum arma uti
capiant et ad castra contendant. Qua re concessa laeti, ut
explorata victoria, sarmentis virgultisque collectis,
quibus fossas Romanorum compleant, ad castra pergunt.
Sabino, quando l'impressione che avesse timore era
ormai radicata, scelse tra le truppe ausiliarie un Gallo
adatto ed astuto. Con la promessa di grandi ricompense
lo convince a passare dalla parte del nemico e gli illustra
il suo piano. Il Gallo, giunto al campo nemico
fingendosi un fuggiasco, descrive il timore dei Romani,
espone le difficoltà che i Veneti procurano a Cesare e
rivela che non più tardi della notte seguente Sabino alla
testa dell'esercito avrebbe lasciato di nascosto
l'accampamento e si sarebbe diretto da Cesare per
portargli aiuto. A queste notizie, tutti gridano che non si
deve lasciar perdere una simile occasione: bisogna
marciare sul campo romano. Molti elementi spingevano
i Galli a decidere in tal senso: l'esitazione di Sabino nei
giorni precedenti, la conferma del fuggiasco, le scarse
riserve di viveri, cui non avevano provvisto con la
dovuta cura, la speranza di una vittoria dei Veneti e il
fatto che, in genere, gli uomini sono inclini a credere
vero ciò che desiderano. Spinti da tali sentimenti, non
permettono a Viridovice e agli altri capi di lasciare
l'assemblea prima di ottenere il consenso a prendere le
armi e ad assalire l'accampamento romano. Accordato il
consenso, lieti come se avessero già la vittoria in pugno,
raccolgono fascine e legname per riempire i fossati del
campo romano e lì si dirigono.
XIX
Locus erat castrorum editus et paulatim ab imo acclivis
circiter passus mille. Huc magno cursu contenderunt, ut
quam minimum spatii ad se colligendos armandosque
Romanis daretur, exanimatique pervenerunt. Sabinus
suos hortatus cupientibus signum dat. Impeditis hostibus
propter ea quae ferebant onera subito duabus portis
eruptionem fieri iubet. Factum est oportunitate loci,
hostium inscientia ac defatigatione, virtute militum et
superiorum pugnarum exercitatione, ut ne unum quidem
nostrorum impetum ferrent ac statim terga verterent.
Quos impeditos integris viribus milites nostri consecuti
magnum numerum eorum occiderunt; reliquos equites
consectati paucos, qui ex fuga evaserant, reliquerunt. Sic
uno tempore et de navali pugna Sabinus et de Sabini
victoria Caesar est certior factus, civitatesque omnes se
statim Titurio dediderunt. Nam ut ad bella suscipienda
Gallorum alacer ac promptus est animus, sic mollis ac
minime resistens ad calamitates ferendas mens eorum
est.
L'accampamento si trovava in cima a un lieve pendio di
circa mille passi. I nemici mossero all'attacco per non
dare ai Romani il tempo di radunarsi e di prendere le
armi, ma così giunsero senza fiato. Sabino, esortati i
suoi, impazienti ormai di combattere, dà il segnale e
ordina di piombare repentinamente dalle due porte sui
nemici impacciati dal carico delle fascine. Risultò che,
per la posizione a noi vantaggiosa, per l'inesperienza e la
stanchezza degli avversari, per il valore e
l'addestramento dei nostri nelle battaglie precedenti, i
nemici non ressero neppure al primo assalto e volsero
subito le spalle. I nostri, ancora freschi, li raggiunsero
mentre erano in difficoltà e ne fecero strage; i superstiti
li inseguirono, i cavalieri e se ne lasciarono sfuggire ben
pochi. Così, contemporaneamente, Sabino venne
informato della battaglia navale e Cesare della vittoria
del suo legato. Immediatamente, tutti gli altri popoli si
sottomisero a Titurio. Infatti, lo spirito dei Galli è
entusiasta e pronto a dichiarare guerra, ma il loro animo
è fragile e privo di fermezza nel sopportare le disgrazie.
XX
Eodem fere tempore P. Crassus, cum in Aquitaniam
pervenisset, quae [pars], ut ante dictum est, [et regionum
latitudine et multitudine hominum] tertia pars Galliae est
[aestimanda], cum intellegeret in iis locis sibi bellum
gerendum ubi paucis ante annis L. Valerius Praeconinus
legatus exercitu pulso interfectus esset atque unde L.
Manlius proconsul impedimentis amissis profugisset,
non mediocrem sibi diligentiam adhibendam
All'incirca nello stesso tempo P. Crasso giunse in
Aquitania, regione che, come si è visto, deve essere
considerata, per estensione e per numero di abitanti, una
delle tre parti della Gallia. Crasso, conscio di dover
affrontare un conflitto nella regione dove, pochi anni
prima, era stato ucciso il legato L. Valerio Preconino e
sconfitto il suo esercito e da dove aveva cercato scampo
il proconsole L. Manlio, dopo aver perduto le salmerie,
intellegebat. Itaque re frumentaria provisa, auxiliis
equitatuque comparato, multis praeterea viris fortibus
Tolosa et Carcasone et Narbone, quae sunt civitates
Galliae provinciae finitimae, ex his regionibus
nominatim evocatis, in Sotiatium fines exercitum
introduxit. Cuius adventu cognito Sotiates magnis copiis
coactis, equitatuque, quo plurimum valebant, in itinere
agmen nostrum adorti primum equestre proelium
commiserunt, deinde equitatu suo pulso atque
insequentibus nostris subito pedestres copias, quas in
convalle in insidiis conlocaverant, ostenderunt. Hi
nostros disiectos adorti proelium renovarunt.
si rendeva conto di dover operare con non poca
attenzione. Perciò, provvide alle scorte di grano, si
procurò contingenti ausiliari e cavalleria, arruolò molti
soldati valorosi chiamati individualmente da Tolosa e
Narbona, città della limitrofa provincia romana,
dopodiché penetrò nella regione dei Soziati. Saputo del
suo arrivo, i Soziati, dopo aver radunato ingenti truppe
di fanteria e la cavalleria, che costituiva il loro punto di
forza, attaccarono il nostro esercito in marcia. Si
scontrarono subito le due cavallerie: la loro venne messa
in fuga e la nostra si lanciò all'inseguimento. Allora i
nemici all'improvviso dispiegarono la fanteria, che
avevano piazzato in un vallone per tendere
un'imboscata. Si gettarono addosso ai nostri che si erano
disuniti e riaccesero la mischia.
XXI
Pugnatum est diu atque acriter, cum Sotiates
superioribus victoriis freti in sua virtute totius
Aquitaniae salutem positam putarent, nostri autem quid
sine imperatore et sine reliquis legionibus adulescentulo
duce efficere possent perspici cuperent; tandem confecti
vulneribus hostes terga verterunt. Quorum magno
numero interfecto Crassus ex itinere oppidum Sotiatium
oppugnare coepit. Quibus fortiter resistentibus vineas
turresque egit. Illi alias eruptione temptata, alias
cuniculis ad aggerem vineasque actis (cuius rei sunt
longe peritissimi Aquitani, propterea quod multis locis
apud eos aerariae secturaeque sunt), ubi diligentia
nostrorum nihil his rebus profici posse intellexerunt,
legatos ad Crassum mittunt seque in deditionem ut
recipiat petunt.
La battaglia fu lunga e aspra: i Soziati, forti delle vittorie
del passato, ritenevano che dal loro valore dipendesse la
salvezza di tutta l'Aquitania; i nostri, invece, volevano
mostrare di che cos'erano capaci sotto la guida di un
giovane, pur senza il comandante e le altre legioni. Alla
fine i nemici, fiaccati dai colpi ricevuti, si ritirarono.
Crasso ne fece strage e, appena giunto alla città dei
Soziati, la cinse d'assedio. Di fronte all'aspra resistenza
dei nemici, ricorse alle vinee e alle torri. I Soziati
tentarono prima una sortita, poi provarono a scavare fino
al terrapieno e alle vinee cunicoli (specialità in cui gli
Aquitani sono i più esperti in assoluto, perché nella loro
regione si trovano molte miniere di rame e cave di
pietra). Quando, però, si resero conto che i loro sforzi
erano vanificati dalla sorveglianza dei nostri, mandano a
Crasso un'ambasceria per offrire la resa. La loro
richiesta viene accolta ed essi, dietro suo ordine,
consegnano le armi.
XXII
Qua re impetrata arma tradere iussi faciunt. Atque in
eam rem omnium nostrorum intentis animis alia ex parte
oppidi Adiatunnus, qui summam imperii tenebat, cum
DC devotis, quos illi soldurios appellant, quorum haec
est condicio, ut omnibus in vita commodis una cum iis
fruantur quorum se amicitiae dediderint, si quid his per
vim accidat, aut eundem casum una ferant aut sibi
mortem consciscant; neque adhuc hominum memoria
repertus est quisquam qui, eo interfecto cuius se
amicitiae devovisset, mortem recusaret---cum his
Adiatunnus eruptionem facere conatus clamore ab ea
parte munitionis sublato cum ad arma milites
concurrissent vehementerque ibi pugnatum esset,
repulsus in oppidum tamen uti eadem deditionis
condicione uteretur a Crasso impetravit.
Ma mentre l'attenzione dei nostri era concentrata sulla
consegna delle armi, dalla parte opposta della città tentò
una sortita Adiatuano, il capo supremo, insieme a
seicento fedelissimi, i solduri, come li chiamano i Galli.
La condizione dei solduri è la seguente: fruiscono di tutti
gli agi dell'esistenza insieme alle persone alla cui
amicizia si sono votati, ma se quest'ultime periscono in
modo violento, essi devono affrontare lo stesso destino
oppure suicidarsi; finora, a memoria d'uomo, non risulta
che nessuno si sia rifiutato di morire, dopo che era stata
uccisa la persona a cui si era votato. Adiatuano, dunque,
tentò una sortita con i solduri, ma dalla zona fortificata
dove si era diretto si levarono grida e i nostri corsero
alle armi. La lotta fu accanita: alla fine Adiatuano venne
ricacciato in città e tuttavia ottenne da Crasso la resa alle
stesse condizioni degli altri.
XXIII
Armis obsidibusque acceptis, Crassus in fines Vocatium Ricevute armi e ostaggi, Crasso partì per la regione dei
et Tarusatium profectus est. Tum vero barbari commoti, Vocati e dei Tarusati. Allora i barbari, molto scossi per
quod oppidum et natura loci et manu munitum paucis
aver saputo che una città ben fornita di difese naturali e
diebus quibus eo ventum erat expugnatum cognoverant,
legatos quoque versum dimittere, coniurare, obsides
inter se dare, copias parare coeperunt. Mittuntur etiam
ad eas civitates legati quae sunt citerioris Hispaniae
finitimae Aquitaniae: inde auxilia ducesque arcessuntur.
Quorum adventu magna cum auctoritate et magna [cum]
hominum multitudine bellum gerere conantur. Duces
vero ii deliguntur qui una cum Q. Sertorio omnes annos
fuerant summamque scientiam rei militaris habere
existimabantur. Hi consuetudine populi Romani loca
capere, castra munire, commeatibus nostros intercludere
instituunt. Quod ubi Crassus animadvertit, suas copias
propter exiguitatem non facile diduci, hostem et vagari
et vias obsidere et castris satis praesidii relinquere, ob
eam causam minus commode frumentum
commeatumque sibi supportari, in dies hostium
numerum augeri, non cunctandum existimavit quin
pugna decertaret. Hac re ad consilium delata, ubi omnes
idem sentire intellexit, posterum diem pugnae constituit.
fortificazioni era caduta nei pochi giorni successivi
all'arrivo dei Romani, iniziarono a mandare ambascerie
in tutte le direzioni, a stringere leghe, a scambiarsi
ostaggi, a mobilitare truppe. Emissari vengono inviati
anche ai popoli della Spagna citeriore, al confine con
l'Aquitania: da lì giungono rinforzi e comandanti. Grazie
al loro arrivo riescono a intraprendere le operazioni di
guerra con molta autorità e molte truppe. Come capi,
poi, scelgono gli ufficiali che erano stati sempre al
fianco di Q. Sertorio, dotati, si riteneva, di grande
esperienza militare. Costoro, secondo la tecnica dei
Romani, incominciano a occupare i punti chiave, a
fortificare l'accampamento, a tagliare i rifornimenti ai
nostri. Crasso, quando si rese conto che non poteva
dividere le sue truppe, troppo esigue, mentre il nemico
aveva libertà di movimento, presidiava le vie di
comunicazione, lasciava nell'accampamento un presidio
sufficiente, ostacolava i rifornimenti di grano e di viveri
per i Romani e aumentava ogni giorno i suoi effettivi,
ritenne di non dover ritardare lo scontro. Riferite le sue
intenzioni al consiglio di guerra, quando vide che tutti
condividevano il suo parere, fissò il combattimento per
il giorno seguente.
XXIV - Crasso si dispone al combattimento
Prima luce productis omnibus copiis duplici acie
instituta, auxiliis in mediam aciem coniectis, quid hostes
consilii caperent expectabat. Illi, etsi propter
multitudinem et veterem belli gloriam paucitatemque
nostrorum se tuto dimicaturos existimabant, tamen tutius
esse arbitrabantur obsessis viis commeatu intercluso sine
vulnere victoria potiri, et si propter inopiam rei
frumentariae Romani se recipere coepissent, impeditos
in agmine et sub sarcinis infirmiore animo adoriri
cogitabant. Hoc consilio probato ab ducibus, productis
Romanorum copiis, sese castris tenebant. Hac re
perspecta Crassus, cum sua cunctatione atque opinione
timoris hostes nostros milites alacriores ad pugnandum
effecissent atque omnium voces audirentur expectari
diutius non oportere quin ad castra iretur, cohortatus
suos omnibus cupientibus ad hostium castra contendit.
Avendo riunito tutte le sue forze al tramonto, e
organizzate in due linee, spostò gli ausiliari nell'ala
centrale, e aspettò per vedere quali misure avrebbero
adottato i nemici. Essi, contando sul loro grande numero
e dalla loro antica gloria militare e dall'esiguo numero
dei nostri, supposero di poter combattere senza pericoli,
nonostante considerassero più sicuro raggiungere la
vittoria senza ferite, circondandoli e tagliando le linee di
approvvigionamento: e se i Romani, contando sulla
necessità di grano, cominciassero a ritirarsi, li avrebbero
attaccati mentre marciavano e li avrebbero fiaccati
nell'animo. Essendo approvata questa misura dai
comandanti ed essendo le forze dei Romani disperse, i
nemici restarono ugualmente nei loro accampamenti.
Avendo considerato questa circostanza Crasso, poiché il
nemico, intimidito dal suo stesso ritardo, e dalla
reputazione aveva reso i nostri soldati più desiderosi di
combattere, e furono udite le voci di tutti che dicevano
che non avrebbero più aspettato negli accampamenti, e
dopo aver incoraggiato i suoi uomini, marciò verso
l'accampamento dei nemici.
XXV
Ibi cum alii fossas complerent, alii multis telis coniectis
defensores vallo munitionibusque depellerent,
auxiliaresque, quibus ad pugnam non multum Crassus
confidebat, lapidibus telisque subministrandis et ad
aggerem caespitibus comportandis speciem atque
opinionem pugnantium praeberent, cum item ab hostibus
constanter ac non timide pugnaretur telaque ex loco
superiore missa non frustra acciderent, equites circumitis
hostium castris Crasso renuntiaverunt non eadem esse
diligentia ab decumana porta castra munita facilemque
I nostri, parte riempiendo i fossati, parte lanciando un
nugolo di frecce, costrinsero i difensori ad abbandonare
il vallo e le fortificazioni. Pure gli ausiliari, sul cui
apporto Crasso non faceva troppo affidamento,
rifornendo i soldati di pietre e frecce e portando zolle
per elevare un terrapieno, davano l'effettiva impressione
di combattere. Ma anche il nemico lottava con tenacia e
coraggio e i dardi, scagliati dall'alto, non andavano a
vuoto. A quel punto i cavalieri, che avevano fatto il giro
del campo nemico, riferirono a Crasso che la porta
aditum habere.
decumana non era altrettanto ben difesa ed era facile
penetrarvi.
XXVI
Crassus equitum praefectos cohortatus, ut magnis
praemiis pollicitationibusque suos excitarent, quid fieri
vellet ostendit. Illi, ut erat imperatum, eductis iis
cohortibus quae praesidio castris relictae intritae ab
labore erant, et longiore itinere circumductis, ne ex
hostium castris conspici possent, omnium oculis
mentibusque ad pugnam intentis celeriter ad eas quas
diximus munitiones pervenerunt atque his prorutis prius
in hostium castris constiterunt quam plane ab his videri
aut quid rei gereretur cognosci posset. Tum vero
clamore ab ea parte audito nostri redintegratis viribus,
quod plerumque in spe victoriae accidere consuevit,
acrius impugnare coeperunt. Hostes undique circumventi
desperatis omnibus rebus se per munitiones deicere et
fuga salutem petere contenderunt. Quos equitatus
apertissimis campis consectatus ex milium L numero,
quae ex Aquitania Cantabrisque convenisse constabat,
vix quarta parte relicta, multa nocte se in castra recepit.
Crasso, esortati i capi della cavalleria a spronare i loro
con la promessa di grandi ricompense, espose il suo
piano. Costoro, secondo gli ordini, portarono fuori dal
campo le coorti che lo presidiavano, fresche e riposate,
compirono una lunga deviazione per non essere visti
dall'accampamento nemico e, mentre gli occhi e gli
animi di tutti erano intenti alla battaglia, raggiunsero
rapidamente le fortificazioni di cui si è parlato, le
abbatterono e penetrarono nell'accampamento prima che
i nemici potessero scorgerli o capire che cosa stesse
accadendo. E quando i nostri sentirono levarsi da lì
clamori, ripresero forza, come spesso succede quando si
spera di vincere, e iniziarono ad attaccare con maggior
vigore. I nemici, circondati da tutti i lati e persa ogni
speranza, cercarono di gettarsi giù dalle fortificazioni e
di darsi alla fuga. La nostra cavalleria li inseguì nei
campi, pianeggianti e privi di vegetazione: di
cinquantamila nemici - tali erano stimate le forze
provenienti dall'Aquitania e dai Cantabri - appena un
quarto si mise in salvo. I nostri cavalieri rientrarono
all'accampamento a notte fonda.
XXVII
Hac audita pugna maxima pars Aquitaniae sese Crasso
dedidit obsidesque ultro misit; quo in numero fuerunt
Tarbelli, Bigerriones, Ptianii, Vocates, Tarusates,
Elusates, Gates, Ausci, Garumni, Sibusates, Cocosates:
paucae ultimae nationes anni tempore confisae, quod
hiems suberat, id facere neglexerunt.
L'eco della battaglia spinse ad arrendersi e a consegnare
spontaneamente ostaggi a Crasso la maggior parte dei
popoli dell'Aquitania. Tra di essi ricordiamo i Tarbelli, i
Bigerrioni, i Ptiani, i Vocati, i Tarusati, gli Elusati, i
Gati, gli Ausci, i Garunni, i Sibuzati e i Cocosati. Poche
genti e le più lontane, confidando nella stagione l'inverno si stava avvicinando - trascurarono di farlo.
XVIII
Eodem fere tempore Caesar, etsi prope exacta iam aestas
erat, tamen, quod omni Gallia pacata Morini
Menapiique supererant, qui in armis essent neque ad
eum umquam legatos de pace misissent, arbitratus id
bellum celeriter confici posse eo exercitum duxit; qui
longe alia ratione ac reliqui Galli bellum gerere
coeperunt. Nam quod intellegebant maximas nationes,
quae proelio contendissent, pulsas superatasque esse,
continentesque silvas ac paludes habebant, eo se suaque
omnia contulerunt. Ad quarum initium silvarum cum
Caesar pervenisset castraque munire instituisset neque
hostis interim visus esset, dispersis in opere nostris
subito ex omnibus partibus silvae evolaverunt et in
nostros impetum fecerunt. Nostri celeriter arma ceperunt
eosque in silvas repulerunt et compluribus interfectis
longius impeditioribus locis secuti paucos ex suis
deperdiderunt.
Quasi contemporaneamente Cesare, sebbene l'estate
stesse ormai per finire, condusse l'esercito nei territori
dei Morini e dei Menapi: era convinto di poter
concludere rapidamente le operazioni contro di essi, gli
unici due popoli che, in tutta la Gallia ormai pacificata,
ancora erano in armi e non gli avevano mai mandato
ambascerie per chiedere pace. I nemici adottarono una
tattica ben diversa rispetto agli altri Galli. Avevano visto
che, in campo aperto, nazioni molto potenti erano state
respinte e battute dai Romani; perciò, visto che nei loro
territori si trovavano selve e paludi a non finire, vi si
radunarono con tutti i loro averi. Cesare giunse sul
limitare di quei boschi e cominciò a fortificare il campo
senza che si scorgesse l'ombra del nemico. Di colpo,
mentre i nostri, sparpagliati, erano intenti ai lavori, i
nemici sbucarono da ogni anfratto della foresta e li
assalirono. I Romani presero rapidamente le armi e li
respinsero nelle boscaglie, uccidendone molti. Ma,
protratto eccessivamente l'inseguimento, finirono in
luoghi più intricati e subirono perdite di lieve entità.
XXIX
Reliquis deinceps diebus Caesar silvas caedere instituit,
et ne quis inermibus imprudentibusque militibus ab
latere impetus fieri posset, omnem eam materiam quae
erat caesa conversam ad hostem conlocabat et pro vallo
ad utrumque latus extruebat. Incredibili celeritate magno
spatio paucis diebus confecto, cum iam pecus atque
extrema impedimenta a nostris tenerentur, ipsi densiores
silvas peterent, eius modi sunt tempestates consecutae
uti opus necessario intermitteretur et continuatione
imbrium diutius sub pellibus milites contineri non
possent. Itaque vastatis omnibus eorum agris, vicis
aedificiisque incensis, Caesar exercitum reduxit et in
Aulercis Lexoviisque, reliquis item civitatibus quae
proxime bellum fecerant, in hibernis conlocavit.
Nei giorni seguenti Cesare decise di disboscare la zona
e, per impedire al nemico di attaccare ai fianchi i nostri,
inermi e mentre non se l'aspettavano, dette ordine di
ammassare dinnanzi al nemico tutto il legname tagliato e
di disporlo come un vallo su entrambi i lati. In pochi
giorni, con velocità incredibile, era già stato aperto un
grande varco. I nostri tenevano ormai in pugno il
bestiame e i primi bagagli dei nemici, che si ritiravano
sempre più nel cuore della foresta, quando scoppiarono
temporali così violenti, da costringere a sospendere i
lavori, e le piogge ininterrotte ci impedirono di tenere
più a lungo i soldati sotto le tende. Così, devastati tutti i
campi, incendiati i villaggi e le case isolate, Cesare ritirò
l'esercito e lo acquartierò per l'inverno nella regione
degli Aulerci, dei Lexovi e degli altri popoli che di
recente gli avevano mosso guerra.
Cesare - De Bello Gallico
Libro IV
I
Ea quae secuta est hieme, qui fuit annus Cn. Pompeio,
M. Crasso consulibus, Usipetes Germani et item
Tencteri magna [cum] multitudine hominum flumen
Rhenum transierunt, non longe a mari, quo Rhenus
influit. Causa transeundi fuit quod ab Suebis complures
annos exagitati bello premebantur et agri cultura
prohibebantur. Sueborum gens est longe maxima et
bellicosissima Germanorum omnium. Hi centum pagos
habere dicuntur, ex quibus quotannis singula milia
armatorum bellandi causa ex finibus educunt. Reliqui,
qui domi manserunt, se atque illos alunt; hi rursus in
vicem anno post in armis sunt, illi domi remanent. Sic
neque agri cultura nec ratio atque usus belli intermittitur.
Sed privati ac separati agri apud eos nihil est, neque
longius anno remanere uno in loco colendi causa licet.
Neque multum frumento, sed maximam partem lacte
atque pecore vivunt multum sunt in venationibus; quae
res et cibi genere et cotidiana exercitatione et libertate
vitae, quod a pueris nullo officio aut disciplina
adsuefacti nihil omnino contra voluntatem faciunt, et
vires alit et immani corporum magnitudine homines
efficit. Atque in eam se consuetudinem adduxerunt ut
locis frigidissimis neque vestitus praeter pelles habeant
quicquam, quarum propter exiguitatem magna est
corporis pars aperta, et laventur in fluminibus.
L'inverno successivo, nell'anno di consolato di Cn.
Pompeo e M. Crasso, gli Usipeti e pure i Tenteri, popoli
germanici, con un gran numero di uomini oltrepassarono
il Reno, non lontano dal mare in cui il fiume sfocia.
Motivo della loro migrazione fu che, tormentati per
molti anni dagli attacchi degli Svevi, si trovavano in
difficoltà e non potevano coltivare i loro campi. Gli
Svevi, tra tutti i Germani, sono il popolo più numeroso
ed agguerrito in assoluto. Si dice che siano formati da
cento tribù: ognuna fornisce annualmente mille soldati,
che vengono portati a combattere fuori dai loro territori
contro i popoli vicini. Chi è rimasto a casa, provvede a
mantenere sé e gli altri; l'anno seguente si avvicendano:
quest'ultimi vanno a combattere, i primi rimangono in
patria. Così non tralasciano né l'agricoltura, né la teoria
e la pratica delle armi. E non hanno terreni privati o
divisi, nessuno può rimanere più di un anno nello stesso
luogo per praticare l'agricoltura. Si nutrono poco di
frumento, vivono soprattutto di latte e carne ovina,
praticano molto la caccia. Il tipo di alimentazione,
l'esercizio quotidiano e la vita libera che conducono (fin
da piccoli, infatti, non sono sottoposti ad alcun dovere o
disciplina e non fanno assolutamente. nulla contro la
propria volontà) accrescono le loro forze e li rendono
uomini dal fisico imponente. Sono abituati a lavarsi nei
fiumi e a portare come vestito, in quelle regioni
freddissime, solo delle pelli che, piccole come sono,
lasciano scoperta gran parte del corpo.
II
Mercatoribus est aditus magis eo ut quae bello ceperint
Concedono libero accesso ai mercanti, più per aver
quibus vendant habeant, quam quo ullam rem ad se
importari desiderent. Quin etiam iumentis, quibus
maxime Galli delectantur quaeque impenso parant
pretio, Germani importatis non utuntur, sed quae sunt
apud eos nata, parva atque deformia, haec cotidiana
exercitatione summi ut sint laboris efficiunt. Equestribus
proeliis saepe ex equis desiliunt ac pedibus proeliantur,
equos eodem remanere vestigio adsuefecerunt, ad quos
se celeriter, cum usus est, recipiunt: neque eorum
moribus turpius quicquam aut inertius habetur quam
ephippiis uti. Itaque ad quemvis numerum
ephippiatorum equitum quamvis pauci adire audent.
Vinum omnino ad se importari non patiuntur, quod ea re
ad laborem ferendum remollescere homines atque
effeminari arbitrantur.
modo di vendere il loro bottino di guerra che per
desiderio di comprare prodotti d'importazione. Anzi, i
Germani non fanno uso di puledri importati (al contrario
dei Galli, che per essi hanno una vera passione e li
acquistano a caro prezzo), ma sfruttano i cavalli della
loro regione, piccoli e sgraziati, rendendoli con
l'esercizio quotidiano robustissimi animali da fatica.
Durante gli scontri di cavalleria spesso smontano da
cavallo e combattono a piedi; hanno addestrato a
rimanere sul posto i cavalli, presso i quali rapidamente
riparano, se necessario; secondo il loro modo di vedere,
non c'è niente di più vergognoso o inerte che usare la
sella. Così, per quanto pochi siano, osano attaccare
qualsiasi gruppo di cavalieri che montino su sella, non
importa quanto numeroso. Non permettono
assolutamente l'importazione del vino, perché ritengono
che indebolisca la capacità di sopportare la fatica e che
infiacchisca gli animi.
III
Publice maximam putant esse laudem quam latissime a
suis finibus vacare agros: hac re significari magnum
numerum civitatum suam vim sustinere non posse.
Itaque una ex parte a Suebis circiter milia passuum C
agri vacare dicuntur. Ad alteram partem succedunt Ubii,
quorum fuit civitas ampla atque florens, ut est captus
Germanorum; ii paulo, quamquam sunt eiusdem generis,
sunt ceteris humaniores, propterea quod Rhenum
attingunt multum ad eos mercatores ventitant et ipsi
propter propinquitatem [quod] Gallicis sunt moribus
adsuefacti. Hos cum Suebi multis saepe bellis experti
propter amplitudinem gravitatem civitatis finibus
expellere non potuissent, tamen vectigales sibi fecerunt
ac multo humiliores infirmiores redegerunt.
Reputano vanto principale per la propria nazione che le
regioni di confine, per il tratto più ampio possibile, siano
disabitate: è segno che moltissimi popoli non sono in
grado di resistere alla loro forza militare. A tal proposito
corre voce che, in una zona di confine degli Svevi, le
campagne siano spopolate per seicento miglia. Un'altra
parte del loro territorio confina con gli Ubi, popolo un
tempo numeroso e fiorente, per quanto possano esserlo i
Germani. Gli Ubi sono un po' più civili rispetto alle altre
genti della loro razza perché, vivendo lungo il Reno,
sono visitati di frequente dai mercanti e, per ragioni di
vicinanza, hanno assorbito i costumi dei Galli. Gli Svevi
li avevano spesso affrontati in guerra, ma non erano
riusciti a scacciarli dalle loro terre per via del loro
numero e della loro importanza; tuttavia, li avevano
costretti a versare tributi, rendendoli molto meno potenti
e forti.
IV
In eadem causa fuerunt Usipetes et Tencteri, quos supra
diximus; qui complures annos Sueborum vim
sustinuerunt, ad extremum tamen agris expulsi et multis
locis Germaniae triennium vagati ad Rhenum
pervenerunt, quas regiones Menapii incolebant. Hi ad
utramque ripam fluminis agros, aedificia vicosque
habebant; sed tantae multitudinis adventu perterriti ex iis
aedificiis quae trans flumen habuerant demigraverant, et
cis Rhenum dispositis praesidiis Germanos transire
prohibebant. Illi omnia experti, cum neque vi contendere
propter inopiam navium neque clam transire propter
custodias Menapiorum possent, reverti se in suas sedes
regionesque simulaverunt et tridui viam progressi rursus
reverterunt atque omni hoc itinere una nocte equitatu
confecto inscios inopinantes Menapios oppresserunt, qui
de Germanorum discessu per exploratores certiores facti
sine metu trans Rhenum in suos vicos remigraverant. His
interfectis navibus eorum occupatis, prius quam ea pars
Menapiorum quae citra Rhenum erat certior fieret,
flumen transierunt atque omnibus eorum aedificiis
Nella stessa situazione si trovarono gli Usipeti e i
Tenteri, già nominati, che ressero per parecchi anni agli
assalti degli Svevi, ma alla fine vennero scacciati dai
loro territori e, dopo aver vagato tre anni per molte
regioni della Germania, giunsero al Reno, nel paese dei
Menapi che possedevano campi, case e villaggi su
entrambe le rive del fiume; i Menapi, atterriti dall'arrivo
di una massa così numerosa, abbandonarono gli edifici
sull'altra sponda del fiume e, disposti presidi al di qua
del Reno, cercavano di impedire il passaggio ai
Germani. Quest'ultimi, dopo tentativi d'ogni sorta, non
potendo combattere perché a corto di navi, né riuscendo
a passare di nascosto per la sorveglianza dei Menapi,
finsero di rientrare in patria, ma dopo tre giorni di
cammino tornarono indietro: in una sola notte la
cavalleria coprì tutto il tragitto e piombò inattesa sugli
ignari Menapi, che erano rientrati nei loro villaggi
d'oltre Reno senza timore, perché i loro esploratori
avevano confermato la partenza dei nemici. I Germani
fecero strage dei Menapi e, impadronitisi delle loro navi,
occupatis reliquam partem hiemis se eorum copiis
aluerunt.
attraversarono il fiume prima che sull'altra sponda
giungesse notizia dell'accaduto; occupati tutti gli edifici
dei Menapi, si servirono delle loro provviste per la
restante parte dell'inverno.
V
His de rebus Caesar certior factus et infirmitatem
Gallorum veritus, quod sunt in consiliis capiendis
mobiles et novis plerumque rebus student, nihil his
committendum existimavit. Est enim hoc Gallicae
consuetudinis, uti et viatores etiam invitos consistere
cogant et quid quisque eorum de quaque re audierit aut
cognoverit quaerant et mercatores in oppidis vulgus
circumsistat quibus ex regionibus veniant quas ibi res
cognoverint pronuntiare cogat. His rebus atque
auditionibus permoti de summis saepe rebus consilia
ineunt, quorum eos in vestigio paenitere necesse est,
cum incertis rumoribus serviant et pleri ad voluntatem
eorum ficta respondeant.
Informato di tali avvenimenti, Cesare, che temeva la
debolezza di carattere dei Galli, volubili nel prendere
decisioni e per lo più desiderosi di rivolgimenti, stimò di
non doversi assolutamente fidare di essi. I Galli, infatti,
hanno la seguente abitudine: costringono, anche loro
malgrado, i viandanti a fermarsi e si informano su ciò
che ciascuno di essi ha saputo o sentito su qualsiasi
argomento; nelle città, la gente attornia i mercanti e li
obbliga a dire da dove provengano e che cosa lì abbiano
saputo; poi, sulla scorta delle voci e delle notizie udite,
spesso decidono su questioni della massima importanza
e devono ben presto pentirsene, perché prestano fede a
dicerie infondate, in quanto la maggior parte degli
interpellati risponde cose non vere pur di compiacerli.
VI
Qua consuetudine cognita Caesar, ne graviori bello,
occurreret, maturius quam consuerat ad exercitum
proficiscitur. Eo cum venisset, ea quas fore suspicatus
erat facta cognovit: missas legationes ab non nullis
civitatibus ad Germanos invitatos eos uti ab Rheno
discederent: omnia quae[que] postulassent ab se fore
parata. Qua spe adducti Germani latius iam vagabantur
et in fines Eburonum et Condrusorum, qui sunt
Treverorum clientes, pervenerant. Principibus Gallice
evocatis Caesar ea quae cognoverat dissimulanda sibi
existimavit, eorumque animis permulsis et confirmatis
equitatu imperato bellum cum Germanis gerere
constituit.
Cesare, che conosceva tale abitudine, per non andare
incontro a una guerra troppo pesante, partì alla volta
dell'esercito prima del solito. Appena giunto, apprese
che i suoi sospetti si erano avverati: parecchi popoli
avevano inviato ambascerie ai Germani, chiedendo che
varcassero il Reno e promettendo di esaudire ogni loro
richiesta. I Germani, attratti da tali speranze, già si
stavano spingendo più lontano ed erano pervenuti nelle
terre degli Eburoni e dei Condrusi, clienti dei Treveri.
Cesare convocò i principi della Gallia, ma ritenne
opportuno dissimulare ciò di cui era invece al corrente;
li blandì, li rassicurò, chiese i contingenti di cavalleria e
prese la risoluzione di muovere guerra ai Germani.
VII - Discorso degli ambasciatori dei Germani
Re frumentaria comparata equitibusque delectis iter in
ea loca facere coepit, quibus in locis esse Germanos
audiebat. A quibus cum paucorum dierum iter abesset,
legati ab iis venerunt, quorum haec fuit oratio:
Germanos neque priores populo Romano bellum inferre
neque tamen recusare, si lacessantur, quin armis
contendant, quod Germanorum consuetudo [haec] sit a
maioribus tradita, Quicumque bellum inferant, resistere
neque deprecari. Haec tamen dicere venisse invitos,
eiectos domo; si suam gratiam Romani velint, posse iis
utiles esse amicos; vel sibi agros attribuant vel patiantur
eos tenere quos armis possederint: sese unis Suebis
concedere, quibus ne di quidem immortales pares esse
possint; reliquum quidem in terris esse neminem quem
non superare possint.
Avendo procurato frumento e scelta la cavalleria,
cominciò a dirigersi verso quelle parti nelle quali aveva
sentito essere i Germani. Quando fu distante da essi solo
pochi giorni di marcia, dai loro stati vennero degli
ambasciatori, il discorso dei quali fu come segue: i
Germani né vogliono combattere contro il popolo
Romano, né vogliono rifiutare, se sono provocati, a
combattere contro di loro, poiché è una consuetudine dei
Germani, tramandata dai loro avi, di non resitere né di
implorare chiunque porti loro guerra. Comunque essi
dicono di essere venuti qui contro la loro volontà,
essendo stati cacciati dalle loro case; se i Romani sono
disposti ad accettarli, possono essere utili amici; e gli
diano o dei territori, o gli permettano di riprendere quelli
che hanno acquisito con le armi: essi sono inferiori solo
ai Suevi, ai quali neanche gli dei immortali possono
mostrarsi uguali; non c'è niente altro sulla terra che loro
non possono conquistare.
VIII
Ad haec Caesar quae visum est respondit; sed exitus fuit
orationis: sibi nullam cum iis amicitiam esse posse, si in
Gallia remanerent; neque verum esse, qui suos fines
tueri non potuerint alienos occupare; neque ullos in
Gallia vacare agros qui dari tantae praesertim
multitudini sine iniuria possint; sed licere, si velint, in
Ubiorum finibus considere, quorum sint legati apud se et
de Sueborum iniuriis querantur et a se auxilium petant:
hoc se Ubiis imperaturus.
A tali parole Cesare rispose come gli sembrò più
opportuno; ma ecco come terminò il suo discorso: non
poteva stringere con loro alcuna alleanza, se rimanevano
in Gallia; e non era giusto che occupasse le terre altrui
chi non era riuscito a difendere le proprie; in Gallia non
c'erano regioni libere da poter assegnare - tanto meno a
un gruppo così numeroso - senza danneggiare nessuno,
ma concedeva loro, se lo volevano, di stabilirsi nei
territori degli Ubi, che gli avevano inviato emissari per
lamentarsi dei soprusi degli Svevi e per chiedergli aiuto:
ne avrebbe dato ordine agli Ubi.
IX
Legati haec se ad suos relaturos dixerunt et re deliberata
post diem tertium ad Caesarem reversuros: interea ne
propius se castra moveret petierunt. Ne id quidem
Caesar ab se impetrari posse dixit. Cognoverat enim
magnam partem equitatus ab iis aliquot diebus ante
praedandi frumentandi causa ad Ambivaritos trans
Mosam missam: hos expectari equites atque eius rei
causa moram interponi arbitrabatur.
I membri dell'ambasceria dissero che avrebbero riferito
e che si sarebbero ripresentati dopo tre giorni con la
risposta. Chiesero a Cesare, però, di non avanzare
ulteriormente nel frattempo. Cesare dichiarò di non
poter concedere neppure questo. Era venuto a
conoscenza, infatti, che i Germani, alcuni giorni prima,
avevano inviato gran parte della cavalleria al di là della
Mosa, nella regione degli Ambivariti, a scopo di razzia e
in cerca di grano. Riteneva, dunque, che stessero
aspettando i loro cavalieri e che, a tal fine, cercassero di
prendere tempo.
X
[Mosa profluit ex monte Vosego, qui est in finibus
Lingonum, et parte quadam ex Rheno recepta, quae
appellatur Vacalus insulam efficit Batavorum, in
Oceanum influit neque longius ab Oceano milibus
passuum LXXX in Rhenum influit. Rhenus autem oritur
ex Lepontiis, qui Alpes incolunt, et longo spatio per
fines Nantuatium, Helvetiorum, Sequanorum,
Mediomatricorum, Tribocorum, Treverorum citatus
fertur et, ubi Oceano adpropinquavit, in plures diffluit
partes multis ingentibus insulis effectis, quarum pars
magna a feris barbaris nationibus incolitur, ex quibus
sunt qui piscibus atque ovis avium vivere existimantur,
multis capitibus in Oceanum influit.]
La Mosa nasce dai monti Vosgi, nella regione dei
Lingoni; a non più di ottanta miglia di distanza
dall'Oceano, si getta nel Reno. Il Reno nasce nella
regione dei Leponzi, un popolo delle Alpi, scorre
vorticoso per lungo tratto nelle terre dei Nantuati, degli
Elvezi, dei Sequani, dei Mediomatrici, dei Triboci e dei
Treveri; poi, nei pressi dell'Oceano, si divide in diversi
rami e forma molte isole di notevoli dimensioni, per la
maggior parte abitate da genti incolte e barbare, alcune
delle quali si ritiene che vivano di pesci e di uova
d'uccelli. Sfocia con molte diramazioni nell'Oceano.
XI
Caesar cum ab hoste non amplius passuum XII milibus
abesset, ut erat constitutum, ad eum legati revertuntur;
qui in itinere congressi magnopere ne longius
progrederetur orabant. Cum id non impetrassent,
petebant uti ad eos [equites] qui agmen antecessissent
praemitteret eos pugna prohiberet, sibique ut potestatem
faceret in Ubios legatos mittendi; quorum si principes ac
senatus sibi iure iurando fidem fecisset, ea condicione
quae a Caesare ferretur se usuros ostendebant: ad has res
conficiendas sibi tridui spatium daret. Haec omnia
Caesar eodem illo pertinere arbitrabatur ut tridui mora
interposita equites eorum qui abessent reverterentur;
tamen sese non longius milibus passuum IIII aquationis
causa processurum eo die dixit: huc postero die quam
frequentissimi convenirent, ut de eorum postulatis
Cesare non distava più di dodici miglia dal nemico,
quando i membri dell'ambasceria ritornarono, secondo
gli accordi. Gli si presentarono che era in marcia e lo
pregavano, invano, di non avanzare ulteriormente. Gli
chiedevano, allora, di dar ordine alla cavalleria, posta
all'avanguardia, di non aprire le ostilità e gli
domandavano il permesso di inviare un'ambasceria agli
Ubi: se i capi e il senato degli Ubi avessero fornito
garanzie mediante un giuramento solenne, si
dichiaravano pronti ad accettare le condizioni proposte
da Cesare. Ma, per condurre a termine le operazioni
necessarie, chiedevano tre giorni di tempo. Cesare
riteneva che la richiesta mirasse sempre a consentire, nei
tre giorni di tregua, il rientro dei cavalieri che si erano
allontanati; tuttavia, disse che per quel giorno si sarebbe
cognosceret. Interim ad praefectos, qui cum omni
equitatu antecesserant, mittit qui nuntiarent ne hostes
proelio lacesserent, et si ipsi lacesserentur, sustinerent
quoad ipse cum exercitu propius accessisset.
spinto in avanti non oltre le quattro miglia, al solo scopo
di rifornirsi d'acqua, ma comandò che l'indomani si
presentassero lì nel maggior numero possibile per
conoscere la sua risposta. Al tempo stesso, ai prefetti
della cavalleria, che precedeva l'esercito, manda dei
messi con l'ordine di non provocare a battaglia i nemici
e di difendersi, in caso di attacco, fino al suo arrivo con
le legioni.
XII
At hostes, ubi primum nostros equites conspexerunt,
quorum erat V milium numerus, cum ipsi non amplius
DCCC equites haberent, quod ii qui frumentandi causa
erant trans Mosam profecti nondum redierant, nihil
timentibus nostris, quod legati eorum paulo ante a
Caesare discesserant atque is dies indutiis erat ab his
petitus, impetu facto celeriter nostros perturbaverunt;
rursus his resistentibus consuetudine sua ad pedes
desiluerunt subfossis equis compluribus nostris deiectis
reliquos in fugam coniecerunt atque ita perterritos
egerunt ut non prius fuga desisterent quam in
conspectum agminis nostri venissent. In eo proelio ex
equitibus nostris interficiuntur IIII et LXX, in his vir
fortissimus Piso Aquitanus, amplissimo genere natus,
cuius avus in civitate sua regnum obtinuerat amicus a
senatu nostro appellatus. Hic cum fratri intercluso ab
hostibus auxilium ferret, illum ex periculo eripuit, ipse
equo vulnerato deiectus, quoad potuit, fortissime restitit;
cum circumventus multis vulneribus acceptis cecidisset
atque id frater, qui iam proelio excesserat, procul
animadvertisset, incitato equo se hostibus obtulit atque
interfectus est.
Ma i nemici, non appena videro la nostra cavalleria benché contasse circa cinquemila unità, mentre essi non
erano più di ottocento, non essendo ancora rientrati i
cavalieri che avevano varcato la Mosa in cerca di grano
- si lanciarono all'attacco e scompaginarono in breve
tempo i nostri, che non nutrivano alcun timore, in quanto
l'ambasceria dei Germani aveva appena lasciato Cesare
chiedendo, per quel giorno, tregua. Quando i nostri
riuscirono a opporre resistenza, gli avversari, secondo la
loro tecnica abituale, balzarono a terra e, ferendo al
ventre i cavalli, disarcionarono molti dei nostri e
costrinsero alla fuga i superstiti, premendoli e
terrorizzandoli al punto che non cessarono la ritirata se
non quando furono in vista del nostro esercito in marcia.
Nello scontro perdono la vita settantaquattro nostri
cavalieri, tra cui l'aquitano Pisone, uomo di grandissimo
valore e di alto lignaggio: un suo avo aveva tenuto la
suprema autorità tra la sua gente e ricevuto dal senato di
Roma il titolo di amico. Pisone, accorso in aiuto del
fratello circondato dai nemici, era riuscito a liberarlo;
disarcionato - il suo cavallo era stato colpito - resistette
con estremo valore finché ebbe forza: poi, circondato da
molti avversari, cadde. Il fratello, che aveva già lasciato
la mischia, lo vide da lontano: sferzato il cavallo, si
gettò sui nemici e rimase ucciso.
XIII
Hoc facto proelio Caesar neque iam sibi legatos
audiendos neque condiciones accipiendas arbitrabatur ab
iis qui per dolum atque insidias petita pace ultro bellum
intulissent; expectare vero dum hostium copiae
augerentur equitatus reverteretur summae dementiae
esse iudicabat, et cognita Gallorum infirmitate quantum
iam apud eos hostes uno proelio auctoritatis essent
consecuti sentiebat; quibus ad consilia capienda nihil
spatii dandum existimabat. His constitutis rebus et
consilio cum legatis et quaestore communicato, ne quem
diem pugnae praetermitteret, oportunissima res accidit,
quod postridie eius diei mane eadem et perfidia et
simulatione usi Germani frequentes, omnibus
principibus maioribusque natu adhibitis, ad eum in
castra venerunt, simul, ut dicebatur, sui purgandi causa,
quod contra atque esset dictum et ipsi petissent,
proelium pridie commisissent, simul ut, si quid possent,
de indutiis fallendo impetrarent. Quos sibi Caesar
oblatos gavisus illos retineri iussit; ipse omnes copias
castris D eduxit equitatumque, quod recenti proelio
perterritum esse existimabat, agmen subsequi iussit.
Dopo tale scontro, Cesare ormai non stimava giusto
ascoltare gli ambasciatori o accogliere le proposte di un
popolo che, dopo aver chiesto pace, aveva
deliberatamente aperto le ostilità con agguati e
imboscate; d'altro canto, considerava pura follia
aspettare che il numero dei nemici aumentasse con il
rientro della cavalleria e, ben conoscendo la volubilità
dei Galli, intuiva quanto prestigio i Germani avessero
già acquisito con una sola battaglia; perciò, riteneva di
non dover assolutamente concedere loro il tempo di
prendere decisioni. Aveva già assunto tali risoluzioni e
informato i legati e il questore che non intendeva
differire l'attacco neppure di un giorno, quando si
presentò un'occasione veramente favorevole: proprio la
mattina seguente i Germani, sempre con la stessa perfida
ipocrisia, si presentarono al campo di Cesare, in gran
numero, con tutti i principi e i più anziani. Volevano, a
detta loro, sia chiedere perdono per l'attacco sferrato il
giorno precedente contro gli accordi e le loro stesse
richieste, sia ottenere, se possibile, una dilazione: ma il
solo scopo era di tendere una trappola. Cesare, lieto che
gli si fossero offerti, ordinò di trattenerli, portò fuori
dall'accampamento tutte le sue truppe e ordinò alla
cavalleria di chiudere lo schieramento, ritenendola
ancora scossa per la recente sconfitta.
XIV
Acie triplici instituta et celeriter VIII milium itinere
confecto, prius ad hostium castra pervenit quam quid
ageretur Germani sentire possent. Qui omnibus rebus
subito perterriti et celeritate adventus nostri et discessu
suorum, neque consilii habendi neque arma capiendi
spatio dato perturbantur, copiasne adversus hostem
ducere an castra defendere an fuga salutem petere
praestaret. Quorum timor cum fremitu et concursu
significaretur, milites nostri pristini diei perfidia incitati
in castra inruperunt. Quo loco qui celeriter arma capere
potuerunt paulisper nostris restiterunt atque inter carros
impedimentaque proelium commiserunt; at reliqua
multitudo puerorum mulierumque (nam cum omnibus
suis domo excesserant Rhenum transierant) passim
fugere coepit, ad quos consectandos Caesar equitatum
misit.
Disposto l'esercito su tre file, percorse rapidamente otto
miglia e piombò sul campo nemico prima che i Germani
potessero rendersi conto di cosa stava accadendo. I
nemici, atterriti per più di una ragione, dall'arrivo
improvviso dei nostri, dall'assenza dei loro, dal non
avere il tempo di prendere alcuna decisione, né di
correre alle armi, erano incerti se conveniva affrontare i
Romani, difendere l'accampamento o darsi alla fuga. I
rumori e la confusione davano il segno del timore che
regnava tra i nemici; i nostri, irritati dal proditorio
attacco del giorno precedente, fecero irruzione nel
campo avversario. Qui, chi riuscì ad armarsi in fretta,
per un po' oppose resistenza, combattendo tra i carri e le
salmerie; gli altri, invece, ossia le donne e i bambini
(infatti, avevano abbandonato le loro terre e attraversato
il Reno con le famiglie) si diedero a una fuga
disordinata. Al loro inseguimento Cesare inviò la
cavalleria.
XV
Germani post tergum clamore audito, cum suos interfiei
viderent, armis abiectis signis militaribus relictis se ex
castris eiecerunt, et cum ad confluentem Mosae et Rheni
pervenissent, reliqua fuga desperata, magno numero
interfecto, reliqui se in flumen praecipitaverunt atque ibi
timore, lassitudine, vi fluminis oppressi perierunt. Nostri
ad unum omnes incolumes, perpaucis vulneratis, ex tanti
belli timore, cum hostium numerus capitum CCCCXXX
milium fuisset, se in castra receperunt. Caesar iis quos in
castris retinuerat discedendi potestatem fecit. Illi
supplicia cruciatusque Gallorum veriti, quorum agros
vexaverant, remanere se apud eum velle dixerunt. His
Caesar libertatem concessit.
I Germani, uditi i clamori alle spalle, quando videro che
i loro venivano massacrati, gettarono le armi,
abbandonarono le insegne e fuggirono
dall'accampamento. Giunti alla confluenza della Mosa
con il Reno, dove non avevano più speranze di fuga,
molti vennero uccisi, gli altri si gettarono nel fiume e
qui, vinti dalla paura, dalla stanchezza, dalla forte
corrente, morirono. I nostri, tutti salvi dal primo
all'ultimo, con pochissimi feriti, rientrarono al campo
dopo le apprensioni nutrite per uno scontro così
rischioso, considerando che il nemico contava
quattrocentotrentamila persone. Ai Germani prigionieri
nell'accampamento Cesare permise di allontanarsi, ma
costoro, temendo atroci supplizi da parte dei Galli di cui
avevano saccheggiato i campi, dissero di voler rimanere
presso di lui. Cesare concesse loro la libertà.
XVI
Germanico bello confecto multis de causis Caesar statuit
sibi Rhenum esse transeundum; quarum illa fuit
iustissima quod, cum videret Germanos tam facile
impelli ut in Galliam venirent, suis quoque rebus eos
timere voluit, cum intellegerent et posse et audere populi
Romani exercitum Rhenum transire. Accessit etiam
quod illa pars equitatus Usipetum et Tencterorum, quam
supra commemoravi praedandi frumentandi causa
Mosam transisse neque proelio interfuisse, post fugam
suorum se trans Rhenum in fines Sugambrorum
receperat seque cum his coniunxerat. Ad quos cum
Caesar nuntios misisset, qui postularent eos qui sibi
Galliae bellum intulissent sibi dederent, responderunt:
populi Romani imperium Rhenum finire; si se invito
Germanos in Galliam transire non aequum existimaret,
Terminata la guerra con i Germani, Cesare decise che
doveva varcare il Reno, per molte ragioni, di cui una
importantissima: vedendo con quale facilità i Germani
tendevano a passare in Gallia, voleva che nutrissero
timore anche per il proprio paese, quando si fossero resi
conto che l'esercito del popolo romano poteva e osava
oltrepassare il Reno. Si aggiungeva un'altra
considerazione: la parte della cavalleria degli Usipeti e
dei Tenteri che, come abbiamo detto, attraversata la
Mosa a scopo di razzia e in cerca di grano, non aveva
partecipato alla battaglia, dopo la fuga dei suoi si era
rifugiata al di là del Reno, nelle terre dei Sigambri,
unendosi a essi. Cesare, per chiedere la consegna di chi
aveva mosso guerra a lui e alla Gallia, mandò suoi
emissari ai Sigambri, che così risposero: il Reno segnava
cur sui quicquam esse imperii aut potestatis trans
Rhenum postularet? Ubii autem, qui uni ex
Transrhenanis ad Caesarem legatos miserant, amicitiam
fecerant, obsides dederant, magnopere orabant ut sibi
auxilium ferret, quod graviter ab Suebis premerentur;
vel, si id facere occupationibus rei publicae
prohiberetur, exercitum modo Rhenum transportaret: id
sibi ad auxilium spemque reliqui temporis satis futurum.
Tantum esse nomen atque opinionem eius exercitus
Ariovisto pulso et hoc novissimo proelio facto etiam ad
ultimas Germanorum nationes, uti opinione et amicitia
populi Romani tuti esse possint. Navium magnam
copiam ad transportandum exercitum pollicebantur.
i confini del dominio di Roma; se egli riteneva ingiusto
che i Germani, contro il suo volere, passassero in Gallia,
perché pretendeva di aver dominio o potere al di là del
Reno? Gli Ubi, poi, l'unico popolo d'oltre Reno che
avesse inviato a Cesare emissari, stringendo alleanza e
consegnando ostaggi, lo scongiuravano di intervenire in
loro aiuto perché incombevano su di loro, pesantemente,
gli Svevi; oppure, se ne era impedito dagli affari di stato,
lo pregavano, almeno, di condurre l'esercito al di là del
Reno: sarebbe stato un ausilio sufficiente per il presente
e una speranza per il futuro. Il nome e la fama
dell'esercito romano, dopo la vittoria su Ariovisto e il
recentissimo successo, aveva raggiunto anche le più
lontane genti germane: considerati alleati del popolo
romano, gli Ubi sarebbero stati al sicuro. Promettevano
una flotta numerosa per trasportare l'esercito.
XVII
Caesar his de causis quas commemoravi Rhenum
transire decrevat; sed navibus transire neque satis tutum
esse arbitrabatur neque suae neque populi Romani
dignitatis esse statuebat. Itaque, etsi summa difficultas
faciendi pontis proponebatur propter latitudinem,
rapiditatem altitudinemque fluminis, tamen id sibi
contendendum aut aliter non traducendum exercitum
existimabat. Rationem pontis hanc instituit. Tigna bina
sesquipedalia. paulum ab imo praeacuta dimensa ad
altitudinem fluminis intervallo pedum duorum inter se
iungebat. Haec cum machinationibus immissa in flumen
defixerat fistucisque adegerat, non sublicae modo
derecte ad perpendiculum, sed prone ac fastigate, ut
secundum naturam fluminis procumberent, iis item
contraria duo ad eundem modum iuncta intervallo
pedum quadragenum ab inferiore parte contra vim atque
impetu fluminis conversa statuebat. Haec utraque
insuper bipedalibus trabibus immissis, quantum eorum
tignorum iunctura distabat, binis utrimque fibulis ab
extrema parte distinebantur; quibus disclusis atque in
contrariam partem revinctis, tanta erat operis firmitudo
atque ea rerum natura ut, quo maior vis aquae se
incitavisset, hoc artius inligata tenerentur. Haec derecta
materia iniecta contexebantur ac longuriis cratibusque
consternebantur; ac nihilo setius sublicae et ad
inferiorem partem fluminis oblique agebantur, quae pro
ariete subiectae et cum omni opere coniunctae vim
fluminis exciperent, et aliae item supra pontem mediocri
spatio, ut, si arborum trunci sive naves deiciendi operis
causa essent a barbaris missae, his defensoribus earum
rerum vis minueretur neu ponti nocerent.
Per i motivi che ho ricordato, Cesare aveva deciso di
oltrepassare il Reno, ma riteneva che l'impiego delle
navi non fosse abbastanza sicuro e non lo giudicava
consono alla dignità sua e del popolo romano. Così,
sebbene si presentassero gravi difficoltà per costruire un
ponte - come la larghezza e la profondità del fiume, la
rapidità della corrente - egli tuttavia stimava necessario
adottare tale soluzione oppure rinunciare all'impresa.
Ecco come progettò la struttura dei ponte. A distanza di
due piedi univa, a due per volta, travi lievemente
appuntite in basso, del diametro di un piede e mezzo di
altezza commisurata alla profondità del fiume; poi,
mediante macchinari le calava in acqua e con battipali le
conficcava sul fondo del fiume, non a perpendicolo,
come le travi delle palafitte, ma oblique e in pendenza,
in modo da inclinare nel senso della corrente; più in
basso, alla distanza di quaranta passi e dirimpetto alle
prime travi, ne poneva altre, sempre legate a due a due,
con inclinazione opposta all'impeto e alla corrente del
fiume. Nell'interstizio collocava pali dello spessore di
due piedi - pari alla distanza delle travi accoppiate - e,
fissandoli con due arpioni, impediva che esse in cima si
toccassero; perciò, poggiando su travi separate e ben
ribadite in direzione contraria, la struttura del ponte
risultava tale, da reggere, per necessità naturale, tanto
più saldamente, quanto più impetuosa fosse la corrente.
Sui pali venivano disposte, in senso orizzontale, altre
travi su cui poggiavano tavole e graticci; inoltre, come
sostegno, a valle venivano aggiunti, obliqui, pali fissati
al resto della struttura per resistere alla corrente
impetuosa; così pure altre travi, a monte, venivano
collocate non lontano dal ponte, allo scopo di frenare
eventuali tronchi o navi che i barbari avessero lanciato
contro la costruzione per distruggerla: l'impatto sarebbe
stato attutito e i danni al ponte limitati.
XVIII
Diebus X, quibus materia coepta erat comportari, omni
opere effecto exercitus traducitur. Caesar ad utramque
partem pontis firmo praesidio relicto in fines
Sugambrorum contendit. Interim a compluribus
Da quando ebbe inizio la raccolta del materiale, in dieci
giorni il lavoro fu portato a termine e l'esercito
oltrepassò il fiume. Lasciati saldi presidi su entrambe le
sponde, Cesare marciò verso il territorio dei Sigambri.
civitatibus ad eum legati veniunt; quibus pacem atque
amicitiam petentibus liberaliter respondet obsidesque ad
se adduci iubet. At Sugambri, ex eo tempore quo pons
institui coeptus est fuga comparata, hortantibus iis quos
ex Tencteris atque Usipetibus apud se habebant, finibus
suis excesserant suaque omnia exportaverant seque in
solitudinem ac silvas abdiderant.
Frattanto gli si presentano ambascerie di parecchie
nazioni, alle cui richieste di pace e alleanza egli risponde
benevolmente e ordina la consegna di ostaggi. Da
quando erano incominciati i lavori per il ponte, i
Sigambri, su pressione dei Tenteri e degli Usipeti che
erano con loro, avevano preparato la fuga ed evacuato i
loro territori, portando con sé tutti i loro beni e
rifugiandosi in foreste disabitate.
XIX
Caesar paucos dies in eorum finibus moratus, omnibus
vicis aedificiisque incensis frumentisque succisis, se in
fines Ubiorum recepit atque his auxilium suum
pollicitus, si a Suebis premerentur, haec ab iis cognovit:
Suebos, postea quam per exploratores pontem fieri
comperissent, more suo concilio habito nuntios in omnes
partes dimisisse, uti de oppidis demigrarent, liberos,
uxores suaque omnia in silvis deponerent atque omnes
qui arma ferre possent unum in locum convenirent. Hunc
esse delectum medium fere regionum earum quas Suebi
obtinerent; hic Romanorum adventum expectare atque
ibi decertare constituisse. Quod ubi Caesar comperit,
omnibus iis rebus confectis, quarum rerum causa
exercitum traducere constituerat, ut Germanis metum
iniceret, ut Sugambros ulcisceretur, ut Ubios obsidione
liberaret, diebus omnino XVIII trans Rhenum
consumptis, satis et ad laudem et ad utilitatem profectum
arbitratus se in Galliam recepit pontemque rescidit.
Cesare si trattenne pochi giorni nella regione dei
Sigambri, dove diede alle fiamme tutti i villaggi e le
singole abitazioni e distrusse i raccolti, quindi ripiegò
nei territori degli Ubi, a cui aveva promesso il suo aiuto
in caso di attacco degli Svevi. Dagli Ubi venne a sapere
quanto segue: gli Svevi, messi al corrente dai loro
esploratori che si costruiva un ponte, tenuta
un'assemblea, secondo il loro costume, avevano poi
inviato emissari in tutte le direzioni, con l'ordine di
evacuare le città e di mettere al sicuro nelle selve i figli,
le mogli e ogni loro bene, mentre tutti gli uomini in
grado di combattere dovevano radunarsi in un solo
luogo, quasi al centro delle regioni controllate dagli
Svevi: si era stabilito che lì avrebbero atteso l'arrivo dei
Romani e combattuto. Cesare, quando lo seppe, avendo
raggiunto gli scopi che lo avevano spinto ad attraversare
il Reno (incutere timore ai Germani, punire i Sigambri,
liberare gli Ubi dall'oppressione degli Svevi) e
ritenendo, inoltre, che i diciotto giorni, in tutto, trascorsi
al di là del Reno gli avessero procurato fama e vantaggi
sufficienti, rientrò in Gallia e distrusse il ponte.
XX - Cesare decide di andare in Britannia
Exigua parte aestatis reliqua Caesar, etsi in his locis,
quod omnis Gallia ad septentriones vergit, maturae sunt
hiemes, tamen in Britanniam proficisci contendit, quod
omnibus fere Gallicis bellis hostibus nostris inde
subministrata auxilia intellegebat, et si tempus anni ad
bellum gerendum deficeret, tamen magno sibi usui fore
arbitrabatur, si modo insulam adiisset, genus hominum
perspexisset, loca, portus, aditus cognovisset; quae
omnia fere Gallis erant incognita. Neque enim temere
praeter mercatores illo adit quisquam, neque his ipsis
quicquam praeter oram maritimam atque eas regiones
quae sunt contra Galliam notum est. Itaque vocatis ad se
undique mercatoribus, neque quanta esset insulae
magnitudo neque quae aut quantae nationes incolerent,
neque quem usum belli haberent aut quibus institutis
uterentur, neque qui essent ad maiorem navium
multitudinem idonei portus reperire poterat.
Nel breve periodo estivo che rimaneva Cesare,
nonostante in questi luoghi, come tutta la Gallia a nord,
gli inverni sono precoci, decise di procedere in
Britannia, poiché sapeva che in quasi tutte le guerre
galliche ai nostri nemici da lì erano venuti aiuti e, se non
fosse bastato il tempo per fare una guerra, pensò
comunque che sarebbe stato di grande utilità, per sé, se
si fosse soltanto avvicinato all'isola e avesse osservato
con molta attenzione la gente e avesse conosciuto i
luoghi, i porti, i luoghi di sbarco; che erano per la
maggior parte sconosciuti ai Galli. Poichè nessuno
facilmente va lì tranne i mercanti, né a loro era
conosciuta alcuna porzione di essa, tranne la costa e
quelle parti che stanno di fronte alla Gallia. Quindi, pur
avendo fatto venire da ogni parte dei mercanti, non
seppe né la dimensione dell'isola, né quali o quanto
numerose fossero le nazioni che la abitavano, né quale
sistema di guerra usavano, nè quali fossero i loro
costumi, né quali porti fossero adatti per un gran numero
di navi.
XXI
Ad haec cognoscenda, prius quam periculum faceret,
idoneum esse arbitratus C. Volusenum cum navi longa
praemittit. Huic mandat ut exploratis omnibus rebus ad
Allo scopo di raccogliere informazioni in proposito,
prima di affrontare l'impresa, Cesare manda in
avanscoperta una nave da guerra agli ordini di C.
se quam primum revertatur. Ipse cum omnibus copiis in
Morinos proficiscitur, quod inde erat brevissimus in
Britanniam traiectus. Huc naves undique ex finitimis
regionibus et quam superiore aestate ad Veneticum
bellum fecerat classem iubet convenire. Interim, consilio
eius cognito et per mercatores perlato ad Britannos, a
compluribus insulae civitatibus ad eum legati veniunt,
qui polliceantur obsides dare atque imperio populi
Romani obtemperare. Quibus auditis, liberaliter
pollicitus hortatusque ut in ea sententia permanerent, eos
domum remittit et cum iis una Commium, quem ipse
Atrebatibus superatis regem ibi constituerat, cuius et
virtutem et consilium probabat et quem sibi fidelem esse
arbitrabatur cuiusque auctoritas in his regionibus magni
habebatur, mittit. Huic imperat quas possit adeat
civitates horteturque ut populi Romani fidem sequantur
seque celeriter eo venturum nuntiet. Volusenus
perspectis regionibus omnibus quantum ei facultatis dari
potuit, qui navi egredi ac se barbaris committere non
auderet, V. die ad Caesarem revertitur quaeque ibi
perspexisset renuntiat.
Voluseno, ritenendolo adatto per la missione. Lo
incarica di rientrare al più presto, una volta terminata la
ricognizione. Dal canto suo, con l'esercito al completo si
dirige nei territori dei Morini, perché da lì il tragitto
verso la Britannia era il più breve. Ordina che qui si
radunino le navi provenienti da tutte le regioni limitrofe
e la flotta allestita l'estate precedente per la guerra
contro i Veneti. Nel frattempo, le sue manovre vengono
risapute e i mercanti le riferiscono ai Britanni: da parte
di molti popoli dell'isola giungono messi per promettere
che avrebbero consegnato ostaggi e si sarebbero
sottomessi al dominio del popolo romano. Cesare li
ascolta e, esortandoli a non mutare parere, con benevoli
promesse li rimanda in patria accompagnati da Commio,
che in Britannia godeva di grande autorità: Cesare ne
stimava il valore e l'intelligenza e lo riteneva fedele al
punto che lo aveva designato re degli Atrebati dopo
averli sconfitti in battaglia. A Commio dà ordine di
prendere contatti con il maggior numero di popoli per
sollecitarli a mettersi sotto la protezione di Roma e per
annunciare che presto Cesare sarebbe giunto. Voluseno,
compiuta la ricognizione in tutte le zone, per quanto gli
fu possibile, dato che non volle correre il rischio di
sbarcare e di entrare in contatto con i barbari, raggiunge
Cesare quattro giorni dopo e gli riferisce ciò che aveva
osservato.
XXII
Dum in his locis Caesar navium parandarum causa
moratur, ex magna parte Morinorum ad eum legati
venerunt, qui se de superioris temporis consilio
excusarent, quod homines barbari et nostrae
consuetudinis imperiti bellum populo Romano fecissent,
seque ea quae imperasset facturos pollicerentur. Hoc sibi
Caesar satis oportune accidisse arbitratus, quod neque
post tergum hostem relinquere volebat neque belli
gerendi propter anni tempus facultatem habebat neque
has tantularum rerum occupationes Britanniae
anteponendas iudicabat, magnum iis numerum obsidum
imperat. Quibus adductis eos in fidem recipit. Navibus
circiter LXXX onerariis coactis contractisque, quot satis
esse ad duas transportandas legiones existimabat, quod
praeterea navium longarum habebat quaestori, legatis
praefectisque distribuit. Huc accedebant XVIII onerariae
naves, quae ex eo loco a milibus passuum VIII vento
tenebantur quo minus in eundem portum venire possent:
has equitibus tribuit. Reliquum exercitum Q. Titurio
Sabino et L. Aurunculeio Cottae legatis in Menapios
atque in eos pagos Morinorum a quibus ad eum legati
non venerant ducendum dedit. P. Sulpicium Rufum
legatum cum eo praesidio quod satis esse arbitrabatur
portum tenere iussit.
Mentre per preparare la flotta Cesare si attardava nei
territori dei Morini, molte tribù della regione gli
inviarono emissari per scusarsi della loro condotta
passata, quando, barbari e ignari delle nostre
consuetudini, avevano mosso guerra al popolo romano:
adesso promettevano ubbidienza ai suoi ordini. Cesare la
giudicò una circostanza veramente favorevole, perché
non voleva lasciarsi un nemico alle spalle e, con l'estate
che volgeva al termine, non aveva il tempo di sostenere
una guerra; inoltre, stimava di non dover anteporre un
problema di così lieve entità alla Britannia; pretese,
allora, la consegna di un alto numero di ostaggi.
Ricevuti i quali, pose i Morini sotto la propria
protezione. Circa ottanta navi da carico, numero che
giudicava sufficiente per il trasporto delle legioni,
vennero radunate e munite di tolde. Le navi da guerra di
cui disponeva vennero suddivise tra il questore, i legati e
i prefetti. A esse si aggiungevano altre diciotto navi da
carico, che erano a otto miglia di distanza e non
riuscivano a raggiungere il porto per via del vento: le
riservò alla cavalleria. Ai legati Q. Titurio Sabino e L.
Aurunculeio Cotta affidò il resto dell'esercito col
compito di guidarlo contro i Menapi e le tribù dei
Morini che non avevano inviato ambascerie. Lasciò al
legato P. Sulpicio Rufo una guarnigione giudicata
sufficiente, con l'ordine di presidiare il porto.
XXIII
His constitutis rebus, nactus idoneam ad navigandum
tempestatem III. fere vigilia solvit equitesque in
ulteriorem portum progredi et naves conscendere et se
Presi tali provvedimenti, approfittando del tempo
favorevole alla navigazione, salpò all'incirca dopo
mezzanotte e comandò alla cavalleria di raggiungere il
sequi iussit. A quibus cum paulo tardius esset
administratum, ipse hora diei circiter IIII. cum primis
navibus Britanniam attigit atque ibi in omnibus collibus
eitas hostium copias armatas conspexit. Cuius loci haec
erat natura atque ita montibus angustis mare
continebatur, uti ex locis superioribus in litus telum
adigi posset. Hunc ad egrediendum nequaquam idoneum
locum arbitratus, dum reliquae naves eo convenirent ad
horam nonam in ancoris expectavit. Interim legatis
tribunisque militum convocatis et quae ex Voluseno
cognovisset et quae fieri vellet ostendit monuitque, ut rei
militaris ratio, maximeque ut maritimae res postularent,
ut, cum celerem atque instabilem motum haberent, ad
nutum et ad tempus D omnes res ab iis administrarentur.
His dimissis, et VII ab eo loco progressus aperto ac
plano litore naves constituit.
porto successivo per imbarcarsi e seguirlo. I cavalieri
eseguirono gli ordini troppo lentamente; Cesare, invece,
con le prime navi pervenne alle coste della Britannia
verso le nove di mattina e lì vide le truppe nemiche, in
armi, schierate su tutte le alture circostanti. La natura del
luogo era tale e le scogliere erano così a precipizio sul
mare, che i dardi scagliati dall'alto potevano raggiungere
il litorale. Avendo giudicato il luogo assolutamente
inadatto per uno sbarco, gettò l'ancora e fino alle due del
pomeriggio attese l'arrivo delle altre navi. Nel frattempo,
convocati i legati e i tribuni militari, espose le
informazioni raccolte da Voluseno e il suo piano,
invitandoli a compiere tutte le manovre al primo cenno e
istantaneamente, come richiede la tecnica militare,
soprattutto negli scontri navali, dove i movimenti sono
rapidi e variano continuamente. Dopo averli congedati,
sfruttando il contemporaneo favore della marea e del
vento, diede il segnale e levò le ancore. Avanzò per
circa sette miglia e mise le navi alla fonda in un punto in
cui il litorale era aperto e piano.
XXIV
At barbari, consilio Romanorum cognito praemisso
equitatu et essedariis, quo plerumque genere in proeliis
uti consuerunt, reliquis copiis subsecuti nostros navibus
egredi prohibebant. Erat ob has causas summa
difficultas, quod naves propter magnitudinem nisi in alto
constitui non poterant, militibus autem, ignotis locis,
impeditis manibus, magno et gravi onere armorum
oppressis simul et de navibus desiliendum et in auctibus
consistendum et cum hostibus erat pugnandum, cum illi
aut ex arido aut paulum in aquam progressi omnibus
membris expeditis, notissimis locis, audacter tela
coicerent et equos insuefactos incitarent. Quibus rebus
nostri perterriti atque huius omnino generis pugnae
imperiti, non eadem alacritate ac studio quo in
pedestribus uti proeliis consuerant utebantur.
Ma i barbari, avendo inteso i propositi dei Romani,
avevano mandato in avanti, seguiti dal resto
dell'esercito, i cavalieri e gli essedari - reparti che di
solito impiegano in battaglia - impedendo lo sbarco ai
nostri, che incontravano enormi difficoltà: le navi, per le
loro dimensioni, potevano fermarsi solo al largo; i
soldati, poi, non conoscevano i luoghi, non avevano le
mani libere, erano appesantiti dalle armi e dovevano,
contemporaneamente, scendere dalle navi, resistere alle
onde, combattere contro i nemici. I barbari, invece,
liberi nei movimenti, combattevano dalla terraferma o
entravano appena in acqua, conoscevano alla perfezione
i luoghi, con audacia scagliavano frecce e lanciavano
alla carica i loro cavalli, abituati a tali operazioni. I
nostri, sgomenti per tutto ciò, trovandosi di fronte a una
tecnica di combattimento del tutto nuova, non si
battevano con il solito zelo e ardore dimostrato in campo
aperto.
XXV
Quod ubi Caesar animadvertit, naves longas, quarum et
species erat barbaris inusitatior et motus ad usum
expeditior, paulum removeri ab onerariis navibus et
remis incitari et ad latus apertum hostium constitui atque
inde fundis, sagittis, tormentis hostes propelli ac
submoveri iussit; quae res magno usui nostris fuit. Nam
et navium figura et remorum motu et inusitato genere
tormentorum permoti barbari constiterunt ac paulum
modo pedem rettulerunt. Atque nostris militibus
cunctantibus, maxime propter altitudinem maris, qui X
legionis aquilam gerebat, obtestatus deos, ut ea res
legioni feliciter eveniret, ' desilite', inquit, ' milites, nisi
vultis aquilam hostibus prodere; ego certe meum rei
publicae atque imperatori officium praestitero.' Hoc cum
voce magna dixisset, se ex navi proiecit atque in hostes
aquilam ferre coepit. Tum nostri cohortati inter se, ne
tantum dedecus admitteretur, universi ex navi
Quando se ne accorse, Cesare ordinò che le navi da
guerra, di forma inconsueta per i barbari e facilmente
manovrabili, si staccassero un po' dalle imbarcazioni da
carico e, accelerando a forza di remi, si disponessero sul
fianco destro del nemico e, da qui, azionassero le fionde,
gli archi, le macchine da lancio per costringere gli
avversari alla ritirata. La manovra si rivelò molto utile.
Infatti, i barbari, scossi dalla forma delle navi, dal
movimento dei remi e dall'insolito genere di macchine
da lancio, si arrestarono e ripiegarono leggermente. Ma,
visto che i nostri soldati, soprattutto per la profondità
dell'acqua, esitavano, l'aquilifero della decima legione,
dopo aver pregato gli dèi di dare felice esito all'impresa,
gridò: "Saltate giù, commilitoni, se non volete
consegnare l'aquila al nemico: io, per parte mia, avrò
fatto il mio dovere verso la repubblica e il comandante".
Lo disse a gran voce, poi saltò giù dalla nave e cominciò
desiluerunt. Hos item ex proximis primi navibus cum
conspexissent, subsecuti hostibus adpropinquaverunt.
a correre contro i nemici. Allora i nostri,
vicendevolmente spronandosi a non permettere un'onta
così grave, saltarono giù dalla nave, tutti quanti. Anche i
soldati delle navi vicine, come li videro, li seguirono e
avanzarono contro i nemici.
XXVI
Pugnatum est ab utrisque acriter. Nostri tamen, quod
neque ordines servare neque firmiter insistere neque
signa subsequi poterant atque alius alia ex navi
quibuscumque signis occurrerat se adgregabat,
magnopere perturbabantur; hostes vero, notis omnibus
vadii, ubi ex litore aliquos singulares ex navi egredientes
conspexerant, incitatis equis impeditos adoriebantur,
plures paucos circumsistebant, alii ab latere aperto in
universos tela coiciebant. Quod cum animadvertisset
Caesar, scaphas longarum navium, item speculatoria
navigia militibus compleri iussit, et quos laborantes
conspexerat, his subsidia submittebat. Nostri, simul in
arido constiterunt, suis omnibus consecutis, in hostes
impetum fecerunt atque eos in fugam dederunt; neque
longius prosequi potuerunt, quod equites cursum tenere
atque insulam capere non potuerant. Hoc unum ad
pristinam fortunam Caesari defuit.
Si combatté con accanimento da entrambe le parti. I
nostri, tuttavia, erano in preda allo scompiglio, non
riuscendo a mantenere lo schieramento, ad attestarsi
saldamente, a seguire le proprie insegne, in quanto
ciascuno, appena sbarcato, si univa alle prime in cui si
imbatteva. I nemici, invece, che conoscevano tutti i
bassifondi, non appena dal litorale vedevano alcuni dei
nostri sbarcare isolati dalle navi, lanciavano i cavalli al
galoppo e alla carica dei legionari in difficoltà: molti dei
loro circondavano pochi dei nostri, mentre altri dal
fianco destro, scagliavano un nugolo di frecce sul grosso
dello schieramento. Cesare, appena se ne accorse,
ordinò di riempire di soldati le scialuppe delle navi da
guerra e i battelli da ricognizione e li inviò in aiuto di
chi aveva visto in difficoltà. I nostri, non appena
riuscirono ad attestarsi sulla terraferma, formati i ranghi,
passarono al contrattacco e costrinsero alla fuga gli
avversari, ma non ebbero modo di protrarre
l'inseguimento, perché le navi con la cavalleria avevano
perso la rotta e non erano riuscite a raggiungere l'isola:
solo questo mancò alla solita buona stella di Cesare.
XXVII
Hostes proelio superati, simul atque se ex fuga
receperunt, statim ad Caesarem legatos de pace
miserunt; obsides sese daturos quaeque imperasset
facturos polliciti sunt. Una cum his legatis Commius
Atrebas venit, quem supra demonstraveram a Caesare in
Britanniam praemissum. Hunc illi e navi egressum, cum
ad eos oratoris modo Caesaris mandata deferret,
comprehenderant atque in vincula coniecerant; tum
proelio facto remiserunt et in petenda pace eius rei
culpam in multitudinem contulerunt et propter
imprudentiam ut ignosceretur petiverunt. Caesar questus
quod, cum ultro in continentem legatis missis pacem ab
se petissent, bellum sine causa intulissent, ignoscere se
imprudentiae dixit obsidesque imperavit; quorum illi
partem statim dederunt, partem ex longinquioribus locis
arcessitam paucis diebus sese daturos dixerunt. Interea
suos in agros remigrare iusserunt, principesque undique
convenire et se civitatesque suas Caesari commendare
coeperunt.
I nemici, vinti in battaglia, non appena si riebbero
dall'affanno della fuga, immediatamente inviarono messi
a Cesare per offrirgli la resa, promettendo la consegna di
ostaggi e il rispetto degli ordini che volesse impartire.
Insieme a loro giunse l'atrebate Commio, l'uomo
mandato da Cesare in Britannia in avanscoperta, come in
precedenza avevo chiarito. Non appena Commio era
sceso dalla nave e aveva riferito, come portavoce, le
richieste di Cesare, i Britanni lo avevano fatto
prigioniero e messo in catene; ora, dopo la battaglia, lo
avevano liberato e, nel domandare pace, attribuivano la
responsabilità dell'accaduto al popolo, chiedendo di
perdonare una colpa dovuta alla leggerezza. Cesare si
lamentò che i Britanni, dopo aver spontaneamente
inviato ambascerie sul continente per domandare pace,
gli avevano poi mosso guerra senza motivo, ma disse
che perdonava la loro leggerezza e chiese ostaggi. Una
parte venne consegnata immediatamente, altri invece,
fatti venire da regioni lontane. li avrebbero consegnati dissero - entro pochi giorni. Nel frattempo, diedero
disposizione ai loro di ritornare alle campagne; i principi
di tutte le regioni si riunirono e cominciarono a pregare
Cesare di aver riguardo per loro e per i rispettivi popoli.
XXVIII
His rebus pace confirmata, post diem quartum quam est Con tali misure la pace era assicurata: quattro giorni
in Britanniam ventum naves XVIII, de quibus supra
dopo il nostro arrivo in Britannia, le diciotto navi di cui
demonstratum est, quae equites sustulerant, ex superiore si è parlato, su cui era imbarcata la cavalleria, dal porto
portu leni vento solverunt. Quae cum adpropinquarent
Britanniae et ex castris viderentur, tanta tempestas
subito coorta est ut nulla earum cursum tenere posset,
sed aliae eodem unde erant profectae referrentur, aliae
ad inferiorem partem insulae, quae est propius solis
occasum, magno suo cum periculo deicerentur; quae
tamen ancoris iactis cum fluctibus complerentur,
necessario adversa nocte in altum provectae continentem
petierunt.
più settentrionale salparono con una leggera brezza. Si
stavano avvicinando alla Britannia ed erano già state
avvistate dall'accampamento, quando all'improvviso si
levò una tempesta così violenta, che nessuna delle navi
riuscì a tenere la rotta: alcune vennero risospinte verso il
porto di partenza, altre con grave pericolo vennero
spinte verso la parte sud-occidentale dell'isola.
Tentarono di gettare l'ancora, ma, sommerse dalla
violenza dei flutti, furono costrette, sebbene fosse notte,
a prendere il largo e a dirigersi verso il continente.
XXIX
Eadem nocte accidit ut esset luna plena, qui dies a
maritimos aestus maximos in Oceano efficere consuevit,
nostrisque id erat incognitum. Ita uno tempore et longas
naves, [quibus Caesar exercitum transportandum
curaverat,] quas Caesar in aridum subduxerat, aestus
complebat, et onerarias, quae ad ancoras erant deligatae,
tempestas adflictabat, neque ulla nostris facultas aut
administrandi aut auxiliandi dabatur. Compluribus
navibus fractis, reliquae cum essent funibus, ancoris
reliquisque armamentis amissis ad navigandum inutiles,
magna, id quod necesse erat accidere, totius exercitus
perturbatio facta est. Neque enim naves erant aliae
quibus reportari possent, et omnia deerant quae ad
reficiendas naves erant usui, et, quod omnibus constabat
hiemari in Gallia oportere, frumentum in his locis in
hiemem provisum non erat.
Capitò che quella notte stessa ci fosse luna piena,
momento in cui la marea nell'Oceano è più alta, e i nostri
non lo sapevano. Così, nello stesso tempo, la marea
sommerse le navi da guerra impiegate per trasportare
l'esercito e poi tirate in secco, mentre la tempesta
sbatteva l'una contro l'altra le imbarcazioni da carico,
che erano all'àncora, senza che i nostri avessero la
minima possibilità di manovrare o porvi rimedio. Molte
navi rimasero danneggiate, le altre, perse le funi, le
ancore e il resto dell'attrezzatura, erano inutilizzabili: un
profondo turbamento, com'era inevitabile, si impadronì
di tutto l'esercito. Non c'erano, infatti, altre navi con cui
ritornare, mancava tutto il necessario per riparare le
barche danneggiate e, poiché tutti pensavano che si
dovesse svernare in Gallia, sull'isola non si era provvisto
il grano per l'inverno.
XXX
Quibus rebus cognitis, principes Britanniae, qui post
proelium ad Caesarem convenerant, inter se conlocuti,
cum et equites et naves et frumentum Romanis deesse
intellegerent et paucitatem militum ex castrorum
exiguitate cognoscerent, quae hoc erant etiam angustior
quod sine impedimentis Caesar legiones transportaverat,
optimum factu esse duxerunt rebellione facta frumento
commeatuque nostros prohibere et rem in hiemem
producere, quod his superatis aut reditu interclusis
neminem postea belli inferendi causa in Britanniam
transiturum confidebant. Itaque rursus coniuratione facta
paulatim ex castris discedere et suos clam ex agris
deducere coeperunt.
Appena ne furono informati, i principi britanni, che si
erano recati da Cesare dopo la battaglia, presero accordi:
rendendosi conto che i Romani non avevano né
cavalleria, né navi, né frumento e constatando che
dovevano essere ben pochi, viste le dimensioni
dell'accampamento, ancor più ridotto del solito in quanto
Cesare aveva trasportato le legioni senza bagagli,
ritennero che la cosa migliore fosse ribellarsi, ostacolare
i nostri nell'approvvigionamento di grano e viveri,
protrarre le ostilità fino all'inverno, perché erano sicuri
che, sconfiggendo i Romani o impedendo loro il ritorno,
nessuno in futuro sarebbe penetrato in Britannia per
portarvi guerra. Così, formata nuovamente una lega, a
poco a poco cominciarono a lasciare l'accampamento
romano e a radunare di nascosto i loro uomini dalle
campagne.
XXXI
At Caesar, etsi nondum eorum consilia cognoverat,
tamen et ex eventu navium suarum et ex eo quod obsides
dare intermiserant fore id quod accidit suspicabatur.
Itaque ad omnes casus subsidia comparabat. Nam et
frumentum ex agris cotidie in castra conferebat et, quae
gravissime adflictae erant naves, earum materia atque
aere ad reliquas reficiendas utebatur et quae ad eas res
erant usui ex continenti comportari iubebat. Itaque, cum
summo studio a militibus administraretur, XII navibus
amissis, reliquis ut navigari satis commode posset
Cesare non conosceva ancora il loro piano, ma dopo il
disastro capitato alle navi e visto che non gli venivano
più consegnati ostaggi, sospettava quello che sarebbe
poi accaduto. Perciò, si premuniva per qualsiasi
evenienza. Ogni giorno, infatti, disponeva che dalle
campagne portassero grano all'accampamento, si serviva
del legname e del bronzo delle navi più danneggiate per
riparare le altre e ordinava di procurarsi dal continente il
materiale necessario a tale scopo. Così, grazie allo
straordinario impegno dei nostri soldati, pur risultando
effecit.
perdute dodici navi, mise le altre in condizione di
navigare senza problemi.
XXXII
Dum ea geruntur, legione ex consuetudine una
frumentatum missa, quae appellabatur VII, neque ulla ad
id tempus belli suspicione interposita, cum pars
hominum in agris remaneret, pars etiam in castra
ventitaret, ii qui pro portis castrorum in statione erant
Caesari nuntiaverunt pulverem maiorem quam
consuetudo ferret in ea parte videri quam in partem legio
iter fecisset. Caesar id quod erat suspicatus aliquid novi
a barbaris initum consilii, cohortes quae in statione erant
secum in eam partem proficisci, ex reliquis duas in
stationem succedere, reliquas armari et confestim sese
subsequi iussit. Cum paulo longius a castris processisset,
suos ab hostibus premi atque aegre sustinere et conferta
legione ex omnibus partibus tela coici animadvertit.
Nam quod omni ex reliquis partibus demesso frumento
pars una erat reliqua, suspicati hostes huc nostros esse
venturos noctu in silvis delituerant; tum dispersos
depositis armis in metendo occupatos Subito adorti
paucis interfectis reliquos incertis ordinibus
perturbaverant, simul equitatu atque essedis
circumdederant.
Mentre accadevano tali fatti, come di consueto una
legione, la settima, era stata inviata in cerca di grano
(fino ad allora non si nutriva alcun sospetto di guerra,
visto che parte dei Britanni si trovava nelle campagne,
parte frequentava ancora l'accampamento romano). Le
guardie dislocate alle porte del campo annunziarono a
Cesare che, nella direzione in cui si era mossa la nostra
legione, si vedeva levarsi più polvere del solito. Cesare,
sospettando che i barbari, come in effetti era, stessero
tentando qualche novità, ordinò alle coorti di guardia di
partire con lui in quella direzione, e a due delle altre di
prendere il loro posto: le rimanenti avrebbero dovuto
armarsi e seguirlo al più presto. A una certa distanza dal
campo, vide che i suoi erano pressati dal nemico e
resistevano a fatica: sulla legione, serrata, piovevano
frecce da tutti i lati. Ecco che cosa era accaduto: poiché
il grano era stato raccolto in tutti i campi tranne uno, i
nemici, supponendo che i nostri si sarebbero qui diretti,
di notte si erano nascosti nelle selve; poi, erano piombati
all'improvviso sui nostri, che si erano sparpagliati e
avevano deposto le armi per attendere alla mietitura. Ne
avevano uccisi pochi, ma gli altri, che non riuscivano a
riformare i ranghi ed erano in pieno scompiglio, li
avevano accerchiati contemporaneamente con i cavalieri
e gli essedari.
XXXIII
Genus hoc est ex essedis pugnae. Primo per omnes
partes perequitant et tela coiciunt atque ipso terrore
equorum et strepitu rotarum ordines plerumque
perturbant, et cum se inter equitum turmas
insinuaverunt, ex essedis desiliunt et pedibus
proeliantur. Aurigae interim paulatim ex proelio
excedunt atque ita currus conlocant ut, si illi a
multitudine hostium premantur, expeditum ad quos
receptum habeant. Ita mobilitatem equitum, stabilitatem
peditum in proeliis praestant, ac tantum usu cotidiano et
exercitatione efficiunt uti in declivi ac praecipiti loco
incitatos equos sustinere et brevi moderari ac flectere et
per temonem percurrere et in iugo insistere et se inde in
currus citissime recipere consuerint.
La loro tecnica di combattimento con i carri è la
seguente: prima corrono in tutte le direzioni, scagliano
frecce e con i loro cavalli e lo strepito delle ruote
gettano il panico, in genere, tra le file avversarie, che si
disuniscono; poi, quando riescono a penetrare tra gli
squadroni di cavalleria, scendono dai carri e combattono
a piedi. Nel frattempo, gli aurighi a poco a poco si
allontanano dalla mischia e piazzano i carri in modo tale
che i loro compagni, nel caso siano incalzati da un gran
numero di nemici, abbiano la possibilità di mettersi
rapidamente al sicuro. Così, nelle battaglie si assicurano
la mobilità dei cavalieri e la stabilità dei fanti. Grazie
alla pratica e all'esercizio quotidiano sono capaci di
frenare, anche in pendii a precipizio, i cavalli lanciati al
galoppo, di moderarne la velocità e di cambiare
direzione in poco spazio, di correre sopra il timone del
carro, di tenersi fermi sul giogo dei cavalli e poi, da qui,
di ritornare sui carri in un attimo.
XXXIV
Quibus rebus perturbatis nostris [novitate pugnae]
tempore oportunissimo Caesar auxilium tulit: namque
eius adventu hostes constiterunt, nostri se ex timore
receperunt. Quo facto, ad lacessendum hostem et
committendum proelium alienum esse tempus arbitratus
suo se loco continuit et brevi tempore intermisso in
castra legiones reduxit. Dum haec geruntur, nostris
Perciò, mentre i nostri erano disorientati dall'insolita
tattica di combattimento, Cesare giunse in aiuto nel
momento più opportuno: con il suo arrivo, infatti, i
nemici si arrestarono, i nostri ripresero coraggio.
Tuttavia, Cesare ritenne che non fosse il momento adatto
per sfidare gli avversari e attaccar battaglia, perciò tenne
le proprie posizioni e, poco dopo, ricondusse le legioni
omnibus occupatis qui erant in agris reliqui discesserunt.
Secutae sunt continuos complures dies tempeststes, quae
et nostros in castris continerent et hostem a pugna
prohiberent. Interim barbari nuntios in omnes partes
dimiserunt paucitatemque nostrorum militum suis
praedicaverunt et quanta praedae faciendae atque in
perpetuum sui liberandi facultas daretur, si Romanos
castris expulissent, demonstraverunt. His rebus celeriter
magna multitudine peditatus equitatusque coacta ad
castra venerunt.
all'accampamento. Mentre si svolgono questi fatti,
tenendo impegnati tutti i nostri, si ritirarono gli altri
Britanni che si trovavano nelle campagne. Per parecchi
giorni si rovesciarono piogge senza interruzione, che
costrinsero i nostri nell'accampamento e impedirono ai
nemici di attaccare. Nel frattempo, i barbari inviarono
messaggeri in tutte le direzioni, continuando a insistere
sul fatto che i nostri erano ben pochi e a spiegare quale
bottino, quale possibilità di rendersi per sempre liberi li
attendesse, se avessero scacciato i Romani dal loro
campo. Così, dopo aver radunato un gran numero di
fanti e cavalieri, mossero sull'accampamento romano.
XXXV
Caesar, etsi idem quod superioribus diebus acciderat
fore videbat, ut, si essent hostes pulsi, celeritate
periculum effugerent, tamen nactus equites circiter
XXX, quos Commius Atrebas, de quo ante dictum est,
secum transportaverat, legiones in acie pro castris
constituit. Commisso proelio diutius nostrorum militum
impetum hostes ferre non potuerunt ac terga verterunt.
Quos tanto spatio secuti quantum cursu et viribus
efficere potuerunt, complures ex iis occiderunt, deinde
omnibus longe lateque aedificiis incensis se in castra
receperunt.
Cesare si rendeva conto che si sarebbe verificata la
stessa situazione delle battaglie precedenti: il nemico, in
caso fosse stato battuto, si sarebbe sottratto a ogni
pericolo grazie alla sua rapidità di movimento. Tuttavia,
disponendo di circa trenta cavalieri che l'atrebate
Commio, di cui si è già parlato, aveva condotto con sé,
Cesare decise di schierare dinanzi all'accampamento le
legioni, pronte alla battaglia. Lo scontro ebbe luogo: i
nemici non riuscirono a reggere all'attacco dei legionari
a lungo e si volsero in fuga. I nostri li inseguirono finché
ebbero la forza di correre; dopo averne uccisi molti,
incendiarono gli edifici in lungo e in largo e rientrarono
al campo.
XXXVI
Eodem die legati ab hostibus missi ad Caesarem de pace
venerunt. His Caesar numerum obsidum quem ante
imperaverat duplicavit eosque in continentem adduci
iussit, quod propinqua die aequinoctii infirmis navibus
hiemi navigationem subiciendam non existimabat. Ipse
idoneam tempestatem nactus paulo post mediam noctem
naves solvit, quae omnes incolumes ad continentem
pervenerunt; sed ex iis onerariae duae eosdem portus
quos reliquae capere non potuerunt et paulo infra delatae
sunt.
Quel giorno stesso a Cesare si presentarono emissari per
chiedere pace. Egli raddoppiò il numero di ostaggi
chiesti in precedenza e ne ordinò la consegna sul
continente, perché non riteneva opportuno affrontare
d'inverno la traversata - l'equinozio era vicino - con le
navi in cattivo stato. Approfittando di un tempo
favorevole, salpò poco dopo la mezzanotte: tutte le navi
raggiunsero senza danni il continente; solo due
imbarcazioni da carico non riuscirono ad approdare agli
stessi porti delle altre e vennero sospinte un po' più a
sud.
XXXVII
Quibus ex navibus cum essent eiti milites circiter CCC
atque in castra contenderent, Morini, quos Caesar in
Britanniam proficiscens pacatos reliquerat, spe praedae
adducti primo non ita magno suorum numero
circumsteterunt ac, si sese interfici nollent, arma ponere
iusserunt. Cum illi orbe facto sese defenderent, celeriter
ad clamorem hominum circiter milia VI convenerunt;
qua re nuntiata, Caesar omnem ex castris equitatum suis
auxilio misit. Interim nostri milites impetum hostium
sustinuerunt atque amplius horis IIII fortissime
pugnaverunt et paucis vulneribus acceptis complures ex
iis occiderunt. Postea vero quam equitatus noster in
conspectum venit, hostes abiectis armis terga verterunt
magnusque eorum numerus est occisus.
Da queste due navi sbarcarono circa trecento dei nostri,
che si diressero verso l'accampamento. I Morini, che
Cesare al momento della partenza per la Britannia aveva
lasciato pacificati, spinti dalla speranza di bottino,
circondarono dapprima in numero non altissimo i nostri
e intimarono loro la resa, se volevano aver salva la vita.
Mentre i legionari, disposti in cerchio, si difendevano,
alle grida dei Morini sopraggiunsero rapidamente altri
seimila uomini circa. Appena ne fu informato, Cesare, a
sostegno dei suoi, inviò tutta la cavalleria presente al
campo. Nel frattempo, i nostri ressero all'urto dei nemici
e si batterono con estremo valore per più di quattro ore:
subirono poche perdite e uccisero molti nemici. E non
appena comparve la cavalleria, i nemici gettarono le
armi e si diedero alla fuga: i nostri ne fecero strage.
XXXVIII
Caesar postero die T. Labienum legatum cum iis
legionibus quas ex Britannia reduxerat in Morinos qui
rebellionem fecerant misit. Qui cum propter siccitates
paludum quo se reciperent non haberent, quo perfugio
superiore anno erant usi, omnes fere in potestatem
Labieni venerunt. At Q. Titurius et L. Cotta legati, qui in
Menapiorum fines legiones duxerant, omnibus eorum
agris vastatis, frumentis succisis, aedificiis incensis,
quod Menapii se omnes in densissimas silvas abdiderant,
se ad Caesarem receperunt. Caesar in Belgis omnium
legionum hiberna constituit. Eo duae omnino civitates ex
Britannia obsides miserunt, reliquae neglexerunt. His
rebus gestis ex litteris Caesaris dierum XX supplicatio a
senatu decreta est.
Il giorno seguente, contro i Morini che si erano ribellati,
Cesare inviò il legato T. Labieno alla testa delle legioni
rientrate dalla Britannia. Le paludi erano in secca e i
nemici, che non potevano rifugiarvisi come l'anno
precedente, non sapevano dove ripiegare, perciò si
sottomisero quasi tutti all'autorità di Labieno. E i legati
Q. Titurio e L. Cotta, che avevano guidato le legioni
nella regione dei Menapi, ritornarono da Cesare dopo
aver devastato tutti i campi, distrutto i raccolti,
incendiato gli edifici, in quanto la popolazione si era
rifugiata in massa nel folto dei boschi. Cesare stabilì che
tutte le legioni ponessero i quartieri d'inverno nelle terre
dei Belgi. Lì pervennero gli ostaggi di due popoli
britanni in tutto; gli altri contravvennero all'impegno di
inviarli. In seguito a tali imprese, comunicate per lettera
da Cesare, il senato decretò venti giorni di feste solenni
di ringraziamento.
Cesare - De Bello Gallico
Libro V
I
L. Domitio Ap. Claudio consulibus, discedens ab
hibernis Caesar in Italiam, ut quotannis facere consuerat,
legatis imperat quos legionibus praefecerat uti quam
plurimas possent hieme naves aedificandas veteresque
reficiendas curarent. Earum modum formamque
demonstrat. Ad celeritatem onerandi subductionesque
paulo facit humiliores quam quibus in nostro mari uti
consuevimus, atque id eo magis, quod propter crebras
commutationes aestuum minus magnos ibi fluctus fieri
cognoverat; ad onera, ad multitudinem iumentorum
transportandam paulo latiores quam quibus in reliquis
utimur maribus. Has omnes actuarias imperat fieri, quam
ad rem multum humilitas adiuvat. Ea quae sunt usui ad
armandas naves ex Hispania apportari iubet. Ipse
conventibus Galliae citeribris peractis in Illyricum
proficiscitur, quod a Pirustis finitimam partem
provinciae incursionibus vastari audiebat. Eo cum
venisset, civitatibus milites imperat certumque in locum
convenire iubet. Qua re nuntiata Pirustae legatos ad eum
mittunt qui doceant nihil earum rerum publico factum
consilio, seseque paratos esse demonstrant omnibus
rationibus de iniuriis satisfacere. Accepta oratione
eorum Caesar obsides imperat eosque ad certam diem
adduci iubet; nisi ita fecerint, sese bello civitatem
persecuturum demonstrat. Eis ad diem adductis, ut
imperaverat, arbitros inter civitates dat qui litem
aestiment poenamque constituant.
Sotto il consolato di L. Domizio e Ap. Claudio, Cesare, al
momento di lasciare i quartieri invernali per recarsi in
Italia, come di consueto ogni anno, ordina ai legati
preposti alle legioni di costruire, durante l'inverno, il
maggior numero possibile di navi e di riparare le vecchie.
Ne indica la struttura e la forma: per garantire rapide
operazioni di imbarco e per tirarle con facilità in secco, le
costruisce lievemente più basse delle navi di solito
impiegate nel nostro mare e, tanto più perché aveva saputo
che qui, per il frequente alternarsi delle maree, le onde
sono meno alte, allo scopo di facilitare il trasporto del
carico e dei giumenti, le rende un po' più larghe delle
imbarcazioni che usiamo negli altri mari. Ordina di
costruirle tutte leggere, e a tale scopo contribuiscono
molto i bordi bassi. Comanda di far pervenire dalla
Spagna tutto il necessario per equipaggiarle. Dal canto
suo, tenute le sessioni giudiziarie in Gallia cisalpina, parte
per l'Illirico, perché aveva sentito che i Pirusti, con
scorrerie, stavano devastando le regioni di confine della
nostra provincia. Una volta sul posto, chiede alle
popolazioni truppe in rinforzo e ordina di concentrarle in
un luogo stabilito. I Pirusti, appena lo sanno, inviano a
Cesare emissari: gli spiegano che tutto era accaduto senza
una deliberazione ufficiale e si dichiarano pronti a
qualsiasi risarcimento dei danni. Dopo averli ascoltati,
Cesare esige ostaggi e fissa il giorno della consegna; in
caso contrario, dichiara che avrebbe mosso guerra.
Secondo gli ordini, consegnano gli ostaggi il giorno
stabilito ed egli, per dirimere le controversie tra le città,
nomina dei giudici incaricati di calcolare i danni e di
stabilire i risarcimenti.
II
His confectis rebus conventibusque peractis, in
citeriorem Galliam revertitur atque inde ad exercitum
proficiscitur. Eo cum venisset, circuitis omnibus
hibernis, singulari militum studio in summa omnium
rerum inopia circiter sescentas eius generis cuius supra
demonstravimus naves et longas XXVIII invenit
instructas neque multum abesse ab eo quin paucis diebus
deduci possint. Collaudatis militibus atque eis qui
negotio praefuerant, quid fieri velit ostendit atque omnes
ad portum Itium convenire iubet, quo ex portu
commodissimum in Britanniam traiectum esse
cognoverat, circiter milium passuum XXX transmissum
a continenti: huic rei quod satis esse visum est militum
reliquit. Ipse cum legionibus expeditis IIII et equitibus
DCCC in fines Treverorum proficiscitur, quod hi neque
ad concilia veniebant neque imperio parebant
Germanosque Transrhenanos sollicitare dicebantur.
Dopo tali provvedimenti e tenute le sessioni giudiziarie,
Cesare ritorna nella Gallia cisalpina e, da qui, parte alla
volta dell'esercito. Appena giunto, ispeziona tutti i campi
invernali e trova che, nonostante la carenza estrema di
materiale, i soldati, grazie al loro straordinario impegno,
avevano costruito circa seicento imbarcazioni del tipo già
descritto e ventotto navi da guerra, in grado di essere
varate entro pochi giorni. Elogiati i soldati e gli ufficiali
preposti ai lavori, impartisce le istruzioni e ordina a tutti
di radunarsi a Porto Izio, da dove sapeva che il passaggio
in Britannia era assai agevole, perché la distanza dal
continente era di circa trenta miglia: lasciò un presidio
giudicato sufficiente per tale operazione. Egli, alla testa di
quattro legioni senza bagagli e di ottocento cavalieri,
punta sui territori dei Treveri, popolo che non si
presentava alle assemblee, non ubbidiva agli ordini e, a
quel che si diceva, sollecitava l'intervento dei Germani
d'oltre Reno.
III
Haec civitas longe plurimum totius Galliae equitatu
valet magnasque habet copias peditum Rhenumque, ut
supra demonstravimus, tangit. In ea civitate duo de
principatu inter se contendebant, Indutiomarus et
Cingetorix; e quibus alter, simul atque de Caesaris
legionumque adventu cognitum est, ad eum venit, se
suosque omnes in officio futuros neque ab amicitia
populi Romani defecturos confirmavit quaeque in
Treveris gererentur ostendit. At Indutiomarus equitatum
peditatumque cogere, eisque qui per aetatem in armis
esse non poterant in silvam Arduennam abditis, quae
ingenti magnitudine per medios fines Treverorum a
flumine Rheno ad initium Remorum pertinet, bellum
parare instituit. Sed posteaquam nonnulli principes ex ea
civitate et familiaritate Cingetorigis adducti et adventu
nostri exercitus perterriti ad Caesarem venerunt et de
suis privatim rebus ab eo petere coeperunt, quoniam
civitati consulere non possent, veritus ne ab omnibus
desereretur Indutiomarus legatos ad Caesarem mittit:
sese idcirco ab suis discedere atque ad eum venire
noluisse, quo facilius civitatem in officio contineret, ne
omnis nobilitatis discessu plebs propter imprudentiam
laberetur: itaque esse civitatem in sua potestate, seseque,
si Caesar permitteret, ad eum in castra venturum, suas
civitatisque fortunas eius fidei permissurum.
I Treveri possiedono, tra tutti i Galli, la cavalleria più
forte in assoluto e una fanteria numerosa. I loro territori
raggiungono, come si è detto in precedenza, il Reno. Tra i
Treveri due uomini lottavano per il potere: Induziomaro e
Cingetorige. Quest'ultimo, non appena giunge notizia
dell'arrivo di Cesare con le legioni, gli si presenta e,
confermandogli che lui e tutti i suoi avrebbero rispettato
gli impegni assunti senza tradire l'amicizia del popolo
romano, lo mette al corrente della situazione.
Induziomaro, invece, inizia a raccogliere cavalieri e fanti e
a prepararsi alla guerra; chi, per ragioni d'età, non poteva
combattere, era stato posto al sicuro nella selva delle
Ardenne, una foresta enorme, che dal Reno attraverso la
regione dei Treveri si estende sino al confine dei Remi.
Ma quando alcuni principi dei Treveri, spinti dai loro
legami di amicizia con Cingetorige e spaventati dall'arrivo
del nostro esercito, si recarono da Cesare e, non potendo
provvedere per la nazione, cominciarono a presentargli
richieste per se stessi, anche Induziomaro, nel timore di
rimaner completamente solo, gli inviò emissari: non aveva
voluto abbandonare i suoi e presentarsi di persona a
Cesare soltanto per poter garantire, con maggior facilità, il
rispetto degli impegni assunti; c'era il rischio che il
popolo, una volta lontani tutti i nobili, commettesse
imprudenze; i Treveri, dunque, erano sotto la sua autorità
ed egli, se Cesare lo permetteva, si sarebbe recato
nell'accampamento romano per porre se stesso e la propria
gente sotto la sua protezione.
IV
Caesar, etsi intellegebat qua de causa ea dicerentur
quaeque eum res ab instituto consilio deterreret, tamen,
ne aestatem in Treveris consumere cogeretur omnibus ad
Britannicum bellum rebus comparatis, Indutiomarum ad
se cum CC obsidibus venire iussit. His adductis, in eis
filio propinquisque eius omnibus, quos nominatim
Cesare, anche se capiva i motivi che avevano spinto
Induziomaro a parlare in tali termini e che cosa lo
inducesse a rinunciare al piano intrapreso, tuttavia, per
non trovarsi costretto, con la spedizione per la Britannia
già pronta, a passare l'estate nelle terre dei Treveri, gli
ordinò di presentarsi con duecento ostaggi. Dopo che
evocaverat, consolatus Indutiomarum hortatusque est uti
in officio maneret; nihilo tamen setius principibus
Treverorum ad se convocatis hos singillatim Cingetorigi
conciliavit, quod cum merito eius a se fieri intellegebat,
tum magni interesse arbitrabatur eius auctoritatem inter
suos quam plurimum valere, cuius tam egregiam in se
voluntatem perspexisset. Id tulit factum graviter
Indutiomarus, suam gratiam inter suos minui, et, qui iam
ante inimico in nos animo fuisset, multo gravius hoc
dolore exarsit.
Induziomaro ebbe consegnato gli ostaggi, tra cui suo
figlio e tutti i suoi parenti, espressamente richiesti, Cesare
lo trattò con benevolenza, lo invitò a rispettare gli
impegni; comunque, convocati i capi dei Treveri, li
riconciliò uno a uno con Cingetorige, non solo in
considerazione dei meriti da lui acquisiti, ma anche perché
riteneva molto importante favorire al massimo l'autorità di
Cingetorige tra i Treveri, data la straordinaria devozione
del Gallo nei suoi confronti. Fu un duro colpo per
Induziomaro veder diminuito il suo prestigio tra i Treveri:
se già prima il suo animo ci era ostile, adesso l'ira lo
inasprì maggiormente.
V
His rebus constitutis Caesar ad portum Itium cum
legionibus pervenit. Ibi cognoscit LX naves, quae in
Meldis factae erant, tempestate reiectas cursum tenere
non potuisse atque eodem unde erant profectae
revertisse; reliquas paratas ad navigandum atque
omnibus rebus instructas invenit. Eodem equitatus totius
Galliae convenit, numero milium quattuor, principesque
ex omnibus civitatibus; ex quibus perpaucos, quorum in
se fidem perspexerat, relinquere in Gallia, reliquos
obsidum loco secum ducere decreverat, quod, cum ipse
abesset, motum Galliae verebatur.
Sistemata la questione, Cesare con le legioni raggiunse
Porto Izio. Qui apprese che sessanta navi, costruite nelle
terre dei Meldi, erano state respinte da una tempesta e non
avevano potuto tenere la rotta, per cui erano rientrate alla
base di partenza; trovò, però, le altre pronte a salpare ed
equipaggiate di tutto punto. Qui lo raggiunsero contingenti
di cavalleria da ogni parte della Gallia, per un complesso
di circa quattromila uomini, insieme ai principi dei vari
popoli: ne lasciò in Gallia ben pochi, quelli di provata
lealtà; gli altri aveva deliberato di portarseli dietro in
qualità di ostaggi, perché temeva, in sua assenza, una
sollevazione della Gallia.
VI
Erat una cum ceteris Dumnorix Aeduus, de quo ante ab
nobis dictum est. Hunc secum habere in primis
constituerat, quod eum cupidum rerum novarum,
cupidum imperi, magni animi, magnae inter Gallos
auctoritatis cognoverat. Accedebat huc quod in concilio
Aeduorum Dumnorix dixerat sibi a Caesare regnum
civitatis deferri; quod dictum Aedui graviter ferebant,
neque recusandi aut deprecandi causa legatos ad
Caesarem mittere audebant. Id factum ex suis hospitibus
Caesar cognoverat. Ille omnibus primo precibus petere
contendit ut in Gallia relinqueretur, partim quod insuetus
navigandi mare timeret, partim quod religionibus
impediri sese diceret. Posteaquam id obstinate sibi
negari vidit, omni spe impetrandi adempta principes
Galliae sollicitare, sevocare singulos hortarique coepit
uti in continenti remanerent: metu territare: non sine
causa fieri, ut Gallia omni nobilitate spoliaretur; id esse
consilium Caesaris, ut quos in conspectu Galliae
interficere vereretur, hos omnes in Britanniam traductos
necaret; fidem reliquis interponere, iusiurandum
poscere, ut quod esse ex usu Galliae intellexissent
communi consilio administrarent. Haec a compluribus
ad Caesarem deferebantur.
Tra gli altri c'era l'eduo Dumnorige, di cui abbiamo già
parlato. Fu uno dei primi che Cesare decise di tenere con
sé, conoscendone il desiderio di rivolgimento, l'ambizione
di comandare, la forza d'animo e il grande prestigio tra i
Galli. Inoltre, nell'assemblea degli Edui, Dumnorige aveva
detto che Cesare gli aveva offerto il regno: ciò non
piaceva affatto agli Edui, ma non osavano inviare messi a
Cesare per opporsi o per invitarlo a desistere. Della
faccenda Cesare era stato informato dai suoi ospiti.
Dumnorige, in un primo tempo, ricorse a ogni sorta di
preghiere per riuscire a restare in Gallia: disse di aver
paura del mare, inesperto com'era di navigazione, addusse
come scusa un impedimento d'ordine religioso. Quando
vide le sue richieste tenacemente respinte, persa ogni
speranza di raggiungere il suo scopo, cominciò a sobillare
i principi della Gallia e a terrorizzarli; li prendeva in
disparte, li spingeva a non lasciare il continente: non era
un caso se la Gallia veniva privata di tutti i nobili; si
trattava di un piano di Cesare, che, non avendo il coraggio
di eliminarli sotto gli occhi dei Galli, li portava in
Britannia per ucciderli; come garanzia per loro,
Dumnorige dava la propria parola, ma ne esigeva la
promessa, con giuramento solenne, di provvedere di
comune accordo a ciò che ritenevano l'interesse della
Gallia. Le mosse di Dumnorige vennero riferite a Cesare
da più d'uno.
VII
Qua re cognita Caesar, quod tantum civitati Aeduae
dignitatis tribuebat, coercendum atque deterrendum
Non appena lo seppe, Cesare, in quanto attribuiva molto
prestigio al popolo eduo, stimava necessario tenere a freno
quibuscumque rebus posset Dumnorigem statuebat;
quod longius eius amentiam progredi videbat,
prospiciendum, ne quid sibi ac rei publicae nocere
posset. Itaque dies circiter XXV in eo loco commoratus,
quod Corus ventus navigationem impediebat, qui
magnam partem omnis temporis in his locis flare
consuevit, dabat operam ut in officio Dumnorigem
contineret, nihilo tamen setius omnia eius consilia
cognosceret: tandem idoneam nactus tempestatem
milites equitesque conscendere in naves iubet. At
omnium impeditis animis Dumnorix cum equitibus
Aeduorum a castris insciente Caesare domum discedere
coepit. Qua re nuntiata Caesar intermissa profectione
atque omnibus rebus postpositis magnam partem
equitatus ad eum insequendum mittit retrahique imperat;
si vim faciat neque pareat, interfici iubet, nihil hunc se
absente pro sano facturum arbitratus, qui praesentis
imperium neglexisset. Ille enim revocatus resistere ac se
manu defendere suorumque fidem implorare coepit,
saepe clamitans liberum se liberaeque esse civitatis. Illi,
ut erat imperatum, circumsistunt hominem atque
interficiunt: at equites Aedui ad Caesarem omnes
revertuntur.
e dissuadere Dumnorige con qualsiasi mezzo. E vedendo
che la follia del Gallo non faceva che crescere sempre di
più, passò alle misure necessarie per evitare danni a sé e
alla repubblica. Così, nel periodo in cui fu costretto a
rimanere a Porto Izio, circa venticinque giorni, perché il
vento coro, che in quella regione soffia pressoché costante
in ogni epoca dell'anno, impediva la navigazione, Cesare
si adoperava per tenere al suo posto Dumnorige e per
conoscerne, al tempo stesso, tutti i piani. Alla fine,
sfruttando il tempo propizio alla navigazione, ordina ai
soldati e ai cavalieri di imbarcarsi. Ma mentre tutti erano
intenti a tale operazione, Dumnorige, alla testa dei
cavalieri edui, si allontana dal campo e si dirige in patria,
all'insaputa di Cesare. Appena informato, sospesa la
partenza e rimandata ogni altra faccenda, Cesare lancia
all'inseguimento di Dumnorige il grosso della cavalleria e
comanda di ricondurlo all'accampamento; se si fosse
ribellato e non avesse eseguito gli ordini, dà disposizione
di ucciderlo, non attendendosi nulla di sensato, in propria
assenza, da un uomo che aveva dissubbidito al suo
cospetto. All'intimazione di tornare indietro, Dumnorige
comincia a opporre resistenza, si difende con la forza,
scongiura i suoi di osservare i patti, proclamandosi più
volte, a gran voce, uomo libero di un popolo libero. I
Romani, conforme agli ordini, lo circondano e lo
uccidono: tutti i cavalieri edui ritornano da Cesare.
VIII
His rebus gestis, Labieno in continente cum tribus
legionibus et equitum milibus duobus relicto ut portus
tueretur et rem frumentariam provideret quaeque in
Gallia gererentur cognosceret consiliumque pro tempore
et pro re caperet, ipse cum quinque legionibus et pari
numero equitum, quem in continenti reliquerat, ad solis
occasum naves solvit et leni Africo provectus media
circiter nocte vento intermisso cursum non tenuit, et
longius delatus aestu orta luce sub sinistra Britanniam
relictam conspexit. Tum rursus aestus commutationem
secutus remis contendit ut eam partem insulae caperet,
qua optimum esse egressum superiore aestate
cognoverat. Qua in re admodum fuit militum virtus
laudanda, qui vectoriis gravibusque navigiis non
intermisso remigandi labore longarum navium cursum
adaequarunt. Accessum est ad Britanniam omnibus
navibus meridiano fere tempore, neque in eo loco hostis
est visus; sed, ut postea Caesar ex captivis cognovit,
cum magnae manus eo convenissent, multitudine navium
perterritae, quae cum annotinis privatisque quas sui
quisque commodi fecerat amplius octingentae uno erant
visae tempore, a litore discesserant ac se in superiora
loca abdiderant.
Dopo tali avvenimenti, Cesare lasciò Labieno sul
continente con tre legioni e duemila cavalieri, per
difendere i porti, provvedere alle scorte di grano, tenersi
al corrente della situazione in Gallia e prendere decisioni
sulla base del momento e delle circostanze. Dal canto suo,
salpò alla testa di cinque legioni e di tanti cavalieri, quanti
ne aveva lasciati in terraferma; fece vela verso il tramonto,
al soffio leggero dell'africo, che però cessò verso
mezzanotte, impedendogli di tenere la rotta: spinto
piuttosto lontano dalla marea, all'alba vide che aveva
lasciato la Britannia alla sua sinistra. Allora, sfruttando,
adesso, la marea, che aveva cambiato direzione, a forza di
remi cercò di raggiungere la zona dell'isola che - lo sapeva
dall'estate precedente - consentiva un comodissimo
accesso. Nel corso della manovra, veramente lodevole fu
l'impegno dei soldati: pur con navi da trasporto
appesantite dai carichi, senza mai smettere di remare,
riuscirono a uguagliare la velocità delle navi da guerra.
Approdò in Britannia con tutte le navi verso mezzogiorno,
senza alcun nemico in vista; come apprese in seguito dai
prigionieri, i Britanni, giunti sul luogo con truppe
numerose, erano rimasti atterriti alla vista della nostra
flotta: erano apparse, contemporaneamente, più di
ottocento unità, comprese le navi dell'anno precedente e le
imbarcazioni private che alcuni avevano costruito per
propria comodità. Quindi, i nemici avevano abbandonato
il litorale e si erano rifugiati sulle alture.
IX
Caesar eito exercitu et loco castris idoneo capto, ubi ex
captivis cognovit quo in loco hostium copiae
Cesare provvide allo sbarco dell'esercito e alla scelta di un
luogo adatto per il campo. Non appena dai prigionieri
consedissent, cohortibus decem ad mare relictis et
equitibus trecentis, qui praesidio navibus essent, de
tertia vigilia ad hostes contendit, eo minus veritus
navibus, quod in litore molli atque aperto deligatas ad
ancoram relinquebat, et praesidio navibus Q. Atrium
praefecit. Ipse noctu progressus milia passuum circiter
XII hostium copias conspicatus est. Illi equitatu atque
essedis ad flumen progressi ex loco superiore nostros
prohibere et proelium committere coeperuut. Repulsi ab
equitatu se in silvas abdiderunt, locum nacti egregie et
natura et opere munitum, quem domestici belli, ut
videbantur, causa iam ante praeparaverant: nam crebris
arboribus succisis omnes introitus erant praeclusi. Ipsi
ex silvis rari propugnabant nostrosque intra munitiones
ingredi prohibebant. At milites legionis septimae,
testudine facta et aggere ad munitiones adiecto, locum
ceperunt eosque ex silvis expulerunt paucis vulneribus
acceptis. Sed eos fugientes longius Caesar prosequi
vetuit, et quod loci naturam ignorabat, et quod magna
parte diei consumpta munitioni castrorum tempus
relinqui volebat.
seppe dove si erano attestate le truppe nemiche, lasciò
nella zona costiera dieci coorti e trecento cavalieri a
presidio delle navi e, dopo mezzanotte, mosse contro i
nemici, senza alcun timore per le imbarcazioni, lasciate
all'ancora su un litorale in lieve pendio e senza scogli;
lasciò a capo del distaccamento e delle navi Q. Atrio.
Dopo aver percorso, di notte, circa dodici miglia, Cesare
avvistò i nemici, che dalle alture, con la cavalleria e i
carri, avanzarono verso il fiume: qui, stando in posizione
più elevata, impedirono ai nostri di procedere e
attaccarono battaglia. Respinti dalla cavalleria, cercarono
rifugio nelle selve, sfruttando una zona egregiamente
difesa dalla conformazione naturale e da fortificazioni
allestite già in passato, probabilmente in occasione di
guerre interne: avevano abbattuto molti alberi,
disponendoli in modo da precludere ogni accesso. I
Britanni, disseminati qua e là, combattevano dall'interno
delle selve e ostacolavano l'ingresso dei nostri nella loro
roccaforte. Ma i soldati della settima legione, dopo aver
formato la testuggine ed essere riusciti a costruire un
terrapieno fino ai baluardi nemici, presero la postazione
dei Britanni e, subendo poche perdite, li costrinsero a
lasciare le selve. Ma Cesare ordinò di non proseguire
l'inseguimento, sia perché non conosceva la zona, sia
perché era già giorno inoltrato e voleva dedicare le ultime
ore di luce a rinsaldare le difese del proprio campo.
X
Postridie eius diei mane tripertito milites equitesque in
expeditionem misit, ut eos qui fugerant persequerentur.
His aliquantum itineris progressis, cum iam extremi
essent in prospectu, equites a Quinto Atrio ad Caesarem
venerunt, qui nuntiarent superiore nocte maxima coorta
tempestate prope omnes naves adflictas atque in litore
eiectas esse, quod neque ancorae funesque subsisterent,
neque nautae gubernatoresque vim tempestatis pati
possent; itaque ex eo concursu navium magnum esse
incommodum acceptum.
La mattina successiva, inviò all'inseguimento del nemico
in fuga tre colonne di legionari e cavalieri. I nostri
avevano già percorso un certo tratto ed erano ormai in
vista dei primi fuggiaschi, quando alcuni cavalieri inviati
da Q. Atrio raggiunsero Cesare per riferirgli che la notte
precedente era scoppiata una violentissima tempesta:
quasi tutte le navi avevano subito danni ed erano state
sbattute sul litorale; non avevano retto né le ancore, né le
gomene; nulla avevano potuto marinai e timonieri contro
la violenza della tempesta: le navi avevano cozzato le une
contro le altre, riportando gravi danni.
XI
His rebus cognitis Caesar legiones equitatumque
revocari atque in itinere resistere iubet, ipse ad naves
revertitur; eadem fere quae ex nuntiis litterisque
cognoverat coram perspicit, sic ut amissis circiter XL
navibus reliquae tamen refici posse magno negotio
viderentur. Itaque ex legionibus fabros deligit et ex
continenti alios arcessi iubet; Labieno scribit, ut quam
plurimas posset eis legionibus, quae sunt apud eum,
naves instituat. Ipse, etsi res erat multae operae ac
laboris, tamen commodissimum esse statuit omnes naves
subduci et cum castris una munitione coniungi. In his
rebus circiter dies X consumit ne nocturnis quidem
temporibus ad laborem militum intermissis. Subductis
navibus castrisque egregie munitis easdem copias, quas
ante, praesidio navibus reliquit: ipse eodem unde
redierat proficiscitur. Eo cum venisset, maiores iam
undique in eum locum copiae Britannorum convenerant
summa imperi bellique administrandi communi consilio
Informato dell'accaduto, Cesare ordina alle legioni e alla
cavalleria di ritornare e di resistere durante il rientro; lui
personalmente raggiunge le navi. Constata, con i suoi
occhi, che la situazione all'incirca corrispondeva alle
informazioni ricevute dalla lettera e dai messi: risultavano
perdute circa quaranta navi, ma le altre sembravano
riparabili, sia pur con grandi fatiche. Così, tra i legionari
sceglie dei carpentieri e ne fa arrivare altri dal continente.
Scrive a Labieno di costruire, con le legioni a sua
disposizione, quante più navi possibile. Sebbene
l'operazione risultasse molto complicata e faticosa, decide
che la soluzione migliore consisteva nel tirare in secco
tutte le navi e congiungerle all'accampamento con una
fortificazione unica. I lavori richiedono circa dieci giorni,
durante i quali i soldati non si concedono mai una sosta,
neppure di notte. Tirate in secco le imbarcazioni e ben
munito il campo, lascia a presidio delle navi le stesse
truppe di prima e ritorna da dove era venuto. Appena
permissa Cassivellauno, cuius fines a maritimis
civitatibus fiumen dividit, quod appellatur Tamesis, a
mari circiter milia passuum LXXX. Huic superiore
tempore cum reliquis civitatibus continentia bella
intercesserant; sed nostro adventu permoti Britanni hunc
toti bello imperioque praefeceraut.
giunto, vede che già si erano lì radunate, ben più
numerose di prima, truppe nemiche provenienti da tutte le
regioni: il comando supremo delle operazioni era stato
affidato, per volontà comune, a Cassivellauno, sovrano di
una regione separata dai popoli che abitavano lungo il
mare da un fiume chiamato Tamigi e distante dal mare
circa ottanta miglia. In passato, tra Cassivellauno e gli
altri popoli c'era stata continua guerra, ma adesso i
Britanni, preoccupati per il nostro arrivo, gli avevano
conferito il comando supremo delle operazioni.
XII
Britanniae pars interior ab eis incolitur quos natos in
insula ipsi memoria proditum dicunt, maritima ab eis,
qui praedae ac belli inferendi causa ex Belgio transierunt
(qui omnes fere eis nominibus civitatum appellantur,
quibus orti ex civitatibus eo pervenerunt) et bello illato
ibi permanserunt atque agros colere coeperunt.
Hominum est infinita multitudo creberrimaque aedificia
fere Gallicis consimilia, pecorum magnus numerus.
Vtuntur aut aere aut nummo aureo aut taleis ferreis ad
certum pondus examinatis pro nummo. Nascitur ibi
plumbum album in mediterraneis regionibus, in
maritimis ferrum, sed eius exigua est copia; aere utuntur
importato. Materia cuiusque generis ut in Gallia est,
praeter fagum atque abietem. Leporem et gallinam et
anserem gustare fas non putant; haec tamen alunt animi
voluptatisque causa. Loca sunt temperatiora quam in
Gallia, remissioribus frigoribus.
Nella parte interna della Britannia gli abitanti, secondo
quanto essi stessi dicono per remota memoria, sono
autoctoni, mentre nelle regioni costiere vivono genti
venute dal Belgio a scopo di bottino e di guerra e che,
dopo la guerra, si erano qui insediate dandosi
all'agricoltura: quasi tutte queste genti conservano i nomi
dei gruppi di origine. La popolazione è numerosissima,
molto fitte le case, abbastanza simili alle abitazioni dei
Galli, elevato il numero dei capi di bestiame. Come
denaro usano rame o monete d'oro, oppure, in
sostituzione, sbarrette di ferro di un determinato peso. Le
regioni dell'interno sono ricche di stagno, sulla costa si
trova ferro, ma in piccola quantità; usano rame importato.
Ci sono alberi d'ogni genere, come in Gallia, tranne faggi
e abeti. La loro religione vieta di mangiare lepri, galline e
oche, animali che essi, comunque, allevano per proprio
piacere. Il clima è più temperato che in Gallia, il freddo
meno intenso.
XIII
Insula natura triquetra, cuius unum latus est contra
Galliam. Huius lateris alter angulus, qui est ad Cantium,
quo fere omnes ex Gallia naves appelluntur, ad orientem
solem, inferior ad meridiem spectat. Hoc pertinet circiter
mila passuum quingenta. Alterum vergit ad Hispaniam
atque occidentem solem; qua ex parte est Hibernia,
dimidio minor, ut aestimatur, quam Britannia, sed pari
spatio transmissus atque ex Gallia est in Britanniam. In
hoc medio cursu est insula, quae appellatur Mona:
complures praeterea minores subiectae insulae
existimantur, de quibus insulis nonnulli scripserunt dies
continuos triginta sub bruma esse noctem. Nos nihil de
eo percontationibus reperiebamus, nisi certis ex aqua
mensuris breviores esse quam in continenti noctes
videbamus. Huius est longitudo lateris, ut fert illorum
opinio, septingentorum milium. Tertium est contra
septentriones; cui parti nulla est obiecta terra, sed eius
angulus lateris maxime ad Germaniam spectat. Hoc
milia passuum octingenta in longitudinem esse
existimatur. Ita omnis insula est in circuitu vicies centum
milium passuum.
L'isola ha forma triangolare, con un lato posto di fronte
alla Gallia: un angolo di questo lato, verso il Canzio, dove
approdano quasi tutte le navi provenienti dalla Gallia, è
rivolto a oriente; l'altro, più basso, guarda a meridione.
Questo lato è lungo circa cinquecento miglia. Un altro lato
è volto verso la Spagna e occidente: su questo versante c'è
l'Ibernia, un'isola che si reputa circa la metà della
Britannia e che da essa dista tanto quanto la Britannia
stessa dalla Gallia. A metà strada si trova un'isola
chiamata Mona; inoltre, si ritiene che ci siano molte altre
isole minori lungo la costa: alcuni hanno scritto che in
esse, nel periodo del solstizio d'inverno, la notte dura
trenta giorni consecutivi. Noi non siamo riusciti a
raccogliere altre notizie in proposito, malgrado le nostre
domande; abbiamo solo constatato che qui le notti,
misurate con precisione mediante clessidre ad acqua, sono
più brevi rispetto al continente. La lunghezza di questo
lato, secondo l'opinione degli autori citati, è di settecento
miglia. Il terzo lato è rivolto a settentrione: nessuna terra
gli sta di fronte, ma un suo lembo guarda essenzialmente
verso la Germania. Si ritiene che si estenda per ottocento
miglia. Così, il perimetro totale dell'isola risulta di
duemila miglia.
XIV
Ex his omnibus longe sunt humanissimi qui Cantium
Tra tutti i popoli della Britannia, i più civili in assoluto
incolunt, quae regio est maritima omnis, neque multum a
Gallica differunt consuetudine. Interiores plerique
frumenta non serunt, sed lacte et carne vivunt
pellibusque sunt vestiti. Omnes vero se Britanni vitro
inficiunt, quod caeruleum efficit colorem, atque hoc
horridiores sunt in pugna aspectu; capilloque sunt
promisso atque omni parte corporis rasa praeter caput et
labrum superius. Vxores habent deni duodenique inter se
communes et maxime fratres cum fratribus parentesque
cum liberis; sed qui sunt ex his nati, eorum habentur
liberi, quo primum virgo quaeque deducta est.
sono gli abitanti del Canzio, una regione completamente
marittima non molto dissimile per usi e costumi dalla
Gallia. Gli abitanti dell'interno, per la maggior parte, non
seminano grano, ma si nutrono di latte e carne e si vestono
di pelli. Tutti i Britanni, poi, si tingono col guado, che
produce un colore turchino, e perciò in battaglia il loro
aspetto è ancor più terrificante; portano i capelli lunghi e
si radono in ogni parte del corpo, a eccezione della testa e
del labbro superiore. Hanno le donne in comune, vivendo
in gruppi di dieci o dodici, soprattutto fratelli con fratelli e
genitori con figli; se nascono dei bambini, sono
considerati figli dell'uomo che per primo si è unito alla
donna.
XV
Equites hostium essedariique acriter proelio cum
equitatu nostro in itinere conflixerunt, tamen ut nostri
omnibus partibus superiores fuerint atque eos in silvas
collesque compulerint; sed compluribus interfectis
cupidius insecuti nonnullos ex suis amiserunt. At illi
intermisso spatio imprudentibus nostris atque occupatis
in munitione castrorum subito se ex statione pro castris
collocati, acriter pugnaverunt, duabusque missis
subsidio cohortibus a Caesare atque eis primis legionum
duarum, cum hae perexiguo intermisso loci spatio inter
se constitissent, novo genere pugnae perterritis nostris
per medios audacissime perruperunt seque inde
incolumes receperunt. Eo die Quintus Laberius Durus,
tribunus militum, interficitur. Illi pluribus submissis
cohortibus repelluntur.
I cavalieri e gli essedari nemici si scontrarono duramente
con la nostra cavalleria in marcia, che però ebbe il
sopravvento in ogni settore e li respinse nelle selve e sui
colli. I nostri, però, dopo averne uccisi molti, li
inseguirono con eccessiva foga e riportarono alcune
perdite. I Britanni per un po' attesero, poi, all'improvviso,
dalle selve si precipitarono sui nostri, che non se
l'aspettavano ed erano intenti ai lavori di fortificazione:
assalite le guardie di fronte all'accampamento, si batterono
accanitamente. Cesare inviò in aiuto due coorti - le prime
di due legioni - che si schierarono a brevissima distanza
l'una dall'altra. Ma mentre i nostri erano atterriti dalla
nuova tattica di combattimento degli avversari, i Britanni,
con estrema audacia, sfondarono il fronte tra le due coorti
e, quindi, ripararono in salvo. Quel giorno perde la vita Q.
Laberio Duro, tribuno militare. I nemici vengono respinti
grazie all'invio di altre coorti a rinforzo.
XVI
Toto hoc in genere pugnae, cum sub oculis omnium ac
pro castris dimicaretur, intellectum est nostros propter
gravitatem armorum, quod neque insequi cedentes
possent neque ab signis discedere auderent, minus aptos
esse ad huius generis hostem, equites autem magno cum
periculo proelio dimicare, propterea quod illi etiam
consulto plerumque cederent et, cum paulum ab
legionibus nostros removissent, ex essedis desilirent et
pedibus dispari proelio contenderent. Equestris autem
proeli ratio et cedentibus et insequentibus par atque
idem periculum inferebat. Accedebat huc ut numquam
conferti sed rari magnisque intervallis proeliarentur
stationesque dispositas haberent, atque alios alii
deinceps exciperent, integrique et recentes defetigatis
succederent.
Nel suo insieme, il tipo di battaglia, svoltasi sotto gli occhi
di tutti, davanti all'accampamento, ci permise di capire che
i nostri non erano preparati ad affrontare un avversario del
genere: appesantiti dall'armamento, i Romani non erano in
grado di inseguire i nemici in fuga, né osavano
allontanarsi dalle insegne. I cavalieri, poi, correvano
grossi rischi nella mischia, perché gli avversari per lo più
cedevano, anche di proposito: quando erano riusciti a
portare i nostri cavalieri abbastanza lontano dalle legioni,
scendevano dai carri e, a piedi, combattevano in posizione
di vantaggio. Così, la natura degli scontri di cavalleria era
identica per chi inseguiva e per chi si ritirava, presentando
pari pericolo per entrambi. Inoltre, i nemici non lottavano
mai in formazione serrata, ma a piccoli gruppi molto
distanziati, disponendo postazioni di riserva: a turno gli
uni subentravano agli altri, soldati freschi e riposati
davano il cambio a chi era stanco.
XVII
Postero die procul a castris hostes in collibus
constiterunt rarique se ostendere et lenius quam pridie
nostros equites proelio lacessere coeperunt. Sed meridie,
cum Caesar pabulandi causa tres legiones atque omnem
equitatum cum Gaio Trebonio legato misisset, repente
L'indomani i nemici si attestarono sui colli, lontano
dall'accampamento. Cominciarono ad avanzare in ordine
sparso e a sfidare la nostra cavalleria con minor foga del
giorno precedente. Ma nel pomeriggio, dopo che Cesare
aveva inviato in cerca di foraggio tre legioni e tutta la
ex omnibus partibus ad pabulatores advolaverunt, sic uti
ab signis legionibusque non absisterent. Nostri acriter in
eos impetu facto reppulerunt neque finem sequendi
fecerunt, quoad subsidio confisi equites, cum post se
legiones viderent, praecipites hostes egerunt magnoque
eorum numero interfecto neque sui colligendi neque
consistendi aut ex essedis desiliendi facultatem
dederunt. Ex hac fuga protinus, quae undique
convenerant, auxilia discesserunt, neque post id tempus
umquam summis nobiscum copiis hostes contenderunt.
cavalleria agli ordini del legato C. Trebonio,
all'improvviso i nemici piombarono su di essi da ogni
direzione, stringendosi attorno alle insegne e alle legioni. I
nostri, con un veemente assalto, li respinsero e li
incalzarono: i cavalieri, contando sull'appoggio delle
legioni, che vedevano alle spalle, costrinsero i nemici a
una fuga precipitosa, ne fecero strage e non diedero loro
la possibilità né di raccogliersi, né di attestarsi o di
scendere dai carri. Questa fuga provocò subito la
dispersione delle truppe ausiliarie dei Britanni, che erano
giunte da ogni regione: in seguito, il nemico non ci
avrebbe più affrontato con l'esercito al completo.
XVIII
Caesar cognito consilio eorum ad flumen Tamesim in
fines Cassivellauni exercitum duxit; quod flumen uno
omnino loco pedibus, atque hoc aegre, transiri potest. Eo
cum venisset, animum advertit ad alteram fluminis ripam
magnas esse copias hostium instructas. Ripa autem erat
acutis sudibus praefixis munita, eiusdemque generis sub
aqua defixae sudes flumine tegebantur. His rebus
cognitis a captivis perfugisque Caesar praemisso
equitatu confestim legiones subsequi iussit. Sed ea
celeritate atque eo impetu milites ierunt, cum capite solo
ex aqua exstarent, ut hostes impetum legionum atque
equitum sustinere non possent ripasque dimitterent ac se
fugae mandarent.
Cesare, informato delle intenzioni dei Britanni, condusse
l'esercito nelle terre di Cassivellauno, verso il Tamigi,
fiume che può essere guadato a piedi solo in un punto, e a
stento. Appena giunto, si rese conto che sull'altra sponda
erano schierate ingenti forze nemiche. La riva, poi, era
difesa da pali aguzzi piantati nel terreno, così come altri
simili, sott'acqua, erano celati dal fiume. Messo al
corrente di ciò dai prigionieri e dai fuggiaschi, Cesare
mandò in avanti la cavalleria e ordinò alle legioni di
seguirla senza indugio. I nostri, pur riuscendo a tenere
fuori dall'acqua solo la testa, avanzarono con una rapidità
e un impeto tale, che gli avversari, non essendo in grado
di reggere all'assalto delle legioni e della cavalleria,
abbandonarono la riva e fuggirono.
XIX
Cassivellaunus, ut supra demonstravimus, omni deposita
spe contentionis dimissis amplioribus copiis milibus
circiter quattuor essedariorum relictis itinera nostra
servabat paulumque ex via excedebat locisque impeditis
ac silvestribus sese occultabat, atque eis regionibus
quibus nos iter facturos cognoverat pecora atque
homines ex agris in silvas compellebat et, cum equitatus
noster liberius praedandi vastandique causa se in agros
eiecerat, omnibus viis semitisque essedarios ex silvis
emittebat et magno cum periculo nostrorum equitum
cum eis confligebat atque hoc metu latius vagari
prohibebat. Relinquebatur ut neque longius ab agmine
legionum discedi Caesar pateretur, et tantum in agris
vastandis incendiisque faciendis hostibus noceretur,
quantum labore atque itinere legionarii milites efficere
poterant.
Cassivellauno - lo abbiamo detto in precedenza - persa
ogni speranza di proseguire nello scontro aperto, aveva
congedato il grosso dell'esercito e con solo circa
quattromila essedari sorvegliava i nostri movimenti: si
teneva a poca distanza dalle strade, nascosto in luoghi di
difficile accesso e fitti di boschi; nelle zone per cui sapeva
che dovevamo transitare cacciava via bestiame e
popolazione dalle campagne nelle foreste. Quando la
nostra cavalleria si spingeva troppo in là nei campi, per
saccheggiare e devastare, lungo tutte le strade e i sentieri,
dai boschi Cassivellauno lanciava all'attacco i carri e
combatteva con i nostri con tale rischio per loro, da
costringerli, per il timore di scontri, a non spingersi troppo
distante. A Cesare non restava che impedire alla cavalleria
di allontanarsi troppo dal grosso delle legioni in marcia, e
accontentarsi di danneggiare i nemici devastandone le
campagne e appiccando incendi, per quanto lo potevano i
legionari, impegnati in marce faticose.
XX
Interim Trinobantes, prope firmissima earum regionum
civitas, ex qua Mandubracius adulescens Caesaris fidem
secutus ad eum in continentem Galliam venerat, cuius
pater in ea civitate regnum obtinuerat interfectusque erat
a Cassivellauno, ipse fuga mortem vitaverat, legatos ad
Caesarem mittunt pollicenturque sese ei dedituros atque
imperata facturos; petunt, ut Mandubracium ab iniuria
Cassivellauni defendat atque in civitatem mittat, qui
Nel frattempo giunge a Cesare un'ambasceria da parte dei
Trinovanti, il più potente, o quasi, tra i popoli di quelle
regioni. In passato, uno di essi, il giovane Mandubracio, si
era posto sotto la protezione di Cesare e lo aveva
raggiunto sul continente: suo padre era diventato re ed era
stato ucciso da Cassivellauno, mentre lui si era salvato con
la fuga. Gli ambasciatori dei Trinovanti, promettendo resa
e obbedienza, chiedono a Cesare di tutelare Mandubracio
praesit imperiumque obtineat. His Caesar imperat
obsides quadraginta frumentumque exercitui
Mandubraciumque ad eos mittit. Illi imperata celeriter
fecerunt, obsides ad numerum frumentumque miserunt.
dai soprusi di Cassivellauno e di inviarlo al suo popolo
per diventarne il capo e assumere il potere. Cesare esige
da loro quaranta ostaggi e grano per l'esercito e invia
Mandubracio. I Trinovanti eseguirono rapidamente gli
ordini e mandarono gli ostaggi, secondo il numero fissato,
e il grano.
XXI
Trinobantibus defensis adque ab omni militum niuria
prohibitis Cenimagni, Segontiaci, Ancalites, Bibroci,
Cassi legationibus missis sese Caesari dedumt. Ab his
cognoscit non longe ex eo loco oppidum Cassivellauni
abesse silvis paludibusque munitum, quo satis magnus
hominum pecorisque numerus onvenerit. Oppidum
autem Britanni vocant, cum silvas impeditas vallo atque
fossa munierunt, quo incursionis hostium vitandae causa
convenire consuerunt. Eo proficiscitur cum legionibus:
locum reperit egregie natura atque opere munitum;
tamen hunc duabus ex partibus oppugnare contendit.
Hostes paulisper morati militum nostrorum impetum non
tulerunt seseque alia ex parte oppidi eiecerunt. Magnus
ibi numerus pecoris repertus, multique in fuga sunt
comprehensi atque interfecti.
Vedendo i Trinovanti protetti e al sicuro da ogni attacco
militare, i Cenimagni, i Segontiaci, gli Ancaliti, i Bibroci e
i Cassi mandarono a Cesare ambascerie per arrendersi. Da
essi seppe che, non lontano, sorgeva la roccaforte di
Cassivellauno difesa da selve e paludi, dove erano stati
concentrati uomini e bestiame in numero ragguardevole. I
Britanni, in effetti, chiamano roccaforte una selva
impraticabile munita da vallo e fossa, dove di solito si
raccolgono per sottrarsi alle incursioni dei nemici. Lì
Cesare si diresse con le legioni: si imbatté in un luogo
estremamente ben protetto sia dalla conformazione
naturale, sia dall'opera dell'uomo. Nonostante ciò,
intraprese l'assedio su due fronti. I nemici opposero una
breve resistenza, ma non riuscirono a frenare l'assalto dei
nostri e cercarono di mettersi in salvo da un'altra parte
della roccaforte. Qui venne trovato un gran numero di capi
di bestiame e molti dei fuggiaschi furono catturati e uccisi.
XXII
Dum haec in his locis geruntur, Cassivellaunus ad
Cantium, quod esse ad mare supra demonstravimus,
quibus regionibus quattuor reges praeerant, Cingetorix,
Carvilius, Taximagulus, Segovax, nuntios mittit atque
eis imperat uti coactis omnibus copiis castra navalia de
improviso adoriantur atque oppugent. Ei cum ad castra
venissent, nostri eruptione facta multis eorum interfectis,
capto etiam nobili duce Lugotorige suos incolumes
reduxerunt. Cassivellaunus hoc proelio nuntiato tot
detrimentis acceptis, vastatis finibus, maxime etiam
permotus defectione civitatum legatos per Atrebatem
Commium de deditione ad Caesarem mittit. Caesar, cum
constituisset hiemare in continenti propter repentinos
Galliae motus, neque multum aestatis superesset, atque
id facile extrahi posse intellegeret, obsides imperat et
quid in annos singulos vectigalis populo Romano
Britannia penderet constituit; interdicit atque imperat
Cassivellauno, ne Mandubracio neu Trinobantibus
noceat.
Nel corso di tali avvenimenti, Cassivellauno invia dei
messi nel Canzio, regione che si affaccia sul mare - lo si è
già ricordato - e che era governata da quattro re:
Cingetorige, Carvilio, Taximagulo e Segovace. A essi
ordina di raccogliere tutte le loro truppe e di sferrare un
improvviso attacco all'accampamento navale romano,
ponendolo sotto assedio. Appena i nemici giunsero al
campo, i nostri effettuarono una sortita e ne fecero strage:
catturato anche il loro capo, Lugotorige, di nobile stirpe,
rientrarono sani e salvi. Quando gli fu annunciato l'esito
della battaglia, Cassivellauno, visti i tanti rovesci, i
territori devastati e scosso, soprattutto, dalle defezioni,
invia, tramite l'atrebate Commio, una legazione a Cesare
per trattare la resa. Cesare aveva deciso di svernare sul
continente per prevenire repentine sollevazioni in Gallia e
si rendeva conto che, volgendo ormai l'estate al termine, i
nemici potevano con facilità temporeggiare. Perciò,
chiede ostaggi e fissa il tributo che la Britannia avrebbe
dovuto pagare annualmente al popolo romano. A
Cassivellauno proibisce formalmente di arrecar danno a
Mandubracio o ai Trinovanti.
XXIII
Obsidibus acceptis exercitum reducit ad mare, naves
invenit refectas. His deductis, quod et captivorum
magnum numerum habebat, et nonnullae tempestate
deperierant naves, duobus commeatibus exercitum
reportare instituit. Ac sic accidit, uti ex tanto navium
numero tot navigationibus neque hoc neque superiore
anno ulla omnino navis, quae milites portaret,
desideraretur; at ex eis, quae inanes ex continenti ad
Consegnati gli ostaggi, riconduce l'esercito sulla costa,
dove trova le navi riparate. Dopo averle calate in acqua,
decise di trasportare l'esercito in due viaggi, poiché aveva
molti prigionieri e alcune navi erano state distrutte dalla
tempesta. Ma ecco che cosa capitò: di tante navi, in tante
traversate, non ne era andata perduta neppure una che
trasportasse soldati, né quell'anno, né l'anno precedente;
delle imbarcazioni, invece, che gli venivano rinviate vuote
eum remitterentur et prioris commeatus eitis militibus et
quas postea Labienus faciendas curaverat numero LX,
perpaucae locum caperent, reliquae fere omnes
reicerentur. Quas cum aliquamdiu Caesar frustra
exspectasset, ne anni tempore a navigatione
excluderetur, quod aequinoctium suberat, necessario
angustius milites collocavit ac summa tranquillitate
consecuta, secunda inita cum solvisset vigilia, prima
luce terram attigit omnesque incolumes naves perduxit.
dal continente (che si trattasse delle navi di ritorno dal
primo viaggio dopo aver sbarcato le truppe, oppure delle
sessanta costruite in un secondo tempo da Labieno),
pochissime erano giunte a destinazione, quasi tutte le altre
erano state ributtate sulla costa. Cesare le attese per un po'
inutilmente; poi, per evitare che la stagione - l'equinozio
era vicino - impedisse la navigazione, fu costretto a stipare
i soldati un po' più allo stretto del solito. Levate le ancore
subito dopo le nove di sera, trovò il mare molto calmo e
all'alba prese terra: aveva portato in salvo tutte le navi.
XXIV
Subductis navibus concilioque Gallorum Samarobrivae
peracto, quod eo anno frumentum in Gallia propter
siccitates angustius provenerat, coactus est aliter ac
superioribus annis exercitum in hibernis collocare
legionesque in plures civitates distribuere. Ex quibus
unam in Morinos ducendam Gaio Fabio legato dedit,
alteram in Nervios Quinto Ciceroni, tertiam in Esubios
Lucio Roscio; quartam in Remis cum Tito Labieno in
confinio Treverorum hiemare iussit. Tres in Belgis
collocavit: eis Marcum Crassum quaestorem et Lucium
Munatium Plancum et Gaium Trebonium legatos
praefecit. Vnam legionem, quam proxime trans Padum
conscripserat, et cohortes V in Eburones, quorum pars
maxima est inter Mosam ac Rhenum, qui sub imperio
Ambiorigis et Catuvolci erant, misit. Eis militibus
Quintum Titurium Sabinum et Lucium Aurunculeium
Cottam legatos praeesse iussit. Ad hunc modum
distributis legionibus facillime inopiae frumentariae sese
mederi posse existimavit. Atque harum tamen omnium
legionum hiberna praeter eam, quam Lucio Roscio im
pacatissimam et quietissimam partem ducendam dederat,
milibus passuum centum continebantur. Ipse interea,
quoad legiones collocatas munitaque hiberna
cognovisset, in Gallia morari constituit.
Dopo aver tratto in secca le navi e tenuto l'assemblea dei
Galli a Samarobriva, vista la magra annata per il grano a
causa della siccità, fu costretto a disporre i quartieri
d'inverno in modo diverso rispetto agli anni precedenti e a
ripartire le legioni su più territori. Ne inviò una presso i
Morini sotto la guida del legato C. Fabio, un'altra con Q.
Cicerone dai Nervi, una terza con L. Roscio nella regione
degli Esuvi; ordinò che una quarta legione, al comando di
T. Labieno, svernasse nei territori dei Remi, al confine
con i Treveri; ne stanziò tre nel paese dei Belgi, alle
dipendenze del questore M. Crasso e dei legati L.
Munazio Planco e C. Trebonio. Una legione, di recente
arruolata al di là del Po, venne mandata, insieme a cinque
coorti, fra gli Eburoni, che per la maggior parte abitano tra
la Mosa e il Reno e sui quali regnavano Ambiorige e
Catuvolco. Il comando ne fu affidato ai legati Q. Titurio
Sabino e L. Aurunculeio Cotta. Ripartite così le truppe,
stimava di poter ovviare, con grande facilità, alla penuria
di grano. Gli accampamenti invernali di tutte le legioni
non distavano, comunque, più di cento miglia l'uno
dall'altro, eccezion fatta per le milizie di L. Roscio, che
però doveva condurle in una zona del tutto tranquilla e
sicura. Dal canto suo, Cesare decise di fermarsi in Gallia
fino a conferma ricevuta che le legioni erano stanziate
nelle rispettive zone e che gli accampamenti erano stati
fortificati.
XXV
Erat in Carnutibus summo loco natus Tasgetius, cuius
maiores in sua civitate regnum obtinuerant. Huic Caesar
pro eius virtute atque in se benevolentia, quod in
omnibus bellis singulari eius opera fuerat usus, maiorum
locum restituerat. Tertium iam hunc annum regnantem
inimici, multis palam ex civitate eius auctoribus, eum
interfecerunt. Defertur ea res ad Caesarem. Ille veritus,
quod ad plures pertinebat, ne civitas eorum impulsu
deficeret, Lucium Plancum cum legione ex Belgio
celeriter in Carnutes proficisci iubet ibique hiemare
quorumque opera cognoverat Tasgetium interfectum,
hos comprehensos ad se mittere. Interim ab omnibus
legatis quaestoreque, quibus legiones tradiderat, certior
factus est in hiberna perventum locumque hibernis esse
munitum.
Tra i Carnuti viveva una persona di nobili natali,
Tasgezio, i cui antenati avevano regnato sul paese: Cesare
gli aveva restituito il rango degli avi, in considerazione del
suo valore e della sua fedeltà, dato che in tutte le guerre
Cesare si era avvalso del suo contributo incomparabile.
Tasgezio era già al suo terzo anno di regno, quando i suoi
oppositori lo eliminarono con una congiura, mentre anche
molti cittadini avevano appoggiato apertamente il piano.
La cosa viene riferita a Cesare, che, temendo una
defezione dei Carnuti sotto la spinta degli oppositori parecchi erano implicati nella vicenda - ordina a L. Planco
di partire al più presto dal Belgio alla testa della sua
legione, di raggiungere il territorio dei Carnuti e di
passarvi l'inverno: chiunque gli risultasse implicato
nell'uccisione di Tasgezio, doveva essere arrestato e
inviato a Cesare. Nello stesso tempo, tutti gli ufficiali
preposti alle legioni informano Cesare che erano giunti ai
quartieri d'inverno e che le fortificazioni erano ormai
ultimate.
XXVI
Diebus circiter XV, quibus in hiberna ventum est,
initium repentini tumultus ac defectionis ortum est ab
Ambiorige et Catuvolco; qui, cum ad fines regni sui
Sabino Cottaeque praesto fuissent frumentumque in
hiberna comportavissent, Indutiomari Treveri nuntiis
impulsi suos concitaverunt subitoque oppressis
lignatoribus magna manu ad castra oppugnatum
venerunt. Cum celeriter nostri arma cepissent vallumque
adscendissent atque una ex parte Hispanis equitibus
emissis equestri proelio superiores fuissent, desperata re
hostes suos ab oppugnatione reduxerunt. Tum suo more
conclamaverunt, uti aliqui ex nostris ad colloquium
prodiret: habere sese, quae de re communi dicere
vellent, quibus rebus controversias minui posse
sperarent.
Circa quindici giorni dopo l'arrivo agli accampamenti
invernali, improvvisamente scoppiò un'insurrezione
guidata da Ambiorige e Catuvolco. Costoro si erano
presentati al confine dei loro territori, a disposizione di
Sabino e di Cotta e avevano consegnato grano
all'accampamento; in seguito, però, spinti dai messi del
trevero Induziomaro, avevano chiamato i loro a raccolta e,
sopraffatti i nostri legionari in cerca di legna, con ingenti
forze avevano stretto d'assedio il campo. Mentre i nostri
impugnavano rapidamente le armi e salivano sul vallo, i
cavalieri spagnoli, usciti da una porta del campo,
sferravano un attacco in cui ebbero la meglio: gli
avversari, persa ogni speranza di vittoria, furono costretti
a togliere l'assedio. Poi, a gran voce, come è loro costume,
chiesero che qualcuno dei nostri si facesse avanti per
parlamentare: avevano da riferire informazioni d'interesse
comune, grazie alle quali speravano di poter risolvere i
contrasti.
XXVII
Mittitur ad eos colloquendi causa Gaius Arpineius,
eques Romanus, familiaris Quinti Tituri, et Quintus
Iunius ex Hispania quidam, qui iam ante missu Caesaris
ad Ambiorigem ventitare consuerat; apud quos
Ambiorix ad hunc modum locutus est: Sese pro Caesaris
in se beneficiis plurimum ei confiteri debere, quod eius
opera stipendio liberatus esset, quod Aduatucis, finitimis
suis, pendere consuesset, quodque ei et filius et fratris
filius ab Caesare remissi essent, quos Aduatuci obsidum
numero missos apud in servitute et catenis tenuissent;
neque id, quod fecerit de oppugnatione castrorum, aut
iudicio aut voluntate sua fecisse, sed coactu civitatis,
suaque esse eiusmodi imperia, ut non minus haberet iuris
in se multitudo quam ipse in multitudinem. Civitati
porro hanc fuisse belli causam, quod repentinae
Gallorum coniurationi resistere non potuerit. Id se facile
ex humilitate sua probare posse, quod non adeo sit
imperitus rerum ut suis copiis populum Romanum
superari posse confidat. Sed esse Galliae commune
consilium: omnibus hibernis Caesaris oppugnandis hunc
esse dictum diem, ne qua legio alterae legioni subsidio
venire posset. Non facile Gallos Gallis negare potuisse,
praesertim cum de recuperanda communi libertate
consilium initum videretur. Quibus quoniam pro pietate
satisfecerit, habere nunc se rationem offici pro beneficiis
Caesaris: monere, orare Titurium pro hospitio, ut suae ac
militum saluti consulat. Magnam manum Germanorum
conductam Rhenum transisse; hanc adfore biduo.
Ipsorum esse consilium, velintne priusquam finitimi
sentiant eductos ex hibernis milites aut ad Ciceronem aut
ad Labienum deducere, quorum alter milia passuum
circiter quinquaginta, alter paulo amplius ab eis absit.
Illud se polliceri et iureiurando confirmare tutum iter per
fines daturum. Quod cum faciat, et civitati sese
consulere, quod hibernis levetur, et Caesari pro eius
meritis gratiam referre. Hac oratione habita discedit
Ambiorix.
Al colloquio viene inviato C. Arpineio, cavaliere romano,
parente di Q. Titurio, insieme a uno Spagnolo, un certo Q.
Giunio, che in passato, per incarico di Cesare, si era già
più volte recato da Ambiorige. A essi Ambiorige parlò
come segue: ammetteva i molti debiti di riconoscenza nei
confronti di Cesare (grazie al suo intervento era stato
sollevato dal tributo che pagava abitualmente agli
Atuatuci, popolo limitrofo; Cesare gli aveva restituito suo
figlio e il figlio di suo fratello, che, inclusi nel novero
degli ostaggi, erano tenuti asserviti in catene dagli
Atuatuci); quanto all'assedio al campo romano, aveva
agito non di iniziativa o volontà propria, ma costretto dal
popolo, e la sua sovranità stava in questi termini: la sua
gente aveva nei suoi confronti gli stessi diritti che aveva
lui nei confronti della sua gente. Il popolo, d'altro, canto,
era insorto perché non aveva potuto opporsi alla repentina
formazione di una lega dei Galli. E prova evidente di ciò
era la sua debolezza: non era tanto sprovveduto da
confidare, con le proprie truppe, in una vittoria sul popolo
romano. Si trattava, piuttosto, di un piano comune a tutti i
Galli: era stato deciso di assediare, in quel giorno, tutti i
campi invernali di Cesare, in modo che nessuna legione
fosse in grado di soccorrerne un'altra. Come potevano dei
Galli, con facilità, opporre un rifiuto alla proposta di altri
Galli, soprattutto quando sembrava mirare alla riconquista
della libertà comune? Se, dunque, prima aveva aderito alla
lega dei Galli per amor di patria, adesso teneva conto del
suo dovere per i benefici ricevuti da Cesare: avvertiva,
supplicava Titurio, in nome dei loro vincoli d'ospitalità, di
provvedere a porsi in salvo con i propri soldati. Un forte
esercito di mercenari germani aveva attraversato il Reno:
sarebbero giunti nell'arco di due giorni. Spettava ai
Romani la decisione di far uscire dall'accampamento i
soldati prima che i Galli vicini se ne accorgessero, e
condurli da Cicerone o da Labieno, distanti l'uno circa
cinquanta miglia, l'altro poco più. Prometteva e giurava
dar via libera sul proprio territorio. Agendo così, avrebbe
provveduto al bene della propria gente, perché veniva
liberata dal campo romano, e ricambiato i servigi di
Cesare. Ciò detto, Ambiorige si allontana.
XXVIII
Arpineius et Iunius, quae audierunt, ad legatoc deferunt.
Illi repentina re perturbati, etsi ab hoste ea dicebantur,
tamen non neglegenda existimabant maximeque hac re
permovebantur, quod civitatem ignobilem atque
humilem Eburonum sua sponte populo Romano bellum
facere ausam vix erat credendum. Itaque ad consilium
rem deferunt magnaque inter eos exsistit controversia.
Lucius Aurunculeius compluresque tribuni militum et
primorum ordinum centuriones nihil temere agendum
neque ex hibernis iniussu Caesaris discedendum
existimabant: quantasvis [magnas] copias etiam
Germanorum sustineri posse munitis hibernis docebant:
rem esse testimonio, quod primum hostium impetum
multis ultro vulneribus illatis fortissime sustinuerint: re
frumentaria non premi; interea et ex proximis hibernis et
a Caesare conventura subsidia: postremo quid esse
levius aut turpius, quam auctore hoste de summis rebus
capere consilium?
Arpineio e Giunio riferiscono le parole di Ambiorige ai
legati, che, turbati dagli eventi repentini, stimavano di
dover dar peso alle informazioni, per quanto fornite dal
nemico. Li spingeva, soprattutto, una considerazione: era
ben poco credibile che un popolo così oscuro e debole
come gli Eburoni avesse osato, di propria iniziativa,
muovere guerra a Roma. Perciò, rimandano la questione al
consiglio di guerra, dove si verificano forti contrasti. L.
Aurunculeio, seguito da molti tribuni militari e dai
centurioni più alti in grado, era dell'avviso di non prendere
iniziative avventate e di non lasciare i quartieri d'inverno
senza ordine di Cesare; spiegavano che, essendo il campo
fortificato, era possibile tener testa alle truppe dei
Germani, per quanto numerose; lo testimoniava il fatto
che avevano retto con grandissimo vigore al primo assalto
e avevano inflitto al nemico gravi perdite; la situazione
delle scorte di grano non era preoccupante; nel frattempo,
sia dai campi più vicini, sia da Cesare sarebbero arrivati
rinforzi; infine, cosa c'era di più avventato o vergognoso
che deliberare su questioni gravissime, per suggerimento
dei nemici?
XXIX
Contra ea Titurius sero facturos clamitabat, cum maiores
manus hostium adiunctis Germanis convenissent aut
cum aliquid calamitatis in proximis hibernis esset
acceptum. Brevem consulendi esse occasionem.
Caesarem arbitrari profectum in Italiam; neque aliter
Calnutcs interficiendi Tasgeti consilium fuisse capturos,
neque Eburones, si ille adesset, tanta contemptione
nostri ad castra venturos esse. Non hostem auctorem,
sed rem spectare: subesse Rhenum; magno esse
Germanis dolori Ariovisti mortem et superiores nostras
victorias; ardere Galliam tot contumeliis acceptis sub
populi Romani imperium redactam superiore gloria rei
militaris exstincta. Postremo quis hoc sibi persuaderet,
sine certa re Ambiorigem ad eiusmodi consilium
descendisse? Suam sententiam in utramque partem esse
tutam: si nihil esset durius, nullo cum periculo ad
proximam legionem perventuros; si Gallia omnis cum
Germanis consentiret, unam esse in celeritate positam
salutem. Cottae quidem atque eorum, qui dissentirent,
consilium quem habere exitum? In quo si non praesens
periculum, at certe longinqua obsidione fames esset
timenda.
A ciò Titurio obiettava, gridando, che si sarebbero mossi
tardi, con le forze avversarie ormai più consistenti per
l'arrivo dei Germani oppure dopo qualche disastro negli
accampamenti vicini. Avevano poco tempo per decidere.
Riteneva che Cesare fosse partito per l'Italia, altrimenti i
Carnuti non avrebbero preso la decisione di eliminare
Tasgezio, né gli Eburoni, se lui era presente in Gallia,
avrebbero marciato sul campo con tanto disprezzo per le
nostre forze. Le proposte del nemico non c'entravano, si
trattava di valutare la situazione: il Reno era vicino; la
morte di Ariovisto e le nostre precedenti vittorie avevano
costituito un gran dolore per i Germani; la Gallia bruciava
per le molte umiliazioni subite, per dover sottostare al
dominio del popolo romano, per l'antica gloria militare
oscurata. Infine, ma chi poteva convincersi che Ambiorige
avesse assunto una decisione del genere senza uno scopo
ben preciso? La sua proposta era sicura in entrambi i casi:
se non si verificava nulla di grave, avrebbero raggiunto la
legione più vicina, senza rischi; se, invece, la Gallia era
tutta d'accordo con i Germani, l'unica speranza di salvezza
era riposta nella rapidità. Il parere di Cotta e di chi
dissentiva, a cosa portava? Se per il presente non
rappresentava un pericolo, certo avrebbero dovuto temere
la fame, in un lungo assedio.
XXX
Hac in utramque partem disputatione habita, cum a
Cotta primisque ordinibus acriter resisteretur, "Vincite,"
inquit, "si ita vultis," Sabinus, et id clariore voce, ut
magna pars militum exaudiret; "neque is sum," inquit,
Mentre così si discuteva, da una parte e dall'altra, visto
che Cotta e i centurioni più alti in grado si opponevano
con tenacia, Sabino disse: "E va bene, se proprio lo
volete", e a voce più alta, per essere sentito da un gran
"qui gravissime ex vobis mortis periculo terrear: hi
sapient; si gravius quid acciderit, abs te rationem
reposcent, qui, si per te liceat, perendino die cum
proximis hibernis coniuncti communem cum reliquis
belli casum sustineant, non reiecti et relegati longe ab
ceteris aut ferro aut fame intereant".
numero di soldati, proseguì: "Non sarò certo io quello che,
in mezzo voi, si lascia spaventare di più dalla paura della
morte; ma saranno loro a giudicare e a chiedere conto a te,
se succede qualcosa di grave, loro, che se tu lo
consentissi, potrebbero raggiungere dopodomani
l'accampamento più vicino e affrontare le vicende della
guerra insieme agli altri, invece di crepare per mano
nemica o sfiniti dalla fame, abbandonati e lontani da tutti".
XXXI
Consurgitur ex consilio; comprehendunt utrumque et
orant, ne sua dissensione et pertinacia rem in summum
periculum deducat: facilem esse rem, seu maneant, seu
proficiscantur, si modo unum omnes sentiant ac probent;
contra in dissensione nullam se salutem perspicere. Res
disputatione ad mediam noctem perducitur. Tandem dat
Cotta permotus manus: superat sententia Sabini.
Pronuntiatur prima luce ituros. Consumitur vigiliis
reliqua pars noctis, cum sua quisque miles
circumspiceret, quid secum portare posset, quid ex
instrumento hibernorum relinquere cogeretur. Omnia
excogitantur, quare nec sine periculo maneatur, et
languore militum et vigiliis periculum augeatur. Prima
luce sic ex castris proficiscuntur, ut quibus esset
persuasum non ab hoste, sed ab homine amicissimo
Ambiorige consilium datum, longissimo agmine
maximisque impedimentis.
Si alzano dal consiglio, prendono nel mezzo entrambi i
legati e li pregano di non portare la situazione al massimo
rischio con il loro dissenso ostinato; la faccenda era facile
sia rimanendo, sia levando le tende, purché tutti fossero
dello stesso avviso e partito; in caso di disaccordo, invece,
non intravedevano alcuna speranza di salvezza. La
discussione prosegue fino a notte fonda. Alla fine Cotta,
turbato, si dà per vinto: prevale il parere di Sabino. La
partenza viene annunciata per l'alba. Il resto della notte la
passano a vegliare, ogni soldato valuta che cosa possa
prendere con sé e quali oggetti dell'accampamento
invernale debba abbandonare per forza. Le pensano tutte
pur di non garantire, la mattina dopo, una partenza priva
di rischi, e di aumentare il pericolo con la stanchezza dei
soldati, dovuta alla veglia. All'alba lasciano il campo, non
come se fossero stati persuasi dal nemico, ma quasi che
avessero accolto il suggerimento di un amico di provata
lealtà, Ambiorige. L'esercito in marcia formava una
schiera interminabile, con numerosissimi bagagli.
XXXII
At hostes, posteaquam ex nocturno fremitu vigiliisque
de profectione eorum senserunt, collocatis insidiis
bipertito in silvis opportuno atque occulto loco a milibus
passuum circiter duobus Romanorum adventum
exspectabant, et cum se maior pars agminis in magnam
convallem demisisset, ex utraque parte eius vallis subito
se ostenderunt novissimosque premere et primos
prohibere ascensu atque iniquissimo nostris loco
proelium committere coeperunt.
I nemici, quando dall'agitazione notturna e dalla veglia
prolungata, si resero conto che i nostri preparavano la
partenza, tesero insidie da due lati, nella boscaglia, su un
terreno favorevole e coperto, a circa due miglia dal
campo, in attesa dell'arrivo dei Romani. Allorché il grosso
del nostro esercito era ormai entrato in un'ampia valle,
all'improvviso, dai fianchi della medesima sbucarono i
nemici e iniziarono a premere sulla retroguardia, a
impedire all'avanguardia di salire, costringendo i nostri a
combattere in condizioni assolutamente sfavorevoli.
XXXIII
Tum demum Titurius, qui nihil ante providisset,
trepidare et concursare cohortesque disponere, haec
tamen ipsa timide atque ut eum omnia deficere
viderentur; quod plerumque eis accidere consuevit, qui
in ipso negotio consilium capere coguntur. At Cotta, qui
cogitasset haec posse in itinere accidere atque ob eam
causam profectionis auctor non fuisset, nulla in re
communi saluti deerat et in appellandis cohortandisque
militibus imperatoris et in pugna militis officia
praestabat. Cum propter longitudinem agminis minus
facile omnia per se obire et, quid quoque loco faciendum
esset, providere possent, iusserunt pronuntiare, ut
impedimenta relinquerent atque in orbem consisterent.
Quod consilium etsi in eiusmodi casu reprehendendum
non est, tamen incommode accidit: nam et nostris
Solo allora Titurio, che nulla aveva previsto, cominciò ad
agitarsi, a correre qua e là, a disporre le coorti, ma sempre
impaurito: sembrava che tutto gli venisse a mancare, come
per lo più accade a chi è costretto a decidere proprio
mentre l'azione è in corso. Cotta, invece, che aveva
pensato all'eventualità di un attacco durante la marcia e
che, perciò, non era stato fautore della partenza, non
risparmiò nulla per la salvezza di tutti e, chiamando e
incoraggiando i legionari, durante la battaglia, svolgeva le
funzioni di comandante e di soldato. La lunghezza della
colonna rendeva più difficile provvedere a tutto
personalmente e impartire gli ordini necessari in ogni
settore della battaglia, perciò i comandanti diedero
disposizione, passando la voce, di abbandonare i bagagli e
di assumere la formazione a cerchio. La manovra, anche
militibus spem minuit et hostes ad pugnam alacriores
effecit, quod non sine summo timore et desperatione id
factum videbatur. Praeterea accidit, quod fieri necesse
erat, ut vulgo milites ab signis discederent, quae quisque
eorum carissima haberet, ab impedimentis petere atque
arripere properaret, clamore et fletu omnia
complerentur.
se in circostanze del genere non è riprovevole, si risolse in
un danno: diminuì la fiducia dei nostri soldati e rese più
arditi i nemici, perché sembrava che fosse stata fatta per
estremo timore e scoraggiamento. Inoltre, accadde
l'inevitabile: i soldati, ovunque, si allontanavano dalle
insegne, ciascuno correva ai bagagli per cercare e
riprendersi le cose più care, tutto risuonava di grida e
pianti.
XXXIV
At barbaris consilium non defuit. Nam duces eorum tota
acie pronuntiare iusserunt, ne quis ab loco discederet:
illorum esse praedam atque illis reservari quaecumque
Romani reliquissent: proinde omnia in victoria posita
existimarent. Erant et virtute et studio pugnandi pares;
nostri, tametsi ab duce et a fortuna deserebantur, tamen
omnem spem salutis in virtute ponebant, et quotiens
quaeque cohors procurrerat, ab ea parte magnus
numerus hostium cadebat. Qua re animadversa Ambiorix
pronuntiari iubet, ut procul tela coniciant neu propius
accedant et, quam in partem Romani impetum fecerint,
cedant (levitate armorum et cotidiana exercitatione nihil
eis noceri posse), rursus se ad signa recipientes
insequantur.
I barbari, invece, si dimostrarono avveduti. Infatti, i loro
capi passarono ordine a tutto lo schieramento che nessuno
si allontanasse dal proprio posto: era preda riservata per
loro tutto ciò che i Romani avessero abbandonato, quindi
dovevano pensare che tutto dipendeva dalla vittoria. Il
loro coraggio era pari al loro numero. I nostri, benché
abbandonati dal comandandante e dalla Fortuna, tuttavia
riponevano ogni speranza di salvezza nel proprio valore, e
ogni volta che una coorte muoveva all'assalto, in quel
settore cadeva un gran numero di nemici. Appena se ne
accorge, Ambiorige passa voce di scagliare dardi da
lontano, senza avvicinarsi, cedendo là dove i Romani
avessero sferrato l'attacco: grazie alle loro armi leggere e
all'esercizio quotidiano avrebbero potuto infliggere ai
Romani gravi perdite; quando i nostri si fossero ritirati
verso le insegne, dovevano inseguirli.
XXXV
Quo praecepto ab eis diligentissime observato, cum
quaepiam cohors ex orbe excesserat atque impetum
fecerat, hostes velocissime refugiebant. Interim eam
partem nudari necesse erat et ab latere aperto tela recipi.
Rursus cum in eum locum unde erant egressi reverti
coeperant, et ab eis qui cesserant et ab eis qui proximi
steterant circumveniebantur; sin autem locum tenere
vellent, nec virtuti locus relinquebatur, neque ab tanta
multitudine coniecta tela conferti vitare poterant. Tamen
tot incommodis conflictati, multis vulneribus acceptis
resistebant et magna parte diei consumpta, cum a prima
luce ad horam octavam pugnaretur, nihil quod ipsis esset
indignum committebant. Tum Tito Balventio, qui
superiore anno primum pilum duxerat, viro forti et
magnae auctoritatis, utrumque femur tragula traicitur;
Quintus Lucanius, eiusdem ordinis, fortissime pugnans,
dum circumvento filio subvenit, interficitur; Lucius
Cotta legatus omnes cohortes ordinesque adhortans in
adversum os funda vulneratur.
L'ordine venne scrupolosamente eseguito dai barbari:
quando una coorte usciva dalla formazione a cerchio e
attaccava, i nemici indietreggiavano in gran fretta. Al
tempo stesso era inevitabile che quel punto rimanesse
scoperto e che sul fianco destro piovessero dardi. Poi,
quando i nostri iniziavano il ripiegamento verso il settore
di partenza, venivano circondati sia dai nemici che si
erano ritirati, sia dagli altri che erano rimasti fermi nelle
vicinanze. Se, invece, volevano tenere le posizioni, non
avevano modo di esprimere il proprio valore, né di
evitare, così serrati, le frecce scagliate da una tal massa di
nemici. Comunque, pur travagliati da tante difficoltà e
nonostante le gravi perdite, resistevano e, trascorsa già
gran parte del giorno - si combatteva dall'alba ed erano
ormai le due di pomeriggio - non si piegavano a nulla che
fosse indegno di loro. A quel punto T. Balvenzio, che
l'anno precedente era stato centurione primipilo, soldato
coraggioso e di grande autorità, viene colpito da una
tragula, che gli trapassa tutte e due le cosce; Q. Lucanio,
anch'egli primipilo, mentre combatteva con estremo
valore, perde la vita nel tentativo di recare aiuto al figlio
circondato; il legato L. Cotta, mentre stava incitando tutte
le coorti e le centurie, viene colpito da un proiettile di
fionda in pieno volto.
XXXVI
His rebus permotus Quintus Titurius, cum procul
Ambiorigem suos cohortantem conspexisset, interpretem
suum Gnaeum Pompeium ad eum mittit rogatum ut sibi
militibusque parcat. Ille appellatus respondit: si velit
Scosso da tali avvenimenti, Q. Titurio, avendo scorto in
lontananza Ambiorige che spronava i suoi, gli invia il
proprio interprete, Cn. Pompeo, per chiedergli salva la
vita per sé e i legionari. Ambiorige alla richiesta risponde:
secum colloqui, licere; sperare a multitudine impetrari
posse, quod ad militum salutem pertineat; ipsi vero nihil
nocitum iri, inque eam rem se suam fidem interponere.
Ille cum Cotta saucio communicat, si videatur, pugna ut
excedant et cum Ambiorige una colloquantur: sperare ab
eo de sua ac militum salute impetrari posse. Cotta se ad
armatum hostem iturum negat atque in eo perseverat.
se Titurio voleva un colloquio, glielo concedeva; sperava
di poter convincere le truppe circa la salvezza dei soldati
romani; Titurio stesso, comunque, non avrebbe corso
alcun rischio, se ne rendeva garante di persona. Titurio si
consiglia con Cotta, ferito: gli propone, se era d'accordo,
di allontanarsi dalla battaglia e di recarsi insieme a parlare
con Ambiorige: sperava di riuscire a ottenere salva la vita
per loro e per i soldati. Cotta risponde che non si sarebbe
mai recato da un nemico in armi e non recede dalla sua
decisione.
XXXVII
Sabinus quos in praesentia tribunos militum circum se
habebat et primorum ordinum centuriones se sequi iubet
et, cum propius Ambiorigem accessisset, iussus arma
abicere imperatum facit suisque ut idem faciant imperat.
Interim, dum de condicionibus inter se agunt longiorque
consulto ab Ambiorige instituitur sermo, paulatim
circumventus interficitur. Tum vero suo more victoriam
conclamant atque ululatum tollunt impetuque in nostros
facto ordines perturbant. Ibi Lucius Cotta pugnans
interficitur cum maxima parte militum. Reliqui se in
castra recipiunt unde erant egressi. Ex quibus Lucius
Petrosidius aquilifer, cum magna multitudine hostium
premeretur, aquilam intra vallum proiecit; ipse pro
castris fortissime pugnans occiditur. Illi aegre ad noctem
oppugnationem sustinent; noctu ad unum omnes
desperata salute se ipsi interficiunt. Pauci ex proelio
lapsi incertis itineribus per silvas ad Titum Labienum
legatum in hiberna perveniunt atque eum de rebus gestis
certiorem faciunt.
Ai tribuni militari che, al momento, aveva intorno a sé e ai
centurioni più alti in grado, Sabino dà ordine di seguirlo.
Essendosi avvicinato ad Ambiorige, gli viene ingiunto di
gettare le armi: esegue l'ordine e comanda ai suoi di fare
altrettanto. E mentre trattavano delle condizioni di resa e
Ambiorige, di proposito, tirava in lungo il suo discorso, a
poco a poco Sabino viene circondato e ucciso. A quel
punto, com'è loro costume, i nemici levano alte grida di
vittoria, si lanciano all'assalto, scompaginano i ranghi dei
nostri. L. Cotta cade combattendo sul posto, come la
maggior parte dei nostri. Gli altri si rifugiano
nell'accampamento da cui erano partiti. Tra di essi, L.
Petrosidio, aquilifero, attaccato da molti avversari, gettò
l'aquila all'interno del vallo e cadde battendosi da vero
eroe dinanzi all'accampamento. I nostri, a malapena,
riescono a reggere agli attacchi nemici fino al calar delle
tenebre; di notte, senza più speranze di salvezza, si
tolgono la vita tutti, sino all'ultimo. I pochi superstiti
raggiungono, per vie malsicure tra le selve, il campo del
legato T. Labieno e lo informano dell'accaduto.
XXXVIII
Hac victoria sublatus Ambiorix statim cum equitatu in
Aduatucos, qui erant eius regno finitimi, proficiscitur;
neque noctem neque diem intermittit pedita tumque
subsequi iubet. Re demonstrata Aduatucisque concitatis
postero die in Nervios pervenit hortaturque, ne sui in
perpetuum liberandi atque ulciscendi Romanos pro eis
quas acceperint iniuriis occasionem dimittant:
interfectos esse legatos duos magnamque partem
exercitus interisse demonstrat; nihil esse negoti subito
oppressam legionem quae cum Cicerone hiemet
interfici; se ad eam rem profitetur adiutorem. Facile hac
oratione Nerviis persuadet.
Imbaldanzito dalla vittoria, Ambiorige con la cavalleria si
dirige verso gli Atuatuci, che confinavano col suo regno.
Non interrompe la marcia né di notte, né di giorno e
ordina alla fanteria di tenergli dietro. Illustrato l'accaduto
e spinti gli Atuatuci alla ribellione, il giorno seguente
raggiunge i Nervi e li spinge a non perdere l'occasione di
rendersi per sempre liberi e di vendicarsi dei Romani per
le offese ricevute. Racconta che due legati erano stati
uccisi e il grosso dell'esercito eliminato; non era affatto
difficile cogliere di sorpresa la legione che svernava con
Cicerone e distruggerla; promette il suo aiuto nell'impresa.
Con tali parole persuade facilmente i Nervi.
XXXIX
Itaque confestim dimissis nuntiis ad Ceutrones, Grudios,
Levacos, Pleumoxios, Geidumnos, qui omnes sub eorum
imperio sunt, quam maximas manus possunt cogunt et
de improviso ad Ciceronis hiberna advolant nondum ad
eum fama de Tituri morte perlata. Huic quoque accidit,
quod fuit necesse, ut nonnulli milites, qui lignationis
munitionisque causa in silvas discessissent, repentino
equitum adventu interciperentur. His circumventis
magna manu Eburones, Nervii, Aduatuci atque horum
omnium socii et clientes legionem oppugnare incipiunt.
Così, inviano subito emissari ai Ceutroni, ai Grudi, ai
Levaci, ai Pleumoxi, ai Geidumni, tutti popoli sottoposti
alla loro autorità, raccolgono quante più truppe possono e
piombano all'improvviso sul campo di Cicerone, che
ancora non sapeva della morte di Titurio. Anche Cicerone
si trova di fronte, com'era inevitabile, all'identica
situazione: alcuni legionari, addentratisi nei boschi in
cerca di legname per le fortificazioni, vengono colti alla
sprovvista dall'arrivo repentino della cavalleria nemica.
Dopo averli circondati con ingenti forze, gli Eburoni, i
Nostri celeriter ad arma concurrunt, vallum
conscendunt. Aegre is dies sustentatur, quod omnem
spem hostes in celeritate ponebant atque hanc adepti
victoriam in perpetuum se fore victores confidebant.
Nervi e gli Atuatuci, con tutti i loro alleati e clienti,
stringono d'assedio la legione. I nostri si precipitano alle
armi e salgono sul vallo. Per quel giorno riescono a
resistere, ma a stento, perché i nemici riponevano ogni
speranza nella rapidità dell'attacco ed erano convinti che,
ottenuta quella vittoria, sarebbero sempre usciti vincitori.
XL
Mittuntur ad Caesarem confestim ab Cicerone litterae
magnis propositis praemiis, si pertulissent: obsessis
omnibus viis missi intercipiuntur. Noctu ex materia,
quam munitionis causa comportaverant, turres admodum
CXX excitantur incredibili celeritate; quae deesse operi
videbantur, perficiuntur. Hostes postero die multo
maioribus coactis copiis castra oppugnant, fossam
complent. Eadem ratione, qua pridie, ab nostris
resistitur. Hoc idem reliquis deinceps fit diebus. Nulla
pars nocturni temporis ad laborem intermittitur; non
aegris, non vulneratis facultas quietis datur.
Quaecumque ad proximi diei oppugnationem opus sunt
noctu comparantur; multae praeustae sudes, magnus
muralium pilorum numerus instituitur; turres
contabulantur, pinnae loricaeque ex cratibus attexuntur.
Ipse Cicero, cum tenuissima valetudine esset, ne
nocturnum quidem sibi tempus ad quietem relinquebat,
ut ultro militum concursu ae vocibus sibi parcere
cogeretur.
Senza indugio Cicerone invia una lettera a Cesare,
promettendo grandi ricompense a chi fosse riuscito a
recapitarla. Le vie, però, erano tutte sorvegliate e i messi
vennero intercettati. Di notte, con il legname procurato
per le fortificazioni, i Romani costruiscono, con
incredibile rapidità, almeno centoventi torri e terminano le
strutture difensive non ancora approntate. L'indomani i
nemici, raccolte truppe ben più numerose, riprendono
l'assedio e riempiono la fossa. I nostri resistono nello
stesso modo del giorno prima. L'identica situazione si
ripete nei giorni successivi. Di notte i lavori non vengono
sospesi, neppure per un istante; non è concesso riposo né
ai malati, né ai feriti. Tutto il necessario per l'assedio del
giorno seguente lo si prepara di notte; sono approntati
molti pali induriti al fuoco e giavellotti pesanti in gran
quantità; le torri vengono munite di tavolati, dotate di
merli e parapetti di graticci. Cicerone stesso, pur essendo
di salute molto cagionevole, neanche di notte si concedeva
riposo, tanto che i soldati si accalcarono intorno a lui e lo
costrinsero, a forza di insistere, a prendersi un po' di
respiro.
XLI
Tunc duces principesque Nerviorum qui aliquem
sermonis aditum causamque amicitiae cum Cicerone
habebant colloqui sese velle dicunt. Facta potestate
eadem quae Ambiorix cum Titurio egerat
commemorant: omnem esse in armis Galliam; Germanos
Rhenum transisse; Caesaris reliquorumque hiberna
oppugnari. Addunt etiam de Sabini morte: Ambiorigem
ostentant fidei faciendae causa. Errare eos dicunt, si
quidquam ab his praesidi sperent, qui suis rebus
diffidant; sese tamen hoc esse in Ciceronem populumque
Romanum animo, ut nihil nisi hiberna recusent atque
hanc inveterascere consuetudinem nolint: licere illis
incolumibus per se ex hibernis discedere et quascumque
in partes velint sine metu proficisci. Cicero ad haec
unum modo respondit: non esse consuetudinem populi
Romani accipere ab hoste armato condicionem: si ab
armis discedere velint, se adiutore utantur legatosque ad
Caesarem mittant; sperare pro eius iustitia, quae
petierint, impetraturos.
Allora i capi e i principi dei Nervi, che avevano possibilità
di contatto con Cicerone per ragioni di amicizia, gli
chiedono un colloquio ed egli lo concede. Descrivono la
situazione negli stessi termini in cui Ambiorige l'aveva
presentata a Titurio: tutta la Gallia era in armi; i Germani
avevano attraversato il Reno; il campo di Cesare e tutti gli
altri erano sotto assedio. Riferiscono anche la morte di
Sabino: la presenza di Ambiorige ne costituiva la prova.
Sarebbe stato un errore aspettare rinforzi da chi disperava
della propria situazione; tuttavia, contro Cicerone e il
popolo romano non avevano alcun risentimento, solo non
accettavano più quartieri d'inverno nei loro territori e non
intendevano che tale abitudine si radicasse; concedevano
ai Romani la possibilità di lasciare il campo sani e salvi e
di recarsi, senza alcun timore, dovunque volessero. A tali
parole Cicerone risponde semplicemente che non era
consuetudine del popolo romano accettare condizioni da
un nemico armato; se avessero acconsentito a deporre le
armi, prometteva il suo appoggio per l'invio di messi a
Cesare: sperava, dato il senso di giustizia del comandante,
che avrebbero viste esaudite le loro richieste.
XLII
Ab hac spe repulsi Nervii vallo pedum IX et fossa
pedum XV hiberna cingunt. Haec et superiorum
annorum consuetudine ab nobis cognoverant et, quos
clam de exercitu habebant captivos, ab eis docebantur;
Svanita tale speranza, i Nervi cingono il campo romano
con un vallo alto dieci piedi e una fossa larga quindici.
Negli anni precedenti, per i frequenti contatti con noi,
avevano appreso tale tecnica e adesso erano istruiti da
sed nulla ferramentorum copia quae esset ad hunc usum
idonea, gladiis caespites circumcidere, manibus
sagulisque terram exhaurire nitebantur. Qua quidem ex
re hominum multitudo cognosci potuit: nam minus horis
tribus milium pedum XV in circuitu munitionem
perfecerunt reliquisque diebus turres ad altitudinem
valli, falces testudinesque, quas idem captivi docuerant,
parare ac facere coeperunt.
alcuni prigionieri del nostro esercito; ma, privi degli
attrezzi di ferro adatti, erano costretti a fendere le zolle
con le spade e a trasportare la terra con le mani o i saguli.
Ma anche da ciò, comunque, si poté capire quanto fossero
numerosi: in meno di tre ore ultimarono una linea
fortificata per un perimetro di quindici miglia. Nei giorni
successivi, sempre sulla base delle istruzioni dei
prigionieri, cominciarono a preparare e costruire torri alte
come il vallo, falci e testuggini.
XLIII
Septimo oppugnationis die maximo coorto vento
ferventes fusili ex argilla glandes fundis et fervefacta
iacula in casas, quae more Gallico stramentis erant
tectae, iacere coeperunt. Hae celeriter ignem
comprehenderunt et venti magnitudine in omnem locum
castrorum distulerunt. Hostes maximo clamore sicuti
parta iam atque explorata victoria turres testudinesque
agere et scalis vallum ascendere coeperunt. At tanta
militum virtus atque ea praesentia animi fuit, ut, cum
undique flamma torrerentur maximaque telorum
multitudine premerentur suaque omnia impedimenta
atque omnes fortunas conflagrare intellegerent, non
modo demigrandi causa de vallo decederet nemo, sed
paene ne respiceret quidem quisquam, ac tum omnes
acerrime fortissimeque pugnarent. Hic dies nostris longe
gravissimus fuit; sed tamen hunc habuit eventum, ut eo
die maximus numerus hostium vulneraretur atque
interficeretur, ut se sub ipso vallo constipaverant
recessumque primis ultimi non dabant. Paulum quidem
intermissa flamma et quodam loco turri adacta et
contingente vallum tertiae cohortis centuriones ex eo,
quo stabant, loco recesserunt suosque omnes
removerunt, nutu vocibusque hostes, si introire vellent,
vocare coeperunt; quorum progredi ausus est nemo.
Tum ex omni parte lapidibus coniectis deturbati,
turrisque succensa est.
Il settimo giorno d'assedio si levò un vento fortissimo: i
nemici iniziarono a scagliare proiettili roventi d'argilla
incandescente e frecce infuocate contro le capanne che,
secondo l'uso gallico, avevano il tetto ricoperto di paglia. I
tetti presero subito fuoco e, per la violenza delle raffiche,
le fiamme si diffusero in ogni punto del campo. I nemici,
tra alte grida, come se avessero già la vittoria in pugno,
cominciarono a spingere in avanti le torri e le testuggini, a
tentar di salire sul nostro vallo con scale. I nostri,
nonostante il calore sprigionato ovunque dalle fiamme e il
nugolo di dardi che pioveva su di loro e sebbene si
rendessero conto che tutti i bagagli e ogni loro bene era
perduto, diedero una tal prova di valore e presenza di
spirito, che nessuno si mosse e abbandonò il vallo in fuga,
anzi, non girarono neanche le teste: tutti si batterono con
estrema tenacia e straordinario coraggio. Per i nostri fu il
giorno più duro in assoluto, ma col risultato che, proprio
in esso, i nemici subirono il maggior numero di perdite,
tra morti e feriti, perché si erano ammassati proprio ai
piedi del vallo e gli ultimi impedivano ai primi la ritirata.
Le fiamme erano un po' calate e, in una zona, una torre
nemica era stata spinta contro il vallo; i centurioni della
terza coorte ripiegarono dal settore in cui si trovavano e
ordinarono a tutti i loro di retrocedere, poi con cenni e
grida cominciarono a chiamare il nemico, sfidandolo a
entrare: nessuno osò farsi avanti. Allora i nostri, da ogni
parte, scagliarono pietre e i Galli vennero dispersi; la torre
fu incendiata.
XLIV
Erant in ea legione fortissimi viri, centuriones, qui
primis ordinibus appropinquarent, Titus Pullo et Lucius
Vorenus. Hi perpetuas inter se controversias habebant,
quinam anteferretur, omnibusque annis de locis summis
simultatibus contendebant. Ex his Pullo, cum acerrime
ad munitiones pugnaretur, "Quid dubitas," inquit, "
Vorene? aut quem locum tuae probandae virtutis
exspectas ? hic dies de nostris controversiis iudicabit."
Haec cum dixisset, procedit extra munitiones quaque
pars hostium confertissma est visa irrumpit. Ne Vorenus
quidem tum sese vallo continet, sed omnium veritus
existi mationem subsequitur. Mediocri spatio relicto
Pullo pilum in hostes immittit atque unum ex
multitudine procurrentem traicit; quo percusso et
exanimato hunc scutis protegunt, in hostem tela universi
coniciunt neque dant regrediendi facultatem.
Transfigitur scutum Pulloni et verutum in balteo
defigitur. Avertit hic casus vaginam et gladium educere
In quella legione militavano due centurioni di grande
valore, T. Pullone e L. Voreno, che stavano raggiungendo
i gradi più alti. I due erano in costante antagonismo su chi
doveva esser anteposto all'altro e ogni anno gareggiavano
per la promozione, con rivalità accanita. Mentre si
combatteva aspramente nei pressi delle nostre difese,
Pullone disse: "Esiti, Voreno? Che grado ti aspetti a
ricompensa del tuo valore? Ecco il giorno che deciderà le
nostre controversie!" Ciò detto, scavalca le difese e si
getta contro lo schieramento nemico dove sembrava più
fitto. Neppure Voreno, allora, resta entro il vallo, ma,
temendo il giudizio di tutti, segue Pullone. A poca
distanza dai nemici, questi scaglia il giavellotto contro di
loro e ne colpisce uno, che correva in testa a tutti; i
compagni lo soccorrono, caduto e morente, proteggendolo
con gli scudi, mentre tutti insieme lanciano dardi contro
Pullone, impedendogli di avanzare. Anzi, il suo scudo
viene passato da parte a parte e un veruto gli si pianta nel
conanti dextram moratur manum, impeditumque hostes
circumsistunt. Succurrit inimicus illi Vorenus et
laboranti subvenit. Ad hunc se confestim a Pullone
omnis multitudo convertit: illum veruto arbitrantur
occisum. Gladio comminus rem gerit Vorenus atque uno
interfecto reliquos paulum propellit; dum cupidius instat,
in locum deiectus inferiorem concidit. Huic rursus
circumvento fert subsidium Pullo, atque ambo incolumes
compluribus interfectis summa cum laude sese intra
munitiones recipiunt. Sic fortuna in contentione et
certamine utrumque versavit, ut alter alteri inimicus
auxilio salutique esset, neque diiudicari posset, uter utri
virtute anteferendus videretur.
balteo, spostandogli il fodero della spada: così, mentre
cerca di sguainarla con la destra, perde tempo e,
nell'intralcio in cui si trova, viene circondato. Subito il suo
rivale Voreno si precipita e lo soccorre in quel difficile
frangente. Su di lui convergono subito tutti i nemici,
trascurando Pullone: lo credono trafitto dal veruto.
Voreno combatte con la spada, corpo a corpo, uccide un
avversario e costringe gli altri a retrocedere leggermente,
ma, trasportato dalla foga, cade a capofitto in un fosso.
Viene circondato a sua volta e trova sostegno in Pullone:
tutti e due, incolumi, si riparano entro le nostre difese,
dopo aver ucciso molti nemici ed essersi procurati grande
onore. Così la Fortuna, in questa loro sfida e contesa,
dispose di essi in modo che ognuno recasse all'antagonista
aiuto e salvezza e che non fosse possibile giudicare a
quale dei due, per valore, toccasse il premio per il valore.
XLV
Quanto erat in dies gravior atque asperior oppugnatio, et
maxime quod magna parte militum confecta vulneribus
res ad paucitatem defensorum pervenerat, tanto
crebriores litterae nuntiique ad Caesarem mittebantur;
quorum pars deprehensa in conspectu nostrorum militum
cum cruciatu necabatur. Erat unus intus Nervius nomine
Vertico, loco natus honesto, qui a prima obsidione ad
Ciceronem perfugerat suamque ei fidem praestiterat. Hic
servo spe libertatis magnisque persuadet praemiis, ut
litteras ad Caesarem deferat. Has ille in iaculo illigatas
effert et Gallus inter Gallos sine ulla suspicione versatus
ad Caesarem pervenit. Ab eo de periculis Ciceronis
legionisque cognoscitur.
Quanto più l'assedio diventava, di giorno in giorno, duro e
insostenibile (soprattutto perché la maggior parte dei
soldati era ferita e il numero dei difensori si era ridotto a
ben poca cosa), tanto più di frequente venivano inviate
lettere e messi a Cesare: alcuni di loro, catturati, vennero
uccisi tra i supplizi al cospetto dei nostri soldati.
Nell'accampamento c'era un Nervio, di nome Verticone,
persona di nobili natali: fin dall'inizio dell'assedio era
passato dalla parte di Cicerone e gli aveva giurato fedeltà
assoluta. Verticone persuade un suo servo a portare una
lettera a Cesare e gli promette la libertà e grosse
ricompense. Costui porta fuori dal campo la lettera legata
al suo giavellotto: Gallo, tra Galli, si muove senza destare
alcun sospetto e raggiunge Cesare, informandolo dei
pericoli che incombono su Cicerone e la sua legione.
XLVI
Caesar acceptis litteris hora circiter XI diei statim
nuntium in Bellovacos ad M. Crassum quaestorem
mittit, cuius hiberna aberant ab eo milia passuum XXV;
iubet media nocte legionem proficisci celeriterque ad se
venire. Exit cum nuntio Crassus. Alterum ad Gaium
Fabium legatum mittit, ut in Atrebatium fines legionem
adducat, qua sibi iter faciendum sciebat. Scribit Labieno,
si rei publicae commodo facere posset, cum legione ad
fines Nerviorum veniat. Reliquam partem exercitus,
quod paulo aberat longius, non putat exspectandam;
equites circiter quadringentos ex proximis hibernis
colligit.
Cesare, ricevuta la lettera verso le cinque di pomeriggio,
invia immediatamente nelle terre dei Bellovaci un
messaggero al questore M. Crasso, il cui campo invernale
distava circa venticinque miglia; gli ordina di mettersi in
marcia con la legione a mezzanotte e di raggiungerlo in
fretta. Crasso lascia il campo con l'emissario. Cesare ne
invia un altro al legato C. Fabio e gli comunica di guidare
la legione nei territori degli Atrebati, da dove sapeva di
dover transitare. Scrive a Labieno di venire con la legione
nelle terre dei Nervi, se la sua partenza non era di danno
per gli interessi di Roma. Ritiene di non dover aspettare il
resto dell'esercito, stanziato un po' troppo lontano; dai
campi invernali più vicini raccoglie circa quattrocento
cavalieri.
XLVII
Hora circiter tertia ab antecursoribus de Crassi adventu
certior factus eo die milia passuum XX pro cedit.
Crassum Samarobrivae praeficit legionemque attribuit,
quod ibi impedimenta exercitus, obsides civitatum,
litteras publicas frumentumque omne quod eo tolerandae
hiemis causa devexerat relinquebat. Fabius, ut
imperatum erat, non ita multum moratus in itinere cum
Le staffette, verso le nove di mattina, lo informano
dell'arrivo di Crasso ed egli, per quel giorno, avanza di
circa venti miglia. Destina Crasso a Samarobriva e gli
attribuisce il comando della legione perché lasciava lì le
salmerie dell'esercito, gli ostaggi delle varie popolazioni, i
documenti ufficiali e tutto il grano trasportato per
affrontare l'inverno. Fabio con la sua legione, secondo gli
legione occurrit. Labienus interitu Sabini et caede
cohortium cognita, cum omnes ad eum Treverorum
copiae venissent, veritus, si ex hibernis fugae similem
profectionem fecisset, ut hostium impetum sustinere
posset, praesertim quos recenti victoria efferri sciret,
litteras Caesari remittit, quanto cum periculo legionem
ex hibernis educturus esset; rem gestam in Eburonibus
perscribit; docet omnes equitatus peditatusque copias
Treverorum tria milia passuum longe ab suis castris
consedisse.
ordini, senza perdere troppo tempo, si ricongiunge con lui
mentre era in marcia. Quando Labieno era ormai al
corrente della morte di Sabino e della strage delle coorti, i
Treveri giungono con tutto l'esercito: egli ebbe paura, se
lasciava il campo con una partenza simile a una fuga, di
non riuscire a tener testa all'assalto dei nemici, tanto più
che li sapeva imbaldanziti per la recente vittoria. Perciò,
scrive a Cesare il pericolo a cui si troverebbe esposta la
legione guidata fuori dall'accampamento, gli illustra le
vicende accadute tra gli Eburoni e lo informa che la
fanteria e la cavalleria dei Treveri, al gran completo, si
erano insediate a tre miglia di distanza dal suo campo.
XLVIII
Caesar consilio eius probato, etsi opinione trium
legionum deiectus ad duas redierat, tamen unum
communis salutis auxilium in celeritate ponebat. Venit
magnis itineribus in Nerviorum fines. Ibi ex captivis
cognoscit, quae apud Ciceronem gerantur, quantoque in
periculo res sit. Tum cuidam ex equitibus Gallis magnis
praemiis persuadet uti ad Ciceronem epistolam deferat.
Hanc Graecis conscriptam litteris mittit, ne intercepta
epistola nostra ab hostibus consilia cognoscantur. Si
adire non possit, monet ut tragulam cum epistola ad
amentum deligata intra munitionem castrorum abiciat. In
litteris scribit se cum legionibus profectum celeriter
adfore; hortatur ut pristinam virtutem retineat. Gallus
periculum veritus, ut erat praeceptum, tragulam mittit.
Haec casu ad turrim adhaesit neque ab nostris biduo
animadversa tertio die a quodam milite conspicitur,
dempta ad Ciceronem defertur. Ille perlectam in
conventu militum recitat maximaque omnes laetitia
adficit. Tum fumi incendiorum procul videbantur; quae
res omnem dubitationem adventus legionum expulit.
Cesare approvò la decisione di Labieno e, benché, così,
caduta la speranza di contare su tre legioni, dovesse
accontentarsi di due, continuava a pensare che l'unica via
di salvezza comune consistesse nella rapidità di azione. A
marce forzate raggiunge la regione dei Nervi. Qui, dai
prigionieri apprende che cosa succede nel campo di
Cicerone e come la situazione sia critica. Allora,
offrendogli un forte compenso, persuade uno dei cavalieri
galli a portare a Cicerone una lettera. La scrive in greco,
per evitare che i nemici, in caso di intercettazione,
scoprissero i nostri piani. Dà ordine al Gallo, se non fosse
riuscito a penetrare nel campo romano, di scagliare
all'interno delle fortificazioni una tragula, con la lettera
legata alla correggia. Nella missiva scrive che era già in
marcia con le legioni e che presto sarebbe giunto; esorta
Cicerone a mostrarsi all'altezza dell'antico valore. Il Gallo,
temendo il pericolo, scaglia la tragula secondo gli ordini
ricevuti. Il caso volle che si conficcasse in una torre e che
per due giorni i nostri non se ne accorgessero. Il terzo
giorno viene notata da un soldato, divelta e consegnata a
Cicerone. Egli legge attentamente la missiva e poi ne
comunica il contenuto pubblicamente, con grande gioia di
tutti. Al tempo stesso si scorgevano, in lontananza, fumi di
fuochi: ogni dubbio sull'arrivo delle legioni venne fugato.
XLIX
Galli re cognita per exploratores obsidionem relinquunt,
ad Caesarem omnibus copiis contendunt. Hae erant
armata circiter milia LX. Cicero data facultate Gallum
ab eodem Verticone, quem supra demonstravimus,
repetit, qui litteras ad Caesarem deferat; hunc admonet,
iter caute diligenterque faciat: perscribit in litteris hostes
ab se discessisse omnemque ad eum multitudinem
convertisse. Quibus litteris circiter media nocte Caesar
adlatis suos facit certiores eosque ad dimicandum animo
confirmat. Postero die luce prima movet castra et circiter
milia passuum quattuor progressus trans vallem et rivum
multitudinem hostium conspicatur. Erat magni periculi
res tantulis copiis iniquo loco dimicare; tum, quoniam
obsidione liberatum Ciceronem sciebat, aequo animo
remittendum de celeritate existimabat: consedit et quam
aequissimo loco potest castra communit atque haec, etsi
erant exigua per se vix hominum milium septem
praesertim nullis cum impedimentis, tamen angustiis
viarum quam maxime potest contrahit, eo consilio, ut in
I Galli, informati del fatto dagli esploratori, tolgono
l'assedio e con tutte le truppe, circa sessantamila armati, si
dirigono contro Cesare. Cicerone, grazie all'intervento del
solito Verticone - se n'è già parlato - trova un Gallo che
recapiti una lettera a Cesare, visto che era possibile, e lo
avverte di muoversi con cautela e attenzione; nella missiva
spiega a Cesare che il nemico si era allontanato e che, in
forze, stava dirigendosi contro di lui. La lettera, verso
mezzanotte, perviene a Cesare, che informa i suoi e li
incoraggia in vista della battaglia. L'indomani, all'alba,
sposta l'accampamento e, percorse circa quattro miglia,
avvista la massa dei nemici tra una valle e un corso
d'acqua. Era molto rischioso combattere su un terreno
sfavorevole e avendo truppe così esigue; allora, sapendo
che Cicerone era stato liberato dall'assedio, in tutta
serenità non riteneva necessario stringere i tempi. Si ferma
dunque e fortifica il campo nel posto che offriva più
vantaggi; sebbene l'accampamento fosse già, per sé, di
modeste proporzioni (era per appena settemila uomini e,
summam contemptionem hostibus veniat. Interim
speculatoribus in omnes partes dimissis explorat quo
commodissime itinere vallem transire possit.
per di più, privi di bagagli), lo rende ancor più piccolo
stringendo al massimo i passaggi, per indurre il nemico al
più profondo disprezzo. Nel frattempo, mediante
esploratori inviati in tutte le direzioni, esamina quale sia il
percorso più agevole per attraversare la valle.
L
Eo die parvulis equestribus proeliis ad aquam factis
utrique sese suo loco continent: Galli, quod ampliores
copias, quae nondum convenerant, exspectabant; Caesar,
si forte timoris simulatione hostes in suum locum elicere
posset, ut citra vallem pro castris proelio contenderet, si
id efficere non posset, ut exploratis itineribus minore
cum periculo vallem rivumque transiret. Prima luce
hostium equitatus ad castra accedit proeliumque cum
nostris equitibus committit. Caesar consulto equites
cedere seque in castra recipere iubet, simul ex omnibus
partibus castra altiore vallo muniri portasque obstrui
atque in his administrandis rebus quam maxime
concursari et cum simulatione agi timoris iubet.
Quel giorno si verificarono solo scaramucce di cavalleria
nei pressi del corso d'acqua, mentre entrambi gli eserciti
tenevano le proprie posizioni: i Galli in quanto
aspettavano l'arrivo di truppe ancor più numerose, non
ancora giunte; Cesare nella speranza di riuscire,
simulando timore, ad attirare sul suo terreno i nemici per
combattere al di qua della valle, dinnanzi al campo, o, in
caso contrario, per riuscire, una volta esplorate le strade,
ad attraversare la valle e il corso d'acqua con minore
pericolo. All'alba la cavalleria avversaria si avvicina al
campo e attacca battaglia con i nostri cavalieri. Cesare, di
proposito, ordina ai suoi di ritirarsi e di rientrare
all'accampamento. Al tempo stesso, comanda di rinforzare
con un vallo più alto tutti i lati del campo e di ostruire le
porte; dà ordine ai soldati di eseguire le operazioni con
estrema precipitazione e di simulare paura.
LI
Quibus omnibus rebus hostes invitati copias traducunt
aciemque iniquo loco constituunt, nostris vero etiam de
vallo deductis propius accedunt et tela intra munitionem
ex omnibus partibus coniciunt praeconibusque
circummissis pronuntiari iubent, seu quis Gallus seu
Romanus velit ante horam tertiam ad se transire, sine
periculo licere; post id tempus non fore potestatem: ac
sic nostros contempserunt, ut obstructis in speciem
portis singulis ordinibus caespitum, quod ea non posse
introrumpere videbantur, alii vallum manu scindere, alii
fossas complere inciperent. Tum Caesar omnibus portis
eruptione facta equitatuque emisso celeriter hostes in
fugam dat, sic uti omnino pugnandi causa resisteret
nemo, magnumque ex eis numerum occidit atque omnes
armis exuit.
I nemici, attirati da tutto ciò, varcano il fiume con le loro
truppe e le schierano in un luogo sfavorevole. Mentre i
nostri abbandonano il vallo, gli avversari si avvicinano
ancor più e da tutti i lati scagliano dardi all'interno delle
fortificazioni. Poi, mandano araldi tutt'intorno al campo e
annunziano quanto segue: era consentito a chiunque lo
volesse, Gallo o Romano, di passare dalla loro parte,
senza alcun pericolo, entro le nove di mattina; scaduto il
termine, nessuno ne avrebbe più avuto la facoltà.
Disprezzarono i nostri a tal punto, che alcuni dei loro
cominciarono a smantellare il vallo con le mani, altri a
riempire i fossati, perché non ritenevano possibile
un'irruzione dalle porte, ostruite per finta da una sola fila
di zolle. Allora Cesare, con una sortita da tutte le porte,
lancia la cavalleria alla carica e mette in fuga gli avversari,
senza che neppure uno riuscisse a combattere e resistere:
ne uccide molti, li costringe tutti a gettare le armi.
LII
Longius prosequi veritus, quod silvae paludesque
intercedebant neque etiam parvulo detrimento illorum
locum relinqui videbat, omnibus suis incolumibus copiis
eodem die ad Ciceronem pervenit. Institutas turres,
testudines munitionesque hostium admiratur; legione
producta cognoscit non decimum quemque esse
reliquum militem sine vulnere: ex his omnibus iudicat
rebus, quanto cum periculo et quanta cum virtute res sint
administratae. Ciceronem pro eius merito legionemque
collaudat; centuriones singillatim tribunosquc militum
appellat, quorum egregiam fuisse virtutem testimonio
Ciceronis cognoverat. De casu Sabini et Cottae certius
ex captivis cognoscit. Postero die contione habita rem
gestam proponit, milites consolatur et confirmat: quod
Cesare ritenne rischioso spingersi troppo in là, perché si
frapponevano selve e paludi, e si rendeva conto che non
c'era modo di infliggere agli avversari il benché minimo
danno. Così, quel giorno stesso, senza nessuna perdita,
raggiunge Cicerone. Qui, con stupore, vede le torri
costruite, le testuggini e le fortificazioni dei nemici;
quando la legione viene schierata, si rende conto che
neanche un soldato su dieci è illeso; da tutti questi
elementi giudica con quanto pericolo e con quale valore
sia stata affrontata la situazione: loda pubblicamente per i
suoi meriti Cicerone e i soldati, chiama individualmente i
centurioni e i tribuni militari che - lo sapeva per
testimonianza di Cicerone - si erano distinti per singolare
valore. Dai prigionieri apprende altri particolari sulla fine
detrimentum culpa et temeritate legati sit acceptum, hoc
aequiore animo ferendum docet, quod beneficio deorum
immortalium et virtute eorum expiato incommodo neque
hostibus diutina laetatio neque ipsis longior dolor
relinquatur.
di Sabino e Cotta. Il giorno seguente riunisce le truppe,
descrive l'accaduto, ma rincuora e rassicura i soldati;
spiega che il rovescio, subito per colpa e imprudenza di un
legato, doveva essere sopportato con animo tanto più
sereno, in quanto, per beneficio degli dèi immortali e per
il loro valore, il disastro era stato vendicato; la gioia dei
nemici era stata breve, quindi il loro dolore non doveva
durare troppo a lungo.
LIII
Interim ad Labienum per Remos incredibili celeritate de
victoria Caesaris fama perfertur, ut, cum ab hibernis
Ciceronis milia passuum abesset circiter LX, eoque post
horam nonam diei Caesar pervenisset, ante mediam
noctem ad portas castrorum clamor oreretur, quo
clamore significatio victoriae gratulatioque ab Remis
Labieno fieret. Hac fama ad Treveros perlata
Indutiomarus, qui postero die castra Labieni oppugnare
decreverat, noctu profugit copiasque omnes in Treveros
reducit. Caesar Fabium cum sua legione remittit in
hiberna, ipse cum tribus legionibus circum
Samarobrivam trinis hibernis hiemare constituit et, quod
tanti motus Galliae exstiterant, totam hiemem ipse ad
exercitum manere decrevit. Nam illo incommodo de
Sabini morte perlato omnes fere Galliae civitates de
bello consultabant, nuntios legationesque in omnes
partes dimittebant et quid reliqui consili caperent atque
unde initium belli fieret explorabant nocturnaque in locis
desertis concilia habebant. Neque ullum fere totius
hiemis tempus sine sollicitudine Caesaris intercessit,
quin aliquem de consiliis ac motu Gallorum nuntium
acciperet. In his ab Lucio Roscio, quem legioni tertiae
decimae praefecerat, certior factus est magnas Gallorum
copias earum civitatum, quae Armoricae appellantur,
oppugnandi sui causa convenisse neque longius milia
passuum octo ab hibernis suis afuisse, sed nuntio allato
de victoria Caesaris discessisse, adeo ut fugae similis
discessus videretur.
Nello stesso tempo, i Remi recano a Labieno la notizia
della vittoria di Cesare, con incredibile rapidità. Infatti,
sebbene il campo di Cicerone, dove Cesare era giunto
dopo le tre di pomeriggio, distasse circa sessanta miglia
dall'accampamento di Labieno, qui, prima di mezzanotte,
si levò clamore alle porte: erano le grida dei Remi in
segno di vittoria e di congratulazione. Il fatto viene
riferito anche ai Treveri; Induziomaro, che aveva già
fissato per l'indomani l'assedio al campo di Labieno, di
notte fugge e riconduce tutte le sue truppe nella regione
dei Treveri. Cesare ordina a Fabio di rientrare con la sua
legione all'accampamento invernale; dal canto suo, fissa
tre quartieri d'inverno, separati, tutt'intorno a Samarobriva
e decide, date le numerose sollevazioni verificatesi in
Gallia, di rimanere personalmente con l'esercito per tutto
l'inverno. Infatti, una volta diffusasi la notizia della
sconfitta e della morte di Sabino, quasi tutti i popoli della
Gallia si consultavano sulla guerra, inviavano messi in
tutte le direzioni, s'informavano sulle decisioni degli altri
e da dove sarebbe partita l'insurrezione, tenevano concili
notturni in zone deserte. Per tutto l'inverno, non ci fu per
Cesare un momento tranquillo: riceveva di continuo
notizie sui progetti e la ribellione dei Galli. Tra l'altro, L.
Roscio, preposto alla tredicesima legione, lo informò che
ingenti truppe galliche delle popolazioni chiamate
aremoriche, si erano radunate con l'intenzione di
assediarlo ed erano a non più di otto miglia dal suo
campo, ma, alla notizia della vittoria di Cesare, si erano
allontanate con una rapidità tale, che la loro partenza era
sembrata piuttosto una fuga.
LIV
At Caesar principibus cuiusque civitatis ad se evocatis
alias territando, cum se scire quae fierent denuntiaret,
alias cohortando magnam partem Galliae in officio
tenuit. Tamen Senones, quae est civitas in primis firma
et magnae inter Gallos auctoritatis, Cavarinum, quem
Caesar apud eos regem constituerat, cuius frater
Moritasgus adventu in Galliam Caesaris cuiusque
maiores regnum obtinuerant, interficere publico consilio
conati, cum ille praesensisset ac profugisset, usque ad
fines insecuti regno domoque expulerunt et, missis ad
Caesarem satisfaciendi causa legatis, cum is omnem ad
se senatum venire iussisset, dicto audientes non fuerunt.
Tantum apud homines barbaros valuit esse aliquos
repertos principes inferendi belli tantamque omnibus
voluntatum commutationem attulit, ut praeter Aeduos et
Remos, quos praecipuo semper honore Caesar habuit,
alteros pro vetere ac perpetua erga populum Romanum
Cesare, allora, convocò i principi di ciascun popolo, e ora
col timore precisando di essere al corrente di quanto
accadeva, ora con la persuasione, indusse la maggior parte
delle genti galliche al rispetto degli impegni assunti.
Tuttavia i Senoni, tra i più forti e autorevoli in Gallia, a
seguito di decisione pubblica, tentarono di eliminare
Cavarino, che Cesare aveva designato loro sovrano (e già
erano stati re suo fratello Moritasgo, all'epoca dell'arrivo
di Cesare in Gallia, e i suoi avi). Cavarino ne presagì le
intenzioni e fuggì; i suoi avversari gli diedero la caccia
sino al confine e lo bandirono dal trono e dal paese. In
seguito, inviarono a Cesare un'ambasceria per discolparsi:
egli comandò che tutti i senatori si presentassero da lui,
ma il suo ordine venne disatteso. A quegli uomini barbari
bastò che ci fossero dei fautori della guerra: in tutti si
verificò un tale mutamento di propositi, che quasi nessun
popolo rimase al di sopra dei nostri sospetti, se si
fide, alteros pro recentibus Gallici belli officiis, nulla
fere civitas fuerit non suspecta nobis. Idque adeo haud
scio mirandumne sit, cum compluribus aliis de causis,
tum maxime quod ei, qui virtute belli omnibus gentibus
praeferebantur, tantum se eius opinionis deperdidisse ut
a populo Romano imperia perferrent gravissime
dolebant.
eccettuano gli Edui e i Remi, che Cesare tenne sempre in
particolare onore - i primi per l'antica e costante lealtà nei
confronti del popolo romano, i secondi per i recenti
servizi durante la guerra in Gallia. Ma non so se la cosa
sia poi tanto strana, tenendo soprattutto presente che, tra
le molte altre cause, popoli considerati superiori a tutti,
per valore militare, adesso erano profondamente afflitti
per aver perso prestigio al punto da dover sottostare al
dominio di Roma.
LV
Treveri vero atque Indutiomarus totius hiemis nullum
tempus intermiserunt, quin trans Rhenum legatos
mitterent, civitates sollicitarent, pecunias pollicerentur,
magna parte exercitus nostri interfecta multo minorem
superesse dicerent partem. Neque tamen ulli civitati
Germanorum persuaderi potuit, ut Rhenum transiret,
cum se bis expertos dicerent, Ariovisti bello et
Tencterorum transitu: non esse amplius fortunam
temptaturos. Hac spe lapsus Indutiomarus nihilo minus
copias cogere, exercere, a finitimis equos parare, exules
damnatosque tota Gallia magnis praemiis ad se allicere
coepit. Ac tantam sibi iam his rebus in Gallia
auctoritatem comparaverat ut undique ad eum legationes
concurrerent, gratiam atque amicitiam publice
privatimque peterent.
I Treveri e Induziomaro, però, per tutto l'inverno non
smisero un attimo di inviare ambascerie oltre il Reno e di
sobillare le altre genti, di promettere denaro e di sostenere
che, distrutto ormai il grosso del nostro esercito, ne
restava solo una minima parte. Ma non gli riuscì di
persuadere nessun popolo dei Germani a varcare il Reno;
affermavano di averne fatta già due volte esperienza, con
la guerra di Ariovisto e il passaggio dei Tenteri: non
avrebbero tentato ulteriormente la sorte. Caduta tale
speranza, Induziomaro cominciò lo stesso a radunare
truppe e a esercitarle, a fornirsi di cavalli dalle genti
vicine e ad attirare a sé, con grandi remunerazioni, gli
esuli e le persone condannate di tutta la Gallia. In tal
modo si era già procurato in Gallia tanta autorità, che da
ogni regione accorrevano ambascerie e gli chiedevano i
suoi favori e la sua amicizia, per l'interesse pubblico e
privato.
LVI
Vbi intellexit ultro ad se veniri, altera ex parte Senones
Carnutesque conscientia facinoris instigari, altera
Nervios Aduatucosque bellum Romanis parare, neque
sibi voluntariorum copias defore, si ex finibus suis
progredi coepisset, armatum concilium indicit. Hoc
more Gallorum est initium belli, quo lege communi
omnes puberes armati convenire consuerunt; qui ex eis
novissimus convenit, in conspectu multitudinis omnibus
cruciatibus affectus necatur. In eo concilio
Cingetorigem, alterius principem factionis, generum
suum, quem supra demonstravimus Caesaris secutum
fidem ab eo non discessisse, hostem iudicat bonaque
eius publicat. His rebus confectis, in concilio pronuntiat
arcessitum se a Senonibus et Carnutibus aliisque
compluribus Galliae civitatibus; huc iturum per fines
Remorum eorumque agros popula turum ac, priusquam
id faciat, castra Labieni oppugnaturum. Quae fieri velit
praecipit.
Induziomaro, quando si rese conto della spontaneità di tali
ambascerie e che, da un lato, i Senoni e i Carnuti erano
spinti dalla consapevolezza della propria colpa, dall'altro i
Nervi e gli Atuatuci preparavano guerra ai Romani, e,
inoltre, che non gli sarebbero mancate bande di volontari,
se si fosse mosso dai suoi territori, convoca un'assemblea
armata. È il modo con cui di solito i Galli iniziano una
guerra: per una legge comune, tutti i giovani sono costretti
a venirvi in armi; chi giunge ultimo, al cospetto di tutti
viene sottoposto a torture d'ogni sorta e ucciso. In tale
assemblea Induziomaro dichiara Cingetorige, capo della
fazione avversa e suo genero - abbiamo già ricordato che
si era messo sotto la protezione di Cesare e gli era rimasto
fedele - nemico pubblico e ne confisca le sostanze. Dopo
tali risoluzioni, nel concilio Induziomaro annuncia
solennemente di aver accolto le sollecitazioni dei Senoni,
dei Carnuti e di molte altre genti della Gallia; intende
attraversare i territori dei Remi e devastarne i campi, ma,
prima, vuole porre l'assedio al campo di Labieno.
Impartisce gli ordini da eseguire.
LVII
Labienus, cum et loci natura et manu munitissumis
castris sese teneret, de suo ac legionis periculo nihil
timebat; ne quam occasionem rei bene gerendae
dimitteret, cogitabat. Itaque a Cingetorige atque eius
propinquis oratione Indutiomari cognita, quam in
concilio habuerat, nuntios mittit ad finitimas civitates
Labieno, al riparo in un accampamento ben munito per
conformazione naturale e numero di soldati, non nutriva
timori per sé o per la legione. Tuttavia, meditava di non
lasciarsi sfuggire nessuna occasione per una bella impresa.
Così, non appena informato da Cingetorige e dai suoi
parenti del discorso di Induziomaro al concilio, Labieno
equitesque undique evocat: his certum diem conveniendi
dicit. Interim prope cotidie cum omni equitatu
Indutiomarus sub castris eius vagabatur, alias ut situm
castrorum cognosceret, alias colloquendi aut territandi
causa: equites plerumque omnes tela intra vallum
coniciebant. Labienus suos intra munitionem continebat
timorisque opinionem, quibuscumque poterat rebus,
augebat.
invia messi alle genti limitrofe e fa venire a sé da ogni
parte cavalieri: fissa la data in cui avrebbero dovuto
presentarsi. Frattanto, quasi ogni giorno Induziomaro, con
la cavalleria al completo, incrociava nei pressi
dell'accampamento, vuoi per prender visione di com'era
disposto il campo, vuoi per intavolare discorsi o suscitar
timori; i suoi cavalieri, generalmente, scagliavano frecce
all'interno del vallo. Labieno teneva i suoi entro le
fortificazioni e cercava, con ogni mezzo, di dar
l'impressione di aver paura.
LVIII
Cum maiore in dies contemptione Indutiomarus ad
castra accederet, nocte una intromissis equitibus
omnium finitimarum civitatum quos arcessendos
curaverat, tanta diligentia omnes suos custodiis intra
castra continuit, ut nulla ratione ea res enuntiari aut ad
Treveros perferri posset. Interim ex consuetudine
cotidiana Indutiomarus ad castra accedit atque ibi
magnam partem diei consumit; equites tela coniciunt et
magna cum contumelia verborum nostros ad pugnam
evocant. Nullo ab nostris dato responso, ubi visum est,
sub vesperum dispersi ac dissipati discedunt. Subito
Labienus duabus portis omnem equitatum emittit;
praecipit atque interdicit, proterritis hostibus atque in
fugam coniectis (quod fore, sicut accidit, videbat) unum
omnes peterent Indutiomarum, neu quis quem prius
vulneret, quam illum interfectum viderit, quod mora
reliquorum spatium nactum illum effugere nolebat;
magna proponit eis qui occiderint praemia; summittit
cohortes equitibus subsidio. Comprobat hominis
consilium fortuna, et cum unum omnes peterent, in ipso
fluminis vado deprehensus Indutiomarus interficitur,
caputque eius refertur in castra: redeuntes equites quos
possunt consectantur atque occidunt. Hac re cognita
omnes Eburonum et Nerviorum quae convenerant copiae
discedunt, pauloque habuit post id factum Caesar
quietiorem Galliam.
Mentre Induziomaro, di giorno in giorno, si avvicinava al
campo con maggior sicurezza, Labieno una notte fece
entrare i cavalieri richiesti a tutte le genti limitrofe; grazie
alle sentinelle, riuscì a trattenere tutti i suoi all'interno del
campo così bene, che in nessun modo la notizia poté
trapelare o giungere ai Treveri. Nel frattempo
Induziomaro, come ogni giorno, si avvicina
all'accampamento e qui trascorre la maggior parte del
giorno: i suoi cavalieri scagliano frecce e provocano i
nostri a battaglia con ingiurie d'ogni sorta. I nostri non
rispondono e gli avversari, quando lo ritengono
opportuno, al calar della sera, si allontanano a piccoli
gruppi, disunendosi. All'improvviso Labieno, da due
porte, lancia alla carica tutta la cavalleria: dà ordine e
disposizione che, dopo aver spaventato e messo in fuga i
nemici (prevedeva che sarebbe successo, come in effetti
capitò), tutti puntino solo su Induziomaro e non
colpiscano nessun altro prima di averlo visto morto: non
voleva che, mentre si attardavano a inseguire gli altri, il
Gallo trovasse una via di scampo. Promette grandi
ricompense a chi l'avesse ucciso; invia le coorti in
appoggio ai cavalieri. La Fortuna asseconda il piano
dell'uomo: tutti si lanciano su Induziomaro, lo catturano
proprio sul guado del fiume e lo uccidono; la sua testa
viene portata all'accampamento; i cavalieri, nel rientrare,
inseguono e massacrano quanti più nemici possono. Avute
queste notizie, tutte le truppe degli Eburoni e dei Nervi,
che si erano lì concentrate, si disperdono: dopo questa
battaglia Cesare riuscì a tenere un po' più tranquilla la
Gallia.
Cesare - De Bello Gallico
Libro VI
I
Multis de causis Caesar maiorem Galliae motum
exspectans per Marcum Silanum, Gaium Antistium
Reginum, Titum Sextium legatos dilectum habere
instituit; simul ab Gnaeo Pompeio proconsule petit,
quoniam ipse ad urbem cum imperio rei publicae causa
remaneret, quos ex Cisalpina Gallia consulis sacramento
rogavisset, ad signa convenire et ad se proficisci iuberet,
Per molte ragioni Cesare si attendeva una più grave
sollevazione della Gallia, perciò decide di operare un
reclutamento mediante i suoi legati M. Silano, C.
Antistio Regino e T. Sestio. Al tempo stesso, al
proconsole Cn. Pompeo, rimasto nelle vicinanze di
Roma con un comando militare per il bene dello stato,
chiede di radunare e inviargli i soldati che aveva già
magni interesse etiam in reliquum tempus ad opinionem
Galliae existimans tantas videri Italiae facultates ut, si
quid esset in bello detrimenti acceptum, non modo id
brevi tempore sarciri, sed etiam maioribus augeri copiis
posset. Quod cum Pompeius et rei publicae et amicitiae
tribuisset, celeriter confecto per suos dilectu tribus ante
exactam hiemem et constitutis et adductis legionibus
duplicatoque earum cohortium numero, quas cum
Quinto Titurio amiserat, et celeritate et copiis docuit,
quid populi Romani disciplina atque opes possent.
arruolato e fatto giurare nella Gallia cisalpina quand'era
console. Al fine di mantenere il buon concetto che i
Galli avevano di noi, riteneva estremamente importante,
anche per il futuro, che vedessero quali erano le risorse
dell'Italia: i Romani, se anche subivano un rovescio in
guerra, erano in grado non solo di rimediare in poco
tempo alle perdite, ma addirittura di aumentare il
numero degli effettivi. Pompeo, sia nell'interesse
pubblico, sia per ragioni di amicizia, acconsentì.
Completato con celerità l'arruolamento tramite i legati,
prima della fine dell'inverno vennero formate tre legioni
e condotte in Gallia. Cesare raddoppiò, così, il numero
delle coorti rispetto a quelle perse con Q. Titurio e,
grazie alla rapidità e all'entità del reclutamento, dimostrò
di che cosa fossero capaci l'organizzazione e i mezzi di
Roma.
II
Interfecto Indutiomaro, ut docuimus, ad eius propinquos
a Treveris imperium defertur. Illi finitimos Germanos
sollicitare et pecuniam polliceri non desistunt. Cum ab
proximis impetrare non possent, ulteriores temptant.
Inventis nonnullis civitatibus iureiurando inter se
confirmant obsidibusque de pecunia cavent:
Ambiorigem sibi societate et foedere adiungunt. Quibus
rebus cognitis Caesar, cum undique bellum parari
videret, Nervios, Aduatucos ac Menapios adiunctis
Cisrhenanis omnibus Germanis esse in armis, Senones
ad imperatum non venire et cum Carnutibus finitimisque
civitatibus consilia communicare, a Treveris Germanos
crebris legationibus sollicitari, maturius sibi de bello
cogitandum putavit.
Dopo l'uccisione di Induziomaro, come abbiamo
descritto, i Treveri affidano il comando ai suoi parenti,
che non desistono dal sobillare i Germani limitrofi,
promettendo denaro. Non avendo ottenuto risultato con i
Germani vicini, tentano con i più lontani. Trovate alcune
genti disposte all'azione, a esse si vincolano con
giuramento solenne; quanto al denaro, garantiscono con
ostaggi. Accolgono nella loro lega e patto Ambiorige.
Informato di ciò, Cesare si accorse che, ovunque, erano
in corso preparativi di guerra: i Nervi, gli Atuatuci, i
Menapi erano in armi, uniti a tutti i Germani stanziati al
di qua del Reno; i Senoni non rispondevano alle
convocazioni e si accordavano con i Carnuti e i popoli
limitrofi; i Treveri facevano pressione sui Germani con
frequenti ambascerie. Quindi, ritenne di dover pensare
alla guerra più presto del solito.
III
Itaque nondum hieme confecta proximis quattuor coactis
legionibus de improviso in fines Nerviorum contendit et,
priusquam illi aut convenire aut profugere possent,
magno pecoris atque hominum numero capto atque ea
praeda militibus concessa vastatisque agris in
deditionem venire atque obsides sibi dare coegit. Eo
celeriter confecto negotio rursus in hiberna legiones
reduxit. Concilio Galliae primo vere, ut instituerat,
indicto, cum reliqui praeter Senones, Carnutes
Treverosque venissent, initium belli ac defectionis hoc
esse arbitratus, ut omnia postponere videretur, concilium
Lutetiam Parisiorum transfert. Confines erant hi
Senonibus civitatemque patrum memoria coniunxerant,
sed ab hoc consilio afuisse existimabantur. Hac re pro
suggestu pronuntiata eodem die cum legionibus in
Senones proficiscitur magnisque itineribus eo pervenit.
Perciò, prima ancora della fine dell'inverno, radunò le
quattro legioni più vicine e, inatteso, puntò sui territori
dei Nervi: non lasciò ai nemici il tempo di accorrere o
fuggire e, catturati molti capi di bestiame e uomini, che
concesse come preda ai soldati, devastò i campi e
costrinse i Nervi alla resa e alla consegna di ostaggi.
Terminate con rapidità le operazioni, ricondusse le
legioni negli accampamenti invernali. Indetto, secondo il
solito, un concilio della Gallia per l'inizio della
primavera, si presentarono tutti, tranne i Senoni, i
Carnuti e i Treveri. Cesare lo considera segno dell'inizio
delle ostilità e della ribellione e, per dimostrare che
metteva in secondo piano ogni altro problema,
trasferisce il concilio a Lutezia, città dei Parisi. Costoro
confinavano con i Senoni e a essi si erano uniti all'epoca
dei nostri padri, ma non prendevano parte, si riteneva, al
piano di sollevazione. Comunicato dalla tribuna il
cambiamento di sede, il giorno stesso si dirige, con le
legioni, verso le terre dei Senoni, dove giunge a marce
forzate.
IV
Cognito eius adventu Acco, qui princeps eius consili
fuerat, iubet in oppida multitudinem convenire.
Conantibus, priusquam id effici posset, adesse Romanos
nuntiatur. Necessario sententia desistunt legatosque
deprecandi causa ad Caesarem mittunt: adeunt per
Aeduos, quorum antiquitus erat in fide civitas. Libenter
Caesar petentibus Aeduis dat veniam excusationemque
accipit, quod aestivum tempus instantis belli, non
quaestionis esse arbitrabatur. Obsidibus imperatis
centum hos Aeduis custodiendos tradit. Eodem Carnutes
legatos obsidesque mittunt usi deprecatoribus Renis,
quorum erant in clientela: eadem ferunt responsa.
Peragit concilium Caesar equitesque imperat civitatibus.
Saputo del suo arrivo, Accone, responsabile del piano,
ordina alla popolazione di rifugiarsi nelle città. Mentre il
tentativo era in corso, prima che le operazioni fossero
ultimate, viene annunziato che i Romani sono giunti. I
Senoni sono costretti a rinunciare ai loro propositi e
inviano un'ambasceria a Cesare per scongiurarne il
perdono: inoltrano la supplica attraverso gli Edui, che da
antico tempo li tutelavano. Dal momento che la richiesta
veniva dagli Edui, Cesare concede volentieri il perdono
e accetta le giustificazioni, ritenendo che quell'estate
fosse la stagione di una guerra imminente, e non dei
processi. Esige cento ostaggi e li affida alla custodia
degli Edui. Anche i Carnuti gli inviano messi e ostaggi,
avvalendosi dell'intercessione dei Remi, di cui erano
clienti: ottengono la stessa risposta. Cesare chiude il
concilio e impone alle genti galliche di fornirgli
cavalieri.
V
Hac parte Galliae pacata totus et mente et animo in
bellum Treverorum et Ambiorigis insistit. Cavarinum
cum equitatu Senonum secum proficisci iubet, ne quis
aut ex huius iracundia aut ex eo, quod meruerat, odio
civitatis motus exsistat. His rebus constitutis, quod pro
explorato habebat Ambiorigem proelio non esse
concertaturum, reliqua eius consilia animo
circumspiciebat. Erant Menapii propinqui Eburonum
finibus, perpetuis paludibus silvisque muniti, qui uni ex
Gallia de pace ad Caesarem legatos numquam miserant.
Cum his esse hospitium Ambiorigi sciebat; item per
Treveros venisse Germanis in amicitiam cognoverat.
Haec prius illi detrahenda auxilia existimabat quam
ipsum bello lacesseret, ne desperata salute aut se in
Menapios abderet aut cum Transrhenanis congredi
cogeretur. Hoc inito consilio totius exercitus
impedimenta ad Labienum in Treveros mittit duasque
legiones ad eum proficisci iubet; ipse cum legionibus
expeditis quinque in Menapios proficiscitur. Illi nulla
coacta manu loci praesidio freti in silvas paludesque
confugiunt suaque eodem conferunt.
Pacificata questa zona della Gallia, Cesare impegna
mente e animo, totalmente, nella guerra contro i Treveri
e Ambiorige. Ordina a Cavarino di assumere il comando
della cavalleria dei Senoni e di seguirlo, per evitare
sedizioni dovute al carattere iracondo del Gallo oppure
all'odio che costui si era meritato da parte della sua
gente. Prese tali decisioni, Cesare, sapendo per certo che
Ambiorige non si sarebbe misurato in uno scontro
aperto, cercava di scoprire quali altre soluzioni
rimanessero all'avversario. Con gli Eburoni confinavano
i Menapi, protetti da sterminate paludi e selve, l'unico
popolo della Gallia a non aver mai inviato messi a
Cesare per trattare la pace. Cesare conosceva i vincoli di
ospitalità tra Ambiorige e i Menapi ed era pure al
corrente che, tramite i Treveri, il Gallo aveva stretto
rapporti d'alleanza con i Germani. Stimava necessario
sottrargli ogni appoggio, piuttosto che provocarlo a
battaglia: non voleva che Ambiorige, sentendosi
perduto, fosse costretto a rifugiarsi nelle terre dei
Menapi o a unirsi ai Germani d'oltre Reno. Con questa
intenzione invia a Labieno, nel paese dei Treveri, tutte le
salmerie dell'esercito e dà ordine a due legioni di
raggiungerlo. Dal canto suo, con cinque legioni senza
bagagli marcia sui Menapi. Costoro, senza neppure
radunare truppe, confidando nelle sole difese naturali del
luogo, si rifugiano nelle selve e nelle paludi,
ammassandovi tutti i loro beni.
VI
Caesar partitis copiis cum Gaio Fabio legato et Marco
Crasso quaestore celeriterque effectis pontibus adit
tripertito, aedificia vicosque incendit, magno pecoris
atque hominum numero potitur. Quibus rebus coacti
Menapii legatos ad eum pacis petendae causa mittunt.
Ille obsidibus acceptis hostium se habiturum numero
confirmat, si aut Ambiorigem aut eius legatos finibus
suis recepissent. His confirmatis rebus Commium
Atrebatem cum equitatu custodis loco in Menapiis
Cesare divide le truppe con il legato C. Fabio e il
questore M. Crasso, costruisce con rapidità ponti sulle
paludi e avanza su tre fronti: incendia gli edifici isolati e
i villaggi, cattura un gran numero di capi di bestiame e
di uomini. I Menapi, nella morsa della necessità, gli
inviano ambasciatori per chiedere pace. Cesare riceve
gli ostaggi e dichiara che, se avessero accolto nei loro
territori Ambiorige o suoi emissari, li avrebbe
considerati nemici. Sistemata la questione, lascia tra i
relinquit; ipse in Treveros proficiscitur.
Menapi, a sorvegliare la regione, l'atrebate Commio con
la cavalleria e punta contro i Treveri.
VII - Tutti attendono i rinforzi
Dum haec a Caesare geruntur, Treveri magnis coactis
peditatus equitatusque copiis Labienum cum una
legione, quae in eorum finibus hiemaverat, adoriri
parabant, iamque ab eo non longius bidui via aberant,
cum duas venisse legiones missu Caesaris cognoscunt.
Positis castris a milibus passuum XV auxilia
Germanorum esspectare constituunt. Labienus hostium
cognito consilio sperans temeritate eorum fore aliquam
dimicandi facultatem praesidio quinque cohortium
impedimentis relicto cum viginti quinque cohortibus
magnoque equitatu contra hostem proficiscitur et mille
passuum intermisso spatio castra communit. Erat inter
Labienum atque hostem difficili transitu flumen ripisque
praeruptis. Hoc neque ipse transire habebat in animo
neque hostes transituros existi mabat. Augebatur
auxiliorum cotidie spes. Loquitur in concilio palam,
quoniam Germani appropinquare dicantur, sese suas
exercitusque fortunas in dubium non devocaturum et
postero die prima luce castra moturum. Celeriter haec ad
hostes deferuntur, ut ex magno Gallorum equitum
numero nonnullos Gallicis rebus favere natura cogebat.
Labienus noctu tribunis militum primisque ordinibus
convocatis, quid sui sit consili proponit et, quo facilius
hostibus timoris det suspicionem, maiore strepitu et
tumultu, quam populi Romani fert consuetudo castra
moveri iubet. His rebus fugae similem profectionem
effecit. Haec quoque per exploratores ante lucem in
tanta propinquitate castrorum ad hostes deferuntur.
Mentre queste cose erano portate avanti da Cesare, i
Treviri, raccolte grandi truppe di fanteria e di cavalleria
si preparavanto ad attaccare Labieno insieme alla
legione che aveva svernato nel loro territorio; e già
erano distanti da lui non più di due giorni di strada
quando vengono a sapere che sono giunte due legioni
inviate da Cesare. Messi gli accampamenti a
quindicimila passi stabiliscono di aspettare l'aiuto dei
Germani. Labieno, conosciuto il piano dei nemici,
sperando che ci fosse una qualche possibilità di
combattere a causa della loro temerità, lasciato un
presidio di cinque coorti per le vettovaglie, avanza
contro il nemico con venticinque corti e con una grande
cavalleria e, lasciato uno spazio di mille passi, rafforza
l'accampamento. Vi era tra Labieno e il nemico un fiume
di difficile attraversamento e dalle ripe scoscese. Questi
non aveva in animo di attraversare questo fiume né si
aspettava che lo avrebbero attraversato i nemici. Le
speranze degli aiuti aumentavano ogni giorno. Disse
apertamente nel consiglio che, poiché si diceva che i
Germani si stavano avvicinando, non avrebbe messo in
pericolo il destino suo e dell'esercito, e il giorno dopo,
alle prime luci, avrebbe spostato l'accampamento.
Rapidamente queste (parole) sono portate al nemico,
dato che nel grande numero di cavalieri galli l'indole
costringeva parecchi a favorire gli affari gallici.
Labieno, convocate nottetempo i tribuni dei soldati e i
principali centurioni, stabilisce quale sia la sua decisione
e per dare più facilmente ai nemici il sospetto della
paura, ordina che l'accampamento sia spostato con
maggior rumore e confusione di quanto sia l'abitudine
del popolo romano. Con queste cose rese la partenza
simile a una fuga. Anche queste cose sono riferite al
nemico attraverso esploratori prima dell'alba per la così
grande vicinanza dell'accampamento.
VIII
Vix agmen novissimum extra munitiones processerat,
cum Galli cohortati inter se, ne speratam praedam ex
manibus dimitterent--longum esse per territis Romanis
Germanorum auxilium exspectare, neque suam pati
dignitatem ut tantis copiis tam exiguam manum
praesertim fugientem atque impeditam adoriri non
audeant--flumen transire et iniquo loco committere
proelium non dubitant. Quae fore suspicatus Labienus,
ut omnes citra flumen eliceret, eadem usus simulatione
itineris placide progrediebatur. Tum praemissis paulum
impedimentis atque in tumulo quodam collocatis
"Habetis," inquit, "milites, quam petistis facultatem:
hostem impedito atque iniquo loco tenetis: praestate
eandem nobis ducibus virtutem, quam saepe numero
imperatori praestitistis, atque illum adesse et haec coram
cernere existimate." Simul signa ad hostem converti
aciemque dirigi iubet, et paucis turmis praesidio ad
impedimenta dimissis reliquos equites ad latera disponit.
La retroguardia era appena uscita dalle fortificazioni,
che i Galli si spronano a vicenda a non lasciarsi sfuggire
dalle mani la preda sperata: sarebbe stato troppo lungo,
con i Romani atterriti, aspettare i rinforzi dei Germani;
per la loro dignità era inammissibile, numerosi
com'erano, non osare l'attacco a un reparto nemico così
esiguo e, oltretutto, in fuga e carico di bagagli. Così, non
esitano a varcare il fiume e a venire a battaglia in
posizione di svantaggio. Labieno, avendo previsto ogni
mossa, allo scopo di attirare tutti i nemici al di qua del
fiume continuava nella sua finzione e proseguiva la
marcia, lentamente. Poi, inviate le salmerie un po' più
avanti e avendole disposte su di un rialzo, disse:
"Soldati, avete l'occasione che vi auguravate: tenete in
pugno il nemico, in un luogo malagevole e per loro
svantaggioso; date prova, adesso, sotto la nostra guida,
dello stesso valore che più di una volta avete dimostrato
al comandante in capo, fate conto che lui sia qui e che
Celeriter nostri clamore sublato pila in hostes immittunt.
Illi, ubi praeter spem quos fugere credebant infestis
signis ad se ire viderunt, impetum modo ferre non
potuerunt ac primo concursu in fugam coniecti proximas
silvas petierunt. Quos Labienus equitatu consectatus,
magno numero interfecto, compluribus captis, paucis
post diebus civitatem recepit. Nam Germani qui auxilio
veniebant percepta Treverorum fuga sese domum
receperunt. Cum his propinqui Indutiomari, qui
defectionis auctores fuerant, comitati eos ex civitate
excesserunt. Cingetorigi, quem ab initio permansisse in
officio demonstravimus, principatus atque imperium est
traditum.
assista allo scontro di persona". Contemporaneamente
ordina di volgere le insegne contro il nemico e di
formare la linea di battaglia, invia pochi squadroni a
presidio delle salmerie e dispone il resto della cavalleria
sulle ali. I nostri rapidamente, tra alte grida, scagliano i
giavellotti sui nemici. Costoro, quando contro ogni
aspettativa videro i Romani volgere le insegne e
avanzare, mentre li credevano già in fuga, non riuscirono
neanche a sostenerne l'urto: al primo assalto batterono in
ritirata e cercarono rifugio nelle selve più vicine.
Labieno li inseguì con la cavalleria, ne uccise molti e ne
fece prigionieri parecchi: pochi giorni dopo i Treveri si
arresero. Infatti, i Germani, che venivano in loro aiuto,
avuta notizia della fuga dei Treveri, rientrarono in
patria. Al loro seguito lasciarono il paese i parenti di
Induziomaro, che avevano istigato alla defezione. A
Cingetorige, rimasto fedele fin dall'inizio, come abbiamo
ricordato, fu conferito il principato e il comando.
IX
Caesar, postquam ex Menapiis in Treveros venit, duabus
de causis Rhenum transire constituit; quarum una erat,
quod auxilia contra se Treveris miserant, altera, ne ad
eos Ambiorix receptum haberet. His constitutis rebus
paulum supra eum locum quo ante exercitum traduxerat
facere pontem instituit. Nota atque instituta ratione
magno militum studio paucis diebus opus efficitur.
Firmo in Treveris ad pontem praesidio relicto, ne quis
ab his subito motus oreretur, reliquas copias
equitatumque traducit. Vbii, qui ante obsides dederant
atque in deditionem venerant, purgandi sui causa ad eum
legatos mittunt, qui doceant neque auxilia ex sua civitate
in Treveros missa neque ab se fidem laesam: petunt
atque orant ut sibi parcat, ne communi odio
Germanorum innocentes pro nocentibus poenas pendant;
si amplius obsidum vellet, dare pollicentur. Cognita
Caesar causa reperit ab Suebis auxilia missa esse;
Vbiorum satisfactionem accipit, aditus viasque in
Suebos perquirit.
Cesare, appena giunto dalle terre dei Menapi nella
regione dei Treveri, decise di varcare il Reno per due
motivi: primo, i Germani avevano mandato aiuti ai
Treveri contro di lui; secondo, non voleva che
Ambiorige trovasse rifugio presso di loro. Presa tale
decisione, comincia a costruire un ponte poco più a nord
del luogo in cui, in passato, l'esercito aveva varcato il
fiume. Essendo la maniera di fabbricarlo già nota e
sperimentata, l'opera viene realizzata in pochi giorni
grazie al grande impegno dei soldati. A un capo del
ponte, nelle terre dei Treveri, per impedirne
un'improvvisa sollevazione, lascia un saldo presidio e
guida, sull'altra riva, il resto delle truppe e la cavalleria.
Gli Ubi, che in precedenza avevano consegnato ostaggi
e si erano sottomessi, inviano a Cesare un'ambasceria
per discolparsi: non avevano inviato rinforzi ai Treveri,
né violato i patti. Gli chiedono, lo scongiurano di
risparmiarli, di non accomunarli ai Germani nel suo
odio, perché non volevano, innocenti, pagare per chi
innocente non era; se chiedeva altri ostaggi, erano pronti
a consegnarli. Cesare, fatta luce sull'accaduto, scopre
che i rinforzi erano stati inviati dagli Svevi. Accetta le
spiegazioni degli Ubi, si informa in modo dettagliato
sulle vie d'accesso alle terre degli Svevi.
X
Interim paucis post diebus fit ab Vbiis certior Suebos
omnes in unum locum copias cogere atque eis nationibus
quae sub eorum sint imperio denuntiare, ut auxilia
peditatus equitatusque mittant. His cognitis rebus rem
frumentariam providet, castris idoneum locum deligit;
Vbiis imperat ut pecora deducant suaque omnia ex agris
in oppida conferant, sperans barbaros atque imperitos
homines inopia cibariorum adductos ad iniquam
pugnandi condicionem posse deduci; mandat, ut crebros
exploratores in Suebos mittant quaeque apud eos
gerantur cognoscant. Illi imperata faciunt et paucis
diebus intermissis referunt: Suebos omnes, posteaquam
certiores nuntii de exercitu Romanorum venerint, cum
Intanto, pochi giorni dopo, gli Ubi lo avvertono che gli
Svevi stavano concentrando tutte le truppe in un solo
luogo e che imponevano ai popoli sottomessi l'invio di
rinforzi di fanteria e cavalleria. Saputo ciò, Cesare
provvede alle scorte di grano, sceglie un luogo adatto
all'accampamento e ordina agli Ubi di portar via i capi
di bestiame e di ammassare ogni bene dalle campagne
nelle città. Sperava che i nemici, barbari e inesperti
com'erano, si lasciassero indurre ad accettare lo scontro
anche in posizione di svantaggio, costretti a ciò dalla
mancanza di viveri. Incarica gli Ubi di inviare molti
esploratori nelle zone degli Svevi per spiarne le mosse.
Gli Ubi eseguono gli ordini e, pochi giorni dopo,
omnibus suis sociorumque copiis, quas coegissent,
penitus ad extremos fines se recepisse: silvam esse ibi
infinita magnitudine, quae appellatur Bacenis; hanc
longe introrsus pertinere et pro nativo muro obiectam
Cheruscos ab Suebis Suebosque ab Cheruscis iniuriis
incursionibusque prohibere: ad eius initium silvae
Suebos adventum Romanorum exspectare constituisse.
riferiscono: tutti gli Svevi, avute notizie più sicure
sull'esercito dei Romani, si erano ritirati lontano, nei
loro territori più remoti, con tutte le truppe e i
contingenti alleati da essi raccolti; lì si trovava una
foresta sterminata, di nome Bacenis, che si estendeva
profonda verso l'interno e formava una sorta di barriera
naturale tra i Cherusci e gli Svevi, impedendo agli uni e
agli altri violenze e incursioni: sul limitare della foresta
gli Svevi avevano deciso di attendere l'arrivo dei
Romani.
XI - L'organizzazione sociale dei Galli
Quoniam ad hunc locum perventum est, non alienum
esse videtur de Galliae Germaniaeque moribus et quo
differant hae nationes inter sese proponere. In Gallia non
solum in omnibus civitatibus atque in omnibus pagis
partibusque, sed paene etiam in singulis domibus
factiones sunt, earumque factionum principes sunt qui
summam auctoritatem eorum iudicio habere
existimantur, quorum ad arbitrium iudiciumque summa
omnium rerum consiliorumque redeat. Itaque eius rei
causa antiquitus institutum videtur, ne quis ex plebe
contra potentio rem auxili egeret: suos enim quisque
opprimi et circumveniri non patitur, neque, aliter si
faciat, ullam inter suos habet auctoritatem. Haec eadem
ratio est in summa totius Galliae: namque omnes
civitates in partes divisae sunt duas.
Poiché si è giunti a questo punto della narrazione non
sembra che sia inopportuno parlare dei costumi della
Gallia e della Germania e in che cosa differiscono queste
popolazioni fra loro. In Gallia esistono fazioni non solo
in tutte le città, villaggi e cantoni, ma anche quasi in
ogni casa, e di queste fazioni sono i capi coloro che a
loro giudizio si stima che abbiano la massima autorità, al
cui giudizio e arbitrio è affidato il sommo potere
decisionale. E sembra che ciò sia stato stabilito
anticamente a questo scopo, affinché nessuno fra la
plebe fosse privo di difese contro i più potenti: infatti
nessuno sopporta che i suoi vengano oppressi e
sopraffatti e non avrebbe nessuna autorità fra i suoi se
agisse diversamente. Questo regime è lo stesso in tutta
quanta la Gallia: ed infatti tutte le città sono divise in
due partiti.
XII - Situazione politica
Cum Caesar in Galliam venit, alterius factionis principes
erant Aedui, alterius Sequani. Hi cum per se minus
valerent, quod summa auctoritas antiquitus erat in
Aeduis magnaeque eorum erant clientelae, Germanos
atque Ariovistum sibi adiunxerant eosque ad se magnis
iacturis pollicitationibusque perduxerant. Proeliis vero
compluribus factis secundis atque omni nobilitate
Aeduorum interfecta tantum potentia antecesserant, ut
magnam partem clientium ab Aeduis ad se traducerent
obsidesque ab eis principum filios acciperent et publice
iurare cogerent nihil se contra Sequanos consili inituros
et partem finitimi agri per vim occupatam possiderent
Galliaeque totius principatum obtinerent. Qua
necessitate adductus Diviciacus auxili petendi causa
Romam ad senatum profectus infecta re redierat.
Adventu Caesaris facta commutatione rerum, obsidibus
Aeduis redditis, veteribus clientelis restitutis, novis per
Caesarem comparatis, quod hi, qui se ad eorum
amicitiam adgregaverant, meliore condicione atque
aequiore imperio se uti videbant, reliquis rebus eorum
gratia dignitateque amplificata Sequani principatum
dimiserant. In eorum locum Remi successerant: quos
quod adaequare apud Caesarem gratia intellegebatur, ei,
qui propter veteres inimicitias nullo modo cum Aeduis
coniungi poterant, se Remis in clientelam dicabant. Hos
illi diligenter tuebantur: ita et novam et repente
collectam auctoritatem tene bant. Eo tum statu res erat,
ut longe principes haberentur Aedui, secundum locum
dignitatis Remi obtinerent.
Quando Cesare arrivò in Gallia, i leader di una fazione
erano i gli Edui, dell'altra i Sequani. Questi, valendo
meno da soli, poiché il sommo potere fin dall'antichità
era in mano agli Edui, e grandi erano le loro clientele,
avevano attirato a sé i Germani ed Ariovisto e li avevno
legati a sé con grandi sacrifici e promesse. In seguito,
combattute molte battaglie di esito positivo e sterminata
tutta la nobiltà degli Edui; li avevano superati così tanto
in potenza che attrassero a sé gran parte delle clientele
degli Edui e da questi ricevettero come ostaggi i figli dei
capi e li costrinsero a giurare pubblicamente che non
avrebbero preso nessuna decisione contro i Sequani e
possedevano parte del territorio confinante , occupato
con la violenza, e mantenevano l'egemonia su tutta la
Gallia. E Diviziaco,spinto da questa necessità, recatosi a
Roma per chiedere aiuto al senato, ritornò senza aver
concluso nulla. Con l'arrivo di Cesare,avvenuto un
cambiamento delle cose, restituiti i prigionieri agli Edui,
restituite le vecchie clientele, acquisitene di nuove per
mezzo di Cesare, poiché questi che si sono aggregati
nell'amicizia con loro, vedevano che godevano di una
condizione migliore e di un trattamento più equo,
accresciuta la loro stima e dignità nei restanti aspetti, i
Sequani avevano perduto la leadership. Al loro posto
erano subentrati i Remi; poiché si capiva che questi
eguagliavano (gli Edui) in simpatia presso Cesare, quelli
che per vecchie inimicizie non si erano potuti in nessun
mdo unire con gli Edui, si davano in clientela ai Remi.
Quelli li proteggevano diligentemente: così
conservavano una nuova e repentinamente ottenuta
autorità. Allora lo stato delle cose era tale che gli Edui
erano ritenuti di gran lunga i leader, e i Remi avevano il
secondo posto in dignità.
XIII - Le classi sociali
In omni Gallia eorum hominum, qui aliquo sunt numero
atque honore, genera sunt duo. Nam plebes paene
servorum habetur loco, quae nihil audet per se, nullo
adhibetur consilio. Plerique, cum aut aere alieno aut
magnitudine tributorum aut iniuria potentiorum
premuntur, sese in servitutem dicant nobilibus: in hos
eadem omnia sunt iura, quae dominis in servos. Sed de
his duobus generibus alterum est druidum, alterum
equitum. Illi rebus divinis intersunt, sacrificia publica ac
privata procurant, religiones interpretantur: ad hos
magnus adulescentium numerus disciplinae causa
concurrit, magnoque hi sunt apud eos honore. Nam fere
de omnibus controversiis publicis privatisque
constituunt, et, si quod est admissum facinus, si caedes
facta, si de hereditate, de finibus controversia est, idem
decernunt, praemia poenasque constituunt; si qui aut
privatus aut populus eorum decreto non stetit, sacrificiis
interdicunt. Haec poena apud eos est gravissima. Quibus
ita est interdictum, hi numero impiorum ac sceleratorum
habentur, his omnes decedunt, aditum sermonemque
defugiunt, ne quid ex contagione incommodi accipiant,
neque his petentibus ius redditur neque honos ullus
communicatur. His autem omnibus druidibus praeest
unus, qui summam inter eos habet auctoritatem. Hoc
mortuo aut si qui ex reliquis excellit dignitate succedit,
aut, si sunt plures pares, suffragio druidum,
nonnumquam etiam armis de principatu contendunt. Hi
certo anni tempore in finibus Carnutum, quae regio
totius Galliae media habetur, considunt in loco
consecrato. Huc omnes undique, qui controversias
habent, conveniunt eorumque decretis iudiciisque
parent. Disciplina in Britannia reperta atque inde in
Galliam translata esse existimatur, et nunc, qui
diligentius eam rem cognoscere volunt, plerumque illo
discendi causa proficiscuntur.
In tutta la Gallia ci sono due classi di quegli uomini sono
tenuti in qualche conto e rispetto. Infatti la plebe, che
nulla osa di sua iniziativa, è considerata quasi alla
stregua degli schiavi, nun partecipa a nessuna decisione.
molti, essendo oppressi o dai debiti o dal peso delle
tasse o della prepotenza dei potenti, si danno schiavi ai
nobili, verso questi ogni diritto è lo stesso che i signori
(hanno) verso gli schiavi. Ma di queste due classi una è
quella dei druidi, l'altra quella dei cavalieri. Quelli
attendono alle funzioni religiose, fanno i sacrifici
pubblici e privati, risolvono le questioni religiose; da
loro accorre un gran numero di giovani per imparare, e
questi godono di grande reputazione presso quelli.
Infatti decidono quasi di ogni controversia pubblica e
privata e, se viene commesso un qualche delitto, se è
stata fatta una qualche uccisione, se c'è qualche
controversia circa l'eredità, sui confini, loro stessi
decidono e stabiliscono i risarcimenti e le punizioni; se
qualcuno, o privato o popolo, non si è sottomesso alla
loro deliberazione, lo interdicono dai sacrifici. Questa
pena presso di loro è considerata gravissima. Coloro che
sono stai interdetti, vengono considerati nel numero
degli empi e scellerati, tutti li sfuggono, sfuggono il
contatto e il discorso con loro, per non ricevere un
qualche danno dal loro contatto, né, se questi la
chiedono, viene resa giustizia né si conferisce alcun
carica politica. Ma uno solo, che ha tra loro la suprema
autorità, è superiore a tutti questi druidi. Morto questo,
o, se qualcuno fra gli altri eccelle in merito, gli succede;
o se ci sono molti uguali, si elegge con la votazione dei
druidi, e talvolta si disputano sulla suprema autorità
anche con le armi. Questi, in un periodo stabilito
dell'anno, si riuniscono nel nel territorio dei Carnuti,
regione la quale è considerata al centro di tutta la Gallia.
Qui da ogni parte convengono tutti quelli che hanno
controversie, ed ubbidiscono ai loro decreti e alle loro
deliberazioni. Si reputa che questa dottrina sia nata in
Britannia e che poi sia stata portata in Gallia, ed ora,
quelli che vogliono conoscere questa disciplina più
approfonditamente, perlopiù si recano là per impararla.
XIV - I druidi
Druides a bello abesse consuerunt neque tributa una cum
reliquis pendunt; militiae vacationem omniumque rerum
habent immunitatem. Tantis excitati praemiis et sua
sponte multi in disciplinam conveniunt et a parentibus
propinquisque mittuntur. Magnum ibi numerum versuum
ediscere dicuntur. Itaque annos nonnulli vicenos in
disciplina permanent. Neque fas esse existimant ea
litteris mandare, cum in reliquis fere rebus, publicis
privatisque rationibus Graecis litteris utantur. Id mihi
duabus de causis instituisse videntur, quod neque in
vulgum disciplinam efferri velint neque eos, qui discunt,
I druidi hanno l'abitudine di star lontani dalla guerra e
non pagano i tributi insieme agli altri, hanno l'esenzione
dal servizio militare e da ogni altra prestazione. Indotti
da così grandi privilegi, sia molti spontaneamente vanno
nella (loro) scuola, sia sono mandati da genitori e
parenti. Si dice che lì imparano a memoria un gran
numero di versi. Perciò alcuni restano nell'apprendistato
per venti anni. Né stimano che sia lecito affidare quella
dottrina alla scrittura, mentre nelle altre cose, nei conti
pubblici e privati, si servono dell'alfabeto greco. Mi
sembra che abbiano istituito ciò per due ragioni: perché
litteris confisos minus memoriae studere: quod fere
plerisque accidit, ut praesidio litterarum diligentiam in
perdiscendo ac memoriam remittant. In primis hoc
volunt persuadere, non interire animas, sed ab aliis post
mortem transire ad alios, atque hoc maxime ad virtutem
excitari putant metu mortis neglecto. Multa praeterea de
sideribus atque eorum motu, de mundi ac terrarum
magnitudine, de rerum natura, de deorum immortalium
vi ac potestate disputant et iuventuti tradunt.
non vogliono che si porti tra il popolo quella dottrina né
quelli che la imparano, fidandosi della scrittura,
esercitino di meno la memoria: poiché accade quasi alla
maggior parte, che con l'aiuto della scrittura trascuri la
volontà di apprendere e la memoria. In primo luogo
vogliono convincer(li) di ciò, e cioè che le anime non
muoiono ma dopo la morte passano dall'uno all'altro, e
pensano che ciò inciti moltissimo al valore, eliminata
ogni paura della morte. Discutono di molte cose, e
tramandano alla gioventù molte notizie sulle stelle e sul
loro moto, sulla grandezza dell'universo e della terra,
intorno alla natura, sulla potenza degli dei immortali e
sui loro poteri.
XV - I cavalieri e i loro clienti
Alterum genus est equitum. Hi, cum est usus atque
aliquod bellum incidit (quod fere ante Caesaris
adventum quotannis accidere solebat, uti aut ipsi iniurias
inferrent aut illatas propulsarent), omnes in bello
versantur, atque eorum ut quisque est genere copiisque
amplissimus, ita plurimos circum se ambactos
clientesque habet. Hanc unam gratiam potentiamque
noverunt.
La seconda classe è quella dei cavalieri. Questi, quando
c'è bisogno, o capita qualche guerra (cosa che soleva
accadere quasi ogni anno, prima dell'arrivo di Cesare, o
che portassero offesa, o le respingessero se ricevute)
tutti prendono parte alla guerra e quanto sono più potenti
per ricchezza o per stirpe, tanti più schiavi e clienti
hanno attorno a se. Conoscono solo questa distinzione e
potenza.
XVI - Superstizioni e riti crudeli dei Galli
Natio est omnis Gallorum admodum dedita religionibus,
atque ob eam causam, qui sunt adfecti gravioribus
morbis quique in proeliis periculisque versantur, aut pro
victimis homines immolant aut se immolaturos vovent
administrisque ad ea sacrificia druidibus utuntur, quod,
pro vita hominis nisi hominis vita reddatur, non posse
deorum immortalium numen placari arbitrantur,
publiceque eiusdem generis habent instituta sacrificia.
Alii immani magnitudine simulacra habent, quorum
contexta viminibus membra vivis hominibus complent;
quibus succensis circumventi flamma exanimantur
homines. Supplicia eorum qui in furto aut in latrocinio
aut aliqua noxia sint comprehensi gratiora dis
immortalibus esse arbitrantur; sed, cum eius generis
copia defecit, etiam ad innocentium supplicia
descendunt.
Tutta la popolazione dei Galli è molto dedita alle
pratiche religiose e per quella ragione, coloro che sono
colpiti da malattie troppo gravi e che si trovano in guerra
e in pericolo, o sacrificano uomini al posto delle vittime
o fanno voto che sacrificheranno se stessi e si servono
dei druidi come esecutori per quei sacrifici; poiché
pensavano che la volontà degli dei immortali non
potesse essere placata se non si paghi la vita di un uomo
al posto della vita di un uomo, e hanno stabilito a spese
pubbliche sacrifici di quel genere. Altre stirpi galliche
hanno simulacri di straordinaria grandezza, le membra
dei quali intrecciate con i vimini riempiono di uomini
vivi; ed essendo stati incendiati questi, gli uomini
avvolti dalla fiamma spirano. Credono che siano più
graditi agli dei immortali i sacrifici di coloro che sono
stati sorpresi in un furto o in un assassinio o in qualche
altro delitto; ma quando manca la disponibilità di questa
categoria ricorrono anche al sacrificio degli innocenti.
XVII - Principali divinità dei Galli
Deum maxime Mercurium colunt. Huius sunt plurima
simulacra: hunc omnium inventorem artium ferunt, hunc
viarum atque itinerum ducem, hunc ad quaestus
pecuniae mercaturasque habere vim maximam
arbitrantur. Post hunc Apollinem et Martem et Iovem et
Minervam. De his eandem fere, quam reliquae gentes,
habent opinionem: Apollinem morbos depellere,
Minervam operum atque artificiorum initia tradere,
Iovem imperium caelestium tenere, Martem bella regere.
Huic, cum proelio dimicare constituerunt, ea quae bello
ceperint plerumque devovent: cum superaverunt,
animalia capta immolant reliquasque res in unum locum
conferunt. Multis in civitatibus harum rerum exstructos
Degli dei venerano soprattutto Mercurio; di questo
esistono moltissime statue, riconoscono in questo
l'inventore di tutte le arti, la guide delle vie e dei viaggi,
credono che questo abbia grandissima influenza per la
ricerca di denaro e per i commerci. Dopo di questo,
Apollo e Marte e Giove e Minerva. Su questi hanno
quasi la stessa opinione degli altri popoli: e cioè che
Apollo vinca le malattie, che Minerva insegni i principi
delle attività e delle arti, che Giove regga il governo
degli dei celesti, che Marte governi le guerre. A questo,
quando hanno deciso di svolgere un combattimento,
consacrano ciò che avranno preso in guerra: dopo che
l'hanno vinta, sacrificano gli animali catturati e radunano
tumulos locis consecratis conspicari licet; neque saepe
accidit, ut neglecta quispiam religione aut capta apud se
occultare aut posita tollere auderet, gravissimumque ei
rei supplicium cum cruciatu constitutum est.
i beni restanti in un solo luogo. In molte città si possono
vedere nei luoghi consacrati dei tumuli sopraelevati di
queste cose; e non accade spesso che qualcuno,
disprezzando la religione, osi o nascondere da lui le cose
catturate o togliere le cose (già) depositate, è stato
stabilito il supplizio più grave per questo reato in mezzo
alla tortura.
XVIII - Origine dei Galli, rapporti familiari, computo del
tempo
Galli se omnes ab Dite patre prognatos praedicant idque
ab druidibus proditum dicunt. Ob eam causam spatia
omnis temporis non numero dierum sed noctium finiunt;
dies natales et mensum et annorum initia sic observant ut
noctem dies subsequatur. In reliquis vitae institutis hoc
fere ab reliquis differunt, quod suos liberos, nisi cum
adoleverunt, ut munus militiae sustinere possint, palam
ad se adire non patiuntur filiumque puerili aetate in
publico in conspectu patris adsistere turpe ducunt.
Tutti i Galli vanno dicendo di essere discendenti dall'avo
Dite, e dicono che ciò è stato tramandato dai druidi. Per
questa ragione determinano la durata di ogni tempo non
dal numero dei giorni, ma delle notti; calcolano i
compleanni e gli inizi dei mesi e degli anni in modo tale
che il giorno segua la notte. Nelle altre usanze di vita
differiscono dagli altri generalmente in questo: e cioè
che non permettono ai loro figli di avvicinarsi loro in
pubblico a loro, se non quando sono cresciuti tanto da
potere prestare servizio militare, e considerano
sconveniente che il figlio di età impubere stia in
pubblico al cospetto del padre.
XIX - Usi e costumi familiari
Viri, quantas pecunias ab uxoribus dotis nomine
acceperunt, tantas ex suis bonis aestimatione facta cum
dotibus communicant. Huius omnis pecuniae coniunctim
ratio habetur fructusque servantur: uter eorum vita
superarit, ad eum pars utriusque cum fructibus
superiorum temporum pervenit. Viri in uxores, sicuti in
liberos, vitae necisque habent potestatem; et cum
paterfamiliae illustriore loco natus decessit, eius
propinqui conveniunt et, de morte si res in suspicionem
venit, de uxoribus in servilem modum quaestionem
habent et, si compertum est, igni atque omnibus
tormentis excruciatas interficiunt. Funera sunt pro cultu
Gallorum magnifica et sumptuosa; omniaque quae vivis
cordi fuisse arbitrantur in ignem inferunt, etiam
animalia, ac paulo supra hanc memoriam servi et
clientes, quos ab eis dilectos esse constabat, iustis
funeribus confectis una cremabantur.
I mariti mettono in comune con le doti, fatta una stima,
tanto denaro dai propri beni, quanto ne hanno ricevuto
dalle mogli a titolo di dote. Di tutto questo denaro si
tiene l'amministrazione in comune e si conservano gli
interessi; quello dei due che sopravvive, a lui tocca la
parte di entrambi con gli interessi. I mariti hanno poteri
di vita e di morte sulle mogli come sui figli; e quando un
padre di famiglia di stirpe nobile è morto, i suoi parenti
si radunano e, se viene una cosa in sospetto circa la
morte, aprono un'inchiesta sulle mogli con la procedura
usata per gli schiavi e, se si scopre qualcosa, le uccidono
dopo averle seviziate col fuoco con ogni tormento. I
funerali per il grado di civiltà dei Galli sono magnifici e
sontuosi; gettano nel fuoco tutto ciò che pensano che sia
stato a cuore al vivo, anche animali, e poco prima di
questo periodo, servi e clienti, che si sapeva che erano
stati da loro stimati, compiuti i dovuti funerali, venivano
bruciati insieme.
XX - Costumi politici e governo dello stato.
Quae civitates commodius suam rem publicam
administrare existimantur, habent legibus sanctum, si
quis quid de re publica a finitimis rumore aut fama
acceperit, uti ad magistratum deferat neve cum quo alio
communicet, quod saepe homines temerarios atque
imperitos falsis rumoribus terreri et ad facinus impelli et
de summis rebus consilium capere cognitum est.
Magistratus quae visa sunt occultant quaeque esse ex
usu iudicaverunt multitudini produnt. De re publica nisi
per concilium loqui non conceditur.
I popoli che si ritiene che curino meglio degli altri il loro
governo, hanno sancito con leggi che se qualcuno ha
recepito dai vicini qualche notizia sul governo per
diceria o per fama, lo riporti al magistrato e non lo
comunichi a nessuno, poiché si sa che spesso gli uomini
sconsiderati e inesperti si spaventano a false voci e sono
spinti ad azioni sconsiderate, e a prendere decisioni su
cose importantissime. I magistrati nascondo ciò che
sembrò loro opportuno, fanno conoscere al popolo ciò
che hanno giudicato che fosse utile. Non è concesso di
parlare degli affari pubblici se non nell'assemblea.
XXI - Religione dei Germani
Germani multum ab hac consuetudine differunt. Nam
neque druides habent, qui rebus divinis praesint, neque
sacrificiis student. Deorum numero eos solos ducunt,
quos cernunt et quorum aperte opibus iuvantur, Solem et
Vulcanum et Lunam, reliquos ne fama quidem
acceperunt. Vita omnis in venationibus atque in studiis
rei militaris consistit: ab parvulis labori ac duritiae
student. Qui diutissime impuberes permanserunt,
maximam inter suos ferunt laudem: hoc ali staturam, ali
vires nervosque confirmari putant. Intra annum vero
vicesimum feminae notitiam habuisse in turpissimis
habent rebus; cuius rei nulla est occultatio, quod et
promiscue in fluminibus perluuntur et pellibus aut parvis
renonum tegimentis utuntur magna corporis parte nuda.
I Germani differiscono molto da questa consuetudine.
Infatti né hanno i druidi che sovraintendono al culto, né
si interessano dei sacrifici. Annoverano nel numero degli
dei solo quelli che vedono e dalla cui potenza sono
apertamente favoriti. (Tra questi) il Sole e Vulcano e la
Luna, (e) neppure di nome conoscono gli altri. Tutta la
vita trascorre nelle cacce o negli interessi dell'arte della
guerra. Fin da piccoli si dedicano alla fatica e al disagio.
Coloro che si sono mantenuti casti molto a lungo, hanno
la massima stima tra loro: alcuni ritengono che questo
rafforzi la statura, altri la potenza muscolare. E inoltre
considerano fra le cose più turpi avere la conoscenza
della donna prima dei vent'anni; e di questo non c'è
nessun occultamento, poiché sia si fanno il bagno
promiscuamente nei fiumi, sia si servono di pelli o di
corte pellicce, lasciando nuda gran parte del corpo.
XXII - Attività agricola dei Germani
Agriculturae non student, maiorque pars eorum victus in
lacte, caseo, carne consistit. Neque quisquam agri
modum certum aut fines habet proprios; sed magistratus
ac principes in annos singulos gentibus
cognationibusque hominum, qui una coierunt, quantum
et quo loco visum est agri attribuunt atque anno post alio
transire cogunt. Eius rei multas adferunt causas: ne
adsidua consuetudine capti studium belli gerendi
agricultura commutent; ne latos fines parare studeant,
potentioresque humiliores possessionibus expellant; ne
accuratius ad frigora atque aestus vitandos aedificent; ne
qua oriatur pecuniae cupiditas, qua ex re factiones
dissensionesque nascuntur; ut animi aequitate plebem
contineant, cum suas quisque opes cum potentissimis
aequari videat.
Non si occupano della coltivazione dei campi, la
maggior parte del loro vitto consiste in latte, formaggio
e carne. E nessuno ha una determinata estensione di
terreno o terre proprie, ma i magistrati e i capi
attribuiscono di anno in anno la quantità di terreno e nel
luogo in cui sembra opportuno alle famiglie e alle
parentele degli uomini che vivono insieme, e dopo un
anno li obbligano a trasferirsi altrove. Adducono molte
ragioni di questa usanza: affinché, presi dalla lunga
abitudine, non sostituiscano l'agricoltura al desiderio di
fare guerra; affinché non desiderino procurarsi campi
vasti e i più potenti non scaccino dai possedimenti i più
deboli; affinché non costruiscano le case con troppa cura
per evitare il freddo e il caldo; affinché non sorga alcuna
brama di denaro, motivo per cui nascono fazioni e
dissensi; affinché trattengano la plebe con equanimità
dato che ciascuno vede che le sue ricchezze sono uguali
a quelle dei più facoltosi.
XXIII - Consuetudini e ordinamento politico dei Germani
Civitatibus maxima laus est quam latissime circum se
vastatis finibus solitudines habere. Hoc proprium virtutis
existimant, expulsos agris finitimos cedere, neque
quemquam prope audere consistere; simul hoc se fore
tutiores arbitrantur repentinae incursionis timore sublato.
Cum bellum civitas aut illa tum defendit aut infert,
magistratus, qui ei bello praesint, ut vitae necisque
habeant potestatem, deliguntur. In pace nullus est
communis magistratus, sed principes regionum atque
pagorum inter suos ius dicunt controversiasque minuunt.
Latrocinia nullam habent infamiam, quae extra fines
cuiusque civitatis fiunt, atque ea iuventutis exercendae
ac desidiae minuendae causa fieri praedicant. Atque ubi
quis ex principibus in concilio dixit se ducem fore, qui
sequi velint, profiteantur, consurgunt ei qui et causam et
hominem probant suumque auxilium pollicentur atque
ab multitudine collaudantur: qui ex his secuti non sunt,
in desertorum ac proditorum numero ducuntur,
omniumque his rerum postea fides derogatur. Hospitem
Per le città è un grandissimo merito avere territori
deserti intorno a sé il più estesamente possibile, dopo
aver devastato le terre. Stimano che ciò sia proprio del
valore, cioè che si allontanino i popoli vicini cacciati dai
campi, e che nessuno osi di stabilirsi vicino a loro; con
ciò nello stesso tempo ritengono che saranno più sicuri,
eliminato il timore di un'improvvisa incursione. Quando
un popolo o si difende da una guerra mossagli o la
muove, vengono eletti dei magistrati che siano a capo di
quella guerra ed abbiano potere di vita e di morte. In
tempo di pace non c'è alcun magistrato comune, ma i
capi delle regioni e dei villaggi amministrano la giustizia
e sminuiscono le controversie fra loro. Nessun disonore
portano con sé le razzie che avvengono oltre i confini di
quel popolo, e vanno dicendo che quelle avvengono per
esercitare la gioventù e per combattere la pigrizia. E
quando uno dei capi dice all'assemblea che sarà capo di
quella spedizione, e chi lo vuole seguire dichiara questo,
si alzano quelli che accettano sia il pretesto che l'uomo e
violare fas non putant; qui quacumque de causa ad eos
venerunt, ab iniuria prohibent, sanctos habent, hisque
omnium domus patent victusque communicatur.
promettono il proprio aiuto e sono lodati dalla
moltitudine; ma quelli tra costoro che non lo hanno
seguito sono annoverati nel numero dei disertori e dei
traditori e in seguito vengono del tutto screditati. Non
considerano lecito offendere un ospite, e difendono dalle
offese quelli che sono venuti da loro per qualunque
motivo, e li considerano sacri e a questi sono aperte le
case di tutti, ed è messo in comune il vitto.
XXIV - Confronto tra i Galli e i Germani
Ac fuit antea tempus, cum Germanos Galli virtute
superarent, ultro bella inferrent, propter hominum
multitudinem agrique inopiam trans Rhenum colonias
mitterent. Itaque ea quae fertilissima Germaniae sunt
loca circum Hercyniam silvam, quam Eratostheni et
quibusdam Graecis fama notam esse video, quam illi
Orcyniam appellant, Volcae Tectosages occupaverunt
atque ibi consederunt; quae gens ad hoc tempus his
sedibus sese continet summamque habet iustitiae et
bellicae laudis opinionem. Nunc quod in eadem inopia,
egestate, patientia qua Germani permanent, eodem victu
et cultu corporis utuntur; Gallis autem provinciarum
propinquitas et transmarinarum rerum notitia multa ad
copiam atque usus largitur, paulatim adsuefacti superari
multisque victi proeliis ne se quidem ipsi cum illis
virtute comparant.
E prima ci fun un tempo in cui i Galli superavano i
Germani in virtù, portando guerre oltre i confini, a causa
dal gran numero di uomini e della povertà dei campi
mandavano le colonie al di là del Reno. Pertanto i Volci
Tettosagi occuparonoquei territori che sono i più fertili
della Germania attorno alla selva Ercinia, che so che è
nota di nome ad Eratostene e ad alcuni Greci, che quelli
chiamano Orcinia, e lì si stabilirono; e questo popolo, in
quel tempo, si conteneva nelle proprie sedi e ha una
straordinaria fama per la giustizia e e per il valore in
guerra. Ora poiché i Germani rimangono nella stessa
povertà, indigenza e sopportazione, godono dello stesso
tenore di vita, ai Galli invece la vicinanza delle
provincia e la conoscenza dei beni di consumo giunti via
mare offre larga possibilità di disporre di molte cose per
le loro esigenza e per l'abbondanza, abituatsi a poco a
poco ad essere superati e dopo essere stati vinti in molte
battaglie, nemmeno essi stessi si comparano più con
quelli in valore.
XXV - Descrizione della Selva Ercinia
Huius Hercyniae silvae, quae supra demonstrata est,
latitudo novem dierum iter expedito patet: non enim
aliter finiri potest, neque mensuras itinerum noverunt.
Oritur ab Helvetiorum et Nemetum et Rauracorum
finibus rectaque fluminis Danubi regione pertinet ad
fines Dacorum et Anartium; hinc se flectit sinistrorsus
diversis ab flumine regionibus multarumque gentium
fines propter magnitudinem adtingit; neque quisquam est
huius Germaniae, qui se aut adisse ad initium eius silvae
dicat, cum dierum iter LX processerit, aut, quo ex loco
oriatur, acceperit: multaque in ea genera ferarum nasci
constat, quae reliquis in locis visa non sint; ex quibus
quae maxime differant ab ceteris et memoriae prodenda
videantur haec sunt.
Di questa Selva Ercinia, di cui si è parlato poco sopra, la
larghezza si estende per nove giorni di cammino, per
uno che viaggi senza bagagli ; infatti non si può
delimitarla diversamente, e non conoscono misure di
lunghezza. Comincia dal paese degli Elvezi e dei Nemeti
e dei Rauraci e in direzione parallela al fiume Danubio
si estende fino al paese dei Daci e degli Anarti; da qui si
volge a sinistra dalle regioni divergenti dal fiume e per
la (sua) estensione tocca le terre di molti popoli; e non
c'è nessuno di questa Germania che dica o di essere
arrivato all'estremità di quella selva, sebbene abbia
camminato per sessanta giorni, e abbia saputo da quale
luogo ha origine; e si sa che in essa nascono mote specie
di animali che non si viste in altri luoghi; ed ecco quelli
che fra questi differiscono di più dagli altri e sembrano
più degni di passare alla memoria.
XXVI - Descrizione della renna
Est bos cervi figura, cuius a media fronte inter aures
unum cornu exsistit excelsius magisque directum his,
quae nobis nota sunt, cornibus: ab eius summo sicut
palmae ramique late divunduntur. Eadem est feminae
marisque natura, eadem forma magnitudoque cornuum.
C'è un bue dalla forma di cervo, a metà della cui fronte
si erge un solo corno più alto, e più diritto di quelle
corna che ci sono note; dalla sommità di questo si
estendono ampiamente come rami simili a palme. È
uguale la natura del maschio e della femmina, uguale la
forma e la grandezza delle corna.
XXVII - Descrizione dell'alce
Sunt item, quae appellantur alces. Harum est consimilis
Allo stesso modo vi sono quelli che si chiamano alci. Di
capris figura et varietas pellium, sed magnitudine paulo
antecedunt mutilaeque sunt cornibus et crura sine nodis
articulisque habent neque quietis causa procumbunt
neque, si quo adflictae casu conciderunt, erigere sese aut
sublevare possunt. His sunt arbores pro cubilibus: ad eas
se applicant atque ita paulum modo reclinatae quietem
capiunt. Quarum ex vestigiis cum est animadversum a
venatoribus, quo se recipere consuerint, omnes eo loco
aut ab radicibus subruunt aut accidunt arbores, tantum ut
summa species earum stantium relinquatur. Huc cum se
consuetudine reclinaverunt, infirmas arbores pondere
adfligunt atque una ipsae concidunt.
questi la forma e la varietà di pelli è simile alle capre;
ma di poco le superano in grandezza e sono monche
nelle corna e hanno zampe senza giunture o
articolazioni; né si sdraiano per il riposo, né, se per
qualche incidente sono caduti, possono rialzarsi, o
sollevarsi. A questi gli alberi servono da giacigli: si
appoggiano ad essi e così un poco piegati prendono
sonno. Grazie alle orme di questi, quando è scoperto dai
cacciatori dove siano soliti ritirarsi, scalzano tutti gli
alberi dalle radici o li tagliano in quel posto, tanto che si
lasci nella sommità l'aspetto di quelli che stanno dritti.
Quando secondo l'abitudine gli alci si sono qui
appoggiati, col peso fanno cadere gli alberi malfermi ed
essi cadono insieme.
XXVIII - Descrizione dell'uro
Tertium est genus eorum, qui uri appellantur. Hi sunt
magnitudine paulo infra elephantos, specie et colore et
figura tauri. Magna vis eorum est et magna velocitas,
neque homini neque ferae quam conspexerunt parcunt.
Hos studiose foveis captos interficiunt. Hoc se labore
durant adulescentes atque hoc genere venationis
exercent, et qui plurimos ex his interfecerunt, relatis in
publicum cornibus, quae sint testimonio, magnam ferunt
laudem. Sed adsuescere ad homines et mansuefieri ne
parvuli quidem excepti possunt. Amplitudo cornuum et
figura et species multum a nostrorum boum cornibus
differt. Haec studiose conquisita ab labris argento
circumcludunt atque in amplissimis epulis pro poculis
utuntur.
Il terzo genere è di quelli che si chiamano uri. Questi
sono per grandezza poco inferiori agli elefanti, per
l'aspetto e il colore e la forma sono tori. La loro forza è
grande e grande è la velocità. E non risparmiano né
l'uomo né la bestia che hanno avvistato. Uccidono questi
(gli uri) dopo averli presi con cura in fosse. I giovani si
irrobustiscono con questa fatica e si esercitano con
questo genere di caccia; e quelli che ne hanno ucciso il
maggior numero, portate le corna in pubblico che ne
siano testimonianza, riportano grande lode. Ma neppure
se catturati da piccoli si possono abituare all'uomo né
addomesticare. L'ampiezza e la forma e l'aspetto delle
corna differiscono molto dalle corna dei nostri buoi.
Queste, ricercate con cura, le cerchiano di argento
all'orlo e se ne servono come bicchieri in ricchissimi
banchetti.
XXIX
Caesar, postquam per Vbios exploratores comperit
Suebos sese in silvas recepisse, inopiam frumenti
veritus, quod, ut supra demonstravimus, minime omnes
Germani agriculturae student, constituit non progredi
longius; sed, ne omnino metum reditus sui barbaris
tolleret atque ut eorum auxilia tardaret, reducto exercitu
partem ultimam pontis, quae ripas Vbiorum contingebat,
in longitudinem pedum ducentorum rescindit atque in
extremo ponte turrim tabulatorum quattuor constituit
praesidiumque cohortium duodecim pontis tuendi causa
ponit magnisque eum locum munitionibus firmat. Ei
loco praesidioque Gaium Volcatium Tullum
adulescentem praefecit. Ipse, cum maturescere frumenta
inciperent, ad bellum Ambiorigis profectus per
Arduennam silvam, quae est totius Galliae maxima atque
ab ripis Rheni finibusque Treverorum ad Nervios
pertinet milibusque amplius quingentis in longitudinem
patet, Lucium Minucium Basilum cum omni equitatu
praemittit, si quid celeritate itineris atque opportunitate
temporis proficere possit; monet, ut ignes in castris fieri
prohibeat, ne qua eius adventus procul significatio fiat:
sese confestim subsequi dicit.
Cesare, quando dagli esploratori degli Ubi apprende che
gli Svevi si erano rifugiati nelle selve, decide di non
avanzare ulteriormente, temendo che gli venisse a
mancare il grano, visto che tutti i Germani, come
abbiamo ricordato prima, non praticano affatto
l'agricoltura. Ma per tener desto nei barbari il timore di
un suo possibile ritorno e per rallentare la marcia dei
loro rinforzi, ritira l'esercito e, per duecento piedi di
lunghezza, distrugge la testa del ponte sulla sponda degli
Ubi. All'estremità del ponte, costruisce una torre di
quattro piani, lasciando a difesa del medesimo una
guarnigione di dodici coorti e munendo il luogo con
salde fortificazioni. Assegna il comando della zona e
della guarnigione al giovane C. Volcacio Tullo. Cesare,
invece, non appena il grano cominciava a maturare, partì
per muovere guerra ad Ambiorige, attraverso la selva
delle Ardenne, la più estesa di tutta la Gallia: dalle rive
del Reno e dalle terre dei Treveri giunge fino alla
regione dei Nervi, per oltre cinquecento miglia di
lunghezza. Manda in avanscoperta L. Minucio Basilo
alla testa di tutta la cavalleria, perché traesse vantaggio
dalla rapidità della marcia e dalle occasioni favorevoli.
Lo ammonisce a vietare i fuochi nell'accampamento,
perché da lontano non si scorgessero indizi del suo
arrivo, e gli garantisce che si sarebbe spinto subito
dietro di lui.
XXX
Basilus, ut imperatum est, facit. Celeriter contraque
omnium opinionem confecto itinere multos in agris
inopinantes deprehendit: eorum indicio ad ipsum
Ambiorigem contendit, quo in loco cum paucis equitibus
esse dicebatur. Multum cum in omnibus rebus tum in re
militari potest fortuna. Nam magno accidit casu ut in
ipsum incautum etiam atque imparatum incideret,
priusque eius adventus ab omnibus videretur, quam fama
ac nuntius adferretur: sic magnae fuit fortunae omni
militari instrumento, quod circum se habebat, erepto,
raedis equisque comprehensis ipsum effugere mortem.
Sed hoc quoque factum est, quod aedificio circumdato
silva, ut sunt fere domicilia Gallorum, qui vitandi aestus
causa plerumque silvarum atque fluminum petunt
propinquitates, comites familiaresque eius angusto in
loco paulisper equitum nostrorum vim sustinuerunt. His
pugnantibus illum in equum quidam ex suis intulit:
fugientem silvae texerunt. Sic et ad subeundum
periculum et ad vitandum multum fortuna valuit.
Basilo si attiene agli ordini. Coperta la distanza
rapidamente e mentre nessuno se lo aspettava, coglie di
sorpresa molti nemici ancora nei campi. Grazie alle loro
indicazioni, punta su Ambiorige stesso, dirigendosi nel
luogo in cui si trovava - così dicevano - con pochi
cavalieri. La Fortuna ha un gran peso in tutto, specie
nelle operazioni militari. Infatti, se per un caso davvero
propizio Basilo poté piombare su Ambiorige stesso
cogliendolo alla sprovvista e impreparato (videro di
persona l'arrivo del Romano prima che ne giungesse
voce o notizia), d'altro canto fu una vera combinazione
se il Gallo riuscì a sottrarsi alla morte, pur perdendo
tutto il suo equipaggiamento militare, i carri e i cavalli.
Ed ecco come andò: la sua casa era circondata da un
bosco, come spesso le abitazioni dei Galli, che, per
evitare il caldo, in genere cercano luoghi vicini a fiumi o
selve. Così, i suoi compagni e servi, in una stretta zona
d'accesso, ressero per un po' al nostro assalto. Mentre
essi combattevano, uno dei suoi lo fece salire a cavallo:
le selve ne protessero la fuga. Così, la Fortuna ebbe un
ruolo determinante prima nel metterlo in pericolo, poi
nel salvarlo.
XXXI
Ambiorix copias suas iudicione non conduxerit, quod
proelio dimicandum non existimarit, an tempore
exclusus et repentino equitum adventu prohibitus, cum
reliquum exercitum subsequi crederet, dubium est. Sed
certe dimissis per agros nuntiis sibi quemque consulere
iussit. Quorum pars in Arduennam silvam, pars in
continentes paludes profugit; qui proximi Oceano
fuerunt, his insulis sese occultaverunt, quas aestus
efficere consuerunt: multi ex suis finibus egressi se
suaque omnia alienissimis crediderunt. Catuvolcus, rex
dimidiae partis Eburonum, qui una cum Ambiorige
consilium inierat, aetate iam confectus, cum laborem aut
belli aut fugae ferre non posset, omnibus precibus
detestatus Ambiorigem, qui eius consilii auctor fuisset,
taxo, cuius magna in Gallia Germaniaque copia est, se
exanimavit.
Non è chiaro se Ambiorige non avesse raccolto le sue
truppe di proposito, non ritenendo opportuno uno
scontro aperto, oppure se gli fosse mancato il tempo e
glielo avesse impedito l'arrivo improvviso della
cavalleria, che credeva seguita dal resto dell'esercito.
L'unica cosa certa è che inviò messi nelle campagne con
l'ordine di pensare ciascuno per sé. Alcuni dei suoi si
rifugiarono nella selva delle Ardenne, altri nelle paludi
interminabili. Chi viveva nei pressi dell'Oceano riparò
nelle isole che le maree sono solite formare. Molti, poi,
abbandonati i propri territori, affidarono se stessi, con
ogni avere, a genti del tutto estranee. Catuvolco, re di
una metà degli Eburoni, che aveva assunto l'iniziativa
insieme ad Ambiorige, era ormai sfinito dagli anni e non
poteva reggere le fatiche di una guerra o di una fuga.
Perciò, dopo aver maledetto con ogni sorta
d'imprecazioni Ambiorige, l'ideatore del piano, si tolse
la vita con il tasso, una pianta molto diffusa in Gallia e
in Germania.
XXXII
Segni Condrusique, ex gente et numero Germanorum,
qui sunt inter Eburones Treverosque, legatos ad
Caesarem miserunt oratum, ne se in hostium numero
duceret neve omnium Germanorum, qui essent citra
Rhenum, unam esse causam iudicaret: nihil se de bello
cogitavisse, nulla Ambiorigi auxilia misisse. Caesar
explorata re quaestione captivorum, si qui ad eos
Eburones ex fuga convenissent, ad se ut reducerentur,
imperavit; si ita fecissent, fines eorum se violaturum
negavit. Tum copiis in tres partes distributis
I Segni e i Condrusi, popoli di stirpe germanica e tali
ritenuti, che abitano tra gli Eburoni e i Treveri,
mandarono a Cesare un'ambasceria per pregarlo di non
considerarli nemici e di non credere che tutti i Germani
stanziati al di qua del Reno avessero fatto causa comune:
essi non avevano pensato alla guerra, né inviato ad
Ambiorige rinforzi. Cesare, accertato come stavano le
cose interrogando i prigionieri, comandò ai Segni e ai
Condrusi di ricondurgli eventuali fuggiaschi degli
Eburoni giunti nelle loro terre; se avessero eseguito
impedimenta omnium legionum Aduatucam contulit. Id
castelli nomen est. Hoc fere est in mediis Eburonum
finibus, ubi Titurius atque Aurunculeius hiemandi causa
consederant. Hunc cum reliquis rebus locum probabat,
tum quod superioris anni munitiones integrae manebant,
ut militum laborem sublevaret. Praesidio impedimentis
legionem quartamdecimam reliquit, unam ex eis tribus,
quas proxime conscriptas ex Italia traduxerat. Ei legioni
castrisque Quintum Tullium Ciceronem praeficit
ducentosque equites attribuit.
l'ordine, non avrebbe violato i loro territori. Quindi,
divise in tre corpi le sue truppe e ammassò le salmerie di
tutte le legioni ad Atuatuca. È il nome di una fortezza
che si trova circa al centro dei territori degli Eburoni,
dove Titurio e Aurunculeio avevano posto i quartieri
d'inverno. Tra gli altri motivi, Cesare approvava la scelta
del luogo soprattutto perché erano ancora intatte le
fortificazioni dell'anno precedente, così avrebbe
risparmiato fatica ai soldati. A presidio delle salmerie
lasciò la quattordicesima legione, una delle tre che,
arruolate di recente, aveva condotto dall'Italia. Affidò il
comando della legione e del campo a Q. Tullio
Cicerone, assegnandogli duecento cavalieri.
XXXIII
Partito exercitu Titum Labienum cum legionibus tribus
ad Oceanum versus in eas partes quae Menapios
attingunt proficisci iubet; Gaium Trebonium cum pari
legionum numero ad eam regionem quae ad Aduatucos
adiacet depopulandam mittit; ipse cum reliquis tribus ad
flumen Scaldem, quod influit in Mosam, extremasque
Arduennae partis ire constituit, quo cum paucis equitibus
profectum Ambiorigem audiebat. Discedens post diem
septimum sese reversurum confirmat; quam ad diem ei
legioni quae in praesidio relinquebatur deberi
frumentum sciebat. Labienum Treboniumque hortatur, si
rei publicae commodo facere possint, ad eum diem
revertantur, ut rursus communicato consilio
exploratisque hostium rationibus aliud initium belli
capere possint.
Suddiviso l'esercito, ordina a T. Labieno di partire con
tre legioni verso l'Oceano, puntando sulle terre al
confine con i Menapi. Alla testa di altrettante legioni
invia C. Trebonio a devastare i territori contigui agli
Atuatuci. E lui stesso decide di muoversi, con le tre
restanti legioni, in direzione della Schelda, un fiume che
si getta nella Mosa, e verso le parti più lontane delle
Ardenne, dove, stando alle voci, era riparato Ambiorige
con pochi cavalieri. Al momento della partenza, assicura
che sarebbe rientrato di lì a sette giorni, data stabilita per
distribuire il grano alla legione di presidio in Atuatuca.
Invita Labieno e Trebonio, se ciò non nuoceva agli
interessi di stato, a rientrare lo stesso giorno: tenuto
ancora consiglio e analizzate le intenzioni del nemico,
avrebbero potuto riprendere, su nuove basi, le ostilità.
XXXIV
Erat, ut supra demonstravimus, manus certa nulla, non
oppidum, non praesidium, quod se armis defenderet, sed
in omnes partes dispersa multitudo. Vbi cuique aut
valles abdita aut locus silvestris aut palus impedita spem
praesidi aut salutis aliquam offerebat, consederat. Haec
loca vicinitatibus erant nota, magnamque res diligentiam
requirebat non in summa exercitus tuenda (nullum enim
poterat universis perterritis ac dispersis periculum
accidere), sed in singulis militibus conservandis; quae
tamen ex parte res ad salutem exercitus pertinebat. Nam
et praedae cupiditas multos longius evocabat, et silvae
incertis occultisque itineribus confertos adire
prohibebant. Si negotium confici stirpemque hominum
sceleratorum interfici vellet, dimittendae plures manus
diducendique erant milites; si continere ad signa
manipulos vellet, ut instituta ratio et consuetudo
exercitus Romani postulabat, locus ipse erat praesidio
barbaris, neque ex occulto insidiandi et dispersos
circumveniendi singulis deerat audacia. Vt in eiusmodi
difficultatibus, quantum diligentia provideri poterat
providebatur, ut potius in nocendo aliquid
praetermitteretur, etsi omnium animi ad ulciscendum
ardebant, quam cum aliquo militum detrimento
noceretur. Dimittit ad finitimas civitates nuntios Caesar:
omnes ad se vocat spe praedae ad diripiendos Eburones,
ut potius in silvis Gallorum vita quam legionarius miles
periclitetur, simul ut magna multitudine circumfusa pro
I nemici, come abbiamo detto in precedenza, non
avevano un esercito regolare, una fortezza, un presidio
che si difendesse con le armi: erano una massa di uomini
sparsi ovunque. Ciascuno si era appostato dove una
valle nascosta, una zona boscosa, una palude
impraticabile offriva una qualche speranza di difesa o di
salvezza. Erano luoghi ben noti agli abitanti della zona,
e la situazione richiedeva la massima prudenza, non
tanto per proteggere il grosso dell'esercito (nessun
pericolo, infatti, poteva nascere, per le nostre truppe
riunite, da nemici atterriti e sparpagliati), quanto per
tutelare i singoli legionari, cosa che comunque, in parte,
riguardava la sicurezza di tutto l'esercito. Infatti, l'avidità
di bottino spingeva molti ad allontanarsi troppo, e le
selve, dai sentieri malsicuri e poco visibili, impedivano
ai nostri la marcia in gruppo. Se si voleva portare a
termine l'operazione e annientare quella stirpe di
canaglie, era necessario distaccare diversi gruppi in
varie direzioni e dividere i soldati; se, invece, si
sceglieva di tenere i manipoli sotto le insegne, come
richiesto dalla regola e dall'uso dell'esercito romano, la
zona stessa avrebbe protetto i barbari, ai quali non
mancava l'audacia, per quanto isolati, di tendere
imboscate e di circondare i nostri che si fossero disuniti.
Così, di fronte a tali difficoltà, si provvide con tutta
l'attenzione possibile: si rinunciò perfino a qualche
occasione di nuocere al nemico, sebbene tutti
tali facinore stirps ac nomen civitatis tollatur. Magnus
undique numerus celeriter convenit.
bruciassero dal desiderio di vendetta, piuttosto che farlo
a prezzo di nostre perdite. Cesare invia messi ai popoli
confinanti, li fa venire presso di sé e li spinge, con la
speranza di bottino, a saccheggiare le terre degli
Eburoni: voleva che fossero i Galli, non i legionari, a
rischiare la vita nelle selve e che, al tempo stesso, in
seguito all'affluire di una simile massa, venissero
annientati, come prezzo per la loro colpa, gli Eburoni,
nome e stirpe. Da ogni regione accorre ben presto una
gran folla.
XXXV
Haec in omnibus Eburonum partibus gerebantur, diesque
appetebat septimus, quem ad diem Caesar ad
impedimenta legionemque reverti constituerat. Hic
quantum in bello fortuna possit et quantos adferat casus
cognosci potuit. Dissipatis ac perterritis hostibus, ut
demonstravimus, manus erat nulla quae parvam modo
causam timoris adferret. Trans Rhenum ad Germanos
pervenit fama, diripi Eburones atque ultro omnes ad
praedam evocari. Cogunt equitum duo milia Sugambri,
qui sunt proximi Rheno, a quibus receptos ex fuga
Tencteros atque Vsipetes supra docuimus. Transeunt
Rhenum navibus ratibusque triginta milibus passuum
infra eum locum, ubi pons erat perfectus praesidiumque
ab Caesare relictum: primos Eburonum fines adeunt;
multos ex fuga dispersos excipiunt, magno pecoris
numero, cuius sunt cupidissimi barbari, potiuntur.
Invitati praeda longius procedunt. Non hos palus in bello
latrociniisque natos, non silvae morantur. Quibus in
locis sit Caesar ex captivis quaerunt; profectum longius
reperiunt omnemque exercitum discessisse cognoscunt.
Atque unus ex captivis "Quid vos," inquit, "hanc
miseram ac tenuem sectamini praedam, quibus licet iam
esse fortunatissimos? Tribus horis Aduatucam venire
potestis: huc omnes suas fortunas exercitus Romanorum
contulit: praesidi tantum est, ut ne murus quidem cingi
possit, neque quisquam egredi extra munitiones audeat".
Oblata spe Germani quam nacti erant praedam in
occulto relinquunt; ipsi Aduatucam contendunt usi
eodem duce, cuius haec indicio cognoverant.
Ecco cosa succedeva in ogni parte del territorio degli
Eburoni, e intanto si avvicinava il settimo giorno, fissato
da Cesare per il suo ritorno alle salmerie e alla legione
di presidio. In questa circostanza si poté constatare il
peso della Fortuna in guerra e quali inattesi eventi essa
produca. I nemici erano dispersi e atterriti, lo abbiamo
visto; non vi erano truppe in grado di dare il benché
minimo motivo di preoccupazione. Ai Germani, al di là
del Reno, giunge voce che le terre degli Eburoni
venivano saccheggiate e che, anzi, tutti erano chiamati a
far bottino. I Sigambri, popolo vicino al Reno, che
avevano accolto - lo abbiamo riferito in precedenza - i
Tenteri e gli Usipeti in fuga, radunano duemila cavalieri.
Passano il Reno su imbarcazioni e zattere, trenta miglia
più a sud del punto in cui era stato costruito il ponte e
dove Cesare aveva lasciato il presidio. Varcano la
frontiera degli Eburoni, raccolgono molti sbandati, si
impossessano di una gran quantità di capi di bestiame,
preda ambitissima dai barbari. Attratti dal bottino,
avanzano. Né la palude, né le selve frenano questi
uomini nati tra guerre e saccheggi. Ai prigionieri
chiedono dove sia Cesare; scoprono, così, che si è molto
allontanato e che tutto l'esercito è partito. Allora uno dei
prigionieri "Ma perché - dice - vi accanite dietro a
questa preda misera e meschina, quando potreste essere
già ricchissimi? Atuatuca è raggiungibile in tre ore di
marcia: lì l'esercito romano ha ammassato tutti i propri
averi. I difensori non bastano neppure a coprire il muro
di cinta e nessuno osa uscire dalle fortificazioni". Di
fronte a una tale occasione, i Germani nascondono la
preda già conquistata e puntano su Atuatuca, sotto la
guida dell'uomo che li aveva informati.
XXXVI
Cicero, qui omnes superiores dies praeceptis Caesaris
cum summa diligentia milites in castris continuisset ac
ne calonem quidem quemquam extra munitionem egredi
passus esset, septimo die diffidens de numero dierum
Caesarem fidem servaturum, quod longius progressum
audiebat, neque ulla de reditu eius fama adferebatur,
simul eorum permotus vocibus, qui illius patientiam
paene obsessionem appellabant, siquidem ex castris
egredi non liceret, nullum eiusmodi casum exspectans,
quo novem oppositis legionibus maximoque equitatu
dispersis ac paene deletis hostibus in milibus passuum
tribus offendi posset, quinque cohortes frumentatum in
proximas segetes mittit, quas inter et castra unus omnino
Cicerone, in tutti i giorni precedenti, secondo le
disposizioni di Cesare, aveva trattenuto con molto
scrupolo i soldati nell'accampamento, senza permettere
che neppure un calone uscisse dalle fortificazioni. Ma il
settimo giorno, non avendo fiducia che Cesare sarebbe
stato puntuale come aveva promesso (giungevano,
infatti, voci che si era spinto ancor più lontano e non si
avevano notizie sul suo ritorno) e turbato, al tempo
stesso, dalle critiche di chi definiva la sua pazienza una
sorta di assedio, in quanto a nessuno era concesso di
uscire dal campo, stima che, nel raggio di tre miglia, i
suoi non avrebbero corso alcun pericolo: il nemico, già
sbandato e pressoché distrutto, aveva di fronte nove
collis intererat. Complures erant ex legionibus aegri
relicti; ex quibus qui hoc spatio dierum convaluerant,
circiter CCC, sub vexillo una mittuntur; magna praeterea
multitudo calonum, magna vis iumentorum, quae in
castris subsederant, facta potestate sequitur.
legioni e una fortissima cavalleria. Così, invia cinque
coorti a far provvista di grano nei campi più vicini, che
un unico colle separava dall'accampamento. Con
Cicerone erano rimasti, dalle varie legioni, parecchi
malati; i soldati guariti in quell'arco di tempo, circa
trecento, formano un distaccamento e vengono mandati
con gli altri. E, poi, ottenuto il permesso, li seguono
anche molti caloni con un gran numero di bestie da
soma, che erano rimaste al campo.
XXXVII
Hoc ipso tempore et casu Germani equites interveniunt
protinusque eodem illo, quo venerant, cursu ab
decumana porta in castra irrumpere conantur, nec prius
sunt visi obiectis ab ea parte silvis, quam castris
appropinquarent, usque eo ut qui sub vallo tenderent
mercatores recipiendi sui facultatem non haberent.
Inopinantes nostri re nova perturbantur, ac vix primum
impetum cohors in statione sustinet. Circumfunduntur ex
reliquis hostes partibus, si quem aditum reperire possent.
Aegre portas nostri tuentur, reliquos aditus locus ipse
per se munitioque defendit. Totis trepidatur castris,
atque alius ex alio causam tumultus quaerit; neque quo
signa ferantur neque quam in partem quisque conveniat
provident. Alius iam castra capta pronuntiat, alius deleto
exercitu atque imperatore victores barbaros venisse
contendit; plerique novas sibi ex loco religiones fingunt
Cottaeque et Tituri calamitatem, qui in eodem occiderint
castello, ante oculos ponunt. Tali timore omnibus
perterritis confirmatur opinio barbaris, ut ex captivo
audierant, nullum esse intus praesidium. Perrumpere
nituntur seque ipsi adhortantur, ne tantam fortunam ex
manibus dimittant.
Proprio in questo momento e frangente sopraggiungono
i cavalieri germani, che, proseguendo senza rallentare
l'andatura, tentano un'irruzione dalla porta decumana.
Essendo coperti, su quel lato, dalle selve, vengono scorti
solo quando erano ormai nei pressi del campo, al punto
che i mercanti, attendati ai piedi del vallo, non hanno
neppure modo di rifugiarsi all'interno. I nostri, colti alla
sprovvista, rimangono scossi dall'evento inatteso, e la
coorte di guardia riesce a respingere a malapena il primo
assalto. I Germani si spargono tutt'intorno, nella
speranza di trovare un adito. I nostri difendono a stento
le porte, per il resto l'accesso era impedito solo dalla
posizione naturale e dalle fortificazioni. In tutto il
campo regna la confusione, ci si domanda l'un l'altro la
causa del tumulto: non si pensa a disporre le insegne, né
a indicare dove ciascuno debba radunarsi. Chi sostiene
che il campo è già caduto, chi afferma che i barbari sono
giunti vittoriosi, dopo aver annientato il nostro esercito e
ucciso il comandante. La maggior parte si inventa nuove
superstizioni sulla base del luogo, rievocando il
massacro di Cotta e Titurio, avvenuto proprio lì. Poiché
tutti erano terrorizzati da tali paure, i barbari si
rafforzano nell'idea che, come aveva detto il prigioniero,
all'interno non c'era alcuna guarnigione. Cercano di
sfondare e si spronano a vicenda a non lasciarsi sfuggire
dalle mani un'occasione così splendida.
XXXVIII
Erat aeger cum praesidio relictus Publius Sextius
Baculus, qui primum pilum ad Caesarem duxerat, cuius
mentionem superioribus proeliis fecimus, ac diem iam
quintum cibo caruerat. Hic diffisus suae atque omnium
saluti inermis ex tabernaculo prodit: videt imminere
hostes atque in summo esse rem discrimine: capit arma a
proximis atque in porta consistit. Consequuntur hunc
centuriones eius cohortis quae in statione erat: paulisper
una proelium sustinent. Relinquit animus Sextium
gravibus acceptis vulneribus: aegre per manus tractus
servatur. Hoc spatio interposito reliqui sese confirmant
tantum, ut in munitionibus consistere audeant
speciemque defensorum praebeant.
Al campo, con la legione di presidio, era rimasto,
malato, P. Sestio Baculo, che sotto Cesare aveva
rivestito la carica di centurione primipilo e di cui
abbiamo parlato nelle battaglie precedenti: già da cinque
giorni non toccava cibo. Disperando della salvezza sua e
di tutti, esce disarmato dalla tenda. Vede che i nemici
incombevano e che il momento era molto critico: si fa
consegnare le armi dai soldati più vicini e si piazza sulla
porta. A lui si uniscono i centurioni della coorte di
guardia; per un po' reggono agli assalti, insieme. Poi
Sestio, gravemente ferito, sviene: lo traggono in salvo a
stento, passandolo di braccia in braccia. Ma nel
frattempo gli altri si rinfrancano, tanto che osano
attestarsi sui baluardi e danno l'impressione di una vera
guarnigione.
XXXIX
Interim confecta frumentatione milites nostri clamorem In quel mentre, i nostri, terminata la raccolta di grano,
exaudiunt: praecurrunt equites; quanto res sit in periculo odono i clamori: i cavalieri accorrono, si rendono conto
cognoscunt. Hic vero nulla munitio est quae perterritos
recipiat: modo conscripti atque usus militaris imperiti ad
tribunum militum centurionesque ora convertunt; quid
ab his praecipiatur exspectant. Nemo est tam fortis quin
rei novitate perturbetur. Barbari signa procul conspicati
oppugnatione desistunt: redisse primo legiones credunt,
quas longius discessisse ex captivis cognoverant; postea
despecta paucitate ex omnibus partibus impetum faciunt.
della gravità della situazione. Ma qui non c'era nessun
riparo che potesse accogliere gente in preda al panico:
soldati appena arruolati e privi di esperienza militare,
rivolgono gli occhi al tribuno e ai centurioni, aspettano i
loro ordini. Ma anche i migliori erano sconvolti dagli
eventi inattesi. I barbari, scorgendo in lontananza le
insegne, cessano l'assedio: dapprima pensano al rientro
delle legioni che, su informazione dei prigionieri,
sapevano lontane; poi, disprezzando lo scarso numero
dei nostri, li attaccano da ogni lato.
XL
Calones in proximum tumulum procurrunt. Hinc
celeriter deiecti se in signa manipulosque coniciunt: eo
magis timidos perterrent milites. Alii cuneo facto ut
celeriter perrumpant censent, quoniam tam propinqua
sint castra, et si pars aliqua circumventa ceciderit, at
reliquos servari posse confidunt; alii, ut in iugo
consistant atque eundem omnes ferant casum. Hoc
veteres non probant milites, quos sub vexillo una
profectos docuimus. Itaque inter se cohortati duce Gaio
Trebonio, equite Romano, qui eis erat praepositus, per
medios hostes perrumpunt incolumesque ad unum
omnes in castra perveniunt. Hos subsecuti calones
equitesque eodem impetu militum virtute servantur. At
ei qui in iugo constiterant, nullo etiam nunc usu rei
militaris percepto neque in eo quod probaverant consilio
permanere, ut se loco superiore defenderent, neque eam
quam prodesse aliis vim celeritatemque viderant imitari
potuerunt, sed se in castra recipere conati iniquum in
locum demiserunt. Centuriones, quorum nonnulli ex
inferioribus ordinibus reliquarum legionum virtutis
causa in superiores erant ordines huius legionis traducti,
ne ante partam rei militaris laudem amitterent, fortissime
pugnantes conciderunt. Militum pars horum virtute
summotis hostibus praeter spem incolumis in castra
pervenit, pars a barbaris circumventa periit.
I caloni corrono sul rialzo più vicino. Ben presto
scacciati, si precipitano tra le insegne e i manipoli,
seminando ancor più scompiglio tra i legionari impauriti.
Dei nostri c'era chi consigliava di formare un cuneo per
aprirsi rapidamente un varco, data la vicinanza del
campo: anche se qualcuno, accerchiato, soccombeva,
certo gli altri sarebbero riusciti a mettersi in salvo. E chi,
invece, era dell'avviso di attestarsi sul colle e di
affrontare tutti lo stesso destino. I veterani - abbiamo
detto che si erano aggregati come distaccamento - non
approvano quest'ultima soluzione. Così, si incoraggiano
a vicenda e, sotto la guida di C. Trebonio, cavaliere
romano, loro comandante, forzano al centro la linea
nemica e, sani e salvi dal primo all'ultimo, raggiungono
tutti l'accampamento. Alle loro spalle si lanciano nello
stesso attacco i caloni e i cavalieri e vengono salvati dal
valore dei veterani. Gli altri, invece, rimasti in cima al
colle, soldati ancora privi di qualsiasi esperienza
militare, non seppero attenersi alla decisione da loro
stessi approvata, cioè di difendersi dall'alto del colle, né
imitare la forza e la rapidità che avevano visto procurare
ai loro compagni la salvezza, ma, nel tentativo di
ripiegare verso il campo, scesero su un terreno
sfavorevole. I centurioni, alcuni dei quali, per il loro
valore, erano stati promossi dagli ordini inferiori delle
altre legioni agli ordini superiori di questa, caddero sul
campo, combattendo con straordinario coraggio, per non
perdere l'onore delle armi che si erano prima conquistati.
Parte dei soldati, mentre i nemici venivano respinti dal
valore dei centurioni, contro ogni speranza raggiunse
salva l'accampamento, parte fu circondata dai barbari e
uccisa.
XLI
Germani desperata expugnatione castrorum, quod
nostros iam constitisse in munitionibus videbant, cum ea
praeda quam in silvis deposuerant trans Rhenum sese
receperunt. Ac tantus fuit etiam post discessum hostium
terror ut ea nocte, cum Gaius Volusenus missus cum
equitatu ad castra venisset, fidem non faceret adesse
cum incolumi Caesarem exercitu. Sic omnino animos
timor praeoccupaverat ut paene alienata mente deletis
omnibus copiis equitatum se ex fuga recepisse dicerent
neque incolumi exercitu Germanos castra oppugnaturos
fuisse contenderent. Quem timorem Caesaris adventus
sustulit.
I Germani, persa la speranza di espugnare il campo,
poiché vedevano i nostri ormai ben saldi sui baluardi, si
ritirarono oltre il Reno con il bottino che avevano
nascosto nelle selve. E anche dopo la partenza dei
nemici, i nostri rimasero così atterriti, che C. Voluseno,
quando giunse, quella notte stessa, al campo con la
cavalleria, non riuscì a far credere che Cesare stesse
arrivando con l'esercito indenne. Il panico si era
impadronito degli animi di tutti al punto che erano quasi
usciti di senno: dicevano che l'esercito era stato
annientato e che la cavalleria era riuscita a salvarsi
fuggendo, sostenevano che, se l'esercito non fosse stato
distrutto, i Germani non avrebbero attaccato il nostro
campo. L'arrivo di Cesare dissolse ogni paura.
XLII
Reversus ille eventus belli non ignorans unum, quod
cohortes ex statione et praesidio essent emissae, questus
ne minimo quidem casu locum relinqui debuisse,
multum fortunam in repentino hostium adventu potuisse
iudicavit, multo etiam amplius, quod paene ab ipso vallo
portisque castrorum barbaros avertisset. Quarum
omnium rerum maxime admirandum videbatur, quod
Germani, qui eo consilio Rhenum transierant, ut
Ambiorigis fines depopularentur, ad castra Romanorum
delati optatissimum Ambiorigi beneficium obtulerunt.
Appena rientrato, Cesare, ben sapendo come vanno le
cose in guerra, si lamentò solo di un fatto, che le coorti
fossero state spedite fuori dalla guarnigione e dal
presidio: non bisognava lasciare al caso il benché
minimo spazio. Giudicò determinante il ruolo della
Fortuna nel repentino attacco nemico, ma ancor più nel
respingere i barbari quasi dal vallo e dalle porte
dell'accampamento. Tra tutte le circostanze, però, la più
singolare gli parve che i Germani, varcato il Reno con
l'intenzione di saccheggiare i territori di Ambiorige, si
fossero, poi, volti contro l'accampamento dei Romani,
rendendo ad Ambiorige stesso il beneficio più
desiderato.
XLIII
Caesar rursus ad vexandos hostes profectus magno
coacto numero ex finitimis civitatibus in omnes partes
dimittit. Omnes vici atque omnia aedificia quae quisque
conspexerat incendebantur; praeda ex omnibus locis
agebatur; frumenta non solum tanta multitudine
iumentorum atque hominum consumebantur, sed etiam
anni tempore atque imbribus procubuerant ut, si qui
etiam in praesentia se occultassent, tamen his deducto
exercitu rerum omnium inopia pereundum videretur. Ac
saepe in eum locum ventum est tanto in omnes partes
diviso equitatu, ut modo visum ab se Ambiorigem in
fuga circumspicerent captivi nec plane etiam abisse ex
conspectu contenderent, ut spe consequendi illata atque
infinito labore suscepto, qui se summam ab Caesare
gratiam inituros putarent, paene naturam studio
vincerent, semperque paulum ad summam felicitatem
defuisse videretur, atque ille latebris aut saltibus se
eriperet et noctu occultatus alias regiones partesque
peteret non maiore equitum praesidio quam quattuor,
quibus solis vitam suam committere audebat.
Cesare ripartì con lo scopo di devastare i territori nemici
e, radunati forti contingenti di cavalleria dai popoli
limitrofi, li invia in ogni direzione. Tutti i villaggi, tutti
gli edifici isolati, appena scorti, erano dati alle fiamme,
gli animali venivano sgozzati, si faceva razzia ovunque,
il grano non lo consumavano solo i moltissimi giumenti
e soldati, ma cadeva anche nei campi per la stagione
avanzata e le piogge. Così, se anche qualcuno, al
momento, era riuscito a nascondersi, sembrava tuttavia
destinato, dopo la partenza dell'esercito romano, a morte
sicura, per totale mancanza di sostentamento. E,
suddivisa e inviata la cavalleria in tutte le direzioni, più
d'una volta si giunse al punto che i prigionieri cercassero
con gli occhi Ambiorige, che avevano appena scorto in
fuga, e sostenessero che non poteva essere già fuori di
vista. I cavalieri speravano di catturarlo e si
impegnavano senza respiro, ritenendo di poter entrare
nelle grazie di Cesare, e con il loro zelo piegavano, per
così dire, la natura, ma, a quanto pareva, si trovavano
sempre a un passo dal successo. Ambiorige si sottraeva
alla caccia rifugiandosi in anfratti o boscaglie, con il
favore delle tenebre si spostava in altre regioni e zone,
senz'altra scorta che quattro cavalieri, i soli a cui osasse
affidare la propria vita.
XLIV
Tali modo vastatis regionibus exercitum Caesar duarum
cohortium damno Durocortorum Remorum reducit
concilioque in eum locum Galliae indicto de
coniuratione Senonum et Carnutum quaestionem habere
instituit et de Accone, qui princeps eius consili fuerat,
graviore sententia pronuntiata more maiorum supplicium
sumpsit. Nonnulli iudicium veriti profugerunt. Quibus
cum aqua atque igni interdixisset, duas legiones ad fines
Treverorum, duas in Lingonibus, sex reliquas in
Senonum finibus Agedinci in hibernis collocavit
frumentoque exercitui proviso, ut instituerat, in Italiam
ad conventus agendos profectus est.
Devastate in tal modo le regioni, Cesare conduce
l'esercito, che aveva subito la perdita di due coorti, a
Durocortoro, città dei Remi. Qui convoca l'assemblea
della Gallia e decide di aprire un'inchiesta sulla
cospirazione dei Senoni e dei Carnuti. Accone,
responsabile del piano di sollevazione, fu condannato
alla pena capitale e giustiziato secondo l'antico costume
dei nostri padri. Alcuni, temendo il processo, fuggirono.
Cesare li condannò all'esilio. Sistemò nei quartieri
invernali due legioni presso i Treveri, due nelle terre dei
Lingoni, le altre sei nella regione dei Senoni, ad
Agedinco. Dopo aver provveduto alle scorte di grano
per l'esercito, partì alla volta dell'Italia, come suo solito,
per tenervi le sessioni giudiziarie.
Cesare - De Bello Gallico
Libro VII
I - L'assemblea dei capi
Quieta Gallia Caesar, ut constituerat, in Italiam ad
conventus agendos proficiscitur. Ibi cognoscit de Clodii
caede [de] senatusque consulto certior factus, ut omnes
iuniores Italiae coniurarent, delectum tota provincia
habere instituit. Eae res in Galliam Transalpinam
celeriter perferuntur. Addunt ipsi et ad fingunt
rumoribus Galli, quod res poscere videbatur, retineri
urbano motu Caesarem neque in tantis dissensionibus ad
exercitum venire posse. Hac impulsi occasione, qui iam
ante se populi Romani imperio subiectos dolerent
liberius atque audacius de bello consilia inire incipiunt.
Indictis inter se principes Galliae conciliis silvestribus ac
remotis locis queruntur de Acconis morte; posse hunc
casum ad ipsos recidere demonstrant: miserantur
communem Galliae fortunam: omnibus pollicitationibus
ac praemius deposcunt qui belli initium faciant et sui
capitis periculo Galliam in libertatem vindicent. In
primis rationem esse habendam dicunt, priusquam
eorum clandestina consilia efferantur, ut Caesar ab
exercitu intercludatur. Id esse facile, quod neque
legiones audeant absente imperatore ex hibernis egredi,
neque imperator sine praesidio ad legiones pervenire
possit. Postremo in acie praestare interfici quam non
veterem belli gloriam libertatemque quam a maioribus
acce perint recuperare.
Tornata la calma in Gallia, Cesare, come aveva stabilito,
parte per l'Italia a presiedere le assemblee giudiziarie.
Quivi apprende l'uccisione di Clodio; e informato dal
senatoconsulto che stabiliva l'arruolamento in massa di
tutti i giovani d'Italia, ordina anch'egli una leva in tutta
la sua provincia. Le notizie di questi avvenimenti
passano prontamente nella Transalpina. I Galli le
coloriscono e le esagerano con le voci correnti, come del
resto, comportava la situazione: Cesare è trattenuto dalle
agitazioni romane e, fra tanti disordini, non può ritornare
all'esercito. Se già prima erano malcontenti della loro
soggezione al popolo Romano, ora essi afferrano
l'occasione per ragionare più liberamente e più
audacemente di guerra. I capi della Gallia si raccolgono
in segreti conciliaboli fra le selve e in luoghi remoti, e si
lagnano della morte di Accone, asserendo che anche a
loro potrebbe toccare la medesima sorte; commiserano
la comune sciagura dei Galli; con mille promesse di
ricompense cercano chi si assuma l'iniziativa della
guerra e, a rischio della vita, ridoni la libertà alla Gallia.
Sopra tutto, bisogna trovar modo, prima che si
divulghino i loro disegni, di tagliar fuori Cesare
dall'esercito. Il che sarà facile, perché le legioni
nell'assenza del generale non osano uscire dai quartieri
invernali, e il generale non può, senza esercito,
raggiungere le legioni. Infine, è meglio morire in
battaglia che rinunciare al riacquisto dell'antica gloria
guerresca e della libertà ereditata dai padri.
II - Il giuramento dei capi
His rebus agitatis profitentur Carnutes se nullum
periculum communis salutis causa recusare principesque
ex omnibus bellum facturos pollicentur et, quoniam in
praesentia obsidibus cavere inter se non possint ne res
efferatur, ut iureiurando ac fide sanciatur, petunt, collatis
militaribus signis, quo more eorum gravissima
caerimonia continetur, ne facto initio belli ab reliquis
deserantur. Tum collaudatis Carnutibus, dato
iureiurando ab omnibus qui aderant, tempore eius rei
constituto ab concilio disceditur.
Dopo la discussione, i Carnuti si impegnano a non
arretrare davanti a nessun pericolo per la comune
salvezza, e promettono di essere i primi a cominciare la
guerra. E poiché per il momento non possono garantirsi
gli uni verso gli altri on uno scambio di ostaggi, perché
ciò varrebbe a divulgare il segreto, vogliono almeno un
solenne giuramento. Alla presenza delle bandiere, usanza che fra loro conferisce straordinaria importanza
al rito, - si giuri che, cominciata l'ostilità, nessuno mai li
vorrà abbandonare. Allora, fra grandi elogi ai Carnuti,
tutti i presenti prestano giuramento e, fissato il giorno
della sollevazione, l'adunanza si scioglie.
III - La strage di Cenabo
Vbi ea dies venit, Carnutes Cotuato et
Conconnetodumno ducibus, desperatis hominibus,
Cenabum signo dato concurrunt civesque Romanos, qui
negotiandi causa ibi constiterant, in his Gaium Fufium
Come venne quel giorno, i Carnuti, al comando di
Gutruato e di Conconnetodumno, due disperati, al
segnale corrono a Cenabo, uccidono i cittadini Romani
che vi stavano per i loro commerci, e tra loro Caio Fufio
Citam, honestum equitem Romanum, qui rei
frumentariae iussu Caesaris praeerat, interficiunt
bonaque eorum diripiunt. Celeriter ad omnes Galliae
civitates fama perfertur. Nam ubicumque maior atque
illustrior incidit res, clamore per agros regionesque
significant; hunc alii deinceps excipiunt et proximis
tradunt, ut tum accidit. Nam quae Cenabi oriente sole
gesta essent, ante primam confectam vigiliam in finibus
Arvernorum audita sunt, quod spatium est milium
passuum circiter centum LX.
Cita, ragguardevole cavaliere Romano che per incarico
di Cesare dirigeva l'incetta del grano; li uccidono, e ne
saccheggiano i beni. Prontamente la notizia si diffonde
fra tutte le popolazioni della Gallia. Infatti essi, non
appena accade un avvenimento più importante e più
clamoroso del solito, lo trasmettono a grida di banditori
per campagne e paesi; ricevuto il messaggio, gli uni lo
passano successivamente agli altri loro vicini, come
allora avvenne. E così, ciò che era accaduto a Cenabo al
levar del sole, prime delle nove di sera si seppe nel
paese degli Arverni; e sì che v'è di mezzo una distanza
di circa centosessanta miglia.
IV - Vercingetorige
Simili ratione ibi Vercingetorix, Celtilli filius, Arvernus,
summae potentiae adulescens, cuius pater principatum
Galliae totius obtinuerat et ob eam causam, quod
regnum appetebat, ab civitate erat interfectus, convocatis
suis clientibus facile incendit. Cognito eius consilio ad
arma concurritur. Prohibetur ab Gobannitione, patruo
suo, reliquisque principibus, qui hanc temptandam
fortunam non existimabant; expellitur ex oppido
Gergovia; non destitit tamen atque in agris habet
dilectum egentium ac perditorum. Hac coacta manu,
quoscumque adit ex civitate ad suam sententiam
perducit; hortatur ut communis libertatis causa arma
capiant, magnisque coactis copiis adversarios suos a
quibus paulo ante erat eiectus expellit ex civitate. Rex ab
suis appellatur. Dimittit quoque versus legationes;
obtestatur ut in fide maneant. Celeriter sibi Senones,
Parisios, Pictones, Cadurcos, Turonos, Aulercos,
Lemovices, Andos reliquosque omnes qui Oceanum
attingunt adiungit: omnium consensu ad eum defertur
imperium. Qua oblata potestate omnibus his civitatibus
obsides imperat, certum numerum militum ad se celeriter
adduci iubet, armorum quantum quaeque civitas domi
quodque ante tempus efficiat constituit; in primis
equitatui studet. Summae diligentiae summam imperi
severitatem addit; magnitudine supplici dubitantes cogit.
Nam maiore commisso delicto igni atque omnibus
tormentis necat, leviore de causa auribus desectis aut
singulis effossis oculis domum remittit, ut sint reliquis
documento et magnitudine poenae perterreant alios.
Similmente Vercingetorige, figlio di Celtillo, arverno,
giovane influentissimo, il cui padre era stato l'uomo più
autorevole della Gallia e, aspirando al regno, era stato
giustiziato con pubblico decreto, convoca i suoi clienti e
facilmente li imfiamma. Conosciuto il suo disegno, si
corre alle armi. Gobannizione, suo zio, si oppone, e con
lui gli altri capi, che erano contrari ad un simile rischio.
Cacciato da Gergovia, non desiste, e arruola nelle
campagne gente miserabile e perduta. Forte di queste
truppe, trae dalla sua quanti cittadini incontra; li esorta a
prendere le armi per la comune libertà e, raccolte grandi
forze, scccia dal paese gli avverari che poco prima
avevano scacciato lui. I suoi lo acclamano re. Manda
ambascerie da ogni parte; scongiuratutti a rimaner
fedeli. Presto si aggrega i Senoni, i Parisii, i Pittoni, i
Cadurci, i Turoni, gli Aulerci, i Lemovici, gli Andii, e
tutti gli altri popoli che costeggiano l'Oceano. Tutti
d'accordo gli affidano il comando. Ottenuto il potere,
comanda ostaggi a tutte quante tribù, ordina il pronto
invio di determinati contingenti, stabilisce la quantità
d'armi che ognuna deve allestire e entro quanto tempo;
prima cosa, organizza la cavalleria. Alla sua
straordinaria attività aggiunge una straordinaria severità
nel comando, e con rigorosi castighi costringe gli
esitanti. Per un grave delitto, condanna al rogo e a mille
tormenti; per le colpe minori, fa mozzare al reo gli
orecchi, o gli strappa un occhio, e lo rimanda a casa,
affinché serva d'esempio, e con l'atrocità della pena
incuta agli altri spavento.
V
His suppliciis celeriter coacto exercitu Lucterium
Cadurcum, summae hominem audaciae, cum parte
copiarum in Rutenos mittit; ipse in Bituriges
proficiscitur. Eius adventu Bituriges ad Aeduos, quorum
erant in fide, legatos mittunt subsidium rogatum, quo
facilius hostium copias sustinere possint. Aedui de
consilio legatorum, quos Caesar ad exercitum reliquerat,
copias equitatus peditatusque subsidio Biturigibus
mittunt. Qui cum ad flumen Ligerim venissent, quod
Bituriges ab Aeduis dividit, paucos dies ibi morati neque
flumen transire ausi domum revertuntur legatisque
nostris renuntiant se Biturigum perfidiam veritos
revertisse, quibus id consili fuisse cognoverint, ut, si
flumen transissent, una ex parte ipsi, altera Arverni se
Dopo aver ben presto ridotto con tali supplizi l'esercito
alla disciplina, alla testa di parte delle truppe invia nelle
terre dei Ruteni il cadurco Lucterio, uomo di estrema
audacia; dal canto suo, si dirige nella regione dei
Biturigi. Al suo arrivo i Biturigi inviano un'ambasceria
agli Edui, di cui erano clienti: chiedono aiuti per poter
resistere con maggior facilità all'attacco nemico. Dietro
suggerimento dei legati rimasti con l'esercito per ordine
di Cesare, gli Edui inviano contingenti di cavalleria e
fanteria in appoggio ai Biturigi. I rinforzi, quando
arrivano alla Loira, fiume che segna il confine tra
Biturigi ed Edui, sostano pochi giorni e poi rientrano in
patria senza aver osato varcare il fiume. Ai nostri legati
riferiscono di aver ripiegato per timore di un tradimento
circumsisterent. Id eane de causa, quam legatis
pronuntiarunt, an perfidia adducti fecerint, quod nihil
nobis constat, non videtur pro certo esse proponendum.
Bituriges eorum discessu statim cum Arvernis iunguntur.
dei Biturigi. Ne avevano, infatti, scoperto il piano: se
avessero attraversato la Loira, si sarebbero visti
accerchiati dai Biturigi stessi da un lato, dagli Arverni
dall'altro. Avranno deciso così per le ragioni addotte ai
legati oppure per loro tradimento? Non abbiamo alcuna
prova, perciò non ci sembra giusto dare nulla per certo.
Subito dopo l'allontanamento degli Edui, i Biturigi si
uniscono agli Arverni.
VI
His rebus in Italiam Caesari nuntiatis, cum iam ille
urbanas res virtute Cn. Pompei commodiorem in statum
pervenisse intellegeret, in Transalpinam Galliam
profectus est. Eo cum venisset, magna difficultate
adficiebatur, qua ratione ad exercitum pervenire posset.
Nam si legiones in provinciam arcesseret, se absente in
itinere proelio dimicaturas intellegebat; si ipse ad
exercitum contenderet, ne eis quidem eo tempore qui
quieti viderentur suam salutem recte committi videbat.
Quando in Italia gli giunse notizia dell'accaduto, Cesare,
rendendosi conto che a Roma le cose si erano
accomodate grazie alla fermezza di Cn. Pompeo, partì
per la Gallia transalpina. Appena arrivato, si trovò in
grave difficoltà, perché non sapeva come raggiungere
l'esercito. Infatti, se avesse richiamato le legioni in
provincia, capiva che durante la marcia avrebbero
dovuto combattere senza di lui; se invece, si fosse
diretto egli stesso verso l'esercito, sapeva di non poter
affidare senza rischi la propria vita, in quel frangente,
neppure ai popoli che sembravano tranquilli.
VII
Interim Lucterius Cadurcus in Rutenos missus eam
civitatem Arvernis conciliat. Progressus in Nitiobriges et
Gabalos ab utrisque obsides accipit et magna coacta
manu in provinciam Narbonem versus eruptionem facere
contendit. Qua re nuntiata Caesar omnibus consiliis
antevertendum existimavit, ut Narbonem proficisceretur.
Eo cum venisset, timentes confirmat, praesidia in
Rutenis provincialibus, Volcis Arecomicis, Tolosatibus
circumque Narbonem, quae loca hostibus erant finitima,
constituit; partem copiarum ex provincia
supplementumque, quod ex Italia adduxerat, in Helvios,
qui fines Arvernorum contingunt, convenire iubet.
Nel frattempo, il cadurco Lucterio, inviato tra i Ruteni, li
guadagna all'alleanza con gli Arverni. Procede nelle
terre dei Nitiobrogi e dei Gabali, riceve ostaggi da
entrambi i popoli e, raccolte ingenti truppe, tenta
un'incursione in provincia, verso Narbona. Appena ne è
informato, Cesare ritenne di dover subordinare qualsiasi
piano alla partenza per Narbona. Una volta giunto,
rassicura chi nutre timori, colloca guarnigioni nelle terre
dei Ruteni provinciali, dei Volci Arecomici, dei Tolosati
e tutt'intorno a Narbona, ossia nelle zone di confine col
nemico. Ordina che parte delle truppe della provincia,
insieme ai rinforzi da lui stesso condotti dall'Italia, si
concentrino nella regione degli Elvi, popolo limitrofo
agli Arverni.
VIII
His rebus comparatis, represso iam Lucterio et remoto,
quod intrare intra praesidia periculosum putabat, in
Helvios proficiscitur. Etsi mons Cevenna, qui Arvernos
ab Helviis discludit, durissimo tempore anni altissima
nive iter impediebat, tamen discussa nive sex in
altitudinem pedum atque ita viis patefactis summo
militum sudore ad fines Arvernorum pervenit. Quibus
oppressis inopinantibus, quod se Cevenna ut muro
munitos existimabant, ac ne singulari quidem umquam
homini eo tempore anni semitae patuerant, equitibus
imperat, ut quam latissime possint vagentur et quam
maximum hostibus terrorem inferant. Celeriter haec
fama ac nuntiis ad Vercingetorigem perferuntur; quem
perterriti omnes Arverni circumsistunt atque obsecrant,
ut suis fortunis consulat, neve ab hostibus diripiautur,
praesertim cum videat omne ad se bellum translatum.
Quorum ille precibus per motus castra ex Biturigibus
movet in Arveruos versus.
Dopo aver approntato tutto ciò (mentre ormai Lucterio
era stato fermato e arretrava, perché riteneva pericoloso
inoltrarsi nelle zone presidiate), Cesare si dirige nelle
terre degli Elvi. Le Cevenne, monti che segnano il
confine tra Arverni ed Elvi, ostacolavano il cammino, la
stagione era la più inclemente, la neve molto alta;
tuttavia, spalò la neve per una profondità di sei piedi, si
aprì un varco grazie all'enorme sforzo dei soldati e
raggiunse i territori degli Arverni. Piombò inatteso sui
nemici, che si ritenevano protetti dalle Cevenne come da
un muro: mai, neppure un uomo isolato, in quella
stagione era riuscito a praticarne i sentieri. Ordina ai
cavalieri di effettuare scorrerie nel raggio più ampio e di
seminare il panico tra i nemici quanto più potevano. La
voce e le notizie, ben presto, giungono a Vercingetorige:
tutti gli Arverni, spaventati, lo attorniano e lo
scongiurano di pensare alla loro sorte, di impedire ai
Romani le razzie, tanto più ora che vedeva tutto il peso
della guerra ricadere su di loro. Sotto la pressione delle
preghiere, sposta il campo dalle terre dei Biturigi in
direzione degli Arverni.
IX
At Caesar biduum in his locis moratus, quod haec de
Vercingetorige usu ventura opinione praeceperat, per
causam supplementi equitatusque cogendi ab exercitu
discedit; Brutum adulescentem his copiis praeficit; hunc
monet, ut in omnes partes equites quam latissime
pervagentur: daturum se operam, ne longius triduo ab
castris absit. His constitutis rebus suis inopinantibus
quam maximis potest itineribus Viennam pervenit. Ibi
nactus recentem equitatum, quem multis ante diebus eo
praemiserat, neque diurno neque nocturno itinere
intermisso per fines Aeduorum in Lingones contendit,
ubi duae legiones hiemabant, ut, si quid etiam de sua
salute ab Aeduis iniretur consili, celeritate praecurreret.
Eo cum pervenisset, ad reliquas legiones mittit priusque
omnes in unum locum cogit quam de eius adventu
Arvernis nuntiari posset. Hac re cognita Vercingetorix
rursus in Bituriges exercitum reducit atque inde
profectus Gorgobinam, Boiorum oppidum, quos ibi
Helvetico proelio victos Caesar collocaverat Aeduisque
attribuerat, oppugnare instituit.
Ma Cesare si trattiene nella regione degli Arverni due
giorni: prevista la mossa di Vercingetorige, si allontana
col pretesto di raccogliere rinforzi e cavalleria. Affida il
comando al giovane Bruto e lo incarica di compiere in
ogni direzione scorrerie con la cavalleria, il più lontano
possibile: dal canto suo, avrebbe fatto di tutto per
rimaner lontano dal campo non più di tre giorni.
Impartite tali disposizioni, contro le attese dei suoi si
reca a Vienna, forzando al massimo le tappe. Sfrutta la
cavalleria fresca lì inviata molti giorni prima e, senza
mai interrompere la marcia né di giorno, né di notte,
attraversa il territorio degli Edui verso i Lingoni, dove
svernavano due legioni: così, se gli Edui gli avessero
teso qualche insidia, li avrebbe prevenuti con la rapidità
del suo passaggio. Appena giunto, invia messi alle altre
legioni e le raccoglie tutte in un solo luogo, prima che
gli Arverni potessero sapere del suo arrivo. Quando ne è
informato, Vercingetorige riconduce l'esercito nei
territori dei Biturigi e, da qui, raggiunge e comincia a
stringere d'assedio Gorgobina, una città dei Boi, popolo
che Cesare aveva qui stanziato sotto la tutela degli Edui
dopo averlo sconfitto nella guerra contro gli Elvezi.
X
Magnam haec res Caesari difficultatem ad consilium
capiendum adferebat, si reliquam partem hiemis uno
loco legiones contineret, ne stipendiariis Aeduorum
expugnatis cuncta Gallia deficeret, quod nullum amicis
in eo praesidium videretur positum esse; si maturius ex
hibernis educeret, ne ab re frumentaria duris
subvectionibus laboraret. Praestare visum est tamen
omnis difficultates perpeti, quam tanta contumelia
accepta omnium suorum voluntates alienare. Itaque
cohortatus Aeduos de supportando commeatu praemittit
ad Boios qui de suo adventu doceant hortenturque ut in
fide maneant atque hostium impetum magno animo
sustineant. Duabus Agedinci legionibus atque
impedimentis totius exer citus relictis ad Boios
proficiscitur.
La mossa di Vercingetorige metteva in grave difficoltà
Cesare, incerto sul da farsi: se per il resto dell'inverno
avesse tenuto le legioni concentrate in un solo luogo,
temeva che la caduta di un popolo vassallo degli Edui
potesse causare una defezione generale della Gallia,
visto che lui non rappresentava una garanzia di difesa
per gli alleati; d'altronde, se avesse mobilitato l'esercito
troppo presto, lo preoccupava l'approvvigionamento di
grano per i disagi del trasporto. Gli sembrò meglio,
tuttavia, affrontare qualsiasi difficoltà piuttosto che
subire un'onta così grave e alienarsi l'animo di tutti i
suoi. Perciò, incita gli Edui a occuparsi del trasporto dei
viveri e invia messaggeri ai Boi per informarli del suo
arrivo ed esortarli a mantenere i patti e a reggere con
grande coraggio all'assalto nemico. Lascia ad Agedinco
due legioni con le salmerie di tutto l'esercito e parte alla
volta dei Boi.
XI
Altero die cum ad oppidum Senonum Vellaunodunum
venisset, ne quem post se hostem relinqueret, quo
expeditiore re frumentaria uteretur, oppugnare instituit
idque biduo circumvallavit; tertio die missis ex oppido
legatis de deditione arma conferri, iumenta produci,
sescentos obsides dari iubet. Ea qui conficeret, a.
Trebonium legatum relinquit. Ipse, ut quam primum iter
faceret, Cenabum Carnutum proficiscitur; qui tum
primum allato nuntio de oppugnatione Vellaunoduni,
cum longius eam rem ductum iri existimarent,
praesidium Cenabi tuendi causa, quod eo mitterent,
Due giorni dopo, giunse a Vellaunoduno, città dei
Senoni- Non volendo lasciarsi nemici alle spalle per
facilitare i rifornimenti, cominciò l'assedio e in due
giorni costruì tutt'attorno un vallo. Il terzo giorno la città
gli invia emissari per offrire la resa, Cesare esige la
consegna delle armi, dei giumenti e di seicento ostaggi.
Lascia il legato C. Trebonio a sbrigare la faccenda e
punta subito su Cenabo, città dei Carnuti, per coprire al
più presto la distanza. Pervenuta soltanto allora notizia
dell'assedio di Vellaunoduno, i Carnuti pensavano che le
cose sarebbero andate per le lunghe e preparavano una
comparabant. Huc biduo pervenit. Castris ante oppidum
positis diei tempore exclusus in posterum
oppugnationem differt quaeque ad eam rem usui sint
militibus imperat et, quod oppidum Cenabum pons
fluminis Ligeris contingebat, veritus ne noctu ex oppido
profugerent, duas legiones in armis excubare iubet.
Cenabenses paulo ante mediam noctem silentio ex
oppido egressi flumen transire coeperunt. Qua re per
exploratores nuntiata Caesar legiones quas expeditas
esse iusserat portis incensis intromittit atque oppido
potitur, perpaucis ex hostium numero desideratis quin
cuncti caperentur, quod pontis atque itinerum angustiae
multitudinis fugam intercluserant. Oppidum diripit atque
incendit, praedam militibus donat, exercitum Ligerem
traducit atque in Biturigum fines pervenit.
guarnigione da inviare a Cenabo. Qui Cesare giunge in
due giorni. Pone il campo dinnanzi alla città, ma è
costretto a rimandare l'attacco all'indomani, vista l'ora
tarda. Comanda ai soldati di approntare il necessario per
l'assedio e dà ordine a due legioni di vegliare in armi,
temendo una fuga di notte dalla città, in quanto un ponte
sulla Loira collegava Cenabo con la sponda opposta.
Poco prima di mezzanotte i Cenabensi uscirono in
silenzio dalla città e cominciarono ad attraversare il
fiume. Appena ne è informato dagli esploratori, Cesare
invia le due legioni che, per suo ordine, si tenevano
pronte all'intervento; dà fuoco alle porte, irrompe in città
e la prende: ben pochi sfuggono alla cattura, perché il
ponte e le strade, stretti com'erano, avevano ostacolato
la fuga del grosso dei nemici. Saccheggia e incendia la
città, dona ai soldati il bottino, varca con l'esercito la
Loira e perviene nei territori dei Biturigi.
XII
Vercingetorix, ubi de Caesaris adventu cognovit,
oppuguatione destitit atque obviam Caesari proficiscitur.
Ille oppidum Biturigum positum in via Noviodunum
oppugnare instituerat. Quo ex oppido cum legati ad eum
venissent oratum ut sibi ignosceret suaeque vitae
consuleret, ut celeritate reliquas res conficeret, qua
pleraque erat consecutus, arma conferri, equos produci,
obsides dari iubet. Parte iam obsidum tradita, cum
reliqua administrarentur, centurionibus et paucis
militibus intromissis, qui arma iumentaque conquirerent,
equitatus hostium procul visus est, qui agmen
Vercingetorigis antecesserat. Quem simul atque
oppidani conspexerunt atque in spem auxili venerunt,
clamore sublato arma capere, portas claudere, murum
complere coeperunt. Centuriones in oppido, cum ex
significatione Gallorum novi aliquid ab eis iniri consili
intellexissent, gladiis destrictis portas occupaverunt
suosque omnes incolumes receperunt.
Vercingetorige, non appena è messo al corrente
dell'arrivo di Cesare, toglie l'assedio e gli si fa incontro.
Cesare aveva intrapreso il blocco di una città dei
Biturigi, Novioduno, posta lungo la sua strada. Dalla
città gli erano stati inviati emissari per scongiurarne il
perdono, la grazia. Al fine di condurre a termine il resto
delle operazioni con la rapidità che gli aveva fruttato la
maggior parte dei successi, impone la consegna di armi,
cavalli e ostaggi. Una parte degli ostaggi era già stata
inviata, al resto si stava provvedendo; in città si erano
addentrati alcuni centurioni con pochi legionari, per
raccogliere le armi e i giumenti. Ma ecco che in
lontananza si scorge la cavalleria nemica, che precedeva
l'esercito di Vercingetorige. Non appena gli abitanti la
videro e nacque in loro la speranza di rinforzi, tra alte
grida cominciarono a impugnare le armi, a chiudere le
porte, a riversarsi sulle mura. I centurioni presenti in
città, essendosi resi conto, dal loro comportamento, che i
Galli avevano preso qualche nuova decisione, sguainate
le spade, assunsero il controllo delle porte e condussero
tutti i loro in salvo.
XIII
Caesar ex castris equitatum educi iubet, proelium
equestre committit: laborantibus iam suis Germanos
equites circiter CCCC summittit, quos ab initio habere
secum instituerat. Eorum impetum Galli sustinere non
potuerunt atque in fugam coniecti multis amissis se ad
agmen receperunt. Quibus profligatis rursus oppidani
perterriti comprehensos eos, quorum opera plebem
concitatam existimabant, ad Caesarem perduxerunt
seseque ei dediderunt. Quibus rebus confectis, Caesar ad
oppidum Avaricum, quod erat maximum
munitissimumque in finibus Biturigum atque agri
fertilissima regione, profectus est, quod eo oppido
recepto civitatem Biturigum se in potestatem redacturum
confidebat.
Cesare ordina alla cavalleria di scendere in campo e
attacca battaglia; poiché i suoi erano in difficoltà, invia
in loro appoggio circa quattrocento cavalieri germani,
che fin dall'inizio della guerra era solito portare con sé. I
Galli non riuscirono a resistere all'attacco e volsero le
spalle: si rifugiarono presso il loro esercito in marcia,
ma subirono gravi perdite. Di fronte alla rotta della loro
cavalleria, gli abitanti della città, presi nuovamente dal
panico, catturarono i presunti responsabili
dell'istigazione del popolo e li consegnarono a Cesare,
arrendendosi. Sistemata la questione, Cesare si diresse
ad Avarico, la più importante e munita città dei Biturigi,
posta nella regione più fertile: era convinto che, presa
Avarico, avrebbe ridotto in suo potere i Biturigi.
XIV
Vercingetorix tot continuis incommodis Vellaunoduni,
Cenabi, Novioduni acceptis suos ad concilium convocat.
Docet longe alia ratione esse bellum gerendum atque
antea gestum sit. Omnibus modis huic rei studendum, ut
pabulatione et commeatu Romani prohibeantur. Id esse
facile, quod equitatu ipsi abundent et quod anni tempore
subleventur. Pabulum secari non posse; necessario
dispersos hostes ex aedificiis petere: hos omnes cotidie
ab equitibus deligi posse. Praeterea salutis causa rei
familiaris commoda neglegenda: vicos atque aedificia
incendi oportere hoc spatio ab via quoque versus, quo
pabulandi causa adire posse videantur. Harum ipsis
rerum copiam suppetere, quod, quorum in finibus
bellum geratur, eorum opibus subleventur: Romanos aut
inopiam non laturos aut magno periculo longius ab
castris processuros; neque interesse, ipsosne interficiant,
impedimentisne exuant, quibus amissis bellum geri non
possit. Praeterea oppida incendi oportere, quae non
munitione et loci natura ab omni sint periculo tuta, neu
suis sint ad detractandam militiam receptacula neu
Romanis proposita ad copiam commeatus praedamque
tollendam. Haec si gravia aut acerba videautur, multo
illa gravius aestimare, liberos, coniuges in servitutem
abstrahi, ipsos interfici; quae sit necesse accidere victis.
Vercingetorige, dopo tanti, continui rovesci, subiti a
Vellaunoduno, Cenabo e Novioduno, convoca i suoi a
concilio. Occorreva adottare, spiega, una strategia ben
diversa rispetto al passato. Bisognava sforzarsi, con ogni
mezzo, di impedire ai Romani la raccolta di foraggio e
viveri. Era facile: avevano una cavalleria molto
numerosa e la stagione giocava in loro favore. I Romani
non avevano la possibilità di trovare foraggio nei campi,
dovevano dividersi e cercarlo casa per casa: tutte queste
truppe, di giorno in giorno, le poteva annientare la
cavalleria. Poi, per la salvezza comune, era necessario
trascurare i beni privati; occorreva incendiare villaggi e
case in ogni direzione, dove sembrava che i Romani si
sarebbero recati in cerca di foraggio. Le loro scorte,
invece, erano sufficienti, perché sarebbero stati riforniti
dal popolo nelle cui terre si fosse combattuto. I Romani
o non avrebbero potuto far fronte alla mancanza di
viveri o si sarebbero allontanati troppo
dall'accampamento, esponendosi a grossi rischi. E non
faceva alcuna differenza tra ucciderli o privarli delle
salmerie, perché senza di esse non si poteva condurre
una guerra. Inoltre, bisognava incendiare le città che, per
fortificazioni o conformazione naturale, non erano del
tutto sicure, in modo da non offrire ai disertori galli un
rifugio e ai Romani l'opportunità di trovare viveri o far
bottino. Se tali misure sembravano dure o severe,
dovevano pensare quanto più dura sarebbe stata la
schiavitù per i figli e le mogli e la morte per loro stessi,
destino dei vinti.
XV
Omnium consensu hac sententia probata uno die amplius
XX urbes Biturigum iucenduntur. Hoc idem fit in
reliquis civitatibus: in omnibus partibus incendia
conspiciuntur; quae etsi magno cum dolore omnes
ferebant, tamen hoc sibi solati proponebant, quod se
prope explorata victoria celeriter amissa reciperaturos
confidebant. Deliberatur de Avarico in communi
concilio, incendi placeret an defendi. Procumbunt
omnibus Gallis ad pedes Bituriges, ne pulcherrimam
prope totius Galliae urbem, quae praesidio et ornamento
sit civitati, suis manibus succendere cogerentur: facile se
loci natura defensuros dicunt, quod prope ex omnibus
partibus flumine et palude circumdata unum habeat et
perangustum aditum. Datur petentibus venia dissuadente
primo Vercingetorige, post concedente et precibus
ipsorum et misericordia vulgi. Defensores oppido idonei
deliguntur.
Il parere di Vercingetorige riscuote il consenso generale:
in un solo giorno vengono date alle fiamme più di venti
città dei Biturigi. Lo stesso avviene nei territori degli
altri popoli: ovunque si scorgono incendi. Anche se tutti
provavano grande dolore per tali provvedimenti, tuttavia
si consolavano nella convinzione di avere la vittoria
pressoché in pugno e di poter recuperare a breve termine
i beni perduti. Nell'assemblea comune si delibera su
Avarico, se incendiarla o difenderla. I Biturigi si gettano
ai piedi di tutti i capi galli, li pregano di non costringerli
a incendiare, di propria mano, la più bella o quasi tra le
città di tutta la Gallia, presidio e vanto del loro popolo.
Sostengono che si sarebbero difesi con facilità grazie
alla conformazione naturale della zona: la città,
circondata su quasi tutti i lati da un fiume e da una
palude, aveva un unico accesso, molto angusto. La loro
richiesta viene accolta: Vercingetorige, in un primo
momento contrario, aveva poi acconsentito, sia per le
loro preghiere, sia per la compassione che tutti
provavano. Si scelgono per la città i difensori adatti.
XVI
Vercingetorix minoribus Caesarem itineribus
subsequitur et locum castris deligit paludibus silvisque
munitum ab Avarico longe milia passuum XVI. Ibi per
certos exploratores in singula diei tempora quae ad
Vercingetorige segue Cesare a piccole tappe e sceglie
per l'accampamento un luogo munito da paludi e selve, a
sedici miglia da Avarico. Lì, mediante una rete stabile di
esploratori, ora per ora si teneva al corrente delle novità
Avaricum agerentur cognoscebat et quid fieri vellet
imperabat. Omnes nostras pabulationes
frumentationesque observabat dispersosque, cum
longius necessario procederent, adoriebatur magnoque
incommodo adficiebat, etsi, quantum ratione provideri
poterat, ab nostris occurrebatur, ut incertis temporibus
diversisque itineribus iretur.
di Avarico e diramava gli ordini. Sorvegliava tutti i
nostri spostamenti: quando i legionari si disunivano,
dovendo per forza di cose allontanarsi in cerca di
foraggio e grano, li assaliva procurando loro gravi
perdite, sebbene i nostri, per quanto si poteva
provvedere, adottassero ogni misura per muoversi a
intervalli irregolari e seguire vie diverse.
XVII
Castris ad eam partem oppidi positis Caesar, quae
intermissa [a] flumine et a paludibus aditum, ut supra
diximus, angustum habebat, aggerem apparare, vineas
agere, turres duas constituere coepit: nam circumvallare
loci natura prohibebat. De re frumentaria Boios atque
Aeduos adhortari non destitit; quorum alteri, quod nullo
studio agebant, non multum adiuvabant, alteri non
magnis facultatibus, quod civitas erat exigua et infirma,
celeriter quod habuerunt consumpserunt. Summa
difficultate rei frumentariae adfecto exercitu tenuitate
Boiorum, indiligentia Aeduorum, incendiis aedificiorum,
usque eo ut complures dies frumento milites caruerint et
pecore ex longinquioribus vicis adacto extremam famem
sustentarent, nulla tamen vox est ab eis audita populi
Romani maiestate et superioribus victoriis indigna. Quin
etiam Caesar cum in opere singulas legiones appellaret
et, si acerbius inopiam ferrent, se dimissurum
oppugnationem diceret, universi ab eo, ne id faceret,
petebant: sic se complures anuos illo imperante
meruisse, ut nullam ignominiam acciperent, nusquam
infecta re discederent: hoc se ignominiae laturos loco, si
inceptam oppugnationem reliquissent: praestare omnes
perferre acerbitates, quam non civibus Romanis, qui
Cenabi perfidia Gallorum interissent, parentarent. Haec
eadem centurionibus tribunisque militum mandabant, ut
per eos ad Caesarem deferrentur.
Cesare pose l'accampamento nei pressi della zona che,
libera dal fiume e dalle paludi, lasciava uno stretto
passaggio, come abbiamo in precedenza illustrato.
Cominciò a costruire il terrapieno, a spingere in avanti le
vinee, a fabbricare due torri; la natura del luogo, infatti,
impediva di circondare la città con un vallo. Quanto
all'approvvigionamento di grano, non cessò di
raccomandarsi ai Boi e agli Edui: quest'ultimi, che
agivano senza zelo alcuno, non risultavano di grande
aiuto; i primi, invece, non disponendo di grandi mezzi,
perché erano un popolo piccolo e debole, esaurirono in
breve tempo le proprie scorte. Una totale penuria di
viveri, dovuta alla povertà dei Boi, alla negligenza degli
Edui e agli incendi degli edifici, attanagliò l'esercito a tal
punto, che per parecchi giorni i nostri soldati rimasero
senza grano e placarono i morsi della fame grazie ai capi
di bestiame tratti dai villaggi più lontani. Tuttavia, non si
udì da parte loro nessuna parola indegna della maestà
del popolo romano e delle loro precedenti vittorie. Anzi,
quando Cesare interpellò ciascuna legione durante i
lavori e disse che avrebbe tolto l'assedio, se la mancanza
di viveri risultava troppo dura, tutti, nessuno eccetto, lo
scongiurarono di non farlo: sotto il suo comando, in tanti
anni, non avevano patito affronti, né si erano ritirati
senza portare a termine un'impresa; l'avrebbero
considerata una vergogna interrompere l'assedio in
corso; era meglio sopportare privazioni d'ogni sorta
piuttosto che rinunciare alla vendetta dei cittadini
romani massacrati a Cenabo dalla slealtà dei Galli.
Simili considerazioni vennero espresse ai centurioni e ai
tribuni militari, perché le riferissero a Cesare.
XVIII
Cum iam muro turres appropinquassent, ex captivis
Caesar cognovit Vercingetorigem consumpto pabulo
castra movisse propius Avaricum atque ipsum cum
equitatu expeditisque, qui inter equites proeliari
consuessent, insidiarum causa eo profectum, quo nostros
postero die pabulatum venturos arbitraretur. Quibus
rebus cognitis media nocte silentio profectus ad hostium
castra mane pervenit. Illi celeriter per exploratores
adventu Caesaris cognito carros impedimentaque sua in
artiores silvas abdiderunt, copias omnes in loco edito
atque aperto instruxerunt. Qua re nuntiata Caesar
celeriter sarcinas conferri, arma expediri iussit.
Quando già accostavano le torri alle mura, Cesare venne
a sapere dai prigionieri che Vercingetorige, terminato il
foraggio, aveva spostato il campo e si era avvicinato ad
Avarico: alla testa della cavalleria e della fanteria
leggera, abituata a combattere tra i cavalieri, si era
diretto dove riteneva che il giorno seguente i nostri si
sarebbero recati in cerca di foraggio e si apprestava a
un'imboscata. Saputo ciò, a mezzanotte Cesare parte in
silenzio e giunge al campo nemico la mattina successiva.
I Galli, immediatamente informati dell'arrivo di Cesare
dagli esploratori, nascosero i carri e le salmerie nel folto
dei boschi, poi dispiegarono tutte le truppe in una zona
elevata e aperta. Appena lo venne a sapere, Cesare
ordinò di radunare in fretta i bagagli e di preparare le
armi.
XIX
Collis erat leniter ab infimo acclivis. Hunc ex omnibus
fere partibus palus difficilis atque impedita cingebat non
latior pedibus quinquaginta. Hoc se colle interruptis
pontibus Galli fiducia loci continebant generatimque
distributi in civitates omnia vada ac saltus eius paludis
obtinebant sic animo parati, ut, si eam paludem Romani
perrumpere conarentur, haesitantes premerent ex loco
superiore; ut qui propinquitatem loci videret paratos
prope aequo Marte ad dimicandum existimaret, qui
iniqui tatem condicionis perspiceret inani simulatione
sese ostentare cognosceret. Indignantes milites Gaesar,
quod conspectum suum hostes perferre possent tantulo
spatio interiecto, et signum proeli ecentes edocet, quanto
detrimento et quot virorum tortium morte necesse sit
constare victoriam; quos cum sic animo paratos videat,
ut nullum pro sua laude periculum recusent, summae se
iniquitatis condemnari debere, nisi eorum vitam sua
salute habeat cariorem. Sic milites consolatus eodem die
reducit in castra reliquaque quae ad oppugnationem
pertinebant oppidi administrare instituit.
Il colle si alzava dal basso in dolce pendio. Lo cingeva
su quasi tutti i lati una palude difficile da superare e
impraticabile, non più larga di cinquanta piedi. I Galli,
tagliati i ponti, si tenevano sul colle, confidando nella
loro posizione. Divisi per popoli, presidiavano tutti i
guadi e i passaggi della palude, pronti a premere
dall'alto i Romani impantanati, se avessero tentato di
varcarla. Così, chi avesse notato solo la vicinanza dei
due eserciti, avrebbe ritenuto i nemici risoluti allo
scontro a condizioni uguali o quasi, ma chi avesse
considerato la disparità delle posizioni, avrebbe capito
che il loro farsi ostentatamente vedere era una vana
simulazione. I legionari, irritati che il nemico riuscisse a
reggere alla loro vista così da vicino, chiedono il segnale
d'attacco, ma Cesare spiega quante perdite, quanti
uomini valorosi ci sarebbe inevitabilmente costata la
vittoria; vedendoli così pronti ad affrontare qualsiasi
pericolo per la sua gloria, avrebbe dovuto essere tacciato
di estrema ingiustizia, se non avesse tenuto alla loro vita
più che alla propria. Così, dopo aver confortato i soldati,
quel giorno stesso li riconduce all'accampamento e inizia
a impartire le rimanenti disposizioni per l'assedio della
città.
XX
Vercingetorix, cum ad suos redisset, proditionis
insimulatus, quod castra propius Romanos movisset,
quod cum omni equitatu discessisset, quod sine imperio
tantas copias reliquisset, quod eius discessu Romani
tanta opportunitate et celeritate venissent: non haec
omnia fortuito aut sine consilio accidere potuisse;
regnum illum Galliae malle Caesaris concessu quam
ipsorum habere beneficio--tali modo accusatus ad haec
respondit: Quod castra movisset, factum inopia pabuli
etiam ipsis hortantibus; quod propius Romanos
accessisset, persuasum loci opportunitate, qui se ipsum
munitione defenderet: equitum vero operam neque in
loco palustri desiderari debuisse et illic fuisse utilem,
quo sint profecti. Summam imperi se consulto nulli
discedentem tradidisse, ne is multitudinis studio ad
dimicandum impelleretur; cui rei propter animi
mollitiem studere omnes videret, quod diutius laborem
ferre non possent. Romani si casu intervenerint,
fortunae, si alicuius indicio vocati, huic habendam
gratiam, quod et paucitatem eorum ex loco superiore
cognoscere et virtutem despicere potuerint, qui dimicare
non ausi turpiter se in castra receperint. Imperium se ab
Caesare per proditionem nullum desiderare, quod habere
victoria posset, quae iam esset sibi atque omnibus Gallis
explorata: quin etiam ipsis remittere, si sibi magis
honorem tribuere, quam ab se salutem accipere
videantur. "Haec ut intellegatis", inquit, "a me sincere
pronuntiari, audite Romanos milites". Producit servos,
quos in pabulatione paucis ante diebus exceperat et fame
vinculisque excruciaverat. Hi iam ante edocti quae
interrogati pronuntiarent, milites se esse legionarios
dicunt; fame et inopia adductos clam ex castris exisse, si
Appena ritorna tra i suoi, Vercingetorige viene accusato
di tradimento: aveva spostato il campo troppo vicino ai
Romani, si era allontanato con tutta la cavalleria, aveva
lasciato truppe così numerose senza un capo, alla sua
partenza erano piombati tanto tempestivi e rapidi i
Romani - tutto ciò non poteva essersi verificato per caso
o senza un piano prestabilito, la verità era che preferiva
regnare sulla Gallia per concessione di Cesare piuttosto
che per beneficio loro. A tali accuse così Vercingetorige
risponde: se aveva mosso il campo, dipendeva dalla
mancanza di foraggio, e loro stessi lo avevano
sollecitato; si era sì avvicinato troppo ai Romani, ma lo
aveva indotto la posizione vantaggiosa, che da sola
permetteva la difesa senza bisogno di fortificazioni; non
si doveva, poi, rimpiangere l'apporto della cavalleria
nelle paludi, quando era stata utile là dove l'aveva
condotta. Quanto al comando, alla sua partenza non
l'aveva lasciato a nessuno deliberatamente, per evitare
che il capo designato fosse indotto dall'ardore della
moltitudine allo scontro, che tutti desideravano - lo
vedeva - per la debolezza del carattere e perché incapaci
di sopportare più a lungo le fatiche della guerra. Se i
Romani erano intervenuti guidati dal caso, bisognava
ringraziare la Fortuna, se erano stati richiamati dalle
informazioni di un delatore, si doveva essere grati a
costui, perché così, dall'alto, i Galli avevano potuto
constatare quanto fossero pochi e codardi i Romani, che
non avevano osato misurarsi e si erano vergognosamente
ritirati nell'accampamento. Non aveva affatto bisogno di
ricevere da Cesare, con il tradimento, il comando che
poteva ottenere con la vittoria, ormai nelle mani sue e di
tutti i Galli. Anzi, era disposto a deporre la carica, se
quid frumenti aut pecoris in agris reperire possent: simili
omnem exercitum inopia premi, nec iam vires sufficere
cuiusquam nec ferre operis laborem posse: itaque
statuisse imperatorem, si nihil in oppugnatione oppidi
profecissent, triduo exercitum deducere. "Haec", inquit,
"a me", Vercingetorix, "beneficia habetis, quem
proditionis insimulatis; cuius opera sine vestro sanguine
tantum exercitum victorem fame consumptum videtis;
quem turpiter se ex fuga recipientem ne qua civitas suis
finibus recipiat a me provisum est".
pensavano di avergli concesso un potere troppo grande
rispetto alla salvezza che da lui ricevevano. "E perché
comprendiate la sincerità delle mie parole - esclamò ascoltate i soldati romani". Introduce alcuni servi
catturati pochi giorni prima mentre erano in cerca di
foraggio e torturati con la fame e le catene. I servi, già
istruiti in precedenza su cosa dovevano rispondere, si
dichiarano legionari: erano usciti di nascosto dal campo,
spinti dalla fame e dalla mancanza di viveri, nella
speranza di trovare nelle campagne un po' di grano o del
bestiame; tutto l'esercito versava nelle stesse condizioni
di precarietà, nessuno aveva più forze, ormai, né poteva
reggere alla fatica dei lavori; perciò, il comandante
aveva deciso che, se l'assedio non sortiva effetto, dopo
tre giorni avrebbe ritirato l'esercito. Vercingetorige
aggiunge: "Ecco i benefici che io vi ho procurato, e voi
mi accusate di tradimento. Grazie a me, senza versare
una goccia di sangue, ora vedete annientato dalla fame
un esercito forte e vittorioso. E quando si ritirerà
vergognosamente in fuga, ho già provveduto in modo
che nessun popolo lo accolga nelle proprie terre".
XXI
Conclamat omnis multitudo et suo more armis
concrepat, quod facere in eo consuerunt cuius orationem
approbant: summum esse Vercingetorigem ducem, nec
de eius fide dubitandum, nec maiore ratione bellum
administrari posse. Statuunt, ut X milia hominum delecta
ex omnibus copiis in oppidum mittantur, nec solis
Biturigibus communem salutem committendam censent,
quod paene in eo, si id oppidum retinuissent, summam
victoriae constare intellegebant.
Tutta la moltitudine acclama e, secondo il loro costume,
fa risonare le armi, come di solito fanno quando
approvano il discorso di qualcuno: Vercingetorige era il
capo supremo, non si doveva dubitare della sua lealtà,
né era possibile condurre le operazioni con una strategia
migliore. Decidono di inviare in città diecimila uomini
scelti tra tutte le truppe, ritenendo inopportuno delegare
ai soli Biturigi la lotta per la salvezza comune: capivano
che loro sarebbe stata la vittoria finale, se la città non
cadeva.
XXII
Singulari militum nostrorum virtuti consilia cuius que
modi Gallorum occurrebant, ut est summae genus
sollertiae atque ad omnia imitanda et efficienda, quae ab
quoque traduntur, aptissimum. Nam et laqueis falces
avertebant, quas, cum destinaverant, tormentis introrsus
reducebant, et aggerem cuniculis subtrahebant, eo
scientius quod apud eos magnae sunt ferrariae atque
omne genus cuniculorum notum atque usitatum est.
Totum autem murum ex omni parte turribus
contabulaverant atque has coriis intexerant. Tum crebris
diurnis nocturnisque eruptionibus aut aggeri ignem
inferebant aut milites occupatos in opere adoriebantur, et
nostrarum turrium altitudinem, quantum has cotidianus
agger expresserat, commissis suarum turrium malis
adaequabant, et apertos cuniculos praeusta et praeacuta
materia et pice fervefacta et maximi ponderis saxis
morabantur moenibusque appropinquare prohibebant.
Allo straordinario valore dei nostri soldati, i Galli
opponevano espedienti d'ogni sorta: sono una razza
molto ingegnosa, abilissima nell'imitare e riprodurre
qualsiasi cosa abbiano appreso da chiunque. Infatti,
dalle mura rimuovevano le falci per mezzo di lacci e,
quando le avevano ben serrate nei loro nodi. le tiravano
all'interno mediante argani. Provocavano frane nel
terrapieno scavando cunicoli, con tanta maggior abilità,
in quanto nelle loro regioni ci sono molte miniere di
ferro, per cui conoscono e usano ogni tipo di cunicolo.
Poi, lungo tutto il perimetro di cinta avevano innalzato
torri e le avevano protette con pelli. Inoltre, di giorno e
di notte operavano frequenti sortite, nel tentativo di
appiccare il fuoco al terrapieno o di assalire i nostri
impegnati nei lavori. E quanto più le nostre torri ogni
giorno salivano grazie al terrapieno, tanto più i Galli
alzavano le loro con l'aggiunta di travi. Infine,
utilizzando pali dalla punta acutissima e indurita al
fuoco, pece bollente e massi enormi, bloccavano i
cunicoli aperti dai nostri e ci impedivano di accostarci
alle mura.
XXIII
Muri autem omnes Gallici hac fere forma sunt. Trabes
derectae perpetuae in longitudinem paribus intervallis,
distantes inter se binos pedes, in solo collocantur. Hae
revinciuntur introrsus et multo aggere vestiuntur: ea
autem, quae diximus, inter valla grandibus in fronte
saxis effarciuntur. His collocatis et coagmentatis alius
insuper ordo additur, ut idem illud intervallum servetur
neque inter se contingant trabes, sed paribus intermissae
spatiis singulae singulis saxis interiectis arte
contineantur. Sic deinceps omne opus contexitur, dum
iusta muri altitudo expleatur. Hoc cum in speciem
varietatemque opus deforme non est alternis trabibus ac
saxis, quae rectis lineis suos ordines servant, tum ad
utilitatem et defensionem urbium summam habet
opportunitatem, quod et ab incendio lapis et ab ariete
materia defendit, quae perpetuis trabibus pedes
quadragenos plerumque introrsus revincta neque
perrumpi neque distrahi potest.
Le mura dei Galli sono tutte costruite all'incirca così:
pongono a terra, su tutta la lunghezza della cinta, travi
ad essa perpendicolari, a un intervallo regolare di due
piedi. Ne collegano le estremità all'interno e le ricoprono
con molta terra. I suddetti spazi tra l'una e l'altra trave, li
chiudono all'esterno con grosse pietre. Una volta inserite
e ben connesse le prime travi, sopra ne aggiungono
un'altra serie, facendo in modo che mantengano la stessa
distanza e non si tocchino, ma che ciascuna, a pari
intervallo, poggi sulle pietre frapposte e risulti
saldamente unita. Così, di seguito, tutta l'opera viene
costruita fino all'altezza voluta. Le mura, per forma e
varietà, non hanno un aspetto sgradevole, con
quest'alternanza di travi e massi che conservano paralleli
i propri ordini; al tempo stesso risultano molto utili ed
efficaci per la difesa delle città, perché la pietra le
preserva dagli incendi, il legno le difende dall'ariete, che
non può spezzare o sconnettere le travi, unite in modo
continuo all'interno per una lunghezza di quaranta piedi
in genere.
XXIV
His tot rebus impedita oppugnatione milites, cum toto
tempore frigore et assiduis imbribus tardarentur, tamen
continenti labore omnia haec superaverunt et diebus
XXV aggerem latum pedes CCCXXX, altum pedes
LXXX exstruxerunt. Cum is murum hostium paene
contingeret, et Caesar ad opus consuetudine excubaret
milites que hortaretur, ne quod omnino tempus ab opere
intermitteretur, paulo ante tertiam vigiliam est
animadversum fumare aggerem, quem cuniculo hostes
succenderant, eodemque tempore toto muro clamore
sublato duabus portis ab utroque latere turrium eruptio
fiebat, alii faces atque aridam materiem de muro in
aggerem eminus iaciebant, picem reliquasque res, quibus
ignis excitari potest, fundebant, ut quo primum
curreretur aut cui rei ferretur auxilium vix ratio iniri
posset. Tamen, quod instituto Caesaris semper duae
legiones pro castris excubabant pluresque partitis
temporibus erant in opere, celeriter factum est, ut alii
eruptionibus resisterent, alii turres reducerent
aggeremque inter scinderent, omnis vero ex castris
multitudo ad restinguendum concurreret.
Tutto ciò rendeva difficile l'assedio, ma i nostri, pur
frenati continuamente dal freddo e dalle piogge
incessanti, lavorarono senza sosta: superato ogni
ostacolo, in venticinque giorni costruirono un terrapieno
lungo trecentotrenta piedi e alto ottanta. L'opera
raggiungeva quasi le mura nemiche; Cesare, come suo
solito, vegliava sul luogo dei lavori e incitava i soldati a
non fermarsi neppure per un istante. Ma ecco che poco
prima di mezzanotte si vide uscire del fumo dal
terrapieno: i nemici gli avevano dato fuoco da un
cunicolo. Mentre da tutte le mura si levavano alte grida,
i Galli contemporaneamente tentarono una sortita dalle
due porte ai lati delle torri. Altri, dall'alto della cinta,
lanciavano sul terrapieno fiaccole e legna secca,
cospargendole di pece e di altre sostanze infiammabili:
era ben difficile decidere dove dirigersi, dove recar
aiuto. Tuttavia, per abitudine di Cesare, due legioni
stavano sempre all'erta di fronte all'accampamento,
mentre parecchie, a turno, continuavano i lavori. Così,
rapidamente accadde che parte dei nostri tenesse testa ai
nemici usciti dalla città, parte ritraesse le torri e
scindesse il terrapieno, mentre il grosso dell'esercito
presente al campo accorreva per estinguere l'incendio.
XXV
Cum in omnibus locis consumpta iam reliqua parte
noctis pugnaretur, semperque hostibus spes victoriae
redintegraretur, eo magis, quod deustos pluteos turrium
videbant nec facile adire apertos ad auxiliandum
animadvertebant, semperque ipsi recentes defessis
succederent omnemque Galliae salutem in illo vestigio
temporis positam arbitrarentur, accidit inspectantibus
nobis quod dignum memoria visum praetereundum non
existimavimus. Quidam ante portam oppidi Gallus per
manus sebi ac picis traditas glebas in ignem e regione
Si combatteva in ogni settore, quando era trascorsa
ormai la parte restante della notte. Nei nemici, man
mano, si rafforzava la speranza di vittoria, tanto più che
vedevano i plutei delle torri distrutti dal fuoco e
intuivano le difficoltà dei nostri, che dovevano uscire
allo scoperto per portar soccorso. Forze fresche
nemiche, via via, davano il cambio a chi era stanco, ed
erano convinti che tutte le sorti della Gallia dipendessero
da quel frangente. Allora, sotto i nostri occhi, accadde
un fatto degno di ricordo, che crediamo di non dover
turris proiciebat: scorpione ab latere dextro traiectus
exanimatusque concidit. Hunc ex proximis unus
iacentem transgressus eodem illo munere fungebatur;
eadem ratione ictu scorpionis exanimato alteri successit
tertius et tertio quartus, nec prius ille est a
propugnatoribus vacuus relictus locus quam restincto
aggere atque omni ex parte summotis hostibus finis est
pugnandi factus.
tacere. Davanti a una porta della città, un Gallo
scagliava in direzione di una torre palle di sego e pece
passate di mano in mano: trafitto al fianco destro dal
dardo di uno scorpione, cadde senza vita. Uno dei più
vicini scavalcò il compagno morto e ne prese il posto.
Quando anch'egli, allo stesso modo, cadde colpito dallo
scorpione, gli subentrò un terzo, e al terzo un quarto. I
difensori non abbandonarono quella posizione fino a
che, estinto l'incendio sul terrapieno e respinto il loro
attacco in tutto quel settore, la battaglia non ebbe
termine.
XXVI
Omnia experti Galli, quod res nulla successerat, postero
die consilium ceperunt ex oppido profugere hortante et
iubente Vercingetorige. Id silentio noctis conati non
magna iactura suorum sese effecturos sperabant,
propterea quod neque longe ab oppido castra
Vercingetorigis aberant, et palus, quae perpetua
intercedebat, Romanos ad insequendum tardabat.
Iamque hoc facere noctu apparabant, cum matres
familiae repente in publicum procurrerunt flentesque
proiectae ad pedes suorum omnibus precibus petierunt,
ne se et communes liberos hostibus ad supplicium
dederent, quos ad capiendam fugam naturae et virium
infirmitas impediret. Vbi eos in sententia perstare
viderunt, quod plerumque in summo periculo timor
misericordiam non recipit, conclamare et significare de
fuga Romanis coeperunt. Quo timore perterriti Galli, ne
ab equitatu Romanorum viae praeoccuparentur, consilio
destiterunt.
I Galli le provarono tutte, ma senza successo: il giorno
seguente decisero di evacuare la città, su consiglio e
ordine di Vercingetorige. Speravano che la manovra non
costasse loro gravi perdite, se tentata nel silenzio della
notte: il campo di Vercingetorige, infatti, non era
lontano dalla città, e una palude, che si frapponeva
interminabile, ritardava l'inseguimento dei Romani. Già
si apprestavano di notte alla ritirata, quando
all'improvviso le madri di famiglia scesero nelle strade,
si gettarono in lacrime ai piedi dei loro e li
scongiurarono con preghiere d'ogni sorta di non
abbandonare alla ferocia nemica loro stesse e i figli
comuni, che non potevano fuggire, deboli com'erano per
il sesso o l'età. Quando videro che gli uomini non
recedevano dalla decisione - in caso di pericolo estremo,
in genere, il timore non lascia spazio alla compassione cominciarono a gridare e a segnalare ai Romani la fuga.
I Galli, preoccupati che la cavalleria romana li
prevenisse e occupasse le strade, rinunciarono al loro
proposito.
XXVII
Postero die Caesar promota turri perfectisque operibus
quae facere instituerat, magno coorto imbre non inutilem
hanc ad capiendum consilium tempestatem arbitratus est,
quod paulo incautius custodias in muro dispositas
videbat, suosque languidius in opere versari iussit et
quid fieri vellet ostendit. Legionibusque intra vineas in
occulto expeditis, cohortatus ut aliquando pro tantis
laboribus fructum victoriae perciperent, eis qui primi
murum ascendissent praemia proposuit militibusque
signum dedit. Illi subito ex omnibus partibus
evolaverunt murumque celeriter compleverunt.
Il giorno successivo, quando Cesare aveva già spinto in
avanti una torre e raddrizzato il terrapieno che aveva
cominciato a costruire, si abbatté un violento
acquazzone. Cesare la considerò una circostanza
favorevole per risolversi ad attaccare, poiché vedeva le
sentinelle nemiche disposte sulle mura con minor
cautela. Così, ai suoi diede ordine di rallentare
leggermente i lavori e mostrò loro che cosa dovevano
fare. Di nascosto preparò le legioni al di qua delle vinee,
le esortò a raccogliere una buona volta, dopo tante
fatiche, il frutto della vittoria, promise ricompense per i
primi che avessero scalato le mura e diede il segnale ai
soldati. I nostri si lanciarono repentinamente all'attacco
da tutti i lati e in breve si riversarono sulle mura.
XXVIII
Hostes re nova perterriti muro turribusque deiecti in foro
ac locis patentioribus cuneatim constiterunt, hoc animo
ut si qua ex parte obviam contra veniretur acie instructa
depugnarent. Vbi neminem in aequum locum sese
demittere, sed toto undique muro circumfundi viderunt,
veriti ne omnino spes fugae tolleretur, abiectis armis
ultimas oppidi partes continenti impetu petiverunt,
I nemici, atterriti dall'attacco improvviso, furono
scacciati dalle mura e dalle torri. Si attestarono nel foro
e nelle zone più aperte, disponendosi a cuneo, decisi ad
affrontare in uno scontro regolare i nostri, se fossero
venuti avanti. Quando videro che nessuno scendeva in
campo aperto (anzi, i nostri li circondavano lungo tutto
il muro di cinta), temendo di perdere ogni via di scampo,
parsque ibi, cum angusto exitu portarum se ipsi
premerent, a militibus, pars iam egressa portis ab
equitibus est interfecta; nec fuit quisquam, qui praedae
studeret. Sic et Cenabi caede et labore operis incitati non
aetate confectis, non mulieribus, non infantibus
pepercerunt. Denique ex omni numero, qui fuit circiter
milium XL, vix DCCC, qui primo clamore audito se ex
oppido eiecerunt, incolumes ad Vercingetorigem
pervenerunt. Quos ille multa iam nocte silentio ex fuga
excepit, veritus ne qua in castris ex eorum concursu et
misericordia vulgi seditio oreretur, ut procul in via
dispositis familiaribus suis principibusque civitatum
disparandos deducendosque ad suos curaret, quae cuique
civitati pars castrorum ab initio obvenerat.
gettarono le armi e si slanciarono verso le parti estreme
della città, senza mai fermarsi. Qui, chi si accalcava per
via delle porte strette, venne ucciso dai legionari; gli
altri, già usciti, furono massacrati dai cavalieri. Ma
nessuno dei nostri pensò al bottino. Aizzati dalla strage
di Cenabo e dalla fatica dell'assedio, non risparmiarono
né i vecchi, né le donne, né i bambini. Insomma, del
numero totale dei nemici, circa quarantamila, appena
ottocento, che ai primi clamori fuggirono dalla città,
raggiunsero salvi Vercingetorige. Costui li accolse a
notte fonda, in silenzio, perché temeva che il loro arrivo
al campo e la compassione della folla provocassero una
sedizione. Dispose lontano, lungo la via, i compagni
d'arme e i principi dei vari popoli, con l'incarico di
smistarli e di condurli dai loro, nelle zone del campo
assegnate a ciascuna gente fin dall'inizio.
XXIX
Postero die concilio convocato consolatus cohortatusque
est ne se admodum animo demitterent, ne perturbarentur
incommodo. Non virtute neque in acie vicisse Romanos,
sed artificio quodam et scientia oppugnationis, cuius rei
fuerint ipsi imperiti. Errare, si qui in bello omnes
secundos rerum proventus exspectent. Sibi numquam
placuisse Avaricum defendi, cuius rei testes ipsos
haberet; sed factum imprudentia Biturigum et nimia
obsequentia reliquorum uti hoc incommodum
acciperetur. Id tamen se celeriter maioribus commodis
sanaturum. Nam quae ab reliquis Gallis civitates
dissentirent, has sua diligentia adiuncturum atque unum
consilium totius Galliae effecturum, cuius consensui ne
orbis quidem terrarum possit obsistere; idque se prope
iam effectum habere. Interea aequum esse ab eis
communis salutis causa impetrari ut castra munire
instituerent, quo facilius repentinos hostium impetus
sustinerent.
L'indomani, convocata l'assemblea, li consola ed esorta a
non perdersi affatto d'animo, a non lasciarsi turbare dalla
sconfitta. I Romani non avevano vinto né col valore, né
in campo aperto, ma solo grazie a una certa loro abilità e
perizia nell'arte dell'assedio, di cui i Galli erano
inesperti. Era in errore chi in guerra si aspettava solo
successi. Non era mai stato fautore della difesa di
Avarico, loro stessi ne erano testimoni. L'imprudenza
dei Biturigi e l'eccessiva compiacenza degli altri
avevano portato alla sconfitta. Tuttavia, vi avrebbe posto
rimedio ben presto, con successi più importanti. Infatti,
sarebbe stata sua cura guadagnare alla causa i popoli che
dissentivano dagli altri Galli e formare un consiglio
unico di tutto il paese, alla cui unità d'intenti non
avrebbe potuto resistere neppure il mondo intero. Ed era
ormai cosa fatta. Ma per la salvezza comune era giusto,
intanto, che si decidessero a fortificare il campo, per
resistere con maggior facilità ai repentini attacchi dei
nemici.
XXX
Fuit haec oratio non ingrata Gallis, et maxime, quod ipse
animo non defecerat tanto accepto incommodo neque se
in occultum abdiderat et conspectum multitudinis
fugerat; plusque animo providere et praesentire
existimabatur, quod re integra primo incendendum
Avaricum, post deserendum censuerat. Itaque ut
reliquorum imperatorum res adversae auctoritatem
minuunt, sic huius ex contrario dignitas incommodo
accepto in dies augebatur. Simul in spem veniebant eius
adfirmatione de reliquis adiungendis civitatibus;
primumque eo tempore Galli castra munire instituerunt
et sic sunt animo confirmati, homines insueti laboris, ut
omnia quae imperarentur sibi patienda existimarent.
Il discorso non riuscì sgradito ai Galli, soprattutto
perché Vercingetorige non si era abbattuto dopo un
rovescio così grave, non si era rintanato, né sottratto alla
vista della gente. Si pensava che sapesse prevedere e
presentire nell'animo più degli altri, perché, quando le
cose non erano ancora compromesse, aveva prima
consigliato di incendiare Avarico, poi di evacuarla. E
come gli insuccessi indeboliscono il prestigio degli altri
comandanti, così al contrario, dopo la sconfitta, la
dignità di Vercingetorige cresceva di giorno in giorno.
Al contempo, si sperava nella sua garanzia circa
l'alleanza con gli altri popoli. Allora, per la prima volta,
i Galli cominciarono a fortificare l'accampamento:
uomini non avvezzi alle fatiche, si erano convinti a tal
punto, da credere di dover ubbidire a qualsiasi ordine.
XXXI
Nec minus quam est pollicitus Vercingetorix animo
laborabat ut reliquas civitates adiungeret, atque eas
E non meno di quanto avesse garantito, Vercingetorige
rivolgeva ogni suo pensiero a come unire a sé i
donis pollicitationibusque alliciebat. Huic rei idoneos
homines deligebat, quorum quisque aut oratione subdola
aut amicitia facillime capere posset. Qui Avarico
expugnato refugerant, armandos vestiendosque curat;
simul, ut deminutae copiae redintegrarentur, imperat
certum numerum militum civitatibus, quem et quam ante
diem in castra adduci velit, sagittariosque omnes,
quorum erat permagnus numerus in Gallia, conquiri et
ad se mitti iubet. His rebus celeriter id quod Avarici
deperierat expletur. Interim Teutomatus, Olloviconis
filius, rex Nitiobrigum, cuius pater ab senatu nostro
amicus erat appellatus, cum magno equitum suorum
numero et quos ex Aquitania conduxerat ad eum
pervenit.
rimanenti popoli e ne allettava i capi con doni e
promesse. Sceglieva persone adatte allo scopo, ciascuna
capace di guadagnarli alla causa con la massima facilità,
o grazie alla sottile eloquenza o per ragioni d'amicizia.
Rifornisce di armi e vestiti i reduci di Avarico. Al tempo
stesso, per ricompletare i ranghi dopo le perdite subite,
esige dai vari popoli un determinato contingente di
soldati, ne fissa l'entità e la data di consegna. Ordina il
reclutamento e l'invio di tutti gli arcieri, numerosissimi
in Gallia. Con tali misure, in breve rimedia alle perdite
di Avarico. Nel frattempo, il re dei Nitiobrogi,
Teutomato, figlio di Ollovicone, che aveva ricevuto dal
nostro senato il titolo di amico, raggiunge
Vercingetorige con una forte cavalleria e truppe
assoldate in Aquitania.
XXXII
Caesar Avarici complures dies commoratus summamque
ibi copiam frumenti et reliqui commeatus nactus
exercitum ex labore atque inopia refecit. Iam prope
hieme confecta cum ipso anni tempore ad gerendum
bellum vocaretur et ad hostem proficisci constituisset,
sive eum ex paludibus silvisque elicere sive obsidione
premere posset, legati ad eum principes Aeduorum
veniunt oratum ut maxime necessario tempore civitati
subveniat: summo esse in periculo rem, quod, cum
singuli magistratus antiquitus creari atque regiam
potestatem annum obtinere consuessent, duo
magistratum gerant et se uterque eorum legibus creatum
esse dicat. Horum esse alterum Convictolitavem,
florentem et illustrem adulescentem, alterum Cotum,
antiquissima familia natum atque ipsum hominem
summae potentiae et magnae cognationis, cuius frater
Valetiacus proximo anno eundem magistratum gesserit.
Civitatem esse omnem in armis; divisum senatum,
divisum populum, suas cuiusque eorum clientelas. Quod
si diutius alatur controversia, fore uti pars cum parte
civitatis confligat. Id ne accidat, positum in eius
diligentia atque auctoritate.
Cesare si trattenne diversi giorni ad Avarico: vi trovò
grano e viveri in abbondanza e lasciò che l'esercito si
riprendesse dalla fatica e dalle privazioni. L'inverno era
ormai quasi finito, la stagione stessa invitava alle
operazioni militari: Cesare aveva già deciso di puntare
sul nemico, nel tentativo di stanarlo dalle paludi e dalle
selve oppure di stringerlo d'assedio. Ma ecco che, in
veste di ambasciatori, i principi degli Edui gli si
presentano e lo pregano di soccorrere il loro popolo
nell'ora più grave. La situazione era assai critica: mentre
la consuetudine, fin dai tempi antichi, voleva che un
unico magistrato fosse eletto e rivestisse la potestà
regale per un anno, adesso due persone ricoprivano tale
carica e ciascuno sosteneva che la propria nomina era
conforme alle leggi. L'uno era Convictolitave, giovane
ricco e nobile, l'altro Coto, persona di antichissima
stirpe, lui pure assai potente, che vantava molti legami di
parentela, il cui fratello, Valeziaco, aveva rivestito la
stessa magistratura l'anno precedente. Tutti gli Edui
avevano impugnato le armi, diviso era il senato, diviso il
popolo, come pure i clienti dei due rivali. Se il contrasto
si fosse protratto, si arrivava alla guerra civile. Impedirlo
dipendeva dallo zelo e dal prestigio di Cesare.
XXXIII
Caesar, etsi a bello atque hoste discedere detrimentosum
esse existimabat, tamen non ignorans quanta ex
dissensionibus incommoda oriri consuessent, ne tanta et
tam coniuncta populo Romano civitas, quam ipse
semper aluisset omnibusque rebus ornasset, ad vim
atque arma descenderet, atque ea pars quae minus sibi
confideret auxilia a Vercingetorige arcesseret, huic rei
praevertendum existimavit et, quod legibus Aeduorum
eis, qui summum magistra tum obtinerent, excedere ex
finibus non liceret, ne quid de iure aut de legibus eorum
deminuisse videretur, ipse in Aeduos proficisci statuit
senatumque omnem et quos inter controversia esset ad
se Decetiam evocavit. Cum prope omnis civitas eo
convenisset, docereturque paucis clam convocatis alio
loco, alio tempore atque oportuerit fratrem a fratre
renuntiatum, cum leges duo ex una familia vivo utroque
non solum magistratus creari vetarent, sed etiam in
Cesare, sebbene stimasse dannoso rinviare lo scontro e
allontanarsi dal nemico, ritenne tuttavia necessario dar la
precedenza alla questione edua, ben conscio di quanti
danni siano soliti derivare da tali dissensi: non voleva
che un popolo tanto importante e così legato a Roma, da
lui stesso sempre favorito e fregiato di ogni onore,
giungesse alla guerra civile e che il partito che si sentiva
meno forte chiedesse aiuto a Vercingetorige. Poiché le
leggi edue non permettevano al magistrato in carica di
lasciare il paese, Cesare decise di recarsi di persona
nelle loro terre, per evitare l'impressione che intendesse
calpestarne il diritto o le leggi. Convocò a Decezia il
senato al completo e i due responsabili della
controversia. Lì si raccolsero pressoché tutti i notabili
edui e gli notificarono che Coto era stato nominato da
suo fratello nel corso di un concilio segreto. con pochi
partecipanti, al di fuori dei luoghi e dei tempi dovuti,
senatu esse prohiberent, Cotum imperium deponere
coegit, Convictolitavem, qui per sacerdotes more
civitatis intermissis magistratibus esset creatus,
potestatem obtinere iussit.
mentre le leggi prescrivevano che nessuno poteva essere
eletto magistrato e neppure ammesso in senato, se un
membro della sua famiglia aveva ricoperto la carica ed
era ancora in vita. Allora Cesare costrinse Coto a
deporre il comando e ordinò che assumesse il potere
Convictolitave, che era stato designato dai sacerdoti
secondo le usanze edue, quando la magistratura era
vacante.
XXXIV
Hoc decreto interposito cohortatus Aeduos, ut
controversiarum ac dissensionis obliviscerentur atque
omnibus omissis his rebus huic bello servirent eaque
quae meruissent praemia ab se devicta Gallia
exspectarent equitatumque omnem et peditum milia
decem sibi celeriter mitterent, quae in praesidiis rei
frumentariae causa disponeret, exercitum in duas partes
divisit: quattuor legiones in Senones Parisiosque
Labieno ducendas dedit, sex ipse in Arvernos ad
oppidum Gergoviam secundum flumen Elaver duxit;
equitatus partem illi attribuit, partem sibi reliquit. Qua re
cognita Vercingetorix omnibus interruptis eius fluminis
pontibus ab altera fluminis parte iter facere coepit.
Dopo tale decreto, esortò gli Edui a dimenticare
contrasti e dissensi e a lasciare tutto da parte, li invitò a
occuparsi della guerra in corso e ad attendersi i premi
che si fossero meritati, una volta piegata la Gallia.
Chiese il rapido invio di tutta la cavalleria e di diecimila
fanti, che avrebbe disposto a difesa delle provviste di
grano. Divise in due contingenti l'esercito: quattro
legioni le affidò a Labieno per condurle nelle terre dei
Senoni e dei Parisi, sei le guidò personalmente nella
regione degli Arverni, verso Gergovia, seguendo il corso
dell'Allier. Parte della cavalleria la concesse a Labieno,
parte la tenne con sé. Appena lo seppe, Vercingetorige
distrusse tutti i ponti e cominciò a marciare sulla sponda
opposta.
XXXV
Cum uterque utrimque exisset exercitus, in conspectu
fereque e regione castris castra ponebant dispositis
exploratoribus, necubi effecto ponte Romani copias
traducerent. Erat in magnis Caesaris difficultatibus res,
ne maiorem aestatis partem flumine impediretur, quod
non fere ante autumnum Elaver vado transiri solet.
Itaque, ne id accideret, silvestri loco castris positis e
regione unius eorum pontium, quos Vercingetorix
rescindendos curaverat, postero die cum duabus
legionibus in occulto restitit; reliquas copias cum
omnibus impedimentis, ut consueverat, misit, apertis
quibusdam cohortibus, uti numerus legionum constare
videretur. His quam longissime possent egredi iussis,
cum iam ex diei tempore coniecturam ceperat in castra
perventum, isdem sublicis, quarum pars inferior integra
remanebat, pontem reficere coepit. Celeriter effecto
opere legionibusque traductis et loco castris idoneo
delecto reliquas copias revocavit. Vercingetorix re
cognita, ne contra suam voluntatem dimicare cogeretur,
magnis itineribus antecessit.
I due eserciti rimanevano l'uno al cospetto dell'altro,
ponevano i campi quasi dirimpetto. La sorveglianza
degli esploratori nemici impediva ai Romani di costruire
in qualche luogo un ponte per varcare il fiume. Cesare
correva il rischio di rimanere bloccato dal fiume per la
maggior parte dell'estate, in quanto l'Allier non consente
con facilità il guado prima dell'autunno. Così, per evitare
tale evenienza, pose il campo in una zona boscosa,
dinnanzi a uno dei ponti distrutti da Vercingetorige; il
giorno seguente si tenne nascosto con due legioni. Le
altre truppe, con tutte le salmerie, ripresero il cammino
secondo il solito, ma alcune coorti vennero frazionate
perché sembrasse inalterato il numero delle legioni. Ad
esse comandò di protrarre la marcia il più possibile: a
tarda ora, supponendo che le legioni si fossero
accampate, intraprese la ricostruzione del ponte,
utilizzando gli stessi piloni rimasti intatti nella parte
inferiore. L'opera venne rapidamente realizzata e le
legioni furono condotte sull'altra sponda. Scelse una
zona adatta all'accampamento e richiamò le rimanenti
truppe. Vercingetorige, informato dell'accaduto, per non
trovarsi costretto a dar battaglia contro la sua volontà, le
precedette e si allontanò a marce forzate.
XXXVI
Caesar ex eo loco quintis castris Gergoviam pervenit
equestrique eo die proelio levi facto perspecto urbis situ,
quae posita in altissimo monte omnes aditus difficiles
habebat, de expugnatione desperavit, de obsessione non
prius agendum constituit, quam rem frumentariam
expedisset. At Vercingetorix castris, prope oppidum
positis, mediocribus circum se intervallis separatim
Da lì Cesare raggiunse Gergovia in cinque tappe. Quel
giorno stesso, dopo una scaramuccia di cavalleria, studiò
la posizione della città, che si ergeva su un monte
altissimo ed era di difficile accesso. Disperando di
poterla prendere d'assalto, decise di non stringerla
d'assedio prima di aver pensato alle scorte di grano.
Vercingetorige, invece, aveva stabilito il campo nei
singularum civitatium copias collocaverat atque omnibus
eius iugi collibus occupatis, qua despici poterat,
horribilem speciem praebebat; principesque earum
civitatium, quos sibi ad consilium capiendum delegerat,
prima luce cotidie ad se convenire iubebat, seu quid
communicandum, seu quid administrandum videretur;
neque ullum fere diem intermittebat quin equestri
proelio interiectis sagittariis, quid in quoque esset animi
ac virtutis suorum perspiceret. Erat e regione oppidi
collis sub ipsis radicibus montis, egregie munitus atque
ex omni parte circumcisus; quem si tenerent nostri, et
aquae magna parte et pabulatione libera prohibituri
hostes videbantur. Sed is locus praesidio ab his non
nimis firmo tenebatur. Tamen silentio noctis Caesar ex
castris egressus, priusquam subsidio ex oppido veniri
posset, deiecto praesidio potitus loco duas ibi legiones
collocavit fossamque duplicem duodenum pedum a
maioribus castris ad minora perduxit, ut tuto ab
repentino hostium incursu etiam singuli commeare
possent.
pressi della città sul fianco del monte, disponendo
tutt'attorno, a breve intervallo, le truppe dei vari popoli,
distinte. Aveva occupato, per quanto si poteva vedere,
tutte le cime del monte e offriva uno spettacolo
raccapricciante. I capi delle varie genti, da lui scelti
come consiglieri, avevano il compito di presentarsi
quotidianamente, all'alba, per eventuali comunicazioni o
consegne. E non lasciava passare giorno, o quasi, senza
attaccar battaglia con la cavalleria e gli arcieri in mezzo
a essa, per misurare il coraggio e il valore di ciascuno
dei suoi. Di fronte alla città, proprio ai piedi del monte,
sorgeva un colle ben munito, con tutti i lati a
strapiombo. Se i nostri l'avessero preso, avrebbero
sottratto ai nemici, così almeno sembrava, la maggior
parte delle fonti d'acqua e la possibilità di foraggiarsi
liberamente. Ma il colle era tenuto da una salda
guarnigione nemica. Tuttavia, Cesare uscì dal campo nel
silenzio della notte e, prima che dalla città potessero
giungere rinforzi, mise in fuga il presidio nemico e
occupò il colle. Vi alloggiò due legioni e scavò una
coppia di fosse parallele, larghe dodici piedi, che
collegavano l'accampamento maggiore con il minore:
così, anche singoli uomini avrebbero potuto spostarsi
dall'uno all'altro al sicuro da improvvisi attacchi nemici.
XXXVII
Dum haec ad Gergoviam geruntur, Convictolitavis
Aeduus, cui magistratum adiudicatum a Caesare
demonstravimus, sollicitatus ab Arvernis pecunia cum
quibusdam adulescentibus colloquitur; quorum erat
princeps Litaviccus atque eius fratres, amplissima
familia nati adulescentes. Cum his praemium
communicat hortaturque, ut se liberos et imperio natos
meminerint. Vnam esse Aeduorum civitatem, quae
certissimam Galliae victoriam detineat; eius auctoritate
reliquas contineri; qua traducta locum consistendi
Romanis in Gallia non fore. Esse nonnullo se Caesaris
beneficio adfectum, sic tamen, ut iustissimam apud eum
causam obtinuerit; sed plus communi libertati tribuere.
Cur enim potius Aedui de suo iure et de legibus ad
Caesarem disceptatorem, quam Romani ad Aeduos
veniant? Celeriter adulescentibus et oratione magistratus
et praemio deductis, cum se vel principes eius consili
fore profiterentur, ratio perficiendi quaerebatur, quod
civitatem temere ad suscipiendum bellum adduci posse
non confidebant. Placuit ut Litaviccus decem illis
milibus, quae Caesari ad bellum mitterentur,
praeficeretur atque ea ducenda curaret, fratresque eius
ad Caesarem praecurrerent. Reliqua qua ratione agi
placeat constituunt.
Mentre a Gergovia le cose andavano così, l'eduo
Convictolitave, al quale Cesare - l'abbiamo detto - aveva
assegnato la magistratura, si lascia corrompere dal
denaro degli Arverni e si accorda con alcuni giovani,
capeggiati da Litavicco e dai suoi fratelli, rampolli di
stirpe assai nobile. Divide con loro la somma ricevuta e
li esorta a ricordarsi che sono uomini liberi, nati per il
comando. Gli Edui erano gli unici a ritardare l'indubbia
vittoria della Gallia; la loro autorità frenava le altre
genti; ma se avessero cambiato partito, i Romani non
avrebbero più avuto modo di rimanere in Gallia. Cesare,
è vero, gli aveva reso un grande beneficio, ma non aveva
fatto altro che riconoscere l'assoluta legittimità delle sue
ragioni. Del resto, la libertà comune era per lui più
importante. Perché mai gli Edui, per il loro diritto e le
loro leggi, dovevano ricorrere al giudizio di Cesare, e
non piuttosto i Romani alla sentenza degli Edui? I
giovani vengono ben presto catturati dalle parole del
magistrato e dal denaro: pur dichiarandosi addirittura
pronti a prendere l'iniziativa, cercavano un piano
d'azione, perché erano sicuri di non poter indurre gli
Edui alla guerra senza un motivo. Si decise di porre
Litavicco a capo dei diecimila uomini da inviare a
Cesare, con l'incarico di guidarli; i suoi fratelli
avrebbero raggiunto Cesare prima di lui. Mettono a
punto il piano in tutti gli altri particolari.
XXXVIII
Litaviccus accepto exercitu, cum milia passuum circiter
XXX ab Gergovia abesset, convocatis subito militibus
lacrimans, "Quo proficiscimur", inquit, "milites? Omnis
noster equitatus, omnis nobilitas interiit; principes
civitatis, Eporedorix et Viridomarus, insimulati
Litavicco assume il comando dell'esercito. A un tratto, a
circa trenta miglia da Gergovia, convoca i suoi: "Dove
andiamo, soldati?" dice tra le lacrime. "Tutti i nostri
cavalieri, tutti i nobili sono caduti. I capi, Eporedorige e
Viridomaro, accusati di tradimento dai Romani, sono
proditionis ab Romanis indicta causa interfecti sunt.
Haec ab ipsis cognoscite, qui ex ipsa caede fugerunt:
nam ego fratribus atque omnibus meis propinquis
interfectis dolore prohibeor, quae gesta sunt,
pronuntiare". Producuntur hi quos ille edocuerat quae
dici vellet, atque eadem, quae Litaviccus pronuntiaverat,
multitudini exponunt: multos equites Aeduorum
interfectos, quod collocuti cum Arvernis dicerentur;
ipsos se inter multitudinem militum occultasse atque ex
media caede fugisse. Conclamant Aedui et Litaviccum
obsecrant ut sibi consulat. "Quasi vero", inquit ille,
"consili sit res, ac non necesse sit nobis Gergoviam
contendere et cum Arvernis nosmet coniungere. An
dubitamus quin nefario facinore admisso Romani iam ad
nos interficiendos concurrant? Proinde, si quid in nobis
animi est, persequamur eorum mortem qui indignissime
interierunt, atque hos latrones interficiamus". Ostendit
cives Romanos, qui eius praesidi fiducia una erant:
magnum numerum frumenti commeatusque diripit, ipsos
crudeliter excruciatos interficit. Nuntios tota civitate
Aeduorum dimittit, eodem mendacio de caede equitum
et principum permovet; hortatur ut simili ratione atque
ipse fecerit suas iniurias persequantur.
stati messi a morte senza neppure un processo. Ma
sentitelo da costoro, che sono scampati al massacro: i
miei fratelli e tutti i miei parenti sono morti, il dolore mi
impedisce di narrarvi l'accaduto". Si fanno avanti alcune
persone già istruite su cosa dire. Ripetono alla massa dei
soldati gli stessi discorsi di Litavicco: i cavalieri edui
erano stati trucidati, li si accusava di una presunta
complicità con gli Arverni; loro si erano nascosti nel
folto del gruppo e avevano preso la fuga proprio nel bel
mezzo della strage. Gli Edui levano alte grida,
supplicano Litavicco di prendersi cura di loro. "C'è forse
bisogno di decidere?" risponde. "Non dobbiamo forse
dirigerci a Gergovia e unirci agli Averni? Oppure
dubitiamo che i Romani, dopo il loro empio crimine,
esitino a gettarsi su di noi e a massacrarci? Perciò, se
ancora in noi è rimasto del coraggio, vendichiamo la
morte dei nostri, trucidati nel modo più indegno,
uccidiamo questi ladroni", e indica alcuni cittadini
romani che, fidando nella sua protezione. erano al suo
seguito. Saccheggia frumento e viveri in quantità, uccide
i cittadini romani tra crudeli tormenti. Invia messi in
tutta la regione edua, solleva il popolo sempre con la
falsa notizia della strage dei cavalieri e dei principi.
Esorta a seguire il suo esempio e a vendicare le ingiurie.
XXXIX
Eporedorix Aeduus, summo loco natus adulescens et
summae domi potentiae, et una Viridomarus, pari aetate
et gratia, sed genere dispari, quem Caesar ab Diviciaeo
sibi traditum ex humili loco ad summam dignitatem
perduxerat, in equitum numero convenerant nominatim
ab eo evocati. His erat inter se de principatu contentio,
et in illa magistratuum controversia alter pro
Convictolitavi, alter pro Coto summis opibus
pugnaverant. Ex eis Eporedorix cognito Litavicci
consilio media fere nocte rem ad Caesarem defert; orat
ne patiatur civitatem pravis adulescentium consiliis ab
amicitia populi Romani deficere; quod futurum
provideat, si se tot hominum milia cum hostibus
coniunxerint, quorum salutem neque propinqui
neglegere, neque civitas levi momento aestimare posset.
Su specifica richiesta di Cesare, si erano uniti alla
cavalleria l'eduo Eporedorige, giovane di alto lignaggio
e di grande potenza tra i suoi, e Viridomaro, altrettanto
giovane e influente, ma di diversi natali, che Cesare,
dietro suggerimento di Diviziaco, aveva innalzato alle
cariche più alte nonostante le sue umili origini. I due
lottavano per il primato tra gli Edui, e durante la recente
controversia per la magistratura si erano battuti con ogni
mezzo l'uno per Convictolitave, l'altro per Coto.
Eporedorige, quando scopre il piano di Litavicco, lo
riferisce a Cesare verso mezzanotte. Lo supplica di non
permettere agli Edui di venir meno all'alleanza con il
popolo romano per colpa dei perfidi piani di alcuni
giovani, lo prega di tener conto delle conseguenze, se
tante migliaia di uomini si fossero unite ai nemici: la
loro sorte non avrebbe lasciato indifferenti i loro cari, né
il popolo poteva stimarla cosa di poco conto.
XL
Magna adfectus sollicitudine hoc nuntio Caesar, quod
semper Aeduorum civitati praecipue indulserat, nulla
interposita dubitatione legiones expeditas quattuor
equitatumque omnem ex castris educit; nec fuit spatium
tali tempore ad contrahenda castra, quod res posita in
celeritate videbatur; Gaium Fabium legatum eum
legionibus duabus castris praesidio relinquit. Fratres
Litavicci eum comprehendi iussisset, paulo ante reperit
ad hostes fugisse. Adhortatus milites, ne necessario
tempore itineris labore permoveantur, cupidissimis
omnibus progressus milia passuum XXV agmen
Aeduorum conspicatus immisso equitatu iter eorum
moratur atque impedit interdicitque omnibus ne
quemquam interficiant. Eporedorigem et Viridomarum,
La notizia desta viva preoccupazione in Cesare, perché
aveva sempre nutrito una benevolenza particolare nei
confronti degli Edui. Senza alcun indugio guida fuori
dall'accampamento quattro legioni prive di bagagli e la
cavalleria al completo. In quel frangente non si ebbe il
tempo di restringere il campo: l'esito dell'azione
sembrava dipendere dalla rapidità. A presidio
dell'accampamento lascia il legato C. Fabio con due
legioni. Ordina di imprigionare i fratelli di Litavicco, ma
viene a sapere che poco prima erano fuggiti presso i
nemici. Esorta i soldati a non sgomentarsi, in un
momento così critico, per le fatiche della marcia: tra il
fervore generale avanza di venticinque miglia e avvista
la schiera degli Edui. Manda in avanti la cavalleria e
quos illi interfectos existimabant, inter equites versari
suosque appellare iubet. His cognitis et Litavicci fraude
perspecta Aedui manus tendere, deditionem significare
et proiectis armis mortem deprecari incipiunt. Litaviccus
cum suis clientibus, quibus more Gallorum nefas est
etiam in extrema fortuna deserere patronos, Gergoviam
profugit.
rallenta la loro avanzata, ma dà ordine tassativo di non
uccidere nessuno. A Eporedorige e Viridomaro, che gli
Edui credevano morti, comanda di rimanere tra i
cavalieri e di chiamare i loro. Appena riconoscono i capi
e comprendono l'inganno di Litavicco, gli Edui
cominciano a tendere le mani in segno di resa, a gettare
le armi, a implorare la grazia. Litavicco con i suoi clienti
- secondo i costumi dei Galli non è lecito abbandonare i
patroni neppure nei momenti più gravi - ripara a
Gergovia.
XLI
Caesar nuntiis ad civitatem Aeduorum missis, qui suo
beneficio conservatos docerent quos iure belli interficere
potuisset, tribusque horis noctis exercitui ad quietem
datis castra ad Gergoviam movit. Medio fere itinere
equites a Fabio missi, quanto res in periculo fuerit,
exponunt. Summis copiis castra oppugnata demonstrant,
cum crebro integri defessis succederent nostrosque
assiduo labore defatigarent, quibus propter
magnitudinem castrorum perpetuo esset isdem in vallo
permanendum. Multitudine sagittarum atque omnis
generis telorum multos vulneratos; ad haec sustinenda
magno usui fuisse tormenta. Fabium discessu eorum
duabus relictis portis obstruere ceteras pluteosque vallo
addere et se in posterum diem similemque casum
apparare. His rebus cognitis Caesar summo studio
militum ante ortum solis in castra pervenit.
Agli Edui Cesare invia messi per spiegare che per suo
beneficio risparmiava i loro, mentre avrebbe potuto
farne strage secondo il diritto di guerra. Di notte
concede all'esercito tre ore di riposo, poi muove il
campo verso Gergovia. Quando aveva percorso circa
metà del cammino, i cavalieri inviati da C. Fabio gli
espongono quali pericoli abbia corso il campo. I nemici
- illustrano - l'avevano attaccato in forze: truppe fresche
davano continuamente il cambio a chi era stanco, i nostri
erano spossati dalla fatica che non conosceva pause,
perché le dimensioni dell'accampamento li
costringevano a rimanere sempre sul vallo. Molti erano
stati colpiti dai nugoli di frecce e proiettili d'ogni tipo
scagliati dai nemici; per resistere all'attacco, erano state
di grande utilità le macchine da lancio. Quando il
nemico si era allontanato, Fabio aveva barricato tutte le
porte tranne due e aggiunto plutei al vallo, preparandosi
a un identico assalto per il giorno successivo.
Conosciuta la situazione, Cesare, grazie allo
straordinario impegno dei soldati, raggiunge
l'accampamento prima dell'alba.
XLII
Dum haec ad Gergoviam geruntur, Aedui primis nuntiis
ab Litavicco acceptis nullum sibi ad cognoscendum
spatium relinquunt. Impellit alios avaritia, alios
iracundia et temeritas, quae maxime illi hominum generi
est innata, ut levem auditionem habeant pro re comperta.
Bona civium Romanorum diripiunt, caedes faciunt, in
servitutem abstrahunt. Adiuvat rem proclinatam
Convictolitavis plebemque ad furorem impellit, ut
facinore admisso ad sanitatem reverti pudeat. Marcum
Aristium, tribunum militum, iter ad legionem facientem
fide data ex oppido Cabillono educunt: idem facere
cogunt eos, qui negotiandi causa ibi constiterant. Hos
continuo (in) itinere adorti omnibus impedimentis
exuunt; repugnantes diem noctemque obsident; multis
utrimque interfectis maiorem multitudinem armatorum
concitant.
Mentre a Gergovia tale era la situazione, gli Edui, alle
prime notizie di Litavicco, non perdono neppure un
istante a sincerarsene. Chi spinto dall'avidità, chi
dall'iracondia e dall'avventatezza - è la loro caratteristica
congenita - tutti danno per sicura una voce priva di
fondamento. Saccheggiano i beni dei cittadini romani,
ne fanno strage, li rendono schiavi. Convictolitave dà
l'ultima spinta a una situazione già in bilico, aizza la
folla, perché, una volta commesso il crimine, la
vergogna le impedisca di ritornare alla ragione. M.
Aristio, tribuno militare, era in marcia verso la legione:
gli promettono via libera e lo lasciano uscire dalla città
di Cavillono. Con lui costringono alla partenza anche chi
si era lì stabilito per commercio. Appena i nostri si
mettono in marcia, però, li assalgono e li spogliano di
tutti i bagagli. I nostri si difendono, vengono assediati
giorno e notte. Quando le perdite erano già molte da
entrambe le parti, i Galli chiamano alle armi una folla
più numerosa.
XLIII
Interim nuntio allato omnes eorum milites in potestate
Caesaris teneri, concurrunt ad Aristium, nihil publico
Nel frattempo, giunge notizia che tutte le truppe edue
sono sotto l'autorità di Cesare: corrono da Aristio, gli
factum consilio demonstrant; quaestionem de bonis
direptis decernunt, Litavicci fatrumque bona publicant,
legatos ad Caesarem sui purgandi gratia mittunt. Haec
faciunt reciperandorum suorum causa; sed contaminati
facinore et capti compendio ex direptis bonis, quod ea
res ad multos pertinebat, timore poenae exterriti consilia
clam de bello inire incipiunt civitatesque reliquas
legationibus sollicitant. Quae tametsi Caesar
intellegebat, tamen quam mitissime potest legatos
appellat: nihil se propter inscientiam levitatemque vulgi
gravius de civitate iudicare neque de sua in Aeduos
benevolentia deminuere. Ipse maiorem Galliae motum
exspectans, ne ab omnibus civitatibus circumsisteretur,
consilia inibat quemadmodum ab Gergovia discederet ac
rursus omnem exercitum contraheret, ne profectio nata
ab timore defectionis similis fugae videretur.
spiegano che l'accaduto non dipendeva certo da una
delibera ufficiale. Aprono un'inchiesta sul saccheggio,
confiscano i beni di Litavicco e dei suoi fratelli, inviano
una legazione a Cesare per discolparsi. Si comportano
così nel tentativo di recuperare le proprie truppe, ma,
macchiati dalla colpa commessa e trattenuti dai
guadagni del saccheggio - molti ne erano coinvolti - e
anche per timore di una punizione, assumono
segretamente iniziative per riprendere la guerra e
sobillano gli altri popoli mediante ambascerie. Anche se
lo intuiva, Cesare tuttavia si rivolge agli emissari edui
con le parole più miti possibili: per via dell'incoscienza e
della leggerezza del popolo non voleva pronunciare una
condanna troppo dura nei confronti degli Edui, né
intendeva diminuire la sua benevolenza verso di loro.
Cesare, in effetti, si aspettava una più grave sollevazione
della Gallia e, per non trovarsi circondato da tutti i
popoli, stava valutando come lasciare Gergovia e riunire
nuovamente l'esercito, ma cercava di evitare che il suo
ripiegamento, dettato dal timore di una defezione,
sembrasse una fuga.
XLIV
Haec cogitanti accidere visa est facultas bene rei
gerendae. Nam cum in minora castra operis perspiciendi
causa venisset, animadvertit collem, qui ab hostibus
tenebatur, nudatum hominibus, qui superioribus diebus
vix prae multitudine cerni poterat. Admiratus quaerit ex
perfugis causam, quorum magnus ad eum cotidie
numerus confluebat. Constabat inter omnes, quod iam
ipse Caesar per exploratores cognoverat, dorsum esse
eius iugi prope aequum, sed hunc silvestrem et
angustum, qua esset aditus ad alteram partem oppidi;
huic loco vehementer illos timere nec iam aliter sentire,
uno colle ab Romanis occupato, si alterum amisissent,
quin paene circumvallati atque omni exitu et pabulatione
interclusi viderentur: ad hunc muniendum omnes a
Vercingetorige evocatos.
Mentre era immerso in tali pensieri, gli parve presentarsi
un'occasione favorevole. Infatti, quando giunse al campo
minore per ispezionare i lavori, notò che un colle, prima
in mano nemica, era adesso sguarnito, mentre nei giorni
precedenti lo si poteva appena scorgere, tanti erano i
soldati che lo presidiavano. La cosa lo colpì e ne chiese
spiegazione ai disertori, che ogni giorno arrivavano al
nostro campo in gran numero. Da tutti risultava che,
come Cesare già sapeva dagli esploratori, il dorso del
colle era quasi in piano, ma stretto e pieno di
vegetazione nella parte che conduceva dall'altro lato
della città. I Galli nutrivano forti apprensioni per questo
punto e sapevano bene che si sarebbero visti
praticamente circondati, con ogni via d'uscita preclusa e
i foraggiamenti tagliati, se i Romani, già padroni di un
colle, avessero preso anche quest'altro. Quindi
Vercingetorige aveva chiamato tutti a munire la zona.
XLV
Hac re cognita Caesar mittit complures equitum turmas;
eis de media nocte imperat, ut paulo tumultuosius
omnibus locis vagarentur. Prima luce magnum numerum
impedimentorum ex castris mulorumque produci deque
his stramenta detrahi mulionesque cum cassidibus
equitum specie ac simulatione collibus circumvehi iubet.
His paucos addit equites qui latius ostentationis causa
vagarentur. Longo circuitu easdem omnes iubet petere
regiones. Haec procul ex oppido videbantur, ut erat a
Gergovia despectus in castra, neque tanto spatio certi
quid esset explorari poterat. Legionem unam eodem iugo
mittit et paulum progressam inferiore constituit loco
silvisque occultat. Augetur Gallis suspicio, atque omnes
illo ad munitionem copiae traducuntur. Vacua castra
hostium Caesar conspicatus tectis insignibus suorum
occultatisque signis militaribus raros milites, ne ex
oppido animadverterentur, ex maioribus castris in
Saputo ciò, Cesare verso mezzanotte invia sul luogo vari
squadroni di cavalleria. Comanda di compiere scorrerie
dappertutto, producendo un po' più rumore del solito.
All'alba fa uscire dal campo un gran numero di bagagli e
muli, ai mulattieri ordina di togliere il basto ai loro
animali e di mettersi l'elmo: fingendosi cavalieri,
avrebbero dovuto aggirare il colle. Invia con essi pochi
cavalieri veri, che avevano l'incarico di spingersi più
lontano a scopo di simulazione. A tutti, poi, dà
istruzione di convergere su un unico punto dopo un
lungo giro. Le nostre manovre venivano scorte dalla
città, perché da Gergovia la vista dava proprio sul nostro
accampamento, ma a tale distanza non era possibile
comprendere che cosa stesse accadendo con esattezza.
Invia una legione verso il colle e, dopo un certo tratto, la
ferma ai piedi del rialzo e la tiene nascosta tra la
vegetazione. I sospetti dei Galli aumentano, mandano
minora traducit legatisque, quos singulis legionibus
praefecerat, quid fieri velit ostendit: in primis monet ut
contineant milites, ne studio pugnandi aut spe praedae
longius progrediantur; quid iniquitas loci habeat
incommodi proponit: hoc una celeritate posse mutari;
occasionis esse rem, non proeli. His rebus eitis signum
dat et ab dextra parte alio ascensu eodem tempore
Aeduos mittit.
tutte le truppe ai lavori di fortificazione. Cesare, appena
vede il campo nemico sguarnito, guida i soldati dal
campo maggiore al minore, a piccoli gruppi, ordinando
di non applicare i fregi e di tener nascoste le insegne, per
non essere scorti dalla città. Ai legati preposti alle varie
legioni spiega come dovevano agire: primo, li
ammonisce a tenere a freno i soldati, che non si
allontanassero troppo per desiderio di lotta o speranza di
bottino; illustra gli svantaggi della posizione; li si poteva
eludere solo con la rapidità; si trattava di un colpo di
mano, non di una battaglia. Detto ciò, dà il segnale e, al
contempo, ordina agli Edui di sferrare l'attacco da un
altro lato, sulla destra.
XLVI
Oppidi murus ab planitie atque initio ascensus recta
regione, si nullus anfractus intercederet, MCC passus
aberat: quidquid huc circuitus ad molliendum clivum
accesserat, id spatium itineris augebat. A medio fere
colle in longitudinem, ut natura montis ferebat, ex
grandibus saxis sex pedum murum qui nostrorum
impetum tardaret praeduxerant Galli, atque inferiore
omni spatio vacuo relicto superiorem partem collis
usque ad murum oppidi densissimis castris
compleverant. Milites dato signo celeriter ad
munitionem perveniunt eamque transgressi trinis castris
potiuntur; ac tanta fuit in castris capiendis celeritas, ut
Teutomatus, rex Nitiobrigum, subito in tabernaculo
oppressus, ut meridie conquieverat, superiore corporis
parte nudata vulnerato equo vix se ex manibus
praedantium militum eriperet.
Le mura della città distavano dalla pianura e dall'inizio
della salita milleduecento passi in linea retta, se non ci
fosse stata di mezzo nessuna tortuosità. E tutte le curve
che si aggiungevano per attenuare la salita, aumentavano
la distanza. Sul colle, a mezza altezza, i Galli avevano
costruito in senso longitudinale un muro di grosse pietre,
alto sei piedi, che assecondava la natura del monte e
aveva lo scopo di frenare l'assalto dei nostri. Tutta la
zona sottostante era stata evacuata, mentre nella parte
superiore, fin sotto le mura della città, i Galli avevano
posto fittissime le tende del loro campo. Al segnale i
legionari raggiungono rapidamente il muro, lo superano
e conquistano tre accampamenti. L'azione fu così rapida,
che Teutomato, re dei Nitiobrogi, sorpreso ancora nella
tenda durante il riposo pomeridiano, a stento riuscì a
sfuggire ai nostri in cerca di bottino, mezzo nudo, dopo
che anche il suo cavallo era stato colpito.
XLVII
Consecutus id quod animo proposuerat, Caesar receptui
cani iussit legionique decimae, quacum erat, continuo
signa constituit. Ac reliquarum legionum milites non
exaudito sono tubae, quod satis magna valles
intercedebat, tamen ab tribunis militum legatisque, ut
erat a Caesare praeceptum, retinebantur. Sed elati spe
celeris victoriae et hostium fuga et superiorum
temporum secundis proeliis nihil adeo arduum sibi esse
existimaverunt quod non virtute consequi possent, neque
finem prius sequendi fecerunt quam muro oppidi
portisque appropinquarunt. Tum vero ex omnibus urbis
partibus orto clamore, qui longius aberant repentino
tumultu perterriti, cum hostem intra portas esse
existimarent, sese ex oppido eiecerunt. Matres familiae
de muro vestem argentumque iactabant et pectore nudo
prominentes passis manibus obtestabantur Romanos, ut
sibi parcerent neu, sicut Avarici fecissent, ne a
mulieribus quidem atque infantibus abstinerent:
nonnullae de muris per manus demissae sese militibus
tradebant. Lucius Fabius, centurio legionis VIII, quem
inter suos eo die dixisse constabat excitari se
Avaricensibus praemiis neque commissurum, ut prius
quisquam murum ascenderet, tres suos nactus
manipulares atque ab eis sublevatus murum ascendit:
hos ipse rursus singulos exceptans in murum extulit.
Raggiunto lo scopo prefisso, Cesare ordinò di suonare la
ritirata, si fermò e tenne l'arringa alla decima legione,
che era al suo seguito. I soldati delle altre legioni,
invece, pur non avendo udito il suono della tromba,
perché si frapponeva una valle abbastanza estesa, erano
comunque trattenuti dai tribuni militari e dai legati,
secondo gli ordini di Cesare. Trascinati, però, dalla
speranza di una rapida vittoria, dalla fuga dei nemici e
dai successi precedenti, pensarono che non vi fosse
impresa impossibile per il loro valore. Così, non
cessarono l'inseguimento finché non ebbero raggiunto le
mura e le porte della città. A quel punto, da tutte le zone
della città si levano alti clamori: i Galli che si erano
spinti più lontano, atterriti dal tumulto improvviso,
pensando che il nemico fosse entro le porte, si
lanciarono fuori dalla città. Dalle mura le madri di
famiglia gettavano vesti e oggetti d'argento, a petto nudo
si sporgevano e con le mani protese scongiuravano i
Romani di risparmiarle, di non massacrare donne e
bambini, come invece era accaduto ad Avarico. Alcune,
calate giù dalle altre a forza di braccia, si consegnavano
ai nostri soldati. Quel giorno stesso, a quanto constava,
L. Fabio, centurione dell'ottava legione, aveva detto ai
suoi che lo riempiva d'ardore il bottino di Avarico e che
non avrebbe tollerato che un altro scalasse le mura prima
di lui. Infatti, con l'aiuto di tre soldati del suo manipolo
salì sulle mura; poi lì afferrò per mano uno a uno e, a
sua volta li sollevò.
XLVIII
Interim ei qui ad alteram partem oppidi, ut supra
demonstravimus, munitionis causa convenerant, primo
exaudito clamore, inde etiam crebris nuntiis incitati,
oppidum a Romanis teneri, praemissis equitibus magno
concursu eo contenderunt. Eorum ut quisque primus
venerat, sub muro consistebat suorumque pugnantium
numerum augebat. Quorum cum magna multitudo
convenisset, matres familiae, quae paulo ante Romanis
de muro manus tendebant, suos obtestari et more Gallico
passum capillum ostentare liberosque in conspectum
proferre coeperunt. Erat Romanis nec loco nec numero
aequa contentio; simul et cursu et spatio pugnae
defatigati non facile recentes atque integros sustinebant.
Nel frattempo, i nemici confluiti nella parte opposta
della città per i lavori di fortificazione, come abbiamo
illustrato, ai primi clamori e alle insistenti notizie che
volevano la città caduta, lanciano in avanti la cavalleria
e accorrono in massa. Ciascuno di loro, come arrivava,
si piazzava ai piedi delle mura e infoltiva la schiera dei
suoi. Quando si era radunato un gruppo consistente, le
madri di famiglia, che dalle mura poco prima tendevano
le mani verso i nostri, cominciarono a scongiurare i loro,
a sciogliersi i capelli secondo l'uso gallico, a mostrare i
figli. I Romani non combattevano a parità di condizioni,
né per posizione, né per numero. Inoltre, stanchi per la
corsa e la durata dello scontro, reggevano con difficoltà
agli avversari freschi e riposati.
XLIX
Caesar, cum iniquo loco pugnari hostiumque augeri
copias videret, praemetuens suis ad Titum Sextium
legatum, quem minoribus castris praesidio reliquerat,
misit, ut cohortes ex castris celeriter educeret et sub
infimo colle ab dextro latere hostium constitueret, ut, si
nostros loco depulsos vidisset, quo minus libere hostes
insequerentur terreret. Ipse paulum ex eo loco cum
legione progressus, ubi constiterat, eventum pugnae
exspectabat.
Cesare si rese conto che la posizione era svantaggiosa e
che le truppe nemiche continuavano ad aumentare.
Allora, in apprensione per i suoi, inviò al legato T.
Sestio, rimasto a presidio del campo minore, l'ordine di
far uscire rapidamente le sue coorti e di schierarle sul
fianco destro del nemico, ai piedi del colle: se i nostri
venivano respinti, doveva atterrire il nemico per
rendergli difficile l'inseguimento. Rispetto al luogo in
cui si era fermato, Cesare aveva guidato la legione
leggermente più avanti e attendeva l'esito della battaglia.
L
Cum acerrime comminus pugnaretur, hostes loco et
numero, nostri virtute confiderent, subito sunt Aedui visi
ab latere nostris aperto, quos Caesar ab dextra parte alio
ascensu manus distinendae causa miserat. Hi
similitudine armorum vehementer nostros perterruerunt,
ac tametsi dextris humeris exsertis animadvertebantur,
quod insigne +pacatum+ esse consuerat, tamen id ipsum
sui fallendi causa milites ab hostibus factum
existimabant. Eodem tempore Lucius Fabius centurio
quique una murum ascenderant circumventi atque
interfecti muro praecipitabantur. Marcus Petronius,
eiusdem legionis centurio, cum portam excidere conatus
esset, a multitudine oppressus ac sibi desperans multis
iam vulneribus acceptis manipularibus suis, qui illum
secuti erant, "Quoniam", inquit, "me una vobiscum
servare non possum, vestrae quidem certe vitae
prospiciam, quos cupiditate gloriae adductus in
periculum deduxi. Vos data facultate vobis consulite".
Simul in medios hostes irrupit duobusque interfectis
reliquos a porta paulum summovit. Conantibus auxiliari
suis "Frustra", inquit, "meae vitae subvenire conamini,
quem iam sanguis viresque deficiunt. Proinde abite, dum
est facultas, vosque ad legionem recipite". Ita puguans
post paulum concidit ac suis saluti fuit.
Si combatteva corpo a corpo, con asprezza: i nemici
confidavano nella posizione e nel numero, i Romani nel
valore. All'improvviso comparvero sul nostro fianco
scoperto gli Edui, inviati da Cesare sulla destra per
dividere le truppe nemiche. Al loro arrivo, la
somiglianza delle armi galliche seminò il panico tra i
nostri, che avevano sì visto il braccio destro scoperto,
segno convenzionale di riconoscimento, ma pensavano
che si trattasse di una mossa nemica per ingannarli. Al
tempo stesso, il centurione L. Fabio e i soldati che
avevano scalato con lui la cinta, circondati e uccisi,
vengono precipitati dalle mura. M. Petronio, centurione
della stessa legione, mentre tentava di abbattere le porte,
fu sopraffatto da una massa di nemici. Ferito a più
riprese, senza ormai speranza di salvezza, gridò ai
soldati del suo manipolo, che lo avevano seguito: "Non
posso salvarmi insieme a voi, ma voglio almeno
preoccuparmi della vostra vita, io che vi ho messo in
pericolo per sete di gloria. Ne avete la possibilità,
pensate a voi stessi". E subito si lanciò all'attacco nel
folto dei nemici, ne uccise due e allontanò alquanto gli
altri dalla porta. Ai suoi che cercavano di corrergli in
aiuto, disse: "Tentate invano di soccorrermi, perdo
troppo sangue e mi mancano le forze. Perciò fuggite,
finché ne avete modo, raggiungete la legione". Poco
dopo cadde, con le armi in pugno, ma fu la salvezza dei
suoi.
LI
Nostri, cum undique premerentur, XLVI centurionibus
amissis deiecti sunt loco. Sed intolerantius Gallos
insequentes legio decima tardavit, quae pro subsidio
paulo aequiore loco constiterat. Hanc rursus XIII
legionis cohortes exceperunt, quae ex castris minoribus
eductae cum Tito Sextio legato ceperant locum
superiorem. Legiones, ubi primum planitiem attigerunt,
infestis contra hostes signis constiterunt. Vercingetorix
ab radicibus collis suos intra munitiones reduxit. Eo die
milites sunt paulo minus septingenti desiderati.
I nostri, pressati da ogni lato, vennero respinti e persero
quarantasei centurioni. Ma i Galli che si erano lanciati
all'inseguimento con troppa foga, li frenò la decima
legione, che era schierata di rincalzo in una zona un po'
più pianeggiante. A sua volta, la decima ricevette
sostegno dalle coorti della tredicesima, che aveva
lasciato il campo minore con il legato T. Sestio e si era
attestata su un rialzo. Le legioni, non appena
raggiunsero la pianura, volsero le insegne contro il
nemico e presero posizione. Vercingetorige chiamò
entro le fortificazioni i suoi, che si erano spinti fino ai
piedi del colle. Quel giorno le nostre perdite sfiorarono i
settecento uomini.
LII
Postero die Caesar contione advocata temeritatem
cupiditatemque militum reprehendit, quod sibi ipsi
iudicavissent quo procedendum aut quid agendum
videretur, neque signo recipiendi dato constitissent
neque ab tribunis militum legatisque retineri potuissent.
Euit quid iniquitas loci posset, quid ipse ad Avaricum
sensisset, cum sine duce et sine equitatu deprehensis
hostibus exploratam victoriam dimisisset, ne parvum
modo detrimentum in contentione propter iniquitatem
loci accideret. Quanto opere eorum animi magnitudinem
admiraretur, quos non castrorum munitiones, non
altitudo montis, non murus oppidi tardare potuisset,
tanto opere licentiam arrogantiamque reprehendere,
quod plus se quam imperatorem de victoria atque exitu
rerum sentire existimarent; nec minus se ab milite
modestiam et continentiam quam virtutem atque animi
magnitudinem desiderare.
L'indomani Cesare ordinò l'adunata e rimproverò
l'avventatezza e la smania dei soldati: da soli avevano
giudicato fin dove si doveva avanzare o come bisognava
agire, non si erano fermati al segnale di ritirata, né i
tribuni militari, né i legati erano riusciti a trattenerli.
Spiegò quale peso avesse un luogo svantaggioso e quali
erano state le sue considerazioni ad Avarico, quando,
pur avendo sorpreso i nemici privi di comandante e di
cavalleria, aveva rinunciato a una vittoria sicura per
evitare anche il minimo danno nello scontro, e tutto
perché la posizione era sfavorevole. E quanto ammirava
il loro coraggio - né le fortificazioni dell'accampamento,
né l'altezza dei monte, né le mura della città erano valsi
a frenarli - tanto biasimava la loro insubordinazione e
arroganza, perché credevano di saper valutare circa la
vittoria e l'esito dello scontro meglio del comandante.
Da un soldato esigeva modestia e disciplina non meno
che valore e coraggio.
LIII
Hac habita contione et ad extremam orationem
confirmatis militibus, ne ob hanc causam animo
permoverentur neu quod iniquitas loci attulisset id virtuti
hostium tribuerent, eadem de profectione cogitans quae
ante senserat legiones ex castris eduxit aciemque idoneo
loco constituit. Cum Vercingetorix nihil magis in
aequum locum descenderet, levi facto equestri proelio
atque secundo in castra exercitum reduxit. Cum hoc
idem postero die fecisset, satis ad Gallicam
ostentationem minuendam militumque animos
confirmandos factum existimans in Aeduos movit castra.
Ne tum quidem insecutis hostibus tertio die ad flumen
Elaver venit; pontem refecit exercitumque traduxit.
Tenuto questo discorso, nella parte finale rinfrancò i
soldati: non dovevano turbarsi nell'animo per la
sconfitta, né ascrivere al valore nemico ciò che
dipendeva solo dagli svantaggi del campo di battaglia. E
benché pensasse alla partenza, già prima considerata
opportuna, guidò fuori dal campo le legioni e le schierò
in un luogo adatto. Vercingetorige, non di meno,
continuava a tenersi all'interno delle fortificazioni e non
scendeva in pianura. Allora Cesare, dopo una
scaramuccia tra le cavallerie, in cui riportò la meglio,
ricondusse l'esercito all'accampamento. Il giorno
seguente si ripeté la stessa cosa. Cesare, convinto di aver
fatto quanto bastava per sminuire la baldanza dei Galli e
rinfrancare il morale dei nostri soldati, mosse il campo
verso il territorio degli Edui. Neppure allora i nemici si
mossero all'inseguimento. Il terzo giorno ricostruì i ponti
sull'Allier e condusse l'esercito sull'altra sponda.
LIV
Ibi a Viridomaro atque Eporedorige Aeduis appellatus
discit cum omni equitatu Litaviccum ad sollicitandos
Aeduos profectum: opus esse ipsos antecedere ad
confirmandam civitatem. Etsi multis iam rebus perfidiam
Aeduorum perspectam habebat atque horum discessu
admaturari defectionem civitatis existimabat, tamen eos
retinendos non constituit, ne aut inferre iniuriam
videretur aut dare timoris aliquam suspicionem.
Discedentibus his breviter sua in Aeduos merita euit,
quos et quam humiles accepisset, compulsos in oppida,
multatos agris omnibus ereptis copiis, imposito
stipendio, obsidibus summa cum contumelia extortis, et
quam in fortunam quamque in amplitudinem deduxisset,
ut non solum in pristinum statum redissent, sed omnium
temporum dignitatem et gratiam antecessisse viderentur.
His datis mandatis eos ab se dimisit.
Qui, gli edui Viridomaro ed Eporedorige gli chiedono
un colloquio e lo mettono al corrente che Litavicco era
partito con tutta la cavalleria alla volta degli Edui per
istigarli alla rivolta: occorreva che loro stessi lo
precedessero e rientrassero in patria per tenere a bada il
popolo. Cesare aveva già ricevuto molte prove della
perfidia degli Edui e pensava che la loro partenza
avrebbe accelerato lo scoppio dell'insurrezione, tuttavia
decise di non trattenerli, per non dare l'idea di voler
recare offese o di nutrire timori. Prima della partenza, ai
due illustrò i suoi meriti nei confronti degli Edui: chi
erano, quanto erano deboli quando li aveva accolti sotto
la sua protezione, costretti a barricarsi nelle città, con i
campi confiscati, privi di tutte le truppe, costretti a
pagare un tributo e a consegnare ostaggi, offesa
gravissima; per contro, ricordò loro a quale prosperità e
potenza li aveva poi condotti, non solo fino a recuperare
il precedente stato, ma a raggiungere un grado di dignità
e prestigio mai conosciuti in passato. Con tale incarico li
congedò.
LV
Noviodunum erat oppidum Aeduorum ad ripas Ligeris
opportuno loco positum. Huc Caesar omnes obsides
Galliae, frumentum, pecuniam publicam, suorum atque
exercitus impedimentorum magnam partem contulerat;
huc magnum numerum equorum huius belli causa in
Italia atque Hispania coemptum miserat. Eo cum
Eporedorix Viridomarusque venissent et de statu
civitatis cognovissent, Litaviccum Bibracti ab Aeduis
receptum, quod est oppidum apud eos maximae
auctoritatis, Convictolitavim magistratum magnamque
partem senatus ad eum convenisse, legatos ad
Vercingetorigem de pace et amicitia concilianda publice
missos, non praetermittendum tantum commodum
existimaverunt. Itaque interfectis Novioduni custodibus
quique eo negotiandi causa convenerant pecuniam atque
equos inter se partiti sunt; obsides civitatum Bibracte ad
magistratum deducendos curaverunt; oppidum, quod a
se teneri non posse iudicabant, ne cui esset usui
Romanis, incenderunt; frumenti quod subito potuerunt
navibus avexerunt, reliquum flumine atque incendio
corruperunt. Ipsi ex finitimis regionibus copias cogere,
praesidia custodiasque ad ripas Ligeris disponere
equitatumque omnibus locis iniciendi timoris causa
ostentare coeperunt, si ab re frumentaria Romanos
excludere aut adductos inopia in provinciam expellere
possent. Quam ad spem multum eos adiuvabat, quod
Liger ex nivibus creverat, ut omnino vado non posse
transiri videretur.
Novioduno era una città degli Edui sulle rive della
Loira, in posizione favorevole. Qui Cesare aveva
raccolto tutti gli ostaggi della Gallia, il grano, il denaro
pubblico, gran parte dei bagagli suoi e dell'esercito, qui
aveva inviato molti cavalli acquistati in Italia e in
Spagna per la guerra in corso. Eporedorige e
Viridomaro, non appena arrivarono a Novioduno e
seppero come andavano le cose tra gli Edui (avevano
accolto Litavicco a Bibracte, la loro città più importante;
il magistrato Convictolitave e la maggior parte del
senato lo aveva raggiunto; a titolo ufficiale erano stati
inviati emissari a Vercingetorige per trattare pace e
alleanza), ritennero di non doversi lasciar sfuggire
un'occasione simile. Perciò, eliminarono la guarnigione
di Novioduno e i commercianti che lì risiedevano, si
spartirono il denaro e i cavalli. Condussero a Bibracte,
dal magistrato, gli ostaggi dei vari popoli e, giudicando
di non poterla difendere, incendiarono la città, per
impedire ai Romani di servirsene. Tutto il grano che lì
per lì riuscirono a caricare sulle navi, lo trasportarono
via, il resto lo gettarono in acqua o lo bruciarono.
Intrapresero la raccolta di truppe dalle regioni limitrofe,
disposero presidi e guarnigioni lungo la Loira, mentre la
loro cavalleria compariva in ogni zona per incutere
timore, nella speranza di tagliare ai Romani
l'approvvigionamento di grano oppure di costringerli al
ripiegamento in provincia, dopo averli condotti allo
stremo. Ad alimentare le loro speranze contribuiva
molto la Loira in piena per le nevi, al punto che
sembrava proprio impossibile guadarla.
LVI
Quibus rebus cognitis Caesar maturandum sibi censuit,
si esset in perficiendis pontibus periclitandum, ut prius
quam essent maiores eo coactae copiae dimicaret. Nam
Appena ne fu informato, Cesare ritenne di dover
accelerare i tempi: se proprio doveva correre il rischio di
costruire ponti, voleva combattere prima che si
ut commutato consilio iter in provinciam converteret, id
ne metu quidem necessario faciendum existimabat; cum
infamia atque indignitas rei et oppositus mons Cevenna
viarumque difficultas impediebat, tum maxime quod
abiuncto Labieno atque eis legionibus quas una miserat
vehementer timebat. Itaque admodum magnis diurnis
nocturnisque itineribus confectis contra omnium
opinionem ad Ligerem venit vadoque per equites
invento pro rei necessitate opportuno, ut brachia modo
atque humeri ad sustinenda arma liberi ab aqua esse
possent, disposito equitatu qui vim fluminis refringeret,
atque hostibus primo aspectu perturbatis, incolumem
exercitum traduxit frumentumque in agris et pecoris
copiam nactus repleto his rebus exercitu iter in Senones
facere instituit.
radunassero lì truppe nemiche più consistenti. Infatti,
nessuno giudicava inevitabile modificare i piani e
ripiegare verso la provincia, neppure in quel frangente:
oltre all'onta e alla vergogna, lo impedivano i monti
Cevenne e le strade impraticabili, che sbarravano il
cammino; ma, soprattutto, Cesare nutriva grande
apprensione per Labieno lontano e le legioni al suo
seguito. Perciò, forzando al massimo le tappe e
marciando di giorno e di notte, giunge alla Loira contro
ogni aspettativa. I cavalieri trovano un guado adatto,
almeno per quanto le circostanze permettevano:
restavano fuori dall'acqua solo le braccia e le spalle per
tenere sollevate le armi. Dispone la cavalleria in modo
da frangere l'impeto della corrente e guida sano e salvo
l'esercito sull'altra sponda, col nemico atterrito alla
nostra vista. Nelle campagne trova grano e una grande
quantità di bestiame, con cui rifornisce in abbondanza
l'esercito. Dopo comincia la marcia sui Senoni.
LVII
Dum haec apud Caesarem geruntur, Labienus eo
supplemento, quod nuper ex Italia venerat, relicto
Agedinci, ut esset impedimentis praesidio, cum quattuor
legionibus Lutetiam proficiscitur. Id est oppidum
Parisiorum, quod positum est in insula fluminis
Sequanae. Cuius adventu ab hostibus cognito magnae ex
finitimis civitatibus copiae convenerunt. Summa imperi
traditur Camulogeno Aulerco, qui prope confectus aetate
tamen propter singularem scientiam rei militaris ad eum
est honorem evocatus. Is cum animadvertisset perpetuam
esse paludem, quae influeret in Sequanam atque illum
omnem locum magnopere impediret, hic consedit
nostrosque transitu prohibere instituit.
Mentre Cesare prendeva tali iniziative, Labieno lascia ad
Agedinco, a presidio delle salmerie, i rinforzi
recentemente giunti dall'Italia e punta su Lutezia con
quattro legioni- Lutezia è una città dei Parisi che sorge
su un'isola della Senna. Quando i nemici vengono a
sapere del suo arrivo, raccolgono numerose truppe
inviate dai popoli limitrofi. Il comando supremo viene
conferito all'aulerco Camulogeno, persona ormai
piuttosto anziana, chiamata a rivestire tale carica per la
sua straordinaria perizia in campo militare. Camulogeno,
avendo notato una palude interminabile, che alimentava
la Senna e rendeva poco praticabile tutta la zona, vi si
stabilì e si apprestò a sbarrare la strada ai nostri.
LVIII
Labienus primo vineas agere, cratibus atque aggere
paludem explere atque iter munire conabatur. Postquam
id difficilius confieri animadvertit, silentio e castris tertia
vigilia egressus eodem quo venerat itinere Metiosedum
pervenit. Id est oppidum Senonum in insula Sequanae
positum, ut paulo ante de Lutetia diximus. Deprensis
navibus circiter quinquaginta celeriterque coniunctis
atque eo militibus iniectis et rei novitate perterritis
oppidanis, quorum magna pars erat ad bellum evocata,
sine contentione oppido potitur. Refecto ponte, quem
superioribus diebus hostes resciderant, exercitum
traducit et secundo flumine ad Lutetiam iter facere
coepit. Hostes re cognita ab eis, qui Metiosedo fugerant,
Lutetiam incendi pontesque eius oppidi rescindi iubent;
ipsi profecti a palude ad ripas Sequanae e regione
Lutetiae contra Labieni castra considunt.
Labieno prima tentò di spingere in avanti le vinee, di
riempire la palude con fascine e zolle e di costruirsi un
passaggio. Quando capi che l'operazione era troppo
difficile, dopo mezzanotte uscì in silenzio
dall'accampamento e raggiunse Metlosedo per la stessa
strada da cui era venuto. Metlosedo è una città dei
Senoni che sorge su un'isola della Senna, come Lutezia,
di cui si è detto. Cattura circa cinquanta navi, le collega
rapidamente e imbarca i soldati. Gli abitanti (i pochi
rimasti, perché la maggior parte era lontana in guerra)
rimangono atterriti dall'evento improvviso: Labieno
prende la città senza neppure combattere. Ricostruisce il
ponte distrutto dai nemici nei giorni precedenti, guida
l'esercito sull'altra sponda e punta su Lutezia, seguendo
il corso del fiume. I nemici, avvertiti dai fuggiaschi di
Metlosedo, ordinano di incendiare Lutezia e di
distruggere i ponti della città. Abbandonano la palude e
si attestano lungo le rive della Senna, davanti a Lutezia,
proprio di fronte a Labieno.
LIX
Iam Caesar a Gergovia discessisse audiebatur, iam de
Aeduorum defectione et secundo Galliae motu rumores
Era già corsa voce della partenza di Cesare da Gergovia
e giungevano notizie sulla defezione degli Edui e sui
adferebantur, Gallique in colloquiis interclusum itinere
et Ligeri Caesarem inopia frumenti coactum in
provinciam contendisse confirmabant. Bellovaci autem
defectione Aeduorum cognita, qui ante erant per se
infideles, manus cogere atque aperte bellum parare
coeperunt. Tum Labienus tanta rerum commutatione
longe aliud sibi capiendum consilium atque antea
senserat intellegebat, neque iam, ut aliquid adquireret
proelioque hostes lacesseret, sed ut incolumem
exercitum Agedincum reduceret, cogitabat. Namque
altera ex parte Bellovaci, quae civitas in Gallia
maximam habet opinionem virtutis, instabant, alteram
Camulogenus parato atque instructo exercitu tenebat;
tum legiones a praesidio atque impedimentis interclusas
maximum flumen distinebat. Tantis subito difficultatibus
obiectis ab animi virtute auxilium petendum videbat.
successi dell'insurrezione; nei loro abboccamenti, i Galli
confermavano che Cesare si era trovato la strada
sbarrata dalla Loira e che aveva ripiegato verso la
provincia, costretto dalla mancanza di grano. I
Bellovaci, poi, che già in passato di per sé non si erano
dimostrati alleati fedeli, alla notizia della defezione degli
Edui avevano cominciato la raccolta di truppe e scoperti
preparativi di guerra. Allora Labieno, di fronte a un tale
mutamento della situazione, capiva di dover prendere
decisioni ben diverse dai suoi piani e non mirava più a
riportare successi o a provocare il nemico a battaglia, ma
solo a ricondurre incolume l'esercito ad Agedinco.
Infatti, su un fronte incombevano i Bellovaci, che in
Gallia godono fama di straordinario valore, sull'altro
c'era Camulogeno con l'esercito pronto e schierato.
Inoltre, un fiume imponente separava le legioni dal
presidio e dalle salmerie. Con tante, improvvise
difficoltà, vedeva che era necessario far ricorso a un atto
di coraggio.
LX
Sub vesperum consilio convocato cohortatus ut ea quae
imperasset diligenter industrieque administrarent, naves,
quas Metiosedo deduxerat, singulas equitibus Romanis
attribuit, et prima confecta vigilia quattuor milia
passuum secundo flumine silentio progredi ibique se
exspectari iubet. Quinque cohortes, quas minime firmas
ad dimicandum esse existimabat, castris praesidio
relinquit; quinque eiusdem legionis reliquas de media
nocte cum omnibus impedimentis adverso flumine
magno tumultu proficisci imperat. Conquirit etiam
lintres: has magno sonitu remorum incitatus in eandem
partem mittit. Ipse post paulo silentio egressus cum
tribus legionibus eum locum petit quo naves appelli
iusserat.
Verso sera convoca il consiglio di guerra e incita a
eseguire gli ordini con scrupolo e impegno. Ciascuna
delle navi portate da Metlosedo viene affidata a un
cavaliere romano. Li incarica di discendere in silenzio,
dopo le nove di sera, il fiume per quattro miglia e di
attendere lì il suo arrivo. Lascia a presidio
dell'accampamento le cinque coorti che riteneva meno
valide per il combattimento. Alle altre cinque della
stessa legione comanda di partire con tutti i bagagli
dopo mezzanotte e di risalire il corso del fiume con
molto baccano. Si procura anche zattere: spinte a forza
di remi con grande frastuono, le invia nella stessa
direzione. Dal canto suo, poco dopo lascia in silenzio il
campo alla testa di tre legioni e raggiunge il punto dove
le navi dovevano approdare.
LXI
Eo cum esset ventum, exploratores hostium, ut omni
fluminis parte erant dispositi, inopinantes, quod magna
subito erat coorta tempestas, ab nostris opprimumtur;
exercitus equitatusque equitibus Romanis
administrantibus, quos ei negotio praefecerat, celeriter
transmittitur. Vno fere tempore sub lucem hostibus
nuntiatur in castris Romanorum praeter consuetudinem
tumultuari et magnum ire agmen adverso flumine
sonitumque remorum in eadem parte exaudiri et paulo
infra milites navibus transportari. Quibus rebus auditis,
quod existimabant tribus locis transire legiones atque
omnes perturbatos defectione Aeduorum fugam parare,
suas quoque copias in tres partes distribuerunt. Nam
praesidio e regione castrorum relicto et parva manu
Metiosedum versus missa, quae tantum progrediatur,
quantum naves processissent, reliquas copias contra
Labienum duxerunt.
Appena giungono, i nostri sopraffanno gli esploratori
nemici - ce n'erano lungo tutto il fiume - cogliendoli alla
sprovvista per lo scoppio di un violento temporale. Sotto
la guida dei cavalieri romani preposti alle operazioni,
l'esercito e la cavalleria passano velocemente sull'altra
riva. Quasi nello stesso istante, verso l'alba, i nemici
vengono informati che un tumulto insolito regnava nel
campo romano e che una schiera numerosa risaliva il
fiume, mentre nella stessa direzione si udivano colpi di
remi e, un po' più in basso, altri soldati trasbordavano su
nave. A tale notizia, i nemici si convincono che le
legioni stavano varcando il fiume in tre punti e si
apprestavano alla fuga, sconvolte dalla defezione degli
Edui. Allora anch'essi suddivisero in tre reparti le
truppe. Lasciarono un presidio proprio di fronte
all'accampamento e inviarono verso Metlosedo un
piccolo contingente, che doveva avanzare a misura di
quanto procedevano le navi. Poi, guidarono il resto
dell'esercito contro Labieno.
LXII
Prima luce et nostri omnes erant transportati, et hostium
acies cernebatur. Labienus milites cohortatus ut suae
pristinae virtutis et secundissimorum proeliorum
retinerent memoriam atque ipsum Caesarem, cuius ductu
saepe numero hostes superassent, praesentem adesse
existimarent, dat signum proeli. Primo concursu ab
dextro cornu, ubi septima legio constiterat, hostes
pelluntur atque in fugam coniciuntur; ab sinistro, quem
locum duodecima legio tenebat, cum primi ordines
hostium transfixi telis concidissent, tamen acerrime
reliqui resistebant, nec dabat suspicionem fugae
quisquam. Ipse dux hostium Camulogenus suis aderat
atque eos cohortabatur. Incerto nunc etiam exitu
victoriae, cum septimae legionis tribunis esset nuntiatum
quae in sinistro cornu gererentur, post tergum hostium
legionem ostenderunt signaque intulerunt. Ne eo quidem
tempore quisquam loco cessit, sed circumventi omnes
interfectique sunt. Eandem fortunam tulit Camulogenus.
At ei qui praesidio contra castra Labieni erant relicti,
cum proelium commissum audissent, subsidio suis ierunt
collemque ceperunt, neque nostrorum militum victorum
impetum sustinere potuerunt. Sic cum suis fugientibus
permixti, quos non silvae montesque texerunt, ab
equitatu sunt interfecti. Hoc negotio confecto Labienus
revertitur Agedincum, ubi impedimenta totius exercitus
relicta erant: inde cum omnibus copiis ad Caesarem
pervenit.
All'alba tutti i nostri avevano ormai varcato il fiume ed
erano in vista della schiera nemica. Labieno esorta i
soldati a ricordarsi dell'antico valore e delle loro
grandissime vittorie, a far conto che fosse presente
Cesare in persona, sotto la cui guida tante volte avevano
battuto il nemico. Quindi, dà il segnale d'attacco. Al
primo assalto, all'ala destra, dove era schierata la settima
legione, il nemico viene respinto e costretto alla fuga;
sulla sinistra, settore presidiato dalla dodicesima
legione, le prime file dei Galli erano cadute sotto i colpi
dei giavellotti, ma gli altri resistevano con estrema
tenacia e nessuno dava segni di fuga. Il comandante
nemico stesso, Camulogeno, stava al fianco dei suoi e li
incoraggiava. E l'esito dello scontro era ancora incerto,
quando ai tribuni militari della settima legione venne
riferito come andavano le cose all'ala sinistra: la legione
comparve alle spalle del nemico e si lanciò all'attacco.
Nessuno dei Galli, neppure allora, abbandonò il proprio
posto, ma tutti vennero circondati e uccisi. La stessa
sorte toccò a Camulogeno. I soldati nemici rimasti come
presidio di fronte al campo di Labieno, non appena
seppero che si stava combattendo, mossero in aiuto dei
loro e si attestarono su un colle, ma non riuscirono a
resistere all'assalto dei nostri vittoriosi. Così, si unirono
agli altri in fuga: chi non trovò riparo nelle selve o sui
monti, venne massacrato dalla nostra cavalleria. Portata
a termine l'impresa, Labieno rientra ad Agedinco, dove
erano rimaste le salmerie di tutto l'esercito. Da qui, con
tutte le truppe raggiunge Cesare.
LXIII
Defectione Aeduorum cognita bellum augetur.
Legationes in omnes partes circummittuntur: quantum
gratia, auctoritate, pecunia valent, ad sollicitandas
civitates nituntur; nacti obsides, quos Caesar apud eos
deposuerat, horum supplicio dubitantes territant. Petunt
a Vercingetorige Aedui ut ad se veniat rationesque belli
gerendi communicet. Re impetrata contendunt ut ipsis
summa imperi tradatur, et re in controversiam deducta
totius Galliae concilium Bibracte indicitur. Eodem
conveniunt undique frequentes. Multitudinis suffragiis
res permittitur: ad unum omnes Vercingetorigem
probant imperatorem. Ab hoc concilio Remi, Lingones,
Treveri afuerunt: illi, quod amicitiam Romanorum
sequebantur; Treveri, quod aberant longius et ab
Germanis premebantur, quae fuit causa quare toto
abessent bello et neutris auxilia mitterent. Magno dolore
Aedui ferunt se deiectos principatu, queruntur fortunae
commutationem et Caesaris indulgentiam in se
requirunt, neque tamen suscepto bello suum consilium
ab reliquis separare audent. Inviti summae spei
adulescentes Eporedorix et Viridomarus Vercingetorigi
parent.
Quando si viene a sapere della defezione degli Edui, la
guerra divampa ancor più. Si inviano ambascerie
ovunque: ogni risorsa a loro disposizione, che fosse il
prestigio, l'autorità o il denaro, la impiegano per
sollevare gli altri popoli. Sfruttano gli ostaggi lasciati da
Cesare in loro custodia, minacciano di metterli a morte
e, così, spaventano chi ancora esita. Gli Edui chiedono a
Vercingetorige di raggiungerli per concertare una
strategia comune. Ottenuto ciò, pretendono il comando
supremo. La cosa sfocia in una controversia, viene
indetto un concilio di tutta la Gallia a Bibracte. Arrivano
da ogni regione, in gran numero. La questione è messa ai
voti. Tutti, nessuno escluso, approvano Vercingetorige
come capo. Al concilio non parteciparono i Remi, i
Lingoni, i Treveri: i primi due perché rimanevano fedeli
all'alleanza con Roma; i Treveri perché erano troppo
distanti e pressati dai Germani, motivo per cui non
parteciparono mai alle operazioni di questa guerra e non
inviarono aiuti a nessuno dei due contendenti. Per gli
Edui è un duro colpo la perdita del primato, lamentano il
cambiamento di sorte e rimpiangono l'indulgenza di
Cesare nei loro confronti. Ma la guerra era ormai
iniziata, ed essi non osano separarsi dagli altri. Loro
malgrado, Eporedorige e Viridomaro, giovani molto
ambiziosi, obbediscono a Vercingetorige.
LXIV
Ipse imperat reliquis civitatibus obsides diemque ei rei
constituit. Omnes equites, quindecim milia numero,
celeriter convenire iubet; peditatu quem antea habuerit
se fore contentum dicit, neque fortunam temptaturum aut
in acie dimicaturum, sed, quoniam abundet equitatu,
perfacile esse factu frumentationibus pabulationibusque
Romanos prohibere, aequo modo animo sua ipsi
frumenta corrumpant aedificiaque incendant, qua rei
familiaris iactura perpetuum imperium libertatemque se
consequi videant. His constitutis rebus Aeduis
Segusiavisque, qui sunt finitimi provinciae, decem milia
peditum imperat; huc addit equites octingentos. His
praeficit fratrem Eporedorigis bellumque inferri
Allobrogibus iubet. Altera ex parte Gabalos
proximosque pagos Arvernorum in Helvios, item
Rutenos Cadurcosque ad fines Volcarum Arecomicorum
depopulandos mittit. Nihilo minus clandestinis nuntiis
legationibusque Allobrogas sollicitat, quorum mentes
nondum ab superiore bello resedisse sperabat. Horum
principibus pecunias, civitati autem imperium totius
provinciae pollicetur.
Vercingetorige impone ostaggi agli altri popoli e ne fissa
la data di consegna. Ordina che tutti i cavalieri, in
numero di quindicimila, lì si radunino rapidamente.
Quanto alla fanteria, diceva, si sarebbe accontentato
delle truppe che aveva già prima. Non avrebbe tentato la
sorte o combattuto in campo aperto; aveva una grande
cavalleria, era assai facile impedire ai Romani
l'approvvigionamento di grano e foraggio; bastava che i
Galli si rassegnassero a distruggere le proprie scorte e a
incendiare le case: la perdita dei beni privati, lo
vedevano anch'essi, significava autonomia e libertà
perpetue. Dopo aver così deciso, agli Edui e ai
Segusiavi, che confinano con la provincia, impone
l'invio di diecimila fanti. Vi aggiunge ottocento
cavalieri. Ne affida il comando al fratello di Eporedorige
e gli ordina di attaccare gli Allobrogi. Sul versante
opposto, contro gli Elvi manda i Gabali e le tribù di
confine degli Arverni, mentre invia i Ruteni e i Cadurci
a devastare le terre dei Volci Arecomici. Non di meno,
con emissari clandestini e ambascerie sobilla gli
Allobrogi, perché sperava che dall'ultima sollevazione i
loro animi non si fossero ancora assopiti. Ai capi degli
Allobrogi promette denaro, al popolo invece, il comando
di tutta la provincia.
LXV
Ad hos omnes casus provisa erant praesidia cohortium
duarum et viginti, quae ex ipsa provincia ab Lucio
Caesare legato ad omnes partes opponebantur. Helvii
sua sponte cum finitimis proelio congressi pelluntur et
Gaio Valerio Donnotauro, Caburi filio, principe
civitatis, compluribusque aliis interfectis intra oppida ac
muros compelluntur. Allobroges crebris ad Rhodanum
dispositis praesidiis magna cum cura et diligentia suos
fines tuentur. Caesar, quod hostes equitatu superiores
esse intellegebat et interclusis omnibus itineribus nulla
re ex provincia atque Italia sublevari poterat, trans
Rhenum in Germaniam mittit ad eas civitates quas
superioribus annis pacaverat, equitesque ab his arcessit
et levis armaturae pedites, qui inter eos proeliari
consuerant. Eorum adventu, quod minus idoneis equis
utebantur, a tribunis militum reliquisque equitibus
Romanis atque evocatis equos sumit Germanisque
distribuit.
Per far fronte a ogni evenienza, i nostri avevano
provveduto a disporre un presidio di ventidue coorti:
arruolate nella provincia stessa dal legato L. Cesare,
formavano uno sbarramento lungo tutto il fronte. Gli
Elvi, scesi per proprio conto a battaglia con i popoli
limitrofi, vengono respinti e sono costretti a rifugiarsi
all'interno delle loro città e mura, dopo aver registrato
gravi perdite: tra i tanti altri, era caduto C. Valerio
Domnotauro, figlio di Caburo e loro principe. Gli
Allobrogi dislocano parecchi presidi lungo il Rodano,
sorvegliano con cura e attenzione i propri territori.
Cesare capiva che la cavalleria nemica era superiore e
che, con tutte le strade tagliate, non poteva contare su
rinforzi dalla provincia e dall'Italia. Allora invia emissari
oltre il Reno, in Germania, alle genti da lui sottomesse
negli anni precedenti: chiede cavalleria e fanti armati
alla leggera, abituati a combattere tra i cavalieri. Appena
arrivano, Cesare, notando che montavano su cavalli non
di razza, requisisce i destrieri dei tribuni militari, degli
altri cavalieri romani e dei richiamati e li distribuisce ai
Germani.
LXVI
Interea, dum haec geruntur, hostium copiae ex Arvernis
equitesque qui toti Galliae erant imperati conveniunt.
Magno horum coacto numero, cum Caesar in Sequanos
per extremos Lingonum fines iter faceret, quo facilius
subsidium provinciae ferri posset, circiter milia passuum
decem ab Romanis trinis castris Vercingetorix consedit
convocatisque ad concilium praefectis equitum venisse
tempus victoriae demonstrat. Fugere in provinciam
Nel frattempo, mentre accadevano tali fatti, giungono le
truppe degli Arverni e i cavalieri che tutta la Gallia
doveva fornire. Mentre raccoglievano, così, ingenti
truppe, Cesare attraversa i più lontani territori dei
Lingoni alla volta dei Sequani, allo scopo di portare
aiuto con maggior facilità alla provincia. Vercingetorige
si stabilisce a circa dieci miglia dai Romani, in tre
distinti accampamenti. Convoca i comandanti della
Romanos Galliaque excedere. Id sibi ad praesentem
obtinendam libertatem satis esse; ad reliqui temporis
pacem atque otium parum profici: maioribus enim
coactis copiis reversuros neque finem bellandi facturos.
Proinde agmine impeditos adorirantur. Si pedites suis
auxilium ferant atque in eo morentur, iter facere non
posse; si, id quod magis futurum confidat, relictis
impedimentis suae saluti consulant, et usu rerum
necessariarum et dignitate spoliatum iri. Nam de
equitibus hostium, quin nemo eorum progredi modo
extra agmen audeat, et ipsos quidem non debere
dubitare, et quo maiore faciant animo, copias se omnes
pro castris habiturum et terrori hostibus futurum.
Conclamant equites sanctissimo iureiurando confirmari
oportere, ne tecto recipiatur, ne ad liberos, ne ad
parentes, ad uxorem aditum habeat, qui non bis per
agmen hostium perequitasset.
cavalleria e spiega che l'ora della vittoria è giunta: i
Romani fuggivano in provincia, lasciavano la Gallia; al
momento era sufficiente a ottenere la libertà, ma per il
futuro non garantiva pace e quiete; i Romani avrebbero
raccolto truppe più consistenti, sarebbero ritornati, non
avrebbero posto fine alla guerra. Perciò bisognava
attaccarli in marcia, quando erano impacciati dai
bagagli. Se i legionari soccorrevano gli altri e si
attardavano, non potevano proseguire la marcia; se
abbandonavano le salmerie e pensavano a salvare la vita
- e sarebbe andata così, ne era certo - perdevano ogni
bene di prima necessità e, insieme, l'onore. Quanto ai
cavalieri nemici, nessuno avrebbe osato nemmeno uscire
dallo schieramento, non c'era dubbio. E perché
muovessero all'attacco con maggior ardimento, avrebbe
tenuto dinnanzi al campo tutte le truppe e atterrito il
nemico. I cavalieri galli acclamano: bisognava giurare
solennemente che si negava un tetto e la possibilità di
avvicinare figli, genitori o moglie a chi, sul proprio
cavallo, non attraversava per due volte le linee nemiche.
LXVII
Probata re atque omnibus iureiurando adactis postero die
in tres partes distributo equitatu duae se acies ab duobus
lateribus ostendunt, una primo agmine iter impedire
coepit. Qua re nuntiata Caesar suum quoque equitatum
tripertito divisum contra hostem ire iubet. Pugnatur una
omnibus in partibus. Consistit agmen; impedimenta intra
legiones recipiuntur. Si qua in parte nostri laborare aut
gravius premi videbantur, eo signa inferri Caesar
aciemque constitui iubebat; quae res et hostes ad
insequendum tardabat et nostros spe auxili confirmabat.
Tandem Germani ab dextro latere summum iugum nacti
hostes loco depellunt; fugientes usque ad flumen, ubi
Vercingetorix cum pedestribus copiis consederat,
persequuntur compluresque interficiunt. Qua re
animadversa reliqui ne circumirentur veriti se fugae
mandant. Omnibus locis fit caedes. Tres nobilissimi
Aedui capti ad Caesarem perducuntur: Cotus, praefectus
equitum, qui controversiam cum Convictolitavi proximis
comitiis habuerat, et Cavarillus, qui post defectionem
Litavicci pedestribus copiis praefuerat, et Eporedorix,
quo duce ante adventum Caesaris Aedui cum Sequanis
bello contenderant.
La proposta viene approvata e tutti prestano giuramento.
Il giorno seguente dividono la cavalleria in tre gruppi:
due compaiono sui fianchi del nostro schieramento, la
terza comincia a contrastarci il passo all'avanguardia.
Appena glielo comunicano, Cesare divide la cavalleria
in tre parti e ordina di affrontare il nemico. Si
combatteva contemporaneamente in ogni settore.
L'esercito si ferma, le salmerie vengono raccolte in
mezzo alle legioni. Se in qualche zona i nostri
sembravano in difficoltà o troppo alle strette, lì Cesare
ordinava di muovere all'attacco e di formare la linea. La
manovra ritardava l'inseguimento nemico e rinfrancava i
nostri con la speranza del sostegno. Alla fine, i Germani
all'ala destra respingono i nemici, sfruttando un alto
colle: inseguono i fuggiaschi sino al fiume, dove
Vercingetorige si era attestato con la fanteria, e ne
uccidono parecchi. Appena se ne accorgono, gli altri si
danno alla fuga, temendo l'accerchiamento. È strage
ovunque. Tre Edui di stirpe assai nobile vengono
catturati e condotti a Cesare: Coto, il comandante della
cavalleria. che aveva avuto nell'ultima elezione un
contrasto con Convictolitave; Cavarillo, preposto alla
fanteria dopo la defezione di Litavicco; Eporedorige,
sotto la cui guida gli Edui avevano combattuto contro i
Sequani prima dell'arrivo di Cesare.
LXVIII
Fugato omni equitatu Vercingetorix copias, ut pro
castris collocaverat, reduxit protinusque Alesiam, quod
est oppidum Mandubiorum, iter facere coepit
celeriterque impedimenta ex castris educi et se subsequi
iussit. Caesar impedimentis in proximum collem
deductis, duabus legionibus praesidio relictis, secutus
quantum diei tempus est passum, circiter tribus milibus
hostium ex novissimo agmine interfectis altero die ad
Alesiam castra fecit. Perspecto urbis situ perterritisque
hostibus, quod equitatu, qua maxime parte exercitus
Vista la rotta della cavalleria, Vercingetorige ritirò le
truppe schierate dinnanzi all'accampamento e mosse
direttamente verso Alesia, città dei Mandubi, ordinando
di condurre rapidamente le salmerie fuori dal campo e di
seguirlo. Cesare porta i bagagli sul colle più vicino e vi
lascia due legioni come presidio. Lo insegue finché c'è
luce: uccide circa tremila uomini della retroguardia e il
giorno successivo si accampa davanti ad Alesia.
Esaminata la posizione della città e tenuto conto che i
nemici erano atterriti, perché era stata messa in fuga la
confidebant, erant pulsi, adhortatus ad laborem milites
circumvallare instituit.
loro cavalleria, ossia il reparto su cui più confidavano,
esorta i soldati all'opera e comincia a circondare Alesia
con un vallo.
LXIX
Ipsum erat oppidum Alesia in colle summo admodum
edito loco, ut nisi obsidione expugnari non posse
videretur; cuius collis radices duo duabus ex partibus
flumina subluebant. Ante id oppidum planities circiter
milia passuum tria in longitudinem patebat: reliquis ex
omnibus partibus colles mediocri interiecto spatio pari
altitudinis fastigio oppidum cingebant. Sub muro, quae
pars collis ad orientem solem spectabat, hunc omnem
locum copiae Gallorum compleverant fossamque et
maceriam sex in altitudinem pedum praeduxerant. Eius
munitionis quae ab Romanis instituebatur circuitus XI
milia passuum tenebat. Castra opportunis locis erant
posita ibique castella viginti tria facta, quibus in castellis
interdiu stationes ponebantur, ne qua subito eruptio
fieret: haec eadem noctu excubitoribus ac firmis
praesidiis tenebantur.
La città di Alesia sorgeva sulla cima di un colle molto
elevato, tanto che l'unico modo per espugnarla sembrava
l'assedio. I piedi del colle, su due lati, erano bagnati da
due fiumi. Davanti alla città si stendeva una pianura
lunga circa tre miglia; per il resto, tutt'intorno, la
cingevano altri colli di uguale altezza, poco distanti
l'uno dall'altro. Sotto le mura, la parte del colle che
guardava a oriente brulicava tutta di truppe galliche; qui,
in avanti, avevano scavato una fossa e costruito un muro
a secco alto sei piedi. Il perimetro della cinta di
fortificazione iniziata dai Romani raggiungeva le dieci
miglia. Si era stabilito l'accampamento in una zona
vantaggiosa, erano state costruite ventitré ridotte: di
giorno vi alloggiavano corpi di guardia per prevenire
attacchi improvvisi, di notte erano tenute da sentinelle e
saldi presidi.
LXX
Opere instituto fit equestre proelium in ea planitie, quam
intermissam collibus tria milia passuum in longitudinem
patere supra demonstravimus. Summa vi ab utrisque
contenditur. Laborantibus nostris Caesar Germanos
summittit legionesque pro castris constituit, ne qua
subito irruptio ab hostium peditatu fiat. Praesidio
legionum addito nostris animus augetur: hostes in fugam
coniecti se ipsi multitudine impediunt atque
angustioribus portis relictis coacervantur. Germani
acrius usque ad munitiones sequuntur. Fit magna caedes:
nonnulli relictis equis fossam transire et maceriam
transcendere conantur. Paulum legiones Caesar quas pro
vallo constituerat promoveri iubet. Non minus qui intra
munitiones erant perturbantur Galli: veniri ad se
confestim existimantes ad arma conclamant; nonnulli
perterriti in oppidum irrumpunt. Vercingetorix iubet
portas claudi, ne castra nudentur. Multis interfectis,
compluribus equis captis Germani sese recipiunt.
Quando i lavori erano già iniziati, le cavallerie vengono
a battaglia nella Pianura che si stendeva tra i colli per tre
miglia di lunghezza, come abbiamo illustrato. Si
combatte con accanimento da entrambe le parti. In aiuto
dei nostri in difficoltà, Cesare invia i Germani e schiera
le legioni di fronte all'accampamento, per impedire un
attacco improvviso della fanteria nemica. Il presidio
delle legioni infonde coraggio ai nostri. I nemici sono
messi in fuga: numerosi com'erano, si intralciano e si
accalcano a causa delle porte, costruite troppo strette. I
Germani li inseguono con maggior veemenza fino alle
fortificazioni. Ne fanno strage: alcuni smontano da
cavallo e tentano di superare la fossa e di scalare il
muro. Alle legioni schierate davanti al vallo Cesare
ordina di avanzare leggermente. Un panico non minore
prende i Galli all'interno delle fortificazioni: pensano a
un attacco imminente, gridano di correre alle armi.
Alcuni, sconvolti dal terrore, si precipitano in città.
Vercingetorige comanda di chiudere le porte, perché
l'accampamento non rimanesse sguarnito. Dopo aver
ucciso molti nemici e catturato parecchi cavalli, i
Germani ripiegano.
LXXI
Vercingetorix, priusquam munitiones ab Romanis
perficiantur, consilium capit omnem ab se equitatum
noctu dimittere. Discedentibus mandat ut suam quisque
eorum civitatem adeat omnesque qui per aetatem arma
ferre possint ad bellum cogant. Sua in illos merita
proponit obtestaturque ut suae salutis rationem habeant
neu se optime de communi libertate meritum in
cruciatum hostibus dedant. Quod si indiligentiores
fuerint, milia hominum delecta octoginta una secum
interitura demonstrat. Ratione inita se exigue dierum
triginta habere frumentum, sed paulo etiam longius
Vercingetorige prende la decisione di far uscire di notte
tutta la cavalleria, prima che i Romani portassero a
termine la linea di fortificazione. Alla partenza,
raccomanda a tutti di raggiungere ciascuno la propria
gente e di raccogliere per la guerra tutti gli uomini che,
per età, potevano portare le armi. Ricorda i suoi meriti
nei loro confronti, li scongiura di tener conto della sua
vita, di non abbandonarlo al supplizio dei nemici, lui che
tanti meriti aveva nella lotta per la libertà comune. E se
avessero svolto il compito con minor scrupolo, insieme a
lui avrebbero perso la vita ottantamila uomini scelti.
tolerari posse parcendo. His datis mandatis, qua opus
erat intermissum, secunda vigilia silentio equitatum
mittit. Frumentum omne ad se referri iubet; capitis
poenam eis qui non paruerint constituit: pecus, cuius
magna erat copia ab Mandubiis compulsa, viritim
distribuit; frumentum parce et paulatim metiri instituit;
copias omnes quas pro oppido collocaverat in oppidum
recepit. His rationibus auxilia Galliae exspectare et
bellum parat administrare.
Fatti i conti, aveva grano a malapena per trenta giorni,
ma se lo razionava, poteva resistere anche un po' di più.
Con tali compiti, prima di mezzanotte fa uscire, in
silenzio, la cavalleria nel settore dove i nostri lavori non
erano ancora arrivati. Ordina la consegna di tutto il
grano; fissa la pena capitale per chi non avesse obbedito;
quanto al bestiame, fornito in grande quantità dai
Mandubi, distribuisce a ciascuno la sua parte; fa
economia di grano e comincia a razionarlo; accoglie
entro le mura tutte le truppe prima schierate davanti alla
città. Prese tali misure, attende i rinforzi della Gallia e si
prepara a guidare le operazioni.
LXXII
Quibus rebus cognitis ex perfugis et captivis, Caesar
haec genera munitionis instituit. Fossam pedum viginti
directis lateribus duxit, ut eius fossae solum tantundem
pateret quantum summae fossae labra distarent. Reliquas
omnes munitiones ab ea fossa pedes quadringentos
reduxit, [id] hoc consilio, quoniam tantum esset
necessario spatium complexus, nec facile totum corpus
corona militum cingeretur, ne de improviso aut noctu ad
munitiones hostium multitudo advolaret aut interdiu tela
in nostros operi destinatos conicere possent. Hoc
intermisso spatio duas fossas quindecim pedes latas,
eadem altitudine perduxit, quarum interiorem
campestribus ac demissis locis aqua ex flumine derivata
complevit. Post eas aggerem ac vallum duodecim pedum
exstruxit. Huic loricam pinnasque adiecit grandibus
cervis eminentibus ad commissuras pluteorum atque
aggeris, qui ascensum hostium tardarent, et turres toto
opere circumdedit, quae pedes LXXX inter se distarent.
Cesare, appena ne fu informato dai fuggiaschi e dai
prigionieri, approntò una linea di fortificazione come
segue: scavò una fossa di venti piedi, con le pareti
verticali, facendo sì che la larghezza del fondo
corrispondesse alla distanza tra i bordi superiori; tutte le
altre opere difensive le costruì più indietro, a
quattrocento piedi dalla fossa: avendo dovuto
abbracciare uno spazio così vasto e non essendo facile
dislocare soldati lungo tutto il perimetro, voleva
impedire che i nemici, all'improvviso o nel corso della
notte, piombassero sulle nostre fortificazioni, oppure che
durante il giorno potessero scagliare dardi sui nostri
occupati nei lavori. A tale distanza, dunque, scavò due
fosse della stessa profondità, larghe quindici piedi. Delle
due, la più interna, situata in zone pianeggianti e basse,
venne riempita con acqua derivata da un fiume. Ancor
più indietro innalzò un terrapieno e un vallo di dodici
piedi, a cui aggiunse parapetto e merli, con grandi pali
sporgenti dalle commessure tra i plutei e il terrapieno
allo scopo di ritardare la scalata dei nemici. Lungo tutto
il perimetro delle difese innalzò torrette distanti ottanta
piedi l'una dall'altra.
LXXIII
Erat eodem tempore et materiari et frumentari et tantas
munitiones fieri necesse deminutis nostris copiis quae
longius ab castris progrediebantur: ac non numquam
opera nostra Galli temptare atque eruptionem ex oppido
pluribus portis summa vi facere conabantur. Quare ad
haec rursus opera addendum Caesar putavit, quo minore
numero militum munitiones defendi possent. Itaque
truncis arborum aut admodum firmis ramis abscisis
atque horum delibratis ac praeacutis cacuminibus
perpetuae fossae quinos pedes altae ducebantur. Huc illi
stipites demissi et ab infimo revincti, ne revelli possent,
ab ramis eminebant. Quini erant ordines coniuncti inter
se atque implicati; quo qui intraverant, se ipsi
acutissimis vallis induebant. Hos cippos appellabant.
Ante quos obliquis ordinibus in quincuncem dispositis
scrobes tres in altitudinem pedes fodiebantur paulatim
angustiore ad infimum fastigio. Huc teretes stipites
feminis crassitudine ab summo praeacuti et praeusti
demittebantur, ita ut non amplius digitis quattuor ex
terra eminerent; simul confirmandi et stabiliendi causa
singuli ab infimo solo pedes terra exculcabantur, reliqua
Bisognava contemporaneamente cercare legna e
frumento e costruire fortificazioni così imponenti,
mentre i nostri effettivi non facevano che diminuire,
perché i soldati si allontanavano sempre più dal campo.
E alle volte i Galli assalivano le nostre difese e dalla
città tentavano sortite da più porte, con grande slancio.
Perciò, Cesare ritenne opportuno aggiungere altre opere
alle fortificazioni già approntate, per poterle difendere
con un numero minore di soldati. Allora tagliò tronchi
d'albero con i rami molto robusti, li scortecciò e li rese
molto aguzzi sulla punta; poi, scavò fosse continue per
la profondità di cinque piedi. Qui piantò i tronchi e,
perché non li potessero svellere, li legò alla base,
lasciando sporgere i rami. A cinque a cinque erano le
file, collegate tra loro e raccordate: chi vi entrava,
rimaneva trafitto sui pali acutissimi. Li chiamammo
cippi. Davanti ai cippi scavò buche profonde tre piedi,
leggermente più strette verso il fondo e disposte per
linee oblique, come il cinque nei dadi. Vi conficcò
tronchi lisci, spessi quanto una coscia, molto aguzzi e
induriti col fuoco sulla punta, non lasciandoli sporgere
pars scrobis ad occultandas insidias viminibus ac
virgultis integebatur. Huius generis octoni ordines ducti
ternos inter se pedes distabant. Id ex similitudine floris
lilium appellabant. Ante haec taleae pedem longae
ferreis hamis infixis totae in terram infodiebantur
mediocribusque intermissis spatiis omnibus locis
disserebantur; quos stimulos nominabant.
dal terreno più di quattro dita. Inoltre, per renderli ben
fermi e saldi, in basso aggiunse terra per un piede
d'altezza e la pressò; il resto del tronco venne ricoperto
di vimini e arbusti per nascondere l'insidia. Ne allineò
otto file, distanti tre piedi l'una dall'altra. Le
denominammo, per la somiglianza con il fiore, gigli.
Davanti a esse vennero interrati pioli lunghi un piede,
forniti di un artiglio di ferro: ne disseminammo un po'
ovunque, a breve distanza. Presero il nome di stimoli.
LXXIV
His rebus perfectis regiones secutus quam potuit
aequissimas pro loci natura quattuordecim milia
passuum complexus pares eiusdem generis munitiones,
diversas ab his, contra exteriorem hostem perfecit, ut ne
magna quidem multitudine, si ita accidat, munitionum
praesidia circumfundi possent; ac ne cum periculo ex
castris egredi cogatur, dierum triginta pabulum
frumentumque habere omnes convectum iubet.
Terminate tali opere, seguendo i terreni più favorevoli
per conformazione naturale, costruì una linea difensiva
dello stesso genere, lunga quattordici miglia, ma opposta
alla prima, contro un nemico proveniente dalle spalle:
così, anche nel caso di un attacco in massa dopo la sua
partenza, gli avversari non avrebbero potuto circondare i
presidi delle fortificazioni, né i nostri si sarebbero
trovati costretti a sortite rischiose. Ordina a tutti di
portare con sé foraggio e grano per trenta giorni.
LXXV
Dum haec apud Alesiam geruntur, Galli concilio
principum indicto non omnes eos qui arma ferre possent,
ut censuit Vercingetorix, convocandos statuunt, sed
certum numerum cuique ex civitate imperandum, ne
tanta multitudine confusa nec moderari nec discernere
suos nec frumentandi rationem habere possent. Imperant
Aeduis atque eorum clientibus, Segusiavis, Ambivaretis,
Aulercis Brannovicibus, Blannoviis, milia XXXV;
parem numerum Arvernis adiunctis Eleutetis, Cadurcis,
Gabalis, Vellaviis, qui sub imperio Arvernorum esse
consuerunt; Sequanis, Senonibus, Biturigibus, Santonis,
Rutenis, Carnutibus duodena milia; Bellovacis X;
totidem Lemovicibus; octona Pictonibus et Turonis et
Parisiis et Helvetiis; [Suessionibus,] Ambianis,
Mediomatricis, Petrocoriis, Nerviis, Morinis,
Nitiobrigibus quina milia; Aulercis Cenomanis totidem;
Atrebatibus [IIII milibus]; Veliocassis, Lexoviis et
Aulercis Eburovicibus terna; Rauracis et Boiis bina;
[XXX milia] universis civitatibus, quae Oceanum
attingunt quaeque eorum consuetudine Armoricae
appellantur, quo sunt in numero Curiosolites, Redones,
Ambibarii, Caletes, Osismi, Veneti, Lemovices, Venelli.
Ex his Bellovaci suum numerum non compleverunt,
quod se suo nomine atque arbitrio cum Romanis bellum
gesturos dicebant neque cuiusquam imperio
obtemperaturos; rogati tamen ab Commio pro eius
hospitio duo milia una miserunt.
Così andavano le cose ad Alesia. Nel frattempo, i Galli
indicono un concilio dei capi, stabiliscono di non
chiamare alle armi tutti gli uomini abili, come aveva
chiesto Vercingetorige, ma di imporre ad ogni popolo la
consegna di un contingente determinato, perché
temevano che fosse impossibile, tra tanta confusione di
popoli, mantenere la disciplina, riconoscere le proprie
truppe, amministrare le provviste di grano. Agli Edui e
ai loro alleati, ossia i Segusiavi, gli Ambivareti, gli
Aulerci Brannovici, i Blannovi, ordinano di fornire
trentacinquemila uomini; altrettanti agli Arverni insieme
agli Eleuteti, ai Cadurci, ai Gabali, ai Vellavi, da tempo
clienti degli Arverni stessi; ai Sequani, ai Senoni, ai
Biturigi, ai Santoni, ai Ruteni, ai Carnuti dodicimila
ciascuno; ai Bellovaci diecimila; ottomila ciascuno ai
Pictoni, ai Turoni, ai Parisi e agli Elvezi; agli Ambiani,
ai Mediomatrici, ai Petrocori, ai Nervi, ai Morini, ai
Nitiobrogi cinquemila ciascuno; altrettanti agli Aulerci
Cenomani; agli Atrebati quattromila; ai Veliocassi, ai
Lexovi e agli Aulerci Eburovici tremila ciascuno; ai
Rauraci e ai Boi mille ciascuno; ventimila a tutti quei
popoli che si affacciano sull'Oceano e che, come dicono
loro stessi, si chiamano Aremorici, tra i quali ricordiamo
i Coriosoliti, i Redoni, gli Ambibari, i Caleti, gli Osismi,
i Lemovici, gli Unelli. Di tutti i popoli citati, solo i
Bellovaci non inviarono il contingente completo,
dicendo che avrebbero mosso guerra ai Romani per
proprio conto e arbitrio e che non avrebbero preso ordini
da nessuno. Tuttavia, su preghiera di Commio, in
ragione dei vincoli di ospitalità che li legavano a lui,
inviarono duemila soldati.
LXXVI
Huius opera Commi, ut antea demonstravimus, fideli
atque utili superioribus annis erat usus in Britannia
Caesar; quibus ille pro meritis civitatem eius immunem
Dei fidati e preziosi servigi di Commio, Cesare si era
avvalso negli anni precedenti, lo abbiamo detto. In
cambio, aveva decretato che gli Atrebati fossero esenti
esse iusserat, iura legesque reddiderat atque ipsi
Morinos attribuerat. Tamen tanta universae Galliae
consensio fuit libertatis vindicandae et pristinae belli
laudis recuperandae, ut neque beneficiis neque amicitiae
memoria moverentur, omnesque et animo et opibus in id
bellum incumberent. Coactis equitum VIII milibus et
peditum circiter CCL haec in Aeduorum finibus
recensebantur, numerusque inibatur, praefecti
constituebantur. Commio Atrebati, Viridomaro et
Eporedorigi Aeduis, Vercassivellauno Arverno,
consobrino Vercingetorigis, summa imperi traditur. His
delecti ex civitatibus attribuuntur, quorum consilio
bellum administraretur. Omnes alacres et fiduciae pleni
ad Alesiam proficiscuntur, neque erat omnium quisquam
qui aspectum modo tantae multitudinis sustineri posse
arbitraretur, praesertim ancipiti proelio, cum ex oppido
eruptione pugnaretur, foris tantae copiae equitatus
peditatusque cernerentur.
da tributi, aveva loro restituito diritto e leggi e assegnato
la tutela dei Morini. Ma il consenso della Gallia, che
voleva riacquistare l'indipendenza e recuperare l'antica
gloria militare, era così unanime, da rendere chiunque
insensibile anche ai benefici e al ricordo dell'amicizia:
tutti si gettavano nel conflitto col cuore e con ogni
risorsa. Vengono raccolti ottomila cavalieri e circa
duecentoquarantamila fanti; nelle terre degli Edui si
procede a passarli in rassegna, a contarli, a nominare gli
ufficiali. Il comando supremo viene affidato all'atrebate
Commio, agli edui Viridomaro ed Eporedorige,
all'arverno Vercassivellauno, cugino di Vercingetorige.
A essi vengono affiancati alcuni rappresentanti dei vari
popoli, che formavano il consiglio per condurre le
operazioni. Pieni di ardore e di fiducia si dirigono ad
Alesia. Nessuno credeva possibile reggere alla vista di
un tale esercito, tanto meno in uno scontro su due fronti,
quando i Romani, mentre combattevano per una sortita
dalla città, avessero scorto alle loro spalle truppe di
fanteria e cavalleria così imponenti.
LXXVII
At ei, qui Alesiae obsidebantur praeterita die, qua
auxilia suorum exspectaverant, consumpto omni
frumento, inscii quid in Aeduis gereretur, concilio
coacto de exitu suarum fortunarum consultabant. Ac
variis dictis sententiis, quarum pars deditionem, pars,
dum vires suppeterent, eruptionem censebat, non
praetereunda oratio Critognati videtur propter eius
singularem et nefariam crudelitatem. Hic summo in
Arvernis ortus loco et magnae habitus auctoritatis,
"Nihil", inquit, "de eorum sententia dicturus sum, qui
turpissimam servitutem deditionis nomine appellant,
neque hos habendos civium loco neque ad concilium
adhibendos censeo. Cum his mihi res sit, qui eruptionem
probant; quorum in consilio omnium vestrum consensu
pristinae residere virtutis memoria videtur. Animi est
ista mollitia, non virtus, paulisper inopiam ferre non
posse. Qui se ultro morti offerant facilius reperiuntur
quam qui dolorem patienter ferant. Atque ego hanc
sententiam probarem (tantum apud me dignitas potest),
si nullam praeterquam vitae nostrae iacturam fieri
viderem: sed in consilio capiendo omnem Galliam
respiciamus, quam ad nostrum auxilium concitavimus.
Quid hominum milibus LXXX uno loco interfectis
propinquis consanguineisque nostris animi fore
existimatis, si paene in ipsis cadaveribus proelio
decertare cogentur? Nolite hos vestro auxilio exspoliare,
qui vestrae salutis causa suum periculum neglexerunt,
nec stultitia ac temeritate vestra aut animi imbecillitate
omnem Galliam prosternere et perpetuae servituti
subicere. An, quod ad diem non venerunt, de eorum fide
constantiaque dubitatis? Quid ergo? Romanos in illis
ulterioribus munitionibus animine causa cotidie exerceri
putatis? Si illorum nuntiis confirmari non potestis omni
aditu praesaepto, his utimini testibus appropinquare
eorum adventum; cuius rei timore exterriti diem
noctemque in opere versantur. Quid ergo mei consili
est? Facere, quod nostri maiores nequaquam pari bello
Cimbrorum Teutonumque fecerunt; qui in oppida
Ma gli assediati in Alesia, scaduto il giorno previsto per
l'arrivo dei rinforzi ed esaurite tutte le scorte di grano,
ignari di ciò che stava accadendo nelle terre degli Edui,
convocarono un'assemblea e si consultarono sull'esito
della propria sorte. E tra i vari pareri - c'era chi
propendeva per la resa, chi per una sortita, finché le
forze bastavano - crediamo di non dover tralasciare il
discorso di Critognato per la sua straordinaria ed empia
crudeltà. Persona di altissimo lignaggio tra gli Arverni e
molto autorevole, così parlò: "Non spenderò una parola
riguardo al parere di chi chiama resa una
vergognosissima schiavitù: costoro non li considero
cittadini e non dovrebbero avere neppure il diritto di
partecipare all'assemblea. È mia intenzione rivolgermi a
chi approva la sortita, soluzione che conserva l'impronta
dell'antico valore, tutti voi ne convenite. Non essere
minimamente capaci di sopportare le privazioni, non è
valore, ma debolezza d'animo. È più facile trovare
volontari pronti alla morte piuttosto che gente disposta a
sopportare pazientemente il dolore. E anch'io - tanto è
forte in me il senso dell'onore - sarei dello stesso avviso,
se vedessi derivare un danno solo per la nostra vita. Ma
nel prendere la decisione, rivolgiamo gli occhi a tutta la
Gallia, che abbiamo chiamato in soccorso. Quale sarà,
secondo voi, lo stato d'animo dei nostri parenti e
consanguinei, quando vedranno ottantamila uomini
uccisi in un sol luogo e dovranno combattere quasi sui
nostri cadaveri? Non negate il vostro aiuto a chi, per
salvare voi, non ha curato pericoli. Non prostrate la
Gallia intera, non piegatela a una servitù perpetua a
causa della vostra stoltezza e imprudenza o per colpa
della fragilità del vostro animo. Sì, i rinforzi non sono
giunti nel giorno fissato, ma per questo dubitate della
loro lealtà e costanza? E allora? Credete che ogni giorno
i Romani là, nelle fortificazioni esterne, lavorino per
divertimento? Se non potete ricevere una conferma
perché le vie sono tutte tagliate, prendete allora i
Romani come testimonianza del loro imminente arrivo: è
compulsi ac simili inopia subacti eorum corporibus qui
aetate ad bellum inutiles videbantur vitam toleraverunt
neque se hostibus tradiderunt. Cuius rei si exemplum
non haberemus, tamen libertatis causa institui et posteris
prodi pulcherrimum iudicarem. Nam quid illi simile
bello fuit? Depopulata Gallia Cimbri magnaque illata
calamitate finibus quidem nostris aliquando excesserunt
atque alias terras petierunt; iura, leges, agros, libertatem
nobis reliquerunt. Romani vero quid petunt aliud aut
quid volunt, nisi invidia adducti, quos fama nobiles
potentesque bello cognoverunt, horum in agris
civitatibusque considere atque his aeternam iniungere
servitutem? Neque enim ulla alia condicione bella
gesserunt. Quod si ea quae in longinquis nationibus
geruntur ignoratis, respicite finitimam Galliam, quae in
provinciam redacta iure et legibus commutatis securibus
subiecta perpetua premitur servitute".
il timore dei nostri rinforzi che li spinge a lavorare
giorno e notte alle fortificazioni. Che cosa suggerisco,
dunque? Di imitare i nostri padri quando combattevano
contro i Cimbri e i Teutoni, in una guerra che non aveva
nulla a che vedere con la nostra: costretti a chiudersi
nelle città e a patire come noi dure privazioni, si
mantennero in vita con i corpi di chi, per ragioni d'età,
sembrava inutile alla guerra, e non si arresero ai nemici.
Se non avessimo già un precedente del genere,
giudicherei giusto istituirlo per la nostra libertà e
tramandarlo ai posteri come fulgido esempio. E poi,
quali somiglianze ci sono tra la loro guerra e la nostra? I
Cimbri, devastata la Gallia e seminata rovina, si
allontanarono una buona volta dalle nostre campagne e
si diressero verso altre terre, lasciandoci il nostro diritto,
le leggi, i campi, la libertà. I Romani, invece, che altro
cercano o vogliono, se non stanziarsi nelle campagne e
città di qualche popolo, spinti dall'invidia, appena sanno
che è nobile e forte in guerra? Oppure che altro, se non
assoggettarlo in un'eterna schiavitù? Non hanno mai
mosso guerra con altre intenzioni. E se ignorate le
vicende delle regioni più lontane, volgete gli occhi alla
Gallia limitrofa, ridotta a provincia: ha mutato il diritto e
le leggi, è soggetta alle scuri e piegata in una perpetua
servitù".
LXXVIII
Sententiis dictis constituunt ut ei qui valetudine aut
aetate inutiles sunt bello oppido excedant, atque omnia
prius experiantur, quam ad Critognati sententiam
descendant: illo tamen potius utendum consilio, si res
cogat atque auxilia morentur, quam aut deditionis aut
pacis subeundam condicionem. Mandubii, qui eos
oppido receperant, cum liberis atque uxoribus exire
coguntur. Hi, cum ad munitiones Romanorum
accessissent, flentes omnibus precibus orabant, ut se in
servitutem receptos cibo iuvarent. At Caesar dispositis
in vallo custodibus recipi prohibebat.
Espressi i vari pareri, decidono di allontanare dalla città
chi, per malattia o età, non poteva combattere e di
tentare tutto prima di risolversi alla proposta di
Critognato; tuttavia, in caso di necessità o di ritardo dei
rinforzi, bisognava giungere a un tale passo piuttosto che
accettare condizioni di resa o di pace. I Mandubi, che li
avevano accolti nella loro città, sono costretti a partire
con i figli e le mogli. Giunti ai piedi delle difese romane,
tra le lacrime e con preghiere d'ogni genere,
supplicavano i nostri di prenderli come schiavi e di dar
loro del cibo. Ma Cesare, disposte sentinelle sul vallo,
impediva di accoglierli.
LXXIX
Interea Commius reliquique duces quibus summa imperi
permissa erat cum omnibus copiis ad Alesiam
perveniunt et colle exteriore occupato non longius mille
passibus ab nostris munitionibus considunt. Postero die
equitatu ex castris educto omnem eam planitiem, quam
in longitudinem tria milia passuum patere
demonstravimus, complent pedestresque copias paulum
ab eo loco abditas in locis superioribus constituunt. Erat
ex oppido Alesia despectus in campum. Concurrunt his
auxiliis visis; fit gratulatio inter eos, atque omnium
animi ad laetitiam excitantur. Itaque productis copiis
ante oppidum considunt et proximam fossam cratibus
integunt atque aggere explent seque ad eruptionem atque
omnes casus comparant.
Nel frattempo, Commio e gli altri capi, a cui era stato
conferito il comando, giungono ad Alesia con tutte le
truppe, occupano il colle esterno e si attestano a non più
di un miglio dalle nostre difese. Il giorno seguente
mandano in campo la cavalleria e riempiono tutta la
pianura che si stendeva per tre miglia, come sopra
ricordato. Quanto alla fanteria, la dispongono poco
distante, nascosta sulle alture. Dalla città di Alesia la
vista dominava sulla pianura. Appena scorgono i
rinforzi, i Galli accorrono: esultano, gli animi di tutti si
schiudono alla gioia. Così, guidano le truppe fuori dalle
mura e si schierano di fronte alla città, coprono la prima
fossa con fascine, la colmano di terra si preparano
all'attacco, al tutto per tutto.
LXXX
Caesar omni exercitu ad utramque partem munitionum
Cesare dispone l'esercito lungo entrambe le linee
disposito, ut, si usus veniat, suum quisque locum teneat
et noverit, equitatum ex castris educi et proelium
committi iubet. Erat ex omnibus castris, quae summum
undique iugum tenebant, despectus, atque omnes milites
intenti pugnae proventum exspectabant. Galli inter
equites raros sagittarios expeditosque levis armaturae
interiecerant, qui suis cedentibus auxilio succurrerent et
nostrorum equitum impetus sustinerent. Ab his
complures de improviso vulnerati proelio excedebant.
Cum suos pugna superiores esse Galli confiderent et
nostros multitudine premi viderent, ex omnibus partibus
et ei qui munitionibus continebantur et hi qui ad
auxilium convenerant clamore et ululatu suorum animos
confirmabant. Quod in conspectu omnium res gerebatur
neque recte ac turpiter factum celari poterat, utrosque et
laudis cupiditas et timor ignominiae ad virtutem
excitabant. Cum a meridie prope ad solis occasum dubia
victoria pugnaretur, Germani una in parte confertis
turmis in hostes impetum fecerunt eosque propulerunt;
quibus in fugam coniectis sagittarii circumventi
interfectique sunt. Item ex reliquis partibus nostri
cedentes usque ad castra insecuti sui colligendi
facultatem non dederunt. At ei qui ab Alesia
processerant maesti prope victoria desperata se in
oppidum receperunt.
fortificate, perché ciascuno, in caso di necessità,
conoscesse il proprio posto e lì si schierasse. Poi, guida
la cavalleria fuori dal campo e ordina di dar inizio alla
battaglia. Da ogni punto del campo, situato sulla cima
del colle, la vista dominava; tutti i soldati, ansiosi,
aspettavano l'esito dello scontro. I Galli tenevano in
mezzo alla cavalleria pochi arcieri e fanti dall'armatura
leggera, che avevano il compito di soccorrere i loro
quando ripiegavano e di frenare l'impeto dei nostri
cavalieri. Gli arcieri e i fanti avevano colpito alla
sprovvista parecchi dei nostri, costringendoli a lasciare
la mischia. Da ogni parte tutti i Galli, sia chi era rimasto
all'interno delle difese, sia chi era giunto in rinforzo,
convinti della loro superiorità e vedendo i nostri pressati
dalla loro massa, incitavano i loro con grida e urla. Lo
scontro si svolgeva sotto gli occhi di tutti, perciò nessun
atto di coraggio o di viltà poteva sfuggire: il desiderio di
gloria e la paura dell'ignominia spronavano al valore gli
uni e gli altri. Si combatteva da mezzogiorno, il
tramonto era ormai vicino e l'esito era ancora incerto,
quand'ecco che, in un settore, a ranghi serrati i cavalieri
germani caricarono i nemici e li volsero in fuga. Alla
ritirata della cavalleria, gli arcieri vennero circondati e
uccisi. Anche nelle altre zone i nostri inseguirono fino
all'accampamento i nemici in fuga, senza permetter loro
di raccogliersi. I Galli che da Alesia si erano spinti in
avanti, mesti, disperando o quasi della vittoria,
cercarono rifugio in città.
LXXXI
Vno die intermisso Galli atque hoc spatio magno
cratium, scalarum, harpagonum numero effecto media
nocte silentio ex castris egressi ad campestres
munitiones accedunt. Subito clamore sublato, qua
significatione qui in oppido obsidebantur de suo adventu
cognoscere possent, crates proicere, fundis, sagittis,
lapidibus nostros de vallo proturbare reliquaque quae ad
oppugnationem pertinent parant administrare. Eodem
tempore clamore exaudito dat tuba signum suis
Vercingetorix atque ex oppido educit. Nostri, ut
superioribus diebus, ut cuique erat locus attributus, ad
munitiones accedunt; fundis librilibus sudibusque quas
in opere disposuerant ac glandibus Gallos proterrent.
Prospectu tenebris adempto multa utrimque vulnera
accipiuntur. Complura tormentis tela coniciuntur. At
Marcus Antonius et Gaius Trebonius legati, quibus hae
partes ad defendendum obvenerant, qua ex parte nostros
premi intellexerant, his auxilio ex ulterioribus castellis
deductos summittebant.
I Galli lasciarono passare un giorno, durante il quale
approntarono una gran quantità di fascine, scale,
ramponi. A mezzanotte, in silenzio, escono
dall'accampamento e si avvicinano alle nostre
fortificazioni di pianura. All'improvviso lanciano alte
grida: era il segnale convenuto per avvisare del loro
arrivo chi era in città. Si apprestano a gettare fascine, a
disturbare i nostri sul vallo con fionde, frecce e pietre,
ad azionare ogni macchina che serve in un assalto.
Contemporaneamente, appena sente le grida,
Vercingetorige dà ai suoi il segnale con la tromba e li
guida fuori dalla città. I nostri raggiungono le
fortificazioni, ciascuno nel posto che gli era stato
assegnato nei giorni precedenti. Usando fionde che
lanciano proiettili da una libbra e con pali disposti sulle
difese, atterriscono i Galli e li respingono. Le tenebre
impediscono la vista, gravi sono le perdite in entrambi
gli schieramenti. Le macchine da lancio scagliano nugoli
di frecce. E i legati M. Antonio e C. Trebonico cui era
toccata la difesa di questi settori, chiamano rinforzi dalle
ridotte più lontane e li mandano nelle zone dove
capivano che i nostri si trovavano in difficoltà.
LXXXII
Dum longius ab munitione aberant Galli, plus
multitudine telorum proficiebant; posteaquam propius
successerunt, aut se stimulis inopinantes induebant aut in
scrobes delati transfodiebantur aut ex vallo ac turribus
traiecti pilis muralibus interibant. Multis undique
Finché i Galli erano abbastanza distanti dalle nostre
fortificazioni, avevano un certo vantaggio, per il nugolo
di frecce da loro lanciate; una volta avvicinatisi, invece,
presi alla sprovvista, finivano negli stimoli o cadevano
nelle fosse rimanendo trafitti oppure venivano uccisi dai
vulneribus acceptis nulla munitione perrupta, cum lux
appeteret, veriti ne ab latere aperto ex superioribus
castris eruptione circumvenirentur, se ad suos
receperunt. At interiores, dum ea quae a Vercingetorige
ad eruptionem praeparata erant proferunt, priores fossas
explent, diutius in his rebus administrandis morati prius
suos discessisse cognoverunt, quam munitionibus
appropinquarent. Ita re infecta in oppidum reverterunt.
giavellotti scagliati dal vallo e dalle torri. In tutti i settori
subirono parecchie perdite e non riuscirono a far breccia
in nessun punto; all'approssimarsi dell'alba ripiegarono,
nel timore che i nostri tentassero una sortita
dall'accampamento più alto e li accerchiassero dal fianco
scoperto. E gli assediati, intenti a spingere in avanti le
macchine preparate da Vercingetorige per la sortita e a
riempire le prime fosse, mentre procedevano con troppa
lentezza, vengono a sapere che i loro si erano ritirati
prima di aver raggiunto le nostre difese. Così, senza aver
concluso nulla, rientrano in città.
LXXXIII
Bis magno cum detrimento repulsi Galli quid agant
consulunt; locorum peritos adhibent: ex his superiorum
castrorum situs munitionesque cognoscunt. Erat a
septentrionibus collis, quem propter magnitudinem
circuitus opere circumplecti non potuerant nostri:
necessario paene iniquo loco et leniter declivi castra
fecerunt. Haec Gaius Antistius Reginus et Gaius
Caninius Rebilus legati cum duabus legionibus
obtinebant. Cognitis per exploratores regionibus duces
hostium LX milia ex omni numero deligunt earum
civitatum quae maximam virtutis opinionem habebant;
quid quoque pacto agi placeat occulte inter se
constituunt; adeundi tempus definiunt, cum meridies
esse videatur. His copiis Vercassivellaunum Arvernum,
unum ex quattuor ducibus, propinquum Vercingetorigis,
praeficiunt. Ille ex castris prima vigilia egressus prope
confecto sub lucem itinere post montem se occultavit
militesque ex nocturno labore sese reficere iussit. Cum
iam meridies appropinquare videretur, ad ea castra quae
supra demonstravimus contendit; eodemque tempore
equitatus ad campestres munitiones accedere et reliquae
copiae pro castris sese ostendere coeperunt.
I Galli, respinti due volte con gravi perdite, si
consultano sul da farsi. Chiamano gente pratica della
zona. Da essi apprendono com'era disposto e fortificato
il nostro accampamento superiore. A nord c'era un colle
che, per la sua estensione, i nostri non avevano potuto
abbracciare nella linea difensiva: erano stati costretti a
porre il campo in una posizione quasi sfavorevole, in
leggera pendenza. Il campo era occupato dai legati C.
Antistio Regino e C. Caninio Rebilo con due legioni. Gli
esploratori effettuano un sopralluogo della zona, mentre
i comandanti nemici scelgono sessantamila soldati tra
tutti i popoli ritenuti più valorosi. In segreto mettono a
punto il piano e le modalità d'azione. Fissano l'ora
dell'attacco verso mezzogiorno. Il comando delle truppe
suddette viene affidato all'arverno Vercassivellauno, uno
dei quattro capi supremi, parente di Vercingetorige.
Vercassivellauno uscì dal campo dopo le sei di sera e
giunse quasi a destinazione poco prima dell'alba, si
nascose dietro il monte e ordinò ai soldati di riposarsi
dopo la fatica della marcia notturna. Quando ormai
sembrava avvicinarsi mezzogiorno, puntò
sull'accampamento di cui abbiamo parlato. Al contempo,
la cavalleria cominciò ad accostarsi alle nostre difese di
pianura e le truppe rimanenti comparvero dinnanzi al
loro campo.
LXXXIV
Vercingetorix ex arce Alesiae suos conspicatus ex
oppido egreditur; crates, longurios, musculos, falces
reliquaque quae eruptionis causa paraverat profert.
Pugnatur uno tempore omnibus locis, atque omnia
temptantur: quae minime visa pars firma est, huc
concurritur. Romanorum manus tantis munitionibus
distinetur nec facile pluribus locis occurrit. Multum ad
terrendos nostros valet clamor, qui post tergum
pugnantibus exstitit, quod suum periculum in aliena
vident salute constare: omnia enim plerumque quae
absunt vehementius hominum mentes perturbant.
Vercingetorige vede i suoi dalla rocca di Alesia ed esce
dalla città. Porta fascine, pertiche, ripari, falci e ogni
altra arma preparata per la sortita. Si combatte
contemporaneamente in ogni zona, tutte le nostre difese
vengono attaccate: dove sembravano meno salde, là i
nemici accorrevano. Le truppe romane sono costrette a
dividersi per l'estensione delle linee, né è facile
respingere gli attacchi sferrati contemporaneamente in
diversi settori. Il clamore che si alza alle spalle dei
nostri, mentre combattevano, contribuisce molto a
seminare il panico, perché capivano che la loro vita era
legata alla salvezza degli altri: i pericoli che non stanno
dinnanzi agli occhi, in genere, turbano con maggior
intensità le menti degli uomini.
LXXXV
Caesar idoneum locum nactus quid quaque ex parte
geratur cognoscit; laborantibus summittit. Vtrisque ad
Cesare, trovato un punto di osservazione adatto, vede
che cosa accade in ciascun settore. Invia aiuti a chi è in
animum occurrit unum esse illud tempus, quo maxime
contendi conveniat: Galli, nisi perfregerint munitiones,
de omni salute desperant; Romani, si rem obtinuerint,
finem laborum omnium exspectant. Maxime ad
superiores munitiones laboratur, quo Vercassivellaunum
missum demonstravimus. Iniquum loci ad declivitatem
fastigium magnum habet momentum. Alii tela coniciunt,
alii testudine facta subeunt; defatigatis in vicem integri
succedunt. Agger ab universis in munitionem coniectus
et ascensum dat Gallis et ea quae in terra occultaverant
Romani contegit; nec iam arma nostris nec vires
suppetunt.
difficoltà. I due eserciti sentono che è il momento
decisivo, in cui occorreva lottare allo spasimo: i Galli, se
non forzavano la nostra linea, perdevano ogni speranza
di salvezza; i Romani, se tenevano, si aspettavano la fine
di tutti i travagli. Lo scontro era più aspro lungo le
fortificazioni sul colle, dove, lo abbiamo detto, era stato
inviato Vercassivellauno. La posizione sfavorevole dei
nostri, in salita, aveva un peso determinante. Dei Galli,
alcuni scagliano dardi, altri formano la testuggine e
avanzano. Forze fresche danno il cambio a chi è stanco.
Tutti quanti gettano sulle difese molta terra, che
permette ai Galli la scalata e ricopre le insidie nascoste
nel terreno dai Romani. Ai nostri, ormai, mancano le
armi e le forze.
LXXXVI
His rebus cognitis Caesar Labienum cum cohortibus sex
subsidio laborantibus mittit: imperat, si sustinere non
posset, deductis cohortibus eruptione pugnaret; id nisi
necessario ne faciat. Ipse adit reliquos, cohortatur ne
labori succumbant; omnium superiorum dimicationum
fructum in eo die atque hora docet consistere. Interiores
desperatis campestribus locis propter magnitudinem
munitionum loca praerupta ex ascensu temptant: huc ea
quae paraverant conferunt. Multitudine telorum ex
turribus propugnantes deturbant, aggere et cratibus
fossas explent, falcibus vallum ac loricam rescindunt.
Quando lo viene a sapere, a rinforzo di chi si trova in
difficoltà Cesare invia Labieno con sei coorti. Gli
ordina, se non riusciva a respingere l'attacco, di portar
fuori le coorti e di tentare una sortita, ma solo in caso di
necessità estrema. Dal canto suo, raggiunge gli altri, li
esorta a non cedere, spiega che in quel giorno, in
quell'ora era riposto ogni frutto delle battaglie
precedenti. I nemici sul fronte interno, disperando di
poter forzare le difese di pianura, salde com'erano,
attaccano i dirupi, cercando di scalarli: sulla sommità
ammassano tutte le armi approntate. Con nugoli di
frecce scacciano i nostri difensori dalle torri, riempiono
le fosse con terra e fascine, spezzano il vallo e il
parapetto mediante falci.
LXXXVII
Mittit primo Brutum adulescentem cum cohortibus
Caesar, post cum aliis Gaium Fabium legatum; postremo
ipse, cum vehementius pugnaretur, integros subsidio
adducit. Restituto proelio ac repulsis hostibus eo quo
Labienum miserat contendit; cohortes quattuor ex
proximo castello deducit, equitum partem sequi, partem
circumire exteriores munitiones et ab tergo hostes
adoriri iubet. Labienus, postquam neque aggeres neque
fossae vim hostium sustinere poterant, coactis una XL
cohortibus, quas ex proximis praesidus deductas fors
obtulit, Caesarem per nuntios facit certiorem quid
faciendum existimet. Accelerat Caesar, ut proelio
intersit.
Cesare prima invia il giovane Bruto con alcune coorti,
poi il legato C. Fabio con altre. Alla fine egli stesso,
mentre si combatteva sempre più aspramente, reca in
aiuto forze fresche. Capovolte le sorti dello scontro e
respinti i nemici, si dirige dove aveva inviato Labieno.
Preleva quattro coorti dalla ridotta più vicina e ordina
che parte della cavalleria lo segua, parte aggiri le difese
esterne e attacchi il nemico alle spalle. Poiché né i
terrapieni, né le fosse valevano a frenare l'impeto dei
nemici, Labieno raduna trentanove coorti, che la sorte
gli permise di raccogliere dalle ridotte più vicine.
Quindi, invia a Cesare messaggeri per informarlo delle
sue intenzioni.
LXXXVIII
Eius adventu ex colore vestitus cognito, quo insigni in
proeliis uti consuerat, turmisque equitum et cohortibus
visis quas se sequi iusserat, ut de locis superioribus haec
declivia et devexa cernebantur, hostes proelium
committunt. Vtrimque clamore sublato excipit rursus ex
vallo atque omnibus munitionibus clamor. Nostri
omissis pilis gladiis rem gerunt. Repente post tergum
equitatus cernitur; cohortes aliae appropinquant. Hostes
terga vertunt; fugientibus equites occurrunt. Fit magna
caedes. Sedulius, dux et princeps Lemovicum, occiditur;
Vercassivellaunus Arvernus vivus in fuga
Cesare si affretta, per prendere parte alla battaglia. I
nemici, dominando dall'alto i declivi e i pendii dove
transitava Cesare, mossero all'attacco, non appena
notarono il suo arrivo per il colore del mantello che di
solito indossava in battaglia e videro gli squadroni di
cavalleria e le coorti che avevano l'ordine di seguirlo.
Entrambi gli eserciti levano alte grida, un grande
clamore risponde dal vallo e da tutte le fortificazioni. I
nostri lasciano da parte i giavellotti e mettono mano alle
spade. All'improvviso compare la cavalleria dietro i
nemici. Altre coorti stavano accorrendo: i Galli volgono
comprehenditur; signa militaria septuaginta quattuor ad
Caesarem referuntur: pauci ex tanto numero se
incolumes in castra recipiunt. Conspicati ex oppido
caedem et fugam suorum desperata salute copias a
munitionibus reducunt. Fit protinus hac re audita ex
castris Gallorum fuga. Quod nisi crebris subsidiis ac
totius diei labore milites essent defessi, omnes hostium
copiae deleri potuissent. De media nocte missus
equitatus novissimum agmen consequitur: magnus
numerus capitur atque interficitur; reliqui ex fuga in
civitates discedunt.
le spalle. I cavalieri affrontano gli avversari in fuga. È
strage. Sedullo, comandante e principe dei Lemovici
aremorici, cade; l'arverno Vercassivellauno è catturato
vivo, mentre tentava la fuga; a Cesare vengono portate
settantaquattro insegne militari; di tanti che erano, solo
pochi nemici raggiungono salvi l'accampamento. Dalla
città vedono il massacro e la ritirata dei loro: persa ogni
speranza di salvezza, richiamano le truppe dalle
fortificazioni. Appena odono il segnale di ritirata, i Galli
fuggono dall'accampamento. E se i nostri soldati non
avessero risentito delle continue azioni di soccorso e
della fatica di tutta la giornata, avrebbero potuto
annientare le truppe avversarie. Verso mezzanotte la
cavalleria si muove all'inseguimento della retroguardia
nemica: molti vengono catturati e uccisi; gli altri,
proseguendo la fuga, raggiungono i rispettivi popoli.
LXXXIX
Postero die Vercingetorix concilio convocato id bellum
se suscepisse non suarum necessitatium, sed communis
libertatis causa demonstrat, et quoniam sit fortunae
cedendum, ad utramque rem se illis offerre, seu morte
sua Romanis satisfacere seu vivum tradere velint.
Mittuntur de his rebus ad Caesarem legati. Iubet arma
tradi, principes produci. Ipse in munitione pro castris
consedit: eo duces producuntur; Vercingetorix deditur,
arma proiciuntur. Reservatis Aeduis atque Arvernis, si
per eos civitates reciperare posset, ex reliquis captivis
toto exercitui capita singula praedae nomine distribuit.
Il giorno seguente, Vercingetorige convoca l'assemblea e
spiega che quella guerra l'aveva intrapresa non per
proprio interesse, ma per la libertà comune. E giacché si
doveva cedere alla sorte, si rimetteva ai Galli, pronto a
qualsiasi loro decisione, sia che volessero ingraziarsi i
Romani con la sua morte o che volessero consegnarlo
vivo. A tale proposito viene inviata una legazione a
Cesare, che esige la resa delle armi e la consegna dei
capi dei vari popoli. Pone il suo seggio sulle
fortificazioni, dinnanzi all'accampamento: qui gli
vengono condotti i comandanti galli, Vercingetorige si
arrende, le armi vengono gettate ai suoi piedi. A
eccezione degli Edui e degli Arverni, tutelati nella
speranza di poter riguadagnare, tramite loro, le altre
genti, Cesare distribuisce, a titolo di preda, i prigionieri
dei rimanenti popoli a tutto l'esercito, uno a testa.
XC
His rebus confectis in Aeduos proficiscitur; civitatem
recipit. Eo legati ab Arvernis missi quae imperaret se
facturos pollicentur. Imperat magnum numerum
obsidum. Legiones in hiberna mittit. Captivorum circiter
viginti milia Aeduis Arvernisque reddit. Titum
Labienum duabus cum legionibus et equitatu in
Sequanos proficisci iubet: huic Marcum Sempronium
Rutilum attribuit. Gaium Fabium legatum et Lucium
Minucium Basilum cum legionibus duabus in Remis
collocat, ne quam ab finitimis Bellovacis calamitatem
accipiant. Gaium Antistium Reginum in Ambivaretos,
Titum Sextium in Bituriges, Gaium Caninium Rebilum
in Rutenos cum singulis legionibus mittit. Quintum
Tullium Ciceronem et Publium Sulpicium Cabilloni et
Matiscone in Aeduis ad Ararim rei frumentariae causa
collocat. Ipse Bibracte hiemare constituit. His litteris
cognitis Romae dierum viginti supplicatio redditur.
Terminate le operazioni, parte verso le terre degli Edui;
accetta la resa del loro popolo. Qui lo raggiungono
emissari degli Arverni che promettono obbedienza,
ordina la consegna di un gran numero di ostaggi. Invia le
legioni ai campi invernali. Restituisce agli Edui e agli
Arverni circa ventimila prigionieri. Ordina a T. Labieno
di recarsi nella regione dei Sequani con due legioni e la
cavalleria e pone ai suoi ordini M. Sempronio Rutilo.
Alloggia il legato C. Fabio e L. Minucio Basilo con due
legioni nei territori dei Remi, per proteggere quest'ultimi
da eventuali attacchi dei Bellovaci. Manda C. Antistio
Regino tra gli Ambivareti, T. Sestio presso i Biturigi, C.
Caninio Rebilo tra i Ruteni, ciascuno alla testa di una
legione. Pone Q. Tullio Cicerone e P. Sulpicio a
Cavillono e Matiscone, lungo la Saona, nelle terre degli
Edui, incaricandoli di provvedere ai rifornimenti di
grano. Dal canto suo, decide di svernare a Bibracte.
Quando a Roma si ha notizia dell'accaduto da una lettera
di Cesare, gli vengono tributati venti giorni di feste
solenni di ringraziamento.